#costumi popolari
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alessandro55 · 24 days ago
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Costumi di Sardegna
Chiara Samugheo
Prefazione di Enrica Delitala
L'Unione sarda, 1981, 211 pagine, 32x24cm
euro 35,00
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Questo volume contiene una breve descrizione di 40 località della Sardegna con i costumi originali , La documentazione fotografica che costituisce la parte più ampia del volume, rappresenta una ricostruzione dei modi di vestire tradizionali e popolari della Sardegna di un tempo.
Sommario: presentazione; L'Unione Sarda - Prefazione; di Enrica Delitala - Tempio Pausania - Nulvi - Osilo - Sennori - Ploaghe - Siligo - Bonnanaro - Ittiri - Villanova Monteleone - Cossoine - Mores - Ozieri - Benetutti - Bono - Siniscola - Bitti - Nuoro - Dorgali - Oliena - Orgosolo - Sarule - Ollolai - Gavoi - Tonara - Desulo - Aritzo - Atzara - Villagrande Strisaili - Samugheo - Busachii - Paulilatino - Oristano - Cabras - Iglesias - Teulada - Quartu Sant'Elena - Settimo San Pietro - sinnai - Maracalagonis - Sant'Antioco 
17/03/25
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ad-ovest-della-luna · 1 year ago
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Tu sei nelle cose che incontro, tu mi sei nell'agosto, nelle braci, nei pesci, anche se non ci sei, tu sei la nuotata che faccio io al largo, la corrente che scontro col piede, l'orizzonte che appena si vede, la riga, la barca, il traguardo, traiettoria, àncora e vela; tu sei la racchetta che batte e scandisce l'odore di cocco, di creme da donna. La Romagna, i castelli, i bagnini, nei palazzi popolari, coi costumi stesi fuori, tu sei; sei nell'estate, che guido da sola, al casello, là al bivio; nella sabbia che scrollo dal mio telo giallo, nei "papà guardami", nei tuffi sciocchi, nel bruciore ai ginocchi; sei nell'acqua profonda; ogni cosa tu riempi e tu manchi, mi manchi e ti aspetto, quando tu non ci sei, anche se tu già sei nella fretta che ho di tornare; sei la mia smania di insegnarti a nuotare.
Beatrice Zerbini, da "In comode rate".
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marcoleopa · 2 months ago
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Vulgares antiquitates
Nell'immaginario collettivo, ricco di narrazioni idealizzate, complice la medesima umanità siciliana, vittima – per usare la terminologia di Michel Foucault di un “dispositivo” sociale stra-abusato, la fa da padrone l'imagologia, ossia le opinioni che popoli o nazioni, si sono creati gli uni degli altri nel corso della storia, proprio attraverso l'utilizzo distorto delle immagini, dei luoghi comuni, degli stereotipi e dei pregiudizi.
Coppola, baffi e lupara a tracollo, sono, nella stragrande maggioranza dei casi, la facies, entro cui si viene rappresentati, con grande complicità del folklore d'accatto, che vi lucra (in tutti i sensi).
Nei quaderni dal carcere di Gramsci - «Osservazioni sul folclore» (1929-1935), e, nella edizione critica dei medesimi quaderni (editi nel 1976) di A.M. Cirese,  il segretario del PCI così affermava : e il popolo stesso non è una collettività omogenea di cultura, ma presenta delle stratificazioni culturali numerose, variamente combinate, che nella loro purezza non sempre possono essere identificate in determinate collettività popolari storiche: certo però il grado maggiore o minore di «isolamento» storico di queste collettività dà la possibilità di una certa identificazione.
Le  "vulgares antiquitates, trasformate nel 1846 da W.J. Thoms in Folk-lore nascono per una esigenza delle classi colte, la cultura alta, per conoscere e studiare lo scandalo dell’arretratezza e, interpretare il “selvaggio”, l’ “autentico”, al fine di scoprirne l’origine, la diffusione e spiegarne, ove presenti, la distribuzione geografica delle varianti.
Si vuole comprendere quella che, sempre Gramsci, definiva "concezione del mondo e della vita... in contrapposizione... con le concezioni del mondo «ufficiali»…che si sono succedute nello sviluppo storico”, partendo dall'idea di base che la contrapposizione è la naturale risposta alla concezione ufficiale, vivendo (nel caso dei contadini europei) in un altro tempo tendente all'allontanamento.
Esiste persino una differenziazione tra cultura/folklore del mondo contadino, (materiale, strumenti, attività, mezzi di produzione, canti, medicina, riti magici e stregoneria) e il folklore (più corretto sub cultura) del sottoproletariato urbano, meravigliosamente rappresentato nel Belluscone di Maresco. 
E' proprio questo universo mondo che, ben distante dalle interpretazioni di Gramsci e dalla linea politica del segretario, compone la stratificazione della subcultura imperante nella città in cui vivo (panormus me genuit), ma, che si può riconoscere nelle grandi città del sud Italia, dove nemmeno Cristo si è fermato e il sottosviluppo impera, mentre l'istinto di sopravvivenza è insieme, necessità e virtù.
Usi, modi, costumi, linguaggio, sono inaccessibili. Persino surreali. 
L'ascensore sociale e' bloccato, il destino segnato da altri, dove per altri si intendono tutti coloro che sono interpretati come ostacolo. Quindi, come in campionario del KKK, gli stranieri in primis, eccezion fatta solo per nuclei familiari multietnici (rarissimi), i froci (puppo in catanese, arruso in palermitano [dall'arabo arusa], la scuola e i docenti, etc. Ovviamente, l'universo femminile, ove non sia per unione o vedovanza, ai vertici del sommerso della malavita, è inesistente e subalterno all'universo machista. La non omologazione a costumi e comportamenti, è la premessa dell'esclusione da quel mondo. 
Non vì è, però e ahinoi, alcuna presa di coscienza, nessuna rivendicazione, nessun movimento "rivoluzionario" come nelle periferie parigine. Solo la muta rassegnazione del gattopardesco immobilismo siculo e, di contro, l'esaltazione di dispositivi stra-abusati come unico collante identitario.
Ecco, lo affermo spassionatamente, questo folklore d'accatto, ben noto alla classe politica che si ricorda dell'esistenza in prossimità delle scadenze elettorali, mi è indigesto. E' il folklore dell'assistenzialismo, del sottosviluppo, della negazione dei diritti e delle conquiste sociali, del disconoscimento della dignità umana.
