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Charlie Chaplin: La voce dell’umanità in un mondo di macchine. Un messaggio senza tempo di dolcezza e bontà. Alessandria today
"Le macchine che danno l’abbondanza ci hanno lasciati nel bisogno, la nostra sapienza ci ha reso cinici, l’intelligenza duri e spietati. Pensiamo troppo e sentiamo troppo poco.
Con queste parole, Charlie Chaplin, leggenda del cinema e umanista senza pari, ci consegna una riflessione che, a distanza di decenni, risuona più che mai attuale:“Le macchine che danno l’abbondanza ci hanno lasciati nel bisogno, la nostra sapienza ci ha reso cinici, l’intelligenza duri e spietati. Pensiamo troppo e sentiamo troppo poco. Più che di macchine, l’uomo ha bisogno di umanità. Più che…
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Nella cinematografia nipponica esiste un genere che si chiama TOKUSATSU, una parola macedonia che mescola Tokushu (inusuale, speciale) e Satsuei (fotografia, filmato), traducibile in italiano con ‘film di effetti speciali’.
Voi lo conoscete bene quel genere, perché gli americani lo hanno rubato (tanto pe’ccambia’) per farci i Power Rangers, cugini occidentali di una serie di telefilm che negli anni ‘70-’80 qua in Italia hanno fatto la loro comparsa guidati da
che se volete continuare a essere miei amici spero non mi chiediate chi sia.
Comunque il genere TOKUSATSU era abbastanza lineare nella sua rappresentazione: mostruosi cattivi alieni (i famigerati KAIJU, i mostroni di Pacific Rim) che minacciano la terra ed eroe che grazie a poteri acquistati in mille modi fantasiosi prima crepa di kung gli sgherri e poi si ingigantisce per spolverare di legnate esplosive il boss finale, un mostrone gommoso che usa gli alberi come clave e butta i palazzi giù a calci.
(Parentesi culturale: i kaiju - sia nella versione kaijin, uomo-mostro, che in quella daikaiju, mostro-gigante - sono un retaggio culturale degli anni ‘50, una sorta di risposta collettiva metaforica agli orrori della conclusione della seconda guerra mondiale. Triste e divertente un dialogo digitale tra un americano e un giapponese in cui il primo chiedeva al secondo cosa fosse mai successo di così tanto traumatizzante da far sublimare le proprie paure in un mostro gigante come Godzilla e l’altro che gli risponde ‘Tipo... la bomba atomica che ci avete sganciato in testa?’)
Ritornando a noi, nei primi Tokusatsu l’eroe era uno solo ma succedeva che quando i regazzetti giocavano a imitarlo c’era il solito unico fortunato che ne vestiva i panni e agli altri toccava fare i mostri, perciò i produttori incominciarono a introdurre il bellissimo e riconoscibilissimo tropo del SUPA SENTAI, cioè la Squadra Speciale, in cui gli eroi erano più d’uno e avevano colori e caratteristiche diverse che a distanza di anni ancora riconosciamo come stereotipi di genere: c’era l’eroe senza macchia, l’ombroso amico-nemico ribelle ma dal cuore d’oro, la fidanzata dell’eroe (riconoscibile dalla TUTA SEMPRE ROSA e fanculo Mr.Gender), il ciccione e/o buffone e il bambino sciocchino combinaguai.
Ma io non vi ho fatto tutto questo pippone perché fosse fine a se stesso... io vi volevo parlare di un altro tropo FENOMENALE, che a mio avviso ha influenzato tutto il cinema occidentale degli anni ‘80, ‘90 e oltre, cioè
LA SEQUENZA RAMBADA
Anche se il termine può sembrarvi sconosciuto, il nome si riferisce a un certo tipo di musica che veniva fatta partire prima che cominciasse la...
Aspettate... faccio prima a farvi vedere una sequenza rambada tra le più celebri e recenti che non potrete non riconoscere
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Si tratta della TRASFORMAZIONE che il nostro eroe di turno (o le nostre eroine, nell’esempio) compiono per attingere al loro Vero Potere e riuscire a sconfiggere il nemico della puntata.
La Sequenza Rambada è una sorta di riconoscibilissimo jingle visuale che rimane immutato per tutta la serie e che lo spettatore attende con ansia a ogni episodio, al punto che poi questa veniva puntualmente riproposta in camera davanti allo specchio, durante i giochi in cortile, la ricreazione e le lezioni in classe quando la maestra era voltata verso la lavagna.
La Sequenza Rambada dei Mecha (i robottoni) rappresenta, poi, l’apice dell’amore per la tecnologia trans-umanista anni ‘80: Hiroshi che schianta giù nel crepaccio una moto ogni puntata per trasformarsi in Jeeg, la cascata che smette di cascare per permettere l’uscita di Goldrake dopo che Actarus s’è fatto un giro sul Blue Tornado di Gardaland, il parco-giochi che si apre per far saltare fuori Trider G7 e fanculo ai bambini rimasti, la sofferenza mondialmente condivisa di George rivestito di filo spinato mentre esegue il Tek Setter dentro Pegas per diventare Tekkaman e, il mio preferito, CON L’AIUTO DEL SOLE VINCERÒ! ATTACCO SOLARE! ENERGIAAAA!!!!! e tutti a chiedersi perché Daitarn non la usasse subito invece di farsi crepare di mazzate dal Megaborg.
Quando ho detto che la Sequenza Rambada ha influenzato il cinema occidentale mi riferisco a un altro fenomeno riconducibile a essa per me molto emozionante che è quello della
VESTIZIONE DELL’EROE
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uno dei miei tropi preferiti di sempre, davanti ai quali non posso che puntualmente commuovermi... soprattutto perché ho due cani.
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Dimenticavo... nella foto a inizio post sono io che ho appena finito di eseguire la mia personalissima ed eroicissima (ma manco per il cazzo) Sequenza Rambada, senza alcun tipo di musica emozionante tranne le mie bestemmie perché tutte le volte rischio di perdere l’equilibrio per i sovrascarpe scivolosi di disinfettante e con la consapevolezza che dopo mi parrà di respirare dentro la marmitta di un Ciao e che non potrò andare in bagno per le cinque ore successive.
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Mo daijoubu! Naze tte? Watashi ga kita!
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Lucca Comics & Games 2020 si farà, ecco come
La kermesse toscana si reinventa e non si ferma neanche in tempi di coronavirus.
