#cronache di carnevale
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autolesionistra · 10 months ago
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Faremo quindi l'ennesimo elenco puntato di vaccate spacciandola per scelta stilistica e non per incapacità acquisita del sottoscritto di sviluppare un qualsiasi discorso scritto per più di tre righe
Oggi mi son dovuto mettere della crema per le mani perché stavo facendo un bonifico e serviva una conferma dal mio cellulare che non mi riconosceva l'impronta di sblocco dell'app della banca perché avevo i diti screpolati da freddo misto lavaggi di piatti casalinghi e non avevo voglia di recuperare il codice buffo alternativo all'impronta. Tenendo conto di quanto io odi le crememani, il freddo, i lavori casalinghi e la tecnologia quando al posto che aiutare sta in mezzo ai maroni, il candidato calcoli il numero di bestemmie tirate mentre mi impaciugavo le mani.
Non vorrei che la Bologna degli ultimi mesi restasse agli onori delle cronache solo per le risse sui trentallora: è anche la città in cui chiudono un pub per 30 giorni perché si percepisce “un forte e inconfondibile odore di sostanza stupefacente vaporizzata” salvo poi non trovare la sostanza in questione. Spero che i NAS nelle ispezioni dei locali non ragionino così o se un cliente fa una puzzetta è un macello.
Pur avendo visto, e per caso, un'unica esposizione legata ad ArteFiera (che a pensarci è un record perché ti ci inciampi quasi, a Bologna) continuo a pensare che la parte più interessante di questi giorni sia la fauna che la popola. La sovrapposizione col carnevale permette anche di praticare il giuoco educativo con i passanti più pittoreschi "va a vedere i carri o ad ArteFiera?" e dovrebbe essere previsto un premio per chi riesce a stare un po' a metà
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cinquecolonnemagazine · 9 months ago
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Il Gianduiotto di Torino diventerà IGP?
Riuscirà il Gianduiotto di Torino a diventare un prodotto IGP? La strada è lunga e non priva di ostacoli. Al momento uno dei principali veti è stato abbattuto e la macchina della burocrazia può riprendere il suo percorso. Oggi vi parliamo di una delle prelibatezze del nostro Paese, il Gianduiotto, che da quasi 160 anni mette d'accordo tutti i palati. Napoleone e Michele Prochet Quando nel 1806 Napoleone impose il blocco continentale, il suo scopo non era solo render pan per focaccia alla Gran Bretagna, sua acerrima nemica, ma anche colpire la sua economia. L'imperatore di Francia sembrò non considerare, però, il dettaglio che a risentire di tale blocco sarebbero stati anche i Paesi al di qua della Manica. In Italia, all'epoca, la passione per il cioccolato era già diventata irrefrenabile e le quantità di cacao, che arrivavano in Europa proprio grazie alle navi bloccate, iniziavano a diminuire sempre di più e a costare sempre più care. Fu così che il maître chocolatier Michele Prochet ebbe l'idea di creare un impasto con cacao, zucchero e nocciole. La tonda gentile è una variante di nocciola tipica del Piemonte; gli oli presenti nel frutto consentono la creazione di una crema una volta tritato. La crema di nocciola unita a cacao e zucchero ha dato vita alla pasta gianduia, un'eccellenza del Piemonte. Da qui il passo per la nascita del gianduiotto, il primo cioccolatino confezionato singolarmente, fu davvero breve. All'epoca venivano tagliati a mano mentre oggi, per ottenere l'originale forma a barchetta rovesciata, si utilizzano due tecniche: l'estrusione e il colaggio. L'estrusione prevede che l'impasto coli su piastre e l'utilizzo di macchine progettate ad hoc che permettono di produrre un cioccolatino dalla giusta consistenza. Il colaggio, invece, che si serve di appositi stampi, vuole un impasto più duro. Il primo gianduiotto fu prodotto, nel 1865, con la ricetta di Prochet, dall'industria dolciaria Caffarel, nello stabilimento torinese di Borgo San Donato. Fu presentato in occasione del Carnevale associato a Gianduia. La famosa maschera locale andò in giro per la città a distribuire i fantastici gianduiotti. Il Gianduiotto di Torino: un simbolo della città da tutelare e valorizzare Le cronache ci raccontano che l'alleanza tra Prochet e la Caffarel portò il celebre maître chocolatier a essere via via dimenticato mentre l'industria dolciaria, che ha regolarmente depositato il marchio “Gianduia 1865. L’autentico gianduiotto di Torino”, è tuttora l'unica autorizzata a riproporre la maschera di Gianduia sugli incarti. La storia ci dice anche che nel 1997, la Caffarel è stata acquisita dalla casa dolciaria Lindt & Sprüngli che oggi produce gli iconici cioccolatini torinesi su scala industriale. Nel 2017 nasce a Torino il Comitato del Giandujotto di Torino Igp. L'obiettivo è quello di ottenere l'Indicazione geografica protetta riconosciuta dall'Unione europea per i prodotti d'eccellenza la cui produzione è legata al territorio sia per le materie utilizzate sia per il luogo di lavorazione. L'iter è presto iniziato: viene fatta regolare richiesta alla Regione Piemonte che accetta e la presenta a sua volta al ministero dell'Agricoltura. Il sì del ministero avvia le consultazioni tra tutti gli attori in gioco: associazioni di categoria e produttori. Tra questi c'è anche la Caffarel, o meglio la Lindt, che ha opposto non poche remore sull'eventuale riconoscimento. Caffarel vs Comitato: pace fatta? L'azienda, inventrice del cioccolatino, temeva, infatti, che il marchio "Gianduiotto di Torino IGP" avrebbe oscurato quello di cui si fregiano da quasi 160 anni: "Gianduia 1865. L’autentico gianduiotto di Torino". In più, aveva proposto di modificare la ricetta introducendo il latte in polvere (largamente utilizzato nel settore) e riducendo la percentuale di nocciole dal 30% al 28%. Proposta, neanche a dirlo, rigettata. Dopo mesi di diatribe, che erano arrivate fino in Europa, il Comitato e la Lindt sono giunti a un accordo. La Lindt potrà continuare a produrre i suoi gianduiotti utilizzando lo storico marchio e la ricetta personale. Di contro gli artigiani utilizzeranno la ricetta originale e, quando il marchio IGP sarà riconosciuto, potranno inserirlo. Cosa, quest'ultima, che invece sarà negata alla Lindt. L'accordo, che ha bisogno di ulteriori limature, se non altro, ha sbloccato l'iter per la richiesta del riconoscimento che ora andrà al ministero dell'Agricoltura e della Sovranità Alimentare e poi alla Commissione Europea. Read the full article
