#che poi Chuck
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Edoardo, Carlotta, Gianni, Leone, Nadia e Bo(h)
Oh my god guys no way 🤯
#I wanted an excuse go get these names outta my head#(Chuck approva questo messaggio)#che poi Chuck#unico personaggio italiano > non ha un nome italiano#sacrilegio#e poi gift shop trio Italian canon#tanto la media retribuzione è quella#/j#Starr Park = Gardaland
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Se sei un grappolo d'uva che si fa gli affari suoi sulla vite, ricorda che può sempre passare una volpe. Se questa volpe non arriva a te, in base alla sua personalità, potrà sempre dire che:
- Se la volpe che non arriva all'uva è invidiosa dirà che, in fondo, non sei matura.
- Se la volpe che non arriva all'uva è narcisista, dirà che non sai quello che ti perdi.
- Se la volpe che non arriva all'uva è di razza Pirandello, dirà che porti una maschera.
- Se la volpe che non arriva all'uva è ansiosa, dirà che non produrrai buon vino ma ansia liquida.
- Se la volpe che non arriva all'uva è di razza Freud, dirà che tu ami tua madre, la vigna.
- Se la volpe che non arriva all'uva è manipolatrice, dirà che non è colpa della vite, che non è neanche colpa sua e quindi vedi tu chi rimane da colpevolizzare.
- Se la volpe che non arriva all'uva è egocentrica, dirà che sei tu quella che deve scendere dalla vite.
- Se la volpe che non arriva all'uva è bipolare, dirà che sei un'uva bellissima, succosissima e che... no, non vali niente e non vale la pena perdere tempo a vendemmiarti. Però se buonissima anche se fai schifo.
- Se la volpe che non arriva all'uva è delirante, dirà che sei un complotto. Che non esisti e sicuramente farai parte dei poteri forti.
- Se la volpe che non arriva all'uva è maschilista dirà che sei tr0i4.
- Se la volpe che non arriva all'uva è femminista dirà che sei tr0i4.
- Se la volpe che non arriva all'uva è Rosario Muniz dirà che sei un "bastaVdo".
- Se la volpe che non arriva all'uva è depressa, dirà che non vale la pena cercare di raccoglierti. Che tanto ti lasceresti prendere dal primo che passa, che non ne vale la pena.
- Se la volpe che non arriva all'uva soffre di dipendenza affettiva, dirà che starà accucciata buona buona sotto il ceppo della vigna. Aspetterà che sia tu a scendere. Puoi anche decidere di marcire e spiaccicarti sulla sua testa, andrebbe comunque bene.
- Se la volpe che non arriva all'uva è narcisista dirà che sei meravigliosa. Ma non abbastanza da avere le sue attenzioni, quindi per essere all'altezza cerca di cadere velocemente nelle sue fauci.
- Se la volpe che non arriva all'uva è ossessiva, passerà tutti i giorni a controllarti. Si chiederà se davvero sei così succosa, magari sei acerba e fingi. Ti scruterà per vedere se hanno usato antiparassitari, se sei bio oppure ogn. Comunque vada... mmmh, non si fida.
- Se la volpe che non arriva all'uva soffre di panico, arriverà di corsa tutti i giorni per vedere se sei ancora lì. Appesa. La paura che qualcuno ti abbia colta è viva ogni giorno. Quando se ne va ti guarda come se fosse l'ultima volta, del domani non c'è certezza.
- Se la volpe che non arriva all'uva è sociopatica, passa senza darti molto peso. Ripassa facendo finta di nulla, se si ferma a osservarti lo fa con disgusto. Credo che ti odi.
- Se la volpe che non arriva all'uva è stressata, ti chiederà informazioni dettagliate. Se sei nebbiolo o cabernet, se la tua resa è migliore dell'uva del vitigno confinante. Se si sbagliasse e non sei la più buona? Se le sue aspettative venissero deluse? Niente. Si butta sulla Nutella.
- Se la volpe che non arriva all'uva è xenofoba, dirà che vuole l'uva autoctona, preferisce il Moscato Bianco al Cabernet Sauvignon. Vuole il blocco navale attorno ai vitigni.
- Se la volpe che non arriva all'uva è social dipendente, si fa un selfie con te e lo posta su Facebook. Poi lo condivide su Instagram. Ti chiede l'amicizia. poi te la toglie. Te la richiede. Poi ti blocca. Ti sblocca e ti tagga in venti frasi filosofiche prese dall'università della strada. Ti scrive in chat, tutti i giorni. Anche nelle chat di C6 che non usi da vent'anni.
- Se la volpe che non arriva all'uva è Chuck Norris, scendi tu di corsa dalla vite. Prima che con un pugno ti faccia rotolare giù.
