Tumgik
#che poi già la prima frase faceva ridere
inkyself · 1 year
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Vi prego
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gcorvetti · 10 months
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Come va? 'nsomma.
Basterebbe anche solo il titolo, ma vi faccio partecipi di questo momento di vita vissuta un pò alla Hank Chinaski, dai
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Nonostante non sia al 100% ieri ho chiamato la manager, che per cronaca non è solo di quel posto ma la ditta in questione ha l'appalto di varie (se non tutte) le mense scolastiche in città, quindi dopo averle detto che anche se non sono al 100% sono pronto per tornare a lavoro e mentre lo dicevo come per magia mi è partito un fortissimo colpo di tosse, chissà perché, lei stessa infatti mi ha detto "non sembra che tu stia però benissimo", la faccio breve, domani torno a lavoro ma non nella scuola della scorsa settimana ma in una molto più lontano, infatti dovrò prendere il bus e poi cercare di arrivare in 9 minuti dalla fermata alla scuola, sempre trovando la porta giusta al primo colpo, mi ha dato il numero della cuoca di quel posto. Già ieri dopo aver chiuso e cercato quale bus e a che ora mi è caduto addosso un velo di tristezza incredibile, non so forse perché so che non mi va e lo devo fare per forza e le cose forzate non mi piacciono. In questo momento sono abbastanza giù e non ho la forza di reagire, sono come un albero sotto la pioggia. Mi torna in mente Hank, l'alter-ego di Bukowski in Post Office, non gli piaceva quel lavoro ma lo faceva per inerzia, per denaro, rinchiuso nelle spire del un girone Dantesco dei postini, nell'obblio di una vita monotona spezzata soltanto da fiumi di alcol e donne che stavano peggio di lui, uno spaccato di vita moderna non solo americana, ma che si può accostare oramai alle nostre vite. Ricordo una vignetta dove c'è la frase in alto "vuoi un lavoro? In che ramo?" la vignetta presenta un tizio con la faccia molto tra il pensieroso e il disgustato mentre guarda un albero spoglio con dei nodi scorsoi che pendono dai rami che si rifanno alla frase in alto. Annullare la propria personalità, il passato come esperienza acquisita di vita, di sapere e di studio, rinchiudersi in un buco per i soldi e non vivere più, perché così ti viene abrasa l'esistenza, la tua essenza di essere umano, sempre se ne hai una, sempre se nella tua vita hai uno scopo, lo hai uno scopo? Sai perché sei su questa terra? No, non lo sappiamo, sappiamo solo che è così perché lo era per i nostri genitori e prima ancora per i nonni e per i bisnonni, lo è stato così fin dai tempi, tu sei numero e se non ti addizioni ad altri numeri resti un numero solo, isolato, come la società ci identifica e ci etichetta se siamo diversi, un numero marcio. Quando in realtà la diversità è un bene, una ricchezza, l'esempio palese è in natura, invece per la società che ci vuole tutti subordinati, la diversità è una malattia, non so se più Orwell o Huxley ma in questo caso poco importa, pensare con la propria testa è un lusso oramai, un lusso che se hai gli altri non ci credono e pensano che tu sia come tutti una pecorella che ha bisogno di brucare dal giardino come tutti e poi li vedi con i loro lunghi CV pieni di se come se quei titoli li dessero solo a persone specifiche con uno specifico QI (anche qua stendiamo un velo pietoso), mentre non sanno che ci sono milioni di persone che li hanno, li vedi che copiano e incollano le autocertificazioni su Facebook per non dare il consenso alla piattaforma di usare i loro dati, poveri idioti. Li vedi col collo piegato a modi struzzo e il naso appiccicato allo schermo del telefono a ridacchiare di video e immagini stupide, di così bassa lega che non farebbero ridere un bambino di 5 anni, li vedi affannarsi per comprare l'ultimo gadget che dopo un mese è già obsoleto per poi passare al prossimo, a ripetere frasi di convenienza per la celebrazione del momento "a te e famiglia". A me non dispiace di essere diverso, mi dispiace per voi che siete tutti uguali. Come dice Mark Fisher, anche se non l'ha proprio detto lui, "E' più facile pensare alla fine del mondo che alla fine del capitalismo", che è il male del nostro secolo perché ha appiattito tutto, ringraziamo sempre gli yankee.
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danilacobain · 2 years
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Selvatica - 37. Bella ragazza, perché piangi?
Corinna cercò di non inciampare mentre scendeva in maniera forsennata le scale, con gli occhi appannati dalle lacrime e un vuoto nel petto e nello stomaco che si faceva via via più grande.
Non riusciva a credere che Ante avesse potuto mettere in scena tutto quel casino, dirle cose che l'avevano ferita, solo perché aspettava una visita. Solo perché avrebbe dovuto vedersi con un'altra ragazza. Avrebbe potuto dirle che preferiva non vederla, dirle che non voleva vederla mai più. Non prendere a pretesto una stupidissima foto.
Tirò fuori il telefono dalla tasca, l'avrebbe cancellata immediatamente. Il solo pensiero le faceva rivivere l'angoscia di quei momenti. Uscì fuori dal palazzo il più in fretta possibile, ma dovette fermarsi dopo pochi metri. Le lacrime erano diventate troppo copiose e non riusciva più a respirare regolarmente. Che stupida, che stupida era stata a pensare che uno come lui potesse essere realmente interessato a lei. Glielo avevano detto tutti che non era un tipo da relazione fissa. Probabilmente si era già stancato e non sapeva come scaricarla. Si asciugò le lacrime.
«Bella ragazza, perché piangi?»
Corinna sollevò lo sguardo. Di fronte a lei c'erano due occhi scuri che la scrutavano con affetto. Era Rade, sul volto un sorriso dolce e cordiale.
«Ciao.» Cercò di sistemarsi il viso.
«Che succede? Hai litigato con Ante?»
Fece un respiro tremante. «È di sopra con un'altra ragazza.»
Rade si mise a ridere ma si ricompose subito quando vide che Corinna non scherzava. «Come una ragazza?»
«Stavamo litigando e poi è arrivata questa ragazza e lo ha abbracciato con trasporto, come se...» non riuscì a terminare la frase e dovette trattenere le lacrime.
«Magari è la sorella, come è fatta?»
Corinna ne dubitava, se fosse stata la sorella avrebbe almeno potuto dirglielo. «Bionda, capelli corti...»
Rade serrò le labbra. «No, non è la sorella. Ascolta, perché non sali con me da Isotta? Bevi un po' d'acqua, ti calmi e ci racconti cosa è successo.»
Lei scosse la testa. «No, grazie. Io...»
Lui le poggiò una mano sul gomito. «Dai, poi ti accompagniamo a casa noi.»
Corinna guardò Rade. Non aveva alcuna voglia in quel momento di chiudersi in camera sua, avrebbe finito per piangere tutto il tempo. E poi loro conoscevano Ante meglio di lei, forse potevano farle capire che diavolo gli era preso. E soprattutto chi era quella.
Annuì e seguì Rade, dritta verso l'appartamento nel quale si erano baciati per la prima volta. Il cellulare squillò, era Ante. Corinna lo silenziò e lo ripose in tasca. Entrarono in ascensore.
«È lui?»
«Sì.»
«Perché avete litigato?»
Abbassò lo sguardo. «Per la storia dell'agente di Isotta, credo. Non lo so, è stato tutto così assurdo. Un secondo prima eravamo seduti a chiacchierare e quello dopo mi stava intimando di andarmene. Sospetto che abbia fatto tutto perché aspettava quella ragazza.»
«Oggi Ante era molto nervoso per l'infortunio. È solo quello, fidati di me. Anche negli spogliatoi era scontroso. Quella ragazza di cui parli sarà sicuramente un equivoco.»
Suonarono al campanello. Solo qualche settimana prima lei e Ante davanti a quella porta si erano guardati come se non esistesse niente di più bello al mondo che loro due. Isotta aprì la porta, sul viso una pennellata di stupore.
«Corinna! Ciao, che succede?»
Li fece entrare e diede un bacio sulle labbra a Rade.
«Ha discusso con Ante, l'ho incontrata qui sotto e le ho detto di salire» rispose il ragazzo.
«Hai fatto bene. Vieni cara, che è successo? Che ha fatto quel burbero?»
In sala le luci erano soffuse e la tv accesa mandava bagliori sulla parete.
«Era nervoso per la partita.» disse Rade.
Corinna si sedette sul divano. «Mi ha lasciata.»
Entrambi la fissarono attoniti. «E per quale motivo?» chiese Isotta.
«Gli ho parlato del tuo agente e ha detto che l'ho deluso, che sono come tutte le altre e che non vuole più stare con me» sputò fuori tutto d'un fiato. Chissà perché in quel momento si sentiva a suo agio a parlare con quei due ragazzi che conosceva da poco.
«Beh, che vorrebbe dire? Lui non ha alcun diritto di dirti cosa devi o non devi fare.»
Rade sospirò e scosse la testa. «Corinna, Ante odia gli stereotipi. Non vuole essere visto come il classico calciatore con la fidanzata supermodella, che fa una vita da sogno e condivide tutto sui social. Ma ti vuole bene e sono sicuro che capirà.»
Il cellulare di Rade vibrò sul tavolino di vetro sul quale era appoggiato. «È lui. Metto il vivavoce. Ante»
«Amico, sono in un casino.»
Corinna trattenne il fiato. Rade le fece un sorriso di rassicurazione. «Che succede?»
«Sei da Isotta? Puoi chiederle se può ospitare una mia amica per stanotte? È arrivata all'improvviso e non so dove mandarla a dormire.»
Rade scambiò un'occhiata con Isotta, la quale annuì. «Ma sì, certo. Chi è?»
«Senti, posso venire subito? Devo andare a cercare Corinna. Abbiamo litigato ed è andata via appena è arrivata Natali. Non voglio che fraintenda la situazione.»
«Visto?» le mimò Rade.
Sentì l'addensamento sul cuore iniziare a diradarsi. «Non dirgli che sono qui.»
«Corinna è qui.»
«No!» sussurrò, guardando Rade disperata. Non voleva vederlo in quel momento.
«È lì? A casa di Isotta?»
«Sì, è qui.»
«Arrivo.»
Corinna rifilò un'occhiataccia a Rade. «Ti avevo detto di non dire niente.» Si alzò, «me ne vado, non voglio vederlo.»
«Dai, che fai? Hai sentito, no? Era solamente un'amica e non ha nemmeno intenzione di ospitarla in casa.»
Corinna si fermò con la borsa tra le mani. Rade aveva ragione ma lei ancora non riusciva a capire perché le avesse detto quelle cose così cattive. Le aveva fatto male sentirsi dire che per lui era come tutte le altre, lo aveva detto con il disgusto stampato in faccia.
«Rade ha ragione Corinna, aspettalo e parlatene. Senti cosa ha da dirti. Tanto se te ne vai verrà comunque a cercarti.»
Il campanello suonò e Corinna si sedette di nuovo. I due andarono alla porta, lasciandola sola. Si sistemò il viso e bevve un sorso d'acqua. Sentì Isotta e Rade parlare con Ante e la nuova arrivata, li sentì fare conoscenza.
«Corinna.»
La sua voce le riverberò dentro, bella, profonda e con una nota di apprensione. Alzò lo sguardo su Ante. I lineamenti del viso erano ancora molto duri. Non disse niente e lui si sedette accanto a lei.
«Lei è solo un'amica che è venuta a trovarmi, niente di più. Non sapeva che io...»
«Sembra carina. Magari non ti deluderà come ho fatto io» lo interruppe, quella frase bruciava troppo.
Ante mise una mano sulla sua, era calda e rassicurante. Eppure sentiva ancora una sensazione di vuoto nel petto. «Che dici? Non mi hai deluso. Non penso veramente quello che ho detto prima.»
Corinna guardò la ragazza bionda che era appena entrata in sala. Era in evidente stato di imbarazzo e spostava lo sguardo da lei a Ante in maniera frenetica, si vedeva che si aspettava di trovare il ragazzo da solo. Sentì un moto di compassione nei suoi confronti.
«Natali, lei è Corinna» fece Ante. Si alzò e così fece anche lei, porgendo la mano alla ragazza.
Natali le si avvicinò e gliela strinse, chiedendole scusa in inglese.
Ante abbracciò Isotta e Rade e le cercò la mano, intrecciando le dita alle sue. Corinna si sentiva sospesa in una bolla, ancora scossa per quello che era successo, con la consapevolezza di essere ancora lì con Ante, di essere ancora al suo fianco.
In ascensore lui poggiò la testa alla parete e fissò il vuoto.
«Io odio tutto questo. Odio l'ossessione che la gente ha per la notorietà, per il successo, per i soldi. Odio il fatto che da quando mi sono messo in mostra e gioco ad alti livelli persone che prima non mi avrebbero mai considerato adesso sono mie amiche.»
Corinna lo ascoltava in silenzio, riempito dall'assordente martellare del suo cuore.
«Odio essere visto come un oggetto.»
«Io non ti ho mai visto come un oggetto.»
Lui si voltò a guardarla. «Lo so. Lo so. Ma quando mi hai detto che volevi fare la modella...»
«Non tutte le persone che ti sono accanto lo fanno perché sei Ante Rebic. Alcune ti sono accanto perché ci tengono davvero. E sono abbastanza determinate a volercela fare da sole, senza essere accostate a nessuno, senza l'aiuto di nessuno.»
«Vuoi fare la modella?»
Corinna lo fissò. «No, Ante. Non voglio fare la modella ma penso al mio futuro. Se posso trovare un lavoro più remunerativo che mi permetta di mettere da parte i soldi per un master o un anno di formazione all'estero, perché no?»
«Non mi avevi parlato di questo.»
«Perché è ancora presto, ma ci penso.»
Ante fece un passo verso di lei. «So che non hai bisogno della mia approvazione e non ti sto dando la mia approvazione, ma il mio supporto. Qualsiasi cosa deciderai di fare, io ti supporterò.» Le sfiorò la guancia con le dita. «Sei ancora triste?»
Corinna scosse la testa. «Mi fa solo male sapere che pensi che non ci tengo a te.»
Ante le sorrise, scostandole i capelli dal volto. «Domani parti con me.»
«Dove?»
«In Croazia, dalla mia famiglia. Staremo via solo pochi giorni.»
Il cuore di Corinna si fermò. «Ma io devo... devo lavorare» balbettò, ma gli occhi di Ante erano così belli quando sorrideva. Non poteva dire di no, non voleva dire di no. Con lui sarebbe andata in qualsiasi posto in quel momento.
«Prenditi una settimana di ferie. Se non posso andare in Nazionale, almeno voglio sapere che sarai con me.»
«Sì.»
Ante la baciò, circondandole la vita con un braccio e stringendola a sé. «Facciamo l'amore?» sussurrò vicino al suo orecchio. «Voglio spogliarti tutta e stare dentro di te.»
Corinna emise un sospiro quando sentì la lingua di Ante scivolarle dietro l'orecchio e lungo il collo.
«Sì» rispose, mentre il cuore tornava a riempirsi di amore per quel ragazzo incredibile.
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alessiamalfoyzabini · 2 years
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𝐼𝐼𝐼. 𝐿'𝑂𝐷𝐼𝐴𝑇𝑂
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𝐖𝐀𝐑𝐍𝐈𝐍𝐆𝐒| 𝙼𝚎𝚗𝚣𝚒𝚘𝚗𝚎 𝚍𝚒 𝚗𝚞𝚍𝚒𝚝𝚊̀, 𝙹𝚒𝚖𝚒𝚗 𝚎𝚗𝚝𝚛𝚊 𝚒𝚗 𝚖𝚘𝚍𝚊𝚕𝚒𝚝𝚊̀ 𝚙𝚘𝚕𝚒𝚣𝚒𝚘𝚝𝚝𝚘, 𝚖𝚎𝚗𝚣𝚒𝚘𝚗𝚎 𝚍𝚒 𝚘𝚍𝚒𝚘 𝚎 𝚛𝚊𝚗𝚌𝚘𝚛𝚎
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══════⊹⊱≼≽⊰⊹══════
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Ad occhi socchiusi Galia vide la sua camera da letto illuminarsi man mano che il sole sorgeva, le tende la sera prima non erano state chiuse correttamente e Jimin si sarebbe ben presto lamentato di questo dettaglio. Proprio lui, su cui ricadeva la responsabilità di tale svista.
Sospirò assonnata, allungando il suo corpo tra le braccia di quel ragazzo dal viso angelico, che ancora dormiva per nulla turbato dall'arrivo del giorno. Cercò di rannicchiarsi ancor di più contro il petto nudo del suo fidanzato, cominciando ad avvertire un piacevole dolore al ventre e tra le gambe, Jimin non ci era andato piano con lei, convinto di meritare la ricompensa della sua umana, reclamandola non solo quando tornò a casa per il pranzo, ma anche qualche ora più tardi a letto.
Sfiorò con affetto le dita paffute di Jimin, poggiate stancamente sul suo fianco, quel giorno si sentiva più rilassata del solito, certo era giovedì, ma non un giovedì qualunque. Accadeva raramente che avessero giorni liberi in comune, eppure era successo e questo le faceva pensare eccitata che avrebbero passato tutto il giorno insieme, solo lei e Jimin dopo dure settimane di lavoro. I bambini sarebbero andati al museo con un'altra insegnante e Jimin aveva chiesto il suo più che meritato giorno di riposo. Ovviamente sapeva che era a causa sua, normalmente Jimin avrebbe dato volentieri la caccia ai cattivi ventiquattro ore su ventiquattro, come era solito dire, ma voleva anche darle le attenzioni che meritava.
«Qui qualcuno è già sveglio da un pezzo» mormorò assonnato il ragazzo, distendendo i muscoli pigramente portando la fanciulla a stargli più vicino, anzi, letteralmente schiacciata su di lui.
Galia ridacchiò con leggerezza, cercando di sfuggire all'eccessivo calore che Jimin emanava, ma il biondo non mollò la sua presa, ora ferrea.
«Dio, Jimin! Sei la Torcia Umana!» strillò.
«Sopporta, ieri sera mi hai sfinito... così arrapata...» borbottò sul suo collo sottile, lei sgranò gli occhi, colpendolo sul braccio.
«Cosa? Eri tu a starmi addosso mormorando "Ancora, ti prego! Un'altra volta e ho finito, piccola"» gli ricordò imitando la sua voce, offesa per essere stata definita arrapata, quando in realtà era sempre lui a cominciare con le pratiche più fantasiose che portavano via molto tempo, oltre che sudore e forza fisica.
«Non è colpa mia se il lavoro non mi permette di averti sempre» piagnucolò il ragazzo, strofinando la guancia sulla testolina mora, come un bambino colto sul fatto.
Galia alzò gli occhi al cielo, per nulla turbata da quelle attenzioni e sotto sotto ridacchiò, era sempre bello sentirsi desiderate in quel modo e Jimin sapeva come ammaliarla puntualmente.
«Ti amo...» disse in modo carino il ragazzo, sorridendo con gli occhi ancora lucidi e annebbiati, i morbidi capelli sembravano aver preso vita durante la notte e con la luce dorata che entrava dalle finestre Galia constatò la sua adorabilità stringendo le labbra per non ridere apertamente.
Si avvicinò per baciarla con calma, ma la testa della donna scattò lontano dal suo viso.
«Ti amo anch'io... e ti amerò di più quando ti sarai andato a lavare i denti» esplose in una risata quando Jimin la guardò con tanto d'occhi.
«Quindi questo è un motivo valido per non baciare il tuo principe?».
«Ancora con questa stor-» non finì in tempo la frase, Jimin le tappò le labbra con le sue, forzando la giovane contro i cuscini con fare giocoso, in risposta Galia gli pizzicò un capezzolo con forza.
Jimin ansimò scioccato staccandosi, guardò Galia che lo fissò di rimando con fare birichino e poi il proprio petto, per più di due volte.
«Non posso resistere, li adoro...».
Jimin ghignò «Mia adorata, adori anche un'altra cosa e presto ti ritroverai di nuovo faccia a faccia con-».
«Park Jimin!» sbottò, fermandolo, ma era troppo tardi. Il biondo si stava già sfilando le coperte dal corpo.
Le si seccò la gola quando lo vide. Stavano insieme da anni, ma la bellezza di Jimin la lasciava sempre senza parole. Squadrò con cura maniacale il petto quasi privo di imperfezioni del suo ragazzo, già, quasi... perché una splendida macchia violacea adornava l'area intorno alla clavicola sinistra. Scese lungo gli addominali e ricordò la sera prima, quando in un attimo di seduzione era arrivata anche a leccare e baciare quell'ampia zona, provocando non pochi versi di piacere all'uomo, molto sensibile e ricettivo.
Scese più in basso, verso le fossette degli addominali nate dopo anni di esercizio, tutto di lui era fottutamente perfetto, deglutì prima di arrivare al pezzo forte e sorpresa notò che fosse già quasi completamente duro, era difficile non tenere incollati gli occhi in modo magnetico al membro del suo ragazzo. Sì, lo adorava.
Dalla punta rosea e liscia a tutte le venature in rilievo che gli davano un aspetto fin troppo erotico.
«Jimin» si lamentò «Non puoi sbattermi così in faccia tutto questo...».
«Sarà qualcos'altro che ti verrà sbattuto in faccia, fidati...» sussurrò di nuovo sul suo collo, baciando dolcemente la pelle morbida dell'amata.
Leccò con confidenza tutta la zona, consapevole che per Galia ogni punto del corpo risultava erogeno. Infatti ben presto le sue orecchie vennero deliziate dai sospiri piccanti della donna.
«Credi ancora che dovrei alzarmi da questo letto per lavarmi i denti?» chiese divertito, in quel momento la sua ragazza era divisa in due. Soccombere al piacere per l'ennesima volta o dare ascolto al suo lato di insegnante.
La decisione fu ardua, ma ovvia per l'uomo.
«Sta' zitto, usa la tua bocca per altre cose, Park» sibilò.
Fece per tornare al suo compito, ovvero segnare la sua pelle con quanti più morsi poteva, una mano era già intenta ad oltrepassare la barriera scomoda delle mutandine per stuzzicare il punto più caldo e morbido della ragazza, ma un rumore proveniente dal piano inferiore ghiacciò i corpi di entrambi.
«Jimin...?» sussurrò, stranita dal suono, ma il biondo le fece segno di non parlare.
I suoi occhi divennero due sottili linee, Galia conosceva quell'espressione. Era segno che il dolce e romantico Jimin aveva lasciato il posto al più composto e serio Detective Park.
Cominciò a cercare le parti del suo pigiama in fretta per coprirsi, Jimin scese per primo dal letto, infilando lesto un paio di boxer e recuperando la sua pistola dalla giacca riposta con cura nell'armadio a specchio.
Un altro rumore ruppe la calma della casa, la tensione crebbe nella stanza.
Jimin le mimò un "Resta qui", il viso tirato le diceva che non era una richiesta, ma un ordine.
Non le tremavano le mani, Jimin le aveva fatto scuola su come mantenere la calma in certi momenti, ma fu il suo cuore a tremare quando vide il suo ragazzo uscire dalla camera a passo felpato. Le sembrò di essere tornata a quando non si vedeva per giorni, occupato in delle vere operazioni che miravano a far uscire allo scoperto gente pericolosa.
Da come aveva preso in mano la situazione con una calma eccessiva, capì che Jimin fosse abituato a stare in prima linea. Questo la rendeva fiera, ma anche a disagio con quella parte del lavoro del suo fidanzato.
Nella mente di Jimin non c'era posto per le domande, controllò ogni camera del piano superiore, appostandosi negli angoli più bui per non essere visto, ma chiaramente lì non era presente nessuno.
Scese così le scale, la mente sgombera da qualsiasi futile pensiero, doveva prima di tutto assicurarsi che ogni cosa fosse al proprio posto e che nessuno fosse presente in casa oltre loro. Poteva anche essere stato il loro gatto Munje, ovvero "Guai", quel gattone bianco a chiazze rosse che Galia si ostinava a far mangiare sempre.
Ma quando il rumore di piatti scossi lo raggiunse, il dubbio si dissipò, quello non poteva essere un gatto troppo vivace.
Portò la pistola al viso, preparandola preventivamente allo scontro. Giunse al solotto di casa, e proprio lì sul divanetto era mollemente disteso Munje, per nulla turbato dai rumori molesti. Sospirò leggermente scuotendo la testa, era strano... solitamente quel gatto non apprezzava gli estranei ed era violento con chiunque tentasse un approccio amichevole.
La cosa gli puzzava.
Mise un piede davanti all'altro, cercando di non segnalare la sua presenza, notò che la porta di ingresso era perfettamente chiusa, sembrava non aver subito un'apertura forzata e l'allarme non era scattato.
Leccò leggermente le labbra secche, pensando che l'estraneo fosse un osso duro, proprio come lo era lui.
Si fermò prima di entrare effettivamente in cucina, prese un profondo respiro, ricordandosi mentalmente di non fare mosse troppo avventate, dato che in casa era presente pure la sua ragazza e non poteva permettere che il tizio arrivasse al piano di sopra. I rumori seppur continui dimostravano che all'interno ci fosse solo una persona, inoltre non sentiva le voci di nessuno.
Tese le spalle in preparazione, e poi ruppe la quiete gettandosi all'interno della stanza illuminata.
«POLIZIA! MANI IN ALTO E METTITI IN GINOCCHIO!» urlò con fare aggressivo, puntò la canna della pistola contro la figura estranea di un uomo che dava le spalle, l'uomo in questione sobbalzò con forza, strillando.
Jimin aggrottò le sopracciglia, non aveva mai sentito un ladro o un assassino gridare in quel modo.
«Ho detto di alzare le mani, ginocchia a terra! Che c'è, non senti?!» ringhiò, forse aveva a chè fare con qualcuno di molto testardo... o stupido.
La figura fece come gli era stato detto, portava una felpa larga color cachi, con dei jeans a vita bassa all'apparenza comodi, inoltre ai piedi aveva delle ciabatte rosa, perché un ladro dovrebbe avere-?
«Spero che tu sappia cosa stai facendo, coglione!» sbottò lo sconosciuto e Jimin sgranò gli occhi.
Non era un ladro, non era un assassino e tantomeno uno sconosciuto.
Kim Seokjin si voltò col fuoco negli occhi, era visibilmente nervoso a causa dell'arma che gli veniva ancora puntata addosso, ma dimostrava ancora di avere un orgoglio dopo aver strillato in quel modo.
«J-Jin?» ecco perché Munje non aveva reagito, perché avrebbe dovuto fare a fette l'uomo che l'aveva salvato e portato a Galia?
«Sì. Io. Lo stesso Jin che è anche tuo cognato, idiota!».
Dei passi veloci arrivarono presto alle loro orecchie.
«Jin!» esclamò Galia, sorpresa e grata di vederlo lì, al posto di una persona pericolosa. Vide che Jimin non accennava ad abbassare la sua pistola e lo raggiunse, abbracciandolo.
«Amore, potresti non minacciare mio fratello con quella pistola?» Jimin rilassò di poco l'espressione del viso, sbattendo leggermente le palpebre, era sempre così, gli ci voleva un po' per tornare al suo stato mentale quieto. Mise lentamente giù l'arma e Seokjin sospirò, poi si rivolse alla sorella.
«Amore? Mi ha quasi fatto prendere un colpo!» sbuffò, guardandola come se avesse detto qualcosa di ridicolo.
«Quasi...» borbottò il biondo di pochi centimetri più basso dell'altro.
Era chiaro che tra i due non scorresse buon sangue.
Forse era cominciato tutto quando Galia gli presentò Kim Seokjin la prima volta, durante la cena un calice colmo di vino rosso finì tragicamente sui pantaloni nuovi di Jimin. Non lavorava ancora come agente, si limitava a studiare le basi per poi fare qualche lavoretto part-time dopo scuola.
Quello era stato il suo primo completo elegante, comprato dopo mesi di striminzite paghette e lavoretti fisici che pagavano meno della fatica provata. Ma avrebbe speso tutti i suoi risparmi per fare buona impressione alla famiglia di Galia.
Da quello che la ragazza gli aveva detto, suo fratello maggiore era un ragazzo dolce ed educato, molto amichevole e sempre pronto ad aiutare, ma in qualche modo quella sera attirò su di sé la gelosia di quel ragazzo descritto così per bene, ma che a Jimin mostrò il suo lato più satanico.
Il ragazzo dalle spalle larghe si scusò con lui per quella svista, ma Jimin vide quel sorrisetto diabolico, che preannunciava la guerra silenziosa che ormai da otto anni si svolgeva ogni qual volta fossero nella stessa stanza.
Kim Seokjin lo odiava, amava sua sorella così profondamente che si era convinto che uno come il biondino non le avrebbe mai dato la piena felicità che lei meritava.
Jimin, ovviamente, non accettava mai quei commenti velenosi, tra i due scoppiavano quasi sempre liti.
«Ma guardalo, spera ancora di sotterrarmi un giorno» sghignazzò Jin, mentre un sorriso ironico cresceva sul viso di Jimin.
Galia li guardò severamente «Per favore, non ricominciate...».
«Perché parli al plurale?» chiese il suo ragazzo con fare scontroso «Si è introdotto in casa nostra senza permesso! Era mio diritto sparargli e-» si bloccò, girandosi verso il cognato «Come cazzo hai fatto ad entrare?».
Seokjin sorrise con fare irritante «Con le chiavi, genio» dalla tasca tirò su un paio di scintillanti chiavi nuove.
Jimin lo fissò stupito, poi si voltò verso Galia che sorrise colpevole.
«Perché quel tipo ha le chiavi di casa nostra?».
«Ehi! Il tipo è suo fratello maggiore» si impose Jin con petto in fuori, poi passò a Galia «Vedi? E' una persona orribile, non vuole che ci frequentiamo! Oggi è il tuo giorno libero, sono passato per stare un po' con te» si imbronciò, Galia rimase senza parole.
Seokjin non smetteva mai di lavorare nei giorni comuni, era raro che lasciasse i suoi affari così facilmente per dedicarsi a qualcosa di più normale, come la famiglia... questo lo rendeva piuttosto simile a Kim Senior, loro padre.
Galia lanciò un'occhiata nervosa a Jimin, avrebbero dovuto passare la giornata insieme, come una coppia finalmente. Infatti Jimin le stava mandando un chiaro messaggio d'avvertimento con gli occhi. Poi tornò a Seokjin, le stava sorridendo così amorevolmente... totalmente ignara che il biondo più alto avesse avuto intenzione fin dall'inizio di rovinare la loro giornata.
«N-Non sarebbe così male passare la giornata noi tre insieme, giusto?» domandò a bruciapelo.
Jimin rimase sconvolto.
«Cosa?! No! Oggi era solo per noi due, non abbiamo bisogno del terzo incomodo» ringhiò stringendo le mani, nella sua mente mille scenari dove prendeva a pugni quella faccia di merda che ora stava ricambiando il suo sguardo con un occhiolino.
Galia aprì la bocca per provare a convincerlo con calma, dopotutto erano veramente poche le uscite fatte con suo fratello negli ultimi mesi, ma Jin la batté sul tempo.
«Spiacente, nanerottolo, ormai sono qui e non mi schioderò per nulla al mondo» asserì convinto.
Seokjin sapeva benissimo che per Galia fosse difficile dirgli di no, e questo sicuramente avrebbe provocato un litigio nella coppia proprio a causa del carattere esplosivo del ragazzo più giovane.
Non gli era mai piaciuto Jimin, lo vedeva come un povero sempliciotto che non sarebbe mai andato troppo lontano con la sua carriera.
Galia meritava di più e Seokjin lo avrebbe dimostrato.
«Vatti a vestire, sorellina, ti porto a fare shopping. Ovviamente pagherò io ogni cosa» le disse, gli occhi di Galia si illuminarono. Seokjin faceva sempre ciò che diceva, quindi non le fu difficile credergli.
Jimin era ancora rigido al suo posto, Seokjin lo squadrò con fare disgustato «Mettiti qualcosa addosso anche tu, sto per vomitare la colazione».
«Compri tua sorella con i vestiti, Kim? Sul serio? Non sarà questo ad allontanarla da me» gli fece sapere il più giovane con fare aspro, ma Seokjin non sembrò scosso da quelle parole.
«E' solo il mio modo di coccolarla, Park... da quanto tu non lo fai?» lo provocò.
«Perché cazzo l'hai così tanto con me? Dall'inizio, e nemmeno mi conoscevi!» sbottò.
Seokjin rimase a fissarlo duro, ne aveva tante di cose da dirgli, ma quello non era il posto o il momento adatto. Certo, un giorno gli avrebbe vomitato addosso ogni cosa, voleva vederlo rimpicciolirsi ad ogni sua parola, eliminare dalla sua faccia fintamente adorabile quell'espressione insopportabilmente arrogante e sicura.
Lo odiava, dannazione.
«Sei così in basso che non meriti una spiegazione» rispose con sarcasmo.
Jimin non disse nulla, dato che quel pallone gonfiato era così in basso da non meritare risposta, prese posto al tavolo e per almeno quindici minuti si fissarono in cagnesco, mantenendo comunque uno scomodo silenzio, rotto solo dagli innumerevoli sbuffi di Seokjin.
Galia alla fine scese vestita con un abitino bianco dai ricami celesti, le scarpe erano delle graziose zeppe alte che slanciavano la figura della ragazza, con un cinturino abbinato al vestito, tutto sembrava fatto per mettere in risalto la luminosità naturale della sua pelle. I capelli scuri invece furono lasciati liberi sulle spalle, entrambi i ragazzi la guardarono meravigliati, e Seokjin con soddisfazione notò che al polso portava il braccialetto d'oro bianco che le aveva regalato per il compleanno qualche anno prima, anche se non fu contento di vederci abbinato l'anello di fidanzamento.
«Possiamo and- Oh! Jimin, sei ancora così?» Galia sapeva quanto desse fastidio al suo fidanzato la presenza del cognato, ma come poteva buttare fuori di casa Jin solo perché a lui non piaceva?
«Non mi pare di essere salito in camera con te» disse scontroso «Comunque hai fatto presto, com'è che con me ci stai anni a prepararti mentre appena senti il suo nome diventi un fulmine?» dopo averlo chiesto salì in camera a vestirsi, lasciando Galia imbarazzata, ma anche irritata.
Dannazione, era una semplice uscita! Quando ci metteva tanto era per sorprendere il suo fidanzato e di certo non avrebbe impiegato la stessa cura per il fratello. Ma questo il biondo sembrò non capirlo.
«Si sta comportando come un bambino» disse cupo Jin «Che diavolo ci hai visto in lui?».
Galia scosse la testa, sfinita. Non era la prima volta che Jin glielo chiedeva.
«Qualcosa che non hai visto tu, Jin... per favore, non provocarlo come fai sempre, okay la regola del fratello che deve mettere alla prova il ragazzo della sorella, ma sono passati otto anni e Jimin mi rende felice» rispose dolcemente.
Seokjin sbuffò appoggiando la schiena contro il bancone della cucina, voleva far trovare la colazione in tavola a Galia, ma quello stupido aveva rovinato la sua sorpresa.
Un leggero miagolìo si fece largo nella stanza, Jin sorrise alla vista del gattone che un tempo era solo un minuscolo micetto all'angolo di un vicolo freddo e buio.
«Ehi, Munje!» esclamò contento, si calò per grattare gentilmente la testolina dello splendido felino, il quale accettò volentieri le cure del suo salvatore.
«Ti vedo in forma, amico. Galia ti tratta bene, eh?» il micio cominciò a fare le fusa sotto quelle attenzioni, alzando la coda vibrante.
«Credo abbia fame!» si affrettò la ragazza, aprendo lo sportello della cucina che conteneva tutto ciò che serviva al gatto, prese le crocchette comprate appena un giorno prima e riempì la ciotola.
Jin lanciò un'occhiata cauta alla sorella, la ciotola era ancora mezza piena in realtà. Il gatto poteva benissimo mangiare quelle crocchette prima di riceverne altre.
«Non starai esagerando?».
Galia si bloccò «Ma ha miagolato... significa che ha fame, no?».
Jin guardò Munje allarmato, era ancora in forma, ma ben presto avrebbe superato il suo peso idoneo se non avesse fermato quella macchina di cibo istantaneo.
«Tesoro, i gatti miagolano per qualsiasi cosa, specialmente Munje» ridacchiò, avvicinandosi alla sorella.
Le tolse il pacco del cibo dalle mani e ristabilì la giusta dose da dare al gatto.
«Ma Jin...» cominciò, contrariata.
«Niente "ma"! Se lo ami cerca di fare come ti dico io, okay?».
La giovane sospirò, sarebbe stata dura, ma avrebbe cercato di ascoltare suo fratello maggiore. Dopotutto lui aveva molta più esperienza di lei con gli animali.
«D'accordo, hai vinto» si arrese, ma non mise in conto Jimin alle sue spalle vestito in modo sportivo per l'uscita.
«Wow, ci voleva il tuo fratellone per farti capire che quel gatto ha bisogno di una dieta bilanciata?» fece sarcastico, chiaramente non aveva intenzione di chiudere la discussione.
Ma la ragazza non colse la provocazione.
Alzò gli occhi al cielo e si diresse verso la porta di casa con un Jin ghignante al seguito. Jimin ringhiò rabbioso, bene, ora doveva anche accollarsi la colpa di tutto, quando era stato per primo il cognatino a dare inizio al suo malumore.
Ciò che non poteva immaginare a causa del suo carattere orgoglioso, era che Galia dentro di sé si stesse pentendo.
Non ci aveva ragionato su molto, aveva rivisto Jin ed era esplosa di felicità, ma con Jin poteva sempre trovare un giorno libero per vedersi, con Jimin non era così facile. Il suo lavoro non gli permetteva di essere libero quanto voleva, ed ogni momento passato insieme era prezioso. Strinse gli occhi, il disagio la avvolgeva mentre entrava in ascensore con i due uomini, la tensione era palpabile e lei stava proprio in mezzo come un separatore di fuochi.
Cedendo al senso di colpa allungò piano una mano verso il polso del fidanzato, voleva fargli capire che non era davvero arrabbiata, ma Jimin non sembrava dello stesso avviso. Tolse di scatto il braccio dalla sua presa con fare nervoso.
Dalla sua parte, Jin osservò tutto esultando dentro di sé.
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 «Bene, Signore. I preparativi sono quasi del tutto ultimati, mancano solo i bambini che presto parteciperanno al vostro evento educativo».
Namjoon annuì alle parole della sua segretaria, per l'uomo occasioni simili erano ottime per trovare possibili investimenti, inoltre lo riempiva d'orgoglio essere riconosciuto come una persona da cui prendere esempio, pubblicamente parlando si intende.
«Ah... ehm, Signore?» la voce della donna si fece di colpo più timida «Ha chiamato il Signor Kim poco fa, ha detto che se vuole raggiungerlo durante la pausa pranzo lo trova al bar SugarSugar, è con una persona che vuole farvi conoscere».
L'uomo si ritrovò ad alzare gli occhi al cielo «Perché non mi chiama come qualsiasi persona normale, e perché proprio in un bar fatto apposta per studenti e coppiette?» si chiese svogliato, poi lanciò una strana occhiata alla ragazza che nervosamente stava di fronte alla sua scrivania. Jessie sembrava andare in tilt ogni qualvolta si parlasse di quel tizio.
«Chiamalo e digli che sarò lì tra-» fece per dire, Jessie sembrava già pronta a mettersi all'opera, quando una terza persona entrò nel suo ufficio senza avvisare.
«Chiamare chi, Namjoon?».
L'uomo si alzò di scatto dalla sedia girevole, osservò sorpreso la donna di mezza età che lo guardava sorridendo leggermente. Indossava un abito formale da ufficio e portava i capelli stretti in una crocchia rigida, come era di moda nelle donne importanti di una certa età.
«Madre, è un piacere vedervi qui» disse il ragazzo senza particolare calore emotivo, aggirò l'ostacolo della scrivania per baciare dolcemente la mano di colei che lo aveva messo al mondo «Ma non vi aspettavo, come mai siete venuta fin qui?» la donna ridacchiò alla nota severa nel tono del figlio, scosse la testa con fare civettuolo.
Namjoon con un gesto della mano mandò via la sua nervosa segretaria, mentre sua madre prese a gironzolare per l'ufficio.
«Una madre è obbligata ad avvisare prima di andare a trovare il suo bambino che non vede da tanto?».
Namjoon sospirò leggermente «Sì, se il lavoro del figlio è di dubbia moralità, madre».
La donna sorrise con affetto, sfiorando con la piccola mano la guancia del suo primogenito «Tale e quale a tuo padre, sei proprio sangue del suo sangue e su questo non ci sono mai stati dubbi» poi la sua espressione si fece più seria «Ma vorrei parlarti di una cosa il prima possibile e chiunque ti abbia chiamato vorrei che fosse avvisato del tuo impegno improvviso, pranza con me, Joonie» sospirò al nomignolo dato, odiava essere chiamato in quel modo, ma era sua madre e non poteva dirle nulla in merito; così annuì in accordo.
«Dirò a Jessie di avvisare quella persona» prese immediatamente la cornetta componendo il numero della sua segretaria e una volta sistemato il piccolo inconveniente si diresse alla porta porgendo un braccio alla madre con fare educato.
La donna gli sorrise riconoscente, ma la preoccupazione si spingeva prepotentemente nella sua testa.
«Non mi hai ancora detto di chi si trattava» Namjoon sospirò leggermente.
«Non è il caso che tu lo sappia».
«Namjoon, dovresti smettere di proteggermi, conosco questo mondo da molto prima che tu nascessi».
"Credetemi, Madre... non è quello il motivo che mi spinge a non rivelarvi la sua identità" pensò in risposta, consapevole che la madre non avrebbe smesso di tormentarlo una volta saputo il nome.
Per farsi perdonare portò la donna al suo ristorante italiano preferito, un tempo pranzavano lì quando Namjoon era solo un giovane bambino troppo ingenuo per sapere a cosa era destinato. Prontamente ordinava sempre una porzione abbondante di deliziose lasagne, stavolta si limitò ad una semplice e veloce insalata di pollo e la signora Kim fissò tristemente quel piatto.
«Mangerai solo quello?».
L'uomo finse di non aver udito quella domanda, si limitò a bere dell'acqua. Il motivo comunque era chiaro, non si trattava più di un bambino che doveva solo pensare a non sporcarsi i vestiti di salsa. Ora era una persona adulta e impegnata che doveva fare tutto velocemente per non vedersi soffiare da sotto il naso possibili clienti.
Parlarono del più e del meno, Namjoon si tenne sempre sulle sue, non volendo dare alla donna modo di impicciarsi troppo dei suoi affari, quindi finse di interessarsi quando ella raccontò del suo tentativo di convincere il marito ad organizzare un'altra vacanza simile alla loro luna di miele.
Ovviamente tutto ciò non quadrava, Seoyon non era solita raccontare di certe sciocchezze quando si trovava con la sola compagnia del figlio maggiore, sfruttava quei momenti per indagare la sua vita privata e quel giorno, invece, si stava notevolmente trattenendo.
«Non credo che tu sia venuta fin qui per raccontarmi di come vuoi convincere mio padre ad andare in vacanza, dico bene?» sospirò leggermente, osservando distrattamente il suo bicchiere. Non beveva mai alcool in presenza di normali civili, voleva mantenere la sua immagine il più pulita possibile.
«Non sei affatto divertente figlio... Comunque» continuò sua madre «Ho parlato a tuo padre di una questione che mi preme da molto tempo, e si è detto d'accordo con me al riguardo, ovviamente nn c'entra nulla la vacanza di cui ti ho parlato».
Namjoon rimase con la forchetta a mezz'aria, un piccolo e sgradevole sospetto lambì la sua mente.
Era ovvio che fosse lì per ben altro, conosceva troppo bene quello spirito pericoloso e ardente che lo aveva cresciuto tra regole ferree e sguardi glaciali.
«Te la farò veloce, tesoro... Entrambi siamo convinti che sia ora che tu prenda moglie».
Namjoon posò delicatamente la forchetta sul bordo del piatto. Incapace di credere a cosa aveva appena sentito, ma comunque mantenendo una certa dose di calma. Non gli sembrò il caso di adottare il suo atteggiamento stronzo con la genitrice.
«Non credo di aver capito bene».
«Figliolo, hai capito benissimo».
Come avrebbe dovuto reagire? Non voleva una moglie, sarebbe solo stata un peso in più nel suo lavoro. Perciò scosse la testa, deciso a non chinare il capo all'ennesimo capriccio di sua madre.
«Sono un uomo molto impegnato, Madre. Una moglie al momento sarebbe troppo da gestire per uno come me e, senza offesa, non credo neanche di essere tagliato per un ruolo simile».
«Tutte sciocchezze, anche tuo padre non si credeva adatto eppure guardalo ora, ha una moglie e due figli».
Io non sono lui, voleva urlarlo al mondo intero, era peggio di suo padre. Una pallida imitazione che si era trasformata in qualcosa di mostruoso nel corso della sua preparazione.
«Non prenderò una moglie solo perché voi siete certi che sia il momento giusto per me. Dovrei essere io a decidere, no?» sbottò cocciuto «E che mi dite di Taehyung? Dal mio punto di vista lui sarebbe perfetto in veste da matrimonio».
Ovviamente era una stronzata, sua madre infatti impallidì al nome del figlio più giovane. Aveva tentato in vari modi di domare quel ragazzo, finendo alla fine per essere lei stessa domata da quel carattere troppo capriccioso e a tratti insensibile. Aveva imparato ad ignorare le scorribande di Taehyung, senza però accettarle.
«Non scherzare su questo, Namjoon. Taehyung non prenderà mai il posto di vostro padre, non è adatto mentre tu sì. Sei nato per questo, ma una conseguenza del posto che ti spetterà sarà avere un erede a cui passare tutto, e per avere un erede devi anche sposarti... tuo fratello è un donnaiolo e purtroppo mi sono arresa all'idea che tutti i figli che avrà saranno degli illegittimi sparsi per l'intera Seoul...».
Un sorriso cattivo si aprì sul bel viso «Solo in tutta Seoul, Madre?» rigirò il pugnale nella ferita, e la Signora Kim lo fulminò immediatamente, ma a Namjoon non importò, troppo vividi i ricordi dove era obbligato a studiare senza avere distrazioni e intanto Taehyung correva in giro per casa con un giocattolo sempre più nuovo e costoso.
«Non scherzarci, tuo fratello mi manderà dritta al manicomio se non smetterà di irretire ogni donna che incontra, per me e tuo padre è molto importante che almeno tu segua le regole della nostra società. Hai sempre dato il meglio, non farti venire dubbi per una cosa del genere».
Il ragazzo allontanò da sé il piatto, ormai privato della poca fame che aveva. Chiuse gli occhi, riflettendo sulle parole della donna, lavorava nell'organizzazione della sua famiglia da una vita, aveva combattuto come un matto per prendere un giorno il posto del padre e benché la differenza di età con suo fratello fosse minima, caratterialmente erano opposti.
Lasciare un simile ruolo a Taehyung era da folli, e per tenersi stretto quel posto doveva sposarsi. Un'occhiata a sua madre e capì che non c'era via d'uscita. Eppure non voleva sottomettersi troppo presto.
«Quanto tempo ho per decidere o trovare un compromesso?» chiese tranquillamente.
Ma Kim Seoyon non sembrava voler demordere «Non sto dicendo che dovrai sposarti oggi o domani, ma neanche che scenderemo a compromessi, Namjoon. Avrai anche la possibilità di sceglierla».
«Oh, ma grazie mille» sghignazzò in risposta.
«Ma nel caso tu non volessi deciderti, ho già una mia lista di possibili candidate» asserì.
«Interessante, Madre, ma non penso che avrete tanta libertà riguardo questa faccenda».
L'idea di sposarsi non lo faceva impazzire, ma non avrebbe lasciato a qualcun altro il compito di scegliere per lui.
«Allora dimostra a me e a tuo padre che sei diventato un uomo».
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«Seriamente, questo tizio mi farà crepare dalla rabbia!» sputò velenoso Seokjin, sotto gli occhi curiosi di Galia e Jimin.
«Presentamelo, vorrei stringergli la mano solo per averti ridotto così» ridacchiò ironico il ragazzo leggermente più basso, compiaciuto nel vedere il cognato rosso in viso per la furia. Galia invece sospirò stancamente, sperava non ricominciassero a litigare come quella mattina.2
Ma Seokjin non gli stava prestando attenzione, fulminava il suo cellulare, continuando a digitare lo stesso numero maledetto.
«Risulta sempre spento! Come fa ad averlo spento se il suo lavoro PRETENDE che resti acceso? Mi ha bloccato?!».
«Jin, per favore... non fare così» mormorò la sorella con tono calmo, gli carezzò una spalla per spingerlo a guardarla e sorrise rassicurante.
Jimin inghiottì il nodo che gli salì in gola, ancora arrabbiato con la sua ragazza per quel trattamento di favore. Cominciò a bere il suo caffè macchiato per zittirsi ed evitare quindi qualsiasi nuova discussione con lei, ma di certo una volta tornati a casa si sarebbe sfogato di tutto. Dalla giornata storta a quella mancanza d'attenzione a favore di quel piccolo stronzetto riccone.
Nel bar l'aria era pregna di odori zuccherini e caffè, l'intero spazio era accogliente grazie ai colori caldi delle pareti e i piccoli tavolini per massimo quattro persone, lo spazio inoltre era pieno di studenti e coppiette che sussurravano... sarebbe stato fantastico venire lì solo con la sua fidanzata e non con l'aggiunta di quel corvaccio sbiadito del fratello.
«Volevo davvero fartelo conoscere, sorellina... Oggi ho chiamato pure in orario e poteva tranquillamente raggiungerci, me lo ha detto la sua segretaria» piagnucolò sulla spalla della giovane con fare infantile.
A quel punto Jimin si infastidì sul serio «Perché saresti così ansioso di farle conoscere questo tuo collega e amico?» domandò scontroso e con sospetto.
Quel tipo ne stava combinando un'altra delle sue, sicuro al 100%.
«Senti, Park! Non ti impicciare, io posso farle conoscere chiunque mi venga in mente e-».
«E adesso basta!» esclamò Galia, irritata dai continui battibecchi di quei due «Siete una compagnia terribile, non né posso più di ascoltarvi litigare, siete come due bambini con problemi di attenzione! Io vado a fare shopping da sola, voi due potete andare a fare altro, ognuno per la sua strada».
I due ragazzi fissarono sbigottiti l'uscita di scena della donna, increduli che possa essere accaduto realmente.
«Hai visto cosa hai fatto, nano con problemi di rabbia?!» ringhiò Jin con occhi fuori dalle orbite.
«Senti, riccone di 'sto cazzo, oggi doveva essere un giorno meraviglioso per me e la mia ragazza, invece hai rovinato tutto con la tua tossica presenza. Smettila di stare attaccato al culo di tua sorella quando in giro ci sono anch'io!».
Si guardarono negli occhi per degli istanti interminabili, tutti si erano girati a fissarli straniti, era raro vedere qualcuno litigare in quel posto ed era chiaro che stessero dando spettacolo. Un pessimo spettacolo e se Jimin cominciava a sentirsi in imbarazzo, Seokjin non sembrò dello stesso avviso.
«Park, ti sopporto da anni e non sono più disposto a tollerarti, stai durando da troppo tempo e credo proprio sia arrivata l'ora di far aprire gli occhi a Galia» comunicò con serietà, abbandonando la maschera del fratello divertente ora che la ragazza non era più presente.
Jimin spalancò gli occhi, possibile che quel tizio lo odiasse così tanto?
«Che razza di problemi ti affliggono, Kim? Io non ho mai avuto nulla contro di te prima che cominciassi a trattarmi in quel modo e l'unica cosa che chiedo è che tu ti faccia gli affari tuoi, non impicciarti nella nostra relazione e fatti una vita tua, ne hai assolutamente bisogno» sibilò Jimin in risposta, alzandosi bruscamente dalla sedia, con lo scopo di inseguire Galia per chiarire le cose tra loro.
Jin rimase lì con uno sguardo cupo e per niente innocente. Doveva agire al più presto.
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Galia osservò concentrata la vetrina di un negozio di libri, amava leggere e immergersi nelle storie di nuovi personaggi, per lei era come vivere diverse vite ad ogni nuova storia scoperta.
Stava giusto ispezionando la copertina di un nuovo e recente Best Seller intitolato "Dietro i suoi occhi", ancora una volta constatò che il libro più venduto del mese apparteneva alla Casa Editrice KNUS.
Non era la prima volta che leggeva quel nome e a dir la verità in casa aveva già tre libri appartenenti al progetto del suo fondatore; erano tutti racconti horror, l'uomo sembrava amare particolarmente il genere anche se non scriveva personalmente lui i testi, come già ampiamente specificato dallo stesso CEO, era troppo occupato, quindi lasciava fossero alcuni autori di talento a sviluppare le sue idee. Chiedeva solo una percentuale del guadagno, il resto rimaneva allo scrittore.
La ragazza non capiva che gusto ci trovasse quell'uomo a dare via delle idee così geniali, le trame erano originali e il carattere dei protagonisti sempre più ammaliante. Più che storie, sembrava di leggere un insieme di biografie che componevano un unico personaggio, magnetico nella sua intelligenza e brutalità.
I dettagli erano così minuziosi che il dubbio che fosse tutto reale era sempre sopraggiunto nella testa della donna. Ma questo non le aveva mai impedito di divorare con gli occhi ogni singola parola.
Proprio per questo entrò nel negozio, decisa a comprare anche quel libro esposto in vetrina in modo abbastanza egocentrico.
Venne accolta dall'odore di carta appena stampata e pulito, le luci erano al massimo e proprio per questo non le parve difficile leggere con chiarezza i vari titoli, oltrepassò il bancone da cui dietro sbucava un vecchietto che stava organizzando dei documenti e si recò dove credeva fossero ordinati e riposti tutti i libri di genere Thriller/Horror.
Respirò a pieni polmoni l'aria, quel particolare profumo di carta le rilassava la mente, solo così poteva smettere di pensare momentaneamente a Jimin e Seokjin.
Vedere e sentire quei due discutere le arrecava un enorme dolore, erano gli uomini più importanti della sua vita, voleva che andassero d'accordo e invece passava ogni singolo momento in loro compagnia a dividerli prima che si mettessero le mani addosso.
E se da una parte era chiaro che tutto cominciasse da Jin, non poteva tollerare che Jimin – un uomo adulto, un agente delle forze dell'ordine – si lasciasse andare a sua volta.
Doveva chiarire con il biondo tra le altre cose, sospirò stancamente. Lo amava tanto, ma delle volte si comportava come un bambino impossibile da gestire, e lei con i bambini ci lavorava!
E dire che quella mattina si era sentita da favola tra le sue braccia, pensò mentre finalmente arrivò a destinazione e vide chiaramente il libro in testa alle classifiche più popolari; allungò la mano per prenderlo, constatando con disappunto che il volume fosse troppo in alto, provò ancora una volta mettendosi sulle punte e maledì l'assenza di Jimin che in quel caso le sarebbe stato molto utile, ma ecco, si ricordò che era stata lei a non lasciarlo venire... aveva di certo una parte di colpa in tutta quella situazione, non poteva addossare tutto a Jimin o a Jin. Fu proprio in quel momento di amarezza che una figura molto più alta di lei si accostò al suo fianco, una mano grande ed adornata da costosissimi anelli acciuffò il voluminoso insieme di pagine nuovissime.
Galia fissò senza parole quella stessa mano che portò il libro all'altezza del suo naso.
«Cos...?» disse, completamente spaesata.
Una bassa risata risuonò tra gli svariati e colmi scaffali, alzò lo sguardo verso la fonte di quel morbido suono, ed incontrò un paio di sottili e attraenti occhi color onice. Si sentì fulminata dalla bellezza esplosiva dell'uomo che le aveva appena fatto il favore di prendere il libro, posto troppo in alto per la sua altezza minuta. I suoi occhi schizzarono ovunque, dalle labbra carnose e morbide ai particolari capelli malva, all'apparenza soffici e lucidi. L'uomo sorrise gentilmente, mettendo così in mostra delle fossette assolutamente illegali. Vestiva con un completo elegante nonostante in giro si vedessero solo ragazzi e ragazze con vestiti casual e questo la colpì ancora di più.
Sembrava il personaggio particolare di una storia.
«Mi scusi l'intromissione, ma sembrava un po' in difficoltà» bastò una semplice frase per farle battere il cuore in modo più veloce del normale, e tutto ciò era ridicolo. Ma l'uomo sembrava avere una faccia familiare, oltre che terribilmente attraente.
«L-La ringrazio» soffiò leggermente, prendendo tra le proprie mani l'oggetto del desiderio, notò che stavano tremando e si innervosì per quella reazione eccessiva.
Che diamine le prendeva così all'improvviso?
Namjoon dal suo canto non capì cosa lo avesse spinto ad aiutarla, ancora nervoso dopo l'incontro con sua madre era letteralmente scappato dal ristorante con una scusa, andando in giro per cercare di calmarsi.
Era entrato nella libreria solo per crogiolarsi nel piacere di vedere un'altra delle sue opere prime in classifica, all'interno aveva notato il proprietario intento a sistemare dei titoli, l'anziano sollevò gli occhi e attraverso gli occhiali a mezzaluna notò immediatamente il suo ricco cliente abituale, esclamò un saluto caloroso nella sua direzione, ma Namjoon non ricambiò, attratto come una falena dalla luce, aveva visto la giovane ragazza alle prese con il suo libro. Fu naturale per lui muovere quei passi verso quella piccola e sofisticata figura.
Era bella, bella come un angelo caduto nel mondo dei vili mortali.
Si tuffò volentieri in quei suoi grandi occhi da cerbiatta scuri, sorridendo compiaciuto quando notò l'effetto che il suo aspetto fisico sembrava farle.
«E' appassionata del genere?» mentalmente si diede un ceffone, perché voleva intavolare una conversazione con una perfetta sconosciuta?
La bellezza straniera sembrò risvegliarsi improvvisamente dai suoi pensieri, era sicuro parlasse la sua lingua, altrimenti perché comprare un libro così intricato in lingua totalmente coreana? Su questo era sicuro di non sbagliarsi e infatti ebbe ragione. La donna rispose, e l'uomo si sentì inebriato dalla sua dolce voce, l'accento inoltre era praticamente perfetto.
«S-Sì, amo i libri che narrano storie di personaggi con una mente così complicata e magnetica, e questa casa editrice ha dato vita a molti dei miei racconti preferiti» rispose timidamente, ma con un pizzico di passione che le brillava nelle iridi e questo a Namjoon non sfuggì. Fissò il nome della sua casa editrice e un senso di orgoglio egoistico si fece spazio nel suo petto.
Annuì compiaciuto in direzione della sconosciuta «Sono certo che andando sempre più avanti continuerà a non deluderti» le riservò un piccolo occhiolino e così come era venuto, tornò sui suoi passi, lasciando Galia a metabolizzare per bene quel breve, ma intenso incontro. Di certo non avrebbe dimenticato lo sguardo attraente e l'aria tremendamente sicura di quell'uomo.
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 Il cellulare continuò a squillare nella tasca dell'uomo, Namjoon sbuffò sonoramente e finalmente si decise a prenderlo.
Continuò a camminare indisturbato verso la sua macchina, si stava facendo buio ed era calato un po' di fresco, ma questo non sembrò disturbarlo granché.
Aprì l'auto una volta prese le chiavi ed entrò, l'interno lo accolse silenzioso e fissò lo schermo, indeciso se rispondere o meno a "Tizio Kim". Consapevole che non avrebbe smesso sbloccò la chiamata e rispose.
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<<Questo è stalking, ti potrei denunciare>> disse svogliato, stava ricevendo quelle chiamate da ormai tutto il giorno, era snervante.
<<Io invece ti potrei anche abbandonare e non fare più affari con te! Hai idea da quanto tempo provi a contattarti senza successo? Avevo bisogno di te!>> strillò la voce maschile dall'altro lato del telefono, Namjoon strinse gli occhi infastidito.
<<Beh, sei vivo. Quindi non avevi così tanto bisogno di me>> rispose iniziando a mettere in moto, mise il telefono in vivavoce e lo poggiò sul cruscotto.
<<TU! Argh... okay, lasciamo perdere. Tanto non cambierai mai questo tuo carattere di merda, è inutile che mi arrabbi... anche se vorrei tanto spaccarti quella tua cazzo di faccia! Sai che in una recente rivista hanno detto che sei il CEO più affascinante? Dove cazzo li hanno gli occhi?!>> il giovane in ascolto alzò gli occhi al cielo, solo quel pallone gonfiato avrebbe perso tempo prezioso per leggere una rivista ignorante e superficiale.
<<Se hai finito riattacco, sto guidando e non vorrei andare fuori strada per colpa di una perdita di risorse come te>> disse tremendamente cattivo, l'altro emise un suono strozzato e allibito.
<<Non essere cattivo con me! Ho una proposta da farti... e potrebbe interessarti>> un sopracciglio di Namjoon scattò verso l'alto, interessato ma al tempo stesso infastidito da quella stessa persona che lo stava tormentando da una vita ormai.
<<Ti ascolto...>>.
<<C'è questo tipo... sta con mia sorella da anni, ricordi mia sorella Galia, no?>> la ricordava vagamente, ma all'epoca era poco più di un ragazzino impegnato ad imparare i trucchi del mestiere del padre, non aveva tempo per le ragazze, non che ora fosse così diverso.
<<Non molto in verità>>.
<<Non molto? Namjoon, avevi perso la testa per lei!>> l'uomo strinse gli occhi, non ricordava nulla di tutto ciò, tantomeno il viso della ragazza in questione.
<<Senti, Seokjin. Non ho nulla contro tua sorella, ma non ricordo niente, a malapena so come sono sopravvissuto quando mi misero in mano la mia prima pistola e poi dritto ad un incontro finito male>> ed era vero, non ricordava quasi nulla della sua adolescenza, solo quel tanto che bastava per lavorare e non sbagliare mai.
<<Non importa, perderai di nuovo la testa quando la incontrerai e mi leverai dal cazzo il suo attuale fidanzatino. E' un Detective, ma soprattutto un coglione e sono certo che non arriverà nemmeno troppo lontano con la sua carriera, ma avere uno sbirro in famiglia è comunque pericoloso>> Namjoon osservò la strada buia con un imminente mal di testa.
<<Frena, frena, frena. Questi sono cazzi tuoi, chiaro? Io non devo e non voglio intromettermi, trovati qualcun altro per separare quei due, hai visto troppi drama>> sbottò, incredulo. Quel pazzo e sua madre si erano forse messi d'accordo? Dall'altro capo della linea si sentì una risata.
<<Fossi in te ci penserei, Joon... Ho parlato con tua madre recentemente, ha detto che sarebbe felice di unire la mia famiglia alla tua tramite Galia>> ora era tutto più chiaro...
<<Figlio di puttana, hai messo tu in testa l'idea a mia madre!>> ringhiò, l'altro scoppiò leggermente a ridere ancora una volta.
<<Ti ho solo fatto un favore, i tuoi avrebbero comunque insistito, ti sto dando l'opportunità di unire l'utile al dilettevole. Una vera alleanza familiare con me e una bella e intelligente moglie al tuo fianco. Mentre io mi levo un pidocchioso agente dai piedi e mi guadagno un cognato di tutto rispetto>> il ragionamento non faceva una piega, ma proprio come aveva pensato in precedenza, non gli andava di accettare tutto e subito.
<<Ci penserò, non prometto nulla, ma terrò a mente questa proposta, anche se l'idea di averti in famiglia mi disgusta non sei totalmente da buttare>>.
<<Ti ringrazio Kim, sei un angelo!>> controbatté l'altro ironicamente.
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Chiuse la chiamata, la testa totalmente in subbuglio.
Per questo motivo non voleva dire il nome di Kim Seokjin alla madre quel giorno. La donna stravedeva per lui, lo considerava un degno pari del figlio e quindi le veniva anche più facile andarci d'accordo.
Un matrimonio, ecco cosa veniva fuori da quei due una volta in contatto. Solo uno dei tanti grattacapi che Namjoon sarebbe stato obbligato a risolvere.
Giunse nei pressi della sua casa, una comoda villetta a due piani. Lontana dalla città e dal chiasso urbano, oltre che lontana da occhi indiscreti, mentre apriva la porta si allentò la cravatta, desiderava fare solo una dormita nel suo comodo letto King size e dimenticare tutti gli avvenimenti di quella giornata.
Tutti tranne uno.
Il ricordo della giovane incontrata in libreria, di una bellezza fuori dal comune piena di passione per le cose che amava. Era lei l'unico momento della giornata che avrebbe tenuto volentieri.
Arrivò in salotto, le luci erano spente e poteva distinguere solo il divano a più posti color panna, immaginò quella casa piena di vita, con una moglie intenta a preparare la colazione e dei bambini che scorrazzavano in giro ridendo.
Non doveva essere male, sembrava anche... carino.
Ma poi immaginò sé stesso, camicia sporca di sangue e occhi spiritati dopo un lavoro particolarmente duro. Rovinava l'intero quadro di felicità.
«Vedila così, Namjoon. E' solo un'altra fottutissima sfida» si disse, finì di spogliarsi e rimase unicamente in boxer neri, ci avrebbe pensato la sua cameriera a ripulire tutto il giorno dopo, ora voleva solo dormire, dormire e dormire.
Da quanto non dormiva? Non lo ricordava neanche.
Salì lentamente le scale e una volta in camera si gettò sul letto, non preoccupandosi neanche di coprirsi decentemente. Nella quiete una frase gli venne di nuovo in mente.
"Namjoon, avevi perso la testa per lei!"
La voce di Jin nella sua testa era ovattata, davvero gli era piaciuta così tanto? Perché non ricordava nulla? Nella sua testa erano solo vividi i ricordi più dolorosi, quelli dove suo padre lo strattonava malamente e gli diceva di non piangere, di fare il suo lavoro imparando a non empatizzare.
Forse Seokjin lo voleva prendere in giro. Non sarebbe stata neanche la prima volta, doveva per forza essere così.
Dopotutto, quel coglione per i suoi interessi avrebbe fatto questo ed altro.
La vibrazione di un nuovo messaggio disturbò il silenzio della stanza, aprì un occhio seccato, credeva di aver lasciato il telefono in salotto e invece il suo lato maniaco del controllo aveva vinto inconsapevolmente, lo stesso lato che lo portò a cercare l'oggetto in questione nonostante la stanchezza che il suo corpo provava.
Quando lo trovò lesse il nome che lampeggiava sullo schermo in modo accecante.
Jisoo.
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- Capo, abbiamo un problema. Riguarda il suo nuovo protetto, non credo le piacerà venire a sapere cosa è accaduto per messaggio, quindi la invito di presenza al covo. -
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Namjoon gemette esasperato, il suo nuovo protetto... Jeon Jungkook, cosa aveva combinato quel ragazzino di così esagerato da dover essere convocato in quel modo al più presto?
Dieci minuti di riposo fisico, ecco cosa gli era toccato dopo una lunga e stressante giornata come quella.
«Mi sto già pentendo di te, Jeon» bofonchiò malamente l'uomo, irritato.
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corallorosso · 3 years
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Mi chiamo Luca, ma tutti mi chiamano Lumaca e frequento la prima elementare. La maestra dice che così come io dimentico alcune sillabe, anche nel mio nome si sono dimenticati di scrivere la sillaba “ma”, proprio in mezzo! La mia maestra è molto simpatica e scherza sempre e tutti le vogliamo bene e io sono proprio felice quando mi mette le stelline e i cuoricini sui compiti. La mia maestra è bella, bionda e un po’ vecchia, perché ha le pieghe sul collo e usa degli occhialini sulla punta del naso che poi rimangono appesi a una collana. La mia maestra sembra anche un po’ giovane perché ha sempre le unghie colorate e usa i tacchi alti e sa raccontare le fiabe benissimo con tutte le voci diverse, anche quelle dei bambini e degli animali. Per tutta l’estate, prima di cominciare la scuola, mamma e papà, mi avevano raccontato storie fantastiche: avrai tanti nuovi amici, imparerai un sacco di cose, ti divertirai tantissimo! Avevo il mio zaino di Dragon Ball pronto già da ferragosto e ogni tanto lo ricontrollavo, osservavo le pagine bianche dei quaderni e sorridevo immaginandoli pieni di storie che io avrei scritto come i miei fratelli. Accarezzavo le copertine, aprivo e richiudevo l’astuccio verificando che non mancasse nulla, sfiorando con le dita tutte le punte dei colori; odoravo la gomma per cancellare e cercavo di capire il meccanismo del mio temperino a forma di macinino del caffè. Il mio primo giorno di scuola ero felicissimo. Mi sentivo finalmente grande, come i miei fratelli. Non capivo proprio come mai alcuni dei miei compagnetti piangessero! Volevo dirglielo che finalmente eravamo grandi e non dovevamo piangere perché avremmo imparato un sacco di cose nuove, ci saremmo divertiti e avremmo vissuto storie fantastiche. Ma non li conoscevo e io sono anche un po’ timido. Quando siamo entrati in classe, la maestra ci ha detto subito di tirare fuori dallo zaino il nostro quaderno e la matita e io ho cercato di fare più in fretta che potevo perché non vedevo l’ora di sapere cosa ci avrebbe fatto fare. - Copiate dalla lavagna: oggi è lunedì 16 settembre 2019 e sotto scrivete il vostro nome. Ho incominciato a sentire un po’ di freddo… Cosa vuol dire copiate? Devo scrivere quello che c’è scritto nella lavagna uguale uguale? Ma io non ci riesco… Mi sono guardato intorno e ho visto che i miei compagni hanno cominciato a scrivere. Va bene, ci provo anch’io. Ho preso la matita e ho cominciato a fare un cerchio, poi due palline che avevano come delle code a forma di goccia e poi una striscia piccola con un puntino sopra… Ero soddisfatto, non sapevo cosa avevo scritto, ma assomigliava proprio a quello che c’era scritto alla lavagna! - Luca, stai attento, se scrivi così in grande non ti basteranno tutti i fogli del quaderno per questa frase! E poi devi cercare di andare dritto e le letterine devono essere tutte uguali! Ha ragione la maestra, sono andato un po’ storto… ho incominciato su e sono finito giù… però quello che ho scritto è uguale! Cosa significa che le letterine devono essere tutte uguali? A me sembrano tutte diverse… Ho impiegato tutta la mattina per scrivere quella frase… Molti miei compagni sapevano già leggere e scrivere e loro hanno fatto in fretta e quindi hanno fatto un disegno. Io no. Mi sentivo così stanco, è stato davvero faticoso. La maestra mi ha detto che non ci stavo riuscendo perché impugnavo male la matita. - Devi prenderla così! Ma io non ho visto la differenza, secondo me lei la prendeva come me. A tutti ha detto: bravo! brava! bravo! brava! A me ha detto: stai tranquillo, se starai più attento sarà sempre più facile! Ma io era attentissimo! Da subito, dal mio primo giorno di scuola, ho capito che non sarebbe stato facile. La tristezza e la paura avevano preso il posto della felicità e dell’entusiasmo… Forse i miei genitori avevano esagerato un po’ dicendomi che sarebbe stato fantastico… o forse io avevo qualcosa che non andava, qualcosa di diverso. Quando i miei genitori sono venuti a prendermi all’uscita di scuola erano così felici per me che non volevo certo deluderli e finsi che fosse andato tutto bene. Mi chiesero di vedere subito il quaderno e io lo mostrai orgoglioso. - Oh, ma come sei stato bravo! Ma hai scritto tantissimo! E cosa hai scritto? - Ho scritto quello che c’era scritto alla lavagna… - Oh, sì certo… infatti… Mamma non aveva capito niente di quello che avevo scritto, eppure sapeva leggere. E se non lo aveva capito lei, figuriamoci io che non sapevo leggere. Ma decise che mi meritavo un premio e perciò prima di tornare a casa siamo passati in edicola e mi ha comprato due bustine di figurine dei Dragon Ball. Mia mamma sì che mi vuole bene e capisce quando mi impegno. Da quel giorno però, dal mio primissimo giorno di scuola, la mia vita è cambiata. Ho cercato di non arrendermi, ma per quanti sforzi facessi il risultato non andava mai bene. I miei compagni erano sempre più veloci e più bravi di me e la maestra continuava a dirmi che ero troppo distratto e lento come una lumaca. Prima della scuola, le lumache mi erano simpatiche, non ci trovavo niente di strano sul fatto che andassero lente. Oggi non le sopporto. Ogni mattina prima di andare a scuola mi veniva voglia di vomitare. Avevo smesso di bere il latte e così sembrava andare meglio. La sera quando facevo i compiti mamma mi aiutava sempre, ma mi veniva mal di testa e alla fine mi hanno portato dall’oculista, un signore simpatico: - Questo campione ci vede benissimo! - Mamma, “benissimo”, è come prendere dieci? - Sì, Luca… Ero soddisfatto, quel signore non mi conosceva, ma mi aveva dato un voto altissimo, con la mia maestra dieci non l’avevo mai preso. Il tono di mia mamma però non era felice, anzi sembrava quasi che ci fosse rimasta male. Avevo capito che per lei forse era più importante la maestra del signore e quindi aspettava un dieci anche da lei. Ma quel dieci non arrivava mai. Allora, mamma ha cominciato a dubitare di me… e ogni volta che le dicevo che avevo mal di testa quando facevamo i compiti non mi credeva. Diceva che inventavo delle scuse, che ero un poltrone e ha incominciato a punirmi. In classe poi la situazione peggiorava sempre di più. Certe volte, tante volte, mi sentivo strano… C’era così tanto chiasso… la maestra urlava e i miei compagni parlavano e parlavano e poi ridevano e urlavano e poi sentivo le macchine che passavano sulla strada fuori dalla finestra, gli aerei che volavano nel cielo, la bidella che entrava in classe… era tutto così confuso e alla fine la maestra se la prendeva con me e diceva: - Luca ti sei incantato di nuovo? Sveglia lumaca! Torna nel nostro mondo e mettiti a lavorare! Io ci rimanevo male perché tutti ridevano, poi loro forse non ci pensavano più, io invece continuavo a pensarci per tutto il tempo e non so come, né perché, ho incominciato a distrarmi davvero. Tutto è partito dal pizzico di una zanzara. A furia di grattarmi il pizzico era diventata una bella crosta e con la matita presi a staccarla. Mi faceva un po’ male, ma insistevo fino a quando con la punta non scavavo troppo e usciva il sangue… Sembrava una cicatrice di guerra ed ero orgoglioso. Allora ho cominciato a farmene altre anche senza che le zanzare mi pizzicassero per prime. Lo facevo soprattutto quando in classe c’era tutto quel trambusto e io non capivo niente di quello che dicevano. Mamma e papà erano molto nervosi. Erano stati richiamati dalla maestra che aveva spiegato loro l’importanza delle regole. - Luca è troppo immaturo e non ha ancora capito che in classe deve lavorare, fatelo leggere! Tutti i giorni, oltre ai compiti dovevo leggere con mamma o con papà. Quando conoscevo la storia era più facile, ma quando prendevano una storia nuova arrivava l’ora di cena che ancora non avevo finito e alla fine si arrabbiavano sempre. Odiavo leggere. Quelle stupide lettere ormai le sognavo anche la notte, si trasformavano in mostri e mi torturavano e mi mangiavano. C’è poi quella lettera sempre uguale, nello stampato minuscolo, la più odiosa di tutte che una volta è “b”, poi è “d”, poi è “q”, e poi è “p”! Dannata lettera che non si fa mai riconoscere! Mi faceva sentire stupido, sempre più stupido e ogni volta che dovevo leggere in classe i miei compagni non la smettevano di ridere. Ma alla fine decisi di combattere! Non avevo superpoteri, questo l’avevo già capito quando avevo cercato con tutte le mie forze di fare un’onda energetica ma non era successo nulla! Sapevo però cosa piaceva alla maestra. Avevo deciso di scriverle una lettera, una specie di giuramento come quello dei cavalieri di Re Artù: GIURO CHE DA OGGI SARO’ BRAVO E ATTENTO E LEGGERO’ SEMPRE E DIVENTERO’ PIU’ VELOCE DELLA LUCE! E poi un bel disegno tutto colorato. Colorare mi fa schifo e fare i cuoricini e le stelline è una cosa da femmine, ma farò così. Di notte preparai la mia lettera quando tutti dormivano perché doveva essere un segreto tra me e la maestra. Ci ho impiegato tanto ma ero soddisfatto. L’indomani quando gliela diedi ero emozionato. Lei la prese, la aprì e tirò fuori il foglio… - Che cos’è? - È un giuramento, dissi io ripensando ai cavalieri. - Luca, cosa c’è scritto? Rimasi stupito, ero stato molto attento a scrivere bene ogni letterina… perché non riusciva a capire cosa c’era scritto? - Va bene Luca, leggimi tu cosa hai scritto… Presi il foglio, lo guardai e… insomma, non riuscivo a leggere nemmeno io, ma cercai di ricordare e alla fine recitai il giuramento così come lo avevo pensato prima di scriverlo. Lei mi guardò, sfiorò la mia guancia con un bacio e mi disse che avevo meritato un bel dieci!!! Ero felice, forse non avevo scritto bene, ma i cuoricini e il disegno dovevano esserle piaciuti tantissimo! Non vedevo l’ora di dirlo a mamma e papà. Quando tornai a casa però loro sapevano già tutto e sembravano felici, ma anche un po’ preoccupati e infatti mi portarono da una signora, una dottoressa di quelle che non fa le punture e che si chiama con un nome molto difficile che però ho imparato bene: pe-da-go-lo-gista! Con lei ho scoperto una cosa importante. Ho scoperto che non sono una lumaca, che non sono stupido e sono anche molto intelligente. Ora sto in un’altra scuola, ho tanti amici e la mia nuova maestra è molto carina e non mi chiama mai “Lumaca”. Quando ho compiuto otto anni poi mi hanno detto che la mia difficoltà si chiama dislessia e disgrafia, ma tranquilli, non è niente di grave, non è una malattia! Avete presente il pesciolino Nemo, quello che ha la pinnetta atrofica? Lui è un supereroe vero, riesce a superare un sacco di ostacoli e a percorrere tantissimi chilometri per ritrovare il suo papà. Anche se ha la pinna così, nuota e non si arrende, nuota in modo diverso, ma nuota e niente e nessuno riesce a impedirgli di raggiungere il suo obiettivo. Beh, anche io, nella mia vita farò così, nuoterò in maniera diversa, ma come dice la mia pe- da-go-lo-gista: arriverò dovunque voglio! "Odio le lumache", di Giorgia Spano
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aleessisss · 3 years
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E quindi il tempo è passato, e quella notte è ormai un ricordo lontano. Domani è settembre e solo io so cosa significa. Per una volta avevo sperato che non fosse così negativo, che mi sarei portata dietro sensazioni belle e positive, che lo avrei affrontato con il sorriso questo maledetto mese e invece eccomi qui. Domani è settembre e tu non ci sei. Non darò la colpa a nessuno, forse alle circostanze e alla vita che come al solito aspetta il nono mese dell’anno per farmi aprire gli occhi e riportarmi con i piedi per terra. Settembre è realizzare che la vita è altro, è lontana da quelle notti passate insieme, senza regole, solo io te e qualche canzone che spero riascolterai pensando a me. Settembre mi taglia le ali e mi mostra le cose con più lucidità, la stessa lucidità che ho scelto consapevolmente di mettere da parte per godermi al massimo queste settimane insieme a te. È stato fantastico ma settembre è arrivato e nonostante sia dura e vorrei schiacciare un pulsante per tornare indietro, quello che ci resta da fare è prenderne atto e voltare pagina. Non è quello che voglio ma è quello che bisogna fare. Perché infondo infondo lo sapevamo entrambi che quell’abbraccio era l’ultimo così come quel bacio che ho fatto durare qualche secondo per averlo impresso, nella mia memoria. E lo sapevo, mentre ti vedevo andare via, che non ti avrei rivisto, ma è sempre più facile nascondere la verità per qualche attimo in più di pace. Vorrei dirti che non è facile, lasciare andare. Vorrei prendere un treno e raggiungerti ora, ma poi cosa avrei risolto? Assolutamente nulla. Sarei forse ancora più confusa e dividermi da te sarebbe ancora più difficile. Quindi ecco, questa è la nostra fine, per ora. Nessuno dei due sta più scrivendo all’altro e in pochi giorni svanirà tutto, come se non ci fosse stato niente. Forse lo sapevo già dall’inizio. Ma l’ho fatto lo stesso. Magari per un assoluto caso del destino mi sarei ricreduta, scegliendo questa volta di non lasciare andare e di combattere, ma ora so che non è il momento giusto per farlo. Ti lascio andare a malincuore, ho provato tanto, ma non gli so dare un nome. Questo non significa che non sia stato importante, però. Ci rincontreremo un giorno, forse sarà tutto finito per entrambi, avremo qualcun altro in mente e ci saluteremo come due vecchi amici che hanno condiviso tanto. Forse avremo ancora in testa i nostri nomi, e sarà come una pugnalata rivederci, ma avremo la forza di non lasciarci andare, non per una seconda volta. Forse tu sarai un po’ più sicuro, avrai la testa libera dalle tue vecchie storie e il tempo avrà curato le tue ferite preparandoti a qualcosa di nuovo. Forse io sarò più decisa, saprò quello che voglio, sarò meno spaventata di iniziare qualcosa di importante, con te, e avrò imparato a fidarmi delle persone. Forse invece non ci incontreremo più. Mi fa strano pensare che sia finita così, infondo tre giorni fa eri tutto quello a cui pensavo e ora se ti penso sto male.
Mi chiedo spesso se ci hai mai davvero capito qualcosa di me, se guardandomi negli occhi sei riuscito a vedere qualcosa di più profondo oltre al colore. Occhi tristi e malinconici, mi dicono spesso di averli così e ad oggi penso che un motivo ci sia; se hai provato ad andare oltre quel verde avrai capito che provo a nasconderli perché non mentono, quelli. Perché se mi avessi guardato negli occhi avresti capito che facevo fatica a guardarti, perché già sapevo che ti avrei perso, lo sapevo dal primo istante. E il mio difetto più grande è posticipare le decisioni importanti, prendere tempo, rimandare, come se un bel giorno svegliandomi sentissi dentro di me che sì, quel dannato momento di mettere un punto è arrivato. Ma la vita ti fotte, quel momento non arriva mai, e senza una grande dose di sofferenza, frustrazione e dolore niente ti viene servito gratis. Mi hanno insegnato che nella vita non è come mai come pensi ma è come senti. E io con te ho sentito tanto, per la mia prima volta. E ci ho sperato che un bel giorno un segno del destino mi avvertisse dicendomi di tenere duro che tutto si sarebbe sistemato e che tu eri quella persona, ma la verità è che la mia mente mi ha sempre avvertito che non eri tu quella persona per me e che io, al tempo stesso non lo ero, per te. Intendo dire quella persona che magicamente con la sua sola presenza sembra sistemare ogni tuo problema, rallegrarti la vita e disegnarti davanti agli occhi una prospettiva nettamente migliore di come era prima. Io avrei incasinato tutto nella tua vita e tu mi avresti distrutto, a lungo andare sarebbe rimasto solo odio e tanti rimorsi.
E ci ho provato, credimi, a farla funzionare, ma non puoi forzare qualcosa che non è destinato ad essere. O meglio, potresti, ma poi dovresti accettare tutto il male che ne deriva e dovresti accettarlo a testa bassa. E non voglio questo per me e nemmeno per te. Quindi domani è settembre ed è arrivato per noi il momento di chiudere questo piccolo capitolo e andare avanti. E mentre farò finta di niente ogni tanto mi verrai in mente tu, i tuoi modi un po’ strani che mi infastidivano, il tuo sorriso che faceva ridere anche me anche quando cercavo di rimanere seria e i tuoi occhi e il modo in cui mi guardavano. Ripenserò alle ore passate al porto per parlarti anche solo 5 minuti; mentre ti guardavo non sapevo minimamente cosa stavo facendo, se fosse giusto o sbagliato, se avrei rimpianto quei momenti, un giorno. Penso troppo, questo me lo dico da sola, e tu me lo hai chiesto un’infinità di volte ‘a cosa stai pensando’ e non te l’ho mai saputo dire; pensavo a tante, troppe cose, e non avrei saputo dirtele, non ce l’avrei fatta senza piangere. Pensavo che i giorni volavano e il momento di salutarti si avvicinava troppo velocemente. Pensavo al primo incontro, a come mi sentivo quando ti abbracciavo, al tiramisù di tua nonna, alla luna piena quella notte, a quella maledetta canzone che ormai associo a te, a quella volta in macchina e a noi due a cantare alle 4 e mezza di mattina, te stanco morto e io in lacrime perché lo sapevo che finiva e non sapevo come dirtelo a parole. Non dimenticherò niente, ma non potrò dirtelo. Quindi ti saluto qui, accetto il fatto che tu possa odiarmi perché come si fa a non odiare chi promette e poi scompare, ma capirai con il tempo che ho fatto bene, che forzare le cose quando non è il loro momento fa stare male il doppio e che se tornassi ora sarebbe impossibile allontanarci, e ci condannerei a tanta sofferenza. Non voglio questo, non lo voglio per me ma sopratutto per te. Perché in questo momento della mia vita sono una bomba pronta ad esplodere in qualsiasi momento e sono molto più complicata di quello che hai potuto intravedere. E non voglio che tu ti senta in dovere di aiutarmi, e non voglio trascinarti a fondo, insieme a me. Spero dimenticherai la promessa che ci siamo fatti, perché ripensandoci a mente lucida non vorrei che un bel giorno ripiombassi nella mia vita per avvisarmi che sei andato a letto con una ragazza, perché sarebbe come una pugnalata al petto e poi ci cadrei di nuovo, in questo circolo vizioso. Tanto lo so che probabilmente è già successo, ma mi piace pensare che non è così e per quanto egoista possa sembrare, a volte è meglio vivere nell’ignoranza per un briciolo di serenità piuttosto che soffrire inutilmente conoscendo la realtà dei fatti. Una bugia a fin di bene potrei chiamarla, per il mio bene.
Quindi ciao C ti porterò dentro di me, so che non sei come dicono, sei tanto altro. È stato un caso con te, è successo. E no, non credo che le cose succedano per caso quindi non me la prenderò con il destino o con qualsiasi cosa che governa l’universo per averti incontrato, perché evidentemente doveva andare così e il motivo lo capirò crescendo un giorno quando sarò più grande e matura. Perché per quanto io possa sforzarmi i 19 anni che ho si sentirebbero troppo e forse cerco la leggerezza di una storia che che tu hai già vissuto con qualcun altro, e questo mi fa stare male. E mi fa stare tanto male pensare che in questo momento tu hai ancora in mente lei, e te ne renderai conto con il tempo; che ogni nostro piccolo traguardo, per me nuovo e importante, sarebbe per te solamente una replica di qualcosa che hai avuto con una ragazza che non sono io; che passeresti il tuo tempo a fare paragoni e alla fine vorrai tornare da lei. Quando incontri qualcuno succede e basta, non lo scegli, ma puoi scegliere come finirla e io scelgo di farti stare bene, senza di me, la mia assoluta instabilità e freddezza. All’inizio è difficile ma come tante cose nella vita la parte complicata è iniziare, poi tutto tornerà al suo posto e sarà solo un ricordo, triste forse, ma almeno non doloroso. Settembre arriva e si porta via tutto, per prime le parole. Cercherò di ricordare quale fosse il soprannome che mi avevi dato, ci sto pensando da giorni ma niente, l’ho rimosso, però era molto carino e mi faceva sorridere. Come tutte le parole che ci siamo detti è svanito. Perché per quanto possa sembrare una frase fatta alla fine rimangono i gesti e abbiamo scelto entrambi di mollare la presa. Questi erano i miei motivi. Ci incontreremo quando saremo più pronti, meno arrabbiati, un po’ più soli. E oggi è settembre, mi faccio forza da sola, non sarà facile, ma sarà come deve essere. Non dimenticarmi e prenditi cura di te.
La tua ‘piccolina’
AxA
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intotheclash · 3 years
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Stavamo per muoverci, quando fummo stoppati dalla voce di Bomba: “Aspettate un momento! ” “Ora che c'è, Bomba?” Reagì spazientito il Tasso. “Che dico a mia madre?” “Perché? Vuoi portare anche lei? Che prenda la sua bicicletta allora!” “Te non capisci una sega, Tasso! Voglio dire che, ammettendo che partiamo subito, come facciamo ad essere qui per l'ora di pranzo? Se faccio tardi, si incazza come una iena.” “Tua madre è una iena. Anche quando non si incazza.” “Fottiti!” “Sei duro di zucca, Bomba! Oggi non si pranza!” “Come non si pranza?” “Certe volte sei come un bambino piagnucoloso, Bomba. Inventale una scusa qualsiasi. Fai come cazzo ti pare, ma devi venire con noi. Dobbiamo essere tutti uniti. Racconta a tua madre che non hai fame!” Suggerì Tonino, senza starci troppo a pensare. Scoppiammo a ridere come se avesse detto la barzelletta più divertente del mondo. Bomba che non aveva fame, faceva troppo ridere. Anche lui ci rise sopra. Era una cazzata spaventosa, nessuno se la sarebbe mai bevuta. “Di a tua madre che sei invitato a casa mia, così la facciamo corta. Me la vedo io con i miei.” Non avevo ancora la più pallida idea di cosa dire ai miei, ci avrei pensato sul momento. qualcosa mi sarebbe venuto in mente di sicuro. Corremmo a casa a recuperare le nostre cavalcature. Ognuno di noi, consapevole dell'importanza della missione, se la sarebbe cavata egregiamente. Saper dire le balle ai propri genitori è un lavoro fondamentale per un ragazzino. Ne va della buona riuscita della crescita, sia fisica che mentale. Incrociai mio padre sulle scale di casa, aveva le mani sporche di grasso. Evidente che era stato in garage ad armeggiare con il motore della sua auto. sperai che non avesse avuto problemi, altrimenti avrebbe avuto un umore di merda e potevo pure scordarmi la possibilità di squagliarmela. non sapevo ancora come iniziare il discorso. Fu mio padre stesso a trarmi d'impaccio, cogliendomi, ancora una volta, di sorpresa. “Allora? Cosa ti succede? Qual è il problema?” Disse senza neanche guardarmi. Diavolo di un uomo! Ma come aveva fatto? La mia faccia colpita a tradimento dallo stupore, lo fece sorridere. Guardò l'orologio e proseguì: “Mancano quasi due ore per il pranzo e tu non arrivi mai in anticipo. Mai, nemmeno di un minuto. Veramente non arrivi mai nemmeno in orario. E’ per questo che le buschi di continuo e ricevi le punizioni, ma tu niente. Hai la testa dura come il marmo. Ed ora che ci rifletto, forse, voi ragazzini vi assomigliate tutti. Tutte teste di marmo. Spiegherebbe pure  perché vi si chiama anche marmocchi!” E via una sonora risata. Cazzo quanto adorava il proprio lato comico. “Quindi se ti fai vivo a quest'ora, è segno evidente che c'è qualcosa che non va. Perciò ora saliamo in casa e, mentre mi faccio un bel bicchiere di bianco ghiacciato, tu sputi il rospo. Poi ti darò la punizione che meriti. Tanto va sempre a finire così.” E giù un’altra scarica di risate. Non saprei dire in quale momento presi la decisione, fatto sta che gli raccontai la verità. Tutta. Senza tralasciare nulla, compresa la bugia che avrebbe dovuto dire alla mamma per coprire Bomba. Mio padre si sorbì l'intero resoconto senza aprire bocca. E non l'aprì neanche quando ebbi finito. Non subito, almeno. Se ne stava lì senza fiatare e mi fissava. Mi fissava e stava zitto. Ero sulle spine. probabilmente l'idea di metterlo al corrente della faccenda non era sta una bella idea. Improvvisamente mi afferrò per le braccia e mi strinse forte a se. E, cosa inaudita, mi baciò pure. Doveva essere impazzito. Cazzo se era impazzito! Colpa del sole, forse. O del vino, più probabile. “Credevo che non sarebbe mai successo,” Disse a voce bassa, “Ma devo ammettere che oggi mi hai davvero sorpreso. Sono orgoglioso di te, marmocchio! Stai facendo la cosa giusta, perdio! Ed anche quei puzzoni dei tuoi amici la stanno facendo. Per quanto resto convinto che siano degli idioti. E nessuno potrà mai convincermi del contrario. Bravi! Tutti per uno, uno per tutti. Così si fa! Come i tre moschettieri. Che poi erano quattro. Come cazzo si fa a mettere un titolo del genere? Qualcuno, prima o poi, me lo dovrà spiegare. Dumas, sai scrivere, ma non sai fare i conti più elementari, mi pare. Ora vai a darti una sciacquata e mettiti i vestiti più vecchi che hai. Che ho idea che il papà del tuo amico cazzuto sia un vero duro e vi farà il culo a tutti quanti. Ma sono sicuro che la lezione vi sarà molto utile. Eccome se lo sarà. Su, di corsa a lavarti, con tua madre me la vedo io. Ma, sia ben chiaro, comunque vadano le cose, ti voglio a casa per l'ora di cena. Intesi?” “Certo, papà. Ti voglio bene!” Il ti voglio bene mi sfuggì senza pensarci. Forse era la prima volta che glielo dicevo. Lui sorrise bonariamente e: “Certo che sei proprio un bel paraculo!” Mi disse. Mi fiondai in bagno. Lasciai la porta aperta per poter origliare cosa avrebbe detto mia madre; intanto lasciai scorrere l'acqua. L'idea di lavarmi di nuovo non mi passò neanche per l'anticamera del cervello. Mi ero già lavato quella mattina stessa. Che bisogno c'era di farlo di nuovo? Era una mania quella di doversi sempre lavare. Peggio: una persecuzione! Una condanna a vita. Udii mio padre spiegare, con calma, il piano a mia madre. mia madre che, stranamente, non fece osservazioni. Valle a capire anche le madri. Era più che sicuro che se fosse toccato a lui parlare, col cazzo che lo avrebbe lasciato uscire! Neanche per un motivo importante come quello. L'unica cosa che non la convinceva era di dover mentire alla madre di Bomba. Anche se se lo meritava, pensai. Ma il mio vecchio aveva pensato anche a questo: avrebbe parlato lui alla matta scatenata, le avrebbe detto che ci portava con lui a fare un giro in campagna. fine delle trasmissioni. Stavo per uscire dal bagno, ma, per fortuna, attesi qualche altro secondo e riuscii ad ascoltare l'ultima frase del mio vecchio. Usò un tono che mi era del tutto sconosciuto: “Sta crescendo il nostro pulcino, donna. Sta crescendo e, ne sono sicuro, diventerà una gran bella persona.” Queste furono le sue parole. Precisamente. Ed io volai fuori di corsa con il cuore che mi cantava in petto.
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kymyit · 3 years
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Meeting the professor
-Chiudi la bocca, Weisz.- Weisz ammutolì per qualche secondo, poi si riscosse. -Buon giorno anche a te, iena spaziale.- borbottò accennando all'altro un inchino a braccia aperte. Si era appena svegliato e la prima frase che Laguna gli rivolgeva era: "Chiudi la bocca, Weisz." Frugò seccato fra le lenzuola alla ricerca dei boxer, ma non riuscì a distogliere lo sguardo per troppo tempo da Laguna, che si stiracchiava come un gatto con indosso la sua felpa. Solo la sua felpa. E dato era abbastanza larga, creava uno strano effetto su di lui. Gli dava quasi un'aria innocente, con l'inguine a malapena nascosto dal bordo e le punte delle dita che sbucavano dalle maniche. Per non parlare dei capelli in disordine e dell'aria assonnata. Assonnata ma sempre sveglissima quando si trattava di provocarlo dalla mattina. -Buongiorno.- gli disse tirandosi su, per poi scoccargli un bacio sulla guancia e dirgli -Andiamo a fare colazione prima che Rebecca e Couchpo divorino tutto.- Lentamente, ancora intorpidito dal sonno, s'infilò gli slip e i pantaloni, si sistemò la felpa addosso e poi si diede un'aggiustatina a capelli e trucco. Il tutto mentre Weisz si rivestiva a sua volta. Quando Laguna fu pronto, fece per uscire, ma Weisz saltò su. -Aspetta, vieni così?- Laguna inarcò il sopracciglio, poi si guardò. -Vuoi che venga in baby doll e calze a rete?- -No, ma la mia felpa... - Laguna alzò gli occhi al cielo. Eccolo lì, di nuovo... Parlava di culi e tette dalla mattina alla sera, ma quando gli prendeva la mano in pubblico, o faceva qualsiasi altra cosa che metteva in mostra la loro relazione, arrossiva come una mammola. -Ancora?- gli chiese -Sanno che non facciamo solitari la notte.- -Sì, ma... - Laguna represse l'istinto omicida. E dire che si era svegliato bene ed era pieno di tanti buoni propositi. Voleva sfotterlo di meno, coccolarlo di più, fargli capire che amava anche passare del tempo tranquillo in sua compagnia. Stavano insieme da quasi tre mesi, ma Weisz era in qualche modo bloccato. Ne avevano parlato diverse volte. Mettendosi con lui, il biondo aveva messo in discussione tutto se stesso. Era passato dall'essere un donnaiolo incallito a scoprire di essere bisessuale e Lagunadipendente nel giro di poche settimane. Temeva che l'immagine che gli altri avevano di lui finisse per indebolirsi. Lui era quello duro, un ribelle, un uomo di mondo, quello che non deve chiedere. Aveva una visione virile di sé e non era tanto il piacergli un uomo a disturbarlo, quanto il mostrarsi dipendente. Aveva bisogno di trovare un equilibrio e Laguna lo capiva. Perciò pazientava, ma iniziava ad avere bisogno di esternazioni quotidiane, non solo al sicuro della camera da letto. Lui aveva superato la fase dello "Oh santissima Mother mi piacciono gli uomini" praticamente durante l'adolescenza, ma era già un tipetto che se ne fregava altamente del giudizio altrui. Weisz no. Iniziava a sospettare che durante quelle conversazioni non gli avesse detto proprio tutto, che ci fosse ancora qualcosa a bloccarlo, perciò pazientava e aspettava che parlasse. Nonostante l'altro mostrasse poco le sue emozioni, Weisz riuscì a decifrarle comunque. Non gli stava solo dando un dispiacere, lo stava offendendo col suo comportamento. "Sono un idiota... " si disse e gli prese la mano. -Volevo dire che dovrei proprio metterla in lavatrice.- provò a rigirare la frittata. Un maldestro tentativo di rimediare, ma Laguna lo accettò di buon grado e strinse la sua mano. Quando arrivarono in mensa, la ciurma era riunita al completo ed erano tutti su di giri, in particolare Rebecca ed Happy. -Che succede?- domandò Laguna. Quando l'attenzione si spostò su di loro, Weisz s'irrigidì appena e il suo primo istinto fu quello di lasciargli la mano, ma non ci riuscì, perché lo Spirito dell'Acqua gliela tenne ben stretta. Gli altri dedicarono a quel dettaglio e alla felpa ben pochi istanti, quasi impercettibili, erano troppo galvanizzati dalla novità. Infatti, Rebecca rispose subito: -Il professore sta venendo a farci una visita!- Weisz inarcò il sopracciglio. -Quando?- -Chi?- domandò Laguna sedendosi. -Il professor Weisz!- rispose Rebecca. Dopo un attimo di confusione, lo Spirito dell'Acqua fece cenno a tutti di non aggiungere altro e versò il caffè per sé e Weisz. Ne bevve qualche sorso e attese che la caffeina facesse il suo effetto. Poi riuscì a mettere insieme le informazioni in suo possesso, basandosi sui racconti di Jinn, Shiki e Witch. -Capisco.- disse -In pratica la sua versione più intelligente.- Weisz masticò un insulto a mezza voce, poi domandò: -Che ci viene a fare?- -Dobbiamo discutere di alcune cose.- rispose Witch -È chiaro che sappia qualcosa su Ziggy e Pino. È ora di mettere le carte in tavola.- Pino bevette il suo succo, con una crescente ansia ed emozione in lei. Forse i misteri sulla sua memoria sarebbero stati dipanati. La cosa la preoccupava ed emozionava al tempo stesso. -Che tipo è?- domandò Laguna. -Più affascinante di Weisz Junior.- rispose Rebecca. -E più responsabile!- infierì Happy. -Ehi!- berciò il diretto interessato. -Potremmo filmare l'incontro!- soppesò la ragazza. -Non ignorarmi!- sbottò il biondo. Laguna si godette il siparietto con aria rilassata, divertito dalla novità. Incontrare il Weisz adulto e maturo di cui tutti parlavano sempre bene lo incuriosiva non poco. Sarebbe stato solo un po' strano. Come da accordi, incontrarono il professor Weisz su un pianeta nelle vicinanze. Rebecca ed Happy andarono a prenderlo con una navicella per portarlo sull'Edens e quando il trio sbarcò nell'hangar della corazzata, la ragazza e il gatto erano al settimo cielo. -Vedrai, ti piacerà stare qui per un po'!- -Il cibo è buonissimo!- -Magari Sister può fare qualcosa per il tuo braccio!- -Abbiamo delle terme fantastiche!- -Calma, calma!- esclamò quello, arginando gli entusiasmi. Alzò lo sguardo e vide la ciurma al completo che osservava la scena, incuriosita. -Avete messo su un bel gruppetto di amici, eh?- sorrise- -Sì!- esclamarono Happy e Rebecca raggianti. Shiki si precipitò a presentarsi e a dichiarare amicizia, visto che non avevano mai avuto occasione di farlo per bene. Quando il professore gli strinse la mano di buon grado, lui si voltò verso Weisz. -Lui si che è una brava persona.- -Una persona responsabile.- continuò Rebecca, con Happy che faceva da eco. -Ehi, mi sto offendendo!- sbottò Weisz sentendosi toccato. Quando però lo sguardo del professore si posò su di lui s'irrigidì e sentì le viscere contrarsi. Era assurdo trovarsi davanti il sé stesso invecchiato. Un conto era vederlo attraverso uno schermo o un ologramma, dal vivo era tutta un'altra cosa. Era inquietante... E per di più aveva una orrenda stempiatura. E sembrava proprio uno di quei nerd noiosi... se non avesse visto la ragazza coniglio abbracciarlo con i suoi occhi non gli avrebbe dato un soldo bucato. Diavolo, sarebbe davvero finito così? Ok essere un genio, ma aveva una visione più esteticamente figa del se stesso futuro! -Vedo che hai cambiato pettinatura.- esclamò il professore -Oh e questa bellezza... - Weisz trasalì. Quello che il professore aveva chiamato "questa bellezza" non amava essere scambiato per una donzella. Guardò di sottecchi Laguna, aspettandosi che rispondesse a tono o che nel peggiore dei casi massacrasse l'ospite (ma con stile), ma poi l'uomo afferrò le mani dello Spirito dell'Acqua e gli sorrise. -Tu sei il suo ragazzo, vero?- -Cos- -Sì.- confermò Laguna. -Hai fatto la spia!- Weisz accusò subito Rebecca. -Ma non è vero!- Il professore rise. -Ma no, ma no! Conosco i miei gusti e poi si capisce guardandovi!- -Sbrigati ad invecchiare, Weisz Junior, magari ti cresce il cervello.- -Vaffanculo, Laguna. Ok?- Il professore rise. -Decisamente, state bene insieme.- -Ma se si battibeccano in continuazione?!- fece Homura. -Quello non significa nulla.- rispose il vecchio Weisz -Aggiunge un po' di pepe alla cosa, giusto?- -La sua maturità è quasi anomala.- commentò Laguna e Weisz lo trucidò con lo sguardo. In quel momento capì che la permanenza del se stesso del presente sarebbe stata il suo inferno personale. E infatti, fu così. Laguna andava schifosamente d'accordo col professor Weisz. Parlava con lui senza sfotterlo, con educazione, rispetto e complicità. Ascoltava le sue "dissertazioni scientifiche" con grande attenzione e, cosa peggiore di tutte: rideva. Rideva, sorrideva, era schifosamente divertito da lui e sul suo sorriso non sembrava esserci la benché minima ombra di maliziosità. A parte quando si erano messi a parlare di questioni piccanti e il professore gli aveva spiattellato il suo mortale segreto. Lo aveva praticamente venduto! Aveva venduto entrambi!! -Dietro l'orecchio?- soppesò Laguna -Me lo ricorderò.- Oh e se lo aveva ricordato a letto quella notte. -Che fai!- aveva urlato cercando di sfuggirgli. -Non fare così, Junior. Weisz senior mi ha detto che ti eccita se ti leccano dietro l'orecchio.- -Ora che so che te l'ha detto lui non mi eccita più!- aveva cercato di opporsi, di lottare, di staccarselo di dosso, di allontanargli la testa dalla bocca, ma Laguna lo teneva abbracciato saldamente e alla fine la ebbe vinta. Su tutti i fronti. Weisz strinse lo stipite della porta, osservandoli di nascosto e rodendosi l'anima. -Che stai facendo?- domandò Shiki, facendolo saltare sul posto. Non l'aveva sentito arrivare, -Nulla.- mentì. Jinn, che era con lui e Homura, scoccò un'occhiata all'interno e capì immediatamente il problema. Accennò un mezzo sorriso. -Smetti di ridere!- -Stiamo andando ad allenarci.- disse Homura -Vuoi venire con noi?- Weisz fu per rifiutare l'invito, quando udì la risata cristallina di Laguna. -Sì, meglio!- ruggì, Non era solo gelosia. Era incazzato nero perché Laguna sembrava fare gli occhi da cerbiatto morto al se stesso del presente, quando era LUI il suo ragazzo. Se voleva un tizio maturo poteva non sedurlo dall'inizio. Personalmente lo vedeva come un  comportamento da stronzo, ma sapeva benissimo che se fosse entrato in cucina in quello stato, non ne sarebbe uscito vincitore. Gli avrebbero riso dietro insistendo che le sue erano solo paranoie dettate dalla gelosia. Poteva già sentire la voce dell'altro dirgli -Cresci Weisz Junior- E santa Mother non aveva voglia di stare lì a guardare quei due fare i piccioncini. Si sentì derubato di tutto. Da se stesso. La vita era davvero stronza... Al poligono le cose non andarono meglio, dato che non riusciva a concentrarsi. Non beccava un bersaglio neppure pagandolo. Andò tutto così storto che era sicuro non potesse esserci giornata peggiore per lui. Alla fine, frustrato, lanciò il fucile a terra e gli diede un calcio, poi si sedette a terra, la testa fra le mani. Homura gli si avvicinò, con la spada d'Ether poggiata sulla spalla e fissò il bersaglio a cui aveva mirato. -Sei geloso, eh?- -Non hai proprio filtri, eh?- rispose piccato. Homura scosse il capo. -Le parole sono importanti. Se vuoi dire qualcosa a Laguna, devi dirgliela. Se vuoi fare qualcosa, fallo.- Weisz alzò il capo e la fissò. -Se aspetterai ancora, prima o poi... - -Non aggiungere altro.- la interruppe stringendo il pugno. -Lo so. Dannazione, lo so!- Sapeva cosa doveva fare, lo aveva sempre saputo, ma aveva sempre liquidato quella risposta, lasciando che il tempo sistemasse da solo il tutto, senza sforzo. Senza aggiungere altro, corse in mensa, da Laguna, perché aveva delle cose da dirgli. Cose importanti, prima di perderlo stupidamente. Laguna sorseggiò il suo cocktail azzurro. Il professore accanto a lui era un bell'uomo e poteva facilmente riconoscere i tratti di Weisz. Era una cosa assurda parlare con la versione invecchiata del suo ragazzo, ma interessante, quasi eccitante. Weisz Senior era un uomo carismatico, di mondo, era divertente e non temeva di esprimersi. Laguna poteva cogliere quella scintilla di sicurezza in Weisz solo in alcune occasioni, per il resto lo trovava molto insicuro e questo nonostante il biondo si nascondesse dietro una facciata da teppista scassacazzo. Sapeva benissimo che il più giovane stava crescendo, mentre il vecchio aveva già fatto le esperienze che lo avevano maturato, eppure... -Rebecca mi ha accennato qualcosa.- iniziò ad un tratto il professore, pensieroso -Riguardo te e quei due fratelli.- Laguna tacque, aspettando un discorso che già conosceva. -Eravate fra gli uomini di Drakken Joe... - -Sì.- non mentì, tanto era inutile. -Tu sai cos'ha fatto?- Laguna gli guardò il braccio. Il professore sollevò l'arto meccanico. -Non solo questo.- Si sorprese. -Sai che... - -Ad un certo punto ho scoperto che era stato lui ad uccidere mia madre e non una malattia.- confermò l'uomo con aria grave -Ma non mi sono vendicato. Avrei buttato al vento la mia vita, perché non avevo la forza. Invece, questi ragazzi... il destino è qualcosa di ironico e grandioso, non trovi?- Lo Spirito dell'Acqua non rispose, si limitò ad annuire. Il professore continuò il discorso. -Pensa che sorpresa, scoprire che il me del passato, con ancora fresca la memoria di sua madre sul letto di morte, è riuscito ad innamorarsi di uno degli Elementi di DJ Zombie.- La sua aria era diventata tremendamente seria. Laguna poteva percepire col proprio Ether un mutamento in lui. Dopotutto l'acqua è presente in gran parte del corpo umano e lui la sentiva, anche se meno chiaramente di come poteva sentire Drakken Joe quando il legame alchemico era attivo. -È stato qualcosa che nessuno di noi due si sarebbe aspettato.- disse, in guardia. -Ah, ma non è un problema!- esclamò il professore -Dopotutto non è la mia vita questa.- -Bene.- fece Laguna, alzandosi in piedi per andarsene. Finì di bere il cocktail e rimise il bicchiere sul bancone. -Perché non avresti comunque il diritto di scegliere per la sua.- disse. Il suo sguardo serio fece sorridere il professore, che si alzò in piedi superandolo di una spanna. -Tagliente come una lama... è una cosa che mi è sempre piaciuta.- Avanzò, intrappolandolo fra sé e il bancone. Laguna lo allontanò, ma non riuscì a spostarlo di molto. Sembrava insospettabilmente solido per essere attempato. Il professore gli prese il polso col braccio meccanico. -Che diavolo stai facendo?!- lo fulminò lo Spirito dell'Acqua, ragionando se usare Tears Lover o meno. -A differenza dell'altro me, io non sono mai stato con un uomo, non ho mai provato. Voglio capire cosa mi sono perso.- -Beh, trovati un bordello spaziale.- cercò di liberarsi Laguna, ma inutilmente. -Andiamo, sono sempre Weisz. Fra una cinquantina d'anni sarò così, quindi puoi approfittarne per fare un salto sul futuro.- Era la peggior frase d'abbordaggio che avesse mai sentito... era talmente shockato che non reagì in tempo quando le labbra dell'altro s'impossessarono delle sue. Si divincolò, ma senza grande successo e quando il professore lo spinse ancora di più contro il bancone si sentì davvero in pericolo. Ok, era ora di passare alle maniere forti. Attivò Tears Lover e cercò di pestargli il piede con forza, ma non ci riuscì. -Che sta succedendo qui?- Impallidì. Con la coda dell'occhio, vide Weisz sulla porta, che li osservava con gli occhi spalancati. A quel punto, il vecchio professore parve abbassare la guardia e lui ne approfittò per pestargli il piede. Quello urlò, ma non lasciò la presa. -Weisz, posso spiegarti.- si affrettò a dire lo Spirito dell'Acqua, ma l'altro replicò: -Non c'è niente da spiegare!- disse serio e avanzò a passo di carica verso di loro con i marchi dell'Ether sul braccio. Afferrò la mano meccanica del professore che in un istante si scompose e ricompose in un ammasso informe. -Giù le mani dal mio ragazzo.- ordinò Weisz con aria omicida, per poi afferrare un incredulo Laguna e allontanarlo dall'altro e portandoselo alle spalle. -Ahiahiahiahi... -borbottò il professore, ancora dolorante a terra. Weisz continuò a stringere il polso di Laguna. -Weisz, da quanto... - -Sono appena arrivato.- disse secco, poi lo tirò via -Andiamo.- Laguna lo seguì, leggermente rosso in volto e molto, molto colpito. -Ora puoi lasciarmi la mano sai... - -No.- si oppose Weisz. -Prima non ho sentito bene.- Lo vide arrossire fin sulla punta delle orecchie e borbottare qualcosa. -Cosa?- Weisz si fermò nel corridoio e ripeté a voce più alta. -Giù le mani dal mio ragazzo.- A quel punto sarebbe dovuta arrivare la battuta, ma Weisz non diede tempo all'altro di dire niente, perché si voltò di scatto e gli afferrò le spalle. -Ok, Lovely, apri bene le orecchie:- iniziò, ricordando le parole di Homura -Non sono mai riuscito a dimostrartelo apertamente come avresti voluto. Sono stato egoista e codardo, ma ciò non cambia il fatto che ti amo!- Lo scandì a voce alta e probabilmente mezzo equipaggio lo aveva sentito, infatti, poteva vedere alcune teste far capolino, incuriosite dal tafferuglio. Weisz si sentiva abbastanza imbarazzato, ma anche felice di essere finalmente riuscito a dire una cosa così... semplice. Laguna restò semplicemente secco lì. Il biondo aspettò la sua reazione con grande ansia, ma con sua sorpresa, lo Spirito dell'Acqua lo baciò. -Anch'io, Arsenal.- Weisz sentì un grosso groviglio sciogliersi nel suo stomaco e ricambiò velocemente il bacio. Si guardarono negli occhi e le loro mani s'intrecciarono. Riunirono le bocche in un bacio più lungo e dolce, accompagnato da carezze sui volti arrossati. Quando si separarono, Weisz continuò a tenere stretta la mano di Laguna e lo accompagnò nella propria stanza senza fare scenate davanti agli altri, anzi, si tirò Laguna stretto a sé e non lo lasciò neppure quando furono soli, al riparo da sguardi indiscreti nella propria camera. Si appoggiarono alla parete, in preda alle effusioni. Le loro mani si separarono solo per cercarsi lungo i corpi e sotto i vestiti. Le labbra s'incontravano fra un bacio e l'altro sulla pelle del collo e delle spalle e le voci mutarono in sospiri, mentre i bacini si sfregavano. -Laguna... - sospirò Weisz, sentendo la propria virilità indurirsi. -Weisz... - Lo Spirito dell'Acqua gli mise una mano dietro la nuca e lo strinse a sé. Gli sollevò la felpa e scoprì il petto, per stuzzicargli l'addome. Weisz sussultò, mentre Laguna scendeva lungo i suoi addominali, solleticandogli l'ombelico con baci delicati. Gli calò appena i pantaloni per liberargli il sesso e prese a dare piacere anche a quello. Weisz si strinse contro la parete aggrappato alle spalle dell'altro, mentre quello glielo prendeva in bocca e gli regalava la fellatio più intensa che ricordasse. In preda alle sue labbra, Weisz non riuscì che a godere e restò con le spalle al muro ad ansimare e gemere. Ad un tratto, Laguna gli sollevò le gambe e con una manovra rapida riuscì a mettersele sulle spalle, inchiodandolo fra sé e la parete. Weisz affondò le dita nella sua chioma azzurra e gemette sonoramente, per tutto il tempo, in preda a quella bocca che sembrava più quella di un mostro prodigo di lussuria. Laguna succhiò e pompò il sesso del biondo ad un ritmo che sapeva l'avrebbe fatto impazzire. Sentiva il piacere incendiargli il basso ventre e i gemiti di Weisz, le sue mani e le sue gambe che si irrigidivano e contraevano su di lui, ogni suo sospiro. Lo stava portando alla deriva. Gli dava piacere al ritmo della sua voce, gli dava piacere per darsene a sua volta, solo il sentire Weisz godere così tanto gli mandava tutto il sangue fra le gambe. Aveva un'erezione dura e dolorante che gli premeva contro gli slip e i pantaloni attillati. -Lag... - Weisz annaspò, gli occhi liquidi di lussuria. Laguna aumentò la velocità delle pompate e lui s'irrigidì, con le punte dei piedi incurvate verso l'interno e le dita delle mani strette fra i capelli dell'altro. Si svuotò nella sua bocca, travolto dall'orgasmo. Poi restò accasciato contro la parete, con ogni muscolo del corpo intorpidito. Laguna si staccò da lui e inghiottì il suo seme, per poi ripulirsi di quello rimastogli sul viso. Lo fece scendere, sedendolo sulle proprie ginocchia. -Tu... sei... un mostro... - sussurrò Weisz. -Lo prendo come un complimento.- rispose dandogli una pacca sulla testa, per poi sussurrargli all'orecchio -È colpa tua... mi hai salvato... assumiti le tue responsabilità... - -Sarà fatto.- sogghignò il biondo e gli premette la mano sull'erezione. Laguna si morse il labbro, mentre col bacino si spinse contro il suo palmo. -Andiamo sul letto.- gli fece Weisz, passandogli una mano intorno alla vita e tirandolo su in piedi. Si lasciarono cadere sulle lenzuola e ripresero da dove avevano lasciato. Weisz si liberò dei pantaloni che aveva ancora infilati ad una caviglia e posizionandosi su Laguna, gli calò la lampo, per liberargli il sesso gonfio e turgido. Laguna si accomodò meglio sul materasso, stringendo il lenzuolo fra le dita. Weisz gli prese in mano l'erezione e iniziò a masturbarlo, mentre con l'altra mano, s'insinuava fra le sue natiche per prepararlo. Laguna inarcò la schiena nel sentire l'intrusione. Weisz aveva imparato piuttosto in fretta ciò che lo faceva impazzire e stava applicandosi con impegno a farlo uscire di testa. -Piano... -protestò. Di quel passo sarebbe venuto prima della penetrazione vera e propria. Weisz rallentò il ritmo e cercò di risvegliare il proprio sesso, che si era appena ammorbidito. Non fece una grande fatica, vedere Laguna con le guance imporporate e gli occhi languidi, bramoso di essere posseduto, l'avrebbe fatto rizzare a chiunque. Lo Spirito dell'Acqua si sollevò sulle ginocchia, alla sua altezza e sostituì la propria mano a quella del biondo, così che quello si dedicasse solo a prepararlo. Appoggiò il capo contro la sua spalla e sospirò profondamente, mentre le dita di Weisz affondavano in lui. -Weisz... - mormorò quando sentì di non resistere più -Va... - sospirò -Bene... così... - Weisz lo distese sul lenzuolo e s'inserì fra le sue gambe, portando il proprio sesso, di nuovo turgido e pulsante, a premere contro la sua intimità. Laguna si strinse fra le lenzuola e strinse i denti mentre entrava in lui. Weisz si mosse, affondando il proprio sesso in tutta la sua lunghezza e strappandogli alti e sonori gemiti. In quel momento non sentirono il bisogno di farsi battutine o di istigarsi, andava bene così, quel momento era perfetto così. Weisz continuò a spingere e Laguna strinse le gambe intorno al suo busto, inarcando la schiena ad ogni spinta, fino a quando non raggiunse l'orgasmo e il nome di Weisz gli sfuggi alto come un lamento, un grido d'immenso bisogno. -Mi sento tradito.- sbottò Weisz. -Esagerato.- ribatté Laguna -È solo una tazza di caffè.- Weisz osservò la suddetta tazza venir portata alle labbra dall'altro. Il pomo d'Adamo di Laguna andò su e giù mentre la bevanda nera veniva inghiottita. Il tutto con una lentezza rituale da brivido. -Solo tu bevi il caffè così.- -Uno che fa colazione con latte affogato nei cereali non può capire.- replicò lo Spirito dell'Acqua incrociando le gambe. Erano seduti entrambi sugli sgabelli della mensa. Quella mattina, ancora una volta, Laguna aveva preso la felpa di Weisz, che di contro aveva indossato la sua maglia a scacchi. Dopotutto non era stato male quanto accaduto la sera prima, se quello era il risultato. -Io almeno ci faccio colazione.- ribatté Weisz girando il cucchiaio nella sua tazza -Non un porno.- Laguna quasi sputò il caffè che aveva in bocca. -Un cosa?- Weisz mise su la sua miglior imitazione dell'altro. -L'aroma forte e robusto di questa miscela speziata ti avvolge voluttuosamente il palato, pervadendoti con la sua intensità travolgente. Seriamente. Mai visto un porno caffè così... - -Beh, di sicuro è sempre meglio di fare dei porno cereali... mi passa la voglia solo a vederli.- -Sicuro?- Weisz prese un fiocco al mais dalla scatola e se lo mise fra le labbra. -Sicuro, Lag?- domandò agitandolo a pochi centimetri dal viso. Laguna socchiuse gli occhi. -Hai vinto solo per questa volta.- borbottò prendendoglielo di bocca coi denti e poi baciandolo. -Sono lieto di vedervi andare d'amore e d'accordo.- La voce del professore li interruppe. I due si girarono verso di lui, infastiditi. -Restate, restate!- fece quello a mani alzate -Non interrompete il vostro corteggiamento mattutino per me.- -Che diavolo vuoi?- sbottò Weisz saltando giù dallo sgabello e avanzando verso di lui. Laguna rimase fermo alle sue spalle, scrutando l'uomo per capire cosa volesse. -Non ti è bastato ieri?- Il professore si guardò il braccio meccanico. Era tornato normale. -Direi di sì.- ammise -Ci sei andato giù pesante.- -Voglio ben vedere.- -Giù le mani dal mio ragazzo.- esclamò con enfasi il professore -Non ti senti libero adesso?- -Eh?- Weisz sbatté le palpebre. Laguna si mise una mano sulla fronte. -Non... dirmi che... - -Lo hai fatto apposta!?- trasalì il biondo. -Di niente.- rispose il professore, riempendosi una tazza di cereali e caffellatte e togliendo le tende. -Quando volete!- Se ne andò ridacchiando, lasciando i due immobili come stoccafissi al bancone. -Non ci credo... -borbottò Laguna -Mi sono fatto prendere per il culo da un Weisz attempato... - -Ehi!!- sbottò Weisz, sentendosi toccato -Non dirlo come se fosse un'offesa!- Laguna ribatté e Weisz replicò a sua volta. Quando Shiki e gli altri entrarono a fare colazione, i due stavano ancora lanciandosi frecciatine più o meno esplicite. Weisz vide che gli altri li guardavano e guardavano i loro vestiti, ma li ignorò altamente. Come aveva potuto essere così timoroso nei confronti di quella che poteva considerare la sua famiglia? -Dannazione, sto perdendo colpi.- si autocommiserò Laguna. Weisz sentì come una freccia trafiggerlo. -Te li do io due o tre colpetti!- esclamò infastidito. -Quando vuoi.- rispose Laguna con un sorrisetto sensuale da schiaffi. Weisz tacque. "Mi ha appena fregato... " Almeno gli restava la consapevolezza.
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lizsunflower · 4 years
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Nonna - dicembre 2020
Ehi nonna, è tanto tempo che penso di fare questa cosa
Forse esiste già un’altra nota. Non sai di certo che cosa sono le note.. dei testi, che scrivo nel mio telefono, spesso, non so se te l’ho mai detto, forse l’ultimo testo che hai sentito è stato quello sull’amore che ho scritto alle medie, hai pianto anche tu quando l’ho letto.
Sai credo di averlo trovato quell’amore nonna. Oggi ho pianto insieme a lui, mi ha parlato della sua nonna che era proprio come te, lo ha cresciuto e amato, poi ad un certo punto se n’è andata. Perché è così che accade, è la vita, dobbiamo accettarla, ma a me fa così paura nonna. Mi spaventa così tanto l’idea.
Mi spaventa il dolore che proverò.
Sei la persona più importante per me Nonna. Mi hai cresciuta, mi hai rimproverata, mi hai fatto giocare, ridere, disegnare, mangiare, mi hai fatto fare le preghiere prima di addormentarmi, mi hai rimboccato ogni notte le coperte, le nostre trapunte che portavano in salotto per scaldarci d’inverno discese su quelle due poltrone attaccate, in quella stanza dove ho riso, litigato, pianto, dove ho fatto i compiti su quel tavolo che spostavamo accanto al termo per stare più calde, dove aspettavamo il nonno che tornasse alle 19 puntuale e arrivava urlandomi “sónooo”,dove abbiamo mangiato i migliori fondi di carciofi appena fatti, dove abbiamo ascoltato quella televisione così alta per far sentire al nonno il telegiornale, dove mi sono tagliata l’anulare della mano sinistra cercando ti tagliare la mela cotogna bollita, dove ho stirato a 3 anni fazzoletti di stoffa e asciugamani,dove ho mangiato i migliori caffè latte e pan biscotto del mondo. Dove sono cresciuta.
Il quella stanza, con quel mobile marrone, con quel televisione tubo catodico, con quella cucina vecchia ma che resiste ancora anche se trasferita in garage, su quelle poltrone, seduta a quel tavolo rotondo.
Io ci sono crescita in quella casa, in quella macchina bianca con cui abbiamo fatto quel brutto incidente fuori dal cimitero con “chel deficiente drogà e bevuo che sel moriva iera anca comodo ndar in simitero” così hai esordito dopo essere tornata a casa, era fatta di cemento quella macchina, si era staccato solo il paraurti mentre la macchina del ragazzo era accartocciata. E poi la 500 rossa, il tuo autoscontro, quanti giri e che rumori strani che faceva.
Quanti gelati ho mangiato con te, cono grande e 3 palline, ti ricordi quella volta che mi sono schiantata sul vetro della porta della gelateria?!
Quanto giri con la tua bici nera.
Quante corse su quella stradina da piccole con tutti i nostri amici, quanti pomeriggi passati a casa dello zio Amelio, quante carote ho mangiato del suo orto, non si sa perché le sue fossero sempre più buone e grosse rispetto alle tue. Che buono quel sapore di terra.
Quante sere a dare da bere all’orto. Quante sere a guardare il nonno tagliare la siepe, 10 centimetri al giorno.
Quante chiacchierate Nonna, quanti discorsi fatti. Quanti pranzi fatti insieme negli ultimi anni, sempre io e te. Ogni volta che uscivo da quella porta avevo qualcosa in più nel mio bagaglio di vita. È così, tu hai messo tante cose dentro il bagaglio della mia vita Nonna.
Quanto hai fatto nella tua vita, mi dici sempre che quando eri piccola non avevano grande fiducia in te così magrolina come Lino, hai incontrato un uomo non facile e ci sei stata accanto fino alla sua morte, hai lottato, hai affrontato tante cose, hai mantenuto le tue figlie da sola facendo un doppio lavoro, le hai crescite, ti sei presa cura di loro, di un marito e di un fratello, hai cresciuto due nipoti.
Mi dici sempre che senza di lui non avresti combinato niente nella vita. Che sei contenta della vita che ha fatto.
Ti meritavi tanto di più invece nonna.
Spero di essere una buona nipote per te, ma io sono sicura di questo
Un giorno mi hai detto “sei il bastone della mia vecchiaia”
La trovo una frase così profonda, come ti sarà venuta in mente?
E io sono fiera di questo, sono fiera che la mia nonna dica una frase del genere, perché vuol dire che ho fatto qualcosa di buono della vita, che qualcuno ha percepito il mio amore, il mio impegno. Perché mi sono resa disponibile a 16 anni di venire a vivere con te per starti accanto mentre il nonno stava male, perché sono venuta tutte le volte che ho potuto per farti compagnia e parlare un po’. Perché tu sei sempre stata abituata a farlo, perché hai bisogno di farlo, sono venuta io senza che me lo chiedessi perché tu non chiedi mai e io questo lo so bene, perché tu doni solo alle persone senza domandare mai nulla.
Perché sei fatta così di una generosità immensa.
Io sono onorata di aver avuto una nonna così.
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gloriabourne · 4 years
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The one with Fabrizio’s birthday (2)
C'è un momento - solitamente dopo mezzanotte, quando si inizia a essere un po' stanchi e meno lucidi - in cui confessare cose che non avresti mai pensato di dire sembra più facile.
Se poi hai bevuto qualche bicchiere di troppo, diventa eccessivamente facile.
Forse era per quello che Andrea stava tenendo d'occhio Ermal da ormai più di mezz'ora.
Erano alla festa di compleanno di Fabrizio ed Ermal era ormai visibilmente ubriaco, pur avendo bevuto solo qualche bicchiere di vino.
Ma insomma, chiunque conoscesse Ermal sapeva anche che gli bastava veramente poco per passare in un attimo dall'essere lucido all'essere ubriaco.
"Che stai facendo?" chiese Marco avvicinandosi ad Andrea.
"Tengo d'occhio Ermal" rispose l'altro senza spostare lo sguardo.
"E perché?"
"Perché è ubriaco. Ho paura che farà qualcosa di cui potrebbe pentirsi. E sai che succederebbe? Che poi dovremo sopportarlo mentre si piange addosso."
"Dici che potrebbe...?"
"Sì. Dico di sì."
"E sarebbe un problema?"
Andrea sospirò. "Non lo so. Credo che i suoi sentimenti non siano a senso unico e se ne parlasse probabilmente non sarebbe un dramma, ma non ne ho la certezza. Non so se è il caso di rischiare."
"Se però Fabrizio ricambia..." azzardò Marco.
"Non sappiamo se ricambia. E anche se fosse, affrontare questo discorso alla sua festa di compleanno non mi sembra un'idea saggia. Dovrebbero farlo in un altro momento."
"O magari potrebbe essere il regalo di compleanno che Fabrizio gradirebbe di più."
  Ermal sembrava pensarla come Marco, visto che continuava a fissare Fabrizio aspettando il momento in cui finalmente sarebbe stato solo per potergli parlare.
O forse, in realtà, non stava pensando affatto.
Fabrizio quella sera era così bello che Ermal faticava a credere che avesse appena compiuto quarantacinque anni.
Beh, a dirla tutta aveva sempre faticato a credere alla sua età visto quanto se la portava bene.
Ed Ermal sentiva l'impulso di andare da lui e semplicemente dirgli una volta per tutte cosa provava. Anche se era consapevole che sarebbe sembrato un discorso un po' sconnesso perché in fondo lui per primo non aveva idea di come fosse iniziato tutto.
Non sapeva quando aveva iniziato a provare qualcosa per Fabrizio. Sapeva solo che un giorno lo aveva guardato e si era accorto di volerlo baciare, di volerlo tenere per mano, di volergli sussurrare quanto fosse terribilmente perso di lui.
Ovviamente non lo aveva mai fatto, troppo spaventato dalle conseguenze. Ma in quel momento, con qualche bicchiere di troppo e la mente annebbiata, la paura non c'era.
Vide Roberto allontanarsi e Fabrizio rimanere finalmente solo. Ma appena fece un passo nella sua direzione, Andrea e Marco - che lo avevano appena raggiunto - lo trattennero.
"Che stai facendo?" disse Andrea.
"Voglio parlare con Fabrizio" rispose Ermal convinto. Anche se poi in realtà non aveva la minima idea di cosa dirgli.
La sua mente era un groviglio di pensieri che non aveva idea di come riuscire a esternare.
"Sei sicuro che sia il caso?"
Ermal si voltò di scatto verso Marco e, con lo sguardo improvvisamente triste, chiese: "Dici di no?"
"Eh, dico che mi sembri un po' troppo fuori di te per affrontare un argomento del genere" disse Marco cercando di farlo ragionare.
Ermal arricciò il labbro inferiore assumendo un'espressione imbronciata. "Quindi non gli posso parlare?"
"Magari più tardi" intervenne Andrea. "Ora potresti uscire un po' fuori, prendere un po' d'aria. Così ti riprendi un po'."
Ermal valutò la proposta per qualche secondo prima di annuire e dirigersi verso il giardino.
Andrea e Marco si scambiarono un'occhiata, mentre sospiravano sollevati per aver evitato una possibile catastrofe.
Peccato che non si fossero resi conto che anche Fabrizio stava uscendo in giardino.
  "Ehi, finalmente riesco a parlarti."
Ermal sollevò lo sguardo vedendo che Fabrizio lo aveva raggiunto in giardino e si stava sedendo accanto a lui.
Sorrise e rispose: "Già. C'è un sacco di gente."
"Forse pure troppa. Se avessi invitato meno persone, avrei trovato il tempo di stare un po' con te molto prima."
Ermal si morse il labbro inferiore cercando di trattenersi dal dire ciò che gli passava per la testa.
E cioè che anche lui avrebbe voluto trovare il tempo di parlargli molto prima, che aveva delle cose importanti da dirgli, cose che riguardavano dei sentimenti troppo grandi che aveva iniziato a provare nei suoi confronti.
Faceva un po' ridere che Andrea e Marco avessero fatto di tutto per tenerlo lontano da Fabrizio, e che alla fine lui si fosse ritrovato seduto su una panca in giardino proprio accanto a lui.
"Ti stai divertendo?" chiese Fabrizio.
Ermal annuì. "Forse anche troppo. Credo di aver esagerato con il vino."
Si lasciò sfuggire una risata che presto contagiò anche Fabrizio, il quale rispose: "Lo sto notando."
"Certo che per arrivare così a quarantacinque anni ci metterei la firma" disse Ermal.
Fabrizio aggrottò la fronte. "Che vuoi dire?"
"Cioè arrivare a quarantacinque anni ed essere ancora così figo. Le capisco le ragazzine che ti stanno dietro pure se hanno la metà dei tuoi anni!"
Fabrizio sorrise imbarazzato e distolse lo sguardo. Poi disse: "Mi stai dicendo che la pensi come quelle ragazzine?"
"Ti sto dicendo che le capisco. E le invidio un po'. Se loro dicono che sono pazze di te è una cosa normale, se lo dico io invece..."
Fabrizio si voltò verso Ermal incuriosito.
Non riusciva a capire se stesse parlando seriamente oppure se l'alcol lo stesse facendo farneticare.
"Quindi sei pazzo di me?" si azzardò a chiedere, fingendo che fosse solo una battuta ma in realtà seriamente interessato alla risposta.
Ermal sospirò e abbassò lo sguardo, facendosi improvvisamente serio. Poi disse: "Da morire, Bizio."
"Ermal..." mormorò Fabrizio con tono sorpreso.
Non si sarebbe mai aspettato un'ammissione simile da parte del collega.
Ermal continuò a tenere lo sguardo rivolto verso il basso, molto più interessato a fissarsi le scarpe che a guardare Fabrizio.
Era cambiato tutto. Lo percepiva anche se era ubriaco e soprattutto capiva che era stato lui a cambiare tutto con quella confessione.
Il fatto era che semplicemente non era riuscito a trattenersi. Quella frase era scivolata fuori dalle sue labbra prima che lui se ne rendesse conto e potesse fermarla.
"Sei ubriaco" disse ancora Fabrizio.
Non riusciva a credere che fosse serio, che pensasse davvero ciò che aveva detto.
"Sì. Però lo penso davvero" rispose Ermal.
Ormai non aveva più senso negare.
Sollevò lo sguardo verso Fabrizio, il quale cercava di guardare ovunque tranne che nella sua direzione, e poi sospirò. "Mi sa che ho fatto una cazzata a dirtelo."
"No, nessuna cazzata!" lo bloccò immediatamente Fabrizio. "Sono solo un po' sorpreso."
"Ho fatto una cazzata. Andrea e Marco mi avevano avvertito" mormorò Ermal prendendosi la testa tra le mani.
Fabrizio si voltò verso di lui e lo costrinse a guardarlo, stringendogli leggermente un braccio e richiamando la sua attenzione. "Smettila. Non hai fatto nessuna cazzata. È tutto ok."
"Sicuro?" chiese Ermal con gli occhi lucidi, quasi sull'orlo delle lacrime.
L'alcol stava iniziando a giocare brutti scherzi, facendolo passare in un attimo da uno stato di euforia alla tristezza assoluta.
"Certo che sono sicuro."
"Quindi tra noi non cambia niente?"
"Tu vuoi che non cambi niente?"
Ermal lo guardò per qualche istante.
Quella era una domanda crudele. Non poteva chiedergli una cosa del genere.
Certo che avrebbe voluto che le cose cambiassero. Avrebbe voluto baciarlo, stare con lui, avere la libertà di dirgli quanto lo amasse.
Ma erano in due in quella situazione e non spettava a lui decidere.
"Non farmi questa domanda, ti prego" mormorò Ermal.
"Sì che te la faccio. Possiamo fare finta che tu abbia detto queste cose perché hai bevuto troppo e dimenticarci di tutto, oppure possiamo parlarne e affrontare le conseguenze. Ammesso che tu sia abbastanza lucido per parlare" disse Fabrizio sorridendo.
Sapeva che Ermal era fin troppo lucido e che sarebbe stato in grado di affrontare qualsiasi discorso. Lo aveva osservato quella sera, aveva bevuto solo qualche bicchiere di vino, quindi era semplicemente più sfiltrato del solito ma capiva perfettamente ogni cosa.
Però gli stava dando una via d'uscita. Un modo per evitare di parlare di quella storia, o almeno di evitare di parlarne in quel momento.
"Ti ho tirato in mezzo a questa situazione. Non spetta a me decidere, Bizio."
"D'accordo, se vuoi che decida io allora parliamone."
Ermal sospirò mentre Fabrizio chiedeva: "Che intendi quando dici che sei pazzo di me?"
"Penso di essermi innamorato di te. Va avanti da un po' ormai" confessò Ermal, lo sguardo rivolto verso il basso mentre un leggero venticello gli scompigliava i ricci.
L'aria fresca gli stava facendo bene, spazzando via quel lieve senso di annebbiamento che aveva invaso la sua mente a causa dell'alcol. Anche se Ermal era consapevole che affrontare quell'argomento con più lucidità di quanta ne aveva fino a un attimo prima sarebbe stato molto più difficile.
Fabrizio non disse nulla ma lo guardò curioso, ansioso che andasse avanti a parlare.
"Dopo Sanremo non ci siamo visti per un po'. Ho iniziato a sentire la tua mancanza in una maniera che mi sembrava innaturale per due amici, ma all'inizio non sono stato troppo a farci caso. Insomma, dopo una settimana passata a stretto contatto credevo fosse normale. Poi però quando ci siamo rivisti, mi sono sentito come se finalmente stessi respirando di nuovo e allora ho capito che ciò che provavo per te era cambiato" spiegò Ermal.
"Sono passati due anni. Perché non mi hai mai detto nulla?" chiese Fabrizio curioso.
Più che altro non riusciva a spiegarsi come, per tutto quel tempo, Ermal fosse riuscito a mantenere un rapporto totalmente normale con lui. Come avesse fatto a stargli accanto per anni senza minimamente lasciargli capire che c'era qualcosa di più.
Ermal si strinse nelle spalle. "Non lo so, forse avevo paura della tua reazione. Potevo sopportare di starti accanto solo come amico, non potevo rischiare di perderti del tutto."
"E perché questa sera hai deciso di dirmelo?"
"Perché sono un cretino che ha bevuto troppo" rispose Ermal lasciandosi sfuggire una risata.
Fabrizio si lasciò contagiare dal collega e iniziò a ridere, circondandogli le spalle con un braccio e tirandolo verso di sé.
"Sai, però è un peccato che tu non mi abbia detto prima la verità" disse il più grande dopo qualche attimo.
Ermal si voltò verso di lui e aggrottò la fronte confuso, così Fabrizio si affrettò ad aggiungere: "Avremmo perso meno tempo."
Poi, senza lasciargli il tempo di replicare, si sporse verso di lui e lo baciò.
Ermal gemette sorpreso sulle sue labbra.
Non si aspettava che Fabrizio reagisse in quel modo, ma di certo non poteva lamentarsi.
Dopo un primo istante di stupore, ricambiò il bacio stringendosi di più a lui, mentre l'aria diventava più pungente e iniziava a fare più freddo. Era pur sempre aprile e le temperature non erano ancora particolarmente alte.
Ma a nessuno dei due sembrava importare.
La vicinanza dell'altro era sufficiente a scaldarli, o quanto meno a non farli rendere conto di quanto iniziasse a fare freddo.
Quando si allontanarono, Ermal sorrise e Fabrizio sorrise a sua volta, scompigliandogli i capelli con un gesto ormai diventato abituale per entrambi.
"Posso dirti una cosa?" chiese Fabrizio con tono serio.
Ermal annuì lievemente preoccupato.
"Questo è molto meglio della maglietta che mi hai regalato."
Ermal sorrise e riprese a baciarlo.
Fabrizio aveva ragione. Avere la possibilità di baciarlo era un regalo di gran lunga migliore di quello che gli aveva fatto.
Era un regalo per entrambi.
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ohmygwenhwyfar · 4 years
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Tre Manici di Scopa, 19/09
Certo che sono una coppietta stranamente assortita questi due, un po` come lo erano quando erano Prefetti assieme. Guinevere però è diversa, segno che è stato solo il settimo anno quello che l`ha resa scostante e silenziosa, perché è tornata quella di sempre tutta sorrisi e gentilezza. La Tassorosso mancata, sì. Difatti è stata adorabilmente carina sin da quando l`ha salutato.  [...] « Sì, vabbè comunque non intendo davvero usarti come psicologo » ci tiene a specificare così di punto in bianco, con quel suo marcato e grezzo accento gallese « Sarei andata al San Mungo, semmai. » e sorride persino « Però grazie di avermi assecondata. » E lo dice così carinamente che è proprio una bambolina.
Generalmente non esce con persone che amano abbigliarsi alla babbana, ma non si può certo dire che sia uno appassionato di caccia allo stato di sangue altrui. Specie quando queste persone sono molto carine, bionde e più grandi di lui. Sembra quasi uno stereotipo, considerando di chi stiamo parlando.  «Se ti serve» ghigna sottilmente, inarcando un sopracciglio nella sua direzione «faccio un fischio a qualche altro Medicine.» giusto perché tu sappia che la sanità è tutta a sua disposizione. Si dà una lieve spinta verso il tavolo, posandovi un gomito mentre con la destra rivela ciò che in realtà si stava rigirando tra le mani da un po’: due bustine, ognuna con una cioccolata al suo interno. Una la porge verso di lei, in attesa che la prenda, l’altra se la tiene rivolta verso di lui. «Lo so, sentivi la mia mancanza.» ha sempre avuto quell’aria un po’ da puzza sotto al naso, anche quando usa l’ironia come in questo caso. Ma si può dire che sia rimasto sinceramente stupito dal gufo della ex-concasata.
L’ insinuazione dell`altro la fa ridere, una risata genuina, secca. « Oh sì, lo ammetto » e finisce pure per alzare le mani, fintamente in segno di resa « Mi mancava tanto il mio compagno di spilla. » Però poi Helios le cose se le va a cercare, scudo empatico o meno. Il cuore della gallese perde un battito nel vederlo allungare la cioccorana verso di lei, l`ansia si dipinge sul suo volto pallido perché sembra una cazzata, ma lei è sinceramente terrorizzata dalle cioccorane. « Ah, l`hai fatto davvero. » butta giù un groppo di saliva, mentre le mani vanno a prendere la confezione e a rigirarsela tra le mani. « Come si fa » non è propriamente una domanda, ma torna a guardarlo, tenendo ancora il suo molliccio in formato tascabile tra le mani « Suggerimenti per non morire e disturbare tutta la sala? » o disturbare l`empatia di Helios, certo. « Che finché sta chiusa va tutto bene, è quando salta dalla confezione che fa troooppo schifo. » e lo dice con un tono vagamente troppo giulivo, che quasi cozza col suo essere tutt`altro che quello, e che non porta rispetto a un qualcosa che è molto più profondo.
Il fatto che lei rida gliele fa inarcare entrambe le sopracciglia, quasi perplesso. Non è abituato a sentir ridere davvero alla sua ironia? Probabile, anche perché non la capisce mai nessuno. Ma passato il primo momento di perplessità, si commuove persino a tal punto da regalarle un occhiolino, assieme al ghigno serafico che gli si dipinge sul viso, sbuffando appena tra le labbra. In ogni caso non ci ricama troppo sopra, occhiolino a parte. Sembra piuttosto preso dalla missione che è venuto a compiere con questo appuntamento, se così vogliamo chiamarlo. Non si azzarda ad aprire la sua cioccorana ma, questa volta, bada bene a tenersi molto lontano dalle ansie dell’altra. Gliela può vedere dipinta in viso, certo, lui che è bravo ormai ad interpretare le emozioni prima ancora di percepirle. Ma se ne tiene fuori. Non è in grado, emozionalmente parlando, di manipolare neanche se stesso in questo periodo. Figuriamoci qualcun altro. E’ bravo, però, a celare. Gioca con la carta della sua, ma ancora non la scarta. «Fa un solo salto buono.» le ricorda, snocciolando quelle parole molto chiaramente e con tono ironicamente affilato. E’ serio. «E di questi tempi, non credo che la sala sia disturbata da queste sciocchezze.» però lo lascia sottinteso ciò da cui potrebbero essere disturbati, nell’aria. Molto ben percepibile, come percepibile è ogni giorno di più quell’aria che urla che con i Babbani c’è qualche problema, senza mai dirlo tanto apertamente. Lui non lo direbbe mai ad una come la Cadwalader in ogni caso, ma dovrebbe saperlo da sola, ormai. Si inumidisce le labbra, deposita gli occhi azzurri su di lei e inclina appena il capo; poi, la interroga «Prima io?» proponendosi in maniera molto pavida di farle una dimostrazione pratica
A quanto pare lei comprende la tetra ironia del Medicine, forse perché ne è dotata a sua volta di una molto simile. Helios non ha mai avuto il piacere, chiedete a Jed semmai. Comunque lei ridacchia, quindi va per prendersi un sorso di birra scura. Meglio diluire con l`alcol l`ansietta. « Terzo anno, lezione pratica sui mollicci. Indovina in cosa si è trasformato il mio? » è retorica nella domanda, poiché subito torna a raccontare con quel terribile accento gallese « Un`enorme cioccorana. Immagina le risate della classe, anche il professore faceva fatica a restare serio. » i traumi di una giovane natababbana. « Poi me la dai la tua figurina? » che è l`unica cosa che sembra interessarle e per un momento soltanto, sembra dimenticarsi della sua paura assurda, perché gli rivolge un sorriso luminoso, tutto occhioni azzurri e labbra carnose che dovrebbe quasi invitarlo a dirle di sì per la figurina. Però qualcuno dovrà pur aprirle ste confezioni, oltre che guardarle. « Vai tu, io non ce la posso fare. » non poteva essere altrimenti, difatti la sua viene lasciata sul tavolo e l`attenzione viene posta tutta su Helios.
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«Salazar, Guinevere…» esala tra le labbra, trattenendo però a stento una risata a sua volta. Questo, bisogna dirlo, fa più ridere della paura in sé. Solo l’immagine di un molliccio grande quanto una cioccorana è esilarante, anche per chi non è propriamente dell’umore. «Regalamene il ricordo.» richiede, l’aria apparentemente seria e la mano destra che si porta all’altezza del cuore, solenne «Fallo per il mio Patronus.» Non è mai stato granché teatrale nei modi di dire, di fare. Anzi. E’ sempre piuttosto schietto. Quindi no, non sta recitando mica. «Mhm..» sulla figurina, invece, ci pensa. Diciamo che è quel sorriso ad attirare lo sguardo dell’adolescente sulle sue labbra e, poi, farlo risalire lentamente ai suoi occhi. Ma in ogni caso, la risposta rimane la stessa: «Dipende.» non dà mai niente per niente, lui. «Mi dai qualcosa in cambio?» inarca anche un sopracciglio, alzando il mento in un cenno di quelli che contribuisce alla solita faccia da schiaffi, quella che sembra non mancare mai. Specie quando ha a che fare con una bella ragazza. In qualche modo si dovrà pur consolare, no? Non se lo fa comunque ripetere due volte. Annuisce. «Se urli..» lascia la frase in sospeso, mentre porta entrambe le mani ai bordi di quella carta che scricchiola sotto le sue dita e osserva Guinevere di sottecchi; le due estremità della carta si separano, e da essa non esita ad uscire quella cioccorana animata che usa il suo unico salto buono per zompare con le sue lunghe zampette proprio sul tavolo, rivolta verso la ex-Serpeverde. E’ lui a bloccarne l’incedere, quand’è già in volo, posandovi sopra repentinamente l’indice della mano destra solo dopo aver probabilmente fatto prendere un bello spavento alla bionda di fronte a lui che, si spera, nel frattempo non abbia urlato magari presa dalla suspance di quello che potrebbe persino sembrare un incipit per una minaccia. Incipit che si conclude solo dopo questo avvenimento repentino: «..la prossima la lascio saltare.» ma solo se urli. Se sei stata brava e non hai urlato anche senza bisogno della sua manipolazione empatica, nel mentre, tutto a posto. Meglio così. E in tal caso, prenderebbe quella cioccorana tra le mani, per porgergliela, allungando il braccio visto che le sta di fronte.
Quindi è il turno di Helios quello di ridere al suo racconto del molliccio. « Ecco, ti ci metti anche tu » non è un pigolio ma quasi, quanto al ricordo per il patronus « Immagino ne troverai di migliori, che il mio che muoio di ansia e di vergogna per un maledetto molliccio. »  Ma le labbra velocemente si stirano in un sorrisetto, pari quasi a quello da faccia da schiaffi dell`altro. « Oh beh... » inizia stringendosi un pochino nelle spalle, prima di sciogliere la postura « Dipende da quello che vuoi. » i serpeverde e i loro giochetti. E ora sta tutto ad Helios. Che sia per la figurina o per la cioccorana. « Te lo prometto, non lo farò » urlare, anche se non sembra particolarmente convincente. Butta giù un altro groppo di saliva mentre gli occhi azzurri si riducono a due fessure mentre la scatolina viene aperta, lo sguardo si volta appena da un lato per non guardarla. « Non sto urlando. » dice, la voce tremola appena, ma la verità è che non la sta nemmeno vedendo. Si volta poco dopo, solo per ritrovarsi un Helios che le porge una cioccorana ormai immobile. Spalanca gli occhi sorpresa, fin troppo, mentre ancora il cuore le va più veloce del solito. « E che dovrei farci? Perché me la porgi? »  Nel frattempo allunga prontamente la mancina per tentare di sfilare la figurina dalla confezione, quindi la domanda per Helios è « Ma si muove quando si mangia o no? Sai che non l`ho mai fatto. » giornata di grandi confessioni, poi aggiunge così a caso « Comunque quando ridi o sorridi sei più carino, è un peccato che non te l`abbia quasi mai visto fare. » e lo dice tranquilla, anche se non c`entra nulla, un po` come prima, come se fosse solo un dato di fatto.
Si riserva la facoltà di pensarci, a quello che vuole, lui che non ha mai la risposta pronta e non è neanche un fan della suspance. Però non può fare a meno di notare l’atteggiamento dell’altra, con cui non interferisce, e ringraziare i riflessi pronti che si ritrova se intercetta quel movimento che cerca di sfilargli la figurina dal pacchetto e cerca di far morire il tentativo di furto sul nascere, continuando a reggere la cioccorana ormai stecchita con una mano, mentre con l’altra frenerebbe quella dell’altra, schiacciandola sul tavolo ma senza farle male. E con dei rapidi gesti delle dita, cercherebbe di scivolare tra le dita altrui per impedirle di sottrargli quella figurina del tutto che, intanto, s’è comunque mostrata. Sicuramente per lui è un doppione, ma non è uno che la dà vinta così facilmente. «Visto che non l’hai guardata..» ed era una delle cose che dovevi farci, non manca mica di fartelo notare, snocciolando l’evidenza con una faccia da schiaffi unica «Mangiarla.» gli sembra così ovvio, che neanche smette di porgergliela, mentre se fosse riuscito ad impedire quel furto cercherebbe comunque di accaparrarsi la figurina, e rigirandosela tra le dita la mostrerebbe agli occhi dell’altra. «E un altro appuntamento, al prossimo weekend.» ecco cosa vuole in cambio, furbo, di quella figurina. Niente di impegnativo. Ma questa volta lo chiamerebbe con il suo nome senza fare troppi giri di parole - o di gufi -, sfrontato. C’è pure da aspettare un mese. E non è abituato ai complimenti, ma sono okay. Infondo vanno solo a nutrire il suo ego, facendolo raddrizzare con la schiena con orgoglio. Per quanto la guardi, con gli occhi azzurri che studiano la sua espressione con una velata e molto ben celata diffidenza, non replica e resta in un enigmatico silenzio. Ogni buon ometto, come gli è stato insegnato, dovrebbe almeno rispondere ad un complimento con un altro complimento. E a Guinevere la bellezza non manca di certo. Ma Helios è strano, in uno strano momento. Passa qualche secondo prima che dica «Non quanto te.» che tuttavia ha il pregio di non suonare come una sviolinata, ma parole dette al punto giusto, un po’ oltre il momento giusto «Potresti convincere chiunque ad aprirti una cioccorana con quel sorriso.» non lo dice a caso. Infondo un po’ vittima ne è anche lui.  «La tua la apriamo fuori?» propone, infine.
Perciò riesce a sfilare un po` la figurina, quel tanto che basta per vederci Mungo Bonham raffigurato sopra e poi farsi schiacciare la mano dal caposcuola. Pigola appena, prima di mollare la presa sulla figurina e tentare di liberare la mancina per farla tornare al proprio posto. Quindi lontana dalla figurina. « Ho capito, anche meno, Helios. » replica, massaggiandosi la mano offesa. Anche se è più scena che altro, considerando che non dovrebbe averle fatto troppo male. « E sia, a ottobre. » sorride, di nuovo in quel modo luminoso, che a quanto sembra riesce ad abbagliare tutti i serpeverde con cui esce. Non ci ha pensato neanche per un secondo alla risposta sulla possibilità di rivedersi alla prossima uscita ad Hogsmeade. « Ti giuro che se mi salta nella bocca, poi urlo veramente e altro che banshee » minacciosissima, con quel suo accento gallese e gli occhi a fessura, perché no, non si fida minimamente di quella cioccorana che l`altro così gentilmente le porge. « Oh beh, spero sempre in qualcosa di meglio che aprire una cioccorana, ma posso accontentarmi. » e ridacchia di nuovo, in quel modo genuino, per poi soggiungere che « Sì, ma la figurina è sempre mia. » ok, l`altra cioccorana la possono aprire fuori, la guerra delle figurine però resta uno dei fulcri della giornata.
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catchingxfeelings · 4 years
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ti vedo arrivare da lontano e mi guardo allo specchio.
anche tu mi vedi, ti sbracci per farmi vedere e io d’istinto sorrido, mentre per la mente mi attraversano vari flashback di noi due piccoline che ci salutiamo in questo modo. non sei cambiata affatto.
mi accogli con il sorriso e l’imbarazzo di chi non si vede da tanti anni, e infatti è così, ma dopo pochi secondi mi parli già con la disinvoltura e la foga di chi non si vede da qualche settimana. siamo sempre state così noi due.
apri il cancello e tutto è rimasto uguale a casa tua, è cambiato solo il cane nel recinto. l’ho notato subito perché non mi abbaia, cosa che faceva sempre la Luna quando mi vedeva pur conoscendomi da tanti anni. mi stupisco di sentire una stretta al cuore, quasi mi manca quell’animale che ho tanto odiato e che mi ha odiato a sua volta.
Yuki è un husky bianco come la neve da cui prende il nome, è buona e mi lecca le dita quando cerco di accarezzarla.
non mi hai ancora invitato dentro, io so perché anche se non me l’hai detto, e cerchi di riempire gli spazi vuoti con del sarcasmo scaduto qualche decina di anni fa. non è cambiato niente in questo posto, tutto è rimasto immobile, fermo all’ultima volta che sono stata qui sette anni fa.
“vuoi entrare? ci sono i miei di sopra ma tra poco se ne vanno”. non pensavo che avresti avuto il coraggio di invitarmi dentro ma sono felice che l’hai fatto. non so cosa dirò ai tuoi genitori ma non m’importa più di tanto, sono contenta di essere qui.
“te la ricordi casa mia? è come te la ricordavi?”. come secondo te sarebbe stato possibile che io mi fossi dimenticata di quella che è stata la mia seconda casa per anni rimane un mistero per me. mi ricordo tutto, la voce squillante di tua nonna che ti chiama per la merenda e il vecchio telefono con il filo sulla piccola credenza in fondo a sinistra che dà sul corridoio buio da attraversare prima delle scale. il quadro sul pianerottolo prima di entrare in casa tua e l’odore dell’ambiente in cui mi trovo sono tutte cose che ricordo perfettamente.
tua madre è in cucina, tu la saluti svogliatamente mentre io mi irrigidisco e cerco di trovare qualcosa da dire per nascondere il mio imbarazzo.
anche lei è sorpresa di vedermi, non sa cosa dire.
non so cosa ci faccio qui, forse dovrei andare a casa.
in realtà dovrei davvero essere a casa ora, se mia madre sapesse dove sono mi ucciderebbe probabilmente.
cerco di scacciare la vocina che mi suggerisce che forse avrebbe ragione a non volermi qui e ti seguo in camera tua.
è tutto uguale in questa casa, niente è cambiato in tanti anni. la casa ma non solo, anche tu e tua madre.
la giornata trascorre tranquilla, parliamo un po’ di tutto e mi sembra di avere di nuovo otto anni.
sapevo di aver conservato il mio affetto per te durante questi anni, ma mai mi sarei aspettata di riuscire ancora a capire cosa stai per dire qualche istante prima che tu lo dica, a pensare le stesse cose che dici mentre le stai già dicendo e di stare ancora così bene in tua compagnia.
sei una sorella per me, forse lo sarai sempre. non importa quanto tempo trascorriamo lontane e quanto distanti siamo.
non ho mai voluto e non credo vorrò mai bene a qualcuno così tanto come ne ho voluto a te.
non credo che lo capirai mai.
ti racconto di quando vado a ballare, dei ragazzi che hanno fatto parte della mia vita e delle persone che mi hanno ferita in questi anni. ti aggiorno sulla vita delle persone che conoscevamo e di cui tu non hai saputo più niente, ti parlo dei miei nuovi interessi e delle mie nuove amiche. più ti parlo più vedo che io e te insieme non abbiamo più niente in comune.
lo vedo dal tuo sguardo, che hai paura.
io lo capisco. non c’è mai stato bisogno che mi dicessi niente.
prendiamo le switch e giochiamo un po’.
me ne accorgo dopo un po’ che giochiamo, dopo che il tempo si è fermato da qualche ora, in questa stanza è il 2010 e abbiamo di nuovo 10 anni. il tuo modo di insegnarmi a giocare, le parole che usi e il modo in cui pensi. tutto. siamo uguali. ti comporti proprio come me.
non mi accorgo del tempo che passa e subito si fanno le 19. chiamo il mio ragazzo e gli chiedo di venirmi a prendere. tu ce l’hai un ragazzo? dici che ce l’hai. vorrei sapere tutto, ma come al solito oggi mi sono presa tutta la giornata e abbiamo parlato solo di me. sorrido pensando che però posso già farmi un’idea della vostra relazione senza che tu mi abbia neanche ancora detto come si chiama.
usciamo di casa e passiamo davanti a uno specchio. “sei più bionda di quanto ricordassi” mi hai detto prima appena ci siamo trovate a un metro di distanza. di tutte le cose che potevi dire hai scelto i capelli. mi viene un po’ da ridere.
sono una persona completamente diversa da quando ci siamo perse tanti anni fa, eppure sono ancora la stessa persona. pensavo che oggi sarebbe stato un fallimento. lo è stato, ma in un certo senso sono contenta.
quando siamo passate di fronte allo specchio io li ho visti. hanno preso forma nel riflesso e mi hanno guardato in faccia, gli anni che abbiamo preso.
siamo troppo diverse ormai. forse sarei come te ora, se mi fossi comportata diversamente. forse no. non lo sapremo mai.
i nostri caratteri rispecchiano esattamente ciò che siamo l’una per l’altra. io sono la vita che scoppia e tu sei la notte che non vedrà mai la luce. vorrei poterti aiutare, ma non credo che tu voglia. a te va bene così. lo vedo da come sorridi alle piccole cose. non hai bisogno che io ti porti in questo mondo malato. volevo farlo, giuro che volevo. ma non credo di averne il diritto. e poi tu stai bene così. a te piace la tua vita.
ti invidio.
ti invito da me la settimana prossima, se vuoi andiamo a fare un giro al centro commerciale. ti vedo irrigidirti e sorrido. “forse tra qualche anno...” la frase rimane a metà.
l’uomo che ha cambiato la mia vita parcheggia la macchina e aspetta che lo raggiunga mentre saluto la mia infanzia e tutto ciò che mi ricorda i tempi di quando ero veramente felice.
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erisriderblog-blog · 5 years
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Ballate nelle Terre di Confine
                            Un viaggio inizia con una stretta di mano
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Sanctuary.
Una delle -se non l'unica- città più importanti di Pandora. Suggestiva per il fatto che volasse, ma per Rider era una come le altre; in fondo era andato lì per lavoro.
Non ci mette molto per trovare la casa del proprio cliente, fermandosi a guardare l'insegna sopra di lui: Zed, l'unica persona su quel pianeta che potesse venire chiamata e definita come medico. Certo, nulla a che vedere con i medici di Concordia, ma per un luogo squallido come questo era già tanto.
Prende un respiro prima di sistemarsi il cecchino sulla schiena ed entrare. Viene subito accolto da delle urla di due persone che cercano di comunicare da una parte all'altra della casa, ma decide di aspettare lì all'entrata, non volendo impicciarsi nel discorso. 
Nella sala medica, in mezzo a tutto quel casino, nota una piccola cornice appoggiata sul bancone con una foto all'interno. Si guarda intorno, assicurandosi che non ci sia nessuno in giro: preferiva mantenere i rapporti con i propri clienti al minimo, ma acquisire qualche informazione in più su Zed gli faceva comodo. Bastava che il medico non ne guadagnasse su di lui e sarebbe andato tutto per il meglio.
Prende in mano la foto guardandola: una bambina con i boccoli sta sorridendo verso l'obiettivo, con a fianco una gamba di una persona su cui corre una lunga sfilza di punti. Nell'angolo c'è scritto "Prima operazione andata bene!", ma senza contesto non si capisce se è la prima operazione della bambina ed è andata bene, o è la prima in assoluto ad essere andata bene. Guardando più attentamente, nota che è molto coperta in fatto di vestiti, ma sul collo si intravedono dei segni azzurri che corrono su fino all'occhio sinistro.
Purtroppo non fa in tempo a guardare di più poiché sente dei passi, allora rimette subito la foto al suo posto, allontanandosi da essa.
Difatti, dalla porta che dà al resto della casa esce una ragazza che corre subito all'altro lato della stanza, raccogliendo una pistola da sotto il tavolo. Al passare di nuovo davanti al mercenario lo nota, guardandolo dritto negli occhi ma urlando subito dopo verso le scale.
<Papà, c'è qua quel tizio che aspettavi!>
E con questo corre di nuovo via, senza dire nulla al mercenario.
Dopo qualche secondo finalmente arriva Zed, stranamente senza essere sporco di sangue e vestito in borghese, ma portando sempre la sua mascherina.
Va da Rider porgendogli la mano e lui ricambia il gesto.
<Zed, tu sei Rider, giusto?>
<Esatto.>
<Bene, allora non perdiamo tempo. Eris!>
L'uomo grida verso la porta da cui è arrivato, aspettando una qualche risposta; poco dopo si sente il legno della scale scricchiolare e torna la ragazza di prima con un borsone a tracolla. 
Adesso che ha tempo di guardarla meglio, capisce che è la bambina raffigurata nella foto. Stessi boccoli e capelli dalla sfumatura particolare: viola, arancioni e gialli, per poi tornare viola. Come nella foto è molto coperta, portando un dolcevita a maniche lunghe come i pantaloni, senza lasciare spazio libero alla pelle, tranne per la mano destra, l'unica parte del corpo libera da vestiti visto che quella sinistra aveva un guanto.
<Rider, lei è mia figlia Eris.>
Figlia adottiva, probabilmente.
<Visto che ormai è abbastanza grande e continua ad insistere, ho deciso di farle fare delle commissioni in giro per Pandora da parte mia per la clinica.>
Ai commenti su sé stessa, la ragazza sbuffa con un sorrisetto, ma Zed la ignora. Un discorso che avevano fatto molte volte, probabilmente.
<Vorrei che tu la accompagnassi in giro per queste prime volte, insegnandole a sopravvivere, combattere e altre cose. Insomma, fai in modo che non si uccida.>
Lui non aggiunge altro, mantenendo un tono secco. All'apparenza potrebbe sembrare un comportamento menefreghista, ma Rider ormai sa leggere bene le persone. Per un uomo così cinico che vive di persone ferite o malate, dire una frase del genere non è roba da poco.
Porge la mano verso Eris che a sua volta gliela stringe con una stretta troppo energica e un sorriso troppo grande.
<Non vedo l'ora di passare del tempo con te- Mr, Ms..?>
<Mr Rider. Ma Rider va bene>
<Perfetto Rider! Allora partiamo subito che abbiamo un botto di robe da fare. Ciao papà!>
L'energia e l'entusiasmo della ragazza gli sembra troppo per una che sta per andare nel territorio desolato e ostile di Pandora. Eris si gira a salutare il padre, dandogli un bacio sulla guancia. Lui si toglie un filo della mascherina e da quanto vede il mercenario, la zona nascosta da essa è sfigurata e istintivamente Rider si porta la mano al petto, togliendola subito. Quando Zed ricambia il bacio sulla guancia e guarda la figlia con così tanto amore, lui gira la testa di lato, concentrandosi su un'interessantissima piastrella del muro. Sono proprio necessari tutti sti saluti?
<Se avete finito, io avrei anche un lavoro da fare.>
<Tu vai dove vado io, no? Quindi sei io rimango qua, pure tu ci rimani.>
Rider spalanca gli occhi a quel commento e si gira guardando Eris, che in quel momento ha un sorrisetto furbo stampato in faccia: vuole pure fare la furba.
<Dai scherzo, era una battuta! Ciao papà, ci vediamo!>
L'uomo si rimette la mascherina e saluta le due mentre escono. Appena uscite, Eris si stiracchia, sospirando.
<Finalmente! Non vedo l'ora di andare in giro per Pandora!>
<..Hai un desiderio di morte o l'aria di quassù ti ha dato alla testa?>
Qualsiasi altra persona che abbia conosciuto durante la sua vita lo avrebbe insultato o avrebbe cercato di picchiarlo e non si aspettava nulla di meno da una ragazzina, ma invece Eris scoppia a ridere, lasciandolo spiazzato.
<Chissà, forse la seconda!>
Mentre si teletrasportano giù a terra la sente ancora ridere: certo che era strana.
Finito il teletrasporto, vanno subito al "Catch a Ride" dove aveva parcheggiato la moto. Quando però da lontano non la vede più, il mercenario corre dove l'aveva parcheggiata, guardandosi intorno confuso, cercando tracce della sua amata moto.
No, non possono averla portata via, non vede tracce di ruote a terra. Oppure-
<Scooter? Non è che hai tu la moto del bel tenebroso?>
<Tranquilla, ce l'ho io. Ho dovuto solo fare un ritocco, omaggio per il tuo primo viaggio!>
Sentendo quelle voci, Rider gira così velocemente la testa che sembrava stesse per staccarsi, correndo al monitor e prendendolo fra le mani facendo quasi cadere Eris.
<Che cazzo hai fatto alla mia moto?!> 
<Calmati bello! Fidati, adesso che la vedrai mi ringrazierai. Volevi sul serio andare in giro con Tatsu su una moto? Na nah, adesso capirai.>
Rider subito si gira alla sua sinistra e guarda insieme a Eris la moto che si materializza, o almeno- il sidecar che si materializza.
Eris si lascia scappare un urlo di gioia e dopo aver ringraziato Scooter corre verso il veicolo.
<Amico, la moto è perfetta come prima e così sarà più comoda per questa lavoro. Fidati, Eris È IPERATTIVA.>
Scooter scandisce bene le parole assicurandosi di farsi sentire, ma lui non risponde, andando alla moto dove la ragazza si è seduta al posto di guida. Lui incrocia le braccia, aspettando che si tolga, ma lei lo imita guardandolo con uno sguardo divertito. Ha voglia di giocare col fuoco?
<Togliti.>
<Potrei dire la stessa frase alle robe che hai in faccia. Dai, fatti vedere!>
Non ha tempo per stare dietro a dei giochi di una bimba, quindi con un sospiro si abbassa la bandana e toglie gli occhiali. Aspetta una qualche reazione da lei: schifata, sorpresa, dispiaciuta, qualsiasi cosa, ma lei invece rimane impassibile.
<Tutto qua? Eddai, tragico! Susu, andiamo. Dobbiamo trovare un sacco di cose!>
Si butta nel sidecar tenendo sulle gambe il borsone pieno di munizioni a giudicare dal rumore. 
Rider mette in moto il veicolo e mentre si allontana da Sanctuary, accompagnato dalle chiacchiere di Eris, si domanda: ma chi glielo ha fatto fare questo lavoro da babysitter?
-
Ehilà! Questo è un nuovo blog creato per la storia “Ballate nelle Terre di Confine”, concentrata sulle avventure di Eris e Rider in giro per Pandora. Nonostante questa sia una storia basata su Borderlands, gli eventi canonici rimarranno di background per il momento. Siamo in due a gestire il blog e fra poco ci presenteremo. Spero che questa prima fanfiction vi sia piaciuta e spero di rivedervi nelle prossime!
Io, scrittrice, sono Greg e il mio profilo Tumbrl è @proteccdabees
La copertina è stata fatta dall’altra povera cristiana che mi sopporta e ha creato questo blog con me, @ladydate9652!
Infine @astrapanda ci ha aiutati colorando la copertina <3
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omgmyriamlove · 5 years
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Cap.2
Passó una settimana da quell’incontro, e finalmente tutto era pronto per la “grande riunione” che il signor Rasa aveva richiesto. Ci radunammo tutti in un hotel fuori città. L’hotel oltre ad avere sauna e piscina interna era anche dotata di sale per videoconferenza e il ristorante aveva più di 500 posti. Ci sedemmo al ristorante, io tra i primi tavoli insieme ai miei colleghi di ufficio. Ogni tavolo ospitava 6 persone. Di fianco al mio tavolo e dietro le mie spalle avevo i responsabili di reparto, più indietro le 370 teste di operai ben vestiti. Alcuni si erano presentati con abito scuro, altri con semplice camicia e jeans. Sarei andata volentieri anche io in jeans e maglietta ma purtroppo dovevo fare tacere le 400 teste e presentare il sig. Rasa e famiglia.  
Eh sì, Rasa aveva deciso che quel giorno dovevano esserci tutti i suoi tre figli e la moglie. Quindi ho optato per un vestito lungo fino al ginocchio, rosso con ricami bianchi sullo scollo a V e intorno alle maniche. Dello stesso colore avevo preso i tacchi un po’ più alti del solito e per i capelli mi ero concessa qualche coccola dal parrucchiere così da farmi una acconciatura adeguata. Mi alzai con grazia e mi sistemai il vestito, poi con calma raggiunsi il piccolo palco, presi un microfono e mi misi al centro del palco. Di colpo la stanza piombò in un silenzio imbarazzante e l’ansia (ormai mia amica da anni) iniziò a fare capolino. Non era la prima volta che facevo questo tipo di cose, anzi avevo anche gestito intere riunioni da sola, mentre il capo era in vacanza, ma tutti quegli sguardi mi trafiggevano e mi facevano sentire molto piccola e soprattutto insicura. Mi schiarii la voce e accesi il microfono
-buona sera a tutti- non mi ero preparata nessun discorso fiduciosa nella mia grande capacità di oratrice, anche se in quel momento non riuscivo a formulare mezza frase nella mia testa. Le gambe iniziarono a tremare leggermente, ma cercai di non farci caso.
-vi prego di avere un po' di pazienza e di ascoltare attentamente quello che il nostro direttore ha da dirci. Tranquilli non sono cattive notizie, non saremo qui a bere e festeggiare dopotutto- una risatina generale invase la sala e divenni sempre più nervosa. Passai il microfono a Rasa che nel frattempo mi aveva raggiunto sul palco. Feci per andarmene ma una mano rasa mi mise una mano sulla spalla e mi sussurrò all’orecchio di restare. Iniziai a sudare freddo. Non era nei piani rimanere lì come uno stoccafisso di fianco al direttore. Feci cenno con la testa e mi misi alla sua sinistra, e rivolsi il mio sguardo su di lui.
-buonasera ragazzi, come accennato da sakura ho delle cose molto importanti da dirvi. Cercherò di essere più breve e conciso, anche perché anche io ho fame e dalla cucina viene un buon odorino- altra risatina da parte del pubblico
-intanto vi ringrazio di esserci tutti... come sapete oggi sono tre anni che lavoro a stretto contatto con voi. Tre anni che ho lasciato il Giappone e la mia famiglia per poter rialzare una delle aziende a cui tengo maggiormente. E sono felice di questo perché è soprattutto grazie al vostro impegno che possiamo dirci fuori dal fallimento- guardai la sala e tutti iniziarono ad applaudire. Per loro questi tre anni sono stati i più duri, turni massacranti e stipendi in ritardo, ma grazie all’impegno da questo anno rasa ha potuto pareggiare i conti e riuscire a dare a tutti la piena ricompensa
-da questo mese in poi i turni torneranno come quelli di una volta. Niente doppi turni e soprattutto niente stipendi da “fame”. Vi saranno aumentati gli stipendi a partire da adesso e avrete tutti un bonus per il vostro impegno e soprattutto per averci creduto-
Urla di felicità e fischi si innalzarono nella sala. Tutti quanti erano in piedi ad esultare. Finalmente per loro era arrivato il momento di essere ricompensati per tutta la fatica. Con un cenno delle mani cercai di calmare le 400 teste che erano ancora intente ad esultare
-calma ragazzi non ha ancora finito- dissi più calma possibile, ma niente le urla avevano tranquillamente sovrastato la mia voce. Tentai diverse volte di farli tacere mentre Rasa mi guardava divertito.  
-PIANTATELA- urlai con tutte le mie forze e divenni rossa dallo sforzo, ma il risultato fù eccezionale. Tutti quanti si ammutolirono all’istante, alcuni trattennero anche il fiato
-NON HA ANCORA FINITO DI PARLARE, QUINDI METTETEVI SEDUTI E STATE ZITTI- come degli automi si misero tutti quanti seduti. Tornato il silenzio mi rivolsi al capo
-prego vada avanti- cercai di nascondere la voce tremante.  
-grazie Tsundere-  Rasa mi guardava quasi soddisfatto e soprattutto divertito. Sentii le guance in fiamme e in quel momento volevo sotterrarmi. A parte Rasa e Baki nessuno sapeva del nomignolo che mi aveva affibbiato. Guardai il pubblico con sguardo truce. Alla prima risatina o battutina sarei scesa come un fulmine e gli avrei massacrati di bastonate. Fortunatamente nulla di tutto questo accadde
-come stavo dicendo grazie a voi l’azienda e salva. Purtroppo però per me è giunto il momento di tornare a casa. Tre anni sono tanti e gestire due aziende insieme diventa sempre più difficile. Per questo che ho deciso di affidarvi ad uno dei miei figli- con un cenno della mano due uomini in fondo alla sala si alzarono contemporaneamente e si avvicinarono al palco. Persi un battito quando riconobbi quella chioma rosso fuoco.  
“Non è possibile.. non può essere lui..” Rasa lascio il posto al mio fianco al più anziano dei fratelli. Era la copia sputata di Rasa. Stessi capelli, stessi occhi, stessa altezza e stessa corporatura. Mi guardo sorridente e fece un piccolo inchino con la testa nella mia direzione.  
-piacere kankuro-  
-sakura- risposi accennando anche io un piccolo inchino con la testa sorridendo a mia volta. Il mio sguardo cadde di nuovo sul ragazzo dai capelli di fuoco, che in quel momento aveva preso posto al fianco del padre. Al contrario di kankuro il rosso non aveva nessuna somiglianza con il padre. Probabilmente solo l’altezza e lo sguardo freddo e serio. Intanto rasa continuava il suo discorso mentre io continuavo a spostare lo sguardo tra Kankuro, Rasa e il pubblico. Non avevo il coraggio di guardare un secondo in più il ragazzo dai capelli color fuoco, il cuore mi batteva sempre di più.  
-..sakura sarà al fianco dei miei due figli e soprattutto del vostro. Quindi qualsiasi cosa potete tranquillamente chiedere a lei...-  
“ok.. COSA?!?!” non potevo crederci! Quell'infame non solo mi aveva messo a fare da tutor ai suoi adorati figli ma dovevo anche gestire tutte le 400 teste da sola! Sgranai gli occhi e inspirai profondamente. In quel momento l’imbarazzo e l’ansia sparirono completamente per lasciare il posto ad una profonda rabbia.  
“se non fossimo in 400 e avessi la tua famiglia al seguito ti avrei già scaraventato un cazzotto in quella testa bacata! Ma scherziamo? .. Oddio adesso non dormirò davvero la notte! Starò tutto il tempo in ufficio! Anzi dovrò dormire in ufficio! Nemmeno lo xanax sta volta mi aiuterà, ne sono sicura! Se vuole che faccia tutto questo mi deve aumentare lo stipendio... ho una vita anche io! Cioè in realtà no, sono sola come un cane.. Ma non importa! Non posso passare un mese intero in ufficio al servizio di..” il flusso di pensieri fù interrotto da una mano che si era posata sulla mia spalla. Alzai lo sguardo, Rasa mi stava guardando intensamente ed era a pochi centimetri dal mio viso..  
-ti uccido- mimai con le labbra. Per tutta risposta ebbi uno dei sorrisi più falsi e più grandi di tutta la storia
-Sakura non hai fame?-  e con grande disinvoltura spostò la sua mano sulla mia schiena e mi spinse leggermente in avanti facendomi strada verso il mio tavolo. Tra una battuta e l’altra anche la cena finì, e finì anche per dimenticarmi sia di Rasa che della sua famiglia. Mi alzai in piedi, in preda alle risate e solo allora mi accorsi che proprio davanti a me tre ragazzi mi guardavano. Kankuro istintivamente alzò una mano per salutarmi, mentre il rosso mi fissava e non faceva una smorfia, di fianco a lui una ragazza biondo cenere abbozzò un sorriso per poi sussurrare qualcosa all’orecchio dell’uomo che aveva alla sua destra. Feci un cenno con la testa e gli diedi le spalle. Potevo sentire i loro sguardi puntati sulla mia schiena e la cosa mi fece rabbrividire. Cercai di avanzare di qualche passo, mentre la stanza lentamente iniziava a girare.
“ho bevuto troppo” pensai. Il vino era così dolce e buono che ne bevvi 4 calici.  
“bhe almeno non sono quella messa peggio” eh si. I miei colleghi e commensali erano messi peggio. Due avevano iniziato a sonnecchiare, mentre gli altri tre non facevano che ridere, tentare di raccontarsi aneddoti imbarazzanti e bere.  mi diressi verso l’uscita, probabilmente una boccata d’aria mi sarebbe stata d’aiuto per ritrovare un po' di stabilità, ma la cosa mi fù quasi impossibile. Chi per un motivo, chi per un altro venivo costantemente fermata e invitata a passare del tempo con loro. Il problema e che non rifiutai nessun invito. Non pensavo più all’ansia ne ai problemi che ci sarebbero stati da lì in poi, quindi mi sedevo e mi facevo coinvolgere nelle loro conversazioni. Al quinto tavolo ero molto sbronza e a malapena riuscivo a tenermi in piedi. Mi girava tutto ma poco mi importava. Non ricordo bene come iniziò ma so solo che mi ritrovai su un tavolo insieme ad altri miei colleghi a ballare, mentre altre persone si erano radunate sotto il tavolo e ci incitavano. Continuavo a ballare alzando di tanto in tanto il mio bicchiere e a brindare con i miei colleghi quando una voce dietro le mie spalle mi fece girare e perdere l’equilibrio. Una crack e una fitta forte alla caviglia, poi caddi all’indietro, scivolando tra la tovaglia macchiata di rosso e la gente dietro di me. Restai immobile per qualche secondo mentre attorno a me cadde il silenzio. Avevto tutti gli sguardi puntati addosso e solo allora mi accorsi di essere caduta letteralmente addosso a qualcuno e che che questo qualcuno mi abbia protetto stringendo le braccia alla mia vita e facendo scudo con il suo corpo battendo la schiena. Mi girari per chiedere scusa al mal capitato ma quando li vidi sbiancai di colpo. Occhi verdi mi fissavano severi, le labbra serrate in un’espressione.. Dolorante?
Solo allora mi accorsi del danno... ero letteralmente caduta sul suo....
“maledizione!” scattai in piedi ma il risultato fù ancora più un disastro. Una fitta allucinante alla caviglia mi fece barcollare e cadere sbattendo il sedere. Mi strinsi d’istinto le mani introno alla caviglia e notai subito uno strano colore violaceo al collo del piede. Ad un tratto mi sentii sollevare da terra, mi guardai intorno e non vidi nessuno che mi stava reggendo. Cacciai un urlo, sotto di me una piccola nube di sabbia mi stava reggendo e mi avvicinava sempre di più al ragazzo dai capelli rossi.
Questi era già in piedi e con delicatezza fece posare la sabbia e me sulle sue braccia. Sussultai al gesto e tentai di scendere ma il ragazzo mi impedì di farlo. Si girò verso il fratello che era rimasto a guardare e a ridere per tutto il tempo e semplicemente disse
-la porto in ospedale, pensa tu al resto- per poi avviarsi verso l’uscita.  
Tentai altre due volte di fermarlo ma fu tutti inutile
-con la caviglia in quelle condizioni non riusciresti a fare un passo, e poi anche fosse non sei la condizione di poter camminare perfettamente-la sua voce era profonda e fredda come i suoi occhi.  l’acqua di colonia mi stava inebriando la mente più di tutto l’alcool che avevo ingurgitato e il cuore iniziava a battere sempre più forte. Si fermò davanti alla mia auto e mi guardò sempre più intensamente, diventai di tutte le sfumature del rosso, mi sentivo scavare dentro.  
-se non sbaglio è la tua macchina questa. Sbrigati ad aprirla perché PESI- marcò l’ultima parola apposta.
-allora smollami, ti ho già detto che facevo da sola- non riuscì a tenere a freno la mia lingua, il tono che avevo usato era stato più acido di come lo avevo pensato pochi istanti prima. Lui per tutta risposta mi fece scendere in malo modo senza però staccare realmente le mani dal mio corpo. Non feci molto caso alla posizione delle mani fino a che inserendo la chiave ne sentì, una  staccarsi e l’altra scivolare sempre più in basso. Mi raddrizzai di scatto e mi voltai e partì istintivamente una sberla a mano aperta ma senza che essa andasse a toccare il bersaglio. Come era successo poco prima una piccola nume di sabbia separava la sua faccia dalla mia mano. Scioccata abbassai la mano e la tenni stretta a pugno sul mio fianco.  
-ora capisco perché ti chiama tsundere- questa volta un piccolissimo ghigno era comparso sul quel viso il che lo rendeva ancora più attraente.  
Mi girai ed apri la portiera della macchina per poi salirci dentro. Abbassai il finestrino e lui ci si appoggiò letteralmente con un braccio, mentre l’altro lo aveva sopra il tettino della macchina
-non riuscirai a guidare in quelle condizioni tsundere, fatti da parte-
-gentile da parte tua ma.. NO. Ho guidato in condizioni peggiori e sono sempre tornata a casa, ora sposati o ti falcio-  
-non riuscirai ad arrivare in ospedale con quella caviglia-
-non vado in ospedale, è roba da niente- risposi sempre più acida
-ah si? E come lo sai?- il ghigno man mano diventava sempre più marcato
-ho già avuto incidenti del genere- lo dissi senza pensarci, volevo solo andarmene da lì e in fretta
-oltre che tsundere, sei anche ubriacona e hai la testa per aria! Che razza di segretaria sei?-non riuscivo in quel momento a leggere tra le righe, ero troppo nervosa ed brilla per farlo
-pensa per te!- sbottai – non che tu sia il massimo! Usi sempre questo metodo da falliti per approcciare con le persone? Dovresti migliorarlo lo sai?-
Per tutta risposta ricevetti il ghigno più terrificante di sempre, ma non mi fece paura anzi.. Avevo voglia di provocarlo per vedere fino a che punto si sarebbe spinto.  
-ci vediamo lunedì tsundere-  
“Lunedì?! scherzi spero!” diedi voce ai miei pensieri
-non ti piace l’idea?- si avvicinò sempre di più al mio viso, tanto che dovetti sposarmi leggermente più indietro con il busto e solo allora mi accorsi dell’odore dell’alcool che aveva addosso. Doveva aver bevuto anche lui, sicuramente.
-no, preferisco tuo fratello invece- risposi serafica
-e come mai?- era sempre più vicino
-perché almeno lui si è degnato di presentarsi senza palparmi il sedere!- alzai il tono della voce nell’ultima frase, avere un altro Rasa vicino sarebbe stato troppo per la mia fragile mente
-hai iniziato tu per prima- i suoi occhi adesso erano due fessure. Si stava prendendo gioco di me, era palese e la cosa mi mandava in bestia
-e quando sarebbe successo?- feci finta di niente anche se una mezza idea me l’ero già fatta in realtà
-quando sei volata su di me dopo che ti eri messa a sculettare-  
-ma è stato un incidente!- ribadii con le guance in fiamme
-certo, peccato solo che la tua mano sia finita..- non gli feci finire la frase. Gli tappai la bocca con entrambe le mani
-ho detto che è stato un incidente chiaro?-  con una mano spostò le mie dalle sue labbra, ma mi tenne saldamente i  polsi tirandoli leggermente a se, mentre con il busto si spostava sempre più vicino a me, tanto che i nostri nasi si sfiorarono. Trattenni il fiato ed il cuore ricominciò a galoppare nel petto. Il suo sguardo diventò sempre più penetrante tanto che iniziai a tremare leggermente. Ringraziai qualsiasi entità per essere già seduta in macchina o non avrei retto molto. Mi fissò per trenta secondi e poi il suo sguardo si spostò in basso verso la mia scollatura.
-e sei pure piatta- questa non gliel’avrei fatta passare liscia. Con tutta la forza che mi era rimasta lo spinsi indietro e riuscì a liberarmi dalla presa.  per evitare di nominarlo nei modi peggiori accesi il motore, e feci manovra per ripartire ma la sua voce mi bloccò
-e comunque sono Gaara Sabaku, ma tu puoi chiamarmi presidente- quel maledetto ghigno lo faceva sembrare troppo bello per essere vero.
-ci vediamo lunedì tsundere- disse per poi infilare le mani intasca e tornare nella hall dell’albergo.
Rimasi pietrificata. Davvero da lunedì dovevo sorbirmi due settimane di insulti da uno stronzo che di divertiva a palpeggiare le persone a caso?  
“ma no, sarà stato l’alcool” pensai poco convinta. Sospirai sonoramente e questa volta con calma riuscì a partire per tornare a casa e concedermi un sonno ristoratore.
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From Fake Lovers To Friends... -Pt. 2
Ebbene, sono Milena e finalmente ecco qui la parte due della cosa che vi avevo promesso eoni fa.
Trovate la parte 1 qui.
And here we go
“Aspetta, che cosa vuoi tu da me?”
La situazione è questa: Ermal se ne sta seduto al suo tavolo preferito del piccolo bar che sta sotto casa, quello sbeccato e messo in un angolo riparato della sala. Angolo perfetto, non troppo caldo d’estate e non troppo freddo d’inverno, con la luce che filtra dalla vetrina che è sempre sufficiente senza che questo rimanga però esposto in bella vista dato che è appena più indietro. Tavolo che di solito occupa da solo mentre studia-occasionalmente in compagnia di una bevanda o di una fetta di torta- mentre invece adesso ha seduto davanti un ragazzo (e meno male che non era un quarantenne come aveva temuto)
Bello, per carità, bello davvero: alto ma non troppo, la pelle ambrata ricoperta da tatuaggi neri e colorarti, le maniche della camicia tirate su che gli scoprono le braccia inchiostrate e incrociate e si stringono attorno ai suoi avambracci appena flessi e muscolosi. Capelli scuri-per quel che può vedere sotto a quello stupido cappellino che lo fa sembrare un raccoglitore di pomodori o più semplicemente un coglione (e non un hipster)- occhi nocciola, leggera barba incolta e delle piccole e disgustosamente deliziose lentiggini a ricoprirgli il naso e le guance.
#piccolecosechenonsaiignorareermal
Fabrizio Mobrici himself.
Che si era presentato in tutto il suo splendore-e lui non era ipocrita con se stesso, poteva benissimo ammettere che era bello, il bastardo in questione- sfoderando un sorrisino marpione sulle labbra e levandosi la giacca di pelle appena entrato, in modo spiccio e casuale ma in qualche modo stranamente sexy. E va bene che nel bar faceva la stessa temperatura che avrebbe fatto normalmente fuori in primavera inoltrata e lui era freddoloso quindi sì, ci stava bene ma poteva capire chi si spogliava, ma non riusciva a smettere di pensare che lo stesse facendo palesemente apposta. Tutta tattica, sissignore
Li conosce, quelli come lui. Sempre pronti a rimorchiare. I belli e impossibili. Quelli con l’aria da cattivi ragazzi, tutti tatuaggi e jeans strappati. Gli odierni Edward Cullen delle ragazzine-e cazzo, quando si sarebbe levato dalla testa quello stupido film che Sabina gli aveva propinato a casa una cosa tipo trecentosettantadue volte?
Fabrizio Mobrici che però a volerla dire proprio tutta si era presentato perché lui glielo aveva chiesto via messaggio qualche ora prima e ora se ne stava lì a fissarlo tra l’incredulo, il divertito e il trepidante.
Ok, premiamo un attimo il tasto per il rewind, giriamo la giratempo, time out flashback moment
Dunque quando Ermal aveva capito il guaio in cui si era messo-cosa che gli aveva fatto tirare una sequela di improperi coloriti metà in albanese e metà in italiano che gli sarebbe valsa un premio per la creatività che stava dimostrando per inventarseli-era filato subito dritto a casa, di corsa, fiondandosi in cucina dove Francesco, all'alba delle due e mezzo di pomeriggio, stava seduto a smangiucchiare una tazza di latte e cereali con ancora il pigiama addosso. 
Lui non l’aveva mai visto frequentare una lezione, se era per quello, ma gli esami li aveva sempre dati. Uno dei tanti grandi misteri di Francesco Gabbani insieme a Perché Tutti I Tuoi Calzini Si Spaiano Magicamente e Come Fai A Dormire Mentre Passo L’Aspirapolvere. Avrebbe potuto scriverci una saga. Anzi, un’intera enciclopedia. Misteri della Fede scansatevi proprio.
Comunque sia, aveva esordito con un “Mi devi aiutare”
Ora, in casa-o per meglio dire appartamento o, per dire ancora meglio, buco di bilocale che soltanto due universitari disperati avrebbero considerato accettabile e che probabilmente sfidava ogni legge strutturale e sanitaria del corrente anno del signore duemiladiciotto (e grazie a dio che l’amianto se l’erano scampati)-Meta-Gabbani, quella frase era pronunciata mediamente una quindicina di volte al giorno e questo senza contare le nottate di sbronza.
Soltanto che di solito era Francesco a dirla e quindi quando era stato Ermal a rivolgergliela-con tanto di tono disperato per giunta!-si era sbrodolato il pigiama facendo sussultare il cucchiaio per la fretta che aveva avuto di voltarsi a guardarlo, un ghigno già stampato in viso e l’eccitazione che immediatamente prendeva possesso del suo corpo. Perché Francesco era così, come un bambino: poteva entusiasmarsi per l’accensione di un fiammifero quanto avrebbe fatto alla scoperta di un nuovo pianeta. 
E non era un male, certo, anche se Ermal si era chiesto più volte perché ancora non l’avesse soffocato con il cuscino.
Comunque, il punto era che lui poteva emozionarsi per tutto ma Ermal Meta- il perfettissimo studente dalla perfettissima media e il perfettissimo modo di fare tutto in maniera perfetta-che chiedeva aiuto a lui? Quello sì che era tutto un altro paio di maniche. Chiunque si sarebbe sentito eccitato come un chihuahua strafatto di caffeina
“Omiodio vuoi scoparti Mobrici”
Non l’aveva nemmeno lasciato parlare, a onor del vero. L’aveva guardato e boom! aveva tratto le sue conclusioni da solo. Peccato che le conclusioni di Francesco la maggior parte delle volte fossero come lo 0,01 centesimo tolto dai prezzi per convincerti che stavi risparmiando: una cazzata bella e buona.
“Cosa? NO!” Ermal aveva sentito le guance iniziare lentamente ad andargli a fuoco. Quello doveva essere il giorno in cui il suo raziocinio era serenamente andato a battere per strada perché prima combinava la cazzata con Eleni poi veniva a chiedere aiuto a Francesco. Geniale Ermal! La media del trenta gliela avrebbero dovuta tirare in testa. Che stupido, cazzo.
Però ormai anche quella frittata era fatta, per cui tanto valeva
“Stammi a sentire, adesso ti spiego”. Aveva sbuffato quando Francesco si era seduto dritto e composto al tavolo, guardandolo prendere posto davanti a lui e perfino spostando la tazza di latte per posare i gomiti sul tavolo “Ti ascolto”
“Dunque, oggi a lezione...” aveva iniziato, proseguendo poi a spiegare tutto “...e quindi adesso mi ritrovo a dover invitare Fabrizio fuori per la gita perché altrimenti sarebbe umiliante e oltretutto non potrei andare al mare,  ma non voglio farlo perché in parole povere mi sta altamente sul cazzo”
Si era morso la lingua quando Francesco, dopo un intenso secondo di riflessione, aveva risposto “Non ancora, ma penso gli piacerebbe” e poi dal nulla era scoppiato a ridere.
Aveva riso e riso, tenendosi la mano sulla pancia, le lacrime che ad un certo punto avevano iniziato a scorrergli sul volto paonazzo e, quando sembrava che stesse per calmarsi, lo guardava e di nuovo scoppiava.
Favoloso, proprio quello che serviva per chiudere in bellezza quella sequela di disastri: una bella e lunghissima risata che sapeva di presa per il culo anche a tre piani di distanza.
Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie insomma: incredibilmente seccati.
“Ermal ma scusa” aveva detto infine lui, dopo essersi calmato “Tutto sto casino per cosa? Ammetti di volertelo scopare e basta!” “Non me lo voglio-e piantala di annuire, deficiente-non me lo voglio scopare!” “E allora perché hai scelto proprio lui? Guarda che questa è tensione sessuale irrisolta, caro mio. Altro che coincidenza sì sì. L’ho visto come lo guardavi alla festa. Altro che astio o odio, tu ti volevi far piegare sul tavolino del buffet” “No. No! Te l’ho detto, è stato il primo nome che mi è venuto in mente e basta, tutto qui!”
Ermal aveva iniziato potentemente a spazientirsi mentre agitava le mani di fronte a lui per spigare cosa muove le cose.
“Comunque, adesso devo per forza chiedergli di fare tre giorni al mare con me, altrimenti passo per coglione con tutti. E se accettasse, cosa di cui dubito fortemente, ci devo stare insieme per finta e farlo sembrare vero. Tenergli la mano. Baciarlo. Dormire nello stesso letto cazzo Francesco ma ti pare? In sintesi: qualsiasi cosa io faccia, sono un uomo morto” aveva detto tragicamente, mentre Francesco a quel punto cercava di ricomporsi un poco.
“Non è detto. Secondo me non ti direbbe di no. E potresti anche approfittartene, una buona volta. Quant'è che non scopi, tre mesi? E l’ultima volta l’hai fatto con me solo perché stavi messo così male che altrimenti saresti esploso. Prendila come occasione per rilassarti, Meta. Guarda che Fabrizio non è mica così male come dici tu. Anzi, l’ho sempre trovato un ragazzo piuttosto...piacevole”
Aveva alzato gli occhi al cielo a quelle parole: tipico di Francesco, ci proverebbe anche con i sassi se quelli sapessero rispondergli. Non poteva negare che si erano divertiti insieme, ma adesso lui faceva il filo all’altra ragazzetta-Alessia? Alessandra?-e Ermal era troppo impegnato per uscire con qualcuno. Quando aveva la voglia gli mancava il tempo e quando aveva il tempo gli mancava la voglia e grazie al cazzo: tra la scuola e il lavoro, non gli rimaneva mezzo secondo o grammo di energia.
“Francesco, è un coglione” 
“Ermal” aveva detto Francesco. L’attimo di silenzio dopo il suo nome l’aveva spaventato. E adesso? Cosa aveva in mente? Di solito quelle pause ad effetto che piacevano tanto al suo baffuto amico servivano solo a farli successivamente sparare una cazzata grande quanto l’intero sistema solare, ma aveva la sensazione che forse anche lui per una volta aveva qualcosa di serio da dire. Aveva iniziato a pregare di no.
“Ma toglimi una curiosità. Perché davvero, io non ho capito. Che t’ha fatto Fabrizio per starti così sul cazzo?”
Eh. 
Ecco qua.
Che gli ha fatto Fabrizio per stargli così sul cazzo?
Good point Francesco.
Perché ora che ci pensa, manco se lo ricorda bene il perché l’avesse trovato così odioso. Forse per il suo modo di parlare? Per quel che diceva? Per come si atteggiava? E chi se lo ricordava più. Sapeva di aver provato verso di lui un astio estremo, sì, e pure dal primo momento in cui aveva messo piede alla festa e l’aveva visto, ancor prima che parlassero. Lo ricordava bene quell’odio immediato e quella sensazione di fastidio provata alla sua sola vista, sì, ma per cosa?
Bellissima domanda.
A cui si accorge, in quel momento mentre sta bloccato fisso come uno streaming impallato, di non avere una risposta. Non una valida almeno.
Ragazzi, sono veramente euforico rincoglionito.
“Non sono cazzi tuoi ‘Cesco” aveva ribattuto, incrociando orgogliosamente le braccia al petto.
Perché ammettere che non se lo ricordava non aveva né capo né coda e di passare ancora più per coglione non ne aveva voglia.
“No, infatti. Ma sono cazzi amari per te se quantomeno non ci provi ad invitarlo. Mal che vada, ti manda a quel paese e si fa una risata. Allora, gli mandi un messaggio o no?”
Per quanto l’avesse odiato in quel momento, a quanto pare la serie di disastri che l’avevano portato lì si concludeva con uno ancor maggiore: Francesco che aveva ragione.
Perché se Francesco aveva ragione su qualcosa in modo così lapalissiano, la situazione probabilmente era davvero un cazzo di casino.
Sopratutto dato che le condizioni per cui lui avesse ragione si verificavano ogni centocinquantamilacredici anni, quando i pianeti si allineavano, le stelle si spegnevano, la terra invertiva i suoi poli magnetici e i continenti tornavano a formare la Pangea.
Cioè mai.
Alla fine, si era ritrovato davvero  a mandargli un messaggio, che in realtà l’amico aveva composto per lui.
Ciao, sono Ermal. Un mio amico (Fancesco) mi ha dato il tuo numero, spero non ti dispiaccia. Ti andrebbe di uscire oggi pomeriggio? Vorrei parlarti di una cosa.
Ciao.........sono Fabrizio ma immagino tu lo sappia già.....xD Sei carino, perché no..... dove ci vediamo? ;)
Puntini di sospensione e Emoticons scritte con la tastiera su Whatsapp? Era davvero un hipster o un quarantenne.
Ora si che aveva toccato il cazzo di fondo.
Merda.
E questo è come sono andate le cose prima, prima del bar, prima della giacca di pelle, a metà strada tra la Grande Cazzata di San Valentino e la Ancora Incredibilmente Più Grande Cazzata Di Invitare Fabrizio Fuori. 
Si erano salutati. Fabrizio gli aveva lanciato una lunga occhiata mentre si sedeva, squadrandolo per bene, percorrendolo con gli occhi. Porco maiale, aveva pensato Ermal.
Sembrava soddisfatto di ciò che aveva visto, perché si era accomodato meglio, sorridendogli.
“Allora regazzi” aveva esordito. La sua voce era bassa e roca. Non era per nulla irritante, anzi. Era un mormorio caldo, avvolgente. In qualche modo, questo non faceva altro che fargli girare le palle a elica ancora più di prima. Stupido Fabrizio “Di che dobbiamo parlare?”
Aveva un sorrisino in faccia che gli aveva fatto venire voglia di farglielo saltare a suon di insulti.
E lì, Ermal aveva sospirato pesantemente
“ Ok” aveva detto, guardandolo negli occhi. Erano dolci, gentili, caldi. Stupido Fabrizio, non poteva avere qualcosa che non andava? Tra poco avrebbe preso il volo da quanto forte gli stava facendo girare i coglioni il suo essere in qualche modo così bello e apparentemente perfetto “Quello che sto per dire ti suonerà ridicolo, ma ascoltami e ti giuro che alla fine avrà un senso” 
Non ci stava credendo nemmeno lui. 
Guardandolo, sapeva che non aveva idea di quello in cui si stava per cacciare, tanto quanto più o meno ne aveva lui.
Povero coglione.
Probabilmente pensava che gli volesse chiedere di essere il suo ragazzo.
Lui se ne stava lì con quel sorrisetto da gradasso, squadrandolo anzi, carezzandolo con lo sguardo gentilmente, aspettando probabilmente di sentirlo fare una confessione del suo grande amore che si portava dentro da mesi, solo perché San Valentino era vicino, no?
E quindi doveva confessarsi, certo, ecco perché l’aveva chiamato, era ovvio.
Si aspettava che si imbarazzasse, che iniziasse a balbettare rivelandosi, magari doveva prendergli le mani e guardarlo tremante e intimorito, rosso in viso, mentre lui lo ascoltava aprire il suo cuore e ammettere quella cotta che tanto lo spaventava.
Ma chi cazzo erano, Han Solo e Leia?
Ce l’aveva lui, l’aria dell’Han Solo, con quel suo stupido sorriso e la sua stupida faccia tosta.
Non aveva idea. 
“Allora dunque i miei compagni di classe hanno organizzato una gita al mare per San Valentino soltanto che ci possono partecipare solo le coppiette naturalmente. Va da sé che da single non ci posso andare, sai com'è. Anche perché ho vagamente detto loro di avere un ragazzo perciò, ecco, te lo devo chiedere. Fabrizio Mobrici... vuoi essere il mio finto ragazzo per il weekend?”
Il silenzio era calato pesante tra loro per un istante.
Eccoci qui. Boom.
Let that sink in Bizio
“Aspetta, che cosa vuoi tu da me?”
Ed eccoli lì, l’uno di fronte all'altro, Fabrizio stupito e lui infastidito più che mai, anche a causa del luccichio che gli legge nello sguardo, in fondo, dietro a tutto lo shock e all'incredulità.
“Ma... perché io? Che poi, io ti conosco! Non sei mica il ragazzino che mi guardava male a una festa borbottando qualcosa? Guarda che mi ricordo di te, più o meno. Non ero così ubriaco”
Ermal fa una smorfia. Pure non del tutto scemo doveva essere.
“Potrei aver tralasciato un paio di particolari” pondera, evitando la seconda domanda.
“Ah si?” gli aveva chiesto lui, ironico, alzando un sopracciglio. Era palese che non si stava bevendo che i particolari erano solo un paio “A farzo!”
“Ma che falso oh! La mia è stata semplice omissione di verità, tutto qui!” aveva replicato, sentendosi arrossire.
No eh. Va bene tutto nella vita, ma il burino che gli da del falso anche no.
“Regazzi. Fuori la storia, o non avrai niente da me”
Ed Ermal, per quanto odiandolo dato che così facendo gli toccava rivivere daccapo tutta la sua storia che sembrava una guida a come essere dei grandissimi coglioni nella vita, si era ritrovato a dover raccontare tutto per filo e per segno. Di Eleni, del mare, del nome detto a caso. Tutto.
“E questo è quanto, mi è venuto in mente il tuo nome anche se non avevo idea all'inizio di chi tu fossi e adesso se non vieni al mare con me sono nella merda. Ecco” aveva concluso.
Scocciato e ancora più rosso in viso che mai.
Ad ogni parola, aveva visto Fabrizio farsi sempre più incredulo, sì, allibito, stupito.
E poi divertito.
Eccitato.
Non gli piace quel luccichio nel suo sguardo: è quello tipico di qualcuno messo davanti a una nuova sfida che non sta nella pelle di cogliere, nonostante tutto. Se la sta gustando nella mente, quell’idea, ponderandola.
E per lui è pure un tormento.
Lo sta cuocendo a fuoco lento, il bastardo, fingendo di pensarci su.
Stupido Fabrizio.
Con il suo stupido sorriso sghembo e le sue stupide braccia muscolose e le sue stupidissime lentiggini. Con la sua stupida barba e il suo stupido cappello e i suoi stupidi capelli mori.
Fabrizio che si china verso di lui, ghignando, sporgendosi in avanti lungo il tavolo, guardandolo dritto negli occhi.
E si lecca le labbra.
“‘O sai che te dico regazzì?” sussurra piano, la voce ancora più bassa e roca di prima “Ce sto” 
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intotheclash · 4 years
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"Dobbiamo aiutare il Maremmano! E dobbiamo farlo subito. Lui si è messo nei guai per noi. Per salvarci il culo da quei prepotenti e per farsi restituire il tuo pallone, Pietro, ricordatelo."
Eccome se me lo ricordavo, E chi se lo sarebbe scordato più. Ancora mi pesava l'averlo lasciato da solo. Il Tasso aveva ragione. Dovevamo aiutarlo, era nostro amico ed eravamo in debito con lui. Il problema era: come? Cosa potevamo fare per aiutarlo? Certo, non si trattava di un dettaglio trascurabile. Tonino sembrò leggermi nel pensiero e diede voce ai miei dubbi muti. "Hai ragione, Tasso, ma come possiamo fare?"
"A questo non ci ho ancora pensato."
"Non sarà facile."
"Lo so io come." Disse timidamente Sergetto. Gli era uscito appena un filo di voce, ma, nella circostanza, somigliò ad un urlo. Sergetto era uno che aveva sempre paura di tutto, che non prendeva mai iniziative, che preferiva seguire a ruota. Il fatto che volesse esprimere una sua idea era una vera novità, ovvio che la nostra attenzione fu catturata all'istante. "Si, insomma, " Proseguì, " Lui ci ha difesi, lo sappiamo tutti che, altrimenti, le avremmo buscate di santa ragione. Invece è toccato a lui solo buscarle. Dal padre. E si è beccato la punizione per colpa nostra. Noi adesso andiamo dal padre e gli facciamo capire bene come sono andate le cose. E se è proprio duro di comprendonio, se insiste a non voler capire, che punisse pure noi! Perché aiuteremo il Maremmano fino a quando non saranno finiti tutti i lavori. E partiamo subito,  non aspettiamo altri cazzo di giorni. Andiamo a prendere le biciclette e partiamo. Subito!"
Ci aveva colti di sorpresa. Aveva fatto un discorso da grande. Afferrai con tutte due le mani la faccia arrossata di Sergetto e gli schiacciai un bel bacio sulla fronte. "Sei un genio, amico mio!" Gli dissi. Lui mi spinse via con foga, si pulì la fronte col dorso della mano e: "Ma che cazzo fai, Pietro? Mica sarai diventato frocio?" Disse, con un disappunto formale. "Da oggi in poi tu sarai il mio amore!" Dissi ridendo e:" Su, di corsa, si va a prendere le biciclette e si va. Ci ritroviamo qui il prima possibile." Aggiunsi.
Stavamo per muoverci, quando fummo stoppati dalla voce di Bomba: "Aspettate un momento! "
"Ora che c'è, Bomba?" Reagì spazientito il Tasso.
"Che dico a mia madre?"
"Perché? Vuoi portare anche lei? Che prenda la sua bicicletta allora!"
"Te non capisci una sega, Tasso! Voglio dire che, ammettendo che partiamo subito, come facciamo ad essere qui per l'ora di pranzo? Se faccio tardi, si incazza come una iena."
"Tua madre è una iena. Anche quando non si incazza."
"Fottiti!"
"Sei duro di zucca, Bomba! Oggi non si pranza!"
"Come non si pranza?"
"Certe volte sei come un bambino piagnucoloso, Bomba. Inventale una scusa qualsiasi. Fai come cazzo ti pare, ma devi venire con noi. Dobbiamo essere tutti uniti. Racconta a tua madre che non hai fame!" Suggerì Tonino, senza starci troppo a pensare. Scoppiammo a ridere come se avesse detto la barzelletta più divertente del mondo. Bomba che non aveva fame, faceva troppo ridere. Anche lui ci rise sopra. Era una cazzata spaventosa, nessuno se la sarebbe mai bevuta.
"Di a tua madre che sei invitato a casa mia, così la facciamo corta. Me la vedo io con i miei." Non avevo ancora la più pallida idea di cosa dire ai miei, ci avrei pensato sul momento. qualcosa mi sarebbe venuto in mente di sicuro. Corremmo a casa a recuperare le nostre cavalcature. Ognuno di noi, consapevole dell'importanza della missione, se la sarebbe cavata egregiamente. Saper dire le balle ai propri genitori è un lavoro fondamentale per un ragazzino. Ne va della buona riuscita della crescita, sia fisica che mentale. Incrociai mio padre sulle scale di casa, aveva le mani sporche di grasso. Evidente che era stato in garage ad armeggiare con il motore della sua auto. sperai che non avesse avuto problemi, altrimenti avrebbe avuto un umore di merda e potevo pure scordarmi la possibilità di squagliarmela. non sapevo ancora come iniziare il discorso. Fu mio padre stesso a trarmi d'impaccio, cogliendomi, ancora una volta, di sorpresa.
"Allora? Cosa ti succede? Qual è il problema?" Disse senza neanche guardarmi.
Diavolo di un uomo! Ma come aveva fatto? La mia faccia colpita a tradimento dallo stupore, lo fece sorridere. Guardò l'orologio e proseguì: "Mancano quasi due ore per il pranzo e tu non arrivi mai in anticipo. Mai, nemmeno di un minuto. Veramente non arrivi mai nemmeno in orario. E' per questo che le buschi di continuo e ricevi le punizioni, ma tu niente. Hai la testa dura come il marmo. Ed ora che ci rifletto, forse, voi ragazzini vi assomigliate tutti. Tutte teste di marmo. Spiegherebbe pure  perché vi si chiama anche marmocchi!" E via una sonora risata. Cazzo quanto adorava il proprio lato comico. "Quindi se ti fai vivo a quest'ora, è segno evidente che c'è qualcosa che non va. Perciò ora saliamo in casa e, mentre mi faccio un bel bicchiere di bianco ghiacciato, tu sputi il rospo. Poi ti darò la punizione che meriti. Tanto va sempre a finire così." E giù un’altra scarica di risate.
Non saprei dire in quale momento presi la decisione, fatto sta che gli raccontai la verità. Tutta. Senza tralasciare nulla, compresa la bugia che avrebbe dovuto dire alla mamma per coprire Bomba. Mio padre si sorbì l'intero resoconto senza aprire bocca. E non l'aprì neanche quando ebbi finito. Non subito, almeno. Se ne stava lì senza fiatare e mi fissava. Mi fissava e stava zitto. Ero sulle spine. probabilmente l'idea di metterlo al corrente della faccenda non era sta una bella idea. Improvvisamente mi afferrò per le braccia e mi strinse forte a se. E, cosa inaudita, mi baciò pure. Doveva essere impazzito. Cazzo se era impazzito! Colpa del sole, forse. O del vino, più probabile.
"Credevo che non sarebbe mai successo," Disse a voce bassa, "Ma devo ammettere che oggi mi hai davvero sorpreso. Sono orgoglioso di te, marmocchio! Stai facendo la cosa giusta, perdio! Ed anche quei puzzoni dei tuoi amici la stanno facendo. Per quanto resto convinto che siano degli idioti. E nessuno potrà mai convincermi del contrario. Bravi! Tutti per uno, uno per tutti. Così si fa! Come i tre moschettieri. Che poi erano quattro. Come cazzo si fa a mettere un titolo del genere? Qualcuno, prima o poi, me lo dovrà spiegare. Sai scrivere, ma non sai fare i conti più elementari.
Ora vai a darti una sciacquata e mettiti i vestiti più vecchi che hai. Che ho idea che il papà del tuo amico cazzuto sia un vero duro e vi farà il culo a tutti quanti. Ma sono sicuro che la lezione vi sarà molto utile. Eccome se lo sarà. Su, di corsa a lavarti, con tua madre me la vedo io. Ma, sia ben chiaro, comunque vadano le cose, ti voglio a casa per l'ora di cena. Intesi?"
"Certo, papà. Ti voglio bene!" Il ti voglio bene mi sfuggì senza pensarci. Forse era la prima volta che glielo dicevo. Lui sorrise bonariamente e: "Certo che sei proprio un bel paraculo!" Mi disse.
Mi fiondai in bagno. Lasciai la porta aperta per poter origliare cosa avrebbe detto mia madre; intanto lasciai scorrere l'acqua. L'idea di lavarmi di nuovo non mi passò neanche per l'anticamera del cervello. Mi ero già lavato quella mattina stessa. Che bisogno c'era di farlo di nuovo? Era una mania quella di doversi sempre lavare. Peggio: una persecuzione! Una condanna a vita. Udii mio padre spiegare, con calma, il piano a mia madre. mia madre che, stranamente, non fece osservazioni. Valle a capire anche le madri. Era più che sicuro che se fosse toccato a lui parlare, col cazzo che lo avrebbe lasciato uscire! Neanche per un motivo importante come quello. L'unica cosa che non la convinceva era di dover mentire alla madre di Bomba. Anche se se lo meritava, pensai. Ma il suo vecchio aveva pensato anche a questo: avrebbe parlato lui alla matta scatenata, le avrebbe detto che ci portava con lui a fare un giro in campagna. fine delle trasmissioni. Stavo per uscire dal bagno, ma, per fortuna, attesi qualche altro secondo e riuscii ad ascoltare l'ultima frase del mio vecchio. Usò un tono che mi era del tutto sconosciuto: "Sta crescendo il nostro pulcino, donna. Sta crescendo e, ne sono sicuro, diventerà una gran bella persona." Queste furono le sue parole. Precisamente. Ed io volai fuori di corsa con il cuore che mi cantava in petto.
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