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lamilanomagazine · 2 years ago
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Trieste, inaugurazione a Palazzo Gopcevich della mostra fotografica di Ugo Borsatti
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Trieste, inaugurazione a Palazzo Gopcevich della mostra fotografica di Ugo Borsatti.   Venerdì 2 dicembre alle ore 11.00, presso la Sala “A. Selva” di Palazzo Gopcevich, in via Rossini 4, a Trieste, alla presenza dell’Assessore alle Politiche della Cultura e del Turismo Giorgio Rossi e del fotografo autore degli scatti in esposizione ha avuto luogo l’inaugurazione della mostra “Foto Omnia di Ugo Borsatti. Scatti in Comune” che rimarrà aperta, a ingresso libero, fino al 26 febbraio 2023 da martedì a domenica dalle ore 10.00 alle ore 17.00 (lunedì chiuso). La mostra è stata ideata e realizzata dal Servizio Promozione Turistica, Musei, Eventi Culturali e Sportivi del Comune di Trieste ed è stata curata da Claudia Colecchia, responsabile della Fototeca e Biblioteca dei Civici Musei di Storia ed Arte, nell’occasione dei settant’anni dalla nascita dello studio fotografico Foto Omnia, tuttora attivo. L'archivio Foto Omnia di Ugo Borsatti, acquistato dalla Fondazione CRTrieste e depositato presso la Fototeca dei Civici Musei di Storia ed Arte, consta di 350.000 negativi, prevalentemente su pellicola. L’opera di conservazione, catalogazione e valorizzazione condotta dalla Fototeca ha consentito di esaminare l’archivio del fotografo nella sua interezza, di mettere in luce la forza narrativa degli scatti realizzati. Duecento foto sono esposte al pubblico, alcune delle quali per la prima volta: ritratti di personaggi noti o sconosciuti, eventi pubblici e privati, i luoghi turistici per eccellenza di Trieste, il microcosmo del quartiere/humus in cui Ugo Borsatti ha abitato e lavorato. È così possibile guardare e ammirare le immagini degli ultimi anni del governo militare alleato con i tragici giorni del novembre 1953 a cui si affiancano quelle effervescenti del ritorno dell’Italia a Trieste nel 1954. Borsatti descrive il variegato mondo del lavoro, anche comunale. Protagonisti sono spesso gli operai, ripresi in modo dinamico negli spazi aperti o chiusi, in costante dialogo con l’intorno, sia esso paesaggio, macchinari o strutture. Ponterosso e il suo canale offrono una quinta scenica d’eccezionale emozionalità, qui, venditori di spighette, di monili, venderigole propongono la loro merce in ogni stagione. Ancora, l’occhio del fotografo non trascura la tragedia degli esuli con immagini di forte impatto emotivo che documentano lo sradicamento e lo spaesamento dei profughi. Di non meno straordinaria intensità e interesse sono i servizi dedicati alla partenza degli emigranti per terra o per mare, perlopiù verso le rotte australiane o americane. Non trascura i fatti di cronaca. La foto della morte di un carrettiere è attenzionata dal Museum of Modern Art di New York. Con i suoi scatti ha reso iconica l’ultima pescata della Tonnara di Santa Croce. Attento osservatore, Borsatti documenta il tempo libero scandito dalle feste e dai riti che la comunità riconosce in quanto parte del proprio patrimonio culturale, tra cui, il Carnevale, la Sagra della sardella, la Festa dell’uva, le Nozze Carsiche, la Festa di San Nicolò. Registra anche l’intensa attività culturale che caratterizza il mondo del cinema, della televisione, del teatro, dell’arte e della letteratura, spesso a uso delle cronache. Il tempo libero a Trieste naturalmente si accompagna all’amore per il mare, ampiamente documentato anche in stagioni inaspettate. Le foto dedicate allo sport costituiscono un altro straordinario scrigno che documenta la passione sportiva del fotografo e dei triestini. Borsatti, entusiasta giocatore di rugby, nutre un grande interesse per tutti gli sport, tra cui, il calcio, rito domenicale per eccellenza. La foto più amata dall’autore è quella del “Bacio” del soldato americano Jim Swaim e della mula triestina Graziella Cirrincione quando le truppe alleate lasciano Trieste nel 1954: uno scatto che vale più di mille parole. L’album fotografico dispiegato nelle sale di Palazzo Gopcevich costituisce parte significativa della recente storia di questa città. L’attenta perlustrazione degli eventi, come arrestati per un momento a dispetto del correre del tempo, manifesta la capacità del maestro-fotografo di affrontare temi e linguaggi diversi con un accento sempre personale, autenticamente inconfondibile. Calendario delle iniziative collaterali: - Mercoledì 7 dicembre, ore 30 visita guidata con la curatrice Claudia Colecchia; - Mercoledì 14 dicembre, ore 30 visita guidata con la curatrice Claudia Colecchia; - Mercoledì 11 gennaio, ore 30 visita guidata con la curatrice Claudia Colecchia; - Mercoledì 18 gennaio, ore 30 Buon compleanno, Ugo!, Ugo Borsatti festeggia il suo compleanno in mostra; - Sabato 21 gennaio, ore 16 visita guidata con la curatrice Claudia Colecchia; - Mercoledì 25 gennaio, ore 30 Zoran Mušič. Un pittore a Dachau, presentazione e proiezione della nuova versione del documentario di Giampaolo Penco (1998, 2022) a cura di Claudia Colecchia. Sarà presente l’autore. L'incontro fa parte degli eventi organizzati dal Comune di Trieste in occasione del Giorno della Memoria 2023; - Mercoledì 1 febbraio, ore 30 visita guidata con la curatrice Claudia Colecchia. La visita sarà impreziosita dalle performance teatrali ideate e dirette da Luisa Cividin; - Mercoledì 8 febbraio, ore 30 visita guidata con la curatrice Claudia Colecchia; - Mercoledì 15 febbraio, ore 30 visita guidata romantica Il giorno dopo della Festa degli Innamorati, il conservatore del Museo Civico di Storia Naturale Nicola Bressi e la curatrice, Claudia Colecchia, approfondiranno il tema: “Dai baci fotografati a quelli spiegati: evoluzione biologica di un apostrofo roseo”; - Domenica 26 febbraio, ore 11 visita guidata con la curatrice Claudia Colecchia. La visita sarà impreziosita dalle performance teatrali ideate e dirette da Luisa Cividin. Informazioni su www.fototecatrieste.it, www.triestecultura.it, scrivendo a [email protected] o telefonando allo 0406754039.  ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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marjane-satrapi-10 · 4 years ago
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R.I.P.