- Se la volpe che non arriva all'uva è Ken il guerriero, sei un'uva morta ma non lo sai ancora... huatà!
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Cosa voleva dire essere adolescenti negli anni ottanta e novanta?
Non esistevano i cellulari e i social non sapevamo nemmeno cosa fossero. L'unica cosa veramente "social(e)" era stare assieme agli altri. Per davvero, nella vita reale.
Si stava a giocare a pallone in strada con gli amici fino a quando tua madre non ti urlava che era pronto. E il sabato e la domenica ogni con la propria compagnia sui muretti o al pub.
Le strade erano piene di gente. I bar erano pieni di gente. Alla domenica, nel giorno di riposo per tutti, l'appuntamento al bar dello sport era un rito fisso. Erano tutti ammassati perché i bar una volta erano dei microcosmi pieni di vita e di umanità.E tutti, giovani e non, si intrattenevano in quei locali pieni di fumo (già, perché allora si poteva fumare anche dentro ai bar), aspettando il proprio turno per poter scommettere sulle partite.E non si giocava la "bolletta", quella è nata dopo. Ma si giocava la schedina. Ricordo ancora la scritta “Totocalcio” in verde, sulla sinistra l’elenco delle partite che si sarebbero disputate ed in rosa gli “1 x 2”. C’era la possibilità di vincite milionarie con “facendo il 13” o di vincite più discrete con il 12. Si discuteva, si parlava e ci si confrontava per cercare il pronostico giusto per "azzeccare" il risultato. Alla mattina c'erano i cartoni animati, quelli belli, pixel sfocati dello schermo della tv a tubo catodico. Su Italia 1 davano "Hello! Spank", "Doraemon", "Georgie", "Sui monti con Annette", "L'incantevole Creamy", "Il mio nome è Jem". Altrimenti, se andavi sulle reti private potevi trovare "Ken il Guerriero", "Mazinga", "Sampei", "Ransie la strega", "Bia la sfida della magia", "Chuck, castoro" e tanti altri.
I film erano dei veri e propri capolavori: da Indiana Jones a Terminator, da Guerre stellari a Rocky, da Lo squalo ai film horror che tutti i mercoledì davano in doppio appuntamento a "Notte Horror" su Italia 1. E siccome il primo film cominciava alle 22:30, quello di mezzanotte e mezza toccava videoregistrarlo perché poi il giorno dopo c'era la scuola. Le VHS: oggetti oramai quasi introvabili e diventati vintage: funzionavano con nastri magnetici che giravano dentro e ci si poteva registrare sopra anche sei, sette, otto volte. L'unico modo per non sovraregistrarle era rimuovere la linguetta in plastica. Ma se poi cambiavi idea ci potevi applicare lo schotch ed ecco che si ripristinava.Ascoltavamo Vasco, gli 883 e Claudio Baglioni. Ma poi anche Michael Jackson, Prince ed i Queen. Ma c'erano anche i Guns'n'Roses ed i Duran Duran. Capitava di vedere in giro gente con lo stereo a palla e le All Stars ai piedi. Magari anche su uno skateboard.Tutto era diverso: anche l'aria che si respirava. Sia per strada che nei luoghi pubblici. Degli odori che oggi non ci sono più.
-Web
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DOCUMENTARY | FOUNDING FATHERS: THE UNTOLD STORY OF HIP HOP
‘Founding Fathers’ è un documentario sui dj forse meno noti ma fondamentali per la fondazione e lo sviluppo dei pilastri dell'hip hop e della sound system culture come la conosciamo oggi. Narrato dalla voce di Chuck D, leader dei Public Enemy, questo documentario è un viaggio a ritroso, alla scoperta delle radici dell’hip hop. Il film ci trasporta agli inizi dell’underground, a cavallo tra disco music e le ghetto jams. Mostra la realtà dei deejays nelle strade e nei parchi di New York City. State pronti ad ascoltare la leggenda di Grandmaster Flowers e KC The Prince of Soul, Disco Twins, DJ Divine, DJ Lance, Nu Sounds, King Charles, Pete “DJ” Jones, DJ Hollywood, Charisma Funk e molti altri. E di come a Brooklyn e nel Queens ci dessero dentro, forse anche più e prima di Uptown. Una carrellata sugli unsung heroes, quelli che hanno fissato le fondamenta della casa e in qualche modo ne sono poi rimasti fuori. Le radici dei primi rap, la storia della musica afro americana vista sotto una prospettiva diversa. Prendetevi un’ora e mezza e godetevelo.
