#che rumore fa l’assenza?
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" Chiudo il libro, lo poso di lato, spengo la lampada e mi addormento finché, prima dell’alba, il rumore sordo di un’esplosione mi sveglia, seguita qualche istante dopo da una seconda, poi da un’altra e un’altra ancora. Non sto sognando. Faccio ben attenzione, sono proprio rumori di esplosioni e la loro intensità mi fa intuire la distanza tra me e il luogo da cui provengono i colpi. Sono abbastanza lontani, oltre il Muro. Da Gaza o forse Rafah. Il rumore dei bombardamenti varia molto in base alla vicinanza o alla lontananza dal luogo dell’esplosione. Il boato di questo bombardamento non è particolarmente intenso e il rumore non dà troppo fastidio, è piuttosto un suono sordo, profondo e pesante, come quello di un martello che batte su un enorme tamburo. Le bombe che provocano quel boato non scuotono l’alloggio in cui mi trovo, anche se le sue pareti sono di un sottile legno chiaro, non mandano i vetri in frantumi, anche se le finestre sono chiuse. Quando mi alzo dal letto e le apro, la stanza non è invasa da una densa nuvola di polvere soffice al tatto. Invece, al suo interno, si insinua l’aria dolce e fresca dell’alba. Continuo ad ascoltare, le mie orecchie si abituano al suono ripetitivo dei bombardamenti che suscitano in me una strana sensazione di vicinanza con Gaza, oltre a un desiderio di sentire quelle esplosioni da più vicino, di percepire le particelle di polvere degli edifici demoliti dai bombardamenti. L’assenza di tutto ciò mi fa comprendere quanto sia lontana da quello che mi è familiare e, soprattutto, quanto sia impossibile farvi ritorno. Prima di farmi sopraffare dall’ansia e dal terrore, torno a letto e mi addormento di nuovo. "
Adania Shibli, Un dettaglio minore, traduzione di Monica Ruocco, La nave di Teseo (collana Oceani, n° 118), 2021¹; pp. 117-118.
[Edizione originale: تفصيل ثانوي (Dettaglio secondario), Dār al-Ādāb editore, Beirut, 2017]
#Adania Shibli#letture#leggere#Palestina#Monica Ruocco#Un dettaglio minore#Medio Oriente#colonialismo#sionismo#questione palestinese#Israele#apartheid#segregazionismo#narrativa contemporanea#razzismo#segregazione#Ramallah#letteratura del mondo arabo#nazionalismo#libri#Gerusalemme#letteratura palestinese#libertà#scrittrici#intellettuali#violenza sulle donne#citazioni letterarie#femminicidi#Rafah#Striscia di Gaza
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Tutta la notte ascolto il rumore dell’acqua piangendo. Tutta la notte faccio la notte dentro di me, faccio il giorno che comincia per colpa mia, che piange perché il giorno cade come l’acqua nella notte.
Tutta la notte ascolto la voce di qualcuno che mi cerca. Tutta la notte mi abbandoni lentamente come l’acqua che piange cadendo lentamente. Tutta la notte scrivo messaggi luminosi, messaggi di pioggia, tutta la notte qualcuno mi cerca e cerco qualcuno.
Il rumore dei passi nel vicino cerchio di luce collerica che nasce dalla mia insonnia. Dei passi di qualcuno che non mi scrive più, che non scrive più. Tutta la notte qualcuno si trattiene e percorre il cerchio della luce amara.
Tutta la notte affogo nei tuoi occhi che sono i miei occhi. Tutta la notte impazzisco cercando l’abitante del cerchio del mio silenzio. Tutta la notte vedo qualcosa crescere fino al mio sguardo, qualcosa d’una materia silenziosa e umida e che fa il rumore di qualcuno che piange.
L’assenza soffia grigia e la notte è densa. La notte ha il colore delle palpebre morte, la notte vischiosa, esalante olio nero che mi prende la testa e mi fa cercare un luogo vuoto senza caldo e senza freddo. Tutta la notte fuggo qualcuno. Conduco l’inseguimento e la fuga. Canto un canto di lutto. Uccelli neri su teli neri. Grido mentalmente. Il vento nega. Me ne vado dalla mano rigida e tesa, non voglio sapere altro se non questo gemito perpetuo, questo rumore nella notte, questa lentezza, questa infamia, questa ricerca, questa inesistenza.
Tutta la notte so che l’abbandono sono io. Che la sola voce piangente sono io. Si può cercare con delle lanterne, e percorrere le menzogne d’un ombra. Sentire che il cuore è nelle gambe e l’acqua nei luoghi antichi del cuore.
Tutta la notte ti chiedo perché. Tutta la notte mi dici di no.
Alejandra Pizarnik
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Non Mentirmi - Philippe Besson
“Non Mentirmi” di Philippe Besson è un romanzo autobiografico che narra del primo amore dello scrittore. Se la trama è lineare, non lo sono le emozioni provate leggendo il romanzo.
"Non so che non avrò mai più diciassette anni, non so che la giovinezza non dura, che è solo un istante, che scompare e quando te ne accorgi è troppo tardi, è finita, si è volatilizzata, l’hai persa, eppure alcuni intorno a me lo intuiscono e lo dicono, gli adulti lo ripetono, ma io non li ascolto, le loro parole mi scivolano addosso, non aderiscono, come l’acqua sulle piume di un’anatra, sono un idiota, un idiota spensierato."
Il romanzo è ambientato in Francia durante gli anni 80, in una piccola cittadina in cui due ragazzi consumano il loro amore. La storia viene narrata in due parti: la prima riguarda il passato, mentre la seconda il presente, 2007. Nella prima parte l’autore si concentra maggiormente sulla sua relazione con Thomas, il suo primo grande amore, che si svolge segretamente durante i suoi anni scolastici delle superiori.
"L’innamoramento mi travolge, mi rende felice. Brucia, però, fa male come fanno male tutti gli amori impossibili. Perché di questa impossibilità sono dolorosamente consapevole. Alla difficoltà ci si può adattare; ci s’ingegna, si attuano stratagemmi, si tenta di sedurre, ci si fa belli, nella speranza di vincerla. L’impossibilità invece per definizione porta in sé la nostra sconfitta."
Tale relazione viene raccontata per come Philippe l’ha vissuta e per come, ovviamente, se la ricorda, includendo tutti e soli i momenti a lui memorabili, con qualche supposizione dei sentimenti di Thomas. Questa scelta non sorprende il lettore, perché il romanzo è autobiografico e si incentra volutamente sulle esperienze dell’autore. I loro sentimenti si accendono in luoghi segreti e isolati che descrivono perfettamente il loro rapporto: questa segretezza viene vissuta in modi diversi dai due protagonisti, infatti rappresentano due mentalità quasi tipiche dell’epoca nei confronti dell’omosessualità, e questo contrasto è parte fondamentale per la comprensione della narrazione e di Thomas. Infatti, il personaggio, o meglio dire la persona, di Thomas viene, ovviamente, descritto molto bene da un punto di vista fisico, ma la sua personalità è molto astratta, non perché Philippe non lo conoscesse, ma al contrario lo conosceva fin troppo bene. La sua caratterizzazione interiore diventa più chiara nella seconda parte dell’opera, quando Philippe narra il presente e viene a conoscenza di fatti ed eventi che lo porteranno a porsi delle domande sul fascio di vita narrato nella prima parte per comprendere maggiormente il rapporto tra lui e Thomas.
"Scopro che l’assenza ha una consistenza. Forse quella delle acque scure di un fiume, sembra petrolio, a ogni modo un liquido vischioso che sporca, nel quale ci si dibatte, si annega. Oppure uno spessore, quello della notte, uno spazio indefinito, senza punti di riferimento, dove si può andare a sbattere, dove si cerca una luce, un bagliore, qualcosa a cui aggrapparsi, qualcosa che ci guidi. Ma l’assenza è innanzitutto silenzio, quel silenzio avvolgente, che preme sulle spalle, nel quale sussultiamo non appena sentiamo un rumore inatteso, non identificabile, o il rumore dell’esterno."
“Non Mentirmi” è un romanzo autobiografico ricco di una forte soggettività, scritto attraverso la condivisione dei propri sentimenti: l’autore si è messo a nudo davanti a noi lettori. Perciò noi lettori dobbiamo fare altrettanto e ripensare al nostro passato, ai nostri sentimenti.
"Avete mai notato come i paesaggi più belli perdano il proprio splendore non appena i nostri pensieri ci impediscono di guardarli come dovremmo?"
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Inghilterra, Southgate tiene fuori l'ex obiettivo Kalvin Phillips dalle convocazioni
L’Inghilterra sarà impegnata durante la sosta per le nazionali nelle amichevoli contro Brasile e Belgio. Gareth Southgate ha diramato la lista dei convocati e fa rumore l’assenza di Kalvin Phillips del Manchester City, accostato nei mesi scorsi anche alla Juventus. In conferenza stampa, poi, il commissario tecnico dei ‘Tre Leoni’ ha giustificato così la sua decisione: “Penso che sappia…
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Pesaro: la Bicipolitana rigenera la circonvallazione di via Fratti in viale; Ricci, Belloni e Biancani
Pesaro: la Bicipolitana rigenera la circonvallazione di via Fratti in viale; Ricci, Belloni e Biancani Pesaro. Nuova forma, immagine e funzione per l’ex circonvallazione di via Fratti che ha inaugurato i 1200 metri di pista ciclabile (affiancata a quella pedonale) che rigenerano e trasformano la via in “viale”. «Cresce la Bicipolitana e continueremo in questa direzione» ha detto il sindaco Matteo Ricci al taglio del nastro. La prossima tappa sarà quella di Vismara, «Stiamo lavorando per realizzare il sottopasso ferroviario che si aggiungerà ai tratti già realizzati a Cattabrighe e Vismara. La Bicipolitana negli anni è diventata un diritto, un’opera che ha cambiato la qualità di vita dei cittadini. Stiamo lavorando sui tratti verso i quartieri “esterni”, un passo alla volta arriviamo ovunque. Quella di via Fratti rappresenta un cambio strategico per un asse centrale della città che si trasforma da circonvallazione a viale. Un’idea che nasce nel 2018, tra la diffidenza, invece oggi tocchiamo con mano un bel progetto che deve continuare, perché strategico per i quartieri di pantano e Montegranaro-Muraglia». Ad accompagnare il percorso ciclopedonale di 1,2 Km (nei due sensi di marcia), un’aiuola di protezione larga circa 1 metro, «Un elemento di separazione e sicurezza - ha sottolineato Enzo Belloni, assessore all’Operatività - che contribuirà alla riqualificazione ambientale, dal punto di vista paesaggistico e in termini di salubrità e benessere degli abitanti» perché capace di contrare il fenomeno “isola di calore” e perché funge da filtro a rumore e inquinamento. «È una pista bellissima – ha aggiunto Belloni -, che corre a fianco al tratto pedonale e che migliora la sicurezza stradale di pedoni e ciclisti, favorisce gli spostamenti di persone con problemi motori (per l’assenza di barriere architettoniche) e trasforma via Fratti in viale. È un tratto di Bicipolitana importante e ambizioso, i cui lavori ci hanno messo sotto pressione per le modifiche che prevedevano, tra cui il rifacimento dei sottoservizi, che fa da anello di collegamento con Loreto e che allungheremo anche su via Giolitti fino a raggiungere via Ponchielli. Quando siamo partiti nel 2005 con la Bicipolina, un progetto pionieristico, eravamo consapevoli del fatto che per fare cose belle ci vuole tempo. Ma abbiamo creduto in questo che oggi è un brand riconosciuto anche all’estero e amatissimo dai pesaresi che oggi mettiamo al sicuro con la ciclabile di “viale” Tratti e con la futura rotatoria (che sarà realizzata nelle prossime settimane all’incrocio con via Madonna di Loreto) che rallenterà la velocità dei veicoli». Il progetto, dal costo complessivo di oltre 500mila euro, ha previsto anche la sostituzione dell’impianto di illuminazione, con l’installazione di apparecchi a LED a basso consumo, ed "È stato finanziato, per 180mila euro, dai fondi di un bando regionale del 2018 – ha ricordato Andrea Biancani, oggi vice presidente dell’Assemblea legislativa delle Marche, all’epoca Consigliere regionale -. Il Comune di Pesaro ha ottenuto risorse che hanno alleggerito l’importante impegno economico dell’Amministrazione. Un percorso che dà l’idea di quanto sia difficile fare opere pubbliche nel territorio e che siamo felici oggi di festeggiare con un’opera che permette una riqualificazione complessiva area e mettere in sicurezza ciclisti e pedoni. Nella prima fase la Bicipolitana doveva collegare i diversi quartieri al centro e al mare. Negli anni si è poi pensato di collegare i singoli quartieri fra loro. Decisione che fa fare un’ulteriore salto di qualità a questa infrastruttura, e alla qualità di vita dei pesaresi. Ora l’obiettivo è accelerare con le due direttrici di collegamento a Borgo Santa Maria e a Vismara-Cattabrighe".... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Il rumore assordante di un’assenza
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Carmelo Bene
[…]
Carmelo Bene parla e gioca. Prima di calare una carta si concentra a lungo, le rughe gli si incidono sulla fronte per lo sforzo mentale che fa. Anche lo scopone, per lui, richiede un ossessivo ascolto interiore. E sono urla, pugni sul tavolo, se il compagno non risponde a tono. Decisamente, è un partner difficile, molto difficile.
[Riprende, cambiando argomento.]
Adesso il mio combattimento è con Alessandro Manzoni. Voglio fare l’Adelchi per le prossime celebrazioni manzoniane. Ma come aggredirlo? Come recuperare la Voce che lo ha ispirato? Manzoni mi intriga. Dice: la “provvida sventura.” E perché, per quale mistero, una sventura può essere “provvida”? C’è tutta la problematica cattolica dentro. Lo scandalo della croce. Cristo che si fa uccidere per salvare gli uomini e il Padre che lascia compiere il sacrificio. La questione cattolica, già. Io sono cattolico. Il mio teatro tende a diventare sempre di più un teatro religioso.
Religioso?
Sì, religioso in senso teologico. Non a caso, l’ho chiamato “Teatro dell’Assenza”. E chi è Dio se non l’Assenza assoluta, il punto vuoto in cui precipitiamo noi e le cose?
Così, sulla scena, tu cerchi di esprimere, di dare una voce a questo vuoto che è Dio?
Io non cerco di esprimere niente. Io sono la musica del Nulla. Non ho “messaggi” da offrire agli uomini. La mia voce è la voce del silenzio.
E cosa è il silenzio per te?
Un tempo musicale. E si intende che per me la musicalità è tutto. È la vita che si avvolge su se stessa, si sfalda, precipita nel Nulla. Da dove vengono le cose? Dove vanno? Ecco il problema. L’uomo, questa “creatura di un giorno” come diceva un antico poeta greco, è nient’altro che una “situazione”. Bisogna essere proprio degli incoscienti, o dei pazzi, o dei visigoti, per dire “io”. Noi siamo i cadaveri di noi stessi.
Come “cadavere”, riconosci che fai molto rumore….
Il mio è il “rumore” della vita che si fa Voce per dire il suo struggimento sulla scena dell’apparire. Se vuoi un’altra immagine di me, pensa alla mia persona come a una maschera del Nulla.
Che tipo di maschera?
Una maschera che risale all’alba del tempo. Io sono un uomo del sud, anzi del sud del sud. Vengo dalle rive di Omero, da quel mondo perduto che ha inventato la nostra vita. Sono un poeta che ha voltato le spalle all’evento e che scrive le sue storie sulla sabbia. Mio fratello è Eraclito, il filosofo che diceva che l’universo è un fanciullo che gioca. Il mio futuro è il mio passato. Il mio sigillo è l’inattualità.
Per questo il tuo linguaggio risulta spesso incomprensibile?
A chi? [Si ribella Carmelo Bene scagliando una carta azzardata che sconcerta i nostri avversari.] Ai gazzettieri? Ai visigoti che pretendono di alfabetizzare il linguaggio della poesia? Ma la mia voce non è fatta per loro. Per loro io semino al vento. Io non voglio, io non devo essere capito. La comprensione è dei cretini. La poesia bisogna intenderla con l’intelletto, non capirla con la grammatica. La grammatica recepisce solo il cadavere della poesia.