Mi dispiace ragazzi, ma quest’anno non ci saranno le cronache di carnevale.
Lo so che molti voi aspettano tutto l’anno per leggere le mie avventure, ma quest’anno causa questa lurida pandemia non avrete la gioia di conoscere le mie avventure.
Ad Agosto 2020 le alte cariche del canton Ticino hanno proclamato la prematura scomparsa del carnevale ticinese 2021.
Noi giovani sposi del carnevale siamo vedovi. 
Quest’anno non nasceranno amori fugaci, non fioriranno limoni e non ci saranno nemmeno palpate di culi peccaminose.
Le voci non verranno perse e poi ritrovate settimane dopo, non si perderà nemmeno l’ultima briciola di dignità dicendo agli amici “Bevum l’ultima pö nemm”.
Non ci sarà nemmeno il kebab zozzo alle 2 del mattino e la pizza ripiglio alle 6.
Niente Campari e cornetto la mattina del Corteo di Bellinzona.
Morta pure la satira e la pigliata per il culo carnascialesca. 
SHOCK... Nessuno “tirerà” in giro il caro Renzi. (amico, noi non dimentichiamo. Aspettiamo ancora le scuse per il NOSTRO Gottardo).
Non risuoneranno per le valli Hit come “Settimana Bianca” e “Maracaibo”.
Mio amorevole sposo, generoso amante e maestro di grandi lezioni, riposa in pace. Che ti sia dolce il sonno fino a quando non risorgerai dalle ceneri come la Fenice.
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spettriedemoni · 4 years ago
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Ciambellone bigusto. Stavolta ci ho messo anche le gocce di cioccolato. Questo è quel che rimane da domenica.
Visto che mi si è rotto l'avvolgibile della camera da letto, stavo per finire ciò che era rimasto del ciambellone, come consolazione diciamo.
Invece ho resistito.
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cutulisci · 3 years ago
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[...] La mancanza non è perdita, è solo un cielo coperto di nuvole.
Cronache dagli anni senza Carnevale/566. Gli alberi muti e spogli consolano le stelle che non trovano più le foglie con cui conversare
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der-papero · 5 years ago
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Rivivere il mito
Oggi colazione con la mama immersi nei ricordi del paesino, ricordando tutti quei personaggi che, in un posto che contava all’epoca sì e no 7000 anime, si notavano facilmente.
Il primo è stato O’ Pazz. Non lasciamoci fuorviare dal nome, era sanissimo, almeno per quanto ne potevo sapere. E’ stato colui che mi ha insegnato le basi della musica che ascolto oggi, contestualizzata nella fine degli anni ‘80 (U2, Depeche Mode, Deep Purple, Boston, ...). Abitava nella casa di fronte la mia, e l’appellativo se lo guadagnò perché era solito mettere le casse sul balcone, piazzava un disco e lo metteva a palla, facendolo sentire a mezzo paese. In una popolazione dove il massimo del trasgressivo era Eros Ramazzotti, si sentivano di continuo esclamazioni miste a bestemmie che suonavano più o meno come “ma che cazz sta’ sentenn chill???”, oppure “u’ pazz sta scassann n’ata vot o’ cazz”. E’ stato il mio eroe, e quando andavo in giro a dire “che bella musica che ascolta” mi veniva puntualmente ribattuto “tu sii cchiu’ scem e iss!!!”.
Destino volle che il personaggio mitologico di cui sopra avesse una sorella, che era la bona del paesello. Chiedo perdono per lo switch su uno slang inusuale per me, ma era una stangona incredibile, con una carrozzeria da paura, una Luisa Ranieri ma ancora più carina ... in pratica, come direbbe Vincenzo Salemme, “nu’ femminon esaggerat!” . Ovviamente di lei ne dicevano di ogni, cosa che mi faceva sia arrabbiare da bestia, sia produrre un fastidio insopportabile, perché da un lato ti facevano capire quanto orrende siano le persone dotate di una cattiva ignoranza (e, ahimè, erano la stragrande maggioranza, uomini e donne), dall’altro rovinavano quella immagine che io passavo ore a fissare dalla finestra della mia stanza, quando lei si appoggiava sulla ringhiera del suo balcone, ruotava la testa, i capelli lunghi le scendevano sul seno e il sole illuminava tutte le sue curve.
Erano i miei Apollo e Afrodite.
Poi la colazione ha viaggiato su tantissimi personaggi secondari per la mia vita, come la triade Lignamm, Lignamiell e Lignammon (in pratica, Lignamm, ovvero “legno” in napoletano, generò Lignamiell, che a sua volta generò Lignammon, e Dio donò loro lunga e prosperosa discendenza sulla gestione del legname). Oppure il gestore del bar in centro al paese, chiamato “Migni Magni”, il quale aveva ben due caratteristiche singolari. La prima era che, essendo al centro del paese, veniva usato come stella polare per tutte le direzioni, al punto tale che si sostituì il concetto di Nord e Sud con “quanto dista da Migni Magni??”. In pratica, era la nostra Mecca. La seconda è che aveva un soprannome di cui nessuno sapeva il significato, e le sue origini erano andate perse nelle notti del mito. Ogni volta che chiedevo “scusate, ma che cazz significa Migni Magni??”, mi veniva puntualmente risposto “BOH!”.