‘Founding Fathers’ is a fascinating history of less known djs, emcees and promoters in Brooklyn, Queens, and Manhattan, and their roles in hip-hop and NYC sound system culture. While the Bronx is the acknowledged birthplace of hip-hop and home to its greatest and most storied pioneers, ‘Founding Fathers’ presents the largely untold story of folks exploring a side of hip hop culture that is not often exposed. Be prepared to listen to legends like Grandmaster Flowers e KC The Prince of Soul, Disco Twins, DJ Divine, DJ Lance, Nu Sounds, King Charles, Pete “DJ” Jones, DJ Hollywood, Charisma Funk and a bunch of others who were putting it down in the other boroughs during the original school/park jam era. Narrated by Chuck D of Public Enemy, this film is a factual report about unsung heroes, who contributed to the foundational principals of the music known today as Hip Hop. It will transport you to a journey back to the early underground disco days of the streets and parks throughout New York City. Take an hour and a half and enjoy.
#fuck the glory days#hip hop#documentary#rap#history#nyc#culture#afro american#ghetto#jams#underground#film#sound system#new york#brooklyn#public enemy#Youtube
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Il World Economic Forum lo ha detto chiaramente:
"Non POSSIEDERAI nulla e SARAI felice".
Bisogna quantomeno dargli atto dell'onestà intellettuale; non hanno detto infatti:
"Non POSSIEDEREMO nulla e SAREMO felici".
Per apprezzare fino in fondo lo straordinario pezzo che segue consiglio di tenere bene a mente due ambienti: da un lato le meravigliose case degli anziani di paese, che straripano di oggetti, foto di famiglia, ninnoli e cianfrusaglie; dall'altro le asettiche residenze minimali che tanto vanno di moda oggi, che somigliano più a Bed&Breakfast che ad abitazioni e che straripano di tecnologia ma sono prive di qualsiasi riferimento al passato o alla storia della famiglia.
Quando tutta la memoria sarà digitale, bastera un click per cancellare il passato e riscrivere la storia a piacimento.
Giorgio Bianchi
TUTTA COLPA DI FIGHT CLUB.
Di Lorenzo Vitelli.
La musica su Spotify. I film su Netflix. I documenti su Cloud. I libri su Kindle. L’enciclopedia su Wikipedia. Le foto su Instagram. Il lavoro su Drive. Il cibo su Glovo. Siamo nullatenenti. Affittuari di esperienze. E se vi dicessimo che la colpa è di Fight Club, un’apologia del post-capitalismo?
Fight Club, il film diretto da David Fincher e tratto dall’omonimo romanzo di Chuck Palahniuk, ha segnato profondamente l’immaginario dei Millennials, la generazione che comprende i nati tra i primi anni Ottanta e la metà degli anni Novanta. Interpretato dal riuscito binomio Norton-Pitt, il primo un impiegato mediocre, frustrato e insonne, e il secondo (in verità il suo doppelgänger) un carismatico e imprevedibile giovane kerouachiano a capo di un’organizzazione eco-terrorista, questo lungometraggio è uscito nelle sale statunitensi nel 1999, sul finire del secolo, quando qualcuno credeva che la storia fosse giunta al termine. Negli anni si è affermato come un vero e proprio cult movie, un contenitore simbolico da cui i Millennials hanno attinto citazioni e riferimenti anti-capitalisti, pose e stili di vita, poster e magliette, tanto che taluni hanno eletto il film a manifesto generazionale. Affresco schizofrenico della società tardocapitalistica il film offre una critica ridondante e fuori tempo massimo alla società dei consumi.