Sono molti gli eventi che, considerati i tempi complicati che stiamo vivendo a causa della pandemia, hanno deciso di saltare l’appuntamento con il 2020. Fra questi, a sorpresa, non c’è però Lucca Comics & Games. La fiera che ormai catalizza da molti anni centinai di migliaia di appassionati italiani, con eventi e ospiti internazionali, dedicati a tutti i fan di animazione, fumetto, narrativa fantasy e sci-fi, serie tv, videogame e giochi da tavolo, infatti si terrà anche quest’anno, ma in una forma un po’ diversa. Vediamo come e quando con il lungo comunicato ufficiale rilasciato oggi dagli organizzatori.
10 luglio 2020 - È di aprile l’ultima comunicazione in cui si affermava che l’edizione 2020 sarebbe stata la più sentita, che i mesi di lockdown sarebbero serviti per accelerare alcune attività che sino a pochi mesi prima erano solo in incubazione. Dopo mesi di analisi, ricerca, ascolto, sviluppo e duro lavoro, Lucca Comics & Games è pronto a rimettersi in gioco e rispondere alle avversità con resilienza e creatività: dal 29 ottobre al 1 novembre si rialzerà il sipario sulla città di Lucca per dare vita a una nuova edizione del festival. Inconsueta, a partire dalla data di inizio - posticipata di un giorno rispetto a quanto annunciato a fine 2019 - e perché prevede 4 eventi in 1, sempre ricca di contenuti, nel rispetto della sicurezza e della salute della community: autori, espositori, visitatori; ma anche cambiata e diversa da come tutti la conosciamo.
“Il dialogo con la community, gli editori, i partner e gli autori, finalizzato a individuare le necessità a cui risponde il festival, è servito a rafforzare l’idea che la sfida è quella con il concept della manifestazione a cui siamo abituati”, racconta Emanuele Vietina, direttore del festival “L’obiettivo è, e sarà, crossmedializzare l’evento crossmediale, offrire quello che Lucca solitamente dava tramite un unico momento attraverso molteplici piattaforme la cui somma delle parti possa riprodurre l’effetto Lucca”.
Il programma si articolerà su 4 pilastri:
1) La città ancora cuore degli eventi. Il luogo fisico non sarà abbandonato, è il simbolo dell’incontro che fa scattare la scintilla della creatività e rende magiche le relazioni in un contesto inconfondibile. In ottemperanza a quanto previsto dalle Linee Guida redatte dalla Conferenza delle Regioni afferenti al DPCM dell’11 giugno vi sarà una dimensione fisica diffusa, contenuta e diversa dal solito: un festival culturale e spettacolare in linea con i protocolli degli eventi statici di sala (cinema, teatri e auditorium). Il progetto relativo alla dimensione espositiva sarà necessariamente scalabile e definito nelle prossime settimane in base ai preziosi riscontri dei nostri espositori; prevederà modalità di partecipazione specifiche e restrizioni coerenti con l’attualità del momento, con l’ordinanza regionale e in linea con i protocolli AEFI. Il tutto per garantire la massima sicurezza del pubblico, degli operatori e dei collaboratori.
L’accesso a tutte le attività sarà consentito solo tramite biglietto, ivi incluse le attività cosplay che avranno luogo in alcuni dei palazzi storici più belli di Lucca. Per gli operatori saranno forniti aggiornamenti tramite i consueti canali professionali, per il pubblico gli aggiornamenti perverranno attraverso i canali di comunicazione ufficiali del festival.
2) Il mondo digitale sarà esplorato come mai prima d’ora, per offrire appuntamenti unici anche a chi sarà lontano e con chi sarà lontano: eventi in diretta e on demand, attività su prenotazione con pacchetti premium, anteprime e proiezioni, consigli per gli acquisti, con contenuti sviluppati ad hoc provenienti anche dalla community, che rimane la vera protagonista di tutte le azioni messe in campo.
3) La Main Media Partnership con RAI e RAI RADIO2 Radio Ufficiale. La TV e la Radio pubbliche italiane scendono in campo per supportare il grande evento pubblico dedicato al fumetto e al gioco in un momento storico in cui il sostegno per la ripartenza delle manifestazioni culturali diventa un vero e proprio impegno di Servizio Pubblico. Fianco a fianco, come i protagonisti delle nostre saghe preferite, nella sfida del millennio. Dopo lunghi mesi di isolamento in cui Rai Radio2 ha risposto con efficacia al crescente bisogno di intrattenimento e informazione, in questa nuova questa fase di ripresa torna a seguire gli eventi più rilevanti del panorama italiano ripartendo da Lucca Comics & Games. Insieme a loro altri media partner avranno un ruolo di primo piano mettendosi alla prova per sperimentare e intraprendere nuove strade insieme al festival.
4) E infine… i Campfire! Lucca Comics & Games si trasformerà in un grande festival diffuso sul territorio nazionale grazie al coinvolgimento dei principali negozi specializzati in fumetto, giochi e narrativa fantasy. Questi indispensabili luoghi dove si condividono le passioni diventeranno avamposti distribuiti in tutta Italia per offrire intrattenimento culturale al pubblico più attivo che c’è. 1, 10, 100 Lucca Comics & Games dove gli editori potranno proporre contenuti speciali e le uscite del momento, in filo diretto con le attività svolte a Lucca e negli altri campfire. Una vera e propria chiamata alle armi, soprattutto a supporto di quei posti dove si coltiva il passatempo umanista, perché “alla fine di tutto questo vogliamo avere ancora #unpostodovetornare” (“Negozi in quarantena”, Infoludiche.org). Chiunque voglia fare parte di questa rete e accendere simbolicamente il falò deve trasmettere la propria manifestazione di interesse compilando il questionario sul sito www.luccacomicsandgames.com/campfire. I primi avamposti saranno annunciati a fine mese, in occasione del prossimo momento di comunicazione previsto.
L’organizzazione del festival così pensata consentirà di stimolare il contatto tra gli editori, gli autori e la community, offrire momenti identitari, promuovere le iniziative culturali con i grandi media, tentare di far ripartire il settore degli eventi come volano per l’industria creativa; nel contempo consentirà di reagire in modo flessibile e responsabile alle difficoltà in atto o che potranno sopraggiungere anche tra qualche mese, tutelando in primis la salute di ognuno di noi.