Ne avrei tante altre da raccontare, ma chiuderei con un personaggio che mi suscitava tanta tenerezza per la sua genuina ingenuità, ovvero “u’ Pecurar”, il “pecoraio”. Ebbe la fortuna di essere eletto sindaco, visto l’enorme bacino di voti al quale poteva attingere ma, data la sua umile provenienza e la sua scarsa preparazione scolastica, non era in grado di districarsi tra le delibere, i decreti, le ordinanze, e passava tutto il tempo su un Peugeot bianco, a fare il giro sulla strada principale del paese, e a salutare persone, io lo vedevo come un Papa locale che benediva tutti. Si rese famoso alle cronache per una mitica telefonata che ebbe col Questore: volendo fare il simpatico, durante una conversazione dove si parlava di sicurezza pubblica, lo salutò come si era soliti fare tra amici in piazza, davanti ad una birra, esclamando “auguri per il suo compleanno, oggi è Carnevale!”. Ecco, per chi non lo sapesse, in napoletano sembrare Carnevale vuol dire dare del clown o della persona buffa/ridicola a qualcuno. Partì in fretta e furia una delegazione di vari assessori verso Caserta per scongiurare una imminente invasione con carri armati.
Però vestiva come il magnaccia di Rocky V e a me piace ricordarlo così.
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ilfascinodelvago · 4 years ago
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Altro giro, altra corsa, altro esponente di Fratelli d’Italia che inneggia al Ventennio, altre polemiche, altre gustose minimizzazioni, altri articoli sui giornali, sui siti, altri appelli, pensosi corsivi e sacrosante prese per il culo. La questione Meloni-nostalgici fascisti si configura ormai come la storiella del criceto e della ruota: non passa giorno che non ci sia un caso di apologia del fascismo ad opera di qualche fratellino d’Italia (o lista collegata), e la competizione più entusiasmante all’interno del partito è aperta: si vedrà a fine campionato se la corrente maggioritaria sarà quella di chi si veste da SS o quella degli arrestati per ‘ndrangheta, una bella gara.
Si è detto in lungo e in largo del consigliere comunale di Nimis (Udine) vestito da nazista, tal Gabrio Vaccarin, che nessuno aveva mai sentito nominare finché non hanno cominciato a girare foto in cui compare impettito davanti a un ritratto di Hitler, agghindato come per dirigere un campo di sterminio, croce di ferro inclusa.
Meno scalpore, per distrazione dei media, ha fatto il manifesto elettorale di tal Gimmi Cangiano, candidato in Campania per la sora Meloni, che non solo ha messo lo slogan “Me ne frego” sui suoi cartelloni elettorali, ma ci ha pure scritto sotto: “La più alta espressione di libertà”. Non fa una piega, quanto a espressione di libertà. Certo, poteva scegliere altri slogan, per esempio “Cago sul marciapiede”, che anche quella, ammetterete, è un’alta espressione di libertà, come anche “Taglio le gomme alle macchine in sosta”, o “Butto in mare l’olio esausto della mia fabbrichetta”, che sottolinea l’insofferenza del cittadino martoriato dalla burocrazia e dalle costrizioni della legge.
Mi fermo qui con gli esempi perché per correttezza giornalistica dovrei elencare anche le difese puntuali e articolate che ogni volta gli esponenti di FdI devono inventarsi per giustificare o minimizzare: una volta “non è iscritto”, un’altra volta “è una ragazzata”, oppure “è stata una leggerezza” o ancora “era carnevale”. Insomma, per dirla con la lingua loro, otto milioni di piroette per allontanare da sé i sospetti di fascismo, preoccupazione un po’ inutile visto che tre indizi fanno una prova, dieci indizi fanno una certezza e dopo cento indizi dovrebbero intervenire i partigiani del Cln con lo schioppo. Ma sia: per farsi perdonare ed allontanare i sospetti, la Meloni candida alla presidenza della regione Marche un suo deputato, tal Francesco Acquaroli, noto alle cronache soprattutto per una cena celebrativa della marcia su Roma (Acquasanta Terme, 28 ottobre 2019). Sul menu, accanto al timballo e allo spallino di vitello al tartufo campeggiavano nell’ordine: un fascio littorio, un’aquila con la scritta “Per l’onore dell’Italia”, il motto “Dio, patria e famiglia”, una foto del duce volitivo e machissimo con la frase “Camminare, costruire e se necessario combattere e vincere”. Si vede che non era necessario, perché persero malamente e il celebrato Mascellone camminava sì, ma verso la Svizzera vestito da soldato tedesco, bella figura.
Fa bene Gad Lerner (su questo giornale) a chiedere alla sora Meloni di dissociarsi una volta per tutte dalla retorica fascista dei suoi eletti e dei suoi militanti, ma dubito che succederà: quella retorica, un po’ grottesca e molto ignorante, risibile e feroce, è l’acqua in cui nuota Fratelli d’Italia, gli slogan fascisti e i vestiti da gerarchi sono il plancton di cui si nutre, e non si è mai visto un pesce svuotarsi l’acquario da solo. Bisognerebbe aiutarlo come l’altra volta, settantantacinque anni fa.
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macri · 5 years ago
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Adoravo il Carnevale, per me era splendido, mamma lavorava nel cinema, per cui avevo sempre dei bellissimi costumi: il mio cappello da principe azzurro aveva una vera piuma di struzzo. Però poi mi chiedevo perché arrivasse un giorno in cui quel vestito si dovesse riporre. Avrei voluto andare a scuola con il cappello da principe azzurro anche durante l'anno, in fondo non c'è un divieto. Abbiamo tutti il diritto di essere quello che vogliamo essere, di poter rappresentare chi siamo. Non è banale rappresentarsi, è qualcosa che comunica all'esterno chi sei. Essere strani è stupendo. Se da grande, attraverso le mie campagne pubblicitarie, ho aiutato qualcuno di una scuola di periferia a sentirsi a suo agio e mettersi il cappello da principe azzurro tutto l'anno, sono felice.
Alessandro Michele #Gucci https://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/ldquo-fare-moda-non-comprarsi-vestito-rdquo-ndash-vita-225391.htm
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levysoft · 3 years ago
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Anche nel Medioevo – pur in un mondo diviso per classi sociali e dove per il popolo spesso vita e lavoro coincidevano – esistevano occasioni e ricorrenze in cui abbandonarsi a svaghi e passatempi. Succedeva nei giorni festivi, quando contadini e agricoltori si riunivano per mangiare, bere, danzare, scommettere e giocare, oppure a Carnevale, periodo dell’anno in cui tutto il paese prendeva parti a riti di liberazione degli istinti repressi. Si trattava di attività ludico-ricreative tipiche di una cultura popolare tradizionale, che variavano da un posto all’altro secondo convenzioni abituali non scritte.