Si tratta di una critica all’americana della società americana, un’esplicita condanna all’accumulazione di oggetti, alla mercificazione del mondo, alla corsa ai consumi emulativi che caratterizza la classe media, in particolare i colletti bianchi, le masse impiegatizie e salariate incastrate nella gabbia trigonometrica casa-starbucks-ufficio e ritorno. A questa vita si contrappone il fight club, zona franca dell’escapismo selvaggio all’interno della metropoli. Un luogo dove si combatte a mani nude, senza regole, e che permette ai suoi adepti, quelli che si sono risvegliati dall’american dream – un risveglio che assomiglia all’effetto della red-pill di Matrix (film uscito nello stesso anno) – di riscoprire la cattività del loro essere interiore attraverso una violenza che diventa ricreativa e terapeutica, violenza redentrice che desta l’individuo dalla sua disforia esistenziale, rendendogli evidente l’asimmetria tra ciò che crede di essere e ciò che realmente è. In modo superficialmente nietzschiano, il film trasmette messaggi di questo tipo: “Tu non sei il tuo lavoro, non sei la quantità di soldi che hai in banca, non sei la macchina che guidi, né il contenuto del tuo portafogli, non sei i tuoi vestiti di marca, sei la canticchiante e danzante merda del mondo!”. Stampata sulle magliette, tatuata sugli avambracci, utilizzata per citazioni fuori luogo sui propri profili Facebook è una frase che per assurdo oggi suona come un claim pubblicitario: “le cose che possiedi alla fine ti possiedono”. Una lezione, questa, che noi Millennial a quanto pare abbiamo introiettato alla perfezione, finendo poi per vederci costretti a metterla in pratica. Infatti non siamo più posseduti dalle cose che possediamo, perché non le possediamo più! Macchine, case, vestiti di marca, conti in banca in positivo sono prerogative che la nostra generazione non contempla. Nullatenenti, al massimo possiamo affittare esperienze: ascoltiamo musica e vediamo film in streaming, leggiamo libri su supporti virtuali, non acquistiamo più riviste né giornali, abitiamo case dormitorio per tempi sempre più ridotti, guidiamo macchine non nostre, lo smartworking ci ha privato persino di un ufficio in cui lavorare stabilmente. Le città testimoniano di questo mutamento: niente più negozi di dischi, biblioteche, cinema, teatri, niente più uffici e forse, a breve, neanche più scuole. Pur rimanendo professionalmente frustrati come il protagonista, stavolta non per colpa della vita impiegatizia ma della precarietà, ci atteggiamo a Tayler Durden quando accediamo al nostro fight club customizzato inserendo un nome utente e una password su una qualsiasi piattaforma digitale, dove non ci sono più oggetti a possederci (ma i contenuti cattura-attenzione prodotti da un algoritmo).
Fight Club perciò ci ha venduto come una forma ribellistica di liberazione dalla merce, l’esproprio che in realtà il post-capitalismo stava già mettendo in atto con il nostro tacito assenso. Interiorizzata tra i Millennials l’idea secondo cui “i beni che possiedi alla fine ti possiedono”, la nostra generazione si è rivelata un parterre perfetto, ideologicamente e antropologicamente restio all’accumulazione di oggetti, alla stabilità e alla vita borghese, a cui si potevano disinvoltamente vendere i nuovi prodotti fatti di byte, la cui immaterialità assicurava di non partecipare alla società dei consumi (come la si conosceva prima dell’avvento di internet), lasciando accedere i suoi membri al nascente mercato digitale privi di sensi di colpa ma con spirito da pionieri anti-sistema. Fight Club ha raccontato implicitamente un passaggio di consegne da un’architettura capitalistica a un’altra: il vecchio mondo fordista e industrializzato muore – come nell’epilogo del film in cui esplode la città – ma perché nulla cambi davvero. Fincher e Palahniuk hanno fornito ai Millennials un libretto di istruzioni per farla finita con il vecchio capitalismo dell’accumulazione, e una cartina per orientarsi nella geografia del nuovo mondo, hanno dato vita a una delle più riuscite apologie della società post-capitalista, insospettabilmente complice dello stile di vita anti-materico che nel frattempo la Apple aveva cominciato a pubblicizzare con il suo design buddhista e il suo comunismo light dello sharing. La Apple era già promotrice dell’abolizione degli oggetti, delle case vuote e minimaliste, di un certo nomadismo esistenziale, delle vite precarie ma customizzate. Come dice Ian Svenonius in Censura subito!!!: “Apple sprona alacremente la popolazione a liberarsi dei propri beni. La musica? Salvatela sul Cloud. I libri? Sul Cloud. I film, le riviste, i giornali, e la televisione devono essere tutti stoccati nell’etere, non per terra o in un armadio. È come vivere in un monastero modernista il cui culto è la Apple stessa”. E aggiunge: “Apple ha operato un rovesciamento del mondo che ha trasformato il possesso materiale in un simbolo di povertà, e l’assenza di beni in un indice di ricchezza e potere”.
Siamo dei nullatenenti, in definitiva, e ce ne vantiamo. Le cose intorno a noi stanno scomparendo. L’accumulazione di oggetti è diventata una pratica volgare e retrograda nonostante gli oggetti raccontino una storia, costellino i nostri ricordi. Gli oggetti erano, come dice sempre Svenonius, “dei ricettacoli di conoscenza, avevano un senso, erano totem di significato”, custodivano un sapere tramandato rispetto a quello sempre rinnovato, in costante aggiornamento virtuale, che troviamo online. Il fenomeno vintage testimonia la nostalgia per gli scaffali pieni di libri polverosi, i dischi accatastati, le videoteche e le dispense piene. Ma si tratta proprio di una posa in voga tra pochi privilegiati che conferma la tendenza della società a liberarsi degli oggetti, o comunque a dargli un’importanza sempre minore, a favore invece dell’esperienza connessa all’acquisto. Alla proprietà di qualcosa infatti, si preferisce fare l’esperienza di qualcosa: questo è diventato un mantra ormai banale tra gli startupper e gli esperti di marketing di tutto il mondo. La gente vuole fare cose, vuole condividere momenti, avventure, sensazioni, peripezie. È una rincorsa al consumo emulativo di attività esperienziali da rilanciare sui propri profili social. Siamo ancora la canticchiante e danzante merda del mondo, ma adesso non abbiamo neanche più degli oggetti dietro cui nasconderci. Vogliamo farlo sapere a tutti.
