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Coronavirus: Quando il vero problema non è il virus
Coronavirus: Quando il vero problema non è il virus
Inizio Premessa. È da circa un mese che mi chiedo se sono tenuta a scrivere un pensiero su quello che sta accadendo, più che nel mondo (poiché lì sono avanti anni luce), qui in Italia “sfortunatamente il paese dove vivo e dal quale non posso andarmene (volente o dolente)“. Quindi ho pensato, “ma si dai, almeno mi sfogo un po’ su questa situazione di cui ne ho letteralmente le palle piene”…
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Ciao grande Kon. Secondo te il Covid finirà con il vaccino? E Crisanti ha ragione?
(30/11/2020)
Oh... come si suol dire, due risposte sgradite al prezzo di una.
Dunque, alla prima ti rispondo che NO, né il Sars-CoV2 né il Covid-19 scompariranno con il vaccino ma, anzi, questo virus ci terrà compagnia ancora per molti decenni, per poi essere sostituito nella scala delle preoccupazioni da quello della prossima pandemia (perché spero lo abbiate capito una volta per tutte che ci dovete fare l’abitudine).
Il vaccino non può (e non è nemmeno stato pensato per) FAR SCOMPARIRE UNA MALATTIA COSÌ POCO LETALE... perché spero che ancora una volta vi sia chiaro che 1 milione e mezzo di morti su più di 7 miliardi di esseri umani è NULLA.
Non è della letalità che chi ha capito come funzionano queste cose si sta preoccupando ma DELLA CAPACITÀ DEL COVID-19 DI PARALIZZARE UN SISTEMA-NAZIONE.
Quello è il vero problema che mi sembra non abbiate colto.
Una volta che il vaccino starà proteggendo le fasce fragili della popolazione, il Sars-CoV2 sarà accettato come VIRUS ENDEMICO FACENTE PARTE DEL SERRAGLIO MICROBIOLOGICO cioè ce lo ciucceremo tutte le volte che arriverà l’inverno e finalmente la gente lo definirà come ho insistito che doveva essere definito
POCO PIÙ DI UNA BANALE INFLUENZA™
Probabilmente, in futuro, la gente ne riceverà il vaccino in concomitanza a quello anti-influenzale e se anno dopo anno ce lo ciucceremo forte o piano dipenderà da quante persone, una volta che si saranno cambiate le mutande sporche per essersi cagati addosso dalla paura, decideranno o meno di continuare a farselo inoculare e a tenere alto il tasso dell’immunità di gregge.
Il Sars-CoV2 continuerà a girare perché non è un Ebolavirus che ti fa vomitare l’intestino sanguinolento entro pochi giorni dal contagio ma un virus respiratorio che per la sua bassa letalità tiene in vita LA MAGGIORANZA DEI SOGGETTI CONTAGIATI, ciò che dal punto di vista evolutivo garantisce la maggiore riuscita di sopravvivenza e perduranza.
Per ciò che riguarda Crisanti SÌ, HA RAGIONE ma quel tipo di ragione accademica che non è utile a nessuno se non a gonfiare l’ego protagonista del cantore fuori dal coro.
Vi ricordate quando vi ho detto che lo studio, la sperimentazione, lo studio, la sintesi, lo studio e la commercializzazione di un vaccino sono UN PROCESSO CHE RICHIEDE ANNI?
Continua a essere così.
Possiamo pure constatare che la scienza biotecnologica ha fatto MIRACOLI per riuscire a farci avere questi vaccini in poco più di OTTO MESI (e non otto ANNI come minimo) e che per la sperimentazione di terzo livello si sono mossi mari e monti ma di fatto la cosiddetta SORVEGLIANZA POST MARKETING sarà il vero terreno di prova per la sicurezza di questi prodotti.
Quindi decidetevi: o rompete il cazzo perché morite di coronavirus oppure rompete il cazzo perché morite di vaccino. Tertium non datur.
Anzi, no... tertium datur: fate il vaccino sulla base delle indicazioni date dall’OMS (può darsi che la dose non vi toccherà mai) e non rompete il cazzo perché tanto non ne capirete mai abbastanza di effetti avversi e finireste col somigliare agli inviati de Le Iene ospiti a Report in gemellaggio con Striscia la Notizia.
Io me farò, per dovere nei confronti dei miei pazienti e non certo perché ho paura di morire, ma qualunque effetto avverso a lungo termine non sarà certo peggiore dello psico-stillicidio sociale a cui ho dovuto assistere in questi lunghi nove mesi.
Con affetto, comprensione e il massimo del mio supporto ma molti di voi si faranno il vaccino e solo dopo scopriranno che erano morti già da tempo.
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Caro Mentana,
ti seguo da quando ridevi per le battute idiote di Silvio alle serate di gala.
Da allora ne hai fatta di strada, arrivando a fondare il tuo giornale personale.
Mi appassiona tanto il vero giornalismo ed è per questo che non seguo Open e non ti seguo. Nota bene, non ho nulla contro i giovani ragazzi che lavorano a Open (tranne qualche mela marcia che fa solo un lavoro di copia e incolla di altri giornalisti e posso farti i nomi se sei interessato), anzi apprezzo tantissimo che uno di questi ragazzi più volte abbia scritto riguardo la nostra mobilitazione e del problema delle borse di specializzazione. Lui merita un aumento dal mio punto di vista.
E non ho nulla contro di te personalmente, sei indubbiamente una persona molto apprezzata e simpatica visto che "blasti" le persone (qualsiasi cosa voglia dire quel termine).
Come giornalista invece mi capita solo sporadicamente di vedere quel che pubblichi e ogni volta mi casca la tonaca albuginea (ma tranquillo, succede con quasi tutti i giornali italiani).
Ad esempio quando qualche anno fa c'è stato l'attacco a Monaco, la sera stessa, quando ancora non si sapeva nulla del crimine, parlavi già di un possibile legame con l'ISIS. Allora ti contattai in privato per spiegarti che era impossibile che ci fosse un legame con l'ISIS viste le origini del killer e che probabilmente si trattava più di una persona psichiatrica con motivazioni politiche ben distanti dallo Stato Islamico. Tutto ciò si poteva capire semplicemente conoscendo le basi della geopolitica mediorientale.
All'epoca mi risposi che no, non avresti cambiato un bel nulla del tuo post.
Al che io ti dissi, senza mai mancare di rispetto, che avendo tu un grosso pubblico sulla tua pagina pubblica, avevi anche una certa responsabilità nel fare corretta informazione.
La tua risposta è stata "Qui scrivo per me, e non le devo rendere conto" e "Imbecille".
Inutile dire che la polizia bavarese ha smentito ogni legame con l'ISIS il giorno dopo.
È a quel punto comunque che ho decretato che stavo parlando con il solito povero coglionazzo in cerca di notizie sensazionalistiche non in grado di vedere oltre gli scoop facili e ignorante come il 90% dei giornalisti sulla geopolitica internazionale.
Ne ho avuto conferma più volte nel tempo, quando mi comparivano sporadicamente alcuni tuoi post. Il più recente esempio: i tuoi post sul drone impiegato nell'attacco a Baghdad, quei post in cui dicevi che l'opinione pubblica aveva il diritto di sapere se quel drone era partito dalla base italiana di Sigonella. Un vero giornalista prima di scrivere una cosa simile avrebbe cercato banalmente il nome del drone su google (MQ-9 Reaper), si sarebbe andato a vedere sul sito della difesa americano l'autonomia di tale drone (1150 miglia o 1850 km) per poi andare su una mappa a calcolare in linea d'aria la distanza tra Sigonella e Baghdad (1669 miglia o 2687 km). E a quel punto avrebbe evitato post stupidi con collegamenti che non esistevano, solo per creare falsi allarmi e clickbait. Non ringraziarmi per le informazioni, ci ho messo solo 2 minuti del mio tempo per ricavarle.
Vabbè, questi sono solo piccoli esempi, che però sommati nel tempo fanno capire perché preferisco seguire giornalisti un attimino più competenti.
Il motivo per cui sto scrivendo tutto questo non è per far crollare un mito a chi ti crede incosapevolmente una persona in gamba.
Lo faccio perché sono seriamente convinto che bisogna essere delle teste di cazzo, oltre che ignoranti, per pubblicare le foto di due pazienti come se fossero criminali. Due persone che oltre ad avere la sfiga di essere ammalate, vulnerabili, devono vedersi violata la propria privacy e sbattuti su una pagina con un milione di persone di seguito.
A che fine?
Che informazione aggiungono questi articoli?
Oltre a dare in pasto agli sciacalli l'identità dei due pazienti?
Seriamente, qual è l'utilità di questa porcata?
Ho contato nell'arco di circa 24 ore una ventina di articoli sensazionalistici solo sul coronavirus.
L'ultimo che hai pubblicato sulla tua bacheca è sui cartelli dei negozi con la scritta «Vietato l’ingresso a chi viene dalla Cina».
Geniale!
Prima si crea la psicosi di massa, poi la gente si comporta conseguentemente da cogliona e poi si possono pubblicare altri articoli sulle reazioni delle persone. Ovviamente invece che scrivere "Ci vado sicuramente" sopra all'articolo dei ristoranti di Chinatown deserti, non hai potuto scrivere qualcosa di più utile tipo: "Ragazzi, occhio che i virus non discriminano le persone che non hanno gli occhi a mandorla"
Vedi Enrico, i pazienti non sono le stesse persone idiote che ci insultano sui social e vanno blastate. Facebook è una cosa e anche io insulto chi si comporta da idiota su facebook, gli antivax o le mammine pancine che scrivono scemenze.
Le ambulanze e gli ospedali sono però un'altra cosa. E chi entra in questi ambienti lo fa perché ha dei problemi e merita rispetto.
In futuro, se ti riesce, cerchiamo di distinguere le due cose. - Lo studente di Medicina, via fb
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Nel corso della mia adolescenza e non, ho provato ad immaginare tantissime volte come sarebbe stata una mia probabile relazione con qualcuno. A cosa avremmo fatto, a come sarebbe stato, alle emozioni che avrei provato ecc...Ma non avrei mai immaginato che sarebbe stato mille volte meglio di come ho sempre immaginato. Lui sa sempre come lasciarmi senza parole o senza fiato ancora adesso, dopo tre anni e mezzo di relazione anche solo con un piccolo gesto come una carezza diversa dal solito, un tenero bacio, una frase inaspettata. Diciamo che sono i piccoli gesti a rendere tutto più bello e magico. Lui è troppo perfetto per essere vero e soprattutto per essere mio. Molto spesso temo sempre che mi sto immaginando tutto, ma solo quando sono stretta al suo petto e sento il suo profumo, il suo respiro su di me e il battito del suo cuore sulla mia guancia, mi rendo conto che in realtà è tutto vero. Ho sempre paura di sbagliare tutto con lui, Paura che prima o poi un giorno lui possa trovare qualcuna migliore di me o che possa dargli qualcosa in più. Prima di questo coronavirus e prima di tutte queste zone rosse/arancioni e gialle e prima del coprifuoco serale, a causa del mio lavoro da cameriera, avevo poco tempo per riuscire a vederlo. Anche perché, ogni sera non sapevo mai quando finivo di lavorare. A volte capitava che finivo di lavorare fino a tardi, lui cercava di rimanere sveglio per me, ma alla fine si addormentava. Invece a volte riusciva a rimanere sveglio e nonostante la stanchezza, faceva uno sforzo perché voleva vedermi e stare finalmente un po' con me. Non lo nego, è stato un anno parecchio tosto a causa del mio lavoro e anche a causa del suo lavoro, faticavamo a far combaciare i nostri orari. Avevo sempre paura che lui si stancasse di aspettarmi e di sprecare ogni fine settimana per stare a casa da solo o di non poter uscire perché io ero sempre al lavoro. Mi sentivo in colpa io per lui. Ma lui mi ha sempre rassicurata che per lui non era un problema. Più di una volta gli ho detto che se si sarebbe stancato di "aspettarmi" lo avrei compreso. Più di una volta gli ho detto che forse gli sarebbe convenuto cambiare fidanzata e trovarne una con più tempo libero, ma lui non ne ha voluto sapere e ha ribadito più volte che voleva solo me e che per lui tutto questo non era un peso. Se prima faticavamo a vederci a causa del mio lavoro, da un anno a questa parte, a faticarci le cose è proprio questo cazzo di virus e questi maledetti lockdown, ma nonostante tutto resistiamo anche a questo. Sono felice di aver trovato un ragazzo come lui...anzi, sono felice di aver trovato lui ragazzo. Non avrei mai potuto chiedere di meglio. Ha superato ogni mia idea e fantasia. E nonostante tutto, sa sempre come stupirmi e a rendermi felice anche con ogni minima cosa. A noi per essere felici non serve farci regali, ma ci bastiamo noi e il nostro amore. Più di una volta mi ha detto per lui io sarò la madre dei suoi figli e la nonna dei suoi nipoti. E la stessa cosa voglio io. Non vedo l'ora che tutti i nostri sogni e desideri possano prendere forma una volta terminato questo maledettissimo virus.