Si andava dai giochi con la palla alle gare di corsa, passando per diverse varietà di lotta e competizioni che coinvolgevano gli animali. I galli, per esempio, diventavano il bersaglio per il lancio di pietre o si affrontavano in cruenti combattimenti, mentre il bull-baiting prevedeva che uno o più cani si infilassero tra le gambe del toro fino a morderne i genitali e neutralizzarlo.
La sregolatezza del mob football e la stigmatizzazione del gioco
La violenza era una parte integrante di questi giochi popolari. I giovani la usavano per esibire la propria mascolinità, ma anche per mettersi in mostra, specialmente agli occhi delle ragazze in età di matrimonio. Uno dei giochi più estremi era il mob football, che consisteva nel portare una palla – realizzata con vescica di maiale riempita di fieno, crusca e muschio e rilegata in pelle – in una determinata meta avversaria come l’ingresso di una chiesa, un muro o un ponte. Ogni squadra arrivava a contare anche centinaia di partecipanti, era consentito usare indistintamente mani, piedi o bastoni e il campo da gioco era costituito da ampi spazi che includevano fossati, ruscelli, boschi e zone paludose. Proprio la vastità dei terreni poteva far sì che le partite durassero addirittura per giorni.
Sviluppatosi all’incirca nel XIII secolo, il mob football  era accusato di generare disordini, risse e danni che andavano ben oltre quelli inflitti ai partecipanti e che si ripercuotevano anche sulle proprietà dei cittadini. Spesso diventava il pretesto per regolare vecchi dissapori o risolvere controversie sulla spartizione delle terre tra fazioni rivali, tanto da comportare in più situazioni il ferimento o persino la morte di qualche giocatore. Ancora oggi il mob football resiste come forma di tradizione. La più famosa è forse il Royal Shrovetide Football, una partita che si gioca a Ashbourne negli ultimi giorni del Carnevale e che coinvolge tutto il paese. Le porte sono due mulini ai capi opposti della città.
Nel 1170 il chierico William FitzStephen fornì il primo resoconto di una partita di calcio in Inghilterra e scrisse che «dopo cena tutti i giovani della città sono usciti sui campi per praticare il gioco della palla». Ogni categoria aveva la propria squadra, mentre anziani, padri e uomini ricchi si riunivano in gruppi per osservare e sostenere i ragazzi partecipanti, spesso in maniera animata.
La tolleranza verso simili condotte sregolate e indisciplinate ebbe però vita breve e a partire dal XIV secolo vennero richiesti un maggiore controllo e l’adozione di una politica intransigente. Il motivo non era però tanto dettato dall’inquietudine morale sollevata dagli esiti brutali del gioco, ma dal fatto che distogliesse le persone dagli affari per correre dietro a un pallone e recasse disturbo alla quiete pubblica.
Nel 1314, a nome del re Edoardo II, il sindaco di Londra Nicholas Farndon vietò il mob football in città. L’effetto fu però limitato e, nonostante i numerosi arresti, le partite non si fermarono. Durante la Guerra dei cent’anni vennero posti ulteriori veti da parte dei sovrani Edoardo III, Riccardo II, Enrico IV ed Enrico V – convinti che il calcio impedisse ai sudditi di praticare il tiro con l’arco, allora obbligatorio per farsi trovare pronti in caso di battaglie – ma la maggior parte dei tentativi risultò inefficace. Il mob football rimase bandito in Inghilterra fino al 1667 da oltre una trentina di decreti reali e locali, ma spesso i cittadini ignoravano questi divieti per concedersi lo svago del prendere a calci una palla.
La rinascita del mob football avvenne negli anni della Restaurazione inglese, conseguentemente alla morte di Cromwell e al ripristino della monarchia: nel 1681 re Carlo II approvò il calcio, di cui peraltro era un grande appassionato tanto da presenziare in più occasioni agli incontri dei propri sudditi.
Gradualmente i decessi causati dai brutali atteggiamenti del passato si estinsero, ma non per questo la situazione migliorò: la totale assenza di regole portava i partecipanti a effettuare placcaggi e sferrare colpi sugli stinchi. La loro propensione allo scontro e alla sregolatezza ben si addicevano al calcio, che aveva ormai acquisito le sembianze di uno spettacolo violento, tanto per chi lo praticava quanto per chi lo guardava. Le cronache del XVII secolo raccontanoinfatti di centinaia di giocatori intenti a distruggere i canali di scolo e generare il caos nelle città, preludio della costante minaccia all’ordine pubblico che il calcio avrebbe assunto da lì a breve: nel 1740 un incontro a Kettering, per esempio, divenne in realtà una rivolta finalizzata al saccheggio di un granaio locale.
Il ruolo delle public school nell’epoca della rivoluzione industriale
Con l’arrivo della Rivoluzione industriale, il lavoro si spostò dai campi alle fabbriche, peggiorando – se possibile – la qualità della vita dei cittadini. Gli sport violenti come il calcio vennero stigmatizzati e bistrattati, perché giudicati responsabili degli infortuni ai danni dei giocatori che impedivano loro di poter lavorare e al tempo stesso – per scongiurare ogni possibilità di abbandonarsi ad attività ricreative che avrebbero potuto inficiare la produttività – l’orario nelle fabbriche venne aumentato a livelli disumani.
Se la working class faticava a trovare delle occasioni di svago, lo stesso non poteva dirsi per gli studenti aristocratici delle più prestigiose public school. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, le public school erano – e sono tuttora – le scuole secondarie private in Inghilterra e Galles contraddistinte da un elevato costo della retta solitamente sostenibile solo dalle famiglie più elitarie.
