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Lega Consumatori e Sindacato AssoCasa condividono la poesia di Francesco Nigri: decine di copie acquistate del libro IL SEGRETO DI EBE
Lega Consumatori e Sindacato AssoCasa condividono la poesia di Francesco Nigri: decine di copie acquistate del libro IL SEGRETO DI EBE Anni ed anni di stima ed amicizia con l’Avv. Massimiliano Uccelli, Presidente Onorario della Lega Consumatori Parma, che ha portato alla condivisone, anche con il Sindacato AssoCasa, del mio recente libro IL SEGRETO DI EBE. Decine di copie acquistate e donate ai…
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Qualche settimana fa la Francia ha completato la rinazionalizzazione della produzione e della vendita dell’energia elettrica. Il contesto internazionale e l’instabilità dei mercati hanno spinto il governo di Macron (non esattamente un socialista sovietico) a questa risoluzione per proteggere le proprie industrie e i propri cittadini. In Italia stiamo passando invece al libero mercato. Quasi 10 milioni di famiglie saranno esposte alle oscillazioni dei prezzi con la promessa di un risparmio che non ci sarà. Solo in Italia c’è chi è convinto che la logica del profitto possa dare vantaggi ai consumatori nell’ambito dei servizi essenziali e strategici come quello energetico. Con la liberalizzazione siamo tutti più deboli e dovremo competere con quei paesi che come la Francia si sono rafforzati con la nazionalizzazione.
Paolo Desogus
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Che dire... della Ferragni mi importa il giusto, ovvero molto poco. Fino a due, tre anni fa non sapevo neppure chi fosse. Se mi avessero chiesto qualcosa su di lei, avrei risposto con un sontuoso boh. E, confesso, anche oggi, mentre sto scrivendo, avrei serie difficoltà a evidenziarne talenti e difetti. Francamente non so. Mi intriga il fatto che questa persona possa influenzare comportamenti, usi, gesta e perfino acquisti di milioni di persone. Non riesco a capirne i motivi. Frutti di stagione, forse. Di questa stagione piena di greggi e di pastori imperatori. Mi si dirà: è sempre stato così. Non sono d'accordo. Se mi è consentito, senza passare per un boomer nostalgico, i giovani di oggi sono molto più ignoranti e consumatori di quanto lo fossimo noi. Quindi: forse anche no.
Una cosa è certa: Ferragni è un'azienda. Lo è diventata. Nella sua immagine pubblica, quella patinata e piena di pubblicità, di umano ha ben poco. Sarà umana in privato, certamente. Pertanto mi sembra strana, anche un poco eccessiva l'attenzione che le si sta dedicando. Perchè odiare o amare la Ferragni equivale ad amare o odiare la Barilla, la Nestlè o la Pasta del Capitano. Le richiedono etica. Una parola grande. La stessa etica non viene richiesta ai politici, per esempio. Abbiamo il parlamento pieno di gentaglia che con l'etica ha un rapporto quanto meno problematico, eppure... Tutti se ne fregano, non interessa a nessuno. Ma neppure si chiede etica alla Barilla, alla Nestlè o alla Pasta del Capitano. La Barilla ci ha avvelenati per anni con il glifosato, cosa è successo?
Ha sbagliato, ok. Lo ha ammesso lei stessa. Ha sbagliato a mischiare marketing, business e aiuto. Ha mischiato vendite con sofferenza. Un errore tragico. Però: 50.000 euro in beneficienza sono stati donati e la grande responsabilità è da attribuire al cinismo della Balocco, ma alla Balocco nessuno reclama nulla. Donerà un milione di euro. Benissimo. Mi pare che molti altri ne abbia donati in passato e la cosa, da parte di chi oggi la attacca, non è stata evidenziata con la stessa passione dedicatale adesso. E, comunque, non mi pare che ci siano molti in Italia che brillino di generosità. Sicuramente non sono stati, nè sono altrettanto sensibili o generosi gli attuali detrattori. Tanto per dire: quanta beneficienza ha fatto nella sua dorata vita la signora Meloni? eppure di soldi ne ha guadagnati tanti, vero?
Ma c'è da dire un'ultima cosa: è vergognoso che un presidente del consiglio in carica, con il solo intento di sviare l'attenzione dai problemi che sta causando al paese, attacchi in una maniera così violenta e becera un privato cittadino. E' rivoltante che, invece di parlare del peggioramento della qualità di vita degli italiani e delle misure che intende adottare per migliorarla, se la prenda con Saviano e con la Ferragni. Nessuno dei due ha rubato nulla, anzi. Mentre gli oltre due miliardi tolti ai pensionati, ai cittadini, alla salute, al welfare, alle famiglie, per regalarli a un ipotetico costruttore di un immaginifico ponte, sono un vero e proprio furto fatto al paese. E di quale etica può parlare la presidento, di quella che le ha impedito di prelevare dalle banche una giusta tassa, ma non le ha impedito di gettare in mezzo a una strada centinaia di migliaia di famiglie italiane, o di azzerare il fondo per le non autosufficienze? Se dovessimo dare un voto alla cattiveria, la presidento uscirebbe con un bel 10.
Dovrebbe vergognarsi lei, solo dopo, ma molto dopo, la Ferragni.
Giancarlo Selmi
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Più di 4 milioni i cittadini che vivono nei Comuni senza credito ne finanza
L'assenza di sportelli bancari sul territorio e l'abbandono da parte delle banche delle zone più periferiche è un problema per le persone, per i professionisti, per i risparmiatori, ma anche per le imprese: perché un minor numero di banche e di filiali, si traduce, concretamente, anche in meno credito, con conseguenze facilmente immaginabili sull'economia, sugli investimenti, sulla crescita. La desertificazione bancaria, ovvero la riduzione del numero di sportelli sul territorio, è un fenomeno in crescita negli ultimi anni e che riguarda soprattutto le grandi banche, che tendono ad accentrare la loro operatività in poche sedi, situate prevalentemente nelle città e nei centri più grandi, investendo molto, invece, in tecnologie che consentono agli utenti di fare operazioni a distanza e senza la necessità di recarsi in filiale o rivolgersi ad un operatore. Ma non è questa l'unica realtà nel panorama italiano né la tendenza prevalente propria soprattutto delle grandi banche deve essere intesa come l'unica possibile. Al contrario, c'è una rete di piccole banche, in particolare di banche popolari, che tengono fede alla loro missione di vicinanza al territorio e continuano ad essere presenti con una fitta rete di filiali, con i propri operatori, con Atm evoluti che portano i servizi bancari anche nelle zone più periferiche. Sono ancora molte le piccole banche che continuano ad essere fortemente presenti sui territori, scegliendo non solo le grandi città, ma anche i piccoli centri. Questa scelta decisamente in controtendenza rispetto al trend principale ha forza e attualità se si coniuga con investimenti in tecnologia e innovazione. È infatti necessario che anche le piccole banche siano al passo con i tempi, investano molto in tecnologie, ascoltino i bisogni dei consumatori e credano nello sviluppo del digitale, ma, al tempo stesso, senza mai rinunciare alla loro caratteristiche distintiva, ovvero la presenza sul territorio e la tutela del rapporto personale. La commistione tra tecnologia e presenza fisica sul territorio, tra innovazione e tradizione è un modello vincente, che piace molto, soprattutto ai giovani che cercano velocità e efficienza, ma chiedono anche di confrontarsi con professionisti qualificati in grado di consigliarli sul loro futuro. Sono questi gli strumenti vincenti che possono assicurare un vantaggio sulle grandi piattaforme e sui player non bancari. La dicotomia tra grandi e piccole banche è un falso problema: l'economia - e soprattutto l'economia italiana - è fatta di moltissime piccole imprese e ha bisogno sia dei grandi Istituti sia delle piccole banche. E per queste ultime, la soluzione se non si vuole ricorrere ad aggregazioni e si vuole