https://www.lintellettualedissidente.it/inattuali/tutta-colpa-di-fight-club/?fbclid=IwAR0x5vl4FC8oEg9lZV1UVoGoMc1CggtL7E-9IPBmDFksI_o1rASrFNUTA-4
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E da qui ebbe inizio la vera rivoluzione rock! Con tutti gli altri che si preparavano al grande evento e all'esordio di lì a poco, a ciò che sarebbe stata poi la manifestazione del secolo: "Woodstock!!!" E all'esordio subito planetario dei vari gruppi dei Leed Zeppelin, Deep Purple, Jimi Hendrix e con Rolling Stones, Chuck Berry e poi Genesis, etc.
lan ✍️
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«Il motivo principale per cui la gente se ne va dai paesini di provincia» diceva sempre Rant, «è perché così poi può sognare di tornarci. E il motivo per cui ci resta è per sognare di andarsene». Con questo Rant voleva dire che nessuno è felice, da nessuna parte.
~Rabbia, Chuck Palahniuk~
#Rant#chuck palahniuk#rabbia#citazioni#riflessioni#pezzi di vita#provincia#città#andarsene#viaggiare#solitudine#filosofia#felicità#tristezza
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*Questo post faceva parte della rubrica I dischi di quando ero giovane che avevo iniziato su uno dei tanti altri blog che gestivo, ma non avevo mai continuato.
Nel pieno del periodo metallaro (15-16 anni) andavo spesso a scuola con la maglia di The Sound Of Perserverance. Che significa quella cosa scritta sulla schiena? Morte. Ero proprio un cattivo. Ricordo che la prof d’italiano ci aveva dato un tema. Il titolo mi sfugge, ma riguardava la perdita delle persone care. Di solito, nei miei scritti esageravo sempre e risultavano spesso immaturi. Continui attacchi alla Chiesa, anche quando l’argomento era totalmente diverso; rimandi a tematiche trasgressive, per turbare i pensieri di quella povera donna che avrebbe dovuto poi correggerli e mettermi 5. Mi dispiace non aver conservato la brutta e ricordo solo vagamente quello che avevo scritto. Penso che sia stato uno dei temi più lunghi, impegnati e pure appassionati della mia carriera da studente. Ne ero proprio orgoglioso. L’argomento principale era la figura di Chuck Schuldiner: i suoi testi, la sua importanza nella scena death metal mondiale e la sua prematura scomparsa. Avevo aggiunto il ricordo della famiglia, penso, lette in qualche intervista e delle considerazioni su ciò che aveva significato per me la sua musica. Lei, donna del profondo Sud, molto cattolica e troppo bigotta, di sicuro avrebbe stroncato quei fogli a protocollo piegati a metà. La mia devozione era forse tanta per quel personaggio, troppo lontano dal suo mondo. Non lo poteva vedere di buon occhio. Mi aspettavo un cinque. Cristiano, non sapevo che anche lei avesse un cuore. Pezzo preferito: Voice of the Soul
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Janelle Monáe
Janelle Monáe è cantautrice, attrice, produttrice, attivista e modella. Canta, recita, scrive, si espone, ha fatto del suo corpo e del suo talento un vessillo di libertà e fierezza.
Con otto candidature ai Grammy Award, ha vinto numerosi premi per il suo impegno artistico e sociale.
In prima linea per rivendicare i diritti delle donne, delle persone Lgbtq+ e razzializzate, ha messo la sua arte al servizio dei diritti umani.
Il suo nome completo Janelle Monáe Robinson ed è nata a Kansas City, il 1º dicembre 1985 in una famiglia della working class. Da piccola cantava nel coro della chiesta battista e a soli dodici anni già scriveva copioni per compagnie teatrali locali. Grazie a una borsa di studio, ha frequentato, unica ragazza nera della sua classe, l’American Musical and Dramatic Academy di New York, che ha lasciato per trasferirsi ad Atlanta, in una casa condivisa con altre cinque ragazze, lavorando come impiegata per mantenersi agli studi, mentre coltivava il sogno di scrivere musical e esordire a Broadway.
Mentre girava nei college per promuovere le sue prime canzoni, ha incontrato i cantautori Chuck Lightning e Nate Wonder con cui ha fondato la Wondaland Arts Society, etichetta underground nata per supportare giovani talenti in cerca di una libera dimora. Una casa in cui poter sviluppare suoni e visioni senza alcun freno, abbandonando le aspettative sull’arte, la razza, il genere, la cultura e la gravità.