Dalla seconda metà del Settecento il calcio cominciò a riempire le giornate dei rampolli dell’alta borghesia – di fronte all’indifferenza o in alcuni casi persino all’opposizione degli insegnanti, che si limitavano solo a punire i comportamenti scorretti – e conobbe un’arcaica forma di disciplinamento: gli incontri presero a disputarsi su campi delimitati alle estremità da due cancelli, antesignani delle odierne porte, dentro i quali lanciare la palla e fu stabilita una equa divisione dei giocatori di entrambe le squadre. La natura violenta del gioco restò però immutata, al punto tale da costituire un motivo di allarme tra gli educatori scolastici. […]
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giancarlonicoli · 4 years ago
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10 nov 2020 08:20
STANCHEZZA, SFIDUCIA, IRRESPONSABILITÀ: IN MOLTI HANNO ABBASSATO LA GUARDIA CONTRO IL COVID - “IL MESSAGGERO”: “SEMBRA ESSERCI UNA SORTA DI RIVALSA: LA POLITICA HA AVUTO DEI MESI PER PREPARARE LA LOTTA ALLA NUOVA EMERGENZA E NON HA FATTO NIENTE E QUINDI ORA, ANCHE A DISPETTO DELLE REGOLE, LIBERI TUTTI! L'ITALIANO, DI FRONTE AL CAROSELLO DELLE OPPOSTE OPINIONI DI PROFESSORI SPESSO TUTTOLOGI E IMPROVVISATI, HA MATURATO UNO SCETTICISMO ECCESSIVO. E' STANCO DI LORO ED È STANCO DI TUTTO”
-
Mario Ajello per “il Messaggero”
Sembra esserci una sorta di rivalsa: la politica ha avuto dei mesi per preparare la lotta alla nuova emergenza e non ha fatto niente e quindi ora, anche a dispetto delle regole, liberi tutti! E così sta andando in scena, nel weekend scorso e si teme anche nel prossimo, proprio lo spettacolo che non volevamo vedere. Quello della trasformazione dell'italiano da prima ondata, ligio ai doveri di autoprotezione, controllato e controllore, disciplinato e composto - irriducibile insomma al cliché da popolo anarchico - nell'italiano da seconda ondata.
Più sfiduciato, meno virtuoso, quasi incline a un fatalismo deleterio: speriamo solo che il virus non prenda a me! Non c'è da infierire perché fragile oltre che irresponsabile nella sua convinzione dello «stare a casa ci deprime, e poi abbiamo già dato l'altra volta» - su questo vecchio-nuovo prototipo nazionale. E tuttavia, è come se l'Italia fosse ripiombata in quella situazione manzoniana, ed era il 600 dei Promessi Sposi, che funzionava così: «Governa chi può, obbedisce chi vuole».
Se gli italiani da seconda ondata fossero tutti così, cioè smemorati e non coscienziosi ma per fortuna non sono tutti così, il ritorno del lockdown duro e puro sarebbe inevitabile. Ci si arriverà? Intanto il mix di sfiducia e avventatezza si sta dimostrando deleterio. E all'immagine delle folle nelle strade del fine settimane, e nei giardini, sulle spiagge, sui lungomare, viene da accostare come didascalia il dato, fornito dalla sondaggista Alessandra Ghisleri, secondo cui il premier Conte - il Commander in Chief di questa battaglia - è sceso nel gradimento in questi giorni dal 50 al 40 per cento e il trend è in calo costante, mentre prima andava oltre il 70.
Può esserci questo nel popolo che si prende le sue libertà, incurante dei rischi enormi e indifferente all'amor di patria. Ma c'è anche, e qui viene davvero da preoccuparsi perché è in atto una strage, lo spirito ancestrale del carnevale: un ribaltamento del buon senso, la sovversione liberatoria della serietà. Ma è mai possibile che l'italiano da seconda ondata - alcuni e non tutti, e vale sempre la pena ripeterlo, ma le minoranze spesso fanno la storia - si riduca a diventare carnevalesco? La sottosegretaria alla Salute, Sandra Zampa, prodiana doc, giustamente ha spronato ieri i sindaci a ordinare più controlli e a mostrare quel rigore che la situazione impone.
MILANO COME ORANO
Il problema dell'italiano da seconda ondata - quello che non grida più dai balconi «Andrà tutto bene» - è insieme di tipo psicologico e materiale. «Nella prima ondata - dice la Ghisleri - avevamo l'estate davanti. Ora ci sono le tenebre dell'inverno. C'è un cocktail di paura per la salute e di paura per il portafoglio. Le aspettative sono determinanti: se fai promesse che non riesci a mantenere, ottieni effetti devastanti». Ma sarebbe troppo facile scaricare tutte le colpe sul governo, anche se tra divieti e consigli spesso la conseguenza è la confusione. Le colpe sono generalizzate.
Basta guardare il Nord che non riesce a fermarsi, che non vuole farlo, che insiste - come la prima volta, ma la storia o almeno la cronaca dovrebbe insegnare qualcosa - a non rispettare come dovrebbe la zona rossa che le è stata assegnata e in versione poco letteraria e molto maccheronica Milano somiglia alla Orano di Albert Camus che nel 1947 scriveva nella Peste: «Nessuno aveva ancora davvero accettato la malattia. Quasi tutti erano in primo luogo sensibili a ciò che interferiva con le loro abitudini o toccava i loro interessi».
Ma si può minimizzare così una pandemia? Non lo fanno gli scienziati, ed evviva. Ma l'italiano da seconda ondata, rispetto al connazionale da ondata 1 che vedeva per la prima volta nei talk show gli scienziati ed era portato a fidarsi di loro, di fronte al carosello delle opposte opinioni di professori spesso tuttologi e improvvisati ha maturato adesso uno scetticismo perfino eccessivo. E' stanco di loro ed è stanco di tutto. E solo un vaccino lo salverà, ammesso che avrà la pazienza - e guai a non averla o addirittura a sottilizzare in maniera scellerata: i vaccini? Boh... - di aspettarlo in modalità mascherina e no assembramento.
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cinquecolonnemagazine · 10 months ago
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Sant'Antonio Abate, in tutt'Italia brillano i fuochi
Brillano in tutt'Italia di fuochi di Sant'Antonio Abate. Il 17 gennaio è una data simbolica fin dalla notte dei tempi. Rappresenta da sempre il passaggio dal vecchio al nuovo. L'avvento del Cristianesimo, poi, ha dato nuovo significato ai giorni e ai riti pagani. In molte regioni d'Italia, ancora oggi si celebrano riti in onore del santo che ha dato vita al monachesimo cristiano. Con il 17 gennaio entra ufficialmente il Carnevale. Il primo abate della cristianità Nato a Qmas in Egitto, nel 251 da un'agiata famiglia di agricoltori cristiani, Antonio si diede alla vita da anacoreta dopo la morte dei genitori quando aveva circa vent'anni. Visse per vent'anni sul monte Pispir, mentre gli ultimi tempi della sua vita li trascorse nel deserto della Tebaide. Divenne subito un punto di riferimento per pellegrini e bisognosi, che da lui furono guariti e liberati dal demonio, e per gli eremiti che lo vollero come loro guida spirituale e insieme a lui formarono una comunità. La prima comunità sotto la guida spirituale di un Abbà. Per questo motivo Antonio è considerato il primo abate e a lui si attribuisce la nascita del monachesimo cristiano. Le cronache riferiscono che sia stato più volte tentato dal demonio incarnatosi in un maiale. Due secoli dopo la sua morte, avvenuta il 17 gennaio del 357, le sue reliquie furono trasportate dal deserto egiziano prima ad Alessandria, poi a Costantinopoli, e da lì arrivarono in Francia dove, nel villaggio di La Motte aux Bois, fu eretta una chiesa in suo onore. Il Prometeo cristiano Le leggende su sant'Antonio Abate ne fanno una sorta di Prometeo della cristianità. I racconti narrano che un giorno l'abate si recò agli inferi con il suo bastone tipico a forma di Tau e in compagnia di un maialino. Quest'ultimo aveva il compito di distrarre i demoni mentre il monaco accendeva il fuoco con il suo bastone. Uscito dall'Inferno, sant'Antonio avrebbe donato il fuoco agli uomini. Il racconto spiega la simbologia legata al santo abate e tanta iconografia con la quale è rappresentato. Sant'Antonio, infatti, è spesso ritratto con un bastone a forma di Tau e in compagnia di un maialino. Il bastone è il simbolo per eccellenza dell'eremita mentre la forma che riprende l'ultima lettera dell'alfabeto rimanda alla povertà che ha caratterizzato la sua vita. I fuochi di sant'Antonio Abate in Italia Tuttavia, è il fuoco il simbolo principale del santo d'Oriente. Il fuoco, che nei riti pagani rappresentava il passaggio dall'inverno alla primavera, diventa simbolo di purificazione e rinascita. Non a caso, i riti che accompagnano la celebrazione del santo si svolgono intorno ai cosiddetti focarazzi. In molte regioni d'Italia si accendono falò che durano tutta la notte. La tradizione è molto viva nella città di Napoli dove nei focarazzi, chiamati cippi, si gettano anche oggetti vecchi come anche i bigliettini col nome della persona amata perché corrisponda il sentimento. Altra usanza legata al santo è quella di benedire gli animali da stalla, maiali in primis. La benedizione avviene alla fine di una processione di cui fanno parte anche gli animali. Il 17 gennaio è anche il giorno che segna il passaggio dal periodo natalizio al Carnevale. Da oggi via libera a scherzi, e alla preparazione di chiacchiere, bugie o che dir si voglia. In copertina foto di StockSnap da Pixabay Read the full article
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marjane-satrapi-10 · 4 years ago
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“Oh la vaca che la stravaca”
Buongiorno ravioli di carnevale (quelli con la marmellata di prugne e le mandorle sbriciolate, sia ben chiaro),
State tutti bene? 
Vorrei parlarvi di una cronaca di carnevale postuma, perchè in questi giorni cade l’anniversario di quella serata. Eh che serata...
Come ben sapete io apro le danze carnascialesche nei piccoli carnevali di paese, più sono in valle meglio è per me.
Bisogna allenare il proprio corpo per le grandi sfide, e anche la preparazione ai festeggiamenti non fa eccezioni. Bisogna andare per gradi.
L’anno scorso sono andata al mio carnevale di paese preferito, quello in cima a una valle tanto ridente e felice anche nel resto dell’anno, ma che in quel periodo lo diventa di più. I coriandoli fanno miracoli, si sa.
Quel carnevale ero vestita da panda, perchè ero pronta a “PAN DA a far festa” (Non dovete ridere, questa battuta è al livello di quelle che trovi sul Cucciolone).
Va beh, questa volta ero accompagnata dalla mia coppia preferita, i miei bambini queer. Avevamo la missione di portare un po’ di LGBT in valle, quindi il trio da tripla A si è scatenata.
Io quella sera ho conquistato una vacca. Seriamente, ho conquistato un esemplare di uomo mucca. EH CAZZAROLA CHE UOMO MUCCA.
Con il senno di poi avrei dovuto farci i manifesti solo perchè il bel vitello aveva puntato me (reciproca la cosa eh). 
Ripensandoci forse non c’era bisogno, l’intero paese ci ha visto amoreggiare. (Regola dei festeggiamenti: Vai a festeggiare dove non ti conoscono, così da evitare terzi gradi da tuoi famigliari. Mio padre è peggio del KGB. Prometto che prossimamente farò un decalogo delle regole).
Ora arrivo al punto di tutta la questione... Il grave errore che si fa tra avance e molestia. 
Il giorno dopo scendendo al bar per fare la solita colazione post party ho incontrato delle ragazze che erano con me in capannone.
Così mi sono fermata a chiacchierare con loro, e qui ho capito sulla mia pelle il grave errore che fa il genere femminile quando parla di molestie. Se colui/colei che le fa è carin*, allora sono avances, se invece non lo è allora son molestie
La sera prima oltre la bella vacca da monta ho ricevuto anche le avances da un mio carissimo amico, che da sbronzo ha la cattiva abitudine di chiedere baci alle ragazze. A qualsiasi ragazza per essere chiari.
Ovviamente questo mio amico mi ha chiesto un bacio, io gli ho detto gentilmente di no ed essendo l’ultima spiaggia per i baci è andato a sedersi su un muretto in compagnia della sua unica amante: la birra.
Tra la vacca e questo mio amico ammetto che in termine di bellezza vince la mucca, ma in entrambi i casi il loro provarci l’ho classificato come avances. Cosa che invece le mie conoscenti non hanno fatto, dicendo che il nostro amico ( perchè lo conosco da 12 anni minimo pure loro) fosse un molestatore.
Da ragazza che ha subito molestie posso dire che lui non è assolutamente uno di quelli, perchè uno che ti molesta non ti chiede un bacio. Se lo prende. Un molestatore se ti chiede un bacio, se gli dici no, insiste. Il nostro amico saluta e mena le tolle.
Un molestatore è uno che ti mette ripetutamente le mani sul culo, e quando gli fai notare l’errore (perchè mettermi le mani sul culo senza chiedermelo, è un GROSSO errore) fa finta di niente e continua a tenerle nel posto sbagliato.
Fortunatamente, il mio caro papà KGB mi ha insegnato a difendermi da persone del genere, e quando qualcuno tocca la mia opera d’arte (il mio corpo è un’opera d’arte), beh si becca uno statuario tatuaggio di cinque dita in faccia.
Bisogna imparare la lezione della mamma quando ti diceva “guardare, ma non toccare”
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cutulisci · 4 years ago
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I vulcani esercitano un’irresistibile attrazione su noi umani, soprattutto se sono in piena eruzione e zampillano lava e lingue di fuoco. Una potenza ctonia, primigenia, che ci riporta al nostro stato selvaggio quando la terra, gli animali e gli eventi naturali erano dèi che dominavano il mondo. Un vulcano inattivo lo immaginiamo come se fosse un drago addormentato. Se un vulcano si risveglia, ecco che pensiamo a una punizione divina o a una vendetta della natura. Balliamo come baccanti sulla bocca del vulcano, ci innamoriamo alla sua ombra, andiamo alla ricerca delle tracce di Empedocle che la leggenda vuole si sia suicidato nel cratere. La “Montagna” o “Idda” come la chiamano i catanesi, esercita un fascino irresistibile anche sui non indigeni. Sulle falde dell’Etna si può sciare mentre si guarda il mare, i paesini della cinta etnea offrono paesaggi mozzafiato, boschi profumati, cibi deliziosi. Ho visto l’Etna per la prima volta alla fine degli anni Novanta del secolo scorso. Ero ubriaca d’amore e meraviglia, e la Sicilia mi aveva accolta come se il mio fosse stato un ritorno. Gli eucalipti e le zagare in fiore inondavano l’aria di un profumo che dava alla testa. Tutto era esondante, sopra le righe, gli alberi, il cibo, le persone, la musica jazz suonata in piccoli locali catanesi. Le notti infinite di primavera erano inframmezzate da soste nei chioschi a bere limonata, i forni aperti, gli arancini bollenti, i cannoli appena riempiti, la colazione all’alba con una brioche calda e una granita alla mandorla macchiata di granita al caffè. I profumi e i sapori sono tra i ricordi più intensi di quella prima visita. Ricordo la gentilezza dei catanesi, una vecchia signora che abitava in uno dei paesini etnei che dormiva con una valigetta sotto il letto: la collana di perle di sua madre, un po’ di denaro, le fotografie di famiglia e un ricambio di biancheria. Se la Montagna si fosse infiammata era pronta alla fuga con l’auto sempre in posizione sul viale della sua villa circondata da una pineta e da un bosco di eucalipti. Dopo il primo impatto da Catania, potei ammirare l’Etna dal Teatro Greco di Taormina, uno dei paesaggi più belli del mondo. La Montagna era lassù e sembrava chiamasse. Trascorse ancora un po’ di tempo e finalmente decidemmo di salire verso la cima. Si poteva arrivare in macchina sino a un certo punto, poi in funivia e ancora qualche tratto a piedi. Non erano passati molti mesi dall’ultima eruzione, la nuova colata di lava non si era ancora del tutto raffreddata. Io non avevo voluto mettere gli scarponi protettivi e così avevo condannato le mie Reebok nere, comprate a New York, a un triste destino: le suole di gomma si sciolsero e quando tornai giù sembrava che avessi le zampe di Paperino anziché i miei piedi. La guida che ci aveva accompagnati era sopravvissuta all’eruzione che falcidiò numerosi turisti alla fine degli anni Settanta. Si premurò di raccontarci i dettagli più orribili di quella giornata, ma mai, mai per un istante, nessuno dei presenti pensò che potesse capitare anche a noi. Quando arrivammo nel punto più alto, l’aria era rarefatta, il calore saliva dalla lava con un’energia che impregnava tutto e tutti. La costa calabrese era visibile e così vicina che sembrava di poter allungare una mano per raggiungerla. Scilla e Cariddi emersero dalle acque e i Ciclopi uscirono dai loro antri, mentre Polifemo urlava il proprio dolore contro quel Nessuno che lo aveva beffato. Forse tutti quelli che vivono sulle pendici di un vulcano sono convinti che niente di male potrà accadere loro, devoti a una divinità benevola che regna dalla terra al cielo. Ho sempre associato l’attività vulcanica alla creatività poetica e letteraria, perché come la lava, la parola sgorga da profondità sconosciute, rossa, veloce, incandescente, si poserà da qualche parte, si raffredderà e sedimenterà. Ho un minuscolo frammento della Montagna sulla mia scrivania, un frammento raccolto in quel giorno lontano e che, quando lo tocco, ho sempre l’impressione di sentire le grida dei mostri e il canto del vulcano. Un canto che è possibile sentire di notte, quando il cielo è sereno e le stelle brillano per salvare Empedocle dalla sua morte e Polifemo dalla cecità.
Cronache dagli anni senza Carnevale/350: una stagione breve all’ombra del vulcano
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latinabiz · 5 years ago
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I complimenti della provincia alla città di Fondi
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Conferenza Il presidente della Provincia Carlo Medici e il vice presidente Vincenzo Carnevale nelle ultime settimane hanno seguito da vicino e in costante contatto l’evolversi della situazione sin da quando il Coronavirus è esploso tanto da richiedere l’adozione di misure estreme ed hanno fatto i complimenti all'amministrazione fondana: "La fine delle restrizioni imposte a Fondi, dichiarata zona rossaa causa dell’eccessivo numero di contagiati da Covid-19 e finita all’attenzione delle cronache nazionali, rappresenta una buona notizia e un momento importante non soltanto per la città del sud pontino ma per l’intera provincia di Latina. E’ stato un periodo difficile sia per i cittadini che per gli operatori commerciali ma nonostante le cautele doverose imposte dalla legge anche il Mof ha continuato ad operare fornendo un servizio essenziale non soltanto al nostro territorio ma a tutta l’Italia in una fase critica. Oltre a sottolineare l’ottimo esempio che Fondi ha offerto nella gestione di questa dolorosa emergenza grazie al comportamento dei residenti e dell’amministrazione comunale è intenzione della Provincia, non appena questo sarà possibile e quando la vita quotidiana del territorio tornerà alla normalità, scegliere proprio Fondi come sede della prima importante cerimonia pubblica ufficiale di questo ente. Un atto doveroso nei confronti di una città che con determinazione e forza d’animo è riuscita a superare una delle fasi più dure della sua storia dal dopoguerra a oggi”. Read the full article
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sciscianonotizie · 6 years ago
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