Mi ha veramente rotto i coglioni
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lemandro-vive-qui · 2 years ago
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Il Barong rimane ancora oggi tra le più popolari forme di spettacolo a Bali: questo dramma rituale rappresenta tradizionalmente la lotta tra la figura bestiale benigna del Barong contro Rangda, una strega dall’aspetto terrifico, temuta per i suoi poteri di distruzione. Il Barong è una delle forme di teatro/danza balinese più rinomate e apprezzate e la sua importanza si è costituita nel tempo grazie alla sua valenza esoterica e per l’efficacia scenografica. Sebbene la danza del Barong sia descritta come uno scontro tra le forze del bene e del male, identificate rispettivamente nei due personaggi principali, Barong e Rangda, sarebbe superficiale descrivere questa rappresentazione identificando le due figure come un eroe e una antagonista. L’intera vicenda è la celebrazione attraverso la danza, la musica e il teatro dell’intero universo mitologico e religioso di Bali.
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Il teatro/danza balinese non rappresenta solo un puro intrattenimento, è un mezzo per mantenere viva la narrazione del patrimonio mitologico del passato, un momento di aggregazione sociale e di condivisione che avvicina le generazioni e i diversi strati sociali all’interno della comunità. L’attore/danzatore esprime la volontà degli dei e controlla la potenza dei demoni, indirizza attraverso l’estrema consapevolezza data dal training la volontà di una narrazione, che si attua nella gestualità codificata. Le maschere di Rangda e Barong sono il simbolo della trasformazione totale dell’individualità, che si fa tramite delle forze animalesche, naturali e persino divine. Il soprannaturale si manifesta sempre nel mondo della natura, permea ogni aspetto della vita quotidiana, e nella celebrazione diviene visibile: le componenti materiali della performance, gli strumenti musicali, i costumi, le maschere e le armi vengono consacrati dal sacerdote hindu, il pemangku, come simbolo e manifestazione del potere divino.
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Rangda incarna nella sua funzione mitologica la potenza distruttiva delle forze demoniache, è collegata alla dimensione ctonia, e tutti i suoi attributi aggressivi e terrifici richiamano le sue grandi capacità magiche e la sua volontà divoratrice, che può essere canalizzata e controllata attraverso lo scontro rituale. Il suo legame con Durga, la dea hindu, è una chiave di lettura fondamentale per comprendere quanto l’aspetto del divino sia inevitabilmente soggetto ad esercitare in maniera ciclica il proprio influsso distruttivo sul mondo, oscillando alternativamente tra creazione e caos.
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Le maschere e i costumi del Barong possono essere molteplici nella scelta della forma animale. Può somigliare al leone (barong ket), ad una tigre (barong macan), ad un cinghiale, ad un cervo o assumere una forma antropomorfa. Il termine barong sembra derivare dalla terminologia barwang, di provenienza sanscrita che letteralmente significa «orso», secondo l’origine in un antico poema giavanese. La sacralità della maschera del Barong non deriva dalla scena, è venerata come portatrice di una spiritualità propria. Il Barong è la forza divina che può contrastare con il suo potere la terrificante presenza di Rangda dagli occhi fiammeggianti, divoratrice di uomini e sacerdotessa di magia nera.
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Secondo la visione balinese, non è possibile eliminare definitivamente il male dall’esistenza, confinandolo nella sua originaria sede lontano dagli uomini: le forze demoniache, portatrici di calamità, malattie e distruzione necessitano di essere debitamente considerate, riconoscendo la loro esistenza e potenza, in casi più estremi controllando attivamente il loro influsso. È fondamentale provvedere costantemente ad un bilanciamento tra le forze divine e quelle demoniache: esse esistono entrambe all’interno della dimensione umana ed esercitano il proprio potere sull’interiorità di ciascun individuo. Anche gli dei stessi, secondo la mitologia del retaggio induista, sono costantemente in bilico tra impulsi creativi e distruttivi, mostrano un volto benigno e uno terrifico e sono soggetti ad un equilibrio dinamico. Grazie alla danza, al teatro e alla musica è possibile esercitare un influsso per bilanciare il divino e il demoniaco.
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"Le maschere di Barong e Rangda nel teatro balinese"
Articolo scritto da Giulia Sala e pubblicato sulla rivista online di antropologia culturale, etnografia e sociologia La Rivista Culturale, il 21 novembre 2021
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hostariaanticaroma · 2 months ago
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Il Maritozzo
I dolci della cucina romana: regina dei ripieni è la ricotta e i formaggi, come si conviene a una tavola che non ha mai tradito la sua origine pastorale. E molte tracce di tempi andati: come i pasticci dolci di maccheroni o di gnocchi, che ricordano gli splendori del Rinascimento, come le frappè che arrivano dritte dall’età di Apicio o di Orazio, o di secoli più lontani.
Alcuni sostengono sia il dolce più antico di Roma, Secondo la leggenda, il Maritozzo deriverebbe da una specialità degli antichi Romani, i quali farcivano pagnotte con miele e uva passa.
Le pagnottelle erano più grosse di quelle odierne e consistevano in un impasto di farina, uova, miele, burro e sale, che le donne ponevano nelle bisacce dei loro mariti, braccianti, quando per lavoro si allontanavano tutto il giorno.
Nel Medioevo le pagnottelle si iniziarono a consumare soprattutto durante la Quaresima.
Le dimensioni divennero più piccole, il colore era più scuro, l’impasto venne infine arricchito con uvetta, pinoli, e scorrette di arancia candita.
Il dolce, detto “Quaresimale” era uno dei pochi peccati di gola ammessi durante il digiuno del periodo. 
Il maritozzo è un pane dolce dalla forma leggermente allungata, tagliato nel lato lungo, leggermente in diagonale dall’alto verso il basso e riempito di panna montata. Il suo profumo è inconfondibile. Nel Ottocento, diventa un dolce popolare, diffuso principalmente nelle classi sociali più umili.
Questa concessione gli valse l’appellativo di Santo Maritozzo, come scrive anche Giuseppe Gioacchino Belli nel suo sonetto “La Quaresima”
Come io nun zò cristiano! Io fo la spesa, oggni ggiorno der zanto maritozzo. Io nun cenavo mai, e mmó mme strozzo pe mmaggnà ott’oncia come vò la cchiesa
Nel corso del tempo, il maritozzo quaresimale e quello che si mangia durante il resto dell’anno si sono diversificati: il primo con uvetta e olio nell’impasto, il secondo con un impasto a base di burro o strutto e con un ripieno traboccante di panna montata. Quello che si mangia in periodo di digiuno ha a volte un ripieno meno abbondante, altre volte è totalmente privo di panna.