Dopo diverse collaborazioni, nel 2007, ha pubblicato il suo primo lavoro solista, l’EP Metropolis: Suite I (The Chase) poi incorporato nel suo primo disco The ArchAndroid del 2010, concept album ambientato nel 2719 in cui Cindi Mayweather, il suo alter ego androide, figura messianica nel mondo di Metropolis, paladina di un movimento per sconfiggere il pregiudizio, guidando la gente alla ribellione e alla ricerca della libertà.
Del 2013 è The Electric Lady, promosso dal singolo Q.U.E.E.N. (Queer, Untouchables, Emigrants, Excommunicated, Negroid), che ha vinto un MTV Video Music Awards, un NAACP Image Award e un Soul Train Music Award.
Nel 2018, quando ha pubblicato il terzo progetto solista, Dirty Computer, ha dichiarato: “Voglio che le ragazze, i ragazzi, le persone non binarie, etero, gay, queer che hanno difficoltà a gestire la loro sessualità, che si sentono ostracizzate o vittime di bullismo solo per il fatto di essere se stesse, sappiano che le vedo e le sostengo.”
Nel 2023, è uscito il quarto album in studio The Age of Pleasure.
Il 14 aprile 2014 è stata premiata con l’Harvard College Women’s Center Award for Achievement in Arts and Media per i suoi contributi artistici e sostegno al femminismo e ha ricevuto il titolo di Woman of the Year al Celebration of Black Women gala dell’Università di Harvard.
Da attrice ha recitato in film pluripremiati che raccontano le battaglie, il coraggio e l’esempio di donne nere come Il Diritto di Contare e Harriet. È comparsa in diverse serie televisive, ha prestato la sua voce a personaggi d’animazione e cantato in numerose colonne sonore.
Nel 2020 è stata nel cast del film The Glorias: A Life on the Road sulla storia dell’attivista femminista Gloria Steinem e ha aperto la 92ª edizione dei Premi Oscar con una canzone di Billy Porter che ha evidenziato i molti film candidati e quelli snobbati dall’Accademia.
Nel 2022 ha pubblicato il suo primo libro, The Memory Librarian: And Other Stories of Dirty Computer.
Nel 2023 i Critics’ Choice Awards l’hanno premiata con il #SeeHer Award per aver onorato personaggi interpretati autenticamente che sfuggono agli stereotipi, si spingono oltre i limiti e si battono per l’uguaglianza di genere.
Col suo stile che mescola un funky energico e progressioni soul, la capacità di mantenere il palco, la scelta oculata dei suoi personaggi cinematografici, l’attivismo e magnetismo, ha incantato il mondo, a partire da celebrità come Michelle e Barack Obama che, dopo una storica performance alla Casa Bianca, l’hanno voluta in uno show che hanno prodotto.
Janelle Monáe Robinson è una potenza in grado di sfruttare la sua visibilità per apportare un enorme contributo al femminismo intersezionale.
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I rapporti tra Fedez e il capo ultras Luca Lucci arrestato insieme al bodyguard del rapper
Fino a pochi giorni fa giravano in auto assieme per Milano a bordo di un suv nero Luca Lucci e Fedez. Alla guida Luca Lucci, alias il Toro, arrestato oggi per associazione a delinquere, di fianco Federico Leonardo Lucia in arte Fedez. A dimostrazione casomai ce ne fosse ancora bisogno, degli stretti rapporti non solo di amicizia ma anche di affari, secondo la Procura, tra l’ex Ferragnez, che non risulta minimamente indagato nell’indagine della Direzione distrettuale antimafia, e membri del direttivo della Curva sud. Tra questi Cristian Rosiello e Islam Hagag, anche loro in carcere da oggi, con cui ha condiviso vacanze in Costa Smeralda e solo pochi giorni fa un bel viaggio a Parigi. Del resto però, secondo l’ordinanza firmata dal giudice per le indagini preliminari Domenico Santoro, i rapporti tra Lucci e Fedez risalgono a ottobre del 2023, quando Fedez per spingere la sua bibita Boem, creata in condivisione con il cantante Lazza, anche al Meazza chiama Lucci. Lo vedremo. Perché tali rapporti di amicizia, scrive il gip, permetteranno di fare luce su un fatto che ha occupato per giorni le cronache dei giornali, ovvero l’aggressione al personal trainer Cristiano Iovino avvenuta in via Ulpio Traino a Milano. Aggressione cui hanno partecipato lo stesso Fedez e Cristian Rosiello. E che, scrive il gip, ha