mantenere la propria autonomia è data da economie di scala e sinergie. La partecipazione a network importanti per la fornitura di alcuni servizi ad alto valore tecnologico, infatti, consente alle piccole banche di mantenere la propria autonomia: l'aggregazione, in questo caso, non riguarda la perdita di identità e di autonomia, ma è relativa esclusivamente alla fruizione di servizi, così da ottimizzare costi ed efficienza. In questo modo anche una piccola banca come la nostra riesce a raggiungere importanti obiettivi, ad essere presente sui territori con le migliori tecnologie ed una efficace presenza fisica e a guadagnare quote di mercato nel settore a noi più vicino, ovvero PMI e famiglie». Ma c'è un altro aspetto importante che riguarda le banche popolari e la declinazione del loro rapporto con il territorio, ovvero il modo in cui agiscono influenzando la crescita economica, l'inclusione finanziaria, la sostenibilità e il contributo che danno alla crescita sociale e culturale, sostenendo iniziative artistiche, culturali, sportive, di solidarietà. La presenza delle banche popolari sul territorio, molto spesso, va ben oltre l'offerta di servizi bancari e sempre più le piccole banche sono interlocutori privilegiati di enti, istituzioni, associazioni e sostengono tantissime iniziative culturali che, altrimenti, sarebbe impossibile realizzare. Lo sport, la musica, l'arte, la cultura, ma anche importanti iniziative di solidarietà vengono realizzate con il contributdi tante piccole banche che, proprio per la loro approfondita conoscenza delle realtà locali, sono un volano di sviluppo e di crescita. Le piccole banche distribuiscono valore sul territorio, generando anche in questo modo crescita e sviluppo. E non può essere dimenticato il rapporto specialissimo delle banche popolari con i soci, interlocutori e protagonisti dell'operato di molti istituti di credito. C'è un rapporto speciale con i soci consolidato nel tempo, alimentato da una trasparenza assoluta nella gestione di ogni attività. Fondamentali la distribuzione annuale dei dividendi che rappresenta una forte immissione di ricchezza sul territorio, soprattutto in considerazione del fatto che i soci sono prevalentemente piccoli risparmiatori e persone fisiche, ma anche i benefici riservati ai soci in termini di prestiti agevolati e facilità di accesso al credito a condizioni favorevoli: c'è, infatti, un rapporto diretto con i soci che rende semplici e veloci le risposte alle richieste di credito, ma mai a discapito del merito creditizio. È grazie a questa efficienza e prudenza che la banca ha una buona qualità del credito, ottenuta grazie anche alla competenza e alla professionalità del nostro personale e delle amministrazioni e delle direzioni generali che si sono succedute nel tempo. Read the full article
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Banda ultra larga tra nuove tecnologie e comprensione
La banda ultra larga, o BUL, è una connessione a Internet che offre velocità di download e upload molto elevate. In Italia, si considera BUL una connessione con velocità di download di almeno 30 Mbps e velocità di upload di almeno 10 Mbps. Cos'è la banda ultra larga? La banda ultra larga è importante per diversi motivi. Innanzitutto, permette di scaricare e caricare file più velocemente, rendendo più efficienti le attività online. In secondo luogo, consente di utilizzare servizi innovativi che richiedono una grande quantità di dati, come la realtà virtuale, la realtà aumentata e lo streaming di contenuti ad alta definizione. Infine, la BUL è essenziale per lo sviluppo dell'economia digitale, in quanto permette alle imprese di competere a livello internazionale. In Italia, la copertura della banda ultra larga è in aumento. Secondo i dati del Ministero dello Sviluppo Economico, a dicembre 2023 la BUL è disponibile per il 90,5% delle famiglie italiane. Tuttavia, ci sono ancora alcune aree del Paese, in particolare quelle rurali, che non sono ancora raggiunte da questa tecnologia. Il Governo italiano ha messo in atto diverse iniziative per promuovere la diffusione della banda ultra larga. In particolare, ha lanciato il Piano strategico nazionale per la BUL, che prevede investimenti per 6,7 miliardi di euro per portare la fibra ottica FTTH (Fiber to the Home) in tutte le case italiane entro il 2026. I vantaggi La banda ultra larga offre diversi vantaggi, sia per i consumatori che per le imprese. Per i consumatori, offre i seguenti vantaggi: - Download e upload più veloci: permette di scaricare e caricare file più velocemente, rendendo più efficienti le attività online come lo streaming di contenuti, il download di software e l'utilizzo di servizi cloud. - Contenuti ad alta definizione: consente di guardare contenuti ad alta definizione, come film, serie TV e videogiochi, senza buffering. - Realtà virtuale e realtà aumentata: è essenziale per l'utilizzo di tecnologie innovative come la realtà virtuale e la realtà aumentata. Per le imprese, offre i seguenti vantaggi: - Concorrenza a livello internazionale: permette alle imprese di competere a livello internazionale, in quanto consente di utilizzare le stesse tecnologie e servizi delle imprese di altri Paesi. - Efficienza dei processi produttivi: può essere utilizzata per automatizzare i processi produttivi, rendendoli più efficienti e produttivi. - Nuovi modelli di business: può essere utilizzata per sviluppare nuovi modelli di business, come l'e-commerce e il cloud computing. La copertura in Italia La copertura di questa tecnologia in Italia è in aumento. Secondo i dati del Ministero dello Sviluppo Economico, a dicembre 2023 la banda ultra larga è disponibile per il 90,5% delle famiglie italiane. Tuttavia, ci sono ancora alcune aree del Paese, in particolare quelle rurali, che non sono ancora raggiunte da questa tecnologia. Il Governo italiano ha messo in atto diverse iniziative per promuovere la sua diffusione. In particolare, ha lanciato il Piano strategico nazionale per la banda ultra larga, che prevede investimenti per 6,7 miliardi di euro per portare la fibra ottica FTTH (Fiber to the Home) in tutte le case italiane entro il 2026. Il futuro della banda ultra larga La banda ultra larga è una tecnologia fondamentale per lo sviluppo dell'economia digitale. La diffusione di questa tecnologia permetterà di migliorare la qualità della vita dei cittadini e di creare nuove opportunità per le imprese. In futuro, questa tecnologia diventerà ancora più importante. Con l'aumento dell'utilizzo di tecnologie innovative, come la realtà virtuale, la realtà aumentata e l'intelligenza artificiale, la necessità di una connessione a Internet ad alta velocità sarà sempre più forte. Foto di Gerd Altmann da Pixabay Read the full article
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11 ago 2023 14:27
IL CETRIOLONE FINISCE SEMPRE AI CORRENTISTI – NELL'ULTIMO ANNO GLI ISTITUTI DI CREDITO HANNO AUMENTATO TUTTI I COSTI FISSI A CARICO DEI CLIENTI (+6,4% IN MEDIA), USANDO LA “SCUSA” DELL'INFLAZIONE. E, CONTEMPORANEAMENTE, HANNO AZZERATO LA REMUNERAZIONE SUI CONTI CORRENTI – ORA, CON IL PRELIEVO SUGLI EXTRA-PROFITTI DELLE BANCHE DECISO DAL GOVERNO, I CONSUMATORI TEMONO ULTERIORI RINCARI, DAL CANONE ALLA CARTA DI CREDITO FINO AL PRELIEVO… -
Estratto dell’articolo di Sandra Riccio per “La Stampa”
A pagare per il prelievo sugli extra-profitti delle banche deciso dal Governo potrebbero essere le famiglie. Il pericolo dietro l'angolo è che il mondo bancario reagisca alla nuova tassazione con un aumentando dei costi dei conti correnti. Questo tipo di spesa era già in salita. Adesso le associazioni di consumatori parlano di rischio fiammata. Il timore è stato sollevato da Assoutenti che ha ricordato come già lo scorso febbraio Bankitalia sia scesa in campo contro l'incremento dei costi dei depositi applicati alla clientela dagli istituti di credito.
Ieri l'Istat ha comunicato, insieme al dato sull'inflazione, un aumento annuo delle tariffe del 6,4% per la voce "spese bancarie" a carico dei cittadini. «Un dato che conferma l'allarme lanciato a febbraio da Bankitalia secondo cui alcune banche hanno aumentato il costo dei conti correnti con modifiche unilaterali delle condizioni contrattuali, adducendo come motivo gli elevati livelli di inflazione» spiega Assoutenti […]
Di recente, a rincarare sono state soprattutto le spese fisse ed è su questo fronte che gli istituti adesso potrebbero nuovamente intervenire. «L'ultimo report della Banca d'Italia ha registrato una crescita della spesa di gestione dei conti correnti di 3,8 euro, che ha portato il costo medio a 94,7 euro a cittadino, a causa soprattutto delle spese fisse, in particolare quelle per l'emissione e per la gestione delle carte di pagamento – analizza Assoutenti –. Partendo da questo dato, e considerato l'andamento al rialzo già monitorato dall'Istat, ulteriori rincari delle tariffe bancarie potrebbero portare il costo di gestione dei conti correnti a quota 105 euro annui a utente, con un incremento di +10,3 euro a conto».
L'associazione calcola che considerando il fatto che in Italia i correntisti sono 47,7 milioni, la stangata per la collettività raggiungerebbe quota 491,3 milioni di euro annui a causa dei possibili rincari dei costi di gestione di carte e conti correnti.
Cos'altro potrebbe aumentare in banca? «Difficile fare previsioni – dice Giuseppe D'Orta, Consulente finanziario indipendente -. Certo è che il mondo bancario ha moltissime leve su cui può intervenire, dai costi fissi, come quelli chiesti per il canone o per la carta di credito, fino alle spese una tantum come i prelievi agli sportelli».
[…] Per fare qualche esempio, il semplice rilascio della carta di debito (bancomat) può costare anche 17 euro, a cui poi va sommato il canone che può essere anche di un euro al mese. A questa cifra va aggiunta poi la spesa per un eventuale rinnovo della carta (dai 5 ai 10 euro).
Ci sono poi le spese per l'invio della rendicontazione cartacea a casa (0,70 euro al mese) fino alle somme chieste nel caso di richiesta di documentazione da archivio (si arriva a pagare anche 10 euro per il singolo documento). I bonifici in filiale sono una delle voci che adesso costano di più: si arriva a sborsare anche più di 5 euro così come pure il prelievo di contante tramite carta di credito all'estero.
[…] Di recente l'Osservatorio ConfrontaConti.it ha analizzato il panorama dei conti correnti. I dati raccolti hanno evidenziato due tendenze opposte: da una parte ci sono le banche online che propongono costi più bassi rispetto allo scorso anno, con un leggero calo del canone (-8%), dei costi delle carte di debito (-8%) e delle carte di debito (-6%).
Dall'altra parte, invece, ci sono invece le banche tradizionali, alle prese con costi di gestione ben più alti, che fanno registrare un aumento netto delle spese fisse dei conti. Più nel dettaglio, secondo l'analisi di ConfrontaConti.it, le banche tradizionali fanno pagare un canone medio di 62,68 euro all'anno, un livello più basso di quello rilevato dall'Istat, comunque in crescita del +25% rispetto ai dati dello scorso anno. […]
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Al momento di scrivere, non sappiamo a che livello sarà arrivato, il 25 Aprile, per il 75° anniversario della Liberazione, lo “stato d'emergenza” decretato per il coronavirus. I segnali non sono rassicuranti. Sul fronte sanitario: la crisi ha costretto molti a riconoscere e sussurrare sottovoce – non certo a correggere – gli effetti di anni e anni di tagli alla sanità pubblica e di foraggiamento di quella privata, presentata quale “ottimizzazione” delle risorse di fronte agli “sprechi del settore pubblico”. Sul fronte economico, mentre il padronato si è opposto a ogni misura che intacchi i profitti, come se il virus si arrestasse di fronte ai cancelli delle officine, la caduta industriale è accompagnata da un'accentuazione della disoccupazione, mascherata da “misura necessaria” contro un'epidemia che ci è stata raccontata in ogni maniera possibile, meno che scientifica. Nessuna certezza che il virus non sia uscito da qualche laboratorio militare (ad esempio, quelli della Nato in Georgia o nel Baltico?) e che la sua diffusione non sia stata del tutto accidentale, quantomeno nelle dimensioni.
Ma è soprattutto sul fronte delle contraddizioni di classe, che il virus ha trovato il proprio coronamento, con uno “stato d'emergenza permanente”, che la borghesia agogna da sempre di innalzare a “condizione normale” dello scontro sociale. Mentre si rinnova, ancora una volta, “l'epidemia” di obbligazioni finanziarie che lucrano sulle catastrofi, il virus epidemico tacita le voci sul virus informatico, con cui lo Stato si accinge a “captare” ogni qualsivoglia informazione passi attraverso i nostri apparecchi elettronici. “Prevenire è meglio che curare”: mai slogan è sembrato più appropriato, in tempi di virus; solo che, obiettivo degli apparati repressivi agli ordini della borghesia, è quello di prevenire e reprimere ogni accenno, anche solo verbale, al disagio sociale. Si è assistito a un'autentica prova generale di stato d'emergenza permanente e di controllo militare dell'intero territorio nazionale, con l'imposizione a rimanere in casa e la proibizione di ogni manifestazione pubblica.
Il 25 Aprile potrà rappresentare un banco di prova dell'esperimento poliziesco teso a “pacificare” lo scontro tra le classi.
Il terreno “ideologico” viene preparato da anni. Da decenni si inculca nelle menti una “unità della nazione” estranea a ogni contrasto di classe tra padroni e operai, tra borghesi e proletari, all'insegna di “cittadini”, “consumatori”, “famiglie”, “itagliani”, in cui scompare ogni differenza di classe.
Unione sacra nazionale
L'abbraccio interclassista di fronte al virus sembra essere caduto a proposito, in vista di un 25 Aprile che si vorrebbe “di tutti gli itagliani”, anche dei “ragazzi di Salò”: gli esponenti dei differenti settori della borghesia, travestiti da leghisti o democratici, hanno fatto a gara a invocare “unità della Nazione” e “Governi di salute pubblica”: ovviamente, la buona salute del capitale e l'unità dei profitti contro il lavoro salariato.
Si è rinverdita la predicazione di una unione sacra di quella “Itaglia” da sempre in lotta contro le “ingiustizie” perpetrate a suo danno dalle nazioni più forti e più ricche: il tutto, è stato dato in pasto alle coscienze, in nome del “dovere di unirsi per far fronte al nemico comune, senza distinzioni di ceto”, che si tratti di virus o di elementi “anti-sistema” che minaccino la tranquillità della borghesia di continuare a sfruttare i lavoratori.
L'unità nazionale di fronte al virus è andata a sposarsi con la perenne rievocazione delle “gesta eroiche” di coloro che sul Carso restituirono alla “nazione” le terre irredente, mandando operai e contadini al macello nella guerra imperialista. Da anni si celebrano le “terre itagliane” occupate dai fascisti ai confini orientali e si bestemmia con crescente sfacciataggine istituzionale su “profughi itagliani”, scacciati o infoibati “sol perché itagliani”. Da anni va ampliandosi il coro della parificazione delle “vittime dell'odio”, cadute non si sa bene come e perché, per mano “elementi di destra e di sinistra”, mentre assume aspetti vomitevoli il tentativo di parlare in maniera sempre più aleatoria, quasi mistica, ultraterrena, della guerra di liberazione, come se tutti i 45 milioni di italiani di allora avessero combattuto non si sa contro chi e per cosa... Di contro, le rare volte in cui si parla dei sanguinari “partigiani rossi”, lo si fa in modo da suscitare compassione per i “martiri”, che aspiravano solo al “bene della patria”, caduti per mano dei feroci comunisti, nemici della nazione.
In passato, nella vulgata televisiva, si cercava di ignorare il sacrificio dei militanti clandestini, specialmente comunisti, che, durante il ventennio fascista, rischiando la vita, avevano resistito in Italia per diffondere l'idea della trasformazione sociale e si era invece, da un lato, amplificato il “consenso di massa” al regime fascista e, dall'altro, si era accentuato in maniera quasi esclusiva, il racconto sugli emigrati cattolici e liberali che, dall'estero, tessevano la rete dei contatti con le “democrazie occidentali”, per il futuro ritorno della nazione nel consesso liberale.
Scompaiono i partigiani
Oggi si va ben oltre. Scompare ormai quasi del tutto quel grandioso movimento, non “di popolo”, ma della classe lavoratrice, che sfociò nella lotta armata di decine e decine di migliaia di giovani, operai e contadini, contro l'occupazione nazista e il rinato fascismo repubblichino, mentre assumono forma “angelica” quegli sparuti “oscuri funzionari” i quali, per vent'anni, avevano servito diligentemente il fascismo e poi, all'ultimo, erano diventati “giusti tra le nazioni”, nascondendo gli ebrei perseguitati dalle leggi volute dal nazismo, cui l'Italia fascista si era sì adeguata, ma solo “suo malgrado”, data la bontà innata degli “itagliani”.
Ma il discorso sarebbe molto più esteso e non abbiamo sufficiente spazio, per esprimere il voltastomaco che assale, allorché le più alte istituzioni della “patria”, anche all'ombra di gagliardetti della “X Mas”, tacciono patriotticamente sulle stragi di migliaia, e in qualche caso di decine di migliaia, di abissini, e di libici; sulle fucilazioni in massa e i villaggi dati alle fiamme in quelle “terre riconquistate alla patria” al di là dei confini orientali, mentre evocano il “sacro sangue innocente” di quelle decine di fascisti giustiziati “sol perché itagliani”.
Si dice che ciò avvenga a causa del mito degli “italiani brava gente” che, in giro per il mondo – in Africa, Grecia, Albania, Jugoslavia, Unione Sovietica... - avrebbero fatto solo opere di bene, e anche perché l'Italia “non ha fatto i conti col passato” fascista. In parte è vero: gli stessi anglo-americani salvarono la testa dei criminali Graziani, Roatta, Badoglio, Robotti ecc. Ma tale tesi è vera solo se si dimentica o si tace volutamente la natura del fascismo. Non del solo ventennio mussoliniano, ma del fascismo quale arma cui il capitale è sempre pronto a ricorrere ogni qualvolta non siano più sufficienti i metodi liberali di soggiogamento delle masse lavoratrici. Il capitale tiene sempre pronto il manganello, mentre cerca di far sì che sia sufficiente una ben curata e prolungata campagna “ideologica” affinché lo “stato d'emergenza” permanente sia percepito – e anche invocato – quale provvedimento dovuto e indispensabile, per “il bene di tutti”.
75° della vittoria sul nazismo
Quest'anno, a dispetto dello “stato d'emergenza”, si celebra il 75° anniversario della vittoria sul nazismo e della fine della Seconda guerra mondiale, costati ai popoli del mondo oltre cinquanta milioni di morti, di cui oltre la metà alla popolazione civile dell'Unione Sovietica e ai soldati dell'Esercito Rosso.
Prima dello scoppio della guerra, le “democrazie liberali” avevano cercato in ogni modo di utilizzare il nazismo tedesco per l'obiettivo cui non aveano mai rinunciato sino dal 1917, quello di soffocare il primo Stato socialista al mondo. Scoppiato il conflitto, si erano unite loro malgrado all'URSS nella lotta contro il nazifascismo. Oggi, cercano di appropriarsi di una vittoria cui, sul piano militare, contribuirono in parte secondaria; capovolgono così figure, avvenimenti, date, protagonisti. Già il 27 gennaio se ne è avuta un'anticipazione, con le celebrazioni per il 75° anniversario della liberazione di Auschwitz da parte dell'Esercito Rosso, allorché tra “sviste”, “refusi” e aperti travisamenti, si è fatto di tutto per tacere nome e ruolo dei veri protagonisti di quella liberazione.
Il tema, naturalmente, non è nuovo; ma, man mano che si avvicina il 9 maggio (la capitolazione tedesca divenne effettiva dalle ore 24.00 dell'8 maggio 1945) la campagna “alleata” assume aspetti grotteschi, con medaglie commemorative delle “tre potenze vincitrici” sul nazismo – USA, Gran Bretagna, Francia – e apoteosi di sbarchi trasformati nell'unico “evento storico” dell'intera guerra mondiale.
L'attacco al comunismo
Ma, il vero obiettivo della campagna sulla “memoria storica” è stato messo in chiaro dal Parlamento europeo il 19 settembre 2019. L'obiettivo non è affatto storico. Non per nulla, a farsi promotori del documento di Strasburgo, sono stati designati quei paesi d'Europa orientale che, più di tutti, videro masse intere di Komplizen delle SS e che oggi, tra parate in uniformi naziste e celebrazioni di “eroi” autori di massacri contro civili, soldati sovietici, comunisti, tsigani, intendono dare lezioni al mondo su come “la legge vieta le ideologie comuniste e naziste”. All'insegna della “informazione” e della “Storia” servite al “largo pubblico”, si propagandano miti che, ripetuti migliaia di volte, alla maniera goebbelsiana, rimangono infissi nelle menti senza che i ricettori se ne rendano conto. La “unità della nazione” è uno di quei miti.
Si martellano quotidianamente le coscienze, cominciando col riscrivere la storia dei comunisti, in tutte le sue pagine, non solo in Unione Sovietica e non solo nel passato più lontano. Si spiana così la strada ai colpi decisivi contro i comunisti di oggi: l'obiettivo è quello di decretare per legge il bando del comunismo e dei comunisti, e fare in modo che la coscienza “di massa” accolga tale proscrizione come un “atto naturale” cui, per la “sicurezza”, cara alla destra come alla “sinistra”, si sarebbe dovuto ricorrere da tempo, al pari dello “stato d'emergenza” permanente.
L'attacco alla storia dell'URSS e dei comunisti, da parte del nemico di classe, non è un attacco “storico”: non è che un aspetto dell'attacco di classe cui i comunisti sono da sempre sottoposti. Lo scontro non è “storico” o “intellettuale”: è uno scontro di classe, in cui si usano anche armi “storiche” e “intellettuali”. Non è uno scontro “storico”, perché non è storico l'obiettivo di chi oggi vorrebbe presentare gli avvenimenti di settanta e ottanta anni fa, gli eventi legati alla lotta antifascista, guidata in prima linea dai comunisti, e alla Grande guerra patriottica dell'URSS contro gli invasori nazisti e i loro alleati di quasi tutta l'Europa, in una maniera tale da parificare “per legge” nazismo e comunismo, dando naturalmente la priorità ai “crimini dei regimi totalitari comunisti”, come si dice a Strasburgo.
È in corso da anni un attacco diretto ai comunisti in ogni parte del mondo; in Italia, l'attacco è diretto in primo luogo contro il movimento partigiano guidato dai comunisti. Tutto questo non è che il viatico per dare forma “legale” alla crociata moderna contro comunismo e comunisti, per “pacificare” per legge la resistenza di classe alla sopraffazione da parte del capitale.
La risoluzione del Parlamento europeo del 19 settembre 2019 è stata solo una tappa nella “istituzionalizzazione” della pari responsabilità di Germania nazista e URSS nello scatenamento della guerra e di un fantomatico “retaggio europeo comune dei crimini commessi dalla dittatura comunista, nazista e di altro tipo”.
Non si deve forse aver terrore dei sanguinari “comunisti slavi”, macchiatisi del sangue delle “vittime innocenti”, giustiziate “sol perché itagliane”? Non fa forse orrore la bandiera rossa, nemica di quel tricolore sotto cui sono riuniti tutti i “patrioti” in “lotta contro l'invasore”, un invasore solo casualmente vestito con le uniformi grigioverde della Wehrmacht, ma non certo assetato di sangue come i “barbari slavi” con in testa la bustina con la stella rossa?
Questo dovrebbe essere il 25 Aprile di coloro che, forse ancora titubanti a mettere al bando l'antifascismo, intendono cominciare col proibire “per legge” il comunismo e i comunisti.
Ma, la liberazione dell'Italia dal fascismo e dal nazismo era coperta di quel colore rosso che era il sangue dei partigiani e che sarà sempre la bandiera dei comunisti. Se ne facciano una ragione.
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Oltre alle misure obbligatorie di igiene e di distanziamento sociale, il 50% delle persone vuole disporre di test e tamponi per tutti. Inoltre, il 43% vuole rendere le mascherine obbligatorie, richiesta guidata dalla crescente domanda in Asia, ma più a rilento nei mercati occidentali, dove i cittadini sono più riluttanti. Quasi tutti sperimentano una maggiore angoscia per la questione finanziaria. Il 56% delle famiglie in tutto il mondo ha subito una perdita di reddito a causa del COVID-19. Questo dato sale al 68% per la generazione del Millennials e al 65% per la GenZ. Un ulteriore 19% prevede un impatto negativo sul proprio reddito in futuro. In tutto il mondo i consumatori parlano, con orgoglio, della propria capacità di individuare il giusto valore, prendere decisioni intelligenti per il proprio tornaconto nel lungo periodo. Il 53% dei consumatori ora presta maggiore attenzione ai prodotti scontati
Dall’articolo "Studio internazionale (Kantar) sul cambio abitudini dei consumatori: rilevanti ma provvisorie" su GDONews.it
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Cosa insegna la protesta dei gilets jaunes? Più cose. Primo: “la transizione energetica come ogni altra rivoluzione, perché di questo si tratta (...) attraverserà in modo diseguale le varie componenti economico-sociali interne ad ogni paese […]. Si avranno vincitori e vinti nella distribuzione dei costi e dei benefici (...) con tensioni politiche e sociali”. Come va accadendo e sempre più accadrà. Secondo: la benzina o il gasolio sono un bene essenziale per una larga parte della popolazione, specie quella pendolare che ogni giorni deve andare a lavorare o studiare. In Italia ammonta a 29 milioni di persone. La maggior parte usa l’automobile. Questo accade anche in Francia, nonostante la maggior efficienza del suo sistema ferroviario. Da qui la rabbia dei ‘rurali contro i parigini con il metrò sotto casa’. I cittadini/consumatori non fanno poi solo il pieno, ma usano l’elettricità o il metano, i cui prezzi in Italia stanno diventando sempre più insopportabili per milioni di famiglie. L’economia dei divieti e della burocrazia realizzata col pretesto dell’ecologia è un’economia percepita come punitiva e perciò stesso respinta. Terzo: l’accettabilità sociale della transizione energetica diminuisce con l’intensificarsi delle misure per realizzarla. Non solo prezzi, ma anche restrizioni, proibizioni, sanzioni. Sarà allora interessante vedere, ad esempio, come reagiranno i 2,2 milioni di parigini al Piano ambientale approvato lo scorso anno dal loro sindaco Anne Hidalgo dal suggestivo nome ‘Paris change d’ère. Vers la neutralité carbone en 2050’ che mira a ridurre le emissioni clima-alteranti del 50% al 2030 e dell’80% al 2050 in larga parte con una miriade di misure coercitive. Ne riportiamo le principali: - limitare l’aumento degli abitanti nel 2030 a non più di 160.000 (come?); - dimezzare le 600 mila vetture in circolazione (chi e come deciderà?), che dovranno avere dal 2030 almeno 1,8 (sic!) occupanti (idem); - aumentare in ogni modo i ‘costi di utilizzazione delle autovetture’; eliminare i parcheggi; - incoraggiare l’andare a piedi o in bici; - puntare a un’“alimentazione meno carnosa” col divieto di distribuire la carne due giorni la settimana; - “orientare più massicciamente le scelte dei parigini verso regimi alimentari plus durables” (?); - bloccare la circolazione nei week-end organizzando grandi feste popolari per le strade. Il tutto, mirando a “conquistare i cuori e gli spiriti” dei parigini e a “nutrirne l’immaginario […] mutualizzando gli acquisti o sincronizzando le decisioni”. Non so quanti dei circa 34 milioni di turisti che visitano annualmente Parigi o gli stessi parigini gradiranno queste restrizioni dei gradi di libertà individuale. Rivoluzionare dall’alto economie e modi di vivere richiederebbe rigidi sistemi di pianificazione scarsamente accettabili dalle società moderne. L’economia dei divieti e della burocrazia realizzata col pretesto dell’ecologia è un’economia percepita come punitiva e perciò stesso respinta. I gilets jaunes anche questo insegnano.
Standing Ovation per Alberto Clò cofondatore con Romano Prodi (!) di RivistaEnergia.it , via http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/rsquo-economista-prodiano-che-difende-gilet-gialli-non-si-beve-188886.htm
“L’economia dei divieti e della burocrazia realizzata col pretesto dell’ecologia è un’economia percepita come punitiva e perciò stesso respinta.” Bravò Clò !
Messaggio ai baluba pentanaricuiti in giro: i gilet jaunes non ne fanno una questione “politica” come voi bambini circonvezionati e miopi, invece combattono anche per voi contro il VERO PERICOLO GLOBALE INCOMBENTE, quello per cui in Usa han votato Trump come freno: la LIMITAZIONE DELLE LIBERTA’ INDIVIDUALI (attuata non più con l’Armata Rossa ma FACENDOVI PAGARE ), che finalmente rivela in modo palese qual’è l’obiettivo di riciccare tutta ‘sta accolgienza, tutta ‘sta ecologia e climate change, proprio quando i lavori diventano sempre più sofisticati, le emissioni calano, l’efficienza è grandissima e la natura (tipo i cinghiali ma non solo) arriva alle porte delle città e non si ferma lì.
La sindaca di Parigi, utilissima idiota che rivela cosa ci stia dietro nella mente delle èlite progvessiste!
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La stangata che si abbatterà sui consumatori in autunno
La stangata che si abbatterà sui consumatori in autunno
AGI – Si prospetta un autunno caldo per famiglie e imprese sul fronte della crescita dei prezzi. La spirale inflazionistica alimentata dai rincari sul costo dell’energia – schizzati con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia – rischia di mettere in difficoltà migliaia di cittadini ed intere filiere produttive. Ora che si materializza lo spettro di uno stop delle forniture all’Europa da…
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IL CENTRO DI SAN SEVERO PRIVO DI ENERGIA ELETTRICA SENZA PREAVVISO, intervento dell’On. Carla Giuliano
L’On. Carla Giuliano, Deputata di San Severo, del Movimento 5 Stelle, appena nominata Capogruppo della Commissione Parlamentare d’inchiesta sulla tutela degli Utenti e dei Consumatori, è intervenuta in merito alla sospensione di energia elettrica che nella mattinata di ieri, sabato 4 dicembre 2021, ha riguardato a San Severo, la zona di piazza Aldo Moro - piazza Carmine e parte di via Tiberio Solis.
La Deputata ha dichiarato: “ciò che è accaduto, se confermato, è estremamente grave. Non si possono lasciare, all’improvviso e per circa due ore, le famiglie e le attività commerciali del centro cittadino prive di energia elettrica in un orario centrale e per giunta del primo sabato di shopping prenatalizio, fondamentale per le attività commerciali, in particolare per quelle del centro storico, già gravemente colpite da una notevole riduzione di ricavi a causa dell’emergenza pandemica.
Per le famiglie, penso, in particolare, alla gente anziana e ai diversamente abili, bloccati senza ascensori e supporti tecnologici.
Compresa la gravità del fatto mi sono recata immediatamente sul posto, allertata da alcuni commercianti e da privati cittadini che lamentavano di non aver ricevuto alcun preavviso in merito alla temporanea sospensione della erogazione dell’energia elettrica nella zona.
Ho interloquito con gli addetti dell’Enel e con operatori della Ditta appaltatrice, nonché con il personale della Polizia locale prontamente intervenuto sul posto al fine di far immediatamente ripristinare l’erogazione dell’energia elettrica.
La cosa più grave che pare emergere è il fatto che non si sarebbe trattato di un guasto ma di un intervento programmato, esteso però ad altre vie cittadine non indicate nell’apposito avviso affisso dalle ditte responsabili.
Indagherò ed andrò fino in fondo a questa storia, coinvolgendo le massime autorità di controllo e chiederò ogni sanzione applicabile” - prosegue la deputata di San Severo.
L’On. Giuliano ha poi concluso con un appello ai cittadini: “Vi prego e Vi invito a segnalarmi - oltre a tutte le altre esigenze del territorio - anche tutte le eventuali violazioni che attengono la tutela degli utenti e dei consumatori, ad ogni livello, così da poter intervenire prontamente, al fine di aiutare queste categorie di cittadini contrattualmente più deboli, quali appunto famiglie, piccoli commercianti e piccoli utenti, e soprattutto con l’intento di evitare ai cittadini i gravi disagi che queste situazioni creano”.
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La verdura è sempre più costosa
Speculazioni sui rincari alimentari: dai pasti in casa a quelli consumati nei ristoranti, il salasso è garantito. E ottobre appare lontano. Sul contenimento dei prezzi il cantiere è aperto, ma intanto gli italiani continuano a fare i conti con listini caldi. La gelata che ha raffreddato le temperature, anche se è in arrivo un nuovo rialzo della colonnina di mercurio, non ha portato sollievo alle tasche dei cittadini. E la vacanza del 2023 potrebbe essere annoverata tra le più care degli ultimi anni. Per questo si va a caccia di offerte più sostenibili, come gli agriturismi o i piccoli borghi rurali dove si può accedere a cibi di qualità alla portata di tutte le tasche. All’aumento dei listini dei carburanti si aggiunge un’altra componente fondamentale della spesa dei vacanzieri: gli alimentari. Dai pasti in casa a quelli consumati nei ristoranti, il salasso è garantito. E ottobre appare lontano. L’ACCORDO ANTI-INFLAZIONE Pur se mancano tasselli importanti della filiera, dal primo ottobre infatti scatterà il trimestre anti-inflazione sul carrello della spesa voluto dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. I prezzi dei prodotti alimentari e di prima necessità restano troppo alti e continuano a svuotare le tasche degli italiani. Col paniere calmierato, dunque, secondo quanto ha dichiarato il ministro in occasione della firma dell’accordo, si punta a «dare un definitivo colpo all’inflazione riconducendola a livelli naturali». Intanto, però, in attesa del 10 settembre, quando saranno definite con le associazione firmatarie del patto le modalità di controllo e contenimento del “carrello della spesa”, gli italiani devono fare i conti con vacanze segnate da listini spesso fuori controllo. RINCARI ALIMENTARI E METEO Per quanto riguarda il cibo, a giocare a favore dei rialzi c’è stato il clima pazzo. Questo è stato uno degli anni più difficili per l’agricoltura. Il record storico per il caldo fatto segnare a luglio è stato accompagnato in Italia – ha ricordato in una analisi la Coldiretti, sulla base dei dati dell’European Severe Weather Database (Eswd) – da una media di 42 eventi estremi al giorno lungo la Penisola (+83%) rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Durante l’inverno il nord Italia è stato nella morsa di una drammatica siccità che ha provocato gravi anni alla coltivazioni. Poi è iniziata la stagione delle grandi piogge, con un maggio nero: alluvione in Emilia Romagna, Marche e parti della Toscana, ma anche bombe d’acqua al Sud. Il risultato sono stati terreni inariditi o inondati e, a completare l’opera, la piaga degli incendi, prima in Sicilia e ora in Sardegna. Dopo i 6 miliardi persi lo scorso anno sempre per gli eventi meteo estremi, quest’anno solo in Emilia Romagna i danni al settore primario hanno superato un miliardo. Con tagli al grano (-10%), all’uva da vino (-14%), alla frutta , agli ortaggi e al pomodoro. Ma sono più salati zucchero, latte e farina. E anche il gelato rischia di diventare un lusso, con aumenti dei prezzi di coni e coppette di circa il 19% rispetto al 2022. I PREZZI IMPAZZITI NON SOLO NEI RINCARI ALIMENTARI A pesare sulla coppetta “d’oro”, secondo i calcoli di Coldiretti, oltre all’energia le materie prime, a partire dal +47% dello zucchero di cui il nostro Paese è fortemente deficitario. Una débâcle che si è ribaltata sui bilanci delle famiglie. Il caro benzina ha aggravato la situazione. In Italia. infatti quasi il 90% delle merci viaggia su strada e dunque un ritocco dei prezzi di benzina e gasolio ha un effetto a valanga sui costi delle imprese. La Coldiretti ha calcolato che, per il gap infrastrutturale, i costi della logistica incidono per oltre un terzo sul settore dell’ortofrutta. Inoltre, spesso la ricaduta sui consumatori è amplificata dall’effetto delle speculazioni che sono sempre in agguato. Nell’ultimo semestre, per gli aumenti dei listini. gli italiani sono stati costretti a spendere 4 miliardi in più per allestire la tavola tagliando però le quantità. Una situazione che ha spinto il ministro Urso a scendere pesantemente in campo.Il problema, infatti, è che non c’è corrispondenza tra i prezzi riconosciuti agli agricoltori e i listini dei prodotti sugli scaffali. E così finiscono per impoverirsi sia i consumatori sia i produttori agricoli, a loro volta anche consumatori. Le cause, dunque, sono molteplici e anche su questo fronte una delle soluzioni potrebbe arrivare dal Pnrr, che prevede una serie di investimenti finalizzati all’ammodernamento delle infrastrutture. VACANZE LOW COST Intanto, però, cosa possono fare le famiglie per ritagliarsi uno scampolo di vacanza senza dissanguarsi? La soluzione per non rinunciare a gite e pernottamenti a costi accettabili è di rifugiarsi nei piccoli borghi, che già nel periodo della pandemia avevano salvato le vacanze di molte famiglie. Quasi il 72% degli italiani, secondo quanto emerge dall’indagine Ixe’-Coldiretti, ha scelto quest’anno di rifugiarsi nelle mete meno battute dal turismo di massa dove è possibile anche risparmiare. «La vacanza nei piccoli borghi, da sempre fortemente caratterizzati dalla presenza dell’agricoltura – dice il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini – è un esempio di turismo sostenibile, prezioso per il sistema Paese che, se adeguatamente valorizzato, può diventare una risorsa strategica per il rilancio economico e occupazionale del Paese». Read the full article
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Eco-tassa UE: bollette più salate dal 2027
Eco-tassa UE: il 18 aprile il Parlamento europeo ha approvato definitivamente, con 413 voti favorevoli, la prima parte della legge definita come “la più grande legge sulla protezione del clima di tutti i tempi” - Peter Liese, Partito popolare europeo. Seguendo la direttiva “Fit for 55”, tre sono stati i provvedimenti presi: - La riforma dell’ETS (Emission Trading System) - il mercato delle emissioni di gas serra - Il Fondo Sociale per il Clima - per attutire l’impatto della riforma ETS sulle famiglie. - Introduzione del CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism) - Il meccanismo dell’adeguamento del carbonio alla frontiera che obbligherà gli importatori di determinate merci ad acquistare i permessi di emissione relativi alla produzione delle merci importate. Eco-tassa UE: conseguenze? Quali saranno le conseguenze di questi provvedimenti sui cittadini Italiani? Principalmente la riforma ETS sarà quella che graverà di più sui portafogli dei cittadini Italiani ed europei in generale. Perchè? Con la sua introduzione nel 2027 le bollette di luce e gas diventeranno più care per tutti. Vediamo nel dettaglio la riforma e come essa porterà all’aumento di prezzo dei combustibili fossili come gas per riscaldamento, benzina e diesel. Cos’è l’ETS e perché impatterà le bollette? Partendo con una definizione, L’ETS è il mercato delle emissioni di gas a effetto serra (GHG). Seguendo il principio “chi inquina paga” questo mercato è strutturato per incentivare le industrie a ridurre le proprie emissioni ed investire in tecnologie sostenibili. Cosa cambia con la nuova riforma dell’ETS (ETS II)? Con il nuovo progetto di legge recentemente approvato, l’area dei soggetti obbligati a pagare le quote di CO2 si estende, andando ad includere anche edifici e trasporto su strada. In termini pratici, trasportare e utilizzare combustibili fossili (carbone, petrolio e gas naturale) costerà di più. Il risultato: dal 2027 le bollette del riscaldamento degli edifici o abitazioni dove si utilizza ancora questo tipo di combustibili cresceranno esponenzialmente. Chi ne pagherà le conseguenze? le famiglie. Ovviamente il testo del progetto di legge prevede misure di salvaguardia per evitare picchi di prezzo: - Un freno di emergenza, che posticiperebbe l’avvio del nuove regime al 2028, da attivare se i prezzi del gas naturale superano i 106 euro per megawattora sull’hub TTF di riferimento; - Un rilascio di ulteriori crediti nel mercato del carbonio per abbassare i prezzi dei combustibili fossili se essi superano i 45 euro per tonnellata. E questa disposizione sarà in vigore solo fino al 2030. Queste misure saranno sufficienti? Gli esperti - si legge sul Sole 24 Ore - dicono di no, accusando gli europarlamentari di creare false aspettative. Fondo Sociale per il Clima: Aiuterà? C’è anche da considerare che la misura verrà affiancata da un nuovo Fondo sociale per il clima dal valore di 86,7 miliardi di euro, a disposizione dei Governi dal 2026. Questo strumento mira ad attutire il colpo per le famiglie più povere, distribuendo i proventi dell’ETS ai consumatori in difficoltà (famiglie vulnerabili, piccole imprese e utenti dei trasporti particolarmente colpiti dalla crisi energetica). Come spiegato dal vicepresidente della Commissione Europea Frans Timmermans “coloro che possono pagare pompe di calore e pannelli solari avranno un forte incentivo a farlo e coloro che non possono farlo da soli, sarà disponibile il supporto del Fondo sociale per il clima”. Riportando queste parole alle misure per le cosiddette “Case Green”, solo chi si adeguerà alle previsioni della direttiva sull'efficientamento energetico degli edifici si troverà non penalizzato rispetto all’aumento dei combustibili fossili. E gli altri? La legge sul Clima Costerà Cara Le nuove norme alzeranno i costi dell’energia in un periodo già caratterizzato da estrema incertezza economica e avversione agli investimenti. L’inflazione persiste e, dopo due anni di pandemia e lo scoppio del conflitto Russo-Ucraino, l’Italia ha già visto uno spropositato aumento dei prezzi di luce e gas. In un contesto simile, la nuova legge non fa altro che peggiorare la situazione alzando ancora di più il costo dell’energia. Apparentemente, Bruxelles non ha ancora compreso che mantenere i prezzi dell'energia bassi è essenziale per la sopravvivenza dell'economia continentale. Fonte: https://energia-luce.it/news/eco-tassa-caro-bollette-2027/ Read the full article
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Se la scuola fosse un’attività economica, avesse un suo fatturato, l’avremmo trattata certamente meglio. Almeno al pari di altri settori colpiti dal virus. Se le ore perdute di lezione si traducessero in una posta di bilancio aziendale, avessero la stessa importanza di un credito bancario in sofferenza o di una commessa perduta, l’allarme sociale suonerebbe forte. Incessante. Invece non è così pur essendo il nostro Paese quello che nell’Ocse (l’organizzazione dell’economie industriali) ha chiuso le scuole più a lungo (18 settimane contro una media di 14). Dell’ultimo Dpcm (acronimo che speriamo il 2021 si porti via) tutto è parso più importante del ritorno alle lezioni in presenza: dal cenone di Natale, al veglione della notte di San Silvestro, alla vacanza sugli sci. E irrilevante la differenza fra «riaprire» (in maggiore sicurezza, soprattutto nei trasporti) il 14 dicembre e il 7 gennaio. Quanto vale un giorno di lezione? Nulla. Dimentichiamoci per un attimo la lunga estate dei banchi a rotelle, l’eccesso di fiducia sulla didattica a distanza, il peso e l’egoismo dei sindacati di settore. E chiediamoci il perché, salvo rare eccezioni, un intero Paese abbia considerato, a differenza di altri, la sospensione delle lezioni il minore dei danni, un sacrificio sopportabile, la scuola — e la formazione in generale — un ramo complementare e dunque minore della vita sociale.
Per continuare con la metafora aziendale (che non ci piace perché la scuola è prima di tutto educazione alla cittadinanza) se gli studenti, le famiglie e gli insegnanti avessero la stessa rilevanza pubblica di altre constituency, consumatori, risparmiatori e azionisti, semplici gruppi d’interesse, non avremmo problemi. Parleremmo del decumulo del capitale umano — la perdita soprattutto in prospettiva di conoscenze e competenze — almeno al pari di quanto si discuta del decumulo di capitale finanziario. Perché non c’è ristoro che tenga per il vuoto di apprendimento che sopportano ragazze e ragazzi cui è stata sottratta una quota delle loro vite sociali. Sono danni che non si riparano, come hanno lucidamente argomentato, su Repubblica, Tito Boeri e Roberto Perotti. Se avessimo piena coscienza di quello che è accaduto forse ci convinceremmo che il benessere futuro, la qualità della cittadinanza, dipendono essenzialmente dalla nostra capacità di migliorare istruzione e formazione.
Un capitale umano superiore aumenta la produttività, senza la quale non vi è crescita. Né economica né morale. E senza un capitale umano di qualità non vi è neanche cittadinanza attiva e responsabile e, nemmeno, una classe dirigente all’altezza delle sfide di un mondo, dopo la pandemia, assai diverso. E ci accingeremmo, dunque, a scrivere il Recovery Plan, per impiegare al meglio sussidi e prestiti comunitari, avendo lo sguardo rivolto alle prossime generazioni. Quelle che stanno già nel titolo Next Generation Eu che chissà perché noi non traduciamo mai. Forse perché concentrati sulle necessità immediate — alcune drammatiche altre assai meno — delle nostre tante corporazioni. I giovani non sono né una corporazione né una lobby. Ma non è una loro colpa. E, se possono, se ne vanno. Votano così. Abbiamo una dispersione scolastica del 13,5 per cento. Oltre due milioni di giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano né lavorano: un record in Europa. La didattica a distanza supplisce ma non basta. Anzi, è un elemento che amplia le disuguaglianze. Una famiglia su cinque è priva di connessione ed è di fatto espulsa. Le immatricolazioni universitarie non sono per fortuna precipitate — come era accaduto dopo la crisi finanziaria del 2008-2009 — anche grazie all’impegno del ministro dell’Università, Gaetano Manfredi, e di tanti rettori e professori, complice la riduzione della tassazione. Ma è pur vero che molti studenti hanno scelto l’ateneo sotto casa rinunciando alla mobilità interregionale e alla scelta di corsi di qualità migliore. Secondo la ricerca Education at glance 2020, l’Italia destina all’educazione primaria, secondaria e terziaria, il 3,9 per cento del Prodotto interno lordo, una delle percentuali più basse in assoluto. Per la terziaria, cioè l’università, appena lo 0,9 per cento mentre la media Ocse è dell’1,4 per cento.
Si è parlato molto del numero dei docenti — come se i problemi fossero esclusivamente legati all’ampiezza dell’organico — e meno alla loro formazione. «Gli insegnanti italiani — scrive Andrea Gavosto nel libro Il mondo dopo la fine del mondo(Laterza) — hanno dimostrato che se chiamati a un impegno fuori dall’ordinario per il bene degli alunni non si tirano indietro». Verissimo. Sono, in moltissime occasioni, anche le più difficili, encomiabili, vanno ringraziati. «Ma l’altro lato della medaglia — continua Gavosto — è rappresentato dall’arretratezza dei docenti sul fronte della didattica e dell’uso delle tecnologie digitali, che dovrebbero diventare oggetto di formazione obbligatoria». Paolo Sestito, dell’ufficio studi della Banca d’Italia, nelle sue numerose ricerche in materia, ha insistito molto sul tema della valutazione delle scuole e soprattutto della selezione e delle motivazioni del corpo insegnanti, lamentando la progressiva emarginazione di chi ha la responsabilità di formare i futuri professionisti, imprenditori, tecnici, semplici cittadini. È un problema di ruolo, di centralità sociale, non solo di trattamento economico.
Ma la scuola e l’università non bastano. L’investimento in capitale umano — a maggior ragione in un mondo che verrà profondamente ridisegnato dopo la pandemia — deve essere continuo. Senza interruzioni. Secondo lo studio The future of job, il futuro del lavoro, del World Economic Forum, il 50 per cento dell’attuale forza lavoro dovrà essere riqualificata. Da qui al 2025 si creeranno, nei 26 Paesi osservati, 97 milioni di posti di lavoro ma se ne perderanno 85, soprattutto quelli più ripetitivi e a minor valore aggiunto, anche per il forte impulso alla digitalizzazione, alla robotica, all’intelligenza artificiale.
Il nostro Paese, dal punto di vista della formazione continua, nella manutenzione delle competenze, è ugualmente agli ultimi posti nell’Ocse. Solo un lavoratore su cinque ha accesso a un programma di formazione. In Danimarca sei su dieci. «Non è solo un problema di risorse — commenta Stefano Scarpetta, direttore per il Lavoro e gli Affari sociali dell’Ocse — ma di cultura generale. Sentirsi dire che si ha bisogno di formazione non equivale a un giudizio di inadeguatezza professionale. È una forma di rispetto semmai. La struttura economica italiana, fatta perlopiù di piccole aziende, non favorisce l’investimento in formazione. Molte imprese sono refrattarie. E spesso chi ne ha più bisogno, e non sono i più giovani, ne riceve di meno o semplicemente nulla». La Francia investe in formazione 35 miliardi l’anno. Ha creato dei «conti personali di formazione». Fondi individuali. Si fa leva sulla necessità del singolo lavoratore di migliorare la propria posizione. Si offrono delle opportunità di orientamento nella scelta del programma formativo. La differenza, rispetto al mondo pre Covid, è che la finestra di tempo per cogliere l’opportunità di riqualificare, difendendolo, il lavoro si è drammaticamente ristretta. I posti si creano e si difendono di più investendo sulle conoscenze dei lavoratori, avendo cura, in definitiva della loro dignità, non solo del loro reddito. Trattandoli come cittadini responsabili, senza ingannarli con false promesse.
5 dicembre 2020, 21:07 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Luigi Di Maio l’ha presentata in una teca come una Madonnina piangente: la prima tessera del mitico Reddito di Cittadinanza. Che in realtà non è un reddito, e non è di cittadinanza, ma sarà (se e quando partirà davvero) un sussidio di disoccupazione, vincolato a un milione di regole burocratiche che trasformeranno in un sorvegliato speciale chi cercherà di ottenerlo. Inoltre, la gialla master card destinata secondo Di Maio ad “abolire la povertà” sarà comunque negata proprio ai più poveri. Non la riceveranno gli sfrattati e i senzatetto. Non la riceveranno italiani e stranieri in povertà assoluta che risiedono in Italia da meno di dieci anni. Non la riceveranno i giovani disoccupati che devono abitare ancora coi genitori. Se la riceverà, la perderà l’imbianchino disoccupato di Catania che si rifiuta di andare ad allevare anguille a Comacchio, e viceversa. Non riuscirà mai ad ottenerla chi non sa o non può procurarsi tutta la documentazione necessaria per dimostrare a Nostra Signora del Sussidio che non è un truffatore fancazzista, né un immigrato a torso nudo con lo smartphone. Ma basta con queste lamentele, guardiamo il bicchiere mezzo pieno: se tutto va bene, da maggio circa un milione di famiglie riceveranno una nuova social card con circa 100 euro a settimana per fare la spesa (l’eventuale resto sarà rigorosamente destinato all’eventuale affitto). È il momento di recuperare lo scontrino col quale Pina Picierno voleva dimostrarci come 80 euro bastassero a una famiglia di tre persone per una spesa settimanale. Lo scopo primario del Reddito di Cittadinanza però non è lo stesso degli 80 euro renziani, cioè pagare gli italiani per votare un branco di cazzari. Quello lo fanno anche gratis. Il Reddito di Cittadinanza è innanzitutto uno strumento di controllo sociale, come ha esplicitato il sociologo ex-grillino Domenico De Masi: “Elargire questo sussidio serve ai ricchi, per evitare che i poveri s’incazzino e gli taglino la testa”. Il compito dichiarato del Movimento 5 Stelle è sempre stato fin dall’inizio quello di assorbire la rabbia popolare, per impedire che producesse qualcosa di realmente rivoluzionario. Beppe Grillo l’ha rivendicato più volte: “Se non ci fossimo noi a tenerla buona, la gente scenderebbe in piazza”. E Di Maio s’è vantato di recente: “Senza di noi, anche in Italia ci sarebbero i gilet gialli”. Il RDC è un sedativo di massa. E non è certo concepito per evitare la recessione (generale e prevista) né la conseguente prossima Quaresima di tasse e tagli, ma per renderle più sopportabili per le masse, con un centinaio di euro in più a settimana a quelli che potrebbero diventare realmente pericolosi per il sistema. Per tenerli tranquilli. E sorvegliati. Perché restino buoni cittadini. E consumatori. Non ai senzatetto quindi, né ai migranti, che invece vengono spinti sempre più verso l’emarginazione totale – anche col decreto Salvini – per essere usati come spauracchio e capro espiatorio. Questo disegno non è occulto, è esplicito, come le dichiarazioni che ho citato confermano, ma funziona lo stesso, come ogni manipolazione che faccia leva sugli istinti e sui bisogni primari. L’utilità del governo Grilloverde per le élite che dice di combattere però difficilmente lo salverà dal suo destino ultimo: diventare a sua volta il capro espiatorio, quando la Crisi affonderà le zanne, e i sedativi di massa non basteranno a tenere buone le prede.
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{BEH DA DEI COMUNISTI NON CI SI POTEVA ASPETTARE UNA ANALISI OLTRE I LIVELLI SOCIO ECONOMICI, MA COMUNQUE SEMPRE MEGLIO CHE NIENTE. QUESTA POLITICA DEI PORTI APERTI TENDE A RIVERSARE IN EUROPA, E SOPRATUTTO IN ITALIA CHE E' UNA NAZIONE PRIVA DI SOVRANITA', QUANTA PIU' AFRICA POSSIBILE. A PARTE I PROBELMI ECONOMICI SOCIALI, LA INEVITABILE DISTRUZIONE DI OGNI CULTURA E TRADIZIONE, ENTRO UNA CINQUANTINA DI ANNI LA VITA NEL VECCHIO CONTINENTE SARA' UN INFERNO.Il capitale ci vuole trasformare in una massa di consumatori apolidi, privi di coscienza e di cultura, pronti a svendere il nostro lavoro per 4 soldi che useremo per comprare minchiate, in continua competizione contro altri nelle nostre stesse condizioni. Vuole che viviamo al disopra delle nostre possibilità, perennemente indebitati come i cittadini americani, che sono già due passi davanti a noi nel degrado; poi chi perde il lavoro è sommerso dai debiti e diventa uno dei sempre più numerosi "dropout": è il liberismo, ragazzi! (E qui finisce il testo scritto da me) COMUNISTI TEDESCHI CONTRO I "PORTI APERTI": «Bisogna mettere pressione ai partiti di sinistra affinchè s'impegnino per un'altra politica migratoria. Bisogna finirla con la buona coscienza della sinistra sulla cultura dell'accoglienza e con i politici che vivono lontano dalle famiglie modeste che si battono per difendere la loro parte di torta. UN CONFINE APERTO A TUTTI È INGENUO E SOPRATTUTTO NON È UNA POLITICA DI SINISTRA. I miliardi spesi dal governo per accogliere i richiedenti asilo nel 2015 avrebbero potuto aiutare molto di più i bisognosi in Germania. Più migranti economici significa più concorrenza per contendersi i posti di lavoro nei settori più bassi. L'attuale zona euro non funziona, a causa della politica perseguita dalla Germania. Quando un paese di queste dimensioni pratica il dumping salariale e aumenta artificialmente le proprie esportazioni, gli altri difficilmente possono difendersi.» Sahra Wagenknecht} Copia e incolla https://www.instagram.com/p/CEbKiffJe42/?igshid=441t1gtsnicw
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