Ai tempi del poeta Belli queste pagnottelle dolci erano leggermente diverse.
I maritozzoli sono certi pani di forma romboidale, composti di farina, olio, zucchero, e talvolta canditure, o anaci, o uve passe. Di questi si fa a Roma gran consumo in quaresima, nel qual tempo di digiuno si veggono pei caffè mangiarne giorno e sera coloro che in pari ore nulla avrebbero mangiato in tutto il resto dell’anno. 
Il maritozzo, c’è da ammetterlo, ha un nome buffo che nasce da un’usanza ottocentesca e dei primi del Novecento. All’epoca, infatti, i fidanzati regalavano alle loro promesse spose uno di questi dolci, nascondendo al loro interno un anello di fidanzamento o un oggetto prezioso che rappresentava il vero regalo. C’era anche una data precisa per questo dono: il primo venerdì di marzo, che rappresentava un giorno simbolico per gli innamorati, un po’ come avviene oggi con il 14 febbraio dedicato a San Valentino.
 È Giggi Zanazzo, (Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma, 1907) poeta romano e studioso di tradizioni popolari a raccontarci che, per l’occasione i maritozzi erano anche decorati con cuori intrecciati o trafitti da una freccia.
Un mucchio d’anni fa, dda noi, s’accostumava, in tempo de Quaresima, er primo vennardì de marzo, de portà’ a rigalà’ er maritozzo a l’innammorata.
‘Sto maritozzo però era trenta o quaranta vorte ppiù ggranne de quelli che sse magneno adesso; e dde sopre era tutto guarnito de zucchero a ricami. In der mezzo, presempio, c’ereno du’ cori intrecciati, o ddu’ mane che sse strigneveno; oppuramente un core trapassato da una frezza, eccetra, eccetra; come quelle che stanno sulle lettere che sse scriveno l’innamorati. Drentro ar maritozzo, quarche vvorta, ce se metteveno insinenta un anello, o quarch’antro oggetto d’oro. Tra ll’antre che ricordeno ‘sto costume, che oramai nun s’ausa ppiù dda gnisun innamorato, ciavemo diversi ritornelli: Uno, presempio, dice: “ Oggi ch’è ‘r primo Vennardì dde Marzo, Se va a Ssan Pietro a pija er maritozzo; Chè ccè lo pagherà er nostro regazzo” E dde ‘sti maritozzi: “ Er primo è ppe’ i presciolosi; Er siconno pe’ li sposi: Er terzo pe’ l’innamorati: Er quarto pe’ li disperati”. “Stà zzitto, core; Stà zzitto; che tte voglio arigalane ‘Na ciammellettta e un maritozzo a ccore”
Ma questo dono romantico e il suo nome hanno anche una connotazione più bassa, meno aulica e decisamente più concretamente simbolica se consideriamo la forma fallica o l’apertura colma di panna.
 Connotazione che diventa più evidente leggendo il sonetto di Belli
 Er padre de li santi in cui elenca tutti i nomi che può assumere in dialetto romanesco l’organo sessuale maschile. Tra questi c’è proprio “maritozzo”.
O in alternativa…come scrive il Professor Bonsai
 Il maritozzo viene esposto in modo esageratamente "aperto", quasi ad evocare “altro” totalmente accessibile, allo scopo di far leva sul basso istinto del futuro sposo di passarci la lingua in mezzo, per godere della sua dolcezza. 
(Damiano Bonsai Potta, Dinamiche psicotiche dei golosi, Padova 1969,
Ed. Lo Cicero.)
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pier-carlo-universe · 5 months ago
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Halloween. "Trick or Treat"."All Hallows' Eve,": Storia, significato e tradizioni di "Dolcetto o Scherzetto"
Scopri le origini di Halloween, la storia del "Dolcetto o Scherzetto" e le tradizioni che rendono questa festa speciale
Scopri le origini di Halloween, la storia del “Dolcetto o Scherzetto” e le tradizioni che rendono questa festa speciale. Halloween è una delle festività più popolari e celebrate al mondo, soprattutto nei paesi anglosassoni, e negli ultimi anni ha preso piede anche in Italia e in altri paesi europei. La notte del 31 ottobre è ormai sinonimo di costumi spaventosi, zucche intagliate e l’immancabile…
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giancarlonicoli · 2 years ago
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8 ott 2023 08:20
È MORTO A 95 ANNI LUCA GOLDONI, GIORNALISTA, SCRITTORE, GRANDE OSSERVATORE DI VIZI E VIRTÙ DELL’ITALIA – INIZIÒ ALLA GAZZETTA DI PARMA, PASSÒ AL RESTO DEL CARLINO, QUINDI AL CORRIERE DELLA SERA. È STATO CRONISTA DI NERA E CORRISPONDENTE DI GUERRA. SEGUÌ DA INVIATO LA PRIMAVERA DI PRAGA E IL SETTEMBRE NERO IN GIORDANIA – HA SCRITTO OLTRE 50 LIBRI, DAL SAGGIO STORICO AL ROMANZO, VENDENDO PIU’ DI TRE MILIONI DI COPIE – DELL’UMORISMO DICEVA: “È UN’EQUAZIONE DI TERZO GRADO CHE RIESCE O NON RIESCE. SE SBAGLI UNA VIRGOLA O L’ORDINE DELLE PAROLE, NON RIESCE PIÙ” -
Estratto dell’articolo di Antonio Carioti per il “Corriere della Sera”
L’occhio allenato del cronista esperto di umanità, il sottile senso dell’umorismo, la penna lieve e benevola anche nell’irrisione. Sono le tre qualità principali che avevano fatto dell’emiliano Luca Goldoni, scomparso ieri pomeriggio a 95 anni all’hospice di Casalecchio di Reno (Bologna), dove era stato ricoverato negli ultimi giorni per un peggioramento delle condizioni di salute, non solo un giornalista coi fiocchi, ma anche e soprattutto uno scrittore di strepitoso successo, con oltre tre milioni di copie dei suoi libri complessivamente vendute, specializzato nell’ironizzare sui costumi (e il malcostume) degli italiani.