dreamednottodrown
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Neanche il Coronavirus ferma l’ignoranza di Trump Di Giulio Cavalli Le idiozie si ripetono, gli idioti si replicano e il Coronavirus sta dimostrando quanto tutto il mondo riesca a essere banalmente uguale a se stesso. Il nuovo sovranismo psicologico che ha preso piede tra i governanti ha reso l’evidenza dei fatti e la storia (passata e recente) degli inutili fardelli di cui poter fare volentieri a meno e che anzi vengono indicati come minacce provenienti dall’esterno. E così possiamo goderci in tutta la sua pochezza il prode Donald Trump (ma c’è anche il suo collega brasiliano Bolsonaro) che urlacchiano al mondo come sia inutile preoccuparsi del Coronavirus e come si tratti solo di una banale influenza. Sono esattamente le parole che abbiamo sentito qui da noi, quando qualcuno sembrava dimenticare che il vero problema sarebbe stato (com’è in queste ore) lo stress a cui sono sottoposte le strutture ospedaliere. È facile immaginare cosa accadrebbe anche negli USA dove la sanità non è pubblica e l’epidemia sarebbe una clava anche economica sulle famiglie. Ma non è solo questo il punto: qui ancora una volta siamo di fronte a politici (che si ritrovano ad altissimi posti di comando) che sventolano la propria ignoranza esibendola come se fosse un muscolo di cui andare fieri. Accade con il cambiamento climatico, accade con la minimizzazione dei problemi di disoccupazione e di lavoro, accade nascondendo sotto al tappeto la questione migratoria e accade anche oggi con il Coronavirus. L’epidemia del resto ci sta insegnando proprio che c’è la mancanza di un senso di comunità. In senso ampio oltre ai confini transazionali e regionali, è il primo virus da combattere e il federalismo delle responsabilità è la piega migliore per il propagarsi della malattia. Ovviamente tutti zitti anche gli amici di Trump nostrani, quelli che qui si sbracciano per chiedere al governo misure ancora più stringenti (invocando generali e colonnelli come nella loro peggiore tradizione) mentre non hanno parole da spendere sul presidente della più potente nazione al mondo che gioca a fare il piccolo coraggioso come uno studente qualsiasi che socializza fiero il suo accalcato aperitivo. Il Coronavirus lascerà molte lezioni tra cui anche quella che la propaganda e il bullismo politico non paga nelle vere situazioni del bisogno. Lo stanno dicendo i sondaggi italiani e potrebbe essere così anche per il bullo Trump. Negano per esistere perché non hanno altro da dire.
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MAFIA, PIZZA E CORONAVIRUS... PERÒ FACCIAMO RIDERE
L'immagine che vedete rappresenta quali sono i "bersagli" preferiti tra concittadini europei (Europa fisica), in tema d'ironia e sarcasmo. In poche parole a chi piace prendere per il culo chi. Nei confini delle Nazioni ci sono i colori della bandiera appartenente alla Nazione a cui sono rivolte le attenzioni "paraculistiche". L'Italia non se la fila nessuno, evidentemente non siamo degni di considerazione o d'importanza. Allora ecco che ci pensiamo noi stessi a sfotterci, a non prenderci sul serio e fare dell'ironia su qualsiasi "cosa nostra" che sia un fatto di cronaca, di politica o attraverso i luoghi comuni del campanilismo sempre e più vivo che mai sul nostro territorio. Forse, invece, è proprio per questo motivo che non ci prendono in giro gli altri europei, non fanno a tempo a creare una battuta su di noi che taaac, l'italiota l'ha già bella che pubblicata con ilarità generale e condivisioni. L'imperativo oggi sui social è far ridere, a tutti i costi e ci stiamo riuscendo bene. Credo che molti abbiano frainteso i vari "Mi fai ridere" che si sentono dire, in realtà sono più dei "Sei ridicolo". Un po' più di amor proprio e compattezza davanti a degli eventi che condizionano la vita della nostra Nazione, ci renderebbe degni di maggior rispetto da parte delle altre Nazioni. Ci indigniamo per un video francese che accosta il coronavirus alla pizza, in pratica ci definiscono degli appestati, rispondendo con la storia del bidè o dei mondiali di calcio del 2006. Non vi sembra tanto di litigio in stile asilo? Una mia piccola considerazione sul tema covid-19, al di là di complotti e boicottaggi, non credo che il propagarsi del coronavirus in Italia sia una cosa mirata da servizi segreti. Sono dell'idea che quando il caso coronavirus esplose in Cina, che da bravo regime quello cinese avrà rallentato tantissimo la diffusione delle informazioni, i governi di mezzo mondo si saranno attivati subito con protocolli contenitivi e preventivi nel silenzio totale. Tutto questo per non creare panico e paure difficili poi da controllare, probabilmente ancora oggi nonostante la diffusione del virus sui loro territori tendono a filtrare le notizie sui contagi per evitare allarmismi. L'Italia è stata una di quelle Nazioni che non hanno affrontato seriamente la criticità. Mentre il virus già era in Italia la classe politica ha fatto subito campagna elettorale con i soliti slogan: chiudere tutto, accogliere tutti, abbracciamo un cinese, pestiamo a sangue un cinese, razzisti, buonisti, cin cin vuoi una fetta di mortadella? Si grazie. Anche nel caso del coronavirus il problema per gli italiani, come sempre ultimamente, è il razzismo. Ogni problema mondiale è motivo di razzismo, o verso gli altri o verso di noi. Ma vaffanculo. Quando saremo razzisti verso gli analfabeti funzionali? Nel frattempo vi lascio con una barzelletta sui Carabinieri se volete... giusto per ridere, altrimenti non mi mettete like. Ah no, per quello che capita a chi è Carabiniere oggi c'è solo da piangere. W la fig* ... questa chiusura non ve la aspettavate, vero?
#Libero De Mente#coronavirus#covid-19#pizza#prendere per il culo#ironia#sarcasmo#Mi piace#europa#Nazioni#Italia#ridicoli#battuta#racconto#pensiero#divertente
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dal web, altri unti di vista...
A proposito delle MASCHERINE
Dott.Stefano Montanari
"Non ho mai portato questa folle museruola inutile...e penso che continuerò così , visto che mi amo e mi rispetto... 🙂
Qualche anno fa, pochi anni fa, io insieme con mia moglie e insieme al CNR di Bologna, ho studiato un filtro per la respirazione...
Questo filtro per la respirazione era stato studiato perché c'era stato chiesto al ministero della difesa, quindi lavoravamo per il ministero...mia moglie, io e il CNR di Bologna...
La parte CNR era diretta da Franco Prodi, (fratello di Romano Prodi) che è un ottimo fisico, è andato in pensione da poco, ma è un bravissimo fisico...
Abbiamo lavorato proprio su un problema, che è lo stesso problema di oggi, cioè impedire che qualcosa di estremamente piccolo possa entrare nel nostro organismo.
Quel qualcosa di piccolo allora erano le nano polveri causate dalle esplosioni, ma le dimensioni sono quelle dei virus.
Il coronavirus è grande 120 nanometri, più o meno come le polveri di cui noi ci occupavamo.
Per un filtro, che sia un virus o che sia un'altra cosa, non importa. Il filtro è, semplificando molto, uno scolapasta: blocca quella determinata dimensione...
Noi, per poter studiare quel filtro, ci abbiamo impiegato un anno e mezzo...abbiamo lavorato su delle apparecchiature, con un gruppo di fisici, abbiamo fatto degli esperimenti, tanti esperimenti...abbiamo fatto dei prototipi di filtro, abbiamo lavorato con Finceramica per produrre questi prototipi, e alla fine ce l'abbiamo fatta.
Vi assicuro, è tutt'altro che facile fare un filtro di quel genere...non tanto per il fatto della dimensione di quello che devi bloccare, ma il problema grosso era il fatto che chi le portava doveva respirare...perché se io ti metto una mascherina di cemento armato è chiaro che fermo tutto, ma dopo due minuti tu muori! Quindi devo rendere compatibile la mascherina con la tua vita...
Noi lavoravamo per il ministero della difesa, quindi per qualcosa che doveva andare ai soldati, ai militari...e il soldato deve scappare, deve inseguire, deve portare dei pesi, deve fare degli sforzi quindi deve respirare bene...assicuro che è difficilissimo...
Allora chi è che può pensare che tutti i nostri sforzi siano stati ridicolizzati da una mascherina di carta o di stoffa...
Cioè noi, un gruppo di scienziati, con apparecchiature costose, tempo, viaggi, non c'eravamo accorti che bastava una mascherina di carta per fare esattamente la stessa cosa...
Purtroppo non è vero...la mascherina di carta è una truffa!
Voi vi mettete questa mascherina, e non importa se è di tipo 1,2,3,4,5,27...voi ve la mettete e respirate, altrimenti morite 🙃
Quando voi respirate emettete del vapore...bagnate la mascherina...e quando la mascherina è bagnata prende i virus, i batteri, i funghi, i parassiti e li concentra lì, e voi vi portate per delle ore funghi, batteri, virus, parassiti ad un millimetro dal naso e ve li tenete lì. Quindi vi ammalate o rischiate di ammalarvi a causa di QUEI patogeni...perché adesso la gente è convinta che esiste solo il coronavirus, ma il coronavirus è uno dei molti miliardi di virus che esistono...ma poi ci sono anche i batteri, che sono una quantità enorme, i funghi, i parassiti, le rickettsie...tutta roba che si appiccica lì e voi ve la tenete appiccicata al naso, quindi è follia pura...
E questo basterebbe per dire "abbiamo scherzato"...
Quando porti la mascherina ed espiri, cioè butti fuori quello che i tuoi polmoni hanno deciso essere lo scarto del metabolismo dei tuoi tessuti, delle tue cellule, cioè l'anidride carbonica...hai un impedimento a buttarlo fuori, quindi inevitabilmente ributti dentro al tuo organismo l'anidride carbonica...
Il tuo sangue va in ipercapnia, vuol dire che hai un eccesso di anidride carbonica, porti alle tue cellule il loro scarto...
Quando sei in ipercapnia, vai anche in acidosi, il tuo organismo diventa più acido del dovuto, il ph si abbassa...più è acido l'organismo, più hai facilità ad ospitare malattie...
La malattia più vistosa che si instaura con acidosi è il cancro"...
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L’avventura di due sposi al tempo del Coronavirus. Una riscrittura di Italo Calvino
Alle nove di sera, l’operaia Elisa, tornando a casa dal lavoro dopo un lungo viaggio in tram da parte a parte di Milano, annunciò al marito: “La sai la novità? Da domani si sta a casa tutto il giorno!”.
Italo Mazzoni, turnista di notte, raggiunto da una notizia così incredibile mentre stava indossando il giaccone impermeabile per andare in fabbrica, mormorò, con gli occhi ancora spenti e appannati di sonno: “Ti hanno licenziata?”.
“Ma no! È a causa del virus che sta infettando mezza Italia. Il padrone non ha sanificato gli ambienti ed è stato denunciato e costretto a chiudere la fabbrica”.
“La fabbrica! Dio, ho fatto tardi?” urlò Italo, e come un automa si allontanò senza neppure guardarla, con in mano le chiavi della macchina e l’immancabile pacchetto di sigarette.
Elisa ebbe un attimo, appena un attimo di smarrimento nell’accorgersi che lui non l’aveva ascoltata, ma poi gli corse dietro e lo raggiunse sulle scale. Disse: “Amore, non hai capito. La fabbrica rimarrà chiusa per un mese”.
Allora Italo, improvvisamente scosso dal suo ipnotico torpore, intuì che qualcosa di grosso era accaduto. Un disastro o un evento fortunato? Prima che potesse iniziare a darsi una risposta, la sua attenzione si concentrò sulle mani di lei, sporche di cioccolata.
“Ma cosa hai fatto?”.
“Sono stata al centro commerciale, ho preso due dolci. Uno anche per te”.
Infilò una mano nella borsa e tirò fuori una ciambella al cioccolato. Disse: “Volevo festeggiare. Mi vergogno un poco perché fuori la gente sta morendo e il rimedio contro questo maledetto virus non l’ha ancora trovato nessuno. Ma finalmente avremo tempo per stare insieme. Sei contento?”.
Italo allargò le braccia in un gesto che manifestava tutta la sua sorpresa. Disse: “Non dovrò più andare in fabbrica di notte? E neanche tu, di giorno?”.
“Esatto. La produzione è stata bloccata. Siamo in cassa integrazione fino a nuove disposizioni del Governo. E a me sta bene”.
“Dormiremo insieme?”.
“Dalla sera alla mattina”.
Si strinsero forte e pensarono le stesse cose: niente più caffè presi al volo, niente incontri fugaci sulla porta di casa, niente corse nella nebbia, niente grane sul lavoro.
Erano trascorsi quattro mesi da quando il coronavirus aveva fatto la sua comparsa in città, dando il via a quella che nel giro di poche settimane sarebbe diventata un’epidemia diffusa. Nelle famiglie obbligate a rimanere in casa, il bollettino dei morti era diventato un argomento di conversazione perfino più ricorrente della crisi economica. Per evitare l’ulteriore diffondersi del virus, il Governo aveva reagito con misure draconiane, chiudendo scuole, negozi, ristoranti e ora anche quelle fabbriche dove gli operai erano costretti a lavorare gomito a gomito. Ai cittadini era stato ordinato di limitare i contatti sociali.
Stando tutti e due a casa, Elisa e Italo avrebbero finalmente vissuto la vita da sposini che il lavoro gli aveva sempre negato: andare a letto insieme, nudi e un po’ eccitati, scambiarsi qualche parola oscena e poi fare l’amore ogni sera, con la stessa emozionante e convulsa serialità.
Vivevano a Sesto, periferia industriale di Milano, in un monolocale di 40 metri quadri. Il cucinino era umido e buio, il bagno aveva la finestra a tetto, ma Elisa diceva di essere innamorata di quel posto perché gli ricordava Un amore in soffitta, un telefilm che guardava da ragazza.
Italo invece amava l’agricoltura, e se avesse avuto una casa in campagna e un fazzoletto di terra da coltivare non si sarebbe fatto pesare qualche ora di auto in più per raggiungere la fabbrica. Tuttavia, per non mettere in difficoltà sua moglie, che era stata bocciata alla scuola guida un numero impressionante di volte, si era adattato a quello spazio angusto che gli dava ansia.
Ormai erano sposati da sette anni ma non avevano mai vissuto insieme per più di qualche ora al giorno. La chiusura della fabbrica li proiettava in un territorio sconosciuto, una convivenza vera che non li spaventava, poiché volevano viverla con tutto l’amore che erano stati a lungo costretti a reprimere.
La prima notte insieme fu meravigliosa. Senza bisogno di parole, riuscirono a darsi esattamente ciò che volevano: una brama di interezza mai provata, una passione incandescente, tanta pace.
La notte successiva ci fu un piccolo imprevisto. Elisa si accorse che Italo russava. Non era cosa da poco, perché la costringeva a prendere sonno con un concerto di tromboni nelle orecchie.
Questa piccola scoperta la turbò, come una nuvola nera apparsa in un giorno di sole.
Lui dal canto suo, era abituato a dormire da solo nel letto a due piazze, e aveva molta difficoltà a condividere il materasso. Ripensava con nostalgia a quando si coricava e, dopo qualche minuto, piano piano si spostava dalla parte di Elisa, assorbendone l’assenza e il tepore. E così s’addormentava.
Ora invece, se provava a uscire dal suo confine, veniva ricacciato indietro con parole di fuoco: “Italo, non riesci a stare fermo? Ogni volta che sto quasi per dormire, sento che mi tocchi una gamba e perdo il sonno!”.
Poi a Elisa sembrò che suo marito avesse l’alito pesante. Fu indecisa se dirglielo, per paura che lui la prendesse male, ma poiché quel difettuccio non passava, dopo quattro notti nelle quali ebbe l’impressione di dormire con un ubriaco che si era bevuto un cocktail di superalcolici e aglio, si fece coraggio e gli suggerì di lavarsi i denti prima di mettersi a letto.
Ma lui si offese e ribatté: “Ieri notte ti è scappato un peto”.
“Non è vero!”.
“Sì, è così. Avrei voluto aprire la finestra ma ho preferito non svegliarti per non essere insultato”.
“Quando ci vedevamo poco, l’amore c’era”, disse lei, in tono amareggiato.
Lui annuì: “Ora le cose dovrebbero andare meglio, e invece è il contrario”.
Si tennero il muso per ore, ma la sera, passando in rassegna gli inconvenienti che erano accaduti, pensarono che in fondo si era trattato di piccoli malintesi, equivoci senza importanza.
Convennero che anche nella persona che amiamo di più al mondo può esserci qualcosa che non ci piace ma che non deve mandarci il sangue alla testa in un secondo. Bisogna comprendere e pensare al buono. Così la rabbia finisce lì, senza emozioni distruttive.
Si promisero pazienza, ma non servì.
Da quando faceva i turni di notte, a causa delle alterazioni del ciclo sonno-veglia, Italo era ingrassato ― ormai sfiorava i cento chili ― e dopo una piccola corsetta il cuore gli batteva all’impazzata. Come se non bastasse, aveva sviluppato un’ipertrofia prostatica che lo faceva correre al bagno appena sentiva lo stimolo. Se dentro c’era Elisa, gli montava il nervoso e cominciava a dare pugni alla porta.
“Amore, mi scappa! Lo sai che sto male! Non posso fare la pipì sul pavimento, fammi entrare! Se non mi fai entrare, spacco tutto!” gridava, come un bambino capriccioso.
Elisa era furiosa. Tra i mille oltraggi cui non amava sottoporsi, il peggiore era trovarsi sulla tazza del cesso con un pazzo che le chiedeva di fare in fretta. Ma anche Italo aveva le sue ragioni: la vescica che scoppiava non era il suo unico problema. L’abitudine a riempire le giornate con il lavoro era così consolidata che, dovendo restare chiuso in casa, si sentiva morire di noia e, per quanto odiasse la fabbrica, la preferiva a una stanza in cui camminare avanti e indietro come una belva in gabbia.
Di giorno non aveva sonno e non sapeva che fare. Accendeva la tv e si innervosiva nel vedere che tutte le trasmissioni parlavano del coronavirus. Metteva qualcosa a cuocere e la dimenticava sul fuoco. Sfaccendava, creando un gran disordine. Accendeva la stufa anche se non faceva freddo. Elisa cominciò a temere che prima o poi l’avrebbe visto impazzire.
E infatti una sera, alle nove e tre quarti, Italo prese il portavivande, il termos, si mise l’impermeabile e uscì.
“Dove vai?” chiese lei. “A quest’ora i supermercati sono chiusi. C’è il coprifuoco”.
“Vado in fabbrica”.
Elisa capì che la vita a volte offre dei regali. Era stanca di litigare. Proprio stanca. Perciò non provò a fermarlo. Disse solamente: “Aspetta, prendi la mascherina”.
E lo salutò con un bacio.
Italo corse giù velocemente, in modo macchinale, infrenabile, ma non riuscì a dare un passo fuori dal portone perché un militare armato di mitra gli fece cenno di tornare indietro.
Scoraggiato, rimase per un tempo incalcolabile seduto sulle scale, con la mente perduta in una zona d’ombra tra l’alienazione e la fuga. Poi gli venne sonno e si addormentò.
Anche Elisa, rimasta sola, spense la luce e andò a letto.
Accucciata sotto le coperte, nel silenzio riconquistato, allungò un braccio verso il cuscino di suo marito e lo portò verso di sé.
Meditò su quell’amore che aveva bisogno di non essere mai del tutto con lei.
Sentì il veleno della nostalgia, doloroso e incurabile, dentro al petto.
Francesco Consiglio
L'articolo L’avventura di due sposi al tempo del Coronavirus. Una riscrittura di Italo Calvino proviene da Pangea.
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Vaccini, vaccinazioni, vaccinati Oggi e Ieri
06/05/2021
Svolta storica degli Stati Uniti che hanno deciso di rinunciare alla protezione dei brevetti sui vaccini anti Covid. "Le circostanze sono straordinarie" ha spiegato Biden.
Il direttore dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus ha parlato di momento monumentale nella lotta contro il Coronavirus: ora anche Paesi in forte difficoltà sia economica che epidemiologica, come India e Brasile, potranno fabbricarsi in casa il siero anti-virus.Per le case farmaceutiche invece nessuna svolta storica!
Alla richiesta di liberalizzare i brevetti dei vaccini ecco l'ennesima risposta:“No alla sospensione dei brevetti dei vaccini covid, non aumenterà la produzione”Case farmaceutiche contro la sospensione dei brevetti dei vaccini covid.
Secondo la Federazione internazionale dei produttori e delle associazioni farmaceutiche, la posizione del governo Usa che si schiera per la sospensione temporanea dei brevetti dei vaccini anti-Covid, è "deludente". "Il nostro obiettivo è di garantire che i vaccini Covid-19 siano rapidamente ed equamente condivisi in tutto il mondo. Ma, come abbiamo costantemente affermato, una rinuncia è la risposta semplice ma sbagliata a ciò che è un problema complesso.
La rinuncia ai brevetti dei vaccini Covid-19 non aumenterà la produzione né fornirà soluzioni pratiche necessarie per combattere questa crisi sanitaria globale" fanno sapere le case farmaceutiche, concludendo: "Il sistema internazionale di proprietà intellettuale ha dato alle aziende la fiducia per impegnarsi in più di 200 accordi di trasferimento tecnologico per espandere la consegna dei vaccini Covid-19 sulla base di partnership senza precedenti tra i produttori di vaccini industrializzati e dei paesi in via di sviluppo.
L'unico modo per garantire un rapido aumento e un equo accesso ai vaccini a tutti coloro che ne hanno bisogno rimane un dialogo pragmatico e costruttivo con il settore privato".
Un po' di storia per mettere a confronto le scelte delle case farmaceutiche dei nostri giorni a quelle di medici come Bruce Albert Sabin, inventore del vaccino antipolio.
Il 3 marzo del 1993 moriva a 86 anni all’ospedale della Georgetown University di Washington Bruce Albert Sabin. È diventato famoso anche come “l’uomo della zolletta di zucchero”: era stato infatti lui a ideare il più diffuso vaccino contro la poliomielite che veniva somministrato con una zolletta imbevuta. Il suo nome viene spesso citato in questi giorni per via della pandemia da coronavirus, dell’andamento lento della campagna vaccinale, dei brevetti: chi propone di condividerli e chi dice che è impossibile.“È il mio regalo a tutti i bambini del mondo”, disse invece Sabin che visse una vita piuttosto rocambolesca, spesso drammatica.
Non ha mai vinto il Premio Nobel per la Medicina ma è finito nel ritornello della canzone del film Mary Poppins con quel “poco di zucchero e la pillola va giù”. Un inno, allegro e inconsapevole, alla sconfitta di un’epidemia tragica. Sabin era nato nel 1906 nel ghetto di Bialystok, in Polonia, una città parte dell’Impero Russo. Quando aveva 15 anni era partito con la famiglia per gli Stati Uniti. Il padre Jacob era artigiano: aveva deciso di partire per via della crescente ostilità anti-ebraica che si andava diffondendo in Europa. Bruce Albert fin dalla nascita era quasi cieco dall’occhio destro.Con l’appoggio dello zio, divenne un promettente studente di odontoiatria alla New York University.
Quando però lesse il libro I cacciatori di microbi di Paul de Kruif cambiò idea: non più dentista, ma medicina. Microbiologia, per la precisione: un’epifania. L’aneddotica sulla sua vita racconta che andasse perfino raccogliendo microbi per la città, lì dove capitava: stagni, polvere, cassonetti della spazzatura e via dicendo.Sabin si laureò, divenne capo della ricerca pediatrica, assistente di William Hallock Park, celebre per gli studi sulla difterite. Approfondì quindi lo studio delle malattie infettive: la poliomielite era una piaga in quegli anni.