rilevanza “non certo per la presenza di Fedez quanto piuttosto perché l’episodio comprova come una frangia degli ultras del Milan si sia trasformata in una sorta di gruppo violento dedito a spedizioni punitive, anche su richiesta”. L’aggressione, per la quale Luca Lucci non è indagato, avviene il 23 aprile scorso. Ed emerge da una telefonata tra Andrea Beretta e Orial Kolaj, già vicino alla curva Nord della Lazio. Fin da subito si comprende che tra i coinvolti vi siano membri della curva Sud del Milan. E questo emerge da una chiacchiera all’interno del bar di Daniele Cataldo dette “sette pistole”, personaggio vicinissimo a Lucci. Nel locale sono presenti anche Luca Lucci e Matteo Norrito, il Chuck della curva interista. E qui “hanno fatto diretto riferimento in ordine al coinvolgimento nei fatti di Rosiello e Fedez, al quale il primo farebbe ormai da guardia spalle su direttiva di Lucci”. Il fatto di cronaca è ormai noto. Iovino sarà aggredito davanti a casa dopo una lite avvenuta poche ore prima alla discoteca The Club. Ad assistere al pestaggio alcuni testimoni, tra cui una signora che prova a filmare con il cellulare. Ascoltata dagli inquirenti spiegherà di aver sentito queste parole rivolte a Iovino ancora per terra: “Chiedi scusa, devi chiedere scusa, noi torniamo e ti ficchiamo una pallottola in testa”. Due giorni dopo Fedez si reca a casa di Lucci. Con loro c’è anche Alex Cologno al secolo Islam Hagag, oggi arrestato. Emergerà poi, secondo gli atti, il vero motivo dell’aggressione e cioè il fatto che Iovino è il personal trainer del rapper Tony Effecon cui recentemente Fedez si è scontrato con alcuni dissing musicali e che (Tony Effe) in quei giorni di aprile aveva avuto qualche screzio con il cantante Lazza. Dirà Fedez: “Tony e l’amico Jimmi palestra”. Fedez intercettato: “L’amico di Tony si fa male” – Il 30 aprile poi gli inquirenti che stanno indagando su Lucci e sullo stadio intercettano una conversazione tra Fedez e il capo della curva Sud. In particolare Fedez spiega: “Son proprio tutti stupidi, vabbè niente, quando, quando torna il Tony.. eh..eh…(ride) niente dobbiamo e basta…e il tipo…..allora, è semplice la cosa frate! Tony ha un amico, tutti sanno che quello è amico di Tony, l’amico di Tony si fa male (…) Tony siccome deve fare il ragazzetto ghetto (…) non può permettersi, che in pubblico si sappia che un suo amico si è fatto male senza che lui poi l’abbia difeso! Perché a casa mia, lo difendi quando c’ha bisogno non dopo (…) e quindi niente, adesso ha imbruttito Lazza mi ha detto…cioè ha imbruttito, Lazza gli ha scritto e gli ha detto (…) se ci sono problemi ne parliamo (…) ma zio, ma non può far brutto a Lazza, vuol dire far brutto a mio figlio, ma ti pare!?”. La richiesta di una guardia del corpo “più pirotecnica” – Insomma, secondo il gip, la chiacchiera tra Fedez e Lucci avvenuta una settimana dopo i fatti, illustra i moventi di quella serata. Poi Fedez spiega che Tony Effe ha “chiamato il Lazzino” e gli ha “detto che lui e i suoi amici della curva non devono rompere il cazzo! Una roba simile, adesso non è che mi posso ricordare le parole incise di Tony Eeffe però ti assicuro che la parola Milan c’era! Il tema è l’atteggiamento che loro hanno, e l’atteggiamento è: Onore! e va bene, bella li, e basta! Ma tanto li becchiamo prima che vengano al bar!”. Lucci chiede: “Ma chi?”. Fedez: “Tony e l’amico Jimmi palestra”. I quali, risulterebbe, pochi giorni dopo probabilmente dovevano partecipare alla festa di un altro cantante. Fedez allora chiede a Lucci di fornirgli un alta guardia del corpo “più pirotecnica”. Lucci: “Ne vuoi uno brutto, un bestione”. Fedez: “Esatto, bravo senza gli Hitler”. Nulla poi avverrà. Quel che resta certo è che alle 3 della mattina del 23 aprile i cellulari di Fedez e Iovino agganciano la stessa cella di via Ulpio Traino. L’amicizia tra Lucci e Fedez – Ma torniamo all’amicizia e ai rapporti tra Fedez e Lucci che, per quel che risulta, iniziano nell’ottobre del 2023 quando si comincia a parlare di portare allo stadio la bibita Boem. Dice Fedez intercettato sul telefono di Lucci: “Ma se voi avete una società di consulenza o una società con la quale possiamo lavorare, ma se io vi appalto a voi la distribuzione di Boem? All’interno dello stadio e vi prendete una percentuale eh capito?”