#come studiare bene
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raffaeleitlodeo · 28 days ago
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Discorso tenuto da Daniele Leppe davanti al papa nella Basilica San Giovanni in Laterano, in data 25 ottobre 2024.
Ringrazio Sua Santità e ringrazio il Vicariato di Roma per questa opportunità unica. Nel ringraziarLa Le rappresento una realtà invisibile, quella di una trincea dove anche Dio ha abbandonato tutti.
Credo di essere la persona meno adatta a raccontare il disagio che vivono le nostre periferie.
Nella vita di tutti i giorni faccio l’avvocato. Sono nato in un quartiere popolare di Roma, figlio di un impiegato e di una casalinga, una famiglia semplice che mi ha dato la possibilità, con molto sacrificio, di studiare. Per questo ho deciso di restituire ai quartieri dove sono nato e cresciuto un po’ della fortuna che ho avuto. Ho messo a disposizione la mia professionalità per aiutare le persone più semplici, gli ultimi quei dannati che non sanno di esserlo, gli abitanti dei quartieri popolari di questa città, troppo spesso dimenticati, che troppo spesso tornano ad essere cittadini come gli altri solo in occasione delle campagne elettorali.
Al di fuori della mia attività lavorativa, esercito il mio volontariato professionale in due quartieri difficili di Roma: Tor bella monaca e il Quarticciolo.
Il primo, nato nei primi anni ‘80, rappresenta l’ultimo intervento di edilizia pubblica fatto nella capitale, che doveva essere un quartiere modello e che, invece, è diventato il terzo carcere a cielo aperto della capitale: ci vivono ben 800 persone agli arresti domiciliari.
Il secondo, il Quarticciolo, anch’esso ultimo quartiere popolare edificato, ma questa volta durante il fascismo, negli anni 40, che è rimasto tale e quale a 80 anni fa.
A Tor bella monaca collaboro con l’associazione Tor Più Bella di Tiziana Ronzio; una donna che da sola combatte una lotta senza sconti, e per questo paga lo scotto dell’isolamento umano, contro gli spacciatori, che dispensano la vita e la morte in quel quartiere. Tiziana è riuscita, da sola, a liberare dal controllo della criminalità organizzata il suo palazzo, in via santa Rita da Cascia, con un effetto domino su tutto il comprensorio di case che costeggiano la via.
Ha lottato per i suoi figli e per le persone che vivono nel suo palazzo, e per questo paga un prezzo altissimo.
Vive sotto scorta ogni ora della sua giornata perché la sua vita è in pericolo. Non può uscire da sola nel quartiere. Riceve continue minacce da parte della criminalità organizzata mentre le Istituzioni non riescono ad andare al di là di una solidarietà formale.
Non sappiamo nemmeno quante persone abitino in quel quartiere.
Le statistiche parlano di 28000 persone, ma poiché molti degli immobili pubblici sono occupati, i dati non corrispondono alla situazione reale. Nel quartiere ci sono 14 piazze di spaccio. Gli spacciatori, il primo datore di lavoro del quartiere, pagano le vedette, i pusher; le famiglie che nascondono la droga nel proprio appartamento, corrompono l’anima dei giovani e privano le persone di un futuro dignitoso.
C’è una presenza altissima di ragazze madri con figli nati da relazioni diverse, con mariti ristretti in carcere. Di anziani disabili. Di povertà, educativa e alimentare. Accanto a un tessuto sociale straordinario colpisce, nell’anno giubilare, l’assenza delle Istituzioni, che intervengono nel quartiere solo come forza repressiva e per questo sono viste come nemiche, incapaci di comprendere il disagio e le difficoltà di chi vive nella povertà.
Sembra di assistere ad una sorta di tacito patto sociale in questa città.
Nei quartieri poveri della capitale viene lasciata vita facile alla criminalità organizzata più invadente, per consentire agli abitanti della Roma bene di vivere in tranquillità.
La mia attività, in realtà, non è tanto giuridica: il più delle volte mi occupo di collegare i fili immaginari fra i poveri diseredati e le Istituzioni, per risolvere problemi che altrove sarebbero semplici, ma che in condizioni di povertà diventano insormontabili.
Le condizioni di degrado umano, abiezione, povertà, sono indicibili.
Donne che vendono il proprio corpo per comprare la droga, genitori in mano ad usurai per pagare i debiti contratti dai figli, bambini che crescono con i nonni, famiglie distrutte dalla droga e dalla povertà.
Quattro mesi fa ho partecipato ad una messa tenutasi in ricordo di un bimbo morto nel quartiere a causa dei ritardi nei soccorsi provocati dalla rottura di un ascensore e di una ragazza morta investita lungo via di Torbellamonaca.
La messa si teneva di domenica mattina, dietro la famigerata R5, un complesso popolare situato in via dell’Archeologia attualmente in ristrutturazione. Per entrare nel complesso ho contato 4 ingressi. Ognuno di questi ingressi era presidiato da spacciatori che, come in una sorta di confine immaginario, segnano l’ingresso fra il dentro e il fuori. Questo accadeva in pieno giorno, senza alcun imbarazzo, a pochi chilometri da qui.
Quando iniziai a lavorare nel quartiere ho conosciuto una donna che viveva prigioniera degli spacciatori. Il figlio aveva contratto un debito con uno di essi. Non riuscendo a pagarlo, è fuggito. Alla madre hanno bruciato l’attività imprenditoriale per vendetta. Non sa dove è andato a vivere il figlio e non vuole saperlo. Lo fa per proteggerlo. Lo sente solo con telefoni usa e getta. Lei continua a vivere nello stesso quartiere dove è cresciuto il figlio e dove riceve le minacce dei criminali per il debito contratto del figlio. Sembra un altro mondo. Siamo a 10 km da San Giovanni. Non sembra di essere in un paese ricco, in una democrazia liberale.
Il Quarticciolo, invece, è l’esempio dell’abbandono pubblico - né più né meno come Tor bella monaca - e della capacità delle persone di reagire, costruendo una speranza concreta per i più poveri.
Li collaboro con un’associazione; Quarticciolo ribelle, composta da ragazzi e ragazze che, finita l’università, hanno deciso di andare a vivere in quel quartiere, cui si dedicano giorno e notte.
Anche il Quarticciolo è una nota piazza di spaccio di Roma.
Come tutti i quartieri di edilizia popolare, la povertà economica e sociale e l’abbandono del patrimonio pubblico da parte delle Istituzioni costituiscono l’humus ideale per la proliferazione della criminalità.
In quel quartiere gli spacciatori smerciano la loro roba seduti su comode sedie agli angoli delle strade, in particolare vendono crack, che trasforma i ragazzi che ne fanno uso, in zombie che girano come morti per il quartiere. È un quartiere dove la polizia di Roma capitale ha paura ad entrare e ha bisogno di un parcheggio privato per i propri poliziotti per evitare che le macchine siano vandalizzate, dove gli spacciatori minacciano gli operai delle ditte dell’Ater in occasione dei interventi per la manutenzione degli stabili, e tanto altro ancora.
I ragazzi di Quarticciolo Ribelle costruiscono, invece, giorno per giorno, un’alternativa possibile, con il loro esempio e con le loro attività.
Nel quartiere hanno realizzato una palestra popolare dove i bambini e le bambine sono seguiti, direi accuditi, e tenuti fuori da ambienti malsani.
I familiari i che non possono permetterselo, non pagano rette. Questi ragazzi, che come detto si sono soprannominati Quarticciolo Ribelle, hanno organizzato il doposcuola per i bambini.
Hanno creato, nel deserto, un ambulatorio sociale che interviene laddove lo Stato arretra.
Cercano di creare lavori, fornendo un’alternativa concreta, con un birrificio, una stamperia.
Come dicono loro, dove tutto chiude, noi apriamo.
Supportano le famiglie nei colloqui con i servizi sociali e nei colloqui scolastici.
Collaborano con l’università nell’immaginare un possibile alternativa.
Coprono buchi.
Danno ovviamente fastidio. Innanzitutto alla criminalità, che prospera laddove è maggiore il bisogno. Ma anche alle Istituzioni. Sono sentinelle attive che denunciano, senza sconti, le loro mancanze, le loro lacune.
Raccontano di come i prezzi delle case, sempre più insostenibili, allontano i poveri dalla loro città, trasformata in una Disneyland per ricchi e turisti.
Collaboro con associazioni scomode con problematiche insostenibili.
Perché la povertà e l’abbandono sono scomode.
È più facile costruire una cancellata, un recinto, un ghetto, per occultare la realtà che dare risposte concrete ai bisogni dei poveri.
Con tristezza infinita sono costretto a constatare che gran parte degli interventi pubblici delle Istituzioni per onorare il giubileo, nato anche per la promozione della dignità di ogni persona e per il rispetto del creato, non siano stati investiti e utilizzati per dare dignità agli abitanti più sfortunati della nostra città ma per rendere più comodi, belli e sicuri i quartieri bene della Città Santa che santa non può essere se non apre gli occhi sulle povertà diffuse che la popolano.
#roma
#giubileo
#periferie
#realtà_vs_belleparole
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raccontidialiantis · 1 day ago
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Era l’anno del mio diploma
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Avevo compiuto diciotto anni a novembre e circa un mese dopo, dalla Francia venne a darci una mano in casa Claudine, un’amica d’infanzia di mia madre Margot e sua compagna di liceo. Una donna di poco sopra i quaranta, come mamma appunto. Lei era piccolina, ma perfetta. Molto proporzionata. Una francesina bella, pulita, colta e piena di fascino. A differenza di mamma, che s’era sposata giovanissima ed era venuta subito in Italia, lei invece era convolata a nozze un po' più tardi, ma purtroppo era rimasta vedova pochi anni dopo il matrimonio, a causa di un incidente stradale in cui era rimasto coinvolto il marito. S'era trovata per questo, dopo neppure un anno, completamente a terra economicamente. Pur se laureata in lettere moderne, appena sposata avevano deciso di comune accordo col marito che lei avrebbe lasciato l’insegnamento, si sarebbe occupata della casa e avrebbero subito messo al mondo dei figli, che però non fecero a tempo ad arrivare.
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Per cui erano ormai già diversi anni che campava di stenti arrangiandosi e che soffriva da morire nel sentirsi sempre poco considerata, dovendo svolgere tutti i lavori più umili pur di sopravvivere. Per giunta, non riusciva a tenersi un lavoro per più di qualche mese. Infatti essendo veramente una bella donna, peraltro vedova e bisognosa, doveva regolarmente respingere le avances aggressive dei vari datori di lavoro. Che si sentivano in diritto di approfittarsene. Per questo, doveva ricominciare ogni volta daccapo a cercare. Con mamma comunque si era sempre tenuta in contatto. Dopo tanto tempo di continua e ininterrotta consuetudine, ebbe un chiarimento finale e risolutivo con mamma via e-mail. Aveva sempre rifiutato l’aiuto che mamma Margot le offriva, ma dopo l’ultimo scambio, evidentemente esasperata e stanca, accettò senza più esitare l’offerta genuina dei miei genitori di poter venire in Italia a casa nostra: un po’ colf, un po’ dama di compagnia e infine, visto l’approcciarsi del mio Esame di Stato, anche quale mia temporanea istitutrice. Arrivò e passò finalmente un Natale sereno con noi. Forse il primo, dopo tanto tempo.
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Mio padre è un capace industriale. Mia madre invece è un’insegnante. Di francese, ovviamente. In famiglia abbiamo un discreto agio. Le due donne avevano ritrovato l’antica, intima confidenza e Claudine finalmente era tornata rilassata. Quando sorrideva, illuminava la stanza. Margot passava alla sua amica del cuore un sacco di suoi vestiti ancora nuovi; uscivano spesso insieme per la spesa o per un caffè. Claudine percepiva un regolare stipendio, oltre ad alloggiare e mangiare con noi. Intanto, i miei si ingegnavano per trovarle una sistemazione dignitosa, un vero lavoro. Ma senza troppa fretta, perché intanto in casa si respirava un’aria di novità e maggior serenità. Poi, lei aveva anche questo compito di aiutarmi al pomeriggio coi compiti e guidarmi verso l’esame di stato che ci sarebbe stato di lì a pochi mesi. Era veramente uno spettacolo di femmina: intelligente, spiritosa ed effettivamente sotto la sua guida, per me era divenuto un vero piacere studiare, ripassare e organizzarmi per bene le materie e le interrogazioni.
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Prendemmo subito molta confidenza. Io capìì subito che lei era solo un’anima bisognosa di tanto affetto e aveva necessità di tornare a essere finalmente riconosciuta e apprezzata: soprattutto come donna. Gradiva di sicuro essere corteggiata, ma anche rispettata, considerata nei suoi valori. Però intuivo come dentro bramasse essere desiderata, oggetto di genuina passione. Io per parte mia le morivo letteralmente dietro. Sbavavo. Con assoluta discrezione, ovviamente. Nel correggermi i compiti, lei si alzava dalla normale posizione al tavolo ‘a squadra’, avvicinava la sua sedia alla mia e mi si metteva di fianco, sullo stesso lato. Ero letteralmente stordito e rapito dal suo profumo, dal suo fascino di donna matura e sensuale. Diffondeva inconsapevolmente bellezza ed erotismo tutt’attorno a sé. Io ero abbagliato da tanta grazia. Inevitabilmente se ne accorse e prese a provocarmi. Come il gatto col topo. Veniva in camera mia col golfino oversize; se lo toglieva e potevo così ammirare le sue camicette trasparenti o quei top mozzafiato scollatissimi. Poi, le gonne corte che, ritirandosi sulla coscia, quando lei si sedeva, lasciavano intravedere le calze autoreggenti. Tutti indumenti che riconoscevo essere stati in passato di mamma. La sua pelle candida e profumata di pesca reclamava, assetata, delle labbra che la baciassero al più presto ovunque. Mi guardava negli occhi e scherzando mi stuzzicava, mi mandava dei bacini in punta di dita e poi mi toccava, mi accarezzava tenera.
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Con me avevo l'impressione sincera che tornasse diciottenne. Non mancava di salutarmi con un dolcissimo bacino sulla guancia, sia entrando in camera che uscendone. Un bacino che durava sempre di più. Alla fine al bacino aveva aggiunto l’abbraccio stretto. La camera degli ospiti dove lei dormiva era vicina alla mia, giù nel seminterrato e vicino al grottino; mentre la stanza da letto dei miei era ben distante, al primo piano e nell’altra ala della villa. Un pomeriggio, dopo che avevamo pranzato, mamma era tornata a scuola per il ricevimento dei genitori. Mio padre come sempre era in azienda. Nel silenzio totale della casa, prima dell’ora stabilita per i compiti - le tre - ognuno di noi due era in camera sua per un breve riposino. Io avevo i sensi acuiti dal folle desiderio di lei, per cui notai comunque un lievissimo mugugnare provenire dalla parete in comune. Non resistetti e andai a sbirciare dalla sua porta. Che aprii appena, senza farmi sentire: c’era una vera Dea nuda, sul letto. Con indosso solo un perizoma. A occhi chiusi, con una mano sul seno e un'altra negli slip, si toccava il basso ventre e si muoveva sospirando, piena di evidente passione erotica. Udì qualcosa, si girò di scatto e s’accorse di me! Però non urlò: dapprima si coprì col lenzuolo. Poi però, rossa in viso e adorabile, mi sorrise e senza rimproverarmi mi fece cenno di avvicinarmi a lei. Ero paralizzato, da tanto spettacolo. Mi disse:
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"vieni qui vicino; ormai sei un adulto e potrai ben guardare una donna che si dà piacere. In fondo, è anche questo parte dell’educazione di un giovane uomo, no?" "posso vederti da vicino e sentire il tuo odore, Claudine?" "si, certo. Ma… non mi toccare, capito? Non vorrei mai litigare con Margot: dovrà essere proprio un nostro assoluto segreto, ok?"
E così assistetti allo spettacolo più bello del mondo: una donna che infila le sue dita nella fica e si dà godimento. Lentamente. Quell’aroma, il sudore delle sue ascelle, dell’inguine misto al suo profumo preferito e la vista di quel vero paradiso mi si stamparono in mente. Venne in silenzio, inarcando la schiena. Che cosa meravigliosa. Ogni tanto si girava su un fianco, allargava le natiche, scostava il filetto e mi faceva vedere il suo buco del culo mentre lo contraeva e lo rilassava. Infine, quando fu contenta di essere stata adorata da me per diversi minuti, sorrise soddisfatta.
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Poi mi chiese di uscire e di andare a prepararmi per i compiti. Da quel giorno, la sua presenza vicino a me ogni pomeriggio alle tre divenne una vera, dolcissima tortura. Non aspettavo altro. Non desideravo altro. Un pomeriggio si sedette al mio tavolo da studio, al solito a squadra rispetto a me; tolse il golfino e sotto aveva la camicetta di tulle molto trasparente, ma… non portava il reggiseno! Spavaldi e troneggianti in alto sul pianale del tavolo, le sue mammelle erano le protagoniste principali in commedia. Sudavo freddo! Non potevo staccare il mio sguardo da quei trionfi di bellezza, dalla magnetica attrazione sessuale. Lei si accorse del mio stato e mi chiese, finto-stupita: “che c’è, tesoro?” Le risposi che avrei tanto desiderato vederle nuovamente i seni completamente nudi. Non si fece pregare: chiuse a chiave la porta, tolse la camicetta e si sedette di fianco a me a torso nudo. Le chiesi di poter adorare ancora una volta e magari toccare le sue stupende e sode mammelle, di poterle annusare, drogarmi d’amore per lei… arrossì ma alla fine disse: “Ma che dici, stupido! Va bene. Toccale, per alcuni secondi soltanto però, eh?”
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Come iniziai a carezzargliele teneramente, i suoi capezzoli istantaneamente crebbero. Smisi, spaventato. Ma lei disse: “no, no: va tutto bene non ti preoccupare. Una donna fa così, quando è eccitata; continua, ti prego…” e io continuai a lungo, altro che secondi! A un tratto mi disse: “vabbè tanto vale che me li baci, no?” Quindi risoluta mi prese la testa, se la premette su un seno e mi mise un capezzolo in bocca. “Succhia, mio piccolo tesoro. Leccami e succhia” stetti una mezz’ora buona in quel paradiso di sapori, odori e perfezione femminile. Le leccai, succhiai intensamente e carezzai entrambi i seni. Riuscii anche a metterle una mano tra le cosce. Sulle prime lei le allargò anche: potetti così sentire inequivocabilmente che era bagnata, da sopra le sue mutandine. Ma poi di colpo mi tolse la mano, si rimise la camicetta, il golfino, si ricompose e cominciammo a studiare. Quel pomeriggio faticai non poco a mantenere un comportamento civile.
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Da quel momento, tutti i giorni alle tre passavamo dapprima una mezz’ora in assoluta intimità: lei ad allattarmi e a godere delle mie labbra; io a torturarle, leccarle i seni e a cercare di arrivare con le mani alla sua fica. A volte mi faceva stare anche un minuto, con la mano a coppa sulla sua passera, che sentivo gonfia e calda; ma regolarmente dopo un po’ me la toglieva e la sessione di studio doveva iniziare. Era inflessibile. Un pomeriggio la sentìì più languida del solito: appena arrivata in stanza e chiusa la porta mi prese la testa tra le mani e mi baciò a lungo, lingua in bocca. Potetti subito toglierle facilmente la camicetta e iniziare a leccarle i seni e le ascelle depilate e profumatissime. Cercai di portarla al solito verso il tavolo da studio, dove avevo già disposto le sedie aperte strategicamente, ma lei invece stavolta volle sedersi a bordo letto!
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Mentre succhiavo ingordo i suoi capezzoli, stavolta fu lei stessa a prendere la mano e mettersela appena sotto la gonna. Io un po’ esitavo, perché sapevo ormai che il mio arrivare a toccarle le mutandine in genere sanciva la fine del ‘preambolo’ e l’inizio dei compiti. All’orecchio con voce dolcemente roca mi disse: “che fai, mio giovane studente, esiti? Oggi non vuoi salire?” e io presi a salire piano lungo il suo interno coscia. A un tratto il mio cuore sobbalzò… non indossava gli slip!!! Ero impazzito di gioia: potetti infilarle senza che si opponesse dapprima un dito, poi due e infine riuscii con un minimo sforzo a farle entrare tutta la mano! Lei ormai coricata sulla schiena, gonna sollevata completamente e a cosce allargate gemeva, godeva, si muoveva e mi carezzava la testa, mentre le succhiavo i seni. Le baciavo il collo e la bocca. Venne… mordendomi piano un orecchio per non urlare! Mi sarei lasciato divorare tutto, da lei. Quindi al solito, d’improvviso si staccò e ci ricomponemmo.
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Siccome da un po’ di tempo il pomeriggio passavamo sempre più tempo a ‘intrattenerci’ e sempre meno a fare i compiti, lo studio soffriva. Quindi lei d’un tratto decise che: "basta! Di pomeriggio si studia e niente altro più." Ci rimasi molto male, ma capii che per lei stava diventando forse qualcosa di imbarazzante. Io, sebbene giovanissimo, ero pur sempre un gentiluomo. Che mai avrebbe voluto forzare la volontà di una signora stupenda e raffinata come lei. Quella stessa notte però, attorno alle undici e quaranta, dormendo ma socchiudendo un occhio per un lieve rumore, vidi aprirsi piano la porta della mia camera e una figura adorata in controluce venire verso il mio letto. In silenzio si mise sotto le coperte con me, mi baciò schiaffandomi mezzo metro di lingua in bocca e poi mi sussurrò all’orecchio: “fottimi, mio giovane stallone. Fammi tua per tutto il tempo che riuscirai a resistermi dentro duro.”
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Mi si mise sopra a cavalcioni. Prese l’uccello e se lo infilò dentro. Cavalcò fino a godere una prima volta. Quindi mi mise un seno in bocca e stesa a pelle su di me mi comandò di succhiarla e leccarla a lungo. Dopo che venne di nuovo, si mise a pancia sotto sul letto. Cuscino sotto i fianchi, sollevò il culo in alto a natiche larghe e mi disse: “non vuoi leccarmi ed esplorarmi tutta?” Non me lo feci ripetere: la leccai nell’ano a lungo e per questo lo sentivo aprirsi sempre di più, fino a che mi intimò con una sola parola: “sfondamelo.” Ordine perentorio che mi fece impazzire di gioia e desiderio. La inculai e stantuffai per un’ora almeno: giuro! Sono sicuro che le feci male lavorandola nel culo perché ogni tanto gridava ‘ahia’ però mi diceva di non preoccuparmi e di continuare a cavalcarla, che mi voleva tantissimo. Che sborrassi pure quanto volevo, nel suo culo. La tenevo per le zinne. Non poteva scappare. Né lo desiderava.
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Il giorno dopo era più bella che mai. E se a colazione, a pranzo e insieme a mamma Margot era la Claudine di sempre, facendo i compiti con me alle tre era invece diventata castigata e rigorosissima: un’insegnante che non tollerava rilassamenti. Ma non mi dispiaceva. Perché a mezzanotte, quasi tutte le notti, Claudine era mia e potevo incularmela e scoparmela di dritto e di rovescio. Mi faceva dei pompini che mi mandavano in estasi e regolarmente ogni volta, subito dopo ingoiato il mio seme, aveva il vezzo di baciarmi a lungo in bocca. Poi mi infilava un dito nel culo, così mi dava lo stimolo e il tempo di eccitarmi di nuovo. Di ritrovare la voglia insopprimibile di lei e quindi voleva che la inculassi, per ‘punirla’ di quel suo ardire. La prima volta fui sorpreso di conoscere questo suo giochino per stimolare un uomo. Ma poi glielo chiedevo io. Ero innamoratissimo di lei. Dopo l’Esame di Stato, superato da me col massimo dei voti, mio padre riuscì a trovarle finalmente un impiego decoroso in città, in un punto vendita legato alla sua azienda, che aveva filiali e punti vendita in tutta Europa. E ovviamente anche in Francia, per cui in futuro forse avrebbe potuto tornarvi. Si stabilì in un appartamentino poco distante da casa nostra.
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Se ne tornò in patria dopo tre anni. Nel frattempo, mentre era ancora in Italia, regolarmente l’andavo a trovare perché "solo un ventenne come te sa farmi sentire la vera donna che sono." Per parte mia mi laureai ed entrai a lavorare in azienda con papà. Mi sposai a ventiquattro anni con Luisa, la donna che amo, di dodici anni più grande di me. Forse ho scelto lei per il mio inconscio e grande desiderio di replicare la storia con Claudine. Ma comunque spesso per lavoro devo andare in Francia, nell’azienda collegata alla nostra e di cui abbiamo delle quote, dove ormai lavora anche lei. Non manco mai di andare a trovarla in ufficio, con la scusa di portarle un souvenir d’Italie. Per poterle invece poi, nel tardo pomeriggio, godere della sua bocca, succhiarle i seni, la fica e incularmela a lungo. Naturalmente, dopo che m’ha fatto il suo giochino preferito post pompino con quelle dita birichine. Ci vediamo invariabilmente nell’albergo dove alloggio. Anche perché lei s’è risposata con un suo collega ed è ormai serena nel suo ménage. Ha una figlia. Con Claudine ci scriviamo tuttora in gran segreto delle porcate assurde, perché ci desideriamo veramente, malgrado la differenza d’età notevole. Mia moglie non l’ha mai saputo. Né lo saprà mai. Mia madre forse lo sa. O molto più probabilmente addirittura le aveva dato lei stessa l’incarico di svezzare e far diventare un vero uomo suo figlio. Un giorno Claudine me lo confesserà! Continuo ad adorarla, nell'intimo del mio cuore. Un amore segreto è l'unica cosa che ti saprà dare un'ottima ragione per vivere, quando sarai soffocato dalla routine.
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RDA
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seduction-fatale78 · 2 months ago
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Per diventare una vera volpe devi studiare bene come l'uva diventa vino!!!
dal web
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Buona serata
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diceriadelluntore · 23 days ago
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Storia Di Musica #347 - Sonny Rollins, Tenor Madness, 1956
Le Storie Di Musica toccheranno il traguardo delle 350 puntate questo mese. Come ormai da prassi, il numero tondo è dedicato ad un disco di Miles Davis. E questa volta, in ossequio al filo rosso degli album legati tra loro, ho deciso di raccontare il rapporto tra Davis e una grande etichetta discografica, la Prestige Records. La Prestige fu fondata da Bob Weinstock nel 1949: appassionato di musica jazz, vendeva dei dischi per corrispondenza in maniera così incisiva che ben presto affittò un locale e lo trasformò in un grande negozio di dischi, il Jazz Record Center, sulla quarantasettesima strada di New York. Frequentando i locali jazz che lì vicino iniziavano a diventare famosi, legò con molti musicisti fino a fondare prima la New Jazz Records che dopo pochi mesi diventa la Prestige Records. Weinstock è stato un personaggio leggendario, dalle mille manie, alcune delle quali racconterò in questi appuntamenti novembrini, ed è stato negli anni '50 uno dei fari della musica jazz mondiale con la sua etichetta indipendente, insieme alla Blue Note, alla Riverside, alla Impulse! prima che anche i grandi gruppi discografici entrassero nel jazz in maniera decisa.
Weinstock era oltre che un appassionato un grande uomo d'affari, capace di intuire le potenzialità degli artisti e di essere per loro trampolino di lancio e di ottimizzare tempi e costi delle produzioni: pochissime prove per le registrazioni, e leggenda vuole che si registrasse due volte sui nastri di alcune take per risparmiare, leggenda nata dal fatto che per quanto la produzione Prestige fosse numericamente grandiosa, esistono pochissime alternative takes dei loro lavori. Nonostante come ingegnere del suono ci fosse una leggenda: Rudy Van Gelder, che non lavorava solo per lui ma anche per la Blue Note, famoso per la sua accuratezza e maniacalità. Le prime registrazioni avvenivano nel garage della casa di famiglia di Hackensack, nel New Jersey, luogo che divenne mitico tanto che Thelonious Monk dedicò al grande ingegnere un brano, Hackensack, per poi spostarsi di qualche km a Englewood Cliffs, sempre nel New Jersey.
In quello studio a Hackensack Sonny Rollins registra il 24 Maggio del 1956 il disco di oggi. Rollins all'epoca è già riconosciuto un gigante del sassofono, tanto che è famosa il commento di Max Gordon, leggendario proprietario del jazz club più famoso del mondo, Il Village Vanguard, che sosteneva: I critici e gli appassionati hanno pareri molto discordi sulla bravura di alcuni musicisti jazz, ma non su Sonny Rollins. Lui è il più grande, il più grande sax della sua generazione. Theodore Walter Rollins nasce a New York nel 1930 da una famiglia di origini caraibiche, i cui "suoni" influenzeranno la sua carriera futura. Fa un apprendistato breve ma intensissimo, suonando con i più grandi: J.J Johnson, Monk, Bud Powell, Max Roach e soprattutto Miles Davis e Charlie Parker. È il primo che trasporta la rivoluzione del bop sul sax tenore. Con Davis dimostra anche le sue già ottime capacità compositive scrivendo pezzi diventati famosi, come Airgin e Oleo. Però ha un difetto: ad un certo punto sparisce, per i motivi più strani. Nel 1954 si ritira a Chicago, per non cadere in tentazione tra soldi e droga, per continuare a studiare facendo lavori manuali. Quando ritorna a New York, suona per la Prestige in uno dei primi 33 giri del jazz, Dig. Nel 1955, tornato nel gruppo di Davis, poco prima di un'importante serie di concerti al Teatro Bohemia, sparisce di nuovo, stavolta per disintossicarsi. Ritorna nel 1956, quando sempre l'amico Roach lo scrittura per un disco portentoso: Sonny Rollins Plus 4 è all'apice della creatività, tanto che ancora come innovatore impone nel jazz il tempo in tre quarti (la storica Valse Hot). Nel frattempo però il suo posto nel gruppo di Davis è preso da un giovane che di lì a poco diventerà un gigante, John Coltrane, ma Davis gli vuole bene e per delle registrazioni del 1956 per la Prestige gli offre la sua sezione ritmica, che nel jazz è ricordata come "The rhythm section" per quanto iconica e grande è stata, e con questa registra il disco di oggi. Rollins è insieme a Red Garland al pianoforte, Paul Chambers al contrabbasso e Philly Joe Jones alla batteria quando inizia a suonare Tenor Madness, che contiene nella title track un incontro unico ed eccezionale. Essendo lì per una sessione con il quintetto di Davis, in quello che diventerà il più famoso chase della storia del jazz, John Coltrane si unisce a Rollins in quel brano, da allora uno dei capisaldi del jazz. Cos'è però un chase? è un incontro dove due strumentisti colloquiano con lo stesso strumento su un dato canovaccio, una sorta di dialogo musicale dove si fronteggiano a suon di assoli. Tenor Madness è un piccolo blues, che si rifà a Royal Roost di Kenny Clarke and His 52nd Street Boys, registrato nel 1946, ma qui diviene il brano che mette insieme i due più grandi e influenti sassofonisti della storia del jazz, con il timbro squillante e luminoso del primo Coltrane (che debutterà come solista solo l'anno successivo nel 1957) e il suono più cupo e leggero di Rollins, che all'epoca aveva già più esperienza. Il resto di Tenor Madness è altrettanto iconico: When Your Lover Has Gone, classico di Einar Aaron Swan, divenuto famosissimo per la sua apparizione nel film La Bionda E L'Avventuriero del 1931 di Roy Del Ruth e interpretato da James Cagney e Joan Blondell, che solo nel 1956 ebbe una ventina di incisioni; Paul's Pal è un omaggio di Rollins a Paul Chambers, uno dei più geniali bassisti di tutti tempi, uno che ha suonato in almeno 100 capolavori del jazz; My Reverie è la ripresa dell'arrangiamento che nel 1938 Larry Clinton fece si un brano di Claude Debussy, Rêverie, del 1890; chiude il disco una cover spettacolare di The Most Beautiful Girl In The World, opera del magico duo Rodgers and Hart e presente nel musical Jumbo, che trasformava un teatro di Broadway in un mega circo con acrobati, trapezisti e giocolieri durante lo spettacolo. Il disco, un capolavoro, ne anticipa un altro, Saxophone Colossus, dello stesso anno, uno degli apici creativi di quegli anni incredibili e altro gioiello della collezione Prestige.
Rollins fu attivo per la lotta dei diritti civili e politici degli afroamericani, tanco che nel 1958 firma in trio con Oscar Pettiford e Max Roach, il disco The Freedom Suite, uno dei primi album-manifesto sulle discriminazioni razziali del jazz, e continuò ad avere costanti le sparizioni dalle scene. Sempre dovute alle sue dipendenze dalle droghe, la più famosa riguarda un suo disco, il suo maggior successo commerciale, The Bridge del 1962: ancora insoddisfatto della sua musica, decide si andare a suonare sotto il ponte Williamsburg, quello che divide Manhattan da Brooklyn, provando per 12-13 ore al giorno, in tutte le stagioni.
Scontroso (si dice che abbia licenziato il maggior numero di colleghi, più di Mingus), dalla personalità labirintica, non seguì le rivoluzioni degli anni '60 e '70, scriverà ancora grandi album (What's New con Jim Hall, un altro gioiello) e parteciperà con attenzione anche a contaminazioni con altri generi, e famosissimo è il suo assolo per i Rolling Stones in Waitin' On a Friend, da Tattoo You del 1981. È l'ultimo dei grandi a sopravvivere, ritiratosi nel 2012 dalle scene, un gigante che ha segnato un periodo irripetibile della musica.
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gregor-samsung · 8 days ago
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“ Mentre gli europei impiegavano le lenti per costruire microscopi, telescopi ed occhiali, i cinesi si divertivano ad adoperarli come giocattoli incantati. Lo stesso fecero con gli orologi. Lenti, orologi ed altri strumenti erano stati inventati in Europa per soddisfare esigenze quali sperimentate da uno specifico ambiente socioculturale. In Cina queste invenzioni piovvero casualmente dal cielo e i cinesi le riguardarono come divertenti stranezze. I migliori intelletti si dedicavano all'arte e alla filosofia, non alle scienze. Come osservò padre Ricci, «alla matematica come alla medicina non si applicano se non persone che non possono studiare bene le loro lettere per il puoco ingegno e habilità; e così stanno queste scientie in bassa stima e fioriscono assai puoco. I gradi più solenni sono quelli delle scienze morali». In Cina non era il mondo cittadino a scandire il tono della cultura. In una società composta essenzialmente di una élite di literati nutriti alle discipline classiche e di una vasta massa di contadini che, come nota il dr. Chiang «misuravano il tempo in termini di giorni e di anni e non di minuti o di ore», l'orologio aveva scarse possibilità di imporsi come strumento di pratica utilità. Perché ciò accadesse, si sarebbe dovuto verificare un completo ribaltamento della società, delle sue strutture e dei suoi bisogni. La macchina ha ragion d'essere solo come espressione della risposta dell'uomo ai problemi postigli dall'ambiente e recepiti e interpretati traverso il filtro della cultura prevalente. “
Carlo M. Cipolla, Le macchine del tempo. L'orologio e la società (1300-1700), Il Mulino (collana Intersezioni, n° 169), 2008 [1ª ed.ne 1981]; pp. 71-72.
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ilpianistasultetto · 5 months ago
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AUTONOMIA DIFFERENZIATA spiegata in parole povere (parte II)
Passata in Parlamento la legge per l'autonomia differenziata. 23 materie che passeranno dallo Stato alle Regioni. Saranno le Regioni a gestire i servizi, i contratti di lavoro dei dipendenti, le assunzioni. Quindi: la morte dei contratti di lavoro nazionali, dei requisiti, titoli e di ogni forma sindacale che abbia un peso. 20 retribuzioni diverse, forse anche 20 orari di lavoro diversi. Mancano i medici o gli insegnanti in Veneto? Bene! Stabilisco contratti di lavoro regionale, dove un insegnante avra' una retribuzione di 5mila euro e un medico 10mila euro. Visto che la regione Calabria potrebbe pagare i suoi medici non piu' di 5mila euro e un insegnante 2mila euro, cosa pensate possa succedere? Forse, in Calabria niente ospedali o solo con medici Congolesi con contratti a termine, visto che i medici calabresi potrebbero migrare dove vengono pagati di piu' idem per le scuole. Insomma, con le buone (oggi) o con le cattive (ieri, ai tempi di Bossi), la. secessione e' stata avviata e alcune regioni, oltre al problema di mangiare, avranno anche il problema di come curarsi e dove studiare. @ilpianistasultetto
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susieporta · 1 month ago
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ESAME
Buongiorno
Lo sai vero che tutti noi siamo nati con una missione da compiere e da portare a termine?
E che viviamo esperienze/studio che sono come righe di libri da studiare, come fanno gli studenti che devono superare un esame per andare avanti?
Possiamo poi presentarci all’esame o meno, essere preparati o meno.
Promossi o no,
comunque possiamo scegliere
Esiste infatti il libero arbitrio
Uno studente usa il suo libero arbitrio e può decidere se studiare e quindi essere preparato all’esame. O fregarmene e stare a vedere Netflix
Nessuno lo costringe.
Poi se passa l’esame bene, se non lo passa lo ripeterà fino a che non sarà riuscito a superarlo.
Con l’unica differenza che quando non studi per un esame potresti sentirti in colpa. E dico potresti. E poi rimani indietro…
Quando fai una scelta della vita che non è quella dell’anima, quando prendi una strada che non è la tua reale strada frutto dei tuoi desideri, ma è la strada che vogliono per te gli altri, quando sei mosso soltanto dalla testa e non dal cuore, ti accorgi da subito, appena la imbocchi, che stai facendo una forzatura. Una cazzaxta
Quello è il tuo essere ammesso all’esame
E La vita che stai forzando te lo dirà a più riprese, farà più sessioni.
E ti renderà tutto, tutto, molto faticoso
E anche se tu pensi di aver fatto la scelta migliore per il tuo bene e quello degli altri difficilmente sarai davvero felice.
Anzi.
E sarà anche il tuo corpo a dirtelo, inizierà con un piccolo dolore da una parte. Il tuo punto debole. Poi sempre peggio. È tutto perfetto tranne te e che per tenere tutto in modo così perfetto ti costa immane fatica
Cosa puoi fare se ti trovi in questa condizione?
Osservati e ascolta.
Non te la raccontare
Sei ancora in tempo. Anzi ti dirò Se accade ora è perché è ora che doveva accadere.
È ora che dovevi comprendere.
Quindi se ti accorgi che tutto è dannatamente faticoso e il corpo fa male, allora sei nel tuo momento giusto di rottura.
Fermati adesso, un attimo e ascoltati
Sei felice?
Se la risposta è No
Spostati da lì
Fallo per te e per nessun altro.
Nessuno può imparare al posto tuo
Nessuno può studiare al posto tuo
Nessuno può amarti al posto tuo.
Inizia ora: amati. Prenditi cura di te
Ascoltati.
C’è un esame da dare oggi.
Alessandro Catanzaro
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fiorescente · 28 days ago
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È molto strano perché mi piace tanto inserire foto e ovviamente l'editing è tremendo, ma non riesco più a farne tante con disinvoltura e non so perché.
Comunque: oggi ho sentito la psicologa e lei è molto contenta di rivederci e anche io e mi ha detto di fare un diario e direi che su quello ci siamo, poi sicuramente dovremmo stabilire un'ordine di priorità sulle cose da affrontare perché c'è tanto di cui parlare
In queste settimane ho fatto tanti dolci e i miei rotolini alla cannella non hanno lievitato perché il lievito fresco ha fatto i capricci e ci ho sofferto un po'
È molto molto molto difficile studiare e avere una routine, ma vorrei dormire più presto e riuscire ad aggiustare qualcosa in questa routine. La prossima settimana verrà la mia famiglia e verranno tutti che è un grande stress e mi chiedo come facciano a non capirlo. Ho anche un progetto di laboratorio da fare in quei giorni e sarà un casino
Una mia amica storica ha trovato casa e sono così contenta per lei anche perché è in un quartiere a cui vogliamo bene e iniziare in nuovo capitolo della nostra vita insieme riempie il cuore. Ho visto la sua famiglia e abbiamo parlato e forse un po' mi sono sentita socialmente accettabile.
Ho imparato da lei a indossare i turbanti ed è benissimooo ora i miei capelli sono salvi dall'essere toccati dalle mie mani ossessive stressate
Sto leggendo e ho riorganizzato la libreria e il comodino perché con la mia famiglia arriveranno delle nuove cose di casa, soprattutto libri. Sto finendo gita al faro ed è proprio bellissimo e ne avrò nostalgia quando sarà finito, qui una citazione essenziale
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ross-nekochan · 8 months ago
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il lavoro è una condanna? Per carità a nessuno piace eh però cristo santissimo se è una condanna e dovete andare di psicofarmaci ragazzi datevi alla macchia.
1. Non posso dormire delle ore per me salutari e spesso mi si chiudono gli occhi davanti allo schermo
2. Devo stare in un treno pieno zeppo di persone per 3h al giorno e spesso senza nemmeno sedermi
3. Devo rinunciare a un giorno del mio weekend per prepararmi da mangiare qualcosa di sano durante la settimana e tentare di essere in salute, almeno fisica
Dimmi, come la vuoi chiamare questa? Felicità?
Io la chiamo tortura perché è quello che è. E non mi venire a dire che devo cambiare qualcosa perché sto mandando cv e facendo colloqui continuamente nella speranza di uscire fuori da questo inferno (ed entrarne in un altro, ma vabbe) e se non sta succedendo niente non è certo colpa mia.
Se a te sta bene lavorare/il tuo lavoro ben venga, a me fa schifo e preferirei spendere il mio tempo per studiare, andare ai musei, leggere libri etc etc. Peccato che queste belle cose non mi paghino l'affitto.
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donaruz · 1 year ago
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2 agosto 1980 ore 9,00
«Forza Carmelo! È ora di alzarsi, bisogna correre in stazione, c’è il treno che ci porterà da papà!»
«Uffa, va bene, mi alzo» Il piccolo Carmelo ancora frastornato per la giornata precedente dove aveva mangiato un buonissimo gelato e corso per le vie di Bologna come un giovane esploratore in una terra sconosciuta. Osservava tutto. Carmelo era alto, non dimostrava la sua giovane età e con quel bellissimo binocolo che gli aveva regalato suo zio e i pantaloncini corti era perfetto come ricognitore dell’ignoto. Aveva gli occhi azzurri, la mamma per scherzare diceva sempre che era figlio di qualche Dio dell’Olimpo greco; nessuno in famiglia aveva gli occhi azzurri. Da grande voleva studiare gli animali e girare il mondo alla scoperta di nuovi territori. Era un esploratore ancora prima di esserlo davvero.
Una semplice ma abbondante colazione e poi un bacio forte a Tobia, il cane. La strada è breve fino ai treni ma quella mattina i parenti devono portare la macchina dal meccanico, una vecchia fiat 127 ormai al termine. La decisione è presto fatta, si va in stazione a piedi, tanto il treno è alle 11, c’è tempo...
Carmelo è contento, ha visto una grande città del nord, piena di gente che corre, non ha capito il motivo ma si diverte a vederli indaffarati, al suo paese sono molto più tranquilli. Poi, finalmente, vede i treni. Che amore che ha per i treni! Ogni domenica il suo papà lo porta alla piccola stazione del paesello a vedere i treni che partono, ora anche lui potrà salire su quelle macchine meravigliose fatte di ferro e legno per ben la seconda volta nella sua vita.
10,20
«Mamma!, mamma mi piacerebbe tanto avere un amico cane, ma tanto tanto!»
«Va bene piccolo, vedremo, quanto torniamo a casa ne parliamo con papà e se lui è d’accordo andiamo al canile»
«Che bello!, che bello!, sono sicuro che il papà sarà d’accor……»
BUUUMMM!?!
«Mamma, mammaa, aiuto! Dove sei? Ho paura! è tutto buio, mamma aiuto è tutto buio..»
Suoni, strani suoni di ferro caldo. Un caldo feroce; gemiti che provengono dal treno di fronte ai binari, gemiti sempre più profondi e poi...urla disperate. Chi cerca la mamma, chi il fratello chi l’amico, la compagna, il figlio. Ma loro non sono più in stazione, sono stati sbalzati a 100 metri di distanza per l’onda d’urto. Come delle foglie strappate ai rami di un albero autunnale.
Poi il fumo si dirada e s’intravede il disastro.
«Mammaa!, dove sei? Dove sei?» Carmelo sembra un minatore appena uscito dalla galleria; la galleria più profonda del suo piccolo paese.
«Vieni piccolino, vieni in braccio, ti aiuto io!» Un ragazzo di 20 anni, una divisa da vigile del fuoco. Il ragazzo è nero come Carmelo, zoppica, ma continua a togliere pezzi di cemento dal piccolo corpo del bimbo. Solleva calcinacci pesanti e taglienti, rossi dal caldo; le sue mani ustionate, ma continua a spostarli. Alcuni giorni dopo venne ricoverato in ospedale per le ustioni. Perse tre dita di una mano.
«Chi sei? Dov’è la mia mamma?» Carmelo è sepolto da una montagna nata dalla violenza.
«Sono un amico della mamma… stai tranquillo»
«Ma cos’è successo?» La sua voce non è più quella di un giovane esploratore, ora è rauca, piena di polvere e distruzione.
«Niente, non è successo niente. Piccolo…non è successo niente»
Fine
In Italia non succede mai niente.
La Rosa dei venti, Il golpe borghese, piazza Fontana, Gioia Tauro, Reggio Emilia, Brescia, l’Italicus, Genova, Il rapido 904, Bologna, Ustica, Firenze, Milano; non sono niente. Non è successo niente. Non è STATO nessuno. In fondo qualche pezzente, qualche moglie di pezzente, qualche figlio di pezzente cosa volete che sia, incidenti di percorso; incidenti per una democrazia migliore, più libera, più ricca. In Italia non è mai STATO nessuno, una cena tra poteri, un brindisi e poi le direttive agli organi di informazione:
“Dovete dire questo, dovete dire quello, dovete dire che non è successo niente; arriva l’estate mandiamoli in vacanza tranquilli, poi, quando tornano, avranno dimenticato tutto”
Ma non avete preso in considerazione una cosa: voi! infami manovratori dietro le quinte, migliaia di occhi hanno visto, sentito, sanguinano ancora. Loro lo sanno chi è STATO. Potete manipolare tutto, cancellare tutto ma dietro il vostro secchio di vernice bianca democratica ci sono pareti rosse di sangue pulito.
Quelle non potrete mai più cancellarle.
-A Carmelo e a tutti i morti e feriti di quella mattina spensierata di un agosto solare-
(Breve parte dal racconto "Piccolo esploratore" contenuto nel libro "Stelle cannibali" ED. Il Foglio 2022)
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greatmoonballoon · 2 months ago
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Oggi non è andato bene il mio esame. Dopo un mese di studio e una mattinata in università ad aspettare il mio turno, mi sono sentita un po' un fallimento. Parecchie materie ancora da dare e speravo che questa l'avrei superata.
Meno male che la prof è stata tanto gentile da offrirmi il suo aiuto se avessi bisogno di una mano su come studiare meglio la sua materia. Non è da tutti preoccuparsi pure di questo dettaglio, di solito se ne fregano. Questo mi ha aiutato tanto a darmi speranza per rifare l'esame in maniera diversa e superarlo brillantemente!
Inoltre ringrazio Dio che i miei genitori non sono i tipi da farmelo pesare. Anzi mi hanno detto che non fa nulla ma che andrà meglio la prossima volta! Posso sempre riprovarci, non è finito il mondo. Non sono quel tipo di genitori che se un figlio fallisce un esame lo fanno sentire un fallimento e questa non è una cosa scontata. Forse sono più io il genitore severo di me stessa che loro!
Ricordiamoci sempre di incoraggiare gli altri perché anche una sola parola può salvare vite e menti umane. L'università gioca tanto sulla salute mentale su tutti i punti di vista e basta un pensiero sbagliato e si può entrare in un tunnel di depressione. Laurearsi dovrebbe essere un obbiettivo per sé stessi e non una gara. Un pessimo voto non deve definire chi siamo, può succedere di sbagliare. L'importante è non arrendersi!
Detto questo, mi sento un pochino triste perché sento un senso di incompiutezza ma avere attorno chi non te lo fa pesare mi ha aiutato tanto a non sentirmi una schifezza. So che andrà meglio la prossima volta!
Adesso mi concedo relax mentale con qualche bella serie tv 🤍
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tiaspettoaltrove · 8 months ago
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“Quanti anni hai?”
La domanda che ciclicamente mi viene rivolta, qui e su altre piattaforme virtuali, è sempre la stessa: “Quanti anni hai?”. Da una parte la comprendo: la curiosità è donna, pertanto è normale che una donna sia portata a chiedermi quanti anni ho. Peraltro non è mica un segreto, eh, se una mi scrive in privato glielo dico. Ma non è questo il punto: quello su cui voglio soffermarmi è il ben poco significato di questo quesito. Peggio: la superficialità che ne permea la richiesta. Io negli anni mi sono confrontato con tante ragazze su Internet. Non centinaia, ma comunque parecchie. L’ho fatto perché mi piace studiare la psiche umana, mi piace conoscere, approfondire, ragionare, far lavorare la mente. La richiesta dell’età anagrafica è quasi sempre avvenuta, da parte di ambo le parti, in una fase successiva. Prima s’è iniziato a parlare, a confrontarsi, a raccontarsi. E poi tutto il resto. Cosa voglio dire? A volte sembra di stare su Tinder (che io non ho e non voglio avere). Purtroppo il pensiero che trasmettete, di solito, è: “Cerco un compagno e voglio vedere quanti anni ha, così se ne ha troppi o troppo pochi passo direttamente oltre”. È un po’ squallido come ragionamento, se posso. Lecito, ma squallido. Alla fine dipende tutto dalle intenzioni. Ma io l’ho detto subito, però: prendete questo blog come un libro, anche se dietro c’è una persona, in carne e ossa. Mi si dovrebbe contattare per uno scambio di opinioni, non per cercare la storia d’amore della vita. Anche perché io, all’amore, nemmeno ci credo più come prima. Vi interessa approfondire un concetto? Va benissimo, eccomi. Volete fare una critica? Vi ascolto. Ma chiedermi a caso quanti anni ho, alla ricerca di chissà cosa, è molto sciocco. Non mi offendo, ci mancherebbe. Dico solo che si potrebbero porre domande più interessanti, secondo me. Credo che l’obiettivo primario debba essere quello di trovare una forma di comunicabilità rispettosa e matura. E questo lo si può fare a qualsiasi età. Qualche anno fa parlavo amabilmente con una ragazza, andò avanti per un po’ di tempo. Poi, una volta scoperto che ero più grande di lei, scappò via. Ammetto che ci rimasi male. E vi giuro che non c’era reale motivo. Non v’erano scambi di foto e cose strane, ma discorsi molto normali, puliti. Eppure, nulla. Cerco sempre di comprendere tutto, ma l’amaro in bocca rimase per del tempo. Ecco, oramai io invito a priori le ragazze a non contattarmi, se tanto poi deve andare a finire così. Non mi piace essere abbandonato (a chi piace?), specialmente se mi comporto molto bene. Probabilmente l’opzione per porre domande in anonimato, qui, l’ho attivata proprio per questo: per mettervi più a vostro agio, per consentirvi di scrivere e chiedere qualsiasi cosa senza portare il peso dello svelamento, e quindi l’imbarazzo che può derivarne. È un blog particolare il mio, dedicato a un pubblico adulto pur non essendoci traccia di foto o video pornografici. Ma così, diciamo che avete mano libera. E io la libertà la amo sempre.
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scogito · 4 months ago
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Chi si è fatto il mazzo per uscire da situazioni schifose e ha dovuto lottare contro la sua pigrizia, affrontare tutte le sue giustificazioni, vedere le sue mancanze, i suoi disequilibri, la sua melma interiore, rendersi conto delle sue maschere, dei suoi schemi, del suo putridume, di quanto se la raccontava e di cosa ci fosse realmente sotto, non ha più pazienza di ascoltare le stronzate degli altri, nè la vuole trovare, perché è ben consapevole che il 90% delle volte sono soltanto discolpe, deboli volontà e scarsa pazienza.
Una persona simile non si autorizza più a perdere tempo con chi non vuole davvero uscire dal suo torpore, non può più farlo, proprio perché ha attraversato l'inferno e conosce molto bene i suoi trucchi.
Ti aiuta al meglio delle sue possibilità a capire in che razza di fogna ti trovi, ma non starà più a sopportare, né ad ascoltare scusanti. Ti lascerà al destino che ti sei scelto, nonostante il più delle volte dirai che non avevi scelta.
La società è piena di spiritualoidi che ti nutrono di bugie e di belle favolette, non vi servono a evolvere perché costoro servono l'illusione.
Se proprio vuoi avere una mano smettila di considerare l'evoluzione come una disciplina da studiare e rivolgiti a chi ti prende generosamente a schiaffi, a chi ti scuote, a chi ti dice quello che non ti piace. Alle persone non serve essere coccolate, anche se soltanto quello cercano, serve la capacità di ri-conoscere se stesse.
E questo non accade se aggiungi cavolate sopra quella su cui sei praticamente nato.
La Verità vuole coraggiosi, non è uno stecco di zucchero filato, è un Superiore che con tutta la bontà del mondo, ti prende anche a calci in culo.
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Linktr.ee
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ragazzadalsorrisonero · 9 months ago
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è passato così tanto tempo dall'ultima volta che presi i miei spazi, è da un po' che non scrivo di me.
ma partiamo dall'inizio o dalla fine.
21 luglio 2023
un giorno d'estate come tanti, ancora inconsapevole dei molteplici cambiamenti che sarebbero avvenuti da lì ai mesi successivi.
rapporti d'amicizia chiusi.
rapporto chiuso con quel ragazzo che non sai nemmeno come definire il rapporto, in cui si è sempre disposti a fare funzionare le cose, e poi non funzionano, prendendocela con noi stesse, quando alla fin fine, nessuno ha colpe, semplicemente non è quella persona per cui ne vale la pena davvero dedicare il nostro tempo.
aver ripreso un rapporto d'amicizia con una ragazza d'infanzia, l'unica amica che ho tutt'ora.
aver deciso di non uscire più, solo il minimo indispensabile, come andare al lavoro, all'università e a fare spesa.
aver deciso di non postare più nulla sui social, tranne su tumblr, l'unico social diverso, lo sappiamo tutti.
aver deciso di chiudermi nella mia zona confort, che equivale ad alternare studio e lettura, tutto accompagnato da una buona tazza di thè caldo prima di andare a letto.
aver deciso di non intraprendere più nuove conoscenze.
aver deciso di dedicare tutta la mia pazienza e sforzi nel lavoro.
aver deciso di mettere al primo posto mia mamma e mio fratello.
aver deciso di non commettere gli stessi errori, per poi essere di nuovo punto e a capo.
tutto un “aver deciso di” e giustamente la prima domanda che una persona si pone è il fatidico “perché? perché queste scelte? sei così giovane”
non sono solita a criticare o giudicare certi stili di vita, eppure ogni volta che mi si pone questa domanda, la mia risposta è sempre la stessa “non voglio perdere tempo a divertirmi, voglio perderlo per costruirmi un futuro ed essere indipendente”
è così sbagliato?