C’è chi ti accusa di usare le parole, a volte, solo per fare scandalo, per creare malintesi.
Ma questa accusa per me è un elogio. È il più bell’elogio che mi si possa fare. La parola è scandalo, perché in essa risuona la voce di Dio, il grande Assente del nostro tempo. E l’uomo che cos’è? Nient’altro che un “malinteso” sulla scena dell’esistere.
[…]
Dall’intervista “Io, la musica del nulla” di Giuseppe Grieco (“Spirali”, 1983) raccolta su Panta n. 30, 2012
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il centro
il centro ricerche è un edificio dalle dimensioni imponenti circondato dalla campagna, a un’ora di macchina dalla città. le pareti di cemento armato e l’assenza di ogni benché minimo colore lo fanno apparire simile a una prigione. le grandi finestre dai doppi vetri all’esterno hanno robuste grate protettive, e la luce, penetrando nelle stanze, non può che spezzarsi in alcuni punti e formare ombre spigolose e nette come zampe di ragno. la pulizia degli ambienti è di fondamentale importanza, per cui, nell'aria, vi è quasi sempre traccia di odore di disinfettante. chi lavora nel centro indossa una specie di tunica, blu scuro per gli uomini, verde chiaro per le donne, lunga fino alle caviglie e provvista di un largo cappuccio, utile per le passeggiate sotto la pioggia. molti di quelli che lavorano nel centro scherzano dicendo che sembra di stare in un monastero, per via delle tuniche e dell’austerità delle stanze, generalmente provviste solo di grandi tavoli e sedie di legno, computer e libri utili alla ricerca, senza quadri o poster a interrompere la monotonia del bianco delle pareti, senza musica nell’aria, forse perché disturberebbe il lavoro dei ricercatori e il sonno di chi riposa. i ricercatori, avendo accettato di lavorare per il centro, ci vivono pure, e tutti sanno che, questo, oltre a essere un lavoro, con compiti specifici e una retribuzione, è anche una scelta di vita, una volontaria reclusione dal mondo.
in certe giornate di sole, quando la primavera porta una luce fatta di miele e sidro, e quando, soprattutto, in alcuni angoli del bosco circostante si vedono sbucare le genziane di esculapio, bellissimi fiori selvatici che, qui, durano al massimo tre settimane all’anno, alcuni dei ricercatori hanno dei cedimenti. considerano di andar via a godersi la vita, provano il comprensibile sgomento di chi, improvvisamente, capisce che nel mondo vi sono molte altre genziane di esculapio da ammirare, e che tre settimane all’anno non bastano. ma, poi, con l’aiuto dei ricercatori anziani e dei capireparto, e grazie al contributo di provvidenziali sostegni farmaceutici, questi pensieri di potenziali abbandoni passano, come passano i fiori selvatici, e il loro blu acceso si assopisce nel buio e nel fresco dei boschi, esattamente come passa la luce di miele che poco prima aveva spalancato orizzonti nuovi e, tornate le prime nuvole scure, il capo dei ricercatori si china sui libri, ad analizzare e studiare. e ciò che poco prima, per un istante intensissimo, era stata insoddisfazione, ridiventa ostinazione: per la causa, la loro causa, più importante del mondo e delle loro stesse vite.
ogni sera a cena - al centro si cena tutti assieme - ci si racconta i propri sogni: divisi in piccoli gruppi, si ascoltano e si raccontano sogni, incubi, visioni del dormiveglia. questo è un buon modo per scaricare le tensioni e le fatiche quotidiane, e soprattutto per disporre di argomenti su cui discutere, visto che le ricerche che ognuno dei commensali svolge sono assolutamente individuali e segrete. solamente i capireparto hanno il diritto di informarsi e di accertarsi che le cose procedano nella giusta maniera. è capitato, negli anni, che alcuni ricercatori si innamorassero tra loro; è normale, comprensibile, ma vietato. non tanto perché le unioni sentimentali, per natura, trascinano con sé ogni tipo di problema, ma, soprattutto, per il fatto che nell’intimità risulta normale, alcuni direbbero necessario, parlare di qualcosa. e, inevitabilmente, i discorsi di due ricercatori innamorati finirebbero presto o tardi a coinvolgere i loro campi di ricerca. e questo non deve accadere. è di somma importanza che le ricerche in svolgimento proseguano in compartimenti stagni, per non correre il rischio di corromperle con materiali spuri, riflessioni etiche, o ancora peggio, presunte vedute d'insieme. solo i capireparto hanno a disposizione il materiale necessario per comprendere il senso finale che scaturisce dall’unione di queste ricerche. e, poi, nel caso che qualche ricercatore confidasse il soggetto delle rispettive ricerche, si finirebbe certamente per avere una visione distorta del lavoro che il centro svolge e, di conseguenza, con lo storpiare le proprie ricerche in base alle idee personali che una scoperta di questo tipo comporterebbe. si avrebbe una somma di soggettività parziali, ipotetiche verità assolute. sarebbe la fine del centro. che non è solo un'istituzione di questo paese. ve ne sono molte altre in giro per il mondo. nel centro non ci sono eroi, e tanto i ricercatori quanto i capireparto hanno diritto a mostrare i propri limiti. cadute, crolli, di tanto in tanto, si fanno strada nella quiete delle stanze bianche, come un attentatore che sgomita in mezzo alla folla per arrivare il più possibile vicino all’obiettivo da colpire. ma l'obiettivo, il centro, si salva sempre.
il centro sa essere molto duro con chi sbaglia, con chi rischia di rovinare il delicatissimo equilibrio che lo governa, ma è anche misericordioso, e trova sempre il tempo di curare e di reintegrare i propri membri, al di là della gravità della loro colpa. alcuni reparti sono stati pensati a questo unico scopo, alla riabilitazione, che, a occhi falsamente ingenui e puri, potrebbe sembrare troppo duro, quasi una prigionia. ma, a questi occhi tanto fintamente angelici, si potrebbe domandare: quale cura non porta in sé una prigionia, una modificazione forzata del proprio modo di vivere? non sono forse cinghie anche quelle che stringono le braccia dei malati, che gli fanno rimpiangere il bicchiere di vino proibito e l’ebbrezza liberatoria? troppi, nel mondo, scambiano il proprio lato sentimentale per una vera sensibilità, per un amore sincero e incondizionato verso il mondo e le sue genti, mentre in realtà si tratta di una forma dolce di schizofrenia, con momenti che possono erroneamente essere scambiati per una reale partecipazione emotiva, mentre in realtà sono semplicemente il negativo di certi scatti d’ira poco motivati, e come quest’ultimi, hanno generalmente vita breve. l'essere sentimentali è come uno strato di ghiaccio adibito al passaggio di orde di orsi affamati, una sfoglia di ghiaccio sottoposta al contatto bruciante con il sole dell'estate. è, dunque, una faccenda fragile, temporanea, sufficiente soltanto se poi si è tanto egoisti da riuscire a voltare lo sguardo, quando il ghiaccio cede e gli orsi si ritrovano intrappolati in buche mortali. il mondo, infinito teatro sentimentale, ama far finta di non sentire il rumore delle loro zampe che invano tentano di riaprire il ghiaccio, e lo fa, per esempio, alzando il volume della musica, o discutendo a proposito della luna, quando quella dorme e forse ci immagina infelici. il centro non è un'istituzione sentimentale, non si occupa di beneficenza, non si occupa delle repressioni né delle ingiustizie, tanto meno dei miglioramenti momentanei. il centro non è corrotto, non può esserlo, perché il centro è un termometro, e un termometro misura la temperatura a un potentissimo direttore di banca come a un raccoglitore di immondizia di caracas. i motivi per cui il centro abbia il compito di misurare la temperatura del mondo, di questo mondo o affamato o sempre pronto alla lacrimuccia e alla scusa tardiva, sono segreti, nemmeno i capireparto li conoscono. vi sono altre persone incaricate di questo compito immane. persone che i capireparto, nelle loro congetture, immaginano bianchissime e ossute, quasi fossero composte di farina e pietre tritate, con cui non hanno alcuna possibilità di interloquire e di cui, tanto meno, possono citare l'esistenza.
alma è convinta, però, di averne incontrato uno. mesi fa si trovava a vivere in uno stato confusionale, provava molto dolore e solitudine, e il suo organismo si preoccupava di tradurre queste cattive sensazioni in lunghe bevute, incontri erotici forzati, litigi familiari e abbracci tanto furiosi quanto insensati. alma era infelice, le sembrava che il tempo le scivolasse sotto i piedi e che lei avesse un'unica dote, quella di farsi scappare le cose a cui davvero teneva. guardava ciò da cui era circondata con fastidio: tutta quella gente capace di scrivere una descrizione di se stessa sopra un biglietto da visita o così sciocca da apparire sempre positiva, energica, incurante della tempesta che lei aveva sempre avvertito e temuto, la disturbava. aveva amato tanto, ed era stata abbandonata: aveva costruito una campana di porcellana finissima con il proprio sangue, con le ore, le urla, i baci che nascondono, i baci della fuga, le notti, ingoiato amarezze, tatuato la risata di una persona così in profondità da intossicarsi di quell’inchiostro, per poi rimanere sola, a guardare quella campana preziosissima che si spezza dentro un vento dai denti di metallo e ombra.
alma si spezzò assieme alla propria campana, pezzo dopo pezzo, ora dopo ora, giorno nel giorno, notte scavata nella notte del giorno. vagava per la città, andava a trovare amici già troppo guastati dai loro frantumi personali per poterle offrire anche solo un dito di colla, o un contenitore dove depositare i suoi ultimi anni, le scaglie che erano diventati. camminava nella pioggia, non sotto la pioggia, ma dentro, diluendosi come uno sciroppo e sperando che la strada, colorandosi e levandosi di dosso quel colore di ossa, dimostrasse che la sua natura era buona e utile, che ancora poteva salvare qualcuno o qualcosa, e, per contraccolpo, se stessa, ritrovando la gioia, in qualsiasi modo. attendeva con ansia, con un'ansia simile a una gastrite, che il tempo facesse il suo corso, come tutti i suoi amici le dicevano offrendole da fumare o un tè caldo, ma il tempo non faceva nulla, anzi, produceva un’eco assordante, e ogni luogo la rimandava indietro, verso immagini che le storpiavano il modo di parlare e di ricordare. allora decise di abbandonare la città e tornò a casa dei suoi genitori, in campagna.
i primi giorni le cose andarono meglio. passeggiava a lungo nella campagna, si stancava saltando le staccionate che dividevano i vari appezzamenti di terra, sprofondava nel fango fumando lunghe bloccate. di tanto in tanto il sole sbucava e la faceva sudare. in quei momenti aumentava il passo, per sudare con più convinzione, per arrivare oltre la successiva collina, in un punto in cui non potessero raggiungerla quelle prime frasi con cui lei lo correggeva quando la sua lingua si inceppava o quando gli regalava vocaboli che poi lui dimenticava, dopo essersi ubriacato. ma quel punto immancabilmente si allontanava, le colline finivano, arrivava la linea del treno, e il treno la respingeva verso la città, verso di lui. un giorno prese quel treno, convinta che non c’era modo di scappare e che ogni fuga è solamente un rimandare le cose molto elaborato, barocco avrebbe detto lui, se non fosse scappato, se non l’avesse abbandonata. e, proprio su quel treno che la riportava in città, alma incontrò una persona che mai prima aveva incontrato ma che sembrava conoscerla meglio di chiunque altro. una persona che le diede l’unica speranza di cui aveva davvero bisogno. così alma tornò indietro, tornò nella campagna, non dai suoi genitori, ma al centro ricerche. per cercare di ritrovare l’equazione zoppa che l’aveva fatta innamorare e ora sembrava ucciderla, e questa strada, a detta dell’uomo che le aveva ridato speranza, era costellata di roghi e carne bruciata. ci vuole uno stomaco forte e molta costanza, pensi di potercela fare? alma guardò la stazione, la polizia con i cani, i soliti pendolari e i soliti turisti che tentano di farsi capire, e ancora una volta non riuscì ad afferrare, riprovò ancora per qualche istante, ma nulla, guardava tutto come fosse cieca.
per un istante pensò a sua nonna, morta pochi mesi prima dopo una lunga vita, e quasi si commosse, senza darlo a vedere. quella commozione lavorò sul suo animo come un’acqua eternamente presente che dopo millenni di caduta libera si riesca a intrufolare nella parte più intima e dura della roccia. in quell'istante il centro l’accolse, e lei, forse non del tutto lucida o talmente lucida da sfiorare l’invasamento, dimenticò che ogni porta che si spalanca per accoglierci chiede in cambio l’accettazione di una prigionia.
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Turnover - Magnolia
Sappi questa cosa, figlio mio
La dura verità della vita è che tutti se ne vanno e ogni cosa muore
Non c’è eccezione al passare del tempo
Cadrà sempre anche l’ultima foglia e la luce sparirà dai tuoi occhi
(da: Wither)
1. Shiver
Rabbrividire
Sono passati tre giorni da quando ti ho vista di persona l’ultima volta
E questa sera non ci sei più di quanto ci fossi la sera scorsa
Ti ho detto che a me non cambiava niente
Beh, vorrei poter dire che non era una bugia
Magari stasera dici che non ne puoi più
Magari stasera mi mancherai ancora di più
Ma io sono stanco e tu triste
E a entrambi farebbe bene una pausa da questa situazione, da questa situazione
Sono passate tre settimane da quando ti ho visto il sorriso in volto l’ultima volta
E vorrei che fossi con me stasera
Ti ho già detto che spero che non cambierà niente
Ma se l’ho detto, ero sicuro che fosse una bugia
Hey, come vanno le cose da quelle parti?
Di casa non mi manca molto
Però mi manca il rumore dei tuoi cani che abbaiavano quando salivo la scala di casa tua
E il fatto che non mi sembrava sempre di sentirmi solo
E non riesco a non sentire i brividi, i brividi qui senza di te
I brividi, i brividi qui senza di te
I brividi, i brividi qui senza di te
I brividi, i brividi qui senza di te
Qui senza di te
Qui senza di te
2. Most of the Time
Quasi tutto il tempo
Se mi cercate, sono qui che vado pian piano alla deriva, che sprofondo nel mare
Cerco di prendere fiato
Una lotta silenziosa annegata nell’apatia
Sono ancora qui che penso a tutte le cose che non raggiungerò mai
Cancellatemi
Se mi cercate, non mi trovate
Perché non lo so nemmeno io dov’è che sono
È tanto di quel tempo che aspetto
Nella speranza di vedere un cartello che mi indichi la direzione giusta
Qui dove sono, i cartelli li hanno buttati giù
No, non mi si trova
Ti senti fragile, messo da parte
Queste pareti ti circondano
Perdi di vista le cose che hai intorno
Non mi sento più me stesso
Non riesco neanche a dormire
Prendi i miei sogni, tienili pure tu
Prendi la mia testa e tienimi fermo
Ci son dentro fino al collo, non riesco a uscire
Giro a vuoto e cado nelle speranze
Sulla strada che porta dove cerco di andare
Quasi tutte le volte che penso ci sia una fine
Scopro che in realtà non ci sono nemmeno vicino
Se mi cercate, sono qui che vado pian piano alla deriva, che sprofondo nel mare
Cerco di prendere fiato
Una lotta silenziosa annegata nell’apatia
Sono ancora qui che penso a tutte le cose che non raggiungerò mai
Cancellatemi
Quasi tutto il tempo sono invisibile
Quasi tutto il tempo sono nel dimenticatoio
Quasi tutto il tempo vago senza meta
Quasi tutto il tempo non torno più
Quasi tutto il tempo sono smarrito senza speranza
Quasi tutto il tempo sono nel dimenticatoio
Quasi tutto il tempo sono lì che vado alla deriva
Quasi tutto il tempo non torno mai più
3. Wither
Appassire
Dillo come se dicessi sul serio, anche se non è vero
Dimmi tutto quello che voglio sentirmi dire
Dimmi che resterà tutto come prima, che non resterò da solo
Di’ che andrà tutto bene
Non ce la posso fare con un’altra delusione
Dammi qualcosa di solido da sentire sotto i piedi
Dammi qualcosa su cui posso appoggiarmi prima che te ne vai
Sappi questa cosa, figlio mio
La dura verità della vita è che tutti se ne vanno e ogni cosa muore
Non c’è eccezione al passare del tempo
Cadrà sempre anche l’ultima foglia e la luce sparirà dai tuoi occhi
Non mi hai mai detto che qualcosa fosse facile
A volte vorrei che me l’avessi detto
Magari sarebbe stato bello sentirsi al sicuro dentro
Ma mi sa che tutto è diverso se si pensa al passato
Sappi questa cosa, figlio mio
La dura verità della vita è che tutti se ne vanno e ogni cosa muore
Non c’è eccezione al passare del tempo
Cadrà sempre anche l’ultima foglia e la luce sparirà dai tuoi occhi
Svanire, svanire
Svanire, svanire
4. Seedwong
Seedwong*
Appoggia la testa al cuscino e fatti trasportare
Sogna per chiudere la spaccatura tra il mondo e il tuo cuore
E fatti cullare da pensieri piacevoli
Lontano dalle cose che tormentano
E dalla desolazione che vedi tutt’intorno
E fuggi ora nel posto, nella gioia che ti sei creato in cui scappare, in cui scappare
È autunno appena cominciato lì da te
L’aria è fresca ma ancora non fredda
Il sole affonda e la skyline splende mentre tu aspetti le stelle
Preferiresti passare tutto il tempo assorto nei pensieri tuoi
“Perché non posso restare qui?”, dici
“Tanto non mancherò a nessuno lì da dove vengo”
Vorrei poter prendere tutto il dolore che hai dentro e tenerlo chiuso dentro di me
La speranza, tu hai perso la speranza
So che il posto dove sei ora è il posto dove volevi arrivare
Addio, ora non devi per forza chiudere gli occhi per sentirti vivo
Spero che sorridi guardandomi dall’alto
È autunno appena cominciato lì da te
L’aria è fresca ma ancora non fredda
Il sole affonda e la skyline splende mentre tu aspetti le stelle
* Il titolo è verosimilmente un gioco di parole: seedwong (che non vuol dire nulla) à weed song.
5. Pray for Me
Prega per me
Vieni a portarmi via le cose che non riuscirei mai a trovare il modo di togliermi dalla bocca
Il dubbio è inesorabile e onnipresente
Seduto sul trono di un bugiardo ho detto una pretestuosa verità
Sul volto portavo una maschera creata per te
Malta e mattoni hanno costruito queste pareti per farmelo tenere nascosto fino ad ora
Mi trema la terra sotto i piedi prima che crolli tutto quanto
Sono un bugiardo e uno sciocco
Preda dell’inganno ti ho costruito intorno una prigione
Prega per me, prega per me, prega per me
Mi hai portato via le cose che non riuscivo mai a trovare il modo di costringermi a confessare
Credimi quando dico che ci ho provato con tutte le mie forze
6. Bloom
Fiorire
È arrivato l’inverno proprio come avevi detto
Mi ricordo ancora i film che guardavamo a casa dei tuoi
La brina fuori in giardino
Ridevamo e parlavamo lungo il vialetto di casa
Hanno qualcosa di speciale dicembre e i tuoi occhi che sembrano un pochino più brillanti di notte
Ci siamo stesi sulla collina a guardare le macchine che passavano
Sento ancora il tuo respiro
Quando ti ho detto che per me eri tutto quello che avevo, lo intendevo con tutto quello che avevo
Di noi sono rimasti dei pezzi ora, ma non certo come prima
No, non certo come prima
È arrivato l’inverno proprio come avevi detto
E con lui è arrivata anche la nostra fine, sepolti sotto la neve
Aspetto che il ghiaccio si ritiri per mettere fine a quest’isolamento
Non vedo spiragli tra le tenebre
Quando non ci sarà più il freddo, con lui se ne andrà questa separazione
E allora magari fioriremo
7. Hollow
Vuoto
Guardo negli occhi, ma non capisco se sono i miei
Le parole che mi escono dalla bocca sembrano frasi preparate, delicatamente ricercate
Nella mia mente, so che faccia ho
Ma è da tanto di quel tempo ormai che non la faccio vedere in giro che magari non so più come si fa
Ogni giorno sono qualcun altro, qualcuno di diverso
Ma giuro che non lo diresti mai che sono vuoto
Sono vuoto
Riempio l’assenza con cose che non esistono davvero per vedere se riesco a sentirmi meno vuoto
Ma so che è solo temporaneo, è temporaneo
Nella mia mente, so che faccia ho
Ma è da tanto di quel tempo ormai che non la faccio vedere in giro che magari non so più come si fa
Ogni giorno sono qualcun altro, qualcuno di diverso
Ma giuro che non lo diresti mai che sono vuoto
8. To the Bottom
Sul fondo
Ho perso tempo e non mi tornerà più indietro
Ho provato a rigirare le mani dove le volevo
Ma so che non si può
E adesso continuo a pensarci e pensarci e ripensarci
Provo un senso di rimorso
Ma che me ne faccio se non c’è più niente che possa nemmeno provare a fare?
Freddo, ecco, mi sento davvero freddo
Trascinato sul fondo senza avere la motivazione per spostarmi da terra
Non ho più aria nel petto
Più niente che continui a farmi scorrere il sangue nelle vene
Ho perso tempo e non mi tornerà più indietro
Ho provato a rigirare le mani dove le volevo
Ma so che non si può
E adesso continuo a pensarci e pensarci e ripensarci
Provo un senso di rimorso
Ma che me ne faccio se non c’è più niente che possa nemmeno provare a fare?
9. Like a Whisper
Come un sussurro
Le tue urla hanno il tono di un sussurro ormai
Mi resta solo questo fischio nelle orecchie
Non puoi dire nulla di così forte da risuonare
Io questa cosa la chiamo lasciarselo alle spalle
Visto tutto il tempo che ho passato a pensare a te
Stavo meglio se non pensavo affatto
Quindi tanti saluti, dimenticatele queste parole che non dicevo sul serio
Me la caverò benone da solo
Di noi due, non ero mai io quello che parlava troppo forte
Adesso le cose sono cambiate
Nessuna cosa che hai mai detto è una cosa che mi ricordo
Nonostante quanto urlavi forte
Delicatamente, delicatissimamente, sento un’eco che si perde in lontananza
Delicatamente, delicatissimamente, sento un’eco che si perde in lontananza
Delicatamente, delicatissimamente, sento un’eco che si perde in lontananza
Delicatamente, delicatissimamente, sento un’eco che si perde in lontananza
10. Flicker and Fade
La fiammella che si spegne
Fine estate a casa tua
L’orario entro cui dovevi essere a casa era già passato
Per cui ti ho dovuta far uscire di nascosto
L’erba sotto i piedi era bagnata
Mi sono messo lì ad aspettare di prenderti al volo sotto la finestra
Stanotte non si dorme
Stanotte non si dorme
Stanotte non si dorme
Stanotte non si dorme
La luce dei lampioni illuminava il marciapiede
Sei saltata tra le mie braccia e abbiamo sperato che nessuno avesse sentito
Siamo andati su quel ponte sul ruscello
E abbiamo parlato del futuro con l’acqua che ci baciava i piedi
Le ore sono volate via come il vento
Neanche il tempo di accorgersene e ti ho dovuta riaccompagnare a casa
Stanotte non si dorme
Stanotte non si dorme
Stanotte non si dorme
Stanotte non si dorme
11. Daydreaming
Fantasticare
Passo il tempo a fantasticare, una routine priva di senso
Non puoi rallentare se non ti stai proprio muovendo
Ho i piedi inchiodati per terra
E le cose sono sempre uguali da quando mi ricordo
Perdo tempo e mi immagino di non essere fermo da così tanto in realtà
Vorrei che fosse la verità
Perché non riesco a procedere come mi pare che facciano tutti quelli che ho intorno
Mentre io sono fermo qui, esausto, che tento disperatamente di rompere la gabbia in cui mi sento rinchiuso?
Urlo, ma non lo sente nessuno il mio grido d’implorazione
E allora torno a dormire stasera
Non so se sarò mai in grado di togliermi di dosso queste catene
E se ci riuscissi, non ho neanche idea se saprei da che parte andare
Ho la mente sempre più debole e le cose che ho intorno mi sembrano tutte uguali
Perché non riesco a procedere come mi pare che facciano tutti quelli che ho intorno
Mentre io sono fermo qui, esausto, che tento disperatamente di rompere la gabbia in cui mi sento rinchiuso?
Urlo, ma non lo sente nessuno il mio grido d’implorazione
E allora torno a dormire stasera
#turnover#magnolia#shiver#most of the time#wither#seedwong#pray for me#bloom#hollow#to the bottom#like a whisper#flicker and fade#daydreaming
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SIRACUSA - PANTANO LONGARINI
COME NUVOLE PORTATE DAL VENTO
Suonò alla porta della terapia intensiva e una tuta azzurra con visiera e mascherina si affacciò, l’osservò e poi aprì. Tano spinse il carello pieno di scatole nere alte e strette nel lungo corridoio circondato dalle stanze chiuse dentro cui vi erano i letti e le apparecchiature che tenevano in vita i malati di Covid. Lui doveva seguire un percorso disegnato da delle strisce bianche e rosse. Quando uscivano dalle stanze, dottori e infermieri si levavano di corsa i guanti e si liberavano di tutto quello che avevano usato nella camera, buttando tutto in scatole nere che Tano passando raccoglieva e sostituiva con scatole vuote. Finito il giro le scatole venivano raccolte e portate in un inceneritore. Quello che colpiva Tano mentre camminava nel corridoio, era l’assenza di odori naturali. Tutto sapeva di chimico e non c’erano né gli odori che il mare aveva nei vari momenti del giorno, o gli odori del vento, della pioggia quando arrivava o dopo che era caduta. Dove era nato, vicino a Siracusa, erano questi gli odori che sentiva. Ingenuamente quando era partito perché un suo zio gli aveva trovato un posto nella ditta delle pulizie che lavorava nell’ospedale di Brescia, pensava che anche li al Nord vi fossero odori e sensazioni simili. Invece, bardato dentro la sua tuta di tessuto non tessuto, col viso coperto da maschera ed occhiali, non sentiva neanche il suo di odore. Nelle narici aveva solo l’odore intenso e sgradevole di disinfettante, quello che ormai permeava in tutto l’ospedale e con cui Tano puliva ogni oggetto che le mani potevano toccare: pulsanti, maniglie, corrimano, rubinetti…. Tutto quello dove vi era in attesa la morte. Tano però non ci faceva caso ; ”cu non travagghia, mancia pagghia” gli diceva sempre suo padre e lui era contento di avere un lavoro Un altro compito di Tano era entrare nelle camere e raccogliere altre scatole nere, Così entrò nella prima stanza e si diresse nell’angolo dove c’era la scatola. Successe tutto in pochi secondi. Le apparecchiature di uno dei letti incominciarono a suonare e dopo pochi istanti due infermieri entrarono di corsa e, nello stesso momento un occupante di un letto vicino incominciò ad agitarsi dando un colpo ad un asta che sorreggeva una flebo che gli cadde addosso. Uno dei due infermieri guardò velocemente il letto, poi rivolgendosi a Tano gli disse con tono deciso “Pensaci tu” Tano si avvicinò ed alzò l’asta mettendola a posto, poi osservò il malato. Era un uomo anziano, la barba lunga e le guance incavate, gli occhi pieni di terrore ed il respiro che era quasi un rantolo. Gli appoggio una mano sul braccio “Stai calmo ora viene il dottore e ti aiuta” Il malato invece gli prese la mano e la strinse forte guardandolo con intensità “Parlagli, soffre di claustrofobia e la maschera lo fa stare male” Gli disse uno degli infermieri senza girarsi a guardarlo mentre cercava con un ago una vena su un braccio rinsecchito “ora vengono…. – continuò incerto Tano – stanno aiutando un altro. Devi avere pazienza… anche a me i luoghi chiusi danno fastidio, io sono nato sul mare, un posto bellissimo e stare al chiuso mi pesa. Quando ho preso l’aereo non ti dico la tensione che avevo. Ma sai cosa ho fatto, mi sono messo in testa che ero negli stagni del Pantano Longarini. Sai, sono delle pozze d’acqua pieni di aironi, gabbiani, e tanti, tantissimi fenicotteri bianchi e rosa. Sono tutti nell’acqua che mangiano e fanno un rumore diffuso, uno sciacquio dei piedi, uno schioccare di becchi.” Guardò l’uomo che ora rantolava di meno cercando di fare dei respiri profondi per far assorbire ai suoi polmoni il più possibile ossigeno. “alle volte, quando non c’era nessuno che mi vedeva, entravo in acqua gridando e d’improvviso tutti gli uccelli si involavano riempiendo il cielo azzurro con le loro ali bianche o rosa, e giravano intorno a me tutti insieme. Era uno spettacolo bellissimo perché dava un enorme senso di libertà: ogni volatile era nel suo cielo ma faceva i movimenti di tutti gli altri come se tutti fossero una sola cosa. Il cielo sembrava grandissimo e senza fine, enorme, mentre loro salivano poi girando intorno scendevano. Restavo ore a guardarli muoversi ed ondeggiare liberi nell’acqua e nel vento liberi e tranquilli, parte di un mondo in cui io ero solo un ospite.” Guardò l’uomo che ora respirava più lentamente osservandolo come se anche lui vedesse in quel momento un cielo azzurro pieno di fenicotteri rosa. “Ora ti sei calmato?” Chiese l’infermiera avvicinandosi al malato. Rapidamente controllò gli schermi dei monitor sopra il malato e con una piccola siringa iniettò qualcosa nel flacone della flebo. “Fai andare il ragazzo, devi finire il suo giro” Gli fece cercando di staccargli la mano. L’uomo però continuava a stringere saldamente la mano di Tano. Lei guardò Tano e alzò le spalle tornando verso l’altro malato. Il ragazzo la guardò interrogativamente poi guardò di nuovo l’uomo che lo osservava respirando lentamente. “Alle volte passano anche delle cicogne. Hanno ali grandissime e un lungo becco ed anche se non c’è la minima brezza scivolano nell’azzurro lentamente, bianchissime, come nuvole portate dal vento…..”
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«Hai mai avuto la sensazione di starti approfittando di qualcuno perché ti fa stare bene?»
«E` che non sono ancora in quel posto» quale posto? «Affatto» con una smorfietta inspiegabilmente un po` colpevole. «Sono più al punto dove... scopro che una vita oltre Sebastian è davvero possibile e intendo... una vita sentimentale perché nessuno aveva dubbi sul fatto che una vita l`avrei avuta» retorica, di rimprovero più che altro a se stessa. «Ma, ecco, diciamo che questo basta a farmi sentire bene in... sé». Gli occhi a farsi appena più umidi, il naso arricciato «E non posso, non riesco... non voglio andare di nuovo più veloce di quanto non mi senta. E siccome non mi viene richiesto, mi dico che è ok andare al mio tempo, solo che così ho l`impressione... non lo so... di stare imbrogliando?» Qualcuno qui ha la sindrome dell`impostore.
«Ogni relazione è un... “approfittarsi di qualcuno che ti fa stare bene”». Il capo che si muove come percorso da una piccola scossa «e non c’è niente di male, qualsiasi cosa sia questa cosa che c’è tra di voi. Non devi sforzarti di accelerare il passo, soprattutto se a lui sembra andare bene così. E soprattutto... non sforzarti di arrivare in quel posto lì» per usare le stesse parole di Ilary.
«Se ci dovessi arrivare, bene. Se non ci dovessi arrivare, bene comunque».
«Dici?» Lo sguardo eloquente a indugiare ancora sulla Polland, mentre i denti non abbandonano ancora la voglia di tormentarsi il labbro inferiore. Incamera quelle rassicurazioni, mentre ora quel broncetto anti lacrima si intensifica in qualcosa di più simile alla commozione. «E` che...» ormai tanto vale tirarlo fuori:
«non voglio diventare come Sebastian».
Ecco, l`ha detto. «Non voglio approfittarmi di qualcuno che è troppo paziente e gentile e-e che prova... cose» ??? «solo perché magari pazienza e gentilezza e... cose» !!! «sono ciò di cui ho bisogno al momento. Non vorrei prenderlo in giro e-e farlo soffrire» gli occhioni a sbarrarsi, ora di un principio di orrore a dir poco esagerato. Grifondoro: born to be dramatic. «Certe cose tendono a ricapitare, no? Perciò magari non ho trovato un altro Seb, ma... ma ho trovato un`altra me?» Questo è il momento in cui il respiro si fa corto e Ilary Wilson sembra davvero-davvero sul punto di scoppiare in lacrime.
Rachel gli occhi umidi altrui non li nota, ma ne sente il tono e allora si concentra e modifica la linea delle labbra. E’ l’ennesimo sorriso quello che le mostra, sempre in bilico tra la presenza e l’assenza, per non eccedere e non peccare.
«Ma che c’entra Sebastian?»
E non c’è rancore nel tono, o antipatia, solo una semplice domanda. «E’ la persona più distante che ci sia da quello che sei tu». Parla lentamente e con tono basso, come a non voler fare rumore. «Non sei malata». Secca, sincera. «E questa è la prima cosa. In secondo luogo con questo ragazzo siete solo all’inizio, vi dovete conoscere e capire e andare avanti e fare... cose». Fa anche ondeggiare la mano. «Non c’è motivo di fasciarti la testa. Lo so che Sebastian lascia cicatrici, ma non infilarci il dito pure tu».
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Per chi ha la fortuna di avere una casa, e di poterci stare in questo momento, sono giorni in cui si prende contatto con un nuovo modo dello spazio e del tempo, o così mi sembra. Oggi guardavo i boccioli in fiore sul mio balcone e pensavo che sembra quasi uno scherzo che tutto questo accada mentre là fuori la primavera esplode, come se qualcosa ci dicesse che non è vero che si sta fermando tutto, ma che anzi, semplicemente non siamo noi i protagonisti.
L’altro giorno abbiamo pubblicato su Doppiozero una poesia di Mariangela Gualtieri, Nove marzo duemilaeventi. Quei versi, di commovente bellezza, sono stati ripresi, letti, ripetuti, tradotti. Il dire aperto e delicato e poetico parlava di un sentire comune, in un momento grave che è anche uno stato di eccezione che accomuna il vissuto di molti. Livella tante differenze (anche se in realtà dovremmo ben tenere a mente che ne livella soltanto alcune).
Mariangela Gualtieri nel suo scrivere ci ricorda sempre che siamo creature nel Tutto, e qui scrive che “non siamo noi che abbiamo fatto il cielo”. Suggerisce però che possano venirne pepite d’oro da questo tempo strano.
“Dovevamo fermarci insieme”.
E allora la domanda che mi sono fatta riguarda proprio questo fermarci, la nostra capacità di non “portarci avanti”, di non usare il tempo; questo tempo in più che sempre domandiamo e che ora forse ci fa quasi un po’ paura. Abbiamo il timore che ci si spalanchi davanti come una voragine di non senso. Il lavoro certo, quando può, se può, continua. Io insegno, le lezioni sono on line. Però non tutto “funziona”: intanto non siamo certi che tutti avranno un dispositivo, una connessione adeguata. Ma non è solo questo: è proprio che anche nel dispiegarsi delle lezione un attimo siamo in video, poi qualcuno scompare, la conversazione si fa singhiozzo, entra, rientra, riesce di nuovo, insomma viene alla luce che l’insegnamento non è solo un passaggio di informazioni, e trovo importante abitare con loro l’inciampo, questo tempo altro, questo provare a tenere una posizione che dica la nostra presenza in un’incertezza, in cui a volte il loro sapere può venire in soccorso al nostro: Prof! Giri il tablet. Forse dovremmo ricordarcelo anche in classe un po’ di più che c’è un loro sapere che può venire in soccorso al nostro: non lo facciamo nell’abitudine di un operare, che è l’abitudine di un funzionare.
E intanto, là fuori, facciamo esperienza di una polis-pianeta in cui scorpriamo che tutto è legato: anche di questo ce ne accorgiamo solo ora, e in modo ancora troppo confuso. E paradossalmente la responsabilità grande cui siamo chiamati come specie, ora, sembra essere quella di stare fermi. Con i familiari, nel tempo domestico. Fatta eccezione, ovviamente, per chi, tra noi non è affatto nella propria casa e nell’attesa, ma anzi, lavora senza nemmeno poter interrogare lo smarrimento per salvare più vite possibili.
Noi, tutti gli altri invece, sembra che: facciamo bene se non facciamo nulla. E quasi, allo stesso tempo, nessuno può fare a meno dello stare fermo degli altri. Sembra un messaggio – ovviamente è una lettura un po’ forzata – che prende in giro il come ci siamo pensati fino a qui.
E in quegli spazi dove il tempo può continuare a scorrere allo stesso modo, negli spazi virtuali dell’informazione, le notizie, il ritmo, e il rumore, sembrano quasi aver subito un’accelerata, o forse ce ne accorgiamo di più per contrasto. O forse, ancora, davvero moltiplichiamo il dire per timore, moltiplichiamo il vuoto. Insieme allo stare fermi, potremmo allora pensare a un po’ al silenzio così come lo mette a tema Chandra Livia Candiani nel suo libro. Scrive che imparare a stare e assaggiare l’assenza è un dono. Fingere che non chiami, riempire ogni attimo con distrazione, è, invece, farsi a pezzi. Sappiamo prendere sul serio questo tempo fragile? Candiani scrive: Ti prego, morte, non lasciarti addomesticare, continua a farmi assoluto male.
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Musica (e il resto scompare)
Io amo la musica, mi tiene tanta compagnia per le strade della mia città. Ascolto la musica tramite gli auricolari dal 2005, quando mi è stato regalato uno dei primi lettori MP3: andare a scuola sentendo i Gemelli Diversi mi veniva leggermente più facile. Amo camminare, se vado a piedi posso decidere dove andare, a che velocità andare, e nessuno può dirmi niente, non devo affrontare traffico e signori poco garbati con per fortuna solo il clacson tra le mani. Crescendo poi ho scelto di allontanare la tv per far posto alla radio o all’acquisto (e ascolto con metodi meno leciti) di musica che più mi piaceva: cuffie in tasca e via, verso il posto di lavoro senza voglia, dall’altra parte della città perché porco cane sto male, verso decisioni durissime, con la mente al dopo esame, verso il posto più freddo. Fino ad oggi.
Lavoro anche in questi giorni, in mancanza di un server sempre funzionante o di un servizio cloud c’è bisogno di almeno uno che vada in ufficio. E allora tanto vale portarsi avanti col lavoro, che tanto prima o poi 'sta situazione finirà e non bisogna farsi trovare impreparati. Impreparati per cosa poi. Boh. "Non pensare a quando finirà, ma pensare che finirà", non sembra difficile. E allora vado, esco di casa e attraverso questa città, la mia città.
Rimango senza parole. È indescrivibile. C’è silenzio, niente di nuovo quindi, ma non è un silenzio come tanti che ho provato. Ho vissuto un paio di anni in campagna, so cosa vuol dire non vedere persone o non sentire rumori per ore: arriva il vento e senti gli alberi muoversi, le foglie cadere, gli uccelli che cinguettano o che svolazzano tra i rami; da lontano si sente un trattore o una bitoniera, e la sera musica, disco music o napoletan music. Arriva la sensazione che si sta vivendo, in un modo sicuramente diverso dalla città. E so cosa vuol dire la città di notte, la mia città, quel silenzio tra le 2 e le 3, dove non sai se quello che vedrai o sentirai sarà parte della banale routine di una persona o sarà la testimonianza di un crimine, dove in lontananza hai la sensazione di sentire qualcosa, qualcuno, una presenza, un rumore, un grido, un rombo di motore, una saracinesca che si abbassa o che si alza, la puzza di cibo, un cancello che si chiude o un’auto che tenta di avviarsi.
Oggi qui ogni rumore sembra fuori posto, la sensazione è che tutto sia in attesa di qualcosa, tipo quando da bambini si giocava a "un, due, tre, stella": adesso chi gioca ha la sensazione dell'ennesimo "stella", e allora passa un po' la voglia di giocare. C’è un sottofondo di radiatori, e poi nulla, pure l’assenza di rumori di auto anche in lontananza sembra fuori posto, il semaforo per cui tutti litigavano fino a un paio di giorni fa adesso passano due-tre auto e quel verde non serve più a nessuno. È sera ormai, in lontananza la sigla di un tg o il suono di un jingle, il rumore di posate da una casa per l’ora di cena, una serranda che si abbassa, una risata da un balcone soffocata da una mascherina, due signore che parlano da un balcone all’altro, due signori che si incontrano col cane al guinzaglio e parlano ad alta voce da lontano. Succede pure di incontrare persone, un'intesa di sguardi e si decide chi continua sul marciapiede e chi in strada per evitare di sfiorarci, tutto in silenzio.
Sembra sia stato sempre così, oltre il silenzio sembra tutto fuori posto, o forse sono io fuori posto, che mi sistemo gli auricolari pronto per sentire tutti i gb di musica nel telefono come ho fatto praticamente negli ultimi quindici anni della mia vita, e appena li metto mi sembra di essere in più. Non riesco ad ascoltare musica, sembra che questa città non abbia bisogno di altri rumori, è come mancarle di rispetto, deve rimanere così. E allora resto ad ascoltare la malinconia, l’angoscia, che sembra travolgermi, tutto perde senso, è come se ci fosse qualcosa più grande di me e non me ne stia accorgendo, e allora vado ancora alla ricerca di indizi, guardo tutto, edifici, finestre, balconi, pilastri, pali della luce, faccio la stessa strada da tanti anni, so cos’è fuori posto e cosa non lo è.
E poi all'improvviso, o forse nel momento giusto, vedo su un balcone un cartello con un arcobaleno colorato, pure all’ombra della luce delle strade era colorato, e la scritta Andrà tutto bene. E io mi fermo, smetto anche di camminare, e sorrido. Sembra sia passata un'eternità dall'ultimo sorriso. Un sorriso di speranza, di ingenuità, è meraviglioso che ci siano persone al mondo con la forza di condividere la speranza per un futuro migliore con sconosciuti, con me, o che non hanno nemmeno loro un briciolo di speranza, ma non vogliono negarla agli altri, "Insieme possiamo farcela", la fiducia nel prossimo. E poi continuo a camminare, il silenzio, tutto continua ad essere fuori posto, in attesa di qualcosa, sento ancora quell'angoscia ma avevo bisogno di un sorriso, di un pensiero tra i tanti a cui dare spazio, anche solo per un secondo. E domani passerò di lì, per sorridere ancora, almeno una volta al giorno voglio sorridere, e voglio ringraziare tutte queste persone con tutto il mio cuore, e con un altro sorriso.
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Forse dopo chissà
Quando il cambiamento si radica in te difficile è accorgersene.
Entra nelle vene e percorre tutto il corpo ma lo fa indolore e senza far rumore. Non te ne accorgi se non quando ormai anche gli altri possono vederlo all’infuori di te.
Le pareti spente della tua persona si illuminano o diventano cupe ancor di più e certamente non riesci a vedere attraverso i raggi X il colore delle cose che cambiano.
Trasformarsi e non restare uguali a prima, trovare vie di fuga o restare intrappolati in particelle atomiche che da sempre sono.
E continuare ad essere. Senza sosta, senza timore e con nessun intento di persuadere gli occhi lontani o vicini che scrutano senza pietà.
Le foglie che muovono e si muovono col vento, attraverso il vento, grazie al vento e la forza indomabile della coscienza si plasmano su di te come fossero terra sopra al cemento.
La puoi muovere e per il vento è indubbiamente semplice spostarla, ma rimane, seppur divisa, non compatta, dislocata. Rimane negli angoli meno ovvi, negli spazi più nascosti, radicata e solenne.
Non la puoi spostare, non la puoi vedere. Sai che c’è perché se ci cammini sopra, il cemento sembra essere ancor più ruvido di quel che era. E allora capisci che il cambiamento, indolore o non, lascia segni dentro di te e gli altri fuori possono vedere soltanto un cemento non pulito, giudicando l’assenza di una scopa o della voglia di spazzare ma tu dentro sai che l’intenzione più lontana è quella di sporcare la tua interiorità pulendo la terra che adesso c’è.
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Sai, mi manchi mamma,
da quando sei andata via non è più stato lo stesso.
Queste mura sono così spente senza voi, manca quel senso di famiglia, quell’ imperfetta perfezione, ed è tutto grigio e privo di umore.
Mi lamentavo così tanto delle tue lamentele, odiavi il mio ordinato disordine,
beh non puoi immaginare come ‘sto messo ora.
Ed il disordine non sta più solo fuori, e non è più ordinato nemmeno per la mia mente..
Già, è tutto un casino qui, è come sentire il freddo in piena estate, è tutto come un forte rumore, un assordante, silente, rumore, che non tace mai, sussurra ai miei pensieri, anche quando cerco di sognare..
Non è colpa tua, lo so..
Non lo è se sono così arrabbiato, non ti incolpo per il vuoto, per l’assenza ..
Non so se incolpare me, non lo so.
Ma fa tutto così male qui, senza te, senza voi.
E non ho nessuno, e nessuno voglio, perché fa sempre male, che sbagli io o gli altri, farà sempre male amare qualcuno, perché nessuno rimane .
Nessuno.
soul
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Seduto sul solito muretto al calar della sera. Il posto più confortevole di questa città. Zero traffico, poche persone e soprattutto silenzioso. Spesso lo cerco il silenzio, quasi in modo spasmodico. Questa è una società dove la costante presenza di inquinamento sonoro è insopportabile. Musica ovunque (musica?), rumori persistenti e penetranti e ,come se non bastasse, gente che parla e urla in ogni dove. Anche in un ascensore. Questo muretto lo scoprii anni fa, nei miei turbolenti anni da adolescente inquieto e insoddisfatto. Non erano ancora gli anni del rumore. Al massimo se volevo del rumore mi bastava andarlo a cercare in certa musica che appassionatamente ascoltavo, al riparo di orecchie indiscrete. Erano ancora anni vivibili e appassionati di questi. Lo scoprii per caso. Così si scoprono le cose belle. Per caso. Una passeggiata con i propri pensieri. La propria voce che rimbomba nella mente. La sera che scende su di te con il cielo che si accende assumendo delle tonalità che vanno dall’indaco al rosso intenso per finire al blu notte. E tanto silenzio. Per silenzio intendo assenza di rumori disturbanti e non l’assenza totale di suoni. Perché è proprio grazie ad un rumore imprevisto che alzai lo sguardo in cielo. Una nube di giocosi uccelli danzanti si stagliava a svariati metri sopra la mia testa. Disegnavano irregolari coreografie cantando all’unisono. Guardai le loro evoluzioni improvvise mi riempì il cuore di gioia inconsapevole. Sentii il cuore vibrare insieme a quei fragorosi battiti d’ali e un sorriso stupefatto sbocciò sulle mie labbra. Ero parte integrante del mondo e me ne ero scordato e quello stormo di uccelli era lì per ricordarmelo. Mi sedetti e rimasi li incantato ed estasiato ad osservarli con le orecchie piene del loro canto di gioia. Ora purtroppo questo non può più accadere. Non perché manchino gli uccelli o perché non ci sia un momento per potersi fermare ed alzare il naso al cielo. Ormai non c’è più un angolo di rispettoso silenzio lontano da tutta questa rumorosa modernità. Le evoluzioni degli uccelli in volo le guardiamo attraverso uno schermo di un cellulare e con le cuffie ben impiantate nelle orecchie. Copriamo il frastuono imperante con volumi assurdi e spegniamo la nostra sensibilità per non sentire troppo il dolore della lontananza dalla natura. Ora saremo pure al centro del mondo con un click ma io mi sento un re del nulla mentre prima mi sentivo di essere una piccola particella partecipe del tutto.
#heartskippedabeat#ho perso un battito#scrivere#my words#world#full of nothing#birds#mondo#pieno di nulla#uccelli
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