. A quel punto, scrive il gip, “Lucci si è detto non soltanto disponibile a intercedere per il suo interlocutore”, spiegando testualmente: “Potrei parlare con il responsabile che c’ha tutti i bar dentro allo stadio, che lo conosco bene! Con i bar, con i bar, mi posso muovere (…) se vuoi mi muovo anche con l’inter, perché lui fa anche quelli dell’Inter (…) se vuoi, te le faccio mettere in entrambe le partite per dentro lo stadio, non c’è problema!”. Poche settimane dopo di nuovo Fedez dice a Lucci: “Boem? Fammi sapere se ti devo tenere in considerazione dai che io sono uno rapido capito! Ti disegno lo scenario cioè io ti subappalto per così dire la gestione della distribuzione di Boem per quanto concerne tutto lo Stadio San Siro e anche baracchini limitrofi e poi troviamo un accordo su come gestirci le cose”. Lucci è chiarissimo: “Sta settimana ti garantisco che sento e mi informo va bene”. E così pochi giorni, a colloquio con la moglie, Lucci spiega di aver contattato l’amministratore delegato della società che distribuisce in appalto con Mi Stadio le bevande dentro a San Siro, mostrando “qualche criticità”. E però Fedez pare non mollare la presa. E a dicembre del 2023 è ancora al telefono con Lucci per illustragli il suo piano. Fedez: “Sì sì al 100%, guarda, noi facciamo un sacco di beneficenza” – Dice Fedez: “Per Boem so che uno dei nostri è in contatto con Pacio (Marco Pacini, componente del direttivo non indagato) allora, io volevo fare una roba! Dimmi se per te ha senso (…) siccome noi abbiamo la lattina in collaborazione con il Milan, che dobbiamo fare secondo me in primavera (…) ed io, non voglio guadagnare nulla da sta roba qua, voglio che sia una cosa di beneficienza, dobbiamo costruirla, dobbiamo costruirla, volete come curva, vi interessa partecipare a questa cosa? Di beneficenza?”. Luca Lucci si mostra entusiasta anche perché, scrive il gip, “orientato a ricostruirsi una propria immagine pulita che gli possa evitare, nel suo futuro prossimo, una nuova detenzione carceraria”. Per cui dice a Fedez: “Sì sì al 100%, guarda, noi facciamo un sacco di beneficenza (…) se troviamo un’idea carina, molto volentieri e se vuoi possiamo anche marchiarle una parte con la roba della Curva (…) ti do io l’ok sul marchio (…) pensa a quello che vuoi e si può fare (…) tanto i club sono messi in tutti Italia e lo portiamo ovunque, non c’è problema”. La bibita Boem – Ma sul taccuino del duo Lucci-Fedez “ormai più che amici” non c’è solo la bibita Boem, ma anche la gestione comune dello storico locale Old Fashionche si trova all’interno degli spazi della Triennale di Milano, il cui direttore è l’archistar Stefano Boeri. Per pianificare questo nuovo affare, secondo il giudice, Fedez addirittura quasi si auto invita nella villa di Lucci in provincia di Bergamo. Fedez: “ a posso venire con un mio caro amico? Che non mi va di guidare che non sono bravo a guidare la sera eh hai capito, faccio cagare”. Il 2 gennaio scorso così sarà ripreso dalle telecamere arrivare a bordo di una Ferrari a villa Lucci. Due giorni dopo Fedez è di nuovo al telefono con il Toro: “Io Boeri lo conosco benissimo (…) lui adesso mi fa (…) avevamo in mente di fare un po’ di musica dal vivo (…) io gli ho detto ascolta Stefano (…) cioè gli ho detto va bene che voi siete sofisticati e tutto ho detto però non potete fare le orchestre la dentro ma chi cazzo vi viene gli ho detto! Fate un club figo!”. E qui, secondo il giudice, interviene il dubbio di Fedez e probabilmente la consapevolezza dello status criminale di Lucci. Dice infatti: “Il tema che ti pongo è questo? Come introduco la tua figura?”. Chiara la risposta di Lucci: “Non la introduci, sono con te cosa devo fare? Ma tu sai già a chi farlo gestire? Perché io una persona l’avrei”. Lucci, gli artisti amici e gli imprenditori di origine calabrese – A conclusione il giudice osserva: “Sono emerse le ambizioni imprenditoriali di Lucci: il suo ruolo di capo della Curva Sud gli ha consentito di tessere, soprattutto con noti artisti italiani (Fedez, Emis Killa, Lazza, Tