#conflitto siriano
Explore tagged Tumblr posts
pier-carlo-universe · 1 month ago
Text
Il frutteto di Damasco: un racconto di resilienza e libertà. Recensione di Alessandria today
Un viaggio emozionante attraverso le storie intrecciate di Aissa e Nermine, sullo sfondo di una Siria ferita ma piena di speranza.
Un viaggio emozionante attraverso le storie intrecciate di Aissa e Nermine, sullo sfondo di una Siria ferita ma piena di speranza. Una storia tra guerra e speranza.Nel romanzo “Il frutteto di Damasco”, l’autrice Camille Neveux dipinge con maestria le vicende di due generazioni unite dal dolore e dal desiderio di libertà. Ambientato tra la Siria degli anni ’90 e il Libano del 2023, il libro…
0 notes
raffaeleitlodeo · 22 days ago
Text
Tumblr media
Un’Europa sottomessa e senza bussola
Gli europei non si accorgono neppure più dove stanno andando, o forse fanno finta di non saperlo: sono un po’ sonnambuli e un po’ sottomessi al loro destino. Siamo all’agonia della politica estera comune europea, che per altro non è mai esistita, cullando nel settore difesa l’idea di una Banca per il Riarmo destinata a divorare altre risorse. Hanno sempre seguito l’agenda americano-israeliana, dall’Est Europa al Medio Oriente, e ora ne pagano le conseguenze.
La loro disonestà è tale da pensare che la guerra in Ucraina sia cominciata il 24 febbraio 2022 e non quando, nel gennaio 2014, il sottosegretario di Stato Usa Victoria Nuland, in una conversazione con il suo ambasciatore a Kiev, pronunciò la ormai famosa frase «Fuck the Eu», letteralmente «l’Unione europea si fotta».
Si discuteva ancora di un accordo tra il governo ucraino del filo-russo Viktor Janukovich e l’opposizione. Allora non c’era Trump alla Casa bianca ma Barack Obama e il suo vice era Joe Biden, che accorse a Piazza Maidan a celebrare il primo anniversario delle proteste mentre suo figlio Hunter guadagnava milioni di dollari in Ucraina nel settore energetico. E ora vorremmo stupirci se Trump trascina Zelensky a firmare l’accordo multi-miliardario sulle terre rare mentre Putin, diventato ormai a Washington un «volenteroso dittatore», si offre di portargli quelle in possesso dei russi? Chi più ne ha più ne metta mentre ognuno si fa i propri conti in tasca e Macron, nella sua visita da Trump, reclama che l’Europa ha versato all’Ucraina il 60 per cento degli aiuti, più degli Stati uniti.
Ma il presidente americano si tappa le orecchie: questa guerra, nonostante le copiose commesse all’industria bellica americana, è un «cattivo affare» e bisogna chiuderla. C’è da pensare alla Cina. A raccontare la favoletta della «pace giusta» ormai insistono solo i giornali del mainstream, spiazzati dagli eventi. Ma quale pace giusta? Gaza e la Palestina sono la prova che in Europa non ci crede nessuno.
La sottomissione europea al complesso militar-industriale israelo-americano è totale. Pochi giorni dopo il massacro di Hamas del 7 ottobre, Biden spostava le portaerei nel Mediterraneo orientale e stanziava miliardi di dollari di aiuti militari per Israele: gli Stati uniti si sono immediatamente schierati non per la pace ma per una escalation del conflitto. E noi europei con loro, mascherando i nostri aiuti a Israele dietro la ormai sfiorita formula «due popoli e due stati». Il complesso militar-industriale israelo-americano si è schierato all’Onu con Putin e le dittature perché tra un po’ gli Usa riconosceranno l’annessione israeliana della Cisgiordania.
Chiediamo giustamente a Putin di ritirarsi dai territori occupati in Ucraina ma Israele occupa il Libano, ha esteso la sua presenza nel Golan siriano e si sta divorando la West Bank. Giustifichiamo tutto questo con la necessità di Israele di preservare la sua “sicurezza”, le stesse argomentazioni che usa Putin quando chiede alla Nato di tenersi lontana dall’Ucraina. Non è un caso che contro la risoluzione all’Onu che difendeva l’integrità territoriale dell’Ucraina abbiano votato contro Usa e Israele insieme a Russia, Bielorussia, Mali, Nicaragua, Corea del Nord e Ungheria (Iran e Cina si sono astenuti, si presume per la vergogna).
Il Consiglio di Sicurezza ha poi approvato una brevissima risoluzione degli Stati uniti che chiede la «rapida fine della guerra», senza però citare la Russia come aggressore e senza far riferimento alla sovranità territoriale di Kiev. Francia e Gran Bretagna, che avrebbero potuto porre il veto, hanno preferito astenersi, spianando la strada alla versione di Trump che piace tanto a Israele. Da notare il doppio binario dell’Italia. Stiamo con l’Unione europea ma Meloni, con la scusa del Forum con gli Emirati, si è sfilata dalla cerimonia di Kiev per il terzo anniversario della guerra: prendiamo 40 miliardi di dollari di mancia dagli sceicchi membri del Patto di Abramo con Israele e la premier incassa le lodi sperticate di Trump.
Cosa volete di più? È il manuale della giovani marmotte di Trump. La Ue paga anni di sottomissione a Usa e Israele: Trump è l’anello mancante di decenni in cui abbiamo giustificato, partecipato o avallato guerre di occupazione e aggressione, dall’Iraq alla Libia, dall’Afghanistan alla Palestina, provocando la disgregazione di interi paesi e popoli, centinaia di migliaia di morti e milioni di profughi. Basti pensare all’Iraq nel 2003, dove tra i soldati si contava pure un nutrito contingente di ucraini. Fu un conflitto per «esportare la democrazia» che ha precipitato la regione nell’anarchia e nel terrorismo integralista più feroce.
In un momento in cui ci si indigna per le bugie e i travisamenti della realtà di Trump, bisogna ricordare che la guerra del 2003 fu la più grande fake news della storia recente, quando gli Usa giustificarono l’attacco con una campagna di stampa e propaganda mondiale che sbandierava il possesso da parte di Saddam Hussein di armi di distruzione di massa che non furono mai trovate. Venne persino esibita all’Onu dal segretario di stato Powell una falsa provetta con armi chimiche. Una tragica commedia. Nessuno dei responsabili ha mai pagato – né Bush né Blair – e abbiamo partecipato a quella guerra e alle altre senza fiatare. Ora ci tocca accettare le bugie di Trump e gli insulti del suo vice Vance a Monaco: sanno con chi hanno a che fare. I sottomessi europei. Alberto Negri, ilmanifesto.it, 26/02/2025
44 notes · View notes
curiositasmundi · 3 months ago
Text
Tommaso Merlo
Dopo anni di guerra al terrorismo islamico, in Siria sta nascendo il più grande califfato della storia. Un sogno diventato realtà per i jihadisti islamici e concretizzato grazie ai loro peggiori nemici, gli occidentali. Davvero incredibile. Prima insanguiniamo il mondo in nome della democrazia e dei diritti umani, poi aiutiamo dei fanatici tagliatori di teste a consolidarsi nel mondo. Prima sprechiamo miliardi di risorse pubbliche per annientare qualche efferato nemico dell’umanità, poi gli regaliamo la vittoria su un piatto d’argento. Come in Afghanistan.
Vent’anni di occupazione militare per poi lasciare Kabul ai Talebani e fuggire a gambe levate. Con nessuno che ne risponde. E non solo. Subiamo pure gli effetti collaterali di quei disastri, con milioni di profughi da sistemare. Ma se dopo decenni di fallimenti bellici, il mondo fosse più sicuro e stabile, ci sarebbe poco da obiettare. Ed invece le guerre aumentano di numero ed intensità. Ormai siamo al caos col rischio di un conflitto mondiale dietro l’angolo. E nessuno fa nulla se non buttare benzina sul fuoco. Politicanti, burocrati, affaristi, giornalisti. Una mega inarrestabile lobby della guerra. Con la politica che dà l’ordine di attaccare, gli apparati che eseguono, le lobby che ingrassano e i media che strombazzano all’arrembaggio permanente.
Fu Bush a volere la testa di Saddam per fake news create ad arte, mentre fu Obama a volere quella di Gheddafi e quella di Assad. A volte si combatte sotto il sole, a volte serve invece il lavoro sporco come in Siria. Appoggiando gruppi ribelli con addestramento, fondi, armi e contemporaneamente affamando la popolazione con sanzioni economiche come successo in Siria. Uno schema che si ripete da decenni ma per capire davvero quello che succede in Medioriente, bisogna guardare tutto dalla prospettiva palestinese. Libano, Iraq, Siria, Libia ed Iran che è il prossimo sulla lista nera, hanno tutti qualcosa in comune, sono nemici storici di Israele. Per completare con successo il loro progetto coloniale, i sionisti avevano due strade.
O trattare coi palestinesi e concedergli perlomeno un loro stato, oppure sconfiggere tutti i paesi pro Palestina in modo da essere liberi di imporre con la forza la propria volontà agli indomiti palestinesi. Ed ovviamente hanno scelto la seconda via. Il problema di quella strategia è che Israele è un piccolo paese e gli serviva il supporto militare ed economico degli Stati Uniti, per ottenerlo hanno cavalcato il sistema lobbistico-capitalista comprando l’appoggio di entrambi gli schieramenti della politica americana. Nessun complottismo, fatti risaputi. La Siria di Assad era nel mirino di Israele da anni e senza l’aiuto russo sarebbe già caduta nel corso della guerra civile. Fin qui dunque, triste routine. La novità di questi giorni è che con la cooperazione della Turchia, Damasco è finita nelle mani addirittura di una banda di terroristi islamici conclamati. Secondo alcuni osservatori si tratterebbe di una situazione sfuggita di mano, nel senso che nessuno si aspettava una tale repentina dissoluzione del regime siriano. A confermarlo sarebbe anche la reazione nervosa di Israele che ha subito occupato territori siriani e sta bombardando ovunque. In parte perché Netanyahu ha un nuovo vicino e vuole fare subito amicizia, in parte perché non sa fare altro ma in parte anche perché ha paura che le armi dell’esercito siriano finiscano in mano a dei jihadisti che fino a ieri tagliavano teste di infedeli e glorificavano l’11 settembre. Si tratta poi pur sempre di musulmani e pure bigotti e Gerusalemme è sacra anche per loro. Se a qualcuno di quei barbuti venisse in mente di riconquistare la città, sarebbe davvero una brutta notizia per Israele.
Sconfitto un nemico, se ne troverebbe uno ancora peggiore. Un mega califfato crocevia di terroristi islamici provenienti da tutto il mondo. Roba da brividi. Ma del resto è così, la guerra non risolve nulla e peggiora solo i problemi esistenti. Ce lo ha insegnato la storia infinite volte. Eppure le guerre aumentano di numero ed intensità. Ormai siamo al caos col rischio di un conflitto mondiale dietro l’angolo. E nessuno fa nulla se non buttare benzina sul fuoco. Politicanti, burocrati, affaristi, giornalisti. Siamo come in balia di una inarrestabile lobby della guerra e sarebbe ora che nascesse una lobby per la pace che non è utopia ma l’unica realistica via per evitare l’autodistruzione.
La mega lobby della guerra
19 notes · View notes
rideretremando · 2 months ago
Text
SE QUESTO E' UN UOMO, OTTANT'ANNI DOPO
Piaccia o non piaccia, come e più dell’anno scorso, il Giorno della Memoria esercita una funzione scomoda: nel reclamare la dovuta attenzione sui milioni di ebrei sterminati in Europa fra il 1941 e il 1945, sospinge l’opinione pubblica a un confronto con la malasorte dei milioni di palestinesi che l’”ebreo nuovo”, scampato all’estinzione, si è ritrovato per vicini di casa. Dentro e fuori i confini dello Stato d’Israele sorto nel 1948.
E’ una forzatura logica, alimentata dal risorgere di antichi pregiudizi? Un paragone che vilipende chi in famiglia reca ancora i segni delle sofferenze patite ottant’anni fa? Siamo sinceri. Fatichiamo a disgiungere nella nostra sensibilità queste due tragedie in apparenza così lontane, benché la loro incommensurabilità numerica dovrebbe risultare evidente: milioni di innocenti persero la vita nell’industria dello sterminio pianificato nei lager; decine di migliaia sono le persone uccise a Gaza dai soldati israeliani in una sorta di punizione collettiva ininterrotta di quindici mesi.
Se non bastassero le reciproche accuse di “nazismo” che i due nemici inferociti si scagliano addosso, perduto “ogni senso di affinità umana”, per dirla con Primo Levi, a rendere ancor più difficile eludere tale connessione mentale è sopraggiunta una circostanza che ha del clamoroso: lunedì prossimo 27 gennaio, ottantesimo anniversario della liberazione del campo di Auschwitz ad opera dell’Armata Rossa sovietica, è improbabile che alla cerimonia ufficiale convocata in quel luogo possa presenziare il primo ministro israeliano, soggetto com’è a un mandato di cattura internazionale perché fortemente indiziato di crimini di guerra. Ci sarà re Carlo d’Inghilterra mentre non sono invitati i russi. Parleranno solo gli ultimi sopravvissuti perché la politica mondiale oggi non è in grado di ritrovarsi unita neppure nella promessa infranta troppe volte del “Mai più Auschwitz”.
Inutile girarci intorno. L’insistenza con cui molte persone (che si offenderebbero a essere tacciate di antisemitismo) pretendono, in particolare da noi ebrei e ancor più dai sopravvissuti alla Shoah, l’uso della parola “genocidio” riferita a Israele, quasi che fosse lo strumento con cui misurare la sincerità o meno dell’indignazione nostra nei confronti dei crimini di guerra perpetrati in risposta al 7 ottobre, segnala il punto di non ritorno a cui siamo arrivati.
Orribile a dirsi ma sembrerebbe che gli ebrei abbiano esaurito il credito loro concesso a suo tempo in quanto popolo vittima della Shoah. Basta, credito esaurito. Con sollievo autoassolutorio di chi manteneva il vecchio sospetto che gli ebrei fossero dei privilegiati. Una svolta che elettrizza perfino gli ammiratori della brutalità d’Israele interpretata come se fosse una virtù connaturata agli ebrei da assumere come modello. Naturalmente l’esaurirsi del credito concesso alle vittime della Shoah si porta dietro la seconda domanda scomoda sempre più in voga man mano che il conflitto si estendeva e inferociva: un mondo senza Israele non sarebbe forse un mondo migliore? Interrogativo mendace ma insidioso che non riguarda solo il futuro di sette milioni di ebrei nati laggiù ma la possibilità stessa che prosperino in pace società multietniche e multiculturali.
Mi sono sentito dire di recente da persona bene addentro nell’establishment di Netanyahu: “Con questa guerra Israele si è messo al sicuro. Decapitato Hamas, in malaparata gli Hezbollah, l’Iran costretto sulla difensiva, caduto il regime siriano di Assad, uomini affidabili al vertice dello Stato libanese… i palestinesi continueremo a tenerli a bada e Trump ci coprirà le spalle. I problemi ce li avrete voialtri ebrei della diaspora perché ricadrà sulle vostre spalle l’odio sempre più diffuso per Israele e la nuova ondata di antisemitismo che ne deriva”.
In apparenza sembra un ragionamento cinico di realpolitik che non fa una grinza. Affaracci vostri, ebrei che vi ostinate a non capire che in futuro solo in Israele potrete star sicuri. La pensa così chi è convinto che -tregua o non tregua- questa guerra debba continuare perché fa parte di una guerra mondiale più grande. E insiste nell’illusione che bastino i rapporti di forza militari e tecnologici per garantirsi la sicurezza. Come se il 7 ottobre non gli avesse insegnato nulla. E come se bastasse una scrollata di spalle per levarsi di dosso il discredito caduto su Israele. ***
Se questo è il clima, ben si capisce perché il Giorno della Memoria (istituito in Italia su proposta del nostro caro Furio Colombo) accumuli un gran numero di detrattori: da chi lo liquida come inutile esercizio di retorica, ignorando l’ottimo lavoro preparatorio che tante scuole gli dedicano; a quelli che non ne possono più di “rendere omaggio” agli ebrei per riceverne in cambio nuove accuse; a non pochi esponenti delle stesse Comunità ebraiche che ormai lo vivono come un boomerang, pretenderebbero che la celebrazione venisse depurata da qualsivoglia riferimento all’attualità di Gaza e Cisgiordania o meglio ancora che venisse polemicamente abolita.
Dopo avere riletto i due testi fondamentali del principale testimone della Shoah in Italia (e non solo), cioè Se questo è un uomo e I sommersi e i salvati di Primo Levi, mi sono convinto del contrario. Non solo il Giorno della Memoria va celebrato ma deve servire proprio ad affrontare le domande più scomode che per tutta la sua vita Primo Levi ripropose martellanti nei suoi testi circa la ripetibilità e la comparabilità dell’orrore di cui era stato testimone ad Auschwitz.
Il riconoscimento del sistema concentrazionario nazista come unicum non solo non gli impedì, ma lo spronò a studiare il riproporsi successivo di forme di crudeltà di massa basate su meccanismi analoghi. Levi non adopera mai la parola “genocidio”, neanche riguardo allo sterminio degli ebrei, ma quando deve descrivere “i diligenti esecutori di ordini disumani” ci tiene a precisare che “non erano aguzzini nati, non erano (salvo poche eccezioni) dei mostri: erano uomini qualunque”…”fatti della nostra stessa stoffa”… “non erano mostri, avevano il nostro viso, ma erano stati educati male”.
Educati male. Nell’appendice a Se questo è un uomo pubblicata nel 1976 paragona i nazisti ai “militari francesi di vent’anni dopo, massacratori in Algeria” e ai “militari americani di trent’anni dopo, massacratori in Vietnam”. Altrove elenca gli “imitatori” dei nazisti “in Unione Sovietica, in Cile, in Argentina, in Cambogia, in Sud-Africa”. E potrei continuare. Ignoriamo, certo, se avrebbe inserito in un simile elenco Israele con cui manteneva un rapporto “affettuoso e polemico” fondato su “un nostro appoggio sempre condizionato”.
Di certo, Primo Levi non ha fatto che scriverlo e ripeterlo: “E’ avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire. Può accadere, e dappertutto”. Se poi qualcuno pensasse che Levi escludesse a priori gli ebrei dal novero dei potenziali “educati male”, lui stesso replica: “Non è facile né gradevole scandagliare questo abisso di malvagità, eppure io penso che lo si debba fare, perché ciò che è stato possibile perpetrare ieri potrà essere nuovamente tentato domani, potrà coinvolgere noi stessi o i nostri figli”.
Gad Lerner
4 notes · View notes
italiani-news · 2 days ago
Link
0 notes
carmenvicinanza · 1 month ago
Text
Mariam Abou Zahab
Tumblr media
Mariam Abou Zahab, sociologa e studiosa di cultura islamica, esperta di politica e specializzata della cultura di Pakistan e Afghanistan dove si è spinta, fino agli angoli più inaccessibili.
Da un paese all’altro, da un’epoca all’altra, ha attraversato territori ardui con missioni umanitarie, studiandone la letteratura, la poesia e la musica, porte d’accesso al mondo che ha tanto raccontato. La sua conoscenza si è estesa fino alle rive del Mediterraneo.
Docente presso l’Instituts d’études politiques di Parigi e l’Institut National des Langues et Civilisations Orientales, è stata ricercatrice presso il Centre de Recherches Internationales e lavorato con i Cahiers d’études sur la Méditerranée orientale et le Monde Turco-Iranien. 
Parlava arabo, urdu, persiano, pashtu e punjabi e, oltre a lavori accademici, ha pubblicato opere che descrivevano in dettaglio i suoi viaggi attraverso Afghanistan, Iran, Pakistan e India.
Per tutta la sua vita ha difeso le popolazioni oppresse scendendo in campo accanto a loro.
La sua fascinazione per l’Islam sciita, che ha avuto una forte componente mistica oltre che estetica e accademica, ha alimentato i suoi tanti interventi pubblici in giro per il mondo.
Nata  col nome di Marie-Pierre Walquemanne il 7 febbraio 1952 a Hon-Hergies, un villaggio nel nord della Francia, si era laureata, a soli 20 anni, nel 1972, all’Instituts d’études politiques a Parigi. La sua curiosità e passione l’avevano portata a esplorare il medio Oriente e l’Asia centrale toccando territori dove altri ricercatori non si addentravano.
Nel 1971 ha fatto parte della brigata internazionale voluta dal romanziere ed ex ministro degli affari culturali André Malraux, a sostegno dei nazionalisti bengalesi nel Pakistan orientale e lì ha vissuto per anni in un’area devastata dalla guerra.
È stata a Beirut durante la guerra civile nel 1975, anno in cui si è convertita all’Islam e, diventata sciita, si è fatta chiamare Mariam, il cognome, che ha tenuto anche dopo la separazione, proveniva dal marito, il siriano Nazem Abou Zahab.
Attiva nella lotta di liberazione palestinese, si dice che abbia imbracciato accanto a Arafat per l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e guidato una banda di combattenti afghani durante il conflitto con la Russia. Per queste attività è stata sotto il controllo dei servizi segreti francesi.
Suscitando gravi reazioni in Francia, ha sostenuto che i talebani afghani fossero un movimento sociale, in gran parte autonomo dai servizi segreti pakistani, una reazione dei più poveri e giovani contro le élite tradizionali. Riteneva la loro ascesa al potere una rivolta delle campagne contro le città.
Nel suo lavoro ha esplorato non solo gli sviluppi geopolitici contemporanei, ma anche i contesti storici, le dottrine religiose e ideologiche, nonché i percorsi individuali dei leader e dei combattenti dei movimenti.
Ha acquisito una conoscenza approfondita dell’Afghanistan, attraverso viaggi faticosi e pericolosi sotto la copertura di un burqa volano.
Come volontaria per la ONG Afrane, si è interessata ai problemi sanitari e alla situazione delle scuole, non esitando a sottolineare l’impatto positivo delle madrase laddove la rete scolastica stava fallendo. Ha documentato la dislocazione dell’economia agraria e le dinamiche socio-economiche.
Ha intervistato la diaspora Fata negli Emirati Arabi Uniti e non ha mai permesso alle sue convinzioni religiose di influenzare la sua ricerca.
I suoi articoli di ricerca sul Pakistan sono stati pubblicati in diversi libri che trattano di settarismo, talebanizzazione e proliferazione di gruppi jihadisti.
A Kaleidoscope of Islam è un’antologia di saggi che dimostra la sua enciclopedica competenza sull’Islam, il suo Islamist Networks: The Afghan-Pakistan Connection è considerato un libro di riferimento sui gruppi jihadisti nella regione.
Il suo approccio analitico di scienziata sociale è stato socio-economico e socio-psicologico.
Insegnante talentuosa e affabulante, incantava le sue classi raccontando i dettagli più raffinati delle tradizioni e dei rituali.
Mentre la sua salute peggiorava a causa del cancro, si è recata nella città santa sciita di Najaf, in Iraq, dove ha deciso di essere sepolta. Alla sua morte, avvenuta il primo novembre 2017, una milizia sciita, insieme alla popolazione di un villaggio che aveva particolarmente amato, ha scortato il suo corpo fino al cimitero.
Mariam Abou Zahab ha insegnato letteratura pashtu, storia del Pakistan, sufismo sud-asiatico e comunità diasporiche all’Inalco e formato una generazione di studiosi anche attraverso la creazione di una fondazione di ricerca. Tante sono state le donazioni fatte a progetti di assistenza sociale nei due paesi.
Modello di audacia scientifica e intellettuale, ha aperto la strada a una versa sociologia generale, offrendo rare griglie di comprensione comparata.
0 notes
unita2org · 4 months ago
Text
ASSAD (2023): "LA TERZA GUERRA MONDIALE E' IN CORSO MA IN UNA FORMA DIVERSA..."
MEDITERRANEO 30 Novembre 2024 08:00 In una intervista a Ria Novosti del 2023, il presidente siriano Bashar Assad commentava la situazione internazionale e il conflitto mondiale in corso, rapportando il tutto alla situazione attuale del suo paese. Vittima di un decennio di conflitto e sanzioni da parte di terroristi al soldo della Nato e Israele, la Siria ha rappresentato la prima vera trincea…
0 notes
mtonino · 4 months ago
Text
Tumblr media Tumblr media Tumblr media
30° MedFilm Festival - concorso cortometraggi
Good Luck Sara! (2024) Isidora Ratkovic - Sara decide di emigrare dalla sua Bosnia e dedica il giorno prima della partenza giorno agli addi, la Ratkovic mostra un paese al limite del disfacimento, quasi respingente che non ha molto da dare ai propri giovani in cui il gap generazionale sembra una barriera insormontabile
Canary In a Coal Mine (2024) Dwan Kaoukji - Tratto da una storia vera, un giovane, chiamato a custodire la casa degli zii in vacanza si finge ladro per evitare la morte. Una black comedy surreale con un finale beffardamente inquietante che pone interrogativi sulla situazione socio-economica libanese
Garan (2024) Mahsum Taşkın - Il piccolo sogno di un uomo bloccato al confine turco-siriano è messo in pericolo dall'assurdità della guerra. Il confine tra realizzarlo e perdere tutto è inconsistente come la rete metallica che divide i due Paesi. Un film che ci esorta a non dimenticare un conflitto di cui non si parla più.
I corti sono disponibili per gli abbonati MyMovies One nei giorni del festival
1 note · View note
e-o-t-w · 1 year ago
Text
Eyes on the world #187
Tumblr media
Già grondanti di sudore, almeno qui al Sud, entriamo head first nel mese di aprile. 
La settimana è stata parecchio intensa, con interessanti novità dal fronte israelo-palestinese, un grave terremoto che ha colpito Taiwan, un importantissimo veto posto dalla Russia, per poi concludere con le ultime dalla politica italiana, da un misterioso disturbo “esotico” e da un’interessante acquisizione nel mondo del motorsport. 
Ce n’è per tutti i gusti. Partiamo 👇 
🇮🇱 ISRAELE-HAMAS: COLPITA L’AMBASCIATA IRANIANA IN SIRIA E L’ONG WORLD CENTRAL KITCHEN. LE REAZIONI 
(1) Cominciamo da dove sapete, ovvero la guerra tra #Israele e #Hamas, che non cede di un millimetro. Sabato scorso, tre navi di aiuti umanitari gestite dalla #ONG Open Arms sono partite da Cipro verso la Striscia di #Gaza, seguendo il corridoio marittimo annunciato dalla Commissione Europea. Le navi hanno trasportato 400 tonnellate di aiuti, inclusi cibo come riso, pasta, e verdure, destinati a fornire pasti durante il #Ramadan, che termina a metà aprile. Le navi, tuttavia, non sono mai giunte a Gaza (tra poco scopriremo perché). Sul campo, l’esercito israeliano ha confermato il ritiro dall'ospedale al Shifa nella Striscia di Gaza, dopo un'operazione militare di due settimane che danneggiato la struttura in diversi punti. Israele ha accusato a più riprese Hamas di utilizzare gli ospedali come basi operative militari, ma - dall’inizio degli scontri - questi attacchi sono criticati dalla comunità internazionale per il rischio per i pazienti e il personale sanitario. Secondo l'#OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), 21 pazienti sono morti durante l'operazione, mentre Israele ha affermato di aver ucciso 200 miliziani e arrestato 900 sospetti terroristi (ma non ci sono conferme indipendenti). L'attacco ha peggiorato la situazione umanitaria già critica nella Striscia di Gaza, con la mancanza di risorse mediche e la fuga di civili verso il sud per cercare rifugio. La situazione non è particolarmente entusiasmante neanche in #Siria, dal momento che lunedì pomeriggio l'ambasciata iraniana a Damasco è stata bombardata, con la Siria che ha accusato Israele dell'attacco. L'edificio che ospitava il consolato iraniano è stato distrutto e, secondo le Guardie rivoluzionarie iraniane, sette persone (inclusi diplomatici e il comandante di alto rango Mohammad Reza Zahedi) sono state uccise, ma tra queste non figura l’ambasciatore iraniano. Il ministero della Difesa siriano ha dichiarato che i suoi sistemi di difesa antiaerea hanno intercettato alcuni missili prima dell'attacco, ma altri hanno colpito e distrutto l'edificio. Come dicevamo già la settimana scorsa, gli attacchi israeliani in Siria sono aumentati dopo l'inizio del conflitto tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza lo scorso ottobre. L'esercito israeliano ha ammesso di aver colpito obiettivi legati a #Hezbollah, il gruppo sciita libanese alleato dell'Iran e del presidente siriano Bashar al Assad.  
La notizia più ripresa della settimana ha però riguardato un attacco aereo israeliano che ha colpito un convoglio della ONG World Central Kitchen nella città di Deir al Balah, causando la morte di sette operatori umanitari. Israele ha confermato l'attacco, ma ha negato un intento intenzionale di colpire gli operatori della ONG, tra le principali fornitrici di aiuti nella Striscia di Gaza, che ha immediatamente interrotto le proprie operazioni nella zona, esattamente come la ONG Open Arms (che ha rimandato indietro le navi provenienti da Cipro con gli aiuti umanitari). Gli operatori deceduti provenivano da diversi paesi, inclusi Australia, Polonia, Regno Unito, Stati Uniti, Palestina e Canada e il convoglio stava lasciando Deir al Balah dopo aver scaricato aiuti alimentari, coordinando le operazioni con l'esercito israeliano. Pur ammettendo dell'attacco, il governo israeliano lo ha definito come un "tragico caso" e ha chiesto scusa per il "danno non intenzionale", mentre l’esercito ha sospeso i due militari responsabili dell’attacco. Questo ha provocato reazioni dure anche a livello internazionale, con il presidente degli #StatiUniti Joe #Biden che ha pesantemente criticato Israele per non aver protetto adeguatamente gli operatori umanitari (anche se, nonostante le critiche verbali, gli Stati Uniti continuano a fornire supporto militare ed economico incondizionato a Israele). Secondo le prime ricostruzioni, l'attacco è stato eseguito con armi di precisione, colpendo le auto della ONG nonostante fossero chiaramente identificabili. Nel frattempo, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (#UNHRC) ha votato una risoluzione che chiede il divieto di vendita di armi a Israele. Il provvedimento è stato approvato con 28 voti a favore su 47, evidenziando gravi preoccupazioni per le violazioni dei diritti umani e il diritto internazionale umanitario nei Territori Palestinesi Occupati. Gli Stati Uniti, insieme ad altri paesi, hanno votato contro la risoluzione, sottolineando la mancanza di condanna esplicita degli attacchi di Hamas e la loro natura terroristica. Infine, menzione per la portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Adrienne Watson, ha annunciato che Israele ha accettato di aprire il varco di #Erez e di utilizzare il porto di Ashdod per consentire l'arrivo di aiuti umanitari nel nord di Gaza. Questa decisione è stata presa su richiesta del presidente statunitense Joe Biden. La riapertura dei varchi di Erez e Ashdod è stata accolta con cautela dalle Nazioni Unite, che sottolineano la necessità di un cessate il fuoco umanitario e di un massiccio afflusso di aiuti. 
🇹🇼 TAIWAN COLPITA DA UN TERREMOTO DI MAGNITUDO 7,4. 9 VITTIME E DECINE DI EDIFICI DANNEGGIATI  
(2) Mercoledì mattina, un terremoto di magnitudo 7.4 ha colpito al largo di #Taiwan, provocando il crollo di diversi edifici e causando almeno nove vittime e oltre 1.000 feriti. Si è trattato del #terremoto più potente registrato sull'isola negli ultimi 25 anni. L'epicentro è stato individuato a circa 18 chilometri a sud della città di #Hualien, con un ipocentro a una profondità di 12 chilometri, verificatosi alle 7:58 locali. Sono state segnalate anche altre 50 scosse successive, che hanno aggravato la situazione, con il capo dell'Agenzia meteorologica di Taiwan che ha avvertito la popolazione della possibilità che se ne verifichino di nuove fino a magnitudo 7. Le vittime includono persone schiacciate da rocce in una zona montuosa, automobilisti intrappolati in gallerie, e lavoratori in diverse situazioni lavorative. Almeno 26 edifici sono crollati, con maggiori danni concentrati a Hualien, mentre centinaia di persone restano intrappolate sotto le macerie, compresi 70 lavoratori in due cave di roccia. Altre 77 persone sono state salvate da due gallerie autostradali. L'evento ha causato frane che hanno bloccato strade e ferrovie, con treni diretti a Hualien temporaneamente sospesi, ma pare che i lavori di messa in sicurezza delle ferrovie siano stati già completati. Nel frattempo, le autorità taiwanesi, richiamando l'evento sismico del 1999 che causò migliaia di morti, stanno investigando sul mancato scattare di un'allerta terremoto a livello nazionale, mentre si impegnano nelle operazioni di soccorso e recupero delle vittime. Forti preoccupazioni sono state espresse anche per la produzione locale di #microchip, fondamentali per dispositivi elettronici di tutto il mondo. Taiwan, infatti, è un pilastro nella produzione globale di microchip. Tuttavia, nonostante l'evacuazione temporanea delle fabbriche, la situazione sembra meno grave del previsto, con le principali aziende come TSMC e UMC che hanno riavviato la produzione senza danni significativi. Il terremoto ha evidenziato la fragilità del mercato globale dei microchip, soprattutto perché molte fabbriche sono concentrate in regioni sismiche come Taiwan. Gli investimenti occidentali nel settore mirano a ridurre la dipendenza dalle importazioni, ma la produzione di microchip richiede tempo e investimenti considerevoli. Taiwan, inoltre, è riluttante a condividere le tecnologie per i microchip più avanzati, poiché ne dipende economicamente e politicamente. 
🇰🇵 COREA DEL NORD: SCIOLTO IL PANEL CHE MONITORAVA LE SANZIONI SUL NUCLEARE. DECISIVA LA RUSSIA 
(3) Recuperiamo al volo una notizia estremamente importante uscita a cavallo dello scorso numero. La #Russia ha utilizzato il veto per bloccare il rinnovo annuale di un panel di esperti delle #NazioniUnite che monitora l'applicazione delle sanzioni contro la #CoreadelNord per i suoi programmi nucleari e missilistici. Questa azione è avvenuta in concomitanza ad accuse degli Stati Uniti che la Corea del Nord avesse trasferito armi alla Russia per l'uso nella guerra in #Ucraina (azione negata da entrambe le nazioni in questione). La #Cina si è astenuta dal voto, mentre gli altri 13 membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite hanno votato a favore. La Corea del Nord è sotto sanzioni delle Nazioni Unite dal 2006 a causa dei suoi programmi nucleari e missilistici, con sanzioni che sono state rafforzate nel tempo. Il panel di esperti indipendenti monitora queste sanzioni da 15 anni, presentando rapporti semestrali al Consiglio di Sicurezza e raccomandando azioni per migliorarne l'attuazione. La Russia ha criticato il lavoro degli esperti, definendolo parziale e basato su informazioni tendenziose. Tuttavia, la Svizzera, che presiede il comitato delle sanzioni contro la Corea del Nord, ha chiesto il supporto dei paesi per il lavoro del comitato. Il mandato del panel attuale scadrà il 30 aprile e il suo ultimo rapporto ha evidenziato indagini su presunti attacchi informatici nordcoreani e il loro coinvolgimento nel finanziamento del programma nucleare del paese. Il Regno Unito ha ribadito l'impegno a mantenere le sanzioni contro la Corea del Nord nonostante il veto russo, mentre in generale il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è stato diviso su come affrontare la questione nordcoreana: Russia e Cina ritengono che più sanzioni non siano utili e vorrebbero un allentamento delle misure, mentre gli Stati Uniti accusano entrambe le nazioni di sostenere la Corea del Nord e di indebolire gli sforzi sanzionatori. La situazione però non è sempre stata così. Negli ultimi dieci anni, infatti, nonostante le tensioni con la Russia, gli USA e Mosca hanno collaborato nel cercare di limitare il programma nucleare della Corea del Nord. Tuttavia, questa collaborazione è ora giunta al termine. Il panel di esperti in questione ha recentemente evidenziato come la Russia abbia contribuito a mantenere la Corea del Nord rifornita di carburante e altri beni, presuntamente in cambio di armi inviate dal leader nordcoreano, Kim Jong-un, per essere utilizzate contro l'Ucraina. Questa azione da parte della Russia indica una rottura nella precedente cooperazione internazionale per contrastare la proliferazione nucleare. La decisione russa è stata criticata dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, che ha dichiarato come la Russia abbia minato cinicamente la pace e la sicurezza internazionali. La Russia, dal canto suo, ha difeso la sua scelta, sostenendo che gli Stati Uniti e i loro alleati hanno dimostrato di non avere interesse oltre a quello di "strangolare" la Corea del Nord con tutte le risorse disponibili. Sebbene il comitato non avesse poteri investigativi, i suoi risultati erano considerati rilevanti, mentre adesso la preoccupazione principale riguarderà le intenzioni della Corea del Nord, che si è apertamente espressa, come la Russia, sull'uso di armi nucleari in caso di provocazioni di qualsiasi dimensione. 
🇮🇹 LA LETTERA DELLA LEGA A MATTEO SALVINI E DUE MOZIONI DI SFIDUCIA: LE ULTIME DALLA POLITICA ITALIANA 
(4) Una notizia dai possibili risvolti interessanti ha scosso – in parte – la politica italiana. Una lettera aperta indirizzata al segretario della #Lega, Matteo Salvini, firmata da ventuno esponenti del partito, tra cui ex e attuali parlamentari, dirigenti e amministratori locali, ha espresso critiche e preoccupazioni sulla strategia politica del partito in vista delle prossime elezioni europee. I firmatari, tutti politici lombardi, hanno lamentato il graduale spostamento del partito verso posizioni estremiste, criticando l'allontanamento dalla tradizionale linea politica della Lega ed evidenziando la mancanza di dialogo con forze autonomiste e federaliste a favore di alleanze con partiti di estrema destra europea. La lettera ha fatto riferimento anche le tensioni interne al partito, soprattutto in #Lombardia, dovute al cambiamento di rotta della Lega e alla possibile candidatura di personaggi come il generale Roberto Vannacci, noto per contenuti omofobi e razzisti nel suo libro "Il mondo al contrario". Nonostante le indiscrezioni riguardanti la sua candidatura con la Lega, Salvini ha dichiarato di essere in fase di valutazione. Il leader è stato tra i protagonisti di questa settimana anche per via della mozione di sfiducia presentata contro di lui, respinta alla Camera con 211 voti contrari, 129 favorevoli e 3 astenuti. Proposta dai capigruppo di diversi partiti di opposizione, la mozione mirava a contestare i legami tra la Lega e il partito del presidente russo Vladimir #Putin, Russia Unita, sottolineando la presunta vicinanza di Salvini al regime russo. La Lega ha risposto alle critiche sottolineando un cambiamento nei rapporti con la Russia a seguito dell'invasione dell'Ucraina e dichiarando la cessazione degli accordi internazionali con Russia Unita. Tuttavia, la bocciatura della mozione era attesa, considerando che storicamente pochi provvedimenti di questo tipo contro membri del governo hanno avuto esito positivo. Stesso discorso si è verificato con quella presentata contro la ministra del Turismo Daniela Santanché, respinta anch’essa con 213 voti contrari, 121 favorevoli e 3 astenuti nell'Aula della Camera. La ministra non era presente durante la votazione. I partiti di maggioranza hanno espresso voto contrario, sottolineando la necessità di evitare un precedente dannoso per le istituzioni, mentre altri partiti (come Italia Viva) hanno sottolineato l'importanza di separare le questioni giudiziarie dalla politica. Il M5S ha presentato la mozione accusando Santanché di varie irregolarità e comportamenti inappropriati, mentre il PD ha votato favorevolmente basandosi sulla presunta gravità delle accuse e sul dovere morale della ministra di dimettersi in caso di indagini penali. 
🇨🇺 SINDROME DELL’AVANA: UNA NUOVA INCHIESTA NON ESCLUDE LA RUSSIA, MA LE PROVE SCARSEGGIANO 
(5) Una nuova inchiesta giornalistica condotta da The Insider, Der Spiegel e 60 Minutes ha riportato alla luce la misteriosa sindrome dell'#Avana, sottolineando l'ipotesi che potrebbe essere stata causata da un'arma segreta russa. Questo disturbo, caratterizzato da una vasta gamma di sintomi tra cui nausea, vomito e perdita di sensi, è stato collegato a episodi traumatici risalenti al 2014, sebbene sia emerso pubblicamente nel 2017 con diversi casi a Cuba. L'indagine giornalistica ha individuato la presenza di agenti russi vicino a luoghi in cui si sono verificati episodi della sindrome, sebbene non siano state trovate prove definitive della loro connessione agli attacchi. Inoltre, è emerso come un ufficiale russo abbia venduto al Ministero della Difesa la proprietà intellettuale su armi acustiche non letali, sollevando sospetti sull'impiego di tale tecnologia. Tuttavia, nonostante le insistenti affermazioni di vittime e alcuni funzionari, la comunità scientifica rimane scettica riguardo all'origine dell'epidemia. Molti studi non hanno identificato differenze biologiche significative tra le vittime e i gruppi di controllo, mentre le istituzioni americane sono divise sulle cause della sindrome, con alcune agenzie che escludono l'ipotesi di un'arma segreta. Nonostante ciò, l'inchiesta ha sottolineato un crescente consenso tra le vittime e alcuni funzionari riguardo al coinvolgimento della Russia e ha messo in discussione il ruolo delle agenzie governative nell'affrontare pubblicamente il fenomeno. 
🏎️ LIBERTY MEDIA PRONTA A PRENDERSI LE MOTO OLTRE ALLA FORMULA 1. L’ANTITRUST, INTANTO, INDAGA 
(6) Chiudiamo con lo sport e un’acquisizione che potrebbe cambiare il futuro del motorsport. #Liberty Media, infatti, proprietaria della #Formula1, ha annunciato ufficialmente l'intenzione di acquisire #Dorna Sports, società spagnola titolare dei diritti della #MotoGP, per 4,2 miliardi di euro. L'operazione, ammontante all'86% delle azioni di Dorna, consentirebbe a Liberty Media di consolidare i due principali campionati motoristici al mondo sotto la propria proprietà, anche se Carmelo Ezpeleta, attuale CEO di Dorna Sports, manterrebbe il suo ruolo dopo l'acquisizione. La sede di Dorna a Madrid coordina 251 gare all'anno in 20 paesi, tra cui la MotoGP, Moto2, Moto3, Superbike e MotoE, generando un fatturato di 483 milioni di euro nel 2023, in contrasto con i 3,2 miliardi di euro della sola Formula 1. Tuttavia, l'accordo deve ancora ottenere l'approvazione da parte dei regolatori #antitrust per garantire la conformità alle leggi sulla concorrenza. La Commissione Europea potrebbe esprimere preoccupazioni riguardo alla dominanza di Liberty Media nel settore, considerando un precedente nel 2006 quando un'operazione simile è stata bloccata. Nonostante le sfide regolamentari, Liberty Media si aspetta di concludere l'acquisizione entro la fine del 2024, rimanendo fiduciosa nell'approvazione finale dell'affare. 
Alla prossima 👋 
1 note · View note
Text
La guerra in Siria continua a fare migliaia di morti
AGI – Più di 4.360 persone, tra combattenti e civili, sono state uccise nella guerra civile siriana nel 2023, nel tredicesimo anno dall’inizio del conflitto. La cifra è in crescita rispetto al 2022, quando furono uccise 3.825 persone. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, quest’ultimo è stato il dato più basso di vittime dall’inizio del conflitto nel 2011, quando il governo ha…
View On WordPress
0 notes
agrpress-blog · 1 year ago
Text
Arriva in libreria dal 13 ottobre un nuovo titolo per la collana Sartoriale Editoriale, che Paesi Edizioni dedica alle scelte editoriali originali ed estemporanee. Con Atlante delle bugie - Come gestire le fonti estere e distinguere una notizia vera da una fake news Francesco Petronella, giornalista e creatore di contenuti di Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) fornisce al lettore un manuale utile su come orientarsi nella valanga di notizie da cui è sommerso ogni giorno e che riguardano gli Esteri. Il libro verrà presentato martedì 10 ottobre 2023 alle ore 18:30 al Circolo dei Lettori di Torino, presso la Sala Gioco, nell’ambito del talk BAD TALES. Insieme all’autore intervengono anche i rappresentanti della Fondazione 107 e del Collettivo curatoriale Exo Art Lab. Quando si parla di Esteri, nel flusso dell’informazione mainstream finisce di tutto. Ci sono le notizie inventate, quelle di parte veicolate da attori mossi da determinati interessi, quelle che fanno da megafono alla propaganda di regimi e governi autoritari. Viviamo nell’era della post verità e dei social media, in cui chiunque può accedere a innumerevoli fonti e creare contenuti virali e dove diventa sempre più complesso comprendere realmente ciò che accade. Vale anche per l’Italia, Paese dalla scarsa vocazione esterofila in cui, complice la crisi dei grandi giornali, sempre meno reporter vengono inviati nei teatri di crisi per raccogliere e trasmettere al pubblico informazioni di prima mano. Scopo di questo libro è fornire al lettore una cassetta degli attrezzi utile per districarsi in questo caos quotidiano, imparando a riconoscere le fonti attendibili ed evitare così le trappole della disinformazione. Tra i case study analizzati il conflitto siriano scoppiato nel 2011 e la guerra in Ucraina. Il volume è impreziosito da una prefazione di Michela Mercuri, accademica esperta di geopolitica, e da una postfazione di Cristiano Tinazzi, reporter di guerra.
0 notes
dominousworld · 1 year ago
Text
Futuro del Kurdistan siriano: che fare dopo un ritiro Usa?
Futuro del Kurdistan siriano: che fare dopo un ritiro Usa?
di Olsi Krutani Il Kurdistan da sempre ha fatto le scelte sbagliate per crearsi una propria nazione. Soprattutto in Siria. Da sempre fanno il gioco degli statunitensi credendo che quest’ultimi non li abbandonano mai. Un castello di carte che è destinato a crollare! Nel conflitto siriano le decisioni e le scelte fate per il futuro del Kurdistan siriano sono contrastanti, nonché disastrose.…
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
cinquecolonnemagazine · 2 years ago
Text
Bambini siriani: come possiamo aiutarli?
I bambini siriani sono le prime vittime della guerra che da 12 anni sconvolge il loro Paese. Alcuni di loro non hanno mai conosciuto un contesto di pace ma solo bombardamenti e combattimenti. Come se non bastasse, lo scorso febbraio la Siria è stata scossa da uno dei terremoti più violenti degli ultimi tempi. L'evento calamitoso ha aggiunto disagio ad altro disagio, orrore ad altro orrore. I bambini, insieme alle persone anziane, sono la fascia più debole della popolazione, come possiamo aiutarli? Come aiutare i bambini siriani? La prima soluzione che viene in mente è l'adozione internazionale. Uno strumento che permetterebbe loro di allontanarsi dal teatro di guerra e condurre un'infanzia degna di tale nome, tra scuola e giochi. Eppure tale strumento, soprattutto in caso di calamità naturali, non è utilizzabile. Gli operatori del settore spiegano i motivi: - i bambini hanno bisogno di stare in condizioni di sicurezza sì, ma in un ambiente a loro familiare - in linea generale l'adozione di un bambino viene autorizzata o in caso di rinuncia da parte dei genitori o in assenza dei genitori o di parenti prossimi. In caso di calamità come quella del terremoto, è difficile stabilire il sussistere di queste circostanze. L'orientamento, dunque, è quello di individuare famiglie anche allargate o comunità sul luogo che possano prenderli in affido. Pertanto il modo migliore per aiutare questi bambini è sostenere le comunità locali attraverso associazioni di volontariato che operano sul territorio. Prima di effettuare una donazione, però, è consigliabile verificare la serietà di tale associazione. La primavera araba La guerra in Siria, dicevamo, dura da 12 anni. È scoppiata nel 2011 nell'ambito delle ribellioni note come "Primavera araba". La popolazione ha cercato, infatti, di rovesciare il governo di Bashar al Assad ma le forze governative sono riuscite a riprendere il potere su gran parte del territorio. I numeri dei primi dieci anni di guerra sono spaventosi: - 350mila morti (1 su 13 un bambino) - 5,5 milioni di rifugiati (3,5 milioni sono in Turchia) - 6,5 milioni sfollati interni che hanno lasciato il Paese - il 97% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà - 2 milioni di bambini senza istruzione (il 40% sono bambine) Il forte terremoto che nella notte tra il 5 e il 6 febbraio ha colpito sia la Siria che la Turchia sembra aver dato un colpo di grazia. Gli schieramenti in guerra Gli attori di questa guerra non sono solo il popolo siriano e il governo di Assad ma, con il passare degli anni, le due compagini si sono allargate. Al fianco di Assad troviamo: - Russia: sostiene il governo siriano sia a livello militare che diplomatico. Putin ha infatti fornito assistenza militare, equipaggiamenti e ha mediato per Assad presso le Nazioni Unite - Iran: ha fornito assistenza militare, inviando milizie sciite, e finanziaria - Hezbollah: l'organizzazione libanese Hezbollah, sostenuta dall'Iran, ha inviato combattenti per appoggiare il governo siriano nella guerra Al fianco dei ribelli troviamo invece: - Stati Uniti: hanno sostenuto diversi gruppi dell'opposizione siriana con assistenza militare e finanziaria, principalmente attraverso il programma di addestramento e supporto delle forze ribelli. - Turchia: oltre a sostenere diversi gruppi ribelli dell'opposizione, ha fornito loro rifugio, assistenza e ha svolto un ruolo chiave nell'ospitalità dei rifugiati siriani. - Arabia Saudita e altri Paesi del Golfo: hanno sostenuto finanziariamente e armato gruppi ribelli siriani. - Stati membri dell'Unione europea: alcuni di essi hanno sostenuto l'opposizione siriana fornendo assistenza umanitaria, finanziaria e diplomatica. - Organizzazioni internazionali: L'ONU e altre organizzazioni internazionali hanno giocato un ruolo nel cercare di mediare una soluzione politica al conflitto e nel fornire assistenza umanitaria alla popolazione colpita. In copertina foto di Hands off my tags! Michael Gaida da Pixabay Read the full article
0 notes
corallorosso · 3 years ago
Photo
Tumblr media
Libano, bimbo muore dopo l’esplosione di una mina israeliana: credeva fosse un pallone Un bambino siriano è rimasto ucciso e suo fratello ferito a causa dell'esplosione di una mina israeliana piazzata in Libano durante l'invasione del 1982. Lo riferiscono l'agenzia governativa libanese Nna e altri media di Beirut, secondo cui il piccolo è deceduto in ospedale dopo esser stato accidentalmente investito dall'esplosione dell'ordigno nel distretto di Nabatiye, 90 chilometri a sud-est della capitale. Stando a quanto racconta la stampa libanese la vittima aveva appena otto anni e si chiamava Fadi Muhammad Al-Saeedi. Il bimbo e il fratellino di otto anni avrebbero afferrato la bomba pensando che fosse una palla: l'esplosione dell'ordigno li ha però investiti in pieno. Secondo l'Ong britannica Mines Advisory Group (Mag), che si occupa da diversi anni dallo sminamento di diverse regioni del mondo coinvolte negli scorsi anni da conflitti, nell'area che separa il Libano da Israele – lungo una fascia di circa 120 chilometri – sorgerebbero almeno 400mila ordigni inesplosi: non si tratterebbe solo di mine antiuomo ma anche di bombe a grappolo lanciate dall'aviazione israeliana durante l’occupazione degli anni Ottanta e a seguito delle invasioni del 1978 e 1982. La situazione sul terreno è ulteriormente peggiorata nel 2006, quando si è scatenata una nuova guerra tra Israele e le milizie filo-iraniane di Hezbollah. Durante i 34 giorni di conflitto, almeno 4 milioni di ordigni a grappolo sono stati sganciati sui villaggi e sulle città libanesi: il 40 per cento delle bombe tuttavia non è esploso a contatto con il terreno, continuando a rappresentare un pericolo per la sicurezza dei cittadini, in particolar modo dei bambini che – come è avvenuto oggi – possono utilizzarle per gioco. Come certifica dall’Unicef, dal 2006 ad oggi più di settanta persone sono morte a causa dell’esplosione di una mina e 470 sono rimaste ferite. Davide Falcioni
13 notes · View notes
hagakuremarco · 3 years ago
Text
Tumblr media
MONDO
La foto di un padre e un figlio “simbolo” guerra in Siria. Unicef: “Speriamo non ci sia indignazione a intermittenza come con Aylan”
La foto scattata dal fotografo turco Mehmet Aslan ha vinto il Siena international photo awards (Sipa) 2021 e ha catturato l'attenzione. "Quella foto è arrivata al mondo" lo ha detto la mamma di Mustafa al Washington Post
di F. Q. 24 Ottobre 2021
Un uomo e un bambino, padre e figlio che sorridono. Il sorriso è solo l’inizio di una storia ii immagini “Hardship of life” (Difficoltà della vita). Questa foto scattata dal fotografo turco Mehmet Aslan ha vinto il Siena international photo awards (Sipa) 2021 e ha catturato l’attenzione. “Quella foto è arrivata al mondo” lo ha detto la mamma di Mustafa, il bambino siriano di 5 anni nato senza braccia e gambe, immortalato sorridente con il padre, mutilato di una gamba, in uno scatto simbolo delle tragedie del conflitto in Siria. “Abbiamo cercato per anni di farci sentire per aiutare mio figlio con i trattamenti, faremmo di tutto per dargli una vita migliore”, ha detto al Washington Post la signora Zeinab. La malformazione del figlio è conseguenza dell’assunzione di farmaci da parte della madre, colpita da gas nervino. WORLD
The photo of a father and son "symbolic" of the war in Syria. Unicef: "Let's hope there isn't intermittent indignation like with Aylan"
The photo taken by the Turkish photographer Mehmet Aslan won the Siena international photo awards (Sipa) 2021 and captured the attention. "That photo has reached the world," Mustafa's mom told the Washington Post
by F. Q. October 24, 2021
A man and a child, father and son smiling. The smile is only the beginning of a story in the "Hardship of life" images. This photo taken by the Turkish photographer Mehmet Aslan won the Siena international photo awards (Sipa) 2021 and captured the attention. "That photo has reached the world" said the mother of Mustafa, the 5-year-old Syrian child born without arms and legs, immortalized smiling with his father, mutilated in a leg, in a shot that symbolizes the tragedies of the conflict in Syria. “We have been trying to speak up for years to help my son with the treatments, we would do anything to give him a better life,” Ms. Zeinab told The Washington Post. The child's malformation is a consequence of the mother's taking drugs, suffering from nerve gas.❤️🙏
12 notes · View notes
superfuji · 4 years ago
Quote
Il coinvolgimento di enormi masse popolari dal 2011 nella ricerca di Stati democratici e rispettosi dei diritti dell’individuo è stato trasformato in una sorta di guerra dei trent’anni dallo scontro imperiale tra regime iraniano e milizie filo saudite. La politica europea non ha colto la portata di questa trasformazione di un conflitto militar-imperiale in conflitto religioso. Il viaggio iracheno di Papa Francesco ha spezzato questo circolo vizioso, indicando chiaramente che la pretesa khomeinista di ricreare un impero sassanide da Tehran a Beirut non è ammissibile non per preconcetta ostilità ma perché romperebbe il carattere cosmopolita dello spazio mediterraneo, che comincia in Iraq, territorio mesopotamico che è pluralista per la scelta di Abramo, padre di tutti i monoteismi e quindi incompatibili con ogni egemonia monocromatica. Le ragioni del 2011 sono proprio queste e il viaggio iracheno del papa le ha fedelmente espresse nelle sue articolazioni sunnita, sciita, cristiana, curda e così via, tutte partecipi di una visione da cittadini e non da sudditi, come preteso dai regimi contro cui si sono messi in rivolta. Dunque, in senso pienamente camusiano, cioè nel senso indicato da Camus nel suo “L’uomo in rivolta”, l’uomo libanese, siriano, iracheno, iraniano si è dimostrato in rivolta non contro Dio, ma contro la sopraffazione monocromatica e imperiale. Questo carattere pienamente e profondamente mediterraneo, come spiega Camus, è stato tradito o abbandonato da tutti, rendendo quella in atto una guerra di religione tra sunniti e sciiti, come la guerra dei trent’anni
Il senso di Francesco per la Storia: dall’Iraq l’avvio della Vestfalia islamica
10 notes · View notes