La malattia virale aveva paralizzato tra il 1951 e il 1955 oltre 28.000 bambini. Diverse migliaia le vittime. Nel solo 51 negli USA aveva colpito 21.000 persone; in Italia oltre 8.000 nel 1958.La poliomielite colpisce il sistema nervoso centrale e in particolare i neuroni del midollo spinale. Il contagio avviene per via oro-fecale: ingestione di acqua o cibi contaminati o tramite la saliva e le goccioline emesse con i colpi di tosse e gli starnuti da soggetti ammalati o portatori sani. La fascia più a rischio sono i bambini sotto i cinque anni di età. L’1% dei malati sviluppano paralisi, il 5-10% una meningite asettica. Un vaccino annunciato negli Stati Uniti nel 1934 si era rivelato inefficace, anzi letale.
Il Presidente Franklin Delano Roosvelt il 3 gennaio del 1938, costretto su una sedia a rotelle con una diagnosi di poliomielite – che in seguito sarebbe stata contestata – scrisse un appello sui quotidiani e fondò la National Foundation for Infantile Paralysis allo scopo di raccogliere fondi per la lotta alla malattia. La campagna, alimentata anche da volti noti, fece esplodere l’attenzione sulla poliomielite.Sabin era uno scienziato rigoroso ed intransigente.
Un’esplosione di contagi a New York lo aveva spinto a studiare la polio, dal 1931 presso l’University of Cincinnati, nello stato dell’Ohio. Il suo primo grande risultato fu capire che non si trattava di un virus respiratorio: ma che vive e si moltiplica nell’intestino. Aveva inaugurato l’epoca degli enterovirus. Ma allo scoppio della II Seconda Guerra Mondiale Sabin partì come ufficiale medico: sbarcò in Sicilia e poi a Okinawa, in Giappone; a Berlino aveva intanto assistito a una terribile epidemia di polio. Quando tornò in America riprese le sue ricerche armando un laboratorio con 10mila topi e 160 scimpanzé.
Mise a punto così un vaccino che si basava su ceppi indeboliti e che andava somministrato per via orale. Jonas Salk, ricercatore della University of Pittsburgh, aveva realizzato intanto tre vaccini, uno per ogni tipo fondamentale di polio, a partire da virus uccisi e conservati in formalina, che gli USA nel 1952 approvarono. Il farmaco di Salk tuttavia non preveniva il contagio iniziale e veniva somministrato tramite iniezione.A chiamare in causa gli sforzi di Sabin fu l’Unione Sovietica che, con altri Paesi dell’Est europeo, richiese allo scienziato di sperimentare il farmaco sulla sua popolazione. Fu un successo: il primo Paese a produrlo su scala industriale fu la Cecoslovacchia, poi la nativa Polonia, l’Urss stessa, la Repubblica Democratica Tedesca e la Jugoslavia. L’autorizzazione in Italia arrivò nel 1963, dal 1966 il vaccino divenne obbligatorio. In ritardo arrivarono anche gli Stati Uniti.Si vaccinarono milioni di bambini in tutto il mondo. L’ultimo caso negli Usa risale al 1979, in Italia al 1982.
Sabin divenne molto celebre: ricevette 40 lauree honoris causa, il Premio Feltrinelli, la Medaglia Nazionale per la Scienza. Divenne anche presidente del Weizmann Institute of Science di Rehovot, in Israele, e dopo la pensione continuò a studiare i tumori, il morbillo e la leucemia. “Non dobbiamo morire in maniera troppo miserabile – diceva – La medicina deve impegnarsi perché la gente, arrivata a una certa età, possa coricarsi e morire nel sonno senza soffrire”.
Se dolce come lo zucchero era il suo farmaco, altrettanto non era lui a quanto pare: dai modi spesso burberi, anche per una vita fin dall’infanzia segnata da drammatici sconvolgimenti che, non finirono in età adulta: la sua prima moglie, madre delle figlie Amy Deborah – chiamate come le nipoti uccise dalle SS durante la guerra – si tolse la vita trangugiando barbiturici nel 1966. Eredi dello scienziato vivono in Italia, tra Milano, Biella e Bologna. “Il vaccino di Sabin – si legge sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità – somministrato fino ad anni recenti anche in Italia, ha permesso di eradicare la poliomielite in Europa ed è raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità nella sua campagna di eradicazione della malattia a livello mondiale”.
Se Sabin così spesso viene tirato in causa in questi giorni è per la sua decisione di non brevettare la sua invenzione, rinunciando allo sfruttamento commerciale dell’industria farmaceutica. “Tanti insistevano che brevettassi il vaccino, ma non ho voluto. È il mio regalo a tutti i bambini del mondo”, disse e non guadagnò un dollaro dalla sua scoperta. Donò i ceppi virali all’Urss, superando le gare sull’orlo della Cortina di Ferro, tra Usa e Urss, in piena Guerra Fredda, e continuò a vivere del suo stipendio da professore.
Molti lo tirano quindi in ballo per la campagna vaccinale, e la penuria di farmaci, contro il coronavirus che avanza a fatica in queste settimane, questi mesi.La questione è argomento di dibattito ormai da mesi. Oxfam ed Emergency hanno scritto un appello al governo per la liberalizzazione dei brevetti “ponendo fine al monopolio delle case farmaceutiche. A cominciare dal vaccino italiano Reithera, in dirittura d’arrivo”. Un brevetto riconosce un monopolio: un’esclusiva di produzione, uso e vendita. Vale di solito 20 anni.
Questo meccanismo è considerato da molti economisti ed esperti un incentivo per investire nella ricerca. È anche vero però che molte ricerche vengono – e sono state, nel caso specifico – finanziate da ingenti investimenti pubblici.I vaccini sono anche farmaci poco redditizi rispetto a quelli che vengono assunti per una malattia cronica. I governi hanno in effetti la possibilità di sospendere momentaneamente il monopolio, da Risoluzione 58.5 dell’Assemblea Mondiale della Sanità (Ams). Una strada alternativa, come ha ricordato il Post in un lungo e approfondito articolo sulla questione, potrebbe essere una licenza su base volontaria da parte delle aziende farmaceutiche che permetta la produzione ad altre società.
Il dibattito è comunque molto più complesso di così e si ramifica in tutti i brevetti che possono esserci dentro un solo vaccino, nelle norme per gli stabilimenti industriali, negli accordi e le collaborazioni tra case farmaceutiche (Sanofi e Novartis si occupano dell’imballaggio e del confezionamento dei lotti di Pfizer e BioNTech, per esempio), nelle autorizzazioni in arrivo per altri vaccini.
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Meme(Corona)virus: Quando non è una barzelletta a far ridere, ma la realtà dei fatti.
Meme(Corona)virus: Quando non è una barzelletta a far ridere, ma la realtà dei fatti.
https://twitter.com/perchetendenza/status/1409448220707655687?s=20 Questo comunicato non era già valido da Marzo 2020, ah no?Strano… è dal primo lockdown che vedo usare la mascherina per tutto: para gomiti, orologio, bandana antisudore, passamontagna, costume da bagno, maschera di Batman, capello, borsa; tranne che per il suo reale utilizzo. Ne ho viste e ne sto vedendo di tutti i colori durante…
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#About Nocturnal People#autocombustione spontanea#Consigli a prezzi modici#coronavirus#coronavirus: quando il vero problema non è il virus#COVID-19#cucina mentale a basso prezzo#GIF#giugno 2021#l&039;Italia agli italiani#L&039;Italia è il paese che amo#liquefazione stagionale#ma la realtà dei fatti.#mascherina#mascherina FFP2#mascherine usate come oggetti d&039;arredo#news#News a 45° (gradi)#Nocturnal People#Noth#noth94#Perché al peggio non c&039;è MAI fine#Polase#Quello che non ti uccide ti CONTINUERÀ A ROMPERE I MARONI finché campi.
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MA DAVVERO PENSAVATE CHE NON SAREMMO STATI TUTTI CONTAGIATI DAL CORONAVIRUS?
Non so se per vile volontà o sapida insipienza dei media ma mi sono reso conto solo adesso che voi tutti vi state focalizzando sull’argomento coronavirus come se ci fosse davvero un modo per arginare quella che sarà un’inevitabile pandemia e mi accorgo come non ci sia nessuno che sia sufficientemente onesto a livello scientifico da ammettere che questo, ora, non è il vero problema.
Probabilmente qualcuno di voi è gia malato o comunque ha avuto a che fare con un soggetto infetto. Pace. Mettetevi. Il. Cuore. In. Pace.
I problemi ci saranno fra qualche settimana, quando la fila per il pronto soccorso di gente immotivatamente in panico partirà dalla nostra soglia di casa (e noi si abita lontani dall’ospedale) e allora dovrete solo sperare che non vi venga un infarto oppure di cappottarvi con la macchina perché in pronto soccorso saranno tutti troppo stremati e fuori di testa per pensare al vostro cuore o al vostro femore.
Tutti hanno voluto il tampone e non ci saranno più né tamponi per fare diagnosi differenziale da altre infezioni né più tecnici di laboratorio sani di mente perché gli avrete fatto scoppiare il culo di doppi e tripli turni.
La gente sarà avvelenata e marcia nel cuore perché non potrà farsi un aperitivo in centro o avere il pezzo di ricambio della macchina e passerà il tempo a guardarsi in giro sospettosa per individuare un untore, con occhi a mandorla o accento lombardo non importa più.
(Comunque le battute sui milanesi che gli ritorna nel culo hanno fatto ridere per i primi cinque minuti. Ora sono più vecchie e stantie del Grumpy Cat)
Tutti saremo untori, letteralmente, perché questo virus sarà ubiquitario - QUESTO vuol dire pandemia e il termine non riguarda minimamente la letalità o meno dell’infezione) e noi italiani saremo finalmente reiettati da tutto il resto del mondo per un qualcosa che non riguardi la supremazia del nostro bidet o il nostro saccente talebanesimo culinario.
Verremo contagiati in migliaia (decine di) e in poco meno di migliaia (decine di) guariremo, come sta succedendo ovunque.
Non mi piace semplificare e spiegare per dicotomica contrapposizione ma
POCO
PIÙ
DI UNA
BANALE
INFLUENZA
Vorrei tanto, però, che foste voi a notare il rapporto tra gli infettati, i morti e i guariti senza che fossero i media a fare retromarcia - su suggerimento degli economisti e dell’ente del turismo - passando da
LO STIVALE AFFONDA NELLA MERDA INFETTA!
a
ANDATE A SPENDERE! CIRCOLATE! NON C’È NESSUN VIRUS DA VEDERE!
Vi voglio pensare più intelligenti e razionali di così.
E so che lo siete o comunque che lo potete tornare a essere.
Quindi ora recitate con me:
Non devo avere paura, la paura uccide la mente. Il mio sistema immunitario è valente, per quanto io fossi solo preparato all’influenza stagionale.Guarderò in faccia la mia paura e mi prenderò cura degli immunodepressi con un comportamento responsabile. Aprirò il mio occhio interiore per guardare oltre il populismo egoistico di questa paura e quando questa sarà passata scruterò il percorso della mia rinnovata consapevolezza e tenderò la mano a chi è rimasto indietro, sano o convalescente che sia.
Vi lascio col mio solito augurio, che il vostro coltello colga sempre il cuore immeritevole e che il mio coltello sia sempre lontano dal vostro.
P.S.
Il mio amico che sta per immunodeprimersi con l’ultimo ciclo di chemio - sloghiamoci le dita su questo a forza di incrociarle - vi ringrazia dal profondo del suo linfoma quasi secco.
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27 ago 2020 19:14
“SI È PERSA LA MEMORIA DEI MORTI CHE ABBIAMO CONTATO” – IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO SUPERIORE DI SANITÀ, FRANCO LOCATELLI, SCONSOLATO DAI COMPORTAMENTI DEGLI ITALIANI: “STUPISCE LA TENDENZA AL NEGAZIONISMO: INDOSSARE LA MASCHERINA E MANTENERE IL DISTANZIAMENTO NON SONO COSE CHE VANNO AD ALTERARE LE LIBERTÀ INDIVIDUALI” – CRISANTI: “LE DISCOTECHE NON DOVEVANO PROPRIO APRIRE. LA COSTA SMERALDA È…”
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1 – «AUMENTANO I MALATI GRAVI FACCIAMO RISPETTARE LE REGOLE»
Mauro Evangelisti per “il Messaggero”
«Per natura io penso sempre che l'educazione e il convincimento siano più importanti della repressione. Però a un certo punto le regole vanno fatte rispettare». Il professor Franco Locatelli, luminare del Bambino Gesù (è direttore del dipartimento di Oncoematologia Pediatrica), membro del Comitato tecnico scientifico e presidente del Consiglio superiore di sanità, nei mesi difficili del lockdown, quando ciclicamente è comparso in tv, ha aiutato gli italiani a capire quanto stava succedendo. Ad avere fiducia anche nei giorni più difficili.
Ha spiegato le ragioni dei sacrifici che hanno quasi azzerato il numero dei contagi e, ancora più importante, delle vittime. Dopo qualche mese, però, l'Italia è cambiata: finito il tempo del Paese che reagiva compatto e coraggioso all'epidemia, che sosteneva i medici e gli infermieri e piangeva i morti, l'estate ha restituito immagini di movida, assembramenti, scarso rispetto delle regole, ribellione alla prudenza, aggressioni agli agenti che tentano di fare rispettare le norme. Fino alla deriva negazionista.
Professor Locatelli, quanto pagheremo questa avversità al rispetto delle regole scritte ma anche del buon senso?
«Se veniamo meno ai principi che ci hanno portato fuori da quella che era la fase critica, rischiamo di fare tornare il sistema sanitario nazionale e il Paese in una significativa difficoltà. Il virus ha continuato a circolare.
È bastato allentare un attimo l'attenzione e c'è stata la ripresa del numero dei contagi. Non solo: per quanto l'età dei casi positivi si sia abbassata, c'è stato anche un incremento dei malati gravi. Questo lo vediamo ormai ogni giorno, comprese le ultime 24 ore».
Servirebbero più severità e puntualità nel fare rispettare le regole?
«Personalmente credo molto di più nel convincimento e nella persuasione delle persone, rispetto a misure coercitive o a provvedimenti di carattere punitivo. Questo detto, però è chiaro che non possiamo pensare che la scarsa responsabilità di pochi metta poi a repentaglio e a rischio la salute di molti.
L'appello è a considerare sempre come preminente il rispetto di se stessi, degli altri e della memoria di chi non ce l'ha fatta. Bisogna avere sempre bene in testa che questo è un problema che continua a esistere.
La capacità di conviverci dipende largamente da ognuno di noi, fino a quando non ci sarà un vaccino disponibile. Più saremo in grado di farlo nella maniera più opportuna e prudente, più sarà meglio per tutti».
Giusto spiegare alla gente cosa sia giusto fare, ma poi le regole in qualche modo vanno fatte rispettare.
«Ovviamente, come tutte le regole, ogni volta che ci sono, vanno rispettate e vanno considerate le strategie perché questo rispetto sia garantito».
Secondo lei da dove nasce questa forma di ribellione, questo reagire in modo violento a un sacrificio per la verità non così pesante come indossare la mascherina o mantenere le distanze?
«Come dice giustamente, non si chiedono grandi sacrifici: indossare la mascherina, mantenere distanziamento e lavarsi spesso le mani non sono cose che vanno ad alterare le libertà individuali o a incidere in maniera così pesante sullo stile di vita di ognuno di noi.
Stupisce che ci sia questa tendenza al negazionismo, credo che tutti, lo dico anche a me stesso, dobbiamo avere responsabilità nella informazione e nella comunicazione e non fare passare messaggi fuorvianti».
Eppure, sono gli stessi italiani che hanno rispettato il lockdown, contribuendo a una sostanziale diminuzione del numero di positivi.
«Probabilmente i numeri bassi che abbiamo avuto attorno alla metà di luglio e il quasi azzeramento dei decessi hanno dato la falsa illusione che eravamo fuori dal problema. Ma dal problema non si è fuori, si è solo usciti dalla fase più drammatica, guai a ritornarci, a vanificare gli sforzi profusi. Guai a perdere altre vite».
Le immagini degli assembramenti arrivati da varie regioni d'Italia l'hanno colpita?
«Ðiciamo che si è persa la memoria di quanto è successo nel Paese e del numero dei morti che abbiamo contato in quei giorni. Forse dobbiamo tornare con la memoria a quel periodo e proprio dalla memoria farci guidare nei comportamenti. Ripeto: non si chiedono grandi sacrifici, ma solo buon senso».
2 – IN SARDEGNA CONTAGIO ANOMALO «COLPA DI TRAGHETTI E DISCOTECHE»
Mauro Evangelisti per “il Messaggero”
Il caso Costa Smeralda andrebbe studiato, andando ben oltre l'attenzione sui personaggi più conosciuti che si sono contagiati. La stima plausibile è che in una settimana si sono infettate 1.500 persone, alcune (per fortuna una piccola minoranza) sono finite in ospedale, anche in condizioni serie.
La carica virale, dice chi ha visto gli esiti dei primi tamponi, era alta in modo anomalo. Una rapidità di diffusione del coronavirus come quella che si è vista, nelle prime due settimane di agosto, tra Porto Cervo e Porto Rotondo, non ha eguali nel resto d'Europa, neppure negli altri epicentri della vita notturna, come Ibiza e Pago (Croazia).
Solo nel Lazio sono già stati intercettate 562 persone positive (giovani ma non solo) tornate dalla Costa Smeralda. Secondo l'assessore alla Salute del Lazio, Alessio D'Amato, che valuta ogni giorno il tasso di crescita dei nuovi infetti che vengono trovati con i tamponi eseguiti al porto di Civitavecchia, il conto finale sarà molto più alto.
«Ciò che è successo in Costa Smeralda è simile al caso della partita Atalanta-Valencia che si giocò a Milano e che, ormai si è dimostrato, ha moltiplicato drammaticamente a febbraio il numero dei contagi nella provincia di Bergamo».
Non c'è solo il Lazio: in Campania ieri 41 i positivi rientrati dalla Sardegna, una decina in Emilia-Romagna, un'intera famiglia nella Marsica. Conteggiando anche i dati dei giorni passati, la Sardegna ha restituito almeno 1.000 turisti positivi alle altre regioni. A questi si aggiungono i positivi che sono stati rilevati in Costa Smeralda, a partire ad esempio dai dipendenti dei locali più conosciuti come il Billionaire e il Sottovento.
In sintesi, una stima prudente parla di almeno 1.500 casi. Dalla Sardegna sottolineano: non è stata la Costa Smeralda a contagiare i turisti, ma sono stati i turisti a portare il virus. Probabilmente è vero, ma questo però non serve a comprendere i meccanismi del contagio di massa. Sarebbe molto più utile capire perché nei locali della movida si sia creato lo scenario perfetto per l'effetto moltiplicatore.
CAUSE
Secondo D'Amato i lunghi viaggi in traghetto possono avere alimentato, anche all'andata, il contagio, per questo oggi chiede un'intesa con la Sardegna per eseguire i tamponi agli imbarchi su chi ritorna. Ma l'accordo ancora non c'è, si sta perdendo tempo, il governo non interviene e l'estate sta finendo.
Secondo il professor Andrea Crisanti, docente dell'Università di Padova «gli spostamenti in traghetto non giustificano numeri così alti». Aggiunge: «E neppure si può pensare alla presenza di uno o due soggetti super-spreader, i famosi super diffusori che contagiano molte persone. I soggetti positivi di partenza erano molti di più».
La differenza rispetto ad altre regioni in cui comunque c'era la movida e i vacanzieri - dalla Romagna alla Puglia - allora può essere un'altra: «La Costa Smeralda è un punto di incontro, uno snodo, tra turisti che arrivano non solo da varie regioni, ma da tutta Europa. E poi certo, mi pare evidente che ci sia stato uno scarso rispetto delle regole, diciamo che la condivisione di eventi ricreativi non poteva che portare a questa situazione».
Feste in barca, feste nelle ville, feste in discoteca. «Mi ripeto: le discoteche non dovevano proprio aprire», dice Crisanti. Simile la posizione del professor Massimo Galli, infettivologo dell'Ospedale Sacco di Milano che a SkyTg24 dice: «Quelli come me che credono nel buon senso erano sicuri che non aprissero le discoteche e non si consentisse la movida. Ma non è stato così.
Al Nord della Sardegna le movide hanno avuto un risultato e in altri posti della regione non c'è stato. Un intera regione sta subendo pesanti conseguenze che non è difficile da imputare ad alcuni comportamenti sconsiderati». E secondo Marcello Acciaro, esperto dell'Unità di crisi della Sardegna, ora c'è un altro problema da affrontare: in Costa Smeralda ci sono decine di turisti bloccati perché positivi. «Il Governo preveda con urgenza un protocollo per il rientro protetto dalla Sardegna di positivi asintomatici e persone in quarantena: devono poter tornare a casa, hanno solo una valigia e vivono chiuse in una stanza, non è questa una condizione ottimale e dignitosa».
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TRE PICCOLI IMPRENDITORI ITALIANI CHE AFFRONTANO LA SFIDA DEL POST COVID-19
Oggi nel filone: LE INTERVISTE DI GWAM, vi vogliamo parlare della storia di tre amici: tre piccoli imprenditori italiani che di fronte al problema regionale, nazionale, mondiale del Coronavirus e del lockdown hanno reagito con lucidità e pragmatismo. LA STORIA DI TRE PICCOLI IMPRENDITORI ITALIANI CHE AFFRONTANO LA SFIDA DEL POST COVID-19 Gli imprenditori sono: Enzo, Augusto, Mimmo. Cosimo (Mimmo) Saracino, è il più giovane imprenditore del trio. 28 anni, di origine pugliese (Taranto) è il classico ragazzo del Sud che ha tentato la fortuna al di fuori dell'Italia. Tra Germania e Spagna ha cambiato qualcosa come 12 lavori e 20 dimore. Poi nel Saronnese ha concretizzato una sua folgorante ed innovativa ed emozionale idea: far provare a tutti l’ebbrezza di guidare una Super Car in pista. In meno di due anni la sua CarSchoolbox è diventata un riferimento nazionale; il suo parco auto dalle 2 auto iniziali è cresciuto fino ad avere oggi 9 auto; l’exploit della sua start-up è stato oggetto di studio nelle Università di Economia di Milano e Roma. Augusto Lotorto, 52 anni, di Saronno. Nel 1995 ha aperto la sua prima attività con un posteggio al Terminal 2 di Malpensa, attività che cederà nel 2003. Nel frattempo, nel 2001, a causa delle Torri Gemelle subisce una contrazione del lavoro e quindi attua una prima conversione della sua attività verso il servizio di NCC (Noleggio con conducente) e a seguire con la FlySafeBag entra nel settore della protezione ed avvolgimento valigie passando in 8 anni da 30 a 250 dipendenti e coprendo pressoché tutta l’Europa continentale. Nel 2008, decorsi i 5 anni di patto di non concorrenza cede l’attività di posteggio, crea la JetPark (che oggi conta 32 dipendenti) alla quale si dedicherà completamente dall'anno successivo perché, anche a seguito della nascita della sua quarta figlia, decide di vendere la FlySafeBag. Enzo Muscia è.…Enzo Muscia! È sicuramente il più famoso tra gli imprenditori dei tre. 50anni, ex dipendente, poi direttore commerciale, poi Titolare della A Novo Italia, specializzata nella assistenza post-vendita di prodotti elettronici. Qualsiasi cosa scriva qui su Enzo sarebbe fortemente riduttiva rispetto a tutto ciò che ha fatto e per come lo ha fatto, e che lo ha anche meritatamente portato ad essere nominato Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana. A lui e alla sua storia è stato dedicato anche il film TV “Il Mondo sulle spalle”, interpretato da Beppe Fiorello. Tre Amici, tre piccoli imprenditori, ognuno con la propria azienda ben avviata. Poi, improvvisamente e senza preavviso, arriva la mannaia del Coronavirus e del conseguente lockdown! L’attività di Mimmo si blocca, anzi, si azzera dalla sera alla mattina: piste chiuse; telefoni muti, prenotazioni rinviate. L’attività di Augusto, dopo qualche giorno dedicato alla restituzione della auto rimaste ferme nel posteggio - per es anche portandole fino al confine svizzero per consegnarle di persona ai legittimi proprietari - si blocca. Posteggi vuoti! L’attività di Enzo si è parzialmente bloccata: la Filiale di Torino chiusa, mentre la sede di Saronno, seppur con mille difficoltà ha continuato a lavorare. Che fare quindi come imprenditori? Disperarsi? Imprecare? Attendere passivamente i tanto sbandierati aiuti alle PMI? Nell'attesa di tutto ciò, ma consapevoli, per esperienze di vita, che i veri miracoli sono quelli che si compiono con le idee ed il lavoro, i tre piccoli imprenditori, Enzo ed Augusto dapprima, ma subito dopo i primi passi coinvolgendo anche Mimmo, si sono riuniti facendo il classico brainstorming e si sono chiesti: Cosa sta cambiando? Cosa c’é da fare in questo periodo di lockdown? Cosa cambierà per le aziende alla riapertura delle attività? Pensato...detto...fatto! Preso atto della nuova esigenza di dover proteggere i collaboratori in azienda è nata prima l’idea e poi la decisa volontà di mettere in contatto gli esperti necessari per risolvere questa nuova esigenza (i chimici; chi aveva già contatti con altre aziende; ecc..) e, in meno di una settimana il contorno dell’originaria idea è diventata una nuova srl: la NovOzone Srl, per la sanificazione ad ozono e la disinfestazione ambienti (aziende, scuole, uffici, capannoni) da virus, batteri, muffe. Pronta la società, pronta la sede, pronti i servizi, pronto il sito.
WALTER VALLI Ragazzi, che dire? La vostra fantasia, vitalità, voglia di fare, fa restare senza parole! Quindi, dite voi! Chi vuole parlare per primo? ENZO Parlo io per primo per dire che sapevamo che dentro di noi c’era la volontà di fare qualcosa che potesse poi durare nel tempo. Ed è così che cogliendo il cambio di cultura nell'ambito del vivere quotidiano, soprattutto laddove si passa gran parte del tempo di una giornata, cioè, oltre alla casa, il luogo di lavoro, si è deciso di non accodarci ai tanti improvvisati semplici venditori di mascherine, ma di creare una nuova realtà aziendale, fondata su due principi fondamentali per noi: la serietà e la professionalità. AUGUSTO Tutti e tre siamo abbastanza vulcanici e con la voglia di fare. E, complice il lockdown, durante i primi 45 giorni di blocco in noi è stata chiara la presa di consapevolezza che il mondo stava cambiando; che un così minuscolo organismo ci stava mettendo tutti in ginocchio e che quindi avremmo dovuto da imprenditori cambiare le nostre e abitudini e stili di vita, mettendo come priorità la necessità di tutelare i nostri cari e i nostri luoghi di vita e lavoro. Peraltro, l’ozono e la sanificazione non sono presidi medici che abbiamo inventato noi; noi abbiamo solo colto da imprenditori la necessità di portare la consapevolezza e l’utilità della sanificazione a chi ne ignora l’importanza. MIMMO Io posso solo dire che in Enzo e Augusto ho trovato non solo due “amici veri” ma anche due imprenditori “soci veri”. Perché forse per via delle nostre esperienze di vita o forse perché la vita ti fa sempre incontrare chi la pensa come te - e in quel caso devi capirlo subito - so che gli approcci alla vita in generale ed al lavoro in particolare, quali il sognare, il guardare in avanti, il crederci, il perseverare, sono sempre stati sia per me che per loro il vero motore del nostro agire. WALTER VALLI Si può quindi dire che tra di voi non c’è una mente e un braccio, siete tutti allineati, che avete tutti, dentro di voi, il “sacro fuoco degli imprenditori” e, quello che c’è da fare, si fa?? ENZO Si, sì, è così. Siamo tutti d’accordo nel vedere il famoso bicchiere sempre mezzo pieno e nel cogliere da un disastro generale come quello del Covid le nuove opportunità e poi farle, realizzarle. AUGUSTO Io vado oltre... ottimismo totale... e vedo l’acqua che tracima dal bicchiere e io la sto asciugando sul piano del tavolo. MIMMO Questo è il nostro spirito: non fermarsi a lamentarsi, ma rimboccarsi le maniche e fare. Nel nostro caso, tra di noi, abbiamo capito che l’unione fa davvero la forza; e come nuova opportunità di attività abbiamo cercato di capire cosa sarebbe servito, si ora subito ma poi anche per sempre, a noi stessi, cioè al comune cittadino come noi. WALTER VALLI Ma, ognuno di voi, prima o poi (ovviamente, si spera il più presto possibile!!) dovrà ri-occuparsi della propria attività originaria. Cosa e come avete pensato in merito? ENZO Questa nuova attività rimarrà x me, ma son sicuro di parlare anche per i miei due amici e soci, una “culla” che seguirò comunque in prima persona perché nelle cose che faccio mi piace sempre metterci la faccia al fine di garantire la continuità e la professionalità che mi ha sempre contraddistinto. AUGUSTO NovOzone rimarrà un’ottima ed autonoma struttura con compiti e ruoli ben definiti e con persone, che abbiamo già individuato, che saranno preposte nei ruoli chiave, perfettamente preparate e formate con specifici corsi adeguati al loro ruolo. MIMMO Anche io continuerò a seguire in prima persona NovOzone soprattutto perché questa nuova cultura impone che anche dopo questo virus si continui a sanificare gli ambienti in cui viviamo e lavoriamo. WALTER VALLI Siete giovani e pieni di energia e pienamente lanciati. Vi fermerete qui, o avete già altre idee e progetti nel cassetto? ENZO Certamente ne abbiamo altri. Questa situazione e questa nuova attività hanno già scatenato altre idee e progetti complementari a questo. Ma ciò che abbiano in testa è per ora è un “segreto industriale”. Te lo faremo sapere tra un po’.... AUGUSTO I veri imprenditori non trovano mai definitivo appagamento. Non appena un’attività è avviata, subentra la noia e si deve per forza intraprendere un altro percorso. Per questo so già che non mi fermerò qui. MIMMO Oramai il settore ambientale ci ha presi. Sappiamo già cosa altro fare. Vedrai.... WALTER VALLI Alla luce delle vostre esperienze di vita e professionali, secondo voi, IMPRENDITORI si nasce o si diventa? ENZO Si nasce. All 80% lo spirito imprenditoriale ce l’hai dentro dalla nascita. Poi è solo questione di tempo nel sapere individuare e cogliere l’occasione giusta. AUGUSTO Si nasce assolutamente. Se nasci tondo non puoi morire quadrato o viceversa. Io sono imprenditore da 25 anni (Mimmo allora aveva 3 anni). In ogni caso, per fare l’imprenditore devi essere un supereroe perché gli ostacoli sono tali e tanti, ma tu lo sai che sei un supereroe e che lo devi fare. Chi molla alla prima crisi vuol dire che era un imprenditore per caso. Il vero imprenditore è chi non molla mai e sa reinventarsi, soprattutto se è partito “senza soldi” o comunque senza un sostanzioso aiuto familiare dietro. MIMMO Concordo anche io: si nasce. E posso dire, per esperienza diretta, che si può essere anche dei dipendenti stipendiati ma con dentro lo spirito imprenditoriale che è quello che ti fa vivere il posto di lavoro con una pro attività di cui non puoi e non riesci a fare a meno. Poi, quando ti senti davvero pronto, un’ulteriore energia interna ti fa capire che “è il momento” di fare il salto, di mettersi in proprio! WALTER VALLI Ragazzi, che dire per finire? Non siamo ancora fuori dal lockdown. Alcune categorie forse non si riprenderanno più. Altre dovranno ridimensionarsi sensibilmente. Gli aiuti “pubblici” stentano e/o tardano ad arrivare. Ma voi avete non solo resistito, ma avete rilanciato! Qual’è il vostro slogan o messaggio a tutti i piccoli imprenditori? ENZO Riuscire a vedere “sempre” il bicchiere mezzo-pieno; sforzarsi di guardare così la vita. Lamentarsi, è veramente meno faticoso e più comodo, ma è completamente inutile. Prendeteci come esempio. Non corsi di magia, ma esempi concreti. Noi lo siamo. Una parola molto usata è: Resilienza. Ma non solo teorica, ma pratica. Giorno per giorno. Essere pratici, pragmatici, concreti, attivi, presenti sempre, e resilienti...tutti i giorni sul campo! AUGUSTO Diciamoci le cose come stanno: ogni piccolo imprenditore, se non ha soldi di famiglia propria non può stare a sperare negli aiuti delle banche e/o pubblici, quindi ci si deve “aiutare tra di noi”. Inoltre, bisogna avere un approccio molto diretto e pragmatico: definizione del problema, breve analisi, soluzione. Fondamentale in tutto questo processo è l’intuito personale, che è una cosa inconscia che la si ha o non la si ha; poi la caparbietà e l’esperienza fanno il resto. MIMMO Perseverare. Non abbattersi. Mai abbattersi. Rimboccarsi le maniche. C’è e ci sarà sempre un lavoro da fare. C’è sempre una luce in fondo al tunnel.
WALTER VALLI Ragazzi, è spettacolare ascoltarvi. Trasmettete un’energia incredibile. E, a sentirvi, sembra tutto facile. Ma in realtà so che non è assolutamente così. In ogni caso incarnate perfettamente lo spirito del fare italiano. So che ci sono tante belle parole in lingua inglese per descrivere tutto ciò che siete e fate ma qui voglio terminare con alcuni “slogan” in italiano che ben vi descrivono: in ogni attività imprenditoriale, ma soprattutto nelle PMI, il Capitale Umano è proprio al centro di tutto; per gli imprenditori non è importante solo il punto di partenza e di arrivo ma lo è soprattutto il Cammino, il Percorso! Read the full article
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La mia vita di prima (Articolo uscito su Le Monde il 19 marzo 2020) Sono a Milano, chiusa in casa con mio marito dal 22 febbraio. Per fortuna ci amiamo molto. Il mondo – come il resto d’Italia, da Roma in giù – ci prendeva per paranoici. Ma noi ci facevamo solo un sacco di domande. In tempi non sospetti abbiamo annullato tutti gli impegni e non ci siamo mossi di casa prima di qualsiasi decreto, se non per fare la spesa. Adesso qui è dura: il virus avanza, non ci sono più posti in terapia intensiva e mio marito ha settantadue anni. Eppure non siamo pentiti di questa scelta. Fin dall’inizio, ci è stato chiaro il problema. Bastava ascoltare i virologi. La mia vita di prima era molto diversa. E credo anche diversa da quella di molti altri scrittori. Partivo con le navi Ong, in mezzo al Mediterraneo. Prima con la Mare Jonio di Mediterranea, poi con le altre. Quando tutto è scoppiato, ero scesa da poco dalla Ocean Viking di Medici Senza Frontiere e Sos Méditerranée e all’inizio di marzo dovevo partire con Sea Watch. Era molto bello stare chiusa per un mese su una nave a salvare persone chiuse nelle prigioni libiche e poi chiuse su un gommone in avaria in mezzo al mare. Non si pensa mai a quanto stanno chiusi gli altri. Era una meravigliosa resistenza attiva. Questa invece è una terribile resistenza passiva. Posso salvare qualcuno solo se non faccio le cose. È più difficile, è un esercizio durissimo di equilibrio e senso di responsabilità. Tanti amici, in questi giorni, mi chiedono: Sei appena scesa da una nave Ong e hai paura del coronavirus? Sì, ho paura. Una paura che non ho mai avuto in mezzo al Mediterraneo. Nemmeno di notte, sul rhib, con il mare mosso, davanti a gommoni stipati o barchini di legno sul punto di rovesciarsi. Neanche quando la gente presa dal panico ci saltava sul gommone di salvataggio, rischiando di farci finire in acqua tutti, a gennaio, quando si entra in ipotermia nel giro di poco. A volte ho avuto paura per loro, questo sì. Ma mai per mio marito, mia madre, mio padre, mia nonna, i miei amici. Beh, questa è la paura che hanno loro. Loro che, traversata dopo traversata, hanno visto morire in mare genitori e figli, fratelli e amici del cuore. Finalmente l’ho capita. Non mi è bastato andare per tre volte in mezzo al Mediterraneo, non mi sono bastati sette rescue con Ocean Viking e uno con Mare Jonio, a nessuna distanza, specialmente sul rhib, con la gente che trema di fianco a te e ti scuote con il suo tremore, perché su un gommone di salvataggio si sta tutti incollati. Forse bisogna viverla su di sé, la paura: non c’è altro modo per raggiungerla in profondità. Ma i pensieri profondi, quelli che respiri a pieni polmoni come si respira l’aria del mare aperto o un virus, si rovesciano facilmente. Il Mediterraneo è un’emergenza continua, in Europa non siamo abituati a vivere in emergenza. Io, per fortuna, qualcosa ho imparato. Proprio un attimo prima, proprio per un pelo. Eppure non sono avvantaggiata: non mi è servito e non mi servirà a niente. Non mi servirà a difendere chi amo, purtroppo. Posso solo farmi delle domande diverse, collegando tragedia a tragedia, o non collegandole affatto. Tutto qui. (...) In mezzo minuto, mentre il resto del mondo ci prendeva in giro, abbiamo fatto la nostra scelta. I migranti non scelgono niente, non sono così fortunati. Pistola in faccia, partono. Ricordo due ragazze africane che sulla Ocean Viking mi raccontavano: «I libici ci avevano detto che saremmo partite su uno yacht. Quando abbiamo visto quel barchino di legno di sei metri siamo scoppiate a piangere». La grande differenza è che noi abbiamo delle scelte che si possono fare. Non so se ho fatto la scelta giusta, per difendere mio marito, l’uomo che amo. Non lo so. So solo che l’abbiamo fatta molto prima di ogni obbligo, quando si poteva ancora scegliere. Bello scegliere, vero? Ora, forse, che le frontiere chiudono a chiunque, abbiamo una grande occasione per riflettere. Ora che siamo tutti su un gommone in avaria o su un barchino di legno sul punto di rovesciarsi. Di riflettere insieme, magari.