Riprende Emanuele Vietina: "Abbiamo voluto rispondere con cautela e intraprendenza a questa grande prova. Perché non è questo il giorno per pensare che il festival possa abbandonare i luoghi che lo ospitano da 54 anni, e svuotare i monumenti di Lucca dei sogni e dei suoi appassionati. Non è questo il giorno per rinunciare a dare supporto a un comparto editoriale che trova nella manifestazione il momento di massima espressione. L’anno scorso Lucca Comics & Games ha celebrato il valore del Becoming Human, diventare umani: e non sarà sicuramente questo il giorno in cui, rinunciando al nostro programma, abbandoneremo l’anima inclusiva del nostro festival e della nostra community".
“Questa decisione è passata attraverso un durissimo percorso di studio con l’obiettivo di trasformare la sfida in opportunità, con grande consapevolezza dello scenario in cui ci troviamo”, afferma Mario Pardini, presidente di Lucca Crea. “La società, insieme alla Lucca Holding Spa e al Comune di Lucca, sta facendo un grande sforzo per creare nuovi strumenti e segnare un tracciato diverso che integri e renda possibile la crescita del festival con caratteristiche innovative da capitalizzare per il futuro. Qualcosa che possa durare nel tempo, arricchire quanto è stato fatto sino ad ora”.
Alessandro Tambellini, Sindaco di Lucca, conclude ricordando che: “Con il protrarsi dell’emergenza sanitaria, l’Amministrazione Comunale ha preso piena consapevolezza di quanto la città e il festival avrebbero risentito degli effetti della pandemia. In questo caso, però, il rischio è molto diverso perché riguarda la possibilità di esistere o non esistere, di esserci o non esserci. L’avvio della fase tre ci ha portati alla decisione di dare un segno di continuità nonostante le difficoltà. Lucca Comics & Games nasce grazie a uno sforzo d'ingegno e di immaginazione che ha portato il nome della città di Lucca a essere affiancato a quello di metropoli come Tokyo, New York, Londra. Siamo consapevoli di non poter pensare di vendere 271.000 biglietti, che non avremo 700.000 presenze; accoglieremo quindi un numero di persone sufficiente per vivificare una città (ma anche i territori limitrofi che beneficiano di un indotto importante) che attende quell’evento con grande speranza. Per questo penso che Lucca Comics & Games si debba svolgere e debba essere inteso anche come il contributo simbolico della città di Lucca alla rinascita del Paese”.
Parte quindi oggi, a 110 giorni dalla data di inizio, il conto alla rovescia che prevede la prosecuzione di un lavoro straordinario, all’altezza delle migliori imprese, e un percorso a tappe che rimanda a fine mese il prossimo appuntamento con le prime anticipazioni sul programma e sulle modalità di partecipazione, e a settembre le informazioni sull’apertura della biglietteria.
Autore: SilenziO))) (@s1lenzi0)
[FONTE]
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La fotografia documentaria come forma d’arte (seconda parte)
di Lorenzo Ranzato
--- I precursori del documentarismo
--- Introduzione
-- Come abbiamo visto, nel corso degli anni ‘30 si afferma il documentarismo, che si sviluppa “all’interno di un più ampio movimento di cambiamento sociale e attitudine liberale”(1): è una grande svolta epocale, che chiude una significativa stagione della storia della fotografia, durata oltre settant’anni, e che ha visto la nascita e il tramonto del pittorialismo.
Al filosofo tedesco Walter Benjamin va attribuito il merito di aver ribaltato l’ormai anacronistica concezione di Charles Baudelaire, che per oltre mezzo secolo aveva diviso il mondo della pittura e dell’arte in due schieramenti contrapposti (2): da un lato gli immaginativi (i veri artisti che vogliono “illuminare le cose” con il loro spirito) e dall’altro i realisti (ovvero i positivisti, che vogliono erroneamente “rappresentare le cose come sono”).
Ed è proprio grazie ai suoi scritti e in particolare ai due saggi - Piccola storia della fotografia del 1931 e L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica del 1936 - che l’arte ha potuto emanciparsi in modo definitivo da quella atavica dimensione spirituale o religiosa che aveva caratterizzato da sempre l'opera artistica tradizionale. In questo modo, con la liberazione dell’oggetto artistico dall’ ”aura”, si apriranno nuove prospettive e inediti spazi per i media emergenti quali la fotografia e il cinema, che rapidamente si affermeranno non solo come forme innovative del modernismo, ma anche come forme iconiche del XX secolo.
Atget Photographe de Paris, 1930
La fotografia documentaria muove i primi passi negli Stati Uniti, inaugurando una nuova importante e complessa stagione della fotografia, che pervade tutto il ‘900 e arriva fino ad oggi, creando nel tempo una varietà di ramificazioni – generalmente definite in molti testi e nel web come “sottogeneri” - che spaziano dal fotogiornalismo, con la nascita delle riviste illustrate, alla fotografia pubblicitaria, dalla fotografia umanista sino al reportage di guerra e alla street photography, per arrivare forse alle recenti forme di giornalismo diffuso o all’inesauribile fenomeno della produzione fotografica nei social network.
In realtà, anche nell’epoca del pittorialismo imperante è possibile individuare alcuni fotografi che in qualche misura non seguono i canoni pittoricisti, ma usano il mezzo fotografico in modo più diretto. Tra questi, abbiamo scelto quattro autori che hanno contribuito con modalità diverse a porre le basi del nuovo linguaggio fotografico moderno. In Europa: Thomson che fotografa la vita di strada di Londra, Atget che documenta l’antica Parigi. In America Riis e Hine che utilizzano la fotografia come strumento di indagine e denuncia sociale.
Due precursori europei: Thomson e Atgèt
Il primo autore che possiamo citare è lo scozzese John Thomson, che è stato uno dei primi fotografi di “reportage” nell’Estremo Oriente. Negli anni ‘70 dell’Ottocento ha documentato “la vita di strada” di Londra: le sue fotografie scattate in modo sistematico – che sembrano evocare le descrizioni dei romanzi “realistici” di Charles Dikens – vengono pubblicate nel 1877 in forma di libro. Street life in London può essere considerato, a tutti gli effetti, fra i primi esempi di “realismo fotografico”, un genere che troverà la piena affermazione con l’avvento delle riviste illustrate, destinate a raccontare “storie per immagini” per un sempre più vasto pubblico di lettori (3).
John Thomson, Vita di strada a Londra, 1876-1877
Fra i precursori non può mancare Eugène Atget, che dal 1889 al 1924 ha documentato la vecchia Parigi, che si stava trasformando in una metropoli moderna, “manifestando fin dall’inizio l’ambizione di creare una collezione di tutto ciò che vi è di artistico a Parigi e nei dintorni” (4). Si considera un fotografo commerciale, tanto che nel 1890 espone fuori del suo laboratorio una piccola targa con la scritta “Documenti per artisti”. Con il suo apparecchio a soffietto 18x24, un pesante treppiedi di legno e qualche scatola di lastre fotografiche ha percorso in modo sistematico le strade di Parigi, fotografando le sue architetture, i suoi negozi e le vetrine con inquietanti manichini, suscitando l'interesse dei surrealisti come Man Ray e Brassaï.
Il riconoscimento artistico di questa vasta collezione documentaristica è soprattutto postumo, grazie all’interessamento di Berenice Abbott che acquista dopo la sua morte gran parte della collezione di negativi, stampe e album, oggi custodita al Museo d’arte moderna di New York. Atget infatti muore quasi sconosciuto nel 1927, sebbene gruppi di sue stampe fossero già presenti in vari archivi di Parigi. Soltanto nel 1930, sempre per iniziativa della Abbott, esce il primo libro composto da 96 fotografie, Atget, Photographe de Paris. Da questo momento la sua fama crescerà, tanto da essere consacrato come uno dei più influenti fotografi della prima età moderna: apprezzato e riconosciuto sia dai giovani fotografi americani come Walker Evans, Ansel Adams, Margaret Bourke-White, sia da quelli europei come André Kertesz, László Moholy-Nagy ed Henri Cartier-Bresson.
Eugène Atget, Il Cabaret à l’homme armée, 1900 Eugène Atget, Rue Hautefeuille, 1898
La fotografia come indagine sociale: Riis e Hine
In America Jacob Riis può essere considerato il capostipite della moderna fotografia di indagine sociale. Emigrato dalla Danimarca, inizialmente lavora come reporter della polizia, ma poi si dedica a fotografare le aree più disagiate di New York. Nel 1890 pubblica il suo libro Come vive l’altra metà: studi sulle case popolari di New York, dove documenta la miserevole vita degli immigrati nel Lower East Side di Manhattan, libro che ha un forte impatto sull’opinione pubblica per la crudezza delle immagini, al punto da convincere l’allora governatore Theodore Roosevelt – suo amico personale, che lo defini “il miglior americano che abbia mai conosciuto” - a prendere provvedimenti per migliorare le condizioni di vita nell’area più densamente popolata del mondo, con oltre mezzo milione di persone concentrate in poco più di un chilometro quadrato. Per questi motivi, Riis è ricordato come uno dei fotogiornalisti e riformatori sociali più influenti, che ha documentato le ingiustizie sociali dell’America a cavallo fra la fine dell’ ‘800 e l’inizio del ‘900.
Jacob Riis, Inquilini della casa popolare di Bayard Street, 1889
Lewis Hine, insegnante presso la Ethical Colture School di New York, si avvicina alla fotografia con l’occhio del sociologo, fotografando la vita degli immigrati a Ellis Island, ma a partire dal 1908 la sua attenzione si concentra sul lavoro minorile, diventando fotografo ufficiale del National Child Labor Committee, una organizzazione creata per combattere il lavoro minorile nell’industria pesante. Attraverso una descrizione accurata dei soggetti ripresi e delle loro condizioni di lavoro, utilizza la fotografia come strumento di denuncia sociale.
Lewis Hine, Famiglia di immigrati italiani, Ellis Island, 1905
Nel 1918 viaggia in Europa per documentare, su richiesta della Croce Rossa Internazionale, la situazione dei paesi del Vecchio Continente devastati dalla Prima Guerra Mondiale. Tornato a New York nel 1919, Hine rivolge nuovamente il suo interesse al mondo del lavoro, con una nuova attenzione alle qualità formali dell’immagine, pubblicando nel 1932 il libro Men at Work, dedicato alle maestranze che hanno contribuito alla costruzione dei grattacieli di New York.
Lewis Hine, Lavoro minorile in un cotonificio della Carolina, 1908
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1 David Bate, Photography. The key concepts,2016; trad. Il primo libro di fotografia, Einaudi, 2017, p. 67.
2 David Bate, Art Photography, 2015; trad. it. La fotografia d’arte, Einaudi, 2018, p. 102.
3 David Bate, op. cit., pp. 61-2.
4 J. C. Gautrand (a cura di), Eugène Atget. Paris, TASCHEN, 2016, p. 19.
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Sabine Weiss
https://www.unadonnalgiorno.it/sabine-weiss/
Per essere potente, una fotografia deve parlarci di un aspetto della condizione umana, farci sentire l’emozione che il fotografo ha provato di fronte al suo soggetto.
Sabine Weiss, fotografa svizzera naturalizzata francese, ha immortalato la vita parigina, rendendola eterna. Unica donna e ultima rappresentante del movimento fotografico umanista francese, ha potuto esercitare la sua professione a lungo e in tanti differenti campi.
Nata col nome di Sabine Weber, a Saint-Gingolph, in Svizzera, il 23 luglio 1924, suo padre era un ingegnere chimico che produceva perle artificiali da squame di pesce.
Era una bambina quando ha iniziato a fissare la vita con una macchina fotografica in bachelite acquistata con la sua paghetta, stampando a contatto sul davanzale della finestra.
Sostenuta dalla famiglia nella sua scelta, a soli diciassette anni è andata via di casa per apprendere le tecniche fotografiche a Ginevra, presso i Boissonnas, nota famiglia di fotografi.
Nel 1945 ha conseguito la qualifica svizzera in fotografia e l’anno successivo si è trasferita a Parigi.
A 21 anni ha pubblicato il suo primo reportage, durante uno dei suoi tanti viaggi ha conosciuto Hugh Weiss, importante pittore statunitense poi diventato suo marito, da cui ha preso il cognome.
Come assistente del tedesco Willy Maywald ebbe modo di entrare in contatto con le personalità parigine più importanti della sua epoca, ha partecipato all’inaugurazione della Maison Dior e alla presentazione della prima collezione.
A 28 anni ha esposto nella collettiva Fotografia europea del dopoguerra al MoMA. Nel 1954, l’Art Institute of Chicago le ha dedicato una mostra personale che fece un lungo tour negli Stati Uniti.
Ha ritratto i grandi nomi della musica, letteratura, arte, moda e cinema, collaborato con le più importanti riviste e quotidiani e viaggiato in tutto il mondo.
A partire dal 1950, Sabine Weiss è stata rappresentata dall’agenzia Rapho, la principale agenzia di stampa francese che gestiva il lavoro di Robert Doisneau.
Parallelamente al lavoro svolto per i giornali, si è dedicata particolarmente alla fotografia di strada, amava ritrarre i bambini che giocavano e la vita quotidiana, rappresentazione della filosofia alla base della fotografia umanista.
Nel 1983, ha ottenuto una borsa di studio dal Ministero francese degli affari culturali per condurre uno studio sui Copti d’Egitto e, successivamente, nel 1992, un’altra per documentare Réunion.
Ha pubblicato circa 40 libri, tra cui 100 foto di Sabine Weiss per la libertà di stampa di Reporter senza frontiere.
Nel 2017, Sabine Weiss ha donato il suo intero archivio, che conteneva 200.000 negativi, 7.000 provini a contatto, circa 2.700 stampe d’epoca e 2.000 stampe in ritardo, 3.500 stampe e 2.000 diapositive al Musée de l’Elysée di Losanna.
Portava al collo sempre due apparecchi, uno con la pellicola a colori e l’altro con quella in bianco e nero. La produzione a colori era riservata soprattutto alla pubblicità e ai servizi per le riviste di viaggi e moda (dal 1952 al ‘61 ha collaborato con Vogue), al bianco e nero, con le possibili declinazioni di grigio, affidava il suo racconto.
Forte personalità, era una delle rare donne del suo ambiente, la fotografia è stata la sua una vocazione.
Nel 2020 ha vinto il premio Women in Motion ai Rencontres d’Arles.
Dirigeva istintivamente il suo obiettivo su corpi e gesti, immortalando emozioni e sentimenti, attenta a cogliere il quotidiano, era interessata alla gente tutta.
Si è spenta a Parigi il 28 dicembre 2021.
La poesia dell’istante, la prima importante retrospettiva italiana dedicata a questa grande fotografa, contenente oltre duecento immagini, è stata inaugurata a Venezia l’11 marzo 2022.
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Con questo piccolo cinema, desidero pensare mio figlio Giacomo Dalmonte @metabola nei suoi primi quarant'anni in lockdown. Il mio piccolo è diventato adulto attraverso tante esperienze di vita; lui è l'amico ideale per chiunque lo conosca, la sua figura irradia una luce particolare che attrae e nessuno lo dimentica più. Di vivace comunicazione è grande intrattenitore, un professore nato, di antropologia, filosofia, storia, poliglotta, diventato anche chef alla corte del fu, grande Gualtieri, portando la sua cucina dall'Italia al Madagascar passando per la Norvegia. Per Lui, umanista qual è, vagabondare per il mondo è voler conoscere e sapere, collaborare e aiutare persone di qualunque etnia, che diventeranno suoi amici per sempre; Lui ricorda tutti/e, ama ed è amato dalle donne, per loro canta, cucina, ascolta, pulisce, balla. Coltiva le amicizie come un fiore. Per me è la luce del mio cuore. #quarantanni #cinema #lockdown #amico #figlio @metabola #anniversary #cuore #luce #empaty #chef #antropology #connessione #umanity #amicizia #family #comunicazione #temperamento #lealta #estroverso #simpatico #cantante #ipadvideo #vivavideo #montaggio @beltratto #11giugno (presso Italy) https://www.instagram.com/p/CBRWHAtImpJ/?igshid=1t4jyivqfgkgj
#quarantanni#cinema#lockdown#amico#figlio#anniversary#cuore#luce#empaty#chef#antropology#connessione#umanity#amicizia#family#comunicazione#temperamento#lealta#estroverso#simpatico#cantante#ipadvideo#vivavideo#montaggio#11giugno
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Gli eventi della prossima settimana della rassegna della Fondazione Ordine degli Architetti di Genova “Big November 4 – Architectura et Media”.
Martedì 27 novembre, ore 17.45, Palazzo Ducale
Incontro con Fala Atelier – Tropi
Nella Sala del Munizioniere di Palazzo Ducale si svolge l’incontro “Fala Atelier – Tropi”, evento a cura di Lorenzo Trompetto nell’ambito di Big November 4 “Architectura et Media”, la rassegna della Fondazione Ordine degli Architetti di Genova. Fala è uno studio di architettura naïve con sede a Porto, fondato da Filipe Magalhães, Ana Luisa Soares e Ahmed Belkhodja. Istituito nel 2013, l’atelier lavora con ottimismo metodico su una vasta gamma di progetti, dai territori alle casette per gli uccelli. I progetti di Fala sono un intreccio di linguaggi formali, riferimenti, citazioni e temi, regolati da un’ossessione per la chiarezza.
Durante l’incontro, il giovane studio emergente portoghese, racconta la sua visione del progetto come combinazione di forme, riferimenti, citazioni e temi regolati dall’ossessione della chiarezza; un’architettura sia edonistica che post-modern, intuitiva e retorica. Il ricorso alle figure retoriche sono solo una delle conseguenze di un processo di addizione senza fine.
Giovedì 29 novembre, ore 9-18, Aula Benvenuto, Stradone Sant’Agostino
Giornata dedicata a Edoardo Benvenuto – Un uomo del Rinascimento del XX secolo
Dalle 9 alle 18, nell’aula Benvenuto del Dipartimento di Architettura e Design, in Stradone Sant’Agostino, il programma di Big November 4 propone una giornata commemorativa dedicata alla figura di Edoardo Benvenuto, ingegnere, pensatore e preside della Facoltà di Architettura di Genova. Una giornata di dialoghi intorno a Filosofia, Teologia, Arte, Architettura, Musica e Letteratura ispirata alla sua figura di umanista e uomo di scienza. L’evento è organizzato dalla Fondazione Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Genova, dall’ Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori di Genova, dall’Associazione Edoardo Benvenuto, dal Dipartimento Architettura e Design – Scuola Politecnica e dall’Associazione Amici del Liceo Colombo Genova.
Edoardo Benvenuto (1940-1998) è stato docente di Scienza delle costruzioni e Preside della Facoltà di Architettura di Genova. In qualità di Preside ha promosso programmi culturali e operativi con l’Amministrazione pubblica e gli Ordini professionali intorno ai temi della difesa dell’ambiente e del recupero dei centri storici; decisivo, in questo senso, il suo contributo a favore del trasferimento della sede di Architettura sulla collina di Sarzano. In parallelo agli impegni istituzionali e di ricerca svolti in Facoltà ha sempre mantenuto vivo il suo interesse verso gli studi sul pensiero scientifico, filosofico, artistico, teologico e musicale (era diplomato in pianoforte). La giornata a lui dedicata vuole esaminare i vari aspetti della sua ricca e poliedrica personalità affidando ad illustri studiosi l’analisi degli importanti contributi da lui forniti alla cultura scientifica ed umanistica. Programma completo nel comunicato stampa in allegato.
Giovedì 29 novembre, ore 17.45, aula San Salvatore, Piazza Sarzano
Incontro con Alterazioni video e Fosbury Architecture – Incompiuto, la nascita di uno stile
Nell’Aula San Salvatore del Dipartimento di Architettura e Design, in piazza Sarzano, si presenta il volume “Incompiuto. La Nascita di uno Stile”, una ricerca di Alterazioni video e Fosbury Architecture che indaga le opere pubbliche incompiute attraverso una prospettiva estetica, rintracciando e riscostruendo gli elementi di uno stile unitario: lo stile dell’incompiuto. L’incontro fa parte della rassegna Big November 4 “Architectura et Media”, promossa dalla Fondazione Ordine degli Architetti di Genova, ed è curato da Lorenzo Trompetto.
La quantità di manufatti, l’estensione territoriale e le incredibili peculiarità architettoniche fanno dell’Incompiuto il più importante stile architettonico italiano dal secondo dopoguerra a oggi. L’intento del lavoro, frutto di dieci anni di ricerca sul campo, è di fornire gli strumenti per conoscere un fenomeno che caratterizza il paesaggio italiano contemporaneo e rappresenta una prospettiva dalla quale leggere la storia recente del nostro Paese. Un periodo storico che ha visto lo sviluppo e l’infrastrutturazione della penisola coincidere con il diffondersi delle opere pubbliche incompiute su tutto il territorio nazionale. Più di un migliaio di opere in tutta Italia, finanziate con soldi pubblici e rimaste interrotte per i più svariati motivi (errori progettuali, bancarotta, valutazioni economiche inaccurate, drenaggio di fondi) rappresentano un patrimonio utile a una comprensione più ampia dei rapporti tra il territorio e coloro che lo abitano. Un dato che ci mette oggi nelle condizioni di interrogarci sulle dinamiche del progresso, i suoi limiti e i suoi fallimenti. L’Incompiuto ci consente di riflettere sulla compresenza di differenti linguaggi, sull’intrecciarsi di grammatica e retorica, sulla costruzione di un immaginario condiviso, sul rapporto tra ideologia e politica.
“Incompiuto: La nascita di uno Stile”, edito da Humboldt Books e curato da Alterazioni Video e Fosbury Architecture, accompagna il lettore in un nuovo “Viaggio in Italia”, un “Grand Tour” tra le rovine della contemporaneità. Un insieme di 160 immagini, raccolte nella sezione Opere, insieme alle Mappe regionali e ai dati e le misurazioni fornite nel Catalogo Tipologico, definiscono la natura di questi manufatti: la loro storia, fenomenologia ed estetica.
Sabato 1 dicembre, ore 10, Piazza Caricamento
Walking Lectures “La città attrice nei film”
Quarto e ultimo appuntamento delle Walking Lectures, le passeggiate tematiche nel cuore della città organizzate dalla Fondazione Ordine degli Architetti di Genova nell’ambito della rassegna Big November 4. Il punto di ritrovo per l’ultima “passeggiata” è alle 10 in Piazza Caricamento, presso il Monumento a Rubattino. L’incontro, dal tema “La città attrice nei film”, è curato da Alessandro Ravera e racconta una Genova in 35 mm tra poliziotteschi e cinema d’autore: Risi, Clement, Soldini, Winterbottom, ma anche Enzo Castellari in “La polizia incrimina, la legge assolve”.
L’occhio della macchina da presa ha sempre mostrato Genova in un modo “diverso” da come i genovesi si aspettano, privilegiando punti di vista particolari e leggendo la città in modo particolare. Cesure che gli abitanti danno per scontate emergono in tutta la loro drammaticità, allo stesso modo del senso di straniamento e di scoperta che deriva da un tessuto urbano che non ha praticamente eguali; il punto di vista cinematografico mette in risalto una serie di caratteristiche che finiscono per definire un immaginario di città piuttosto diverso da quello che hanno i genovesi.
L’evento è a ingresso libero e ha una durata di circa 4 ore. Consigliata la prenotazione: 010 2473946; [email protected].
Tutti gli eventi sono a ingresso libero.
Per il calendario completo di Big November: http://ordinearchitetti.ge.it/bignovember/
Chiara Tasso
www.studiovialevondergoltz.it
Cooperativa Battelieri del Porto di Genova
NetParade.it
Quezzi.it
AlfaRecovery.com
Comuni-italiani.it
Il Secolo XIX
CentroRicambiCucine.it
Contatti
Stefano Brizzante
Impianti Elettrici
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Edilizia
Il Secolo XIX
MusicforPeace Che Festival
MusicforPeace Programma 29 maggio
Programma eventi Genova Celebra Colombo
Genova Celebra Colombo
Big November 4 “Architectura et Media” – Gli appuntamenti da martedì 27 novembre a sabato 1 dicembre Gli eventi della prossima settimana della rassegna della Fondazione Ordine degli Architetti di Genova “Big November 4 – Architectura et Media”.
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URBINO – A Urbino il 21 dicembre 2017 alle ore 15 nella Sala degli Incisori del Collegio Raffaello (Piazza della Repubblica), Vittorio Sgarbi, Maria Rosaria Valazzi e Alessandro Marchi presenteranno il libro “Storie della Vrana” di David Alberto Murolo. Il volume tratta le vicende ambientate fra il Quattrocento al Seicento di quattro grandi personaggi originari di un antico borgo dalmata, che hanno rappresentato momenti fondamentali per l’identità artistica e culturale dell’Adriatico e dell’intero Mediterraneo.
La pubblicazione offre un’inedita ricerca storica e biografica su Luciano Laurana, Francesco Laurana, Giovanni Vrana e Yusuf Maskovic, personaggi il cui operato ha avuto riflessi significativi sulla cultura delle Marche e della Serenissima. In particolare, l’Architetto umanista Luciano Laurana ebbe un ruolo importante nella costruzione del Palazzo Ducale di Urbino, oltre che per il rifacimento delle Rocche di Senigallia e Pesaro.
L’autore, David Alberto Murolo, è docente a contratto di Cinema, TV e Arte contemporanea in varie università, esperto in nuove tecnologie e marketing per i beni culturali. Il libro ha il patrocinio dell’Ambasciata della Repubblica Croata in Italia, del Consiglio Regionale delle Marche e del Consiglio Regionale del Veneto.
In tanti conoscono l’opera di Luciano Laurana, ma molti di meno rammentano oggi quanto fecero gli altri tre protagonisti del libro di Murolo. Attraverso il volume si scopre quindi la caratura di Francesco Laurana, il quale produsse un nuovo stile nella scultura umanistica attraverso dei celebri busti, come quello di Battista Sforza, moglie di Federico da Montefeltro. I lavori dell’artista dalmata oggi si trovano nei musei di tutto il mondo.Interessanti le storie di Giovanni Vrana, Ammiraglio della flotta veneta nella Battaglia di Lepanto e Yusuf Maskovic ammiraglio della flotta ottomana a Creta, ultimo avamposto veneto nel XVII sec. Due figure simili per le umili origini, e contrapposti a distanza di un secolo uno dall’altro, nella lunga guerra tra Venezia e Istanbul.
David Alberto Murolo recupera storie che un secolo dopo l’altro narrano di destini incrociati, opposti e paralleli, segnati dall’arte e dalla fede, dall’ambizione e dal potere, da commerci e battaglie, da avventure e idee che ancora oggi testimoniano delle sorti di civiltà diverse, accomunate da un solo mare.
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La Corazzata Potemkin - Versione Integrale Restaurata (2 DVD + Libro) https://goo.gl/8UaHFR È il film più famoso della storia del cinema e uno dei meno visti. Mai visto nella versione che qui proponiamo, restituito da un luminoso restauro allo splendore delle sue immagini. Un film che nella Russia del 1925 celebrava la rivolta dei marinai e della città di Odessa avvenuta nel 1905. Un film che “emergeva dal mare” con l’impeto creativo di un regista di ventisette anni, Sergej Ejzenštejn, destinato a portare la rivoluzione nel linguaggio cinematografico. “Nave che scivola via trascinando con sé l’anima appassionata degli spettatori”, La corazzata Potëmkin è un richiamo alla necessità della ribellione quando la giustizia e la dignità sono calpestate, un alto grido umanista in nome della fratellanza. Scrostato da decenni di polvere critica, sottratto al luogo comune dell’invettiva fantozziana, il capolavoro di Ejzenštejn può levare l’ancora verso le nuove generazioni. Perché tutti coloro che amano il cinema sono figli del Potëmkin. Il film viene presentato con doppia traccia audio: la partitura originale di Edmund Meisel nell’adattamento ed esecuzione di Helmut Imig e una nuova colonna sonora elettroacustica prodotta da Edison Studio (musica di Luigi Ceccarelli, Fabio Cifariello Ciardi, Alessandro Cipriani in collaborazione con Vincenzo Core). Contenuti libro: Saggi inediti di Peter von Bagh, Wu Ming 1, Emiliano Morreale, Roberto Chiesi. Una conversazione con Naum Kleiman, condotta da Bernard Eisenschitz. Voci sul Potëmkin: Léon Moussinac, Robert Desnos, Lewis Jacobs, Roland Barthes. La musica del Potëmkin: Lothar Prox e Helmut Imig sulla partitura originale di Edmund Meisel, Giulio Latini sulla colonna sonora elettroacustica di Edison Studio. Rarità e approfondimenti: Sulle tracce della Corazzata Potëmkin, documentario di Artem Demenok (2007); Il cinema secondo Ejzenštejn, una lezione di cinema di Naum Kleiman; La corazzata Potëmkin in Italia. Versioni a confronto, a cura di Roberto Chiesi e Antonio Bigini; Actualités Pathé: Les Troubles de Saint-Pétersbourg (1905) e La Révolution en Russie (1905). #thrauma #viareggio #cinetecadibologna #et (presso Movieshop Thrauma.it)
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Arrival, la recensione del film con Amy Adams
Cosa succede quando metti insieme un acclamato racconto breve, uno dei registi più promettenti degli ultimi anni e la migliore attrice americana della sua generazione? Ne viene fuori uno dei più bei film dell’anno, presentato alla 73. Mostra del Cinema di Venezia e nelle sale italiane dal 19 gennaio.
Arrival, tratto dal racconto Storia della tua vita di Eric Heisserer (che è anche sceneggiatore del film) e diretto da Denis Villeneuve (Prisoners, Sicario e prossimamente Blade Runner 2049), racconta la storia di una misteriosa invasione aliena e della linguista chiamata per cercare di comunicare con gli extraterrestri. Louise Banks, questo il nome del personaggio interpretato da Amy Adams, entra a fare parte di un team composto da altri scienziati, fra cui il fisico teorico Ian Donnelly (Jeremy Renner), guidato da un colonnello dell’esercito di nome Weber (Forest Whitaker). La squadra tenta di stabilire i primi contatti con gli alieni per capire le loro intenzioni, mentre la portata dell’evento (le dodici astronavi sono “atterrate” in diverse parti della Terra) getta gli equilibri geo-politici mondiali in una delicata situazione che potrebbe diventare drammatica in qualsiasi momento.
Fin dall’inizio, l’infinitamente grande (l’invasione) e l’infinitamente piccolo (la dolorosa storia personale della protagonista) si intrecciano, fino ad arrivare ad una fusione e poi a un totale ribaltamento. Così come in Interstellar di Christopher Nolan, e come nelle migliori storie di fantascienza, il particolare diventa universale e l’uomo torna ad essere il fulcro della storia. La minaccia aliena altro non è che un espediente per guardarci dentro e riflettere sulla nostra vita e sulla consapevolezza delle nostre scelte, sull’ignoto e sull’inconoscibile, su ciò che ci rende umani e che rende la vita degna di essere vissuta.
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Villeneuve conferma ancora una volta la sua maestria dietro la macchina da presa, regalandoci – con il fondamentale apporto del direttore della fotografia Bradford Young – delle sequenze spettacolari come quelle dei “contatti” e, allo stesso tempo, delle inquadrature intimiste che fanno esprimere gli attori al massimo del loro potenziale (Adams è ormai una garanzia e, se non fosse per la spietata concorrenza di quest’anno, potremmo facilmente scommettere su di lei come vincitrice dell’Oscar).
Questa fantascienza umanista, che abbandona le grandi catastrofi e le minacciose distopie per un ritorno alla riflessione filosofica e all’esplorazione dell’ignoto, che pone il focus sugli individui, non più puntini da schiacciare persi in mezzo alla galassia ma coloro che da soli sono capaci di fare una differenza concreta, è proprio ciò che ci serve in questi tempi duri che sempre più spesso ci fanno sentire frustrati e impotenti.
In conclusione, Arrival è una ventata d’aria fresca per il Cinema, per il genere fantascientifico e, soprattutto, per le nostre menti.
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Doc, ma lei non pensa che si sta creando troppo allarmismo? Perché i mass media anziché placare gli stati d’animo è come se buttassero benzina sul fuoco? Mi creda, non mi fa tanto paura il virus in se ma quanto tutto ciò che si sta creando e al momento si sta vivendo. (Spero che questa mia domanda non sia oggetto di polemiche)
Magari è un discorso che non si applica né a te né a me e nemmeno a chi sta leggendo questa mia risposta ma ce la vedi la gente mettere mano al portafoglio per comprare un quotidiano sulla cui prima pagina svetta a caratteri cubitali il titolo BREAKING NEWS! VA TUTTO BENE E SONO TUTTI FELICI!
Non voglio dire che alla gente non piaccia essere felice ma siccome spesso non riesce a esserlo come dice lei, allora trova conforto nel fatto che le si spieghi a toni apocalittici e tenebrosi perché il mondo vada così di merda, preferibilmente additando un colpevole di solito messo peggio di lei.
Sennò come ti spieghi che quel filosofo umanista coi dolori intercostali e un odio viscerale verso la carpenteria abbia usato un vecchio libro pieno di locuste, sangue e vendette divine per fondare una nuova religione basata sull’amore? E perché, poi, i suoi follower predichino la sua religione d’amore ma seguendo alla lettera i precetti vendicativi e locustosi della versione 1.0?
Alla gente piace il pathos e la tragedia, sennò Romeo e Giulietta sarebbero stati due stronzi qualsiasi con lei morta di parto a 23 anni mentre sfornava il quinto figlio e lui a 27 di sifilide terziaria mentre impestava e ingravidava l’ennesima figlia di contadini.
Al netto di tutti i calcoli di idrostatica, ce lo vedevi Dicaprio a salire pure lui sulla porta? Non avresti picchiato dalla delusione il bigliettaio o i passanti nel parcheggio del cinema?
E non hai gongolato di struggente tragedia interiore quando Derek di Grey’s Anatomy ha ricevuto l’inevitabilissima eutanasia? E le Nozze Rosse dove le mettiamo? E la mamma di Buffy? E HACHIKO? E MARLEY?!?!
Insomma, c’è chi si sente vivo e felice solo se lo sono anche gli altri e chi si sente vivo e felice meglio a te che a me.
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URBINO – A Urbino giovedì 21 dicembre alle ore 15 nella Sala degli Incisori del Collegio Raffaello (Piazza della Repubblica), Vittorio Sgarbi, Maria Rosaria Valazzi e Alessandro Marchi presenteranno il libro “Storie della Vrana” di David Alberto Murolo. Il volume tratta le vicende ambientate fra il Quattrocento al Seicento di quattro grandi personaggi originari di un antico borgo dalmata, che hanno rappresentato momenti fondamentali per l’identità artistica e culturale dell’Adriatico e dell’intero Mediterraneo.
La pubblicazione offre un’inedita ricerca storica e biografica su Luciano Laurana, Francesco Laurana, Giovanni Vrana e Yusuf Maskovic, personaggi il cui operato ha avuto riflessi significativi sulla cultura delle Marche e della Serenissima. In particolare, l’Architetto umanista Luciano Laurana ebbe un ruolo importante nella costruzione del Palazzo Ducale di Urbino, oltre che per il rifacimento delle Rocche di Senigallia e Pesaro.
L’autore, David Alberto Murolo, è docente a contratto di Cinema, TV e Arte contemporanea in varie università, esperto in nuove tecnologie e marketing per i beni culturali. Il libro ha il patrocinio dell’Ambasciata della Repubblica Croata in Italia, del Consiglio Regionale delle Marche e del Consiglio Regionale del Veneto.
In tanti conoscono l’opera di Luciano Laurana, ma molti di meno rammentano oggi quanto fecero gli altri tre protagonisti del libro di Murolo. Attraverso il volume si scopre quindi la caratura di Francesco Laurana, il quale produsse un nuovo stile nella scultura umanistica attraverso dei celebri busti, come quello di Battista Sforza, moglie di Federico da Montefeltro.
I lavori dell’artista dalmata oggi si trovano nei musei di tutto il mondo.Interessanti le storie di Giovanni Vrana, Ammiraglio della flotta veneta nella Battaglia di Lepanto e Yusuf Maskovic ammiraglio della flotta ottomana a Creta, ultimo avamposto veneto nel XVII sec. Due figure simili per le umili origini, e contrapposti a distanza di un secolo uno dall’altro, nella lunga guerra tra Venezia e Istanbul.
David Alberto Murolo recupera storie che un secolo dopo l’altro narrano di destini incrociati, opposti e paralleli, segnati dall’arte e dalla fede, dall’ambizione e dal potere, da commerci e battaglie, da avventure e idee che ancora oggi testimoniano delle sorti di civiltà diverse, accomunate da un solo mare.
Maria Rosaria Valazzi
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