[…] Qualche esempio sparso tra quelli, assai numerosi, editi da Mondadori: Esclusi i presenti (1973), Non ho parole (1978), Se torno a nascere (1981). Ma la stessa vena un po’ beffarda veniva messa in mostra da Goldoni nel raccontare i personaggi del passato nelle sue biografie, confezionate in uno stile che ricordava per certi versi i libri di storia di Indro Montanelli, ma con un’indulgenza e una bonomia maggiori rispetto al più severo collega toscano.
Nato a Parma il 23 febbraio 1928, Goldoni aveva cominciato a lavorare da giovane come cronista di nera. Prima per il quotidiano della sua città d’origine, la «Gazzetta di Parma», e poi per «Il Resto del Carlino» di Bologna, testata della quale era poi divenuto un inviato di punta sui grandi avvenimenti internazionali: memorabile resta l’aneddoto della corrispondenza da Praga, subito dopo l’invasione sovietica dell’agosto 1968, che Goldoni dettò in dialetto parmigiano per sfuggire alle interferenze di un centralinista poliglotta e ficcanaso.
Poi era arrivata l’assunzione al «Corriere della Sera», che per poco non era saltata a causa di un’impuntatura di Goldoni, deciso a non spostarsi da Bologna, dove ormai aveva messo le radici. In compenso il quotidiano di via Solferino gli aveva fatto girare il mondo, con servizi da grandi metropoli e da luoghi sperduti, spesso in occasione di guerre, colpi di Stato, insurrezioni popolari.
Goldoni ci rideva sopra, evidenziando il paradosso: quando sei un giornalista giovane, ansioso di partire per le destinazioni più esotiche e pericolose, ti mandano a cercare notizie in questura, mentre in età più matura, quando hai messo su famiglia e avresti voglia di infilarti metaforicamente le pantofole, ti ritrovi a prendere di continuo l’aereo per raggiungere in fretta terre lontane.
In parallelo con il mestiere di inviato Goldoni aveva coltivato il suo talento per l’osservazione del nostro carattere nazionale e dei suoi tic. Dopo i primi volumi pubblicati dall’editore Cappelli di Bologna, come Italia veniale (1969) e Il pesce a mezz’acqua (1970) erano venuti i bestseller con Mondadori, a partire da È gradito l’abito scuro (1972).
Erano libri frutto di un’ispirazione naturale, coniugata tuttavia con un’applicazione assidua. «Ironia e umorismo — diceva Goldoni — non bussano alla porta, arrivano. Dell’umorismo di solito dico che è un’equazione di terzo grado che riesce o non riesce. Se sbagli una virgola o l’ordine delle parole, non riesce più». E lui raramente sbagliava.
A un certo punto aveva deciso di passare dalla cronaca alla storia, mantenendo immutato il suo approccio. Insieme a Enzo Sermasi aveva raccontato il regime fascista attraverso le sue reminiscenze d’infanzia e adolescenza nel volume F iero l’occhio, svelto il passo (Mondadori, 1979), dotato di un ricco apparato fotografico. Estraneo a ogni inclinazione nostalgica nei riguardi del ventennio nero, Goldoni aveva però inteso rievocare, in una sorta di amarcord felliniano, l’atmosfera nella quale era cresciuto insieme a milioni di altri italiani.
Ancora in campo storico, si era poi dedicato a un personaggio centrale nelle vicende della sua Parma, la duchessa che era stata moglie di Napoleone, nel libro Maria Luigia donna in carriera (Rizzoli, 1991), cercando di uscire dagli stereotipi consueti e con un tocco attualizzante. Con benevola indulgenza si era quindi rivolto a un’altra donna ancora più controversa e considerata il simbolo della dissolutezza antica, la moglie dell’imperatore romano Claudio, nella biografia Messalina. Una spudorata innocenza (Rizzoli, 1992).
[…] In quella direzione tra il sarcastico e lo sconsolato andava per esempio il libro del 2013 Tranelli d’Italia (Barbera editore), testimonianza concreta di uno spirito rimasto vivace anche in tarda età, come dimostravano del resto anche gli articoli che continuava a scrivere per il «Corriere» e altre testate.
Si rimane colpiti, scorrendo i suoi testi del passato anche piuttosto remoto, dalla perseveranza italica in fatto di cattive abitudini, tanto che certe annotazioni corrosive di Goldoni, un po’ da grillo parlante, sembrano ancora umide d’inchiostro. Ecco per esempio come si conclude un capitolo di Cioè, forse il suo maggiore successo, uscito da Mondadori nel 1977: «Il vero problema italiano è che stiamo andando tutti, ciascuno col suo buonsenso, verso una società senza senso». Serve aggiungere altro?