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I dati, il metodo scientifico e l’indagine sierologica
(di Alessandro Capezzuoli, funzionario ISTAT e responsabile osservatorio dati professioni e competenze Aidr) La scienza, parola che deriva dal latino scire, sapere, è basata sulla condivisione. Il sapere e la conoscenza non condivisi sono di scarsa utilità alla crescita collettiva. Newton, in una lettera indirizzata a Robert Hooke, scrisse una frase che sintetizza perfettamente questo concetto: “Se ho visto più lontano, è perché stavo sulle spalle di giganti”. La conoscenza collettiva è alla base di qualsiasi scoperta scientifica perché permette agli studiosi di condurre delle ricerche fondate su una qualche tipo di intuizione, che deriva dagli errori e dagli studi condotti e documentati da altri. Ci sono pochissime intuizioni che danno un’accelerazione a questo processo e cambiano radicalmente il modo di pensare. Il metodo scientifico, di cui Galileo Galilei è stato il protagonista, ha rappresentato uno dei cambi di paradigma più importanti della storia della scienza, una vera rivoluzione culturale attraverso la quale la matematica ha sostituito la filosofia nella descrizione dei fenomeni naturali. Si può dire che la scienza moderna derivi dall’intuizione di Galileo, il quale sosteneva che “Tra le sicure maniere per conseguire la verità è l'anteporre le esperienze a qualsivoglia discorso, essendo noi sicuri che in esso, almanco copertamente, sarà contenuta la fallacia, non essendo possibile che una sensata esperienza sia contraria al vero”. In sostanza, Galileo sostiene con sicurezza che qualsiasi tipo di discorso (filosofico) contenga “la fallacia”, mentre la “sensata esperienza” sia l’unico strumento per conseguire la verità. Un pensiero di questo tipo, in quell’epoca, fu rivoluzionario quanto le parole che Gesù predicò molti secoli prima: infatti Galileo lo pagò salatamente non con la crocifissione ma con la scomunica e con la successiva costrizione all’abiura. L’osservazione è la condizione di partenza per lo studio di qualsiasi fenomeno. Attraverso l’osservazione è possibile porsi delle domande sulla base delle quali si possono formulare delle ipotesi. Nel momento in cui sono chiare le ipotesi, poiché di solito i fenomeni fisici, chimici, biologici o sociologici sono molto complessi, è necessario schematizzare il fenomeno per ridurre il livello di complessità: basti pensare al lancio di un oggetto e allo studio della sua traiettoria, che dipende dalla forma, dall’attrito, da eventuali perturbazioni e che viene schematizzata nella traiettoria di un oggetto puntiforme. La schematizzazione consente di costruire un modello semplificato, modificabile all’occorrenza per inserire ulteriori gradi di complessità. La veridicità delle ipotesi è subordinata alla verifica sperimentale, che consiste nella misura, nella rilevazione dei dati e nella successiva analisi. I dati possono confermare o smentire l’ipotesi: nel primo caso si può formulare una legge e fare delle previsioni, nel secondo caso occorre riformulare l’ipotesi.
Questo lungo preambolo è utile per porsi una domanda: è stato applicato il metodo scientifico per affrontare l’epidemia legata al coronavirus? La risposta è no, purtroppo. In mancanza di un’osservazione equilibrata dettata dalla ragione e non dalla paura, in mancanza di un’ipotesi adeguata formulata consapevolmente e non emotivamente, in mancanza di un metodo per indagare le caratteristiche della diffusione dell’epidemia e degli individui coinvolti, in mancanza di un sistema nazionale unico di attribuzione delle cause di morte, la rilevazione e l’analisi dei dati non sono state strutturata col giusto rigore scientifico. La conseguenza di questo errore macroscopico è evidente: da un esperimento sbagliato non è possibile formulare conclusioni corrette, se non accidentalmente. Questa evidenza incontrovertibile è stata totalmente ignorata in occasione dell’emergenza: la conseguenza è stata l’adozione di misure medievali, a volte cieche, che forse hanno contenuto l’epidemia o forse hanno dato l’impressione di contenerla. Anche in questo caso, mancando il rigore del metodo scientifico, non sarà mai possibile dare una risposta esatta, come fece ad esempio Newton, formulando il principio di gravitazione universale, osservando, come narra la leggenda, la celebre mela cadere a terra. A distanza di due mesi dall’inizio dell’epidemia, il governo ha affidato all’Istat e all’Istituto Superiore di Sanità l’incarico di condurre un’indagine sierologica sulla popolazione: meglio tardi che mai. Quali sono gli obiettivi dei decisori politici? Cosa si aspettano di ottenere dai risultati dell’indagine sierologica? L’Istat sostiene che “L’obiettivo dell’indagine è capire quante persone hanno sviluppato gli anticorpi al Coronavirus, anche in assenza di sintomi. Attraverso l’indagine si otterranno informazioni necessarie per stimare le dimensioni e l’estensione dell’infezione nella popolazione e descriverne la frequenza in relazione ad alcuni fattori quali il sesso, l’età, la regione di appartenenza, l’attività economica.”. È ormai evidente che, rispetto all’epidemia, le decisioni politiche sono state prese navigando a vista, sulla base di scenari più o meno veritieri ottenuti attraverso dati deboli e quindi poco affidabili. L’indagine sierologica dovrebbe rilevare i dati in modo più strutturato, per stimare quante persone sono immuni nel Paese. In questo momento, commissionare all’Istat e all’ISS la stima degli individui immuni è un obiettivo giusto perseguito al momento giusto, o è l’ennesimo tentativo di rincorrere qualcosa con estremo ritardo in un momento in cui i ragionamenti da fare sarebbero altri? Non c’è dubbio che, per quanto riguarda gli aspetti statistici, avere un’idea orientativa della fascia di popolazione esposta al rischio di contagio, ammesso che gli anticorpi al coronavirus garantiscano una certa immunità nel tempo, potrebbe avere un certo interesse. Il problema principale, però, riguarda l’utilità di questo tipo di rilevazione in un momento in cui è necessario guardare più avanti, per guidare la fase post epidemica e avere un quadro chiaro delle misure sociali ed economiche da predisporre nel futuro immediato e nel caso in cui si verifichi una seconda ondata. Perdipiù, c’è da dire che si tratta di un’indagine campionaria e che “II disegno del campione effettuato dall’Istat prevede l’osservazione di 150.000 individui sull’intero territorio italiano. Le informazioni raccolte saranno essenziali per indirizzare politiche a livello nazionale o regionale e per modulare le misure di contenimento del contagio. I risultati dell’indagine, diffusi in forma anonima e aggregata, potranno essere utilizzati per successivi studi e per l’analisi comparata con altri Paesi europei.”. Questo aspetto è abbastanza dirimente e influenza ulteriormente i risultati e gli obiettivi della ricerca che verrà svolta. Un’indagine statistica può essere condotta sull’intera popolazione o su un campione rappresentativo di individui: in quest’ultimo caso, non essendoci le risorse economiche per effettuare dei test sull’intera popolazione, la rappresentatività e il disegno del campione hanno un ruolo centrale almeno al pari dell’affidabilità degli strumenti di misura (in questo caso l’efficacia e l’accuratezza del test sulla quale è in corso un dibattito scientifico). Attraverso l’indagine campionaria si fotografa la situazione a un certo istante, ma la fotografia, anche se sarebbe più corretto dire “misura”, dello stato epidemiologico in un momento preciso, potrebbe non avere una grossa valenza, perché la situazione cambia rapidamente e (forse) prevedibilmente attraverso modelli di natura differente. Insomma, le variabili in gioco sono molte, troppe. Si va dalle mutazioni imprevedibili del virus all’innalzamento delle temperature, dagli aspetti territoriali e urbanistici a quelli ambientali e industriali, e, purtroppo, non è possibile schematizzare rigorosamente e scientificamente il fenomeno sulla base di un campione casuale che non tenga conto di queste vulnerabilità. L’arco temporale in cui viene fotografata la situazione, oltretutto, corrisponde alla coda del fenomeno, quindi rappresenta più un esercizio di stile che non un servizio di utilità. Per fare un parallelismo con la fisica, è come tentare di descrivere le variazioni di temperatura di un liquido attraverso una singola misura, quando il liquido si è raffreddato, utilizzando un termometro con una sensibilità molto bassa e un tempo di risposta lunghissimo. Probabilmente, l’indagine sierologica, in questo momento, potrebbe non essere lo strumento migliore per fare chiarezza rispetto ai numerosi buchi di conoscenza introdotti dai dati rilevati dall Protezione Civile e quasi certamente non lo è per dare delle risposte adeguate alle tante questioni relative alla fase post epidemica. Lo sarebbe stata, se avesse avuto le caratteristiche di un’indagine continua avviata al momento giusto, cioè all’inizio dell’epidemia E pur si muove, avrebbe detto Galileo Galilei, battendo il piede sulla terra e sorridendo beffardamente dopo l’abiura, sempre più convinto del suo metodo scientifico. Read the full article
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Come interpretare i dati sulle morti da coronavirus
La letalità apparente e quella reale di COVID-19. I dati sulla pandemia comunicati dalle autorità di tutti i paesi colpiti hanno finito per generare nella popolazione una notevole confusione su quale sia l’effettivo andamento della pandemia. Qui, quattro scienziati esperti nel maneggiare dati statistici e modelli offrono una chiave di lettura per chiarire la complessa relazione fra la cosiddetta letalità apparente di COVID-19 e quella reale. I dati relativi alla pandemia di Covid-19, forniti per esempio dalla John Hopkins University, mostrano che la letalità apparente, dipendente dal tempo (definita come il numero cumulato di decessi fino a un dato momento diviso per il numero cumulato di persone trovate infette fino allo stesso momento) cresce con il passare dei giorni in molti paesi. Possiamo per esempio partire dalla constatazione del fatto che in Italia la letalità apparente è cresciuta del 20 per cento nell’ultimo mese.
E’ opportuno cominciare con alcune osservazioni preliminari e cautelari. In primo luogo, non abbiamo motivo di credere che quella che qui chiamiamo "letalità apparente" sia in qualche modo vicina alla vera letalità dovuta al Covid-19. Non sappiamo affatto quanti individui siano stati realmente infettati dal virus (e questa è, allo stato attuale dell'evoluzione della pandemia, una delle cose che vorremmo davvero sapere quanto prima). Quello che conosciamo è il numero di risposte positive che otteniamo dai test effettuati in un dato numero giornaliero secondo un protocollo specifico. Il numero reale di persone infette è sicuramente molto più grande e, di conseguenza, la vera letalità è probabilmente più piccola di quella che citiamo qui.
Figura 1 Letalità apparente come funzione del tempo per diversi paesi. Sull’asse orizzontale il giorno dell’anno 2020, dove 1 è il primo gennaio Questo non è un problema per il nostro ragionamento, poiché non ci interessa una normalizzazione assoluta, purché i protocolli usati per i test non cambino troppo nel tempo (a volte sono cambiati nel passato e questo si vede leggermente in alcuni dati, senza produrre, tuttavia, nessun effetto importante, tale da invalidare il nostro ragionamento). Possiamo inoltre confrontare diversi paesi a condizione che i protocolli usati per i test in questi paesi e il numero di test eseguiti non sia troppo diverso (in pratica un po’ diversi lo sono e questo può, di sicuro, spiegare alcune delle differenze che osserviamo; commenteremo ulteriormente su questo). Di recente si è discusso del fatto che anche il numero di decessi è sicuramente sottostimato, ma probabilmente di un fattore minore rispetto alle persone infette. Il numero dei decessi potrebbe essere in media sottovalutato di un fattore vicino a due o più piccolo, mentre il numero degli infetti è probabilmente sottostimato di una quantità molto grande, che ci aspettiamo possa dipendere fortemente dal tempo. È chiaro che l'aumento della letalità nel tempo non corrisponde alle nostre aspettative e, se fosse reale, sarebbe una pessima notizia. Durante la crisi pandemica si sviluppano nuove competenze, l'uso appropriato dei farmaci viene migliorato grazie all'esperienza clinica, e anche la crisi che alcuni sistemi sanitari hanno vissuto in diversi paesi non può spiegare una crescita persistente della letalità.
Figura 2 Una stima dell'evoluzione della letalità apparente secondo il semplice modello descritto nel testo. Curva arancione: le nuove infezioni stimate in Italia attraverso il modello (ridimensionate di un milione) hanno un picco al giorno del lockdown (11 marzo). Curva blu: la letalità apparente, dipendente dal tempo, cresce molto mentre l'epidemia si indebolisce Nella figura 1 mostriamo la letalità apparente per diversi paesi in funzione del tempo (sull'asse delle x riportiamo il giorno dell'anno). Si vede subito che c'è un chiaro e forte aumento di questa letalità stimata, dipendente dal tempo, per tutti i paesi che abbiamo analizzato. La letalità complessivamente si estende su una vasta gamma di valori (e questo può dipendere in parte dal modo in cui i diversi paesi misurano e segnalano le persone infette e i decessi legati a COVID-19), ma per tutti i paesi l'aumento è chiaro e sostanziale. I dati hanno caratteristiche interessanti: per esempio, nei paesi con una bassa letalità apparente si osservano fluttuazioni intrinseche molto più piccole rispetto alla maggior parte dei paesi ad alta letalità, come si può notare confrontando per esempio i dati per la Germania o la Svizzera con quelli per la Svezia o la Francia (il Belgio include sistematicamente fra i decessi Covid-19 i cosiddetti “casi sospetti”, e cioè le morti con chiari sintomi Covid-19 ma senza certificazione). Nel periodo di 50 giorni mostrato in figura 1 la letalità stimata cresce di un fattore enorme, per esempio circa tre per la Spagna e circa quattro per il Regno Unito. Questo non ha alcun senso a prima vista. Nel seguito diamo una spiegazione molto ragionevole di ciò che crediamo stia realmente accadendo, e vedremo che ha davvero senso: non possiamo essere sicuri che sia la risposta giusta, ma crediamo che sia un'ipotesi molto appropriata. Esattamente lo stesso argomento può essere applicato alla situazione di Wuhan, all'inizio dell'epidemia, quando la letalità è stata stimata tra il 4 e il 5 per cento (rispetto allo 0,9 per cento del resto della Cina). Cerchiamo quindi di capire perché la letalità apparente dipende così tanto dalla data. Daremo qui una spiegazione qualitativa, ma le formule a sostegno del nostro ragionamento non sono troppo complicate. Ipotizziamo, per semplificare l’esposizione, che i decessi arrivino sempre 12 giorni dopo che la malattia è stata confermata da un test (si tratta di una semplificazione eccessiva, poiché il ritardo effettivo varia molto da un paziente all'altro, ma i risultati non dipendono da questo presupposto). Si assuma anche per semplicità (è banale generalizzare il ragionamento a situazioni diverse) che nella fase iniziale delle epidemie il numero di persone infette raddoppi ogni tre giorni (la cosiddetta crescita esponenziale con un tempo di raddoppio pari a 3 giorni).
Figura 3 Numero di decessi normalizzati al numero di decessi nel giorno del lockdown in funzione del numero di giorni dopo la chiusura totale Questi sono numeri arbitrari, che non hanno a che fare con la realtà, e sono utili solo a discutere il nostro esempio in modo semplice. Quindi se avessimo, per esempio, una vera letalità dell'1 per ci aspetteremmo di vedere oggi un numero di morti pari al numero di persone che si sono sottoposte al test dodici giorni fa moltiplicato per 0,01. Questo se ipotizziamo di avere una perfetta efficienza del nostro sistema di test (una situazione ideale molto diversa da quella reale), dove ogni giorno controlliamo l'intera popolazione, tale che il numero di infezioni rilevate sia pari al numero reale di infezioni. In questo caso il numero di infezioni (rilevate e reali) 12 giorni prima era 16 volte inferiore al numero di infezioni che abbiamo oggi (il raddoppio è ogni tre giorni, e in 12 giorni abbiamo il tempo di avere 4 raddoppi, cioè un fattore 2 per 2 per 2 per 2 per 2, che è pari a 16). Quindi nelle condizioni di una crescita esponenziale, la letalità apparente che misureremmo con un perfetto rilevamento delle infezioni e dei decessi è 1/16 del vero 1 per, cioè, 0,0625 per cento. Ora, che cosa succede quando l'aumento esponenziale rallenta, per esempio grazie alle misure di contenimento e alla fine dell’epidemia che tutti sperano si avvicini? E' chiaro che in questa situazione la letalità apparente stimata dividendo il numero dei morti per il numero dei contagiati nello stesso giorno si avvicina al valore reale. Quindi la letalità diventa accuratamente stimata su tempi lunghi. Ripetiamo che nel nostro caso abbiamo un fattore costante tra letalità apparente e letalità reale di cui non possiamo rendere conto, poiché non conosciamo realmente il numero di persone infette. Ma quello che possiamo dire è che quando siamo fuori dal regime di crescita esponenziale le stime giorno per giorno della letalità tendono a una costante, che saremo in grado di connettere alla vera letalità di Covid-19 quando avremo una stima corretta del numero di infezioni. In questo modo il regime di crescita esponenziale provoca una sottostima della letalità e quando la crescita esponenziale si arresta, allora la letalità apparente deve aumentare e avvicinarsi a un plateau. L'appiattimento della letalità apparente, dipendente dal tempo, è quindi un segnale che l'epidemia è in uno stato stabile, e che la sua velocità di propagazione ha smesso di crescere. E questo è il caso di tutti i paesi con una elevata letalità apparente (quelli mostrati nella parte superiore della figura 1). L'evoluzione per i paesi con letalità apparente molto bassa (per esempio Germania, Svizzera e Stati Uniti) è più fluida, per cui la distinzione tra il regime di crescita e il plateau è meno chiara. Tuttavia il risultato generale che si trova, e questo è notevole, è che l’aumento della letalità apparente è legato alla diminuzione della forza della epidemia. Anche in questo caso, il fatto che il valore stimato sia elevato non è rilevante finché non si misura con buona precisione il numero di infezioni: probabilmente quando saremo in grado di ottenere stime precise si scoprirà che il numero di infezioni è sottostimato di un fattore di ordine dieci.
Figura 4 Come in Figura 3, ma il numero di decessi è normalizzato a quelli di dieci giorni dopo il lockdown Possiamo avvalorare il nostro ragionamento grazie a un modello molto semplice che è stato recentemente proposto per descrivere il rallentamento dell’epidemia dopo il lockdown totale. Questo modello matematico, così come applicato in Italia, è stato utile per cercare di stimare gli effetti del lockdown (che a livello nazionale è iniziato in Italia l'11 marzo 2020); il modello è stato usato per quantificare la situazione il 10 aprile e in quel giorno ha dato una descrizione molto accurata della situazione, e risultati coerenti. In sintesi, in questo modello si implementa una crescita esponenziale prima del lockdown con due diversi tassi di crescita: una crescita più rapida prima della chiusura delle cosiddette "zone rosse" (26 febbraio) e una più lenta dopo tale data. I due tassi di crescita sono stati ricavati dai dati. Dopo la chiusura completa sono stati proposti quattro diversi scenari, con l’epidemia che decresce con tassi diversi, e lo scenario ottimale è stato determinato dalla consistenza con i dati reali. Il 10 aprile la risposta alla domanda è stata che sì, il modello descriveva in modo molto accurato i dati disponibili, usando un tempo di 7 giorni per il dimezzamento dei nuovi casi giornalieri (probabilmente questo numero sarebbe leggermente più alto se venisse stimato oggi). Con la curva arancione della figura 2 mostriamo l'evoluzione del numero di persone infette nel modello (riscalate di un fattore di un milione). Per verificare le idee che presentiamo qui abbiamo calcolato la letalità apparente, dipendente dal tempo, che un tale modello, addestrato sui dati reali, implicherebbe. Abbiamo diviso il numero di decessi previsti dal modello per il numero di casi positivi rilevati. Anche in questo caso non conosciamo la normalizzazione globale del numero di infezioni, e possiamo solo guardare come cambiano nel tempo: la scala globale è, quindi, arbitraria. Mostriamo la letalità apparente, dipendente dal tempo, predetta dal modello in figura 2 con una curva blu. Esattamente come avviene nei dati reali la letalità apparente stimata dal modello cresce con il tempo dopo il lockdown quando l’epidemia sta rallentando. Crediamo che questo, si spera, chiarisca completamente la situazione della crescita della letalità apparente. Aggiungiamo anche una seconda osservazione, cercando di quantificare l'effetto del blocco nei diversi paesi. Analisi molto interessanti sugli effetti di chiusura totale sono state fatte da Serena Bradde e Benedetta Cerruti e da Pedro Fonseca. Loro usano una normalizzazione diversa dalla nostra, ottenendo risultati complementari ai nostri. Ancora una volta basiamo la nostra analisi sui dati raccolti dalla John Hopkins University, mentre otteniamo le date del blocco dal Lockdown Tracker di Aura Vision (per la Germania usiamo il 23 marzo come data della chiusura totale, visto che solo in quel giorno la grande maggioranza dei Laender ha implementato misure completamente restrittive). In che modo l'isolamento ha influenzato la progressione del numero di morti? Per verificare i nostri risultati, normalizziamo il numero totale di morti sia al numero di morti al momento dell'isolamento (se l'isolamento è stato implementato a zero morti, lo normalizziamo a uno) sia al numero di morti al decimo giorno dopo l'isolamento. Mostriamo le due serie di curve nelle figure 3 e 4. Le figure 3 e 4 sono in effetti molto simili, a dimostrazione del fatto che la scelta del momento che usiamo per normalizzare i nostri dati è ragionevolmente irrilevante. Vediamo che un gruppo di paesi (Germania, Italia, Svizzera, Regno Unito e in qualche misura Spagna) sembra aver reagito in modo molto simile, mentre in altri paesi la crescita del numero di morti rispetto al giorno dell'isolamento (o a dieci giorni dopo) è stata più rapida. Chiaramente ci sono possibili fonti di grande errore e diversi modi di leggere questi dati di isolamento, ma riteniamo che l'analisi di questo comportamento offra prospettive interessanti. Questa nota è stata scritta utilizzando i dati del 3 maggio 2020, provenienti dall’archivio github. Si ringrazia calorosamente Marco Cattaneo per una conversazione molto interessante che ha contribuito a motivare questo lavoro e per un'attenta e gentile lettura del nostro manoscritto, e Benedetta Cerruti per interessanti conversazioni e utili consigli. Gli autori: Luca Leuzzi, fisico teorico, è ricercatore all’Istituto di nanotecnologie CNR-Nanotec di Roma e insegna all’Università di Roma “Sapienza”. Enzo Marinari insegna fisica all’Università di Roma “Sapienza”, e svolge attività di ricerca all’Istituto di nanotecnologie CNR-Nanotec di Roma e alla sezione di Roma1 dell’INFN. Giorgio Parisi professore emerito all'Università Sapienza di Roma, svolge attività di ricerca all’Istituto di nanotecnologie CNR-Nanotec di Roma e alla sezione di Roma1 dell’INFN. Federico Ricci-Tersenghi insegna fisica all’Università di Roma “Sapienza”, e svolge attività di ricerca all’Istituto di nanotecnologie CNR-Nanotec di Roma e alla sezione di Roma1 dell’INFN. Read the full article
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