è così sbagliato lavorare nel settore che più ti piace anche se la paga non è granché?
è così sbagliato lavorare per non avere quel macigno nel petto che porta il nome di “le mie spese sono tutte alle spalle dei miei genitori” ?
è così sbagliato studiare per avere un titolo che mi permetta di lavorare sempre nel settore che mi piace, ma allo stesso tempo avere uno stile di vita più appagato e un buon stipendio?
è così sbagliato essere selettivi con le persone, per il semplice fatto di non volermi circondare di nuovo da persone meschine, egoiste e false?
è così sbagliato mettere al primo posto la propria famiglia perché vuoi che stiano bene?
è così sbagliato voler rimanere a casa il venerdì sera o il sabato sera, anziché andare a ballare e ubriacarmi, solo per il pensiero di risparmiare soldi?
ripeto, non giudico certi stili di vita, ma perché giudicare la mia?
è così sbagliato tutto questo? porsi degli obbiettivi, fare progetti, è sbagliato?
siamo arrivati ad oggi, 4 marzo 2024.
in cui ho capito che stare da soli fa bene, ma starci per troppo tempo fa alquanto male.
in cui ho capito che avere soltanto due amici in croce è meglio che averne dieci di cui non puoi fidarti.
in cui ho capito che se voglio una cosa, la ottengo, con pazienza, determinazione e dedizione, ma la ottengo.
in cui ho capito che se una cosa non la faccio oggi, ma il giorno dopo, non succede nulla, basta farla, ovviamente dipendentemente dalle circostanze.
e siamo attivati ad oggi, 4 marzo 2024, in cui ho capito di stare finalmente bene dopo tanto tempo, così bene che ogni tanto durante la giornata mi chiedo “dov'è la fregatura?”
perché si sa, ogni momento di quiete prima o poi verrà spazzato via dalla tempesta.
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lamargi · 1 year ago
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Un gioco….cominciato per caso….diventato quasi come una droga…..
La prima volta mi ero addormentata davvero sulla chaise longue del salone. Uno di quei sonni leggeri che ti prendono a volte al pomeriggio.
Da quando mi sono fatta sposare dal mio ricco ex principale le mie giornate sono diventate quelle, noiose, delle signore bene dell’alta borghesia. Non ne ero dispiaciuta, ma un po’ annoiata, si, e soprattutto sessualmente: la ricchezza raramente si associa alla giovinezza e alla virilità che servirebbe a una donna com e me…
Fui svegliata, quella volta, da un rumore leggero. Feci in tempo a scorgere una sagoma che si allontanava. Impossibile, in casa, in quel momento, eravamo solo io e il mio figliastro. Davide, un adolescente foruncoloso e complessato, del quale non capivo che sentimenti provasse per me, visto che a malapena da quando avevo sposato suo padre mi rivolgeva la parola e ancor meno lo sguardo, nemmeno parlarne poi di chiamarmi mamma come suo padre gli aveva chiesto.
Il pomeriggio successivo, di dormire feci solo finta. E anziché nella sua stanza a studiare, vidi entrare Davide nel salone dove fingevo di essere di nuovo assopita, lo vidi avvicinarsi e..osservarmi….fino a quando non diedi segni di svegliarmi.
Fu così che cominciò quel gioco….io che fingevo di assoprimi al pomeriggio, e lui che furtivamente veniva a guardarmi, dapprima lontano, poi più vicino, poi….
Poi il gioco lo trasformai in qualcosa di più morboso: mi muovevo, lasciavo che la gonna salisse sulle gambe, lasciavo i bottoni della camicetta slacciati….e lui mi fissava e…a un certo punto cominciò ad accarezzarsi la patta dei pantaloni. Lo osservavo tra le palpebre socchiuse….stava qualche secondo a toccarsi attraverso i pantaloni….poi andava via….a finire di masturbarsi in camera sua….
L’idea mi piaceva …e cominciava a piacermi lui….e pensavo sempre più spesso a quanto grosso fosse ciò che Davide nascondeva nei pantaloni e che diventava duro quando mi osservava.
Divenni sempre più provocante …fino a quel pomeriggio. La scelta dell’abito, le calze, il reggicalze, il languido distendermi sulla chaise longue: tutto era voluto per farlo impazzire.
Non fallii: a un certo punto non si trattenne, lo vidi, tra le palpebre socchiuse, abbassare la zip, slacciare i pantaloni, scoprirlo e …cominciare a toccarselo…proprio lì, a pochi centimetri dal corpo della sua matrigna.
Stavolta non finsi di risvegliarmi lentamente. Aprii gli occhi di colpo e fui lesta ad afferrarlo per un braccio prima che riuscisse a scappare.
Lo stesi sulla chaise longue e gli montai di sopra….
I suoi occhi mi guardavano terrorizzati… non aveva ancora capito…
- ti prego …non dire niente a papà, mormorò con un filo di voce.
Gli sorrisi perfida, mentre gli afferravo il cazzo duro e scostavo le mutandine. - non dire tu niente di quel che ora ti faccio, se vuoi che ti scopi ancora……, gli dissi decisa, mentre lo guidavo dentro di me.
- e da oggi in poi mi chiamerai mamma…., aggiunsi bloccando ogni suo tentativo di rispondere infilandogli la mia lingua in bocca…..
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contanosoloidettagli · 4 months ago
Note
Qual è il tuo rimedio alla tristezza?
Ciao!
Mi fai una domanda bella e anche importante alla quale non so se esiste risposta, perché non so se c'é un rimedio alla tristezza o se bisogna solamente viverla.
È un periodo in cui, anche se sono una persona solare e positiva, di tristezza ce n'è tanta dentro di me e attorno a me e all'inizio era davvero difficile scrollarsela di dosso. Il mio rimedio era riempire la mia giornata di cose da fare, giri da fare, persone con cui parlare, per non lasciare che i miei pensieri si facessero bui. Volevo sfuggirle in ogni modo, ascoltavo musica, guardavo dei film, provavo a studiare, scrivevo sempre con qualcuno.
Poi quando mi fermavo lei era lì e mi faceva quasi paura, poi ho capito che la grande tristezza bisogna solo accoglierla, come tutte le emozioni che abbiamo dentro. Te la devi vivere, devi sentirla sulla pelle e farla scivolare piano piano fuori.
Allora va bene provare a fuggire dai momenti brutti per un po', cercare leggerezza, cantare, mangiare fuori, perdere tempo su tiktok... però poi serve anche camminare dentro ai momenti brutti. Piangere, gridare al cielo, dare un pugno a qualche cuscino e poi piangere ancora. E lavare con le lacrime la nostra anima pesante. E poi, anche se sembra impossibile, credere che troveremo un nuovo equilibrio.
Ci vuole tempo, ci vuole tanto tempo soprattutto certe volte per dei dolori forti, ma va bene così. Impareremo. E sarà come avere quelle scarpe preferite che avevi da tutta la vita e che ti piacciono da morire, ma che sono state rattoppate troppe volte e ora sono proprio rotte e le dobbiamo lasciare andare. Impareremo a usare nuove scarpe per camminare nel mondo e sarà una camminata diversa, ma ci porterà lo stesso verso una strada colorata e piena di vita.
E le nostre meravigliose scarpe vecchie? No, non le abbiamo buttate via. Le abbiamo tenute, riposte nella loro bella scatola e resteranno con noi. E quando vorremo, potremo ancora guardarle e ricordarci di quanto è stato bello averle.
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