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kneedeepincynade · 2 years ago
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The nations of Asia must spend united or the west will scatter them in the wind
The post is machine translated
Translation is at the bottom
The collective is on telegram
😘 人类命运共同体 | COSTRUIRE UN FUTURO CONDIVISO TRA CINA E PAESI DELL'ASEAN 🤗 | L'AMICIZIA SINO-INDONESIANA 😍
🇨🇳 Il 05/09, il Compagno Li Qiang - Primo Ministro della Repubblica Popolare Cinese - è arrivato a Giacarta, in Indonesia, per partecipare al 26° Vertice Cina - ASEAN, al 26° Vertice ASEAN - Plus Three e al 18° Vertice dell'Asia Orientale 😍
⭐️ Come ha ricordato il Presidente Xi Jinping durante la Visita di Joko Widodo, Presidente della Repubblica d'Indonesia, a luglio: «Cina e Indonesia sono Compagni di Viaggio in una Nuova Era, che condividono interessi comuni» 💕
❤️ Il Popolo Cinese ha apprezzato il meraviglioso benvenuto dell'Indonesia all'arrivo del Compagno Li Qiang. Guardie d'Onore che hanno marciato lungo il tappeto rosso, danzatrici in costumi tradizionali che hanno eseguito danze popolari, e la cospicua delegazione di figure che hanno accolto il Primo Ministro all'Aeroporto 😍
🥰 Si tratta della prima visita del Compagno Li Qiang in Indonesia, che ha sottolineato che la Cina è pronta ad avere uno Dialogo approfondito con tutti i Paesi dell'ASEAN, per rafforzare la Solidarietà, il Coordinamento negli Affari Regionali e Internazionali, e costruire congiuntamente opportunità di sviluppo secondo il Principio della Cooperazione a Mutuo Vantaggio (合作共赢) 🤝
💕 Finché le Relazioni tra la Cina e i Paesi dell'ASEAN manterranno il giusto percorso, scevro da interferenze esterne, la Cooperazione a Mutuo Vantaggio continuerà a rinsaldarsi, procedendo spedita, ha dichiarato il Compagno Li Qiang 🇨🇳
💕 Le Relazioni tra Cina e Indonesia sono un Modello per le Relazioni tra Cina e ASEAN, in quando fondate sul Rispetto Reciproco, sulla Cooperazione a Mutuo Vantaggio e su una reale inclusività fondata sul Principio "Come l'Oceano abbraccia i fiumi, noi abbracciamo i nostri vicini Asiatici" 😍
🌸 Iscriviti 👉 @collettivoshaoshan 😘
😘 人类命运共同体 | BUILDING A SHARED FUTURE BETWEEN CHINA AND ASEAN COUNTRIES 🤗 | SINO-INDONESIAN FRIENDSHIP 😍
🇨🇳 On 05/09, Comrade Li Qiang - Prime Minister of the People's Republic of China - arrived in Jakarta, Indonesia to participate in the 26th China - ASEAN Summit, the 26th ASEAN - Plus Three Summit and the 18th Summit of East Asia 😍
⭐️ As President Xi Jinping recalled during the visit of Joko Widodo, President of the Republic of Indonesia, in July: «China and Indonesia are Traveling Companions in a New Era, sharing common interests» 💕
❤️ The Chinese People appreciated Indonesia's wonderful welcome upon the arrival of Comrade Li Qiang. Guards of Honor who marched along the red carpet, dancers in traditional costumes who performed folk dances, and the large delegation of figures who welcomed the Prime Minister at the Airport 😍
🥰 This is Comrade Li Qiang's first visit to Indonesia, who stressed that China is ready to have in-depth dialogue with all ASEAN countries, to strengthen solidarity, coordination in regional and international affairs, and jointly build development opportunities according to the Principle of Cooperation for Mutual Benefit (合作共赢) 🤝
💕 As long as the relations between China and the ASEAN countries remain on the right path, free from external interference, mutual benefit cooperation will continue to strengthen, proceeding quickly, said Comrade Li Qiang 🇨🇳
💕 The Relations between China and Indonesia are a Model for the Relations between China and ASEAN, as they are founded on Mutual Respect, Cooperation for Mutual Benefit and real inclusiveness based on the Principle "As the Ocean embraces the rivers, we embrace the our Asian neighbors" 😍
🌸 Subscribe 👉 @collectivoshaoshan 😘
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enkeynetwork · 2 years ago
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alessandro55 · 9 months ago
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Ungarische Volks-Trachten
Alice Gaborian
Corvina, Budapest 1989, 32 pages,16x18,5cm, ISBN 9631326977
euro 25,00
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Die schönen Formen und Farben der ungarischen Volkstrachten zusammengefasst.
La bellezza delle forme e dei colori dei costumi popolari ungheresi
04/07/24
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fashionbooksmilano · 3 years ago
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Costumi popolari di Terra d’Otranto nella cartapesta di Antonia Sabato
Aldo Alibrando, foto di Michele Onorato
Congedo Editore, Galatina 1996, 96 pagine, brossura, ill. col., tavv. col., cm 17x24, ISBN  9788867661459
euro 18,00
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Per sapere cos'è una "gouache" dovremmo interrogare un dizionario specifico o un esperto di pittura. Il dizionario (francese) ci direbbe che si tratta di una tempera, un guazzo. L'esperto risponderebbe con termini tecnici che non soddisferebbero la curiosità della domanda. Il racconto di questo lavoro nasce da questa parola-chiave, evocata da un grosso volume del 1975, edizione Congedo, che raffigura i vestiti popolari di Terra d'Otranto tra Settecento e Ottocento del passato millennio. È il volume che mia moglie ha sempre tenuto a vista per la casa, estasiandosi di fronte ai vestiti della nostra terra, monocromi, color bruno terra. Di tanto in tanto, rimuginava il proposito di riprodurre quei vestiti in cartapesta. Conoscendo la sua tenacia e le sue doti, ero certo che, prima o poi, il progetto sarebbe stato realtà.
18/12/21
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fondazioneterradotranto · 4 years ago
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Nardò. Nasce il Piccolo Museo del costume popolare del Salento
Il 21 giugno 2021 si inaugura a Nardò il Piccolo Museo del costume popolare del Salento, allestito nel primo piano del castello neritino, curato dall’associazione culturale “BellissimaMente”, presieduta da Lietta Andriani.
Ancora uno spazio culturale si aggiunge a quelli già esistenti, che stanno trasformando il cinquecentesco castello della Città in un valido contenitore culturale, necessario per i residenti e per i turisti, ma principalmente per le scuole cittadine.
Questa nuova vetrina ospiterà la raccolta di abiti del Settecento riprodotti negli anni Settanta del secolo scorso da Corido, il compianto docente neretino scomparso ad aprile scorso, e messi a disposizione dal figlio  Arturo Cioni.
Le riproduzioni si attengono alle raffigurazioni dei costumi popolari dipinte da  Antonio Berotti e Stefano Santucci, incaricati per questa importante raccolta dal Re Ferdinando di Borbone e dalla Corte del Regno di Napoli, ben consapevoli della varietà e particolarità.
Cioni realizzò il suo progetto che mirava a riprodurne le fattezze con la preziosa consulenza  del magistrato Michele Paone, squisito collezionista e profondo conoscitore della realtà salentina nei secoli, oltre che autore del  volume di grande formato Il Costume Popolare Salentino, edito da Mario Congedo di Galatina in più edizioni.
Dal comunicato stampa dell’Amministrazione Comunale la finalità di questa nuova realtà, che aderisce ai Piccoli Musei Italiani: “Restituire alla memoria collettiva questo patrimonio significa far riaffiorare il sentimento d’appartenenza e superare stereotipi sulle abitudini di vita dei nostri antenati, troppo spesso rappresentati unicamente come gente “alle pezze”. Innumerevoli testimonianze dimostrano come invece il nostro fu un popolo “colorato”, allegro, accogliente, operoso, “musicale”, prezioso, proprio come i costumi che lo rappresentano”.
A proposito di costumi popolari salentini ne ha anche scritto il Prof. Armando Polito, del quale riproponiamo quanto ha scovato e che ben introduce all’esposizione che sta per inaugurarsi, riproponendo le cinque stampe del costume tipico di altrettanti centri di Terra d’Otranto, tratte dalla Raccolta di sessanta più belle vestiture che costumano nelle città, terre e paesi in provincie diverse del Regno di Napoli, parte II, numero XXX, presso Talani e Gervasi negozianti di stampe, Strada del Gigante III Palazzo n. 7, Napoli, 1792.
Costume di Gagliano
  Costume di Martano
  Costume di Gallipoli
  Costume di Senise
  Costume di Montesardo
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corallorosso · 4 years ago
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IL COMMENTO
Trattato come un delinquente. Prima del processo aveva subito un provvedimento di allontanamento da Riace. Non poteva rientrare nel suo paese nemmeno per fare visita al padre vecchio e malato. Considerato peggio di un mafioso. Si dà il caso, però, che Mimmo Lucano non sia un mafioso, ma un cittadino onesto, buono e generoso. Una testa dura, come tante in Calabria. Ci troviamo di fronte ad una contraddizione clamorosa tra legge e giustizia. Non sempre la legge va d’accordo con la giustizia. Spesso per fare o avere giustizia si deve cambiare una legge. È stato fatto tante volte. Ma è un processo lungo e laborioso. Richiede a volte battaglie, movimenti, petizioni popolari, referendum, prima che il parlamento si decida a cambiare una legge ingiusta o a promuovere dei diritti. È stato così per lo Statuto dei lavoratori. È così per lo ius soli. È stato così per il delitto d’onore, per l’aborto, per il divorzio, e tanti altri esempi si potrebbero fare. Il diritto, che sta alla base della legge, si evolve, segue la storia, si aggiorna in base ai mutamenti storici e politici. Al tempo dei greci e dei romani, la schiavitù non era illegale. Nel medioevo i privilegi feudali e la servitù della gleba erano legali. Il diritto non è neutro. Il più delle volte si limita a codificare norme, convenzioni, costumi, già in uso. Trasforma in legge lo status quo. In genere prende atto dei rapporti di potere. Con la rivoluzione francese la borghesia nascente rovescia il vecchio mondo feudale, plasmato a misura dell’aristocrazia, stretto da vincoli, privilegi e regole che impedivano l’accumulazione del capitale, il libero mercato e lo sviluppo industriale. Per andare a tempi più recenti, durante i governi a guida Berlusconi abbiamo visto anche leggi ad personam, reati declassati o spariti dal codice da un giorno all’altro. Il diritto, dunque, è stato sempre modellato sulla base degli interessi della/e classe/i al potere. È la storia. Fuori della storia e del buon senso sono i giudici di Locri. Per fare funzionare il modello Riace, un modello di accoglienza e di inclusione studiato in tutto il mondo, Mimmo Lucano ha dovuto infrangere leggi vecchie e inadeguate. Come quella, ad esempio, che non dà diritto ai bimbi che nascono e studiano in Italia di avere la cittadinanza. O come quella che nega la casa popolare, il diritto ad un alloggio agli immigrati regolari che sono residenti in Italia da meno di 10 anni. Mimmo Lucano si è inventato il lavoro, ha messo in movimento un’economia asfittica. E per fare questo ha dovuto inventarsi perfino una moneta alternativa. Un modo che permettesse ai nuovi arrivati di vestirsi e di mangiare, fino a quando il ministero dell’Interno, guidato allora da Marco Minniti ( e poi da Salvini), non si fosse degnato di trasferire un po’ di soldi per pagare i fornitori. A Riace case, botteghe artigiane, negozi, avevano riaperto i battenti. Il paese si era ripopolato, ritornando a nuova vita, al contrario di tanti paesi morti della Calabria. Ai coccodrilli che piangono per i borghi abbandonati, il sindaco di Riace aveva mostrato una via concreta per la rinascita. Un’alternativa allo spopolamento e all’abbandono dei villaggi. Dopo la rottura del latifondo e la riforma agraria, la Calabria è entrata nella modernità pagando un prezzo altissimo in termini di emigrazione. Ha fornito braccia a buon mercato allo sviluppo industriale del Nord e dell’Europa. Ha distrutto un artigianato fiorente che non ha retto l’urto del mercato dei prodotti industriali. Anche molti che avevano beneficiato della riforma agraria hanno abbandonato le campagne per lo scarso sostegno pubblico, indirizzato soprattutto ad agevolare l’attività edilizia e commerciale, oltre che posti di lavoro nella pubblica amministrazione. La Calabria diventa terra di consumo. Si sviluppa un’economia dipendente e funzionale alla crescita economica delle regioni centro-settentrionali. Con un ceto politico attento solo ad intercettare i flussi di spesa pubblica e a gestire affari e malaffari. In questo contesto non c’è posto per la Calabria dei villaggi, per le comunità rurali, collinari e montane. Mimmo Lucano ci ha fatto intravedere (in una piccola realtà) un’alternativa possibile, un modo innovativo e solidale per far rinascere i nostri borghi. Scontrandosi con l’ottusità della burocrazia e con politici attenti al loro tornaconto personale. Nel frattempo, Marco Minniti, dopo avere avuto tutto (e di più) dal suo partito, si è seduto sul comodo treno della Fondazione Leonardo. Mimmo, invece, se l’è dovuta vedere con magistrati che invece di perseguire l’illegalità mafiosa hanno acceso i riflettori sui suoi reati. Commessi con la convinzione di fare del bene. Era l’unico modo per salvare vite, per fare andare avanti una vera integrazione, per sbloccare situazioni impigliate nei meandri della burocrazia e o ritardate da leggi inadeguate. Mimmo Lucano è un «fuorilegge», ha agito in difformità di leggi ingiuste o sbagliate che non gli permettevano di agire a favore degli immigrati e degli abitanti di Riace. Non è certo un ladro o un criminale, come ce ne sono tanti anche in doppio petto. Questa condanna è una vergogna. Una grave ingiustizia. Chi non accetta le ingiustizie e si batte per il cambiamento non ha che schierarsi con lui, mostrando che non è solo e isolato, ma un punto di riferimento. Il voto del 3-4 ottobre è l’occasione. È il modo per esprimergli, non solo a parole, solidarietà. Gaetano Lamanna
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filtrospazio · 3 years ago
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Folclóre (o folklóre) ... [dall’ingl. folklore, comp. di folk «popolo» e lore «sapere; complesso di tradizioni o di notizie», termine coniato nel 1846 dall’archeologo ingl. W. J. Thoms].
L’insieme delle tradizioni popolari di una regione, di un paese, di un gruppo etnico, in tutte le manifestazioni culturali che ne sono espressione, cioè usi, costumi, leggende, credenze e pratiche religiose o magiche, racconti, proverbi e quanto altro è tramandato per tradizione orale: spettacolo di folclore.
La scienza che studia tali tradizioni, detta anche demologia, demopsicologia, e, come disciplina d’insegnamento universitario, storia delle tradizioni popolari.
Treccani.it
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levysoft · 4 years ago
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Negli anni Sessanta, quando lo spettatore vedeva comparire a tutto schermo le onomatopee “Thwack!”, “Pow!”, “Crash!” sul proprio televisore, sapeva con certezza di stare guardando la serie tv di Batman. Lo show con protagonista Adam West, famoso per il suo stile camp e sopra le righe – una conseguenza dello spirito bizzarro delle storie a fumetti dell’epoca – è rimasto nella memoria collettiva come uno degli esempi più estremi di adattamento fumettistico.
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Un Batman fuori di testa
Nel 1965, l’emittente televisiva ABC – che si spartiva il titolo di canale più visto insieme alle rivali CBS e NBC – stava perdendo posizioni rispetto alle concorrenti ed era alla ricerca di un programma di largo successo. Ricerche di mercato condotte da ABC avevano eletto tra i personaggi preferiti del pubblico Superman, Dick Tracy, Annie e Batman. Quando i diritti di Superman e Dick Tracy si rivelarono fuori dalla portata del canale, un dirigente, appassionato lettore di Batman fin da ragazzino, propose di adattare Batman, e così ABC approcciò la divisione televisiva dello studio 20th Century Fox e il produttore William Dozier. Dozier non aveva familiarità con il mondo del supereroe. Decise di documentarsi e lesse i fumetti, trovandoli «fuori di testa e molto infantili».
Dozier non aveva approfondito granché le sue letture, altrimenti avrebbe scoperto che in origine Batman era un vigilante pulp dai modi duri. Ma negli anni Cinquanta e Sessanta, le storie di Batman (e Superman) avevano preso una deriva particolarmente fantasiosa: Bruce Wayne combatteva spesso in scenari onirici – tra oggetti di scena giganti e mondi alieni – o contro cattivi assurdi (Bat-Mito, Calendar Man). Con l’aiuto dello sceneggiatore Lorenzo Semple Jr., futuro scrittore di film come Papillon, I tre giorni del Condor e Flash Gordon, pensò allora di assecondare quello stile, anzi, di esagerarlo. Gli adulti lo avrebbero trovato comico, i bambini immaginifico.
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La produzione scelse gli attori in base alla loro capacità di affrontare con serietà anche il testo più scemo. Adam West era un attore televisivo sempre molto sobrio e determinato, ideale per quell’umorismo deadpan, dove la comicità sta nel contrasto che si crea quando una battuta è recitata con serietà estrema, a cui puntavano i produttori. In particolare, West li convinse con una pubblicità della Nesquik dove recitava nei panni di un simil James Bond. L’altra metà del Dinamico Duo, la spalla giovane ed esuberante Robin, prese vita grazie all’esordiente Burton Gervis, universitario ventunenne che praticava judo. Gervis cambiò il suo nome in Burt Ward per renderne più facile la pronuncia.
ll trucco era che gli attori avessero una recitazione quanto mai credibile. La situazione, le storie, i gadget, era tutto sopra le righe, non poteva esserlo anche la recitazione. Proprio la performance impassibile di West, integerrimo anche quando doveva ballare il “Batusi” e amorevolmente coscienzioso (anche nelle situazioni d’emergenza, pagava il parcheggio della Batmobile), rappresentò uno dei punti di forza dello show. «Non c’erano ombre o riferimenti al perché Batman facesse quel che faceva, nessun flashback su suoi genitori uccisi da un colpo di pistola in un vicolo sudicio» scrive Grant Morrison nel libro Supergods. «Il Batman di Adam West era Batman perché per lui aveva senso esserlo.»
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Dozier chiese ad attori e attrici di sua conoscenza di interpretare le parti di contorno. Così, i ruoli dei cattivi andarono ad attori e comici di fama come Cesar Romero (che rifiutò di radersi i baffi, suo marchio di fabbrica, per vestire i panni del Joker, e i truccatori dovettero abbondare con il cerone), Burgess Meredith, Frank Gorshin, Vincent Price, Roddy McDowall, Milton Berlen, Joan Collins e Liberace.
Un’icona popolare
La serie colpiva per l’impianto visivo da pop art, con costumi e scenografia eccentriche e coloratissime – in un panorama televisivo ancora poco avvezzo al colore – e le onomatopee di colpi e pugni a tutto schermo durante i combattimenti. I cattivi erano presi dal fumetto, e quando non lo erano, gli sceneggiatori si lasciavano andare a creazioni bizzarre come Egghead o King Tut. Un elemento fu invece ripensato da zero: la Batmobile, che nel programma è una versione modificata della Lincoln Futura, una concept car (cioè un prototipo mai entrato in produzione) del 1955.
Quando, nell’autunno del 1965, andò in onda l’episodio pilota, le recensioni furono pessime, ma ormai ABC aveva già acquistato la serie e la mandò in onda ogni mercoledì e giovedì, spezzando una puntata in due episodi di mezz’ora con un cliffhanger nel mezzo. Inaspettatamente, forse complice il clima politico e culturale tutt’altro che rassicurante, Batman diventò l’esperienza escapista preferita dei telespettatori statunitensi. L’Uomo Pipistrello si tramutò in un’icona della cultura pop, finendo sulle copertine dei giornali e furoreggiando come beniamino del pubblico. Era la terza grande B degli anni Sessanta, dopo James Bond e i Beatles.
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Fu messo in cantiere di tutta fretta perfino un film per il cinema, in cui Batman e Robin combattevano contro Joker, Pinguino, Catwoman e l’Enigmista. Della pellicola rimane famosa la scena in cui Batman non riesce a sbarazzarsi di una bomba che sta per esplodere, nonché il repellente per squali, l’arma più improbabile che l’eroe avrebbe mai potuto avere nel suo arsenale.
L’eco del successo arrivò presto anche nel nostro paese. Sul Corriere della Seradel 31 marzo 1966 Giuseppe Josca già registrò la portata fenomenale della serie, che gli spettatori italiani avrebbero visto a partire dall’autunno di quell’anno. «Batman è diventato di colpo uno dei personaggi più popolari d’America» scriveva Josca. «Quanto durerà? Qualcuno dice che siamo appena al principio.»
Il declino e la riscoperta della serie tv di Batman
Se da una parte la struttura molto rigida e prevedibile degli episodi rese iconico il programma – c’erano situazioni e scene ricorrenti, come quella in cui Batman e Robin si arrampicavano su un edificio e interagivano con una guest star che sbucava da una della finestre del palazzo – dall’altra consumò in fretta l’entusiasmo del pubblico e la ripetitività degli intrecci uccise la loro comicità intrinseca. Inoltre, in una sorta di rilancio obbligatorio, le trame si facevano sempre più visivamente folli, con grandi scenografie e marchingegni nuovi, e richiedevano budget alti.
Nel tentativo di tagliare i costi, la produzione prese una serie di scorciatoie: in una puntata, Batman affronta un gruppo di antagonisti invisibili e, per equilibrare la lotta, combatte al buio. La scena è uno schermo nero con solo i rumori dei pugni e le onomatopee in sovraimpressione.
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Nella terza stagione, per tentare di risollevare gli ascolti, introdussero un terzo personaggio protagonista, Batgirl, interpretato da Yvonne Craig, ma nulla di tutto ciò riuscì a recuperare il pubblico perso. Batman chiuse alla fine della terza stagione.
West e Ward interpretarono i personaggi in alcuni film e cartoni per la televisione, tra cui un lungometraggio metanarrativo, Supereroi per caso: Le disavventure di Batman e Robin, in cui si ripercorre la storia produttiva del telefilm. Adam West morì nel 2017, a 88 anni. Due anni dopo, Ward indossò di nuovo i panni di Robin nel crossover televisivo Crisi sulle Terre infinite.
Nel frattempo però Batman era diventato un prodotto diverso. Gli spettatori che recuperarono la serie dopo la chiusura non ridevano più con il programma ma del programma, perché il mutamento dei tempi lo aveva fatto diventare ridicolo, pacchiano e dozzinale. Solo negli ultimi anni il pubblico è tornato ad apprezzare l’umorismo volontariamente camp della produzione. La serie diventò il mezzo di paragone per qualsiasi adattamento di materiale fumettistico, in positivo («volevamo proprio quel gusto») o in negativo («non lo faremo così esagerato»), ma nessuno ha mai più osato così tanto con il personaggio.
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Nel libro TV (The Book), i critici Alan Sepinwall e Matt Zoller Seitz inserirono la serie nella lista delle migliori mai realizzate. Pur colpevole di «aver fornito ai giornalisti una serie di stereotipi su cui appoggiarsi ogni volta che trattavano la forma espressiva del fumetto», Batman era «una casa degli specchi che rivoltava le ansie del mondo reale e dava loro una voce buffa».
Nonostante la richiesta dei fan, Batman uscì sul mercato home video per la prima volta soltanto nel 2014, a causa di una serie di grovigli legali che aveva bloccato ogni iniziativa fino ad allora, tra cui la mancata intesa tra DC Comics, che deteneva i diritti dei personaggi, e 20th Century Fox Television, la casa di produzione della serie tv. E persino il fatto che molte delle comparsate degli attori che interpretano i cattivi non erano state contrattualizzati e, per poter distribuire i DVD, la produzione avrebbe dovuto contattare ogni attore per regolarizzare le loro apparizioni o tagliare le scene del tutto.
Nel 2013, DC Comics varò una serie a fumetti ambientata nel mondo della serie tv, Batman ’66, scritta da Jeff Parker e disegnata da vari autori, tra cui Mike Allred. La testata presentò anche un adattamento di una sceneggiatura scritta da Harlan Ellison per il programma ma mai prodotta, in cui esordiva il personaggio di Due Facce. La serie ebbe un buon seguito, tanto da generare alcuni spin-off.
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C’è poi un piccolo aspetto tragico che intreccia la storia della serie tv di Batman con quella del fumetto. Per moltissimo tempo, l’unico autore associato alla creazione di Batman fuBob Kane, fumettista che ricorreva però all’uso di sceneggiatori e disegnatori non accreditati (i cosiddetti ghost writer e ghost artist). Uno di questi, Bill Finger, fu fondamentale nella creazione del personaggio e poi nella scritture di molte delle prime storie di Batman. Tuttavia, da vivo Finger non ricevette mai riconoscimenti pubblici per il suo contributo e morì, indigente, negli anni Settanta.
Finger fu riabilitato ufficialmente come co-creatore solo nel 2015. La storia della sua rocambolesca restaurazione è raccontata nel documentario del 2017 Batman & Bill, in cui si cita un episodio riguardante la serie tv. Bisognoso di lavoro, Finger riuscì a farsi ingaggiare per scrivere due puntate della serie insieme all’amico sceneggiatore Charles Sinclair. Sinclair ricorda che Finger gli chiese di poter comparire per primo nei titoli di testa degli episodi, perché per lui significava molto. Quei due episodi, in cui il supereroe si scontra con il Re degli Orologi, sono l’unica produzione di Batman accreditata a Finger.
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fashionbooksmilano · 8 years ago
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Spirito regale nei costumi della donna arbereshe
Mostra del Costume Arberesh in miniatura
Licia Conti e Odette Marquet
Edizioni “Il Coscile”, Castrovillari 1988, 168 pagine
euro 30,00*
email if you want to buy :[email protected]
Il Museo del Costume Arberesh in miniatura offre un’esaustiva panoramica dei costumi della donna arbëreshe che vengono rappresentati una interessante raccolta di bambole abbigliate con i costumi tradizionali di tutte le comunità albanesi presenti nel territorio italiano. Il patrimonio storico ed estetico rappresentato dai costumi in miniatura di tutte le comunità albanofone del Meridione d’Italia è affiancato dalla mostra “Cultura arbërore attraverso i secoli” costumi originali del XIX sec. che rispecchiano l’Albania aristocratica dell’epoca. Lungo il filo conduttore dei diversi flussi migratori tra le due sponde dell’Adriatico, si avrà la possibilità di contemplare lo spirito regale che caratterizza le vesti e i preziosi manufatti delle donne arbëresh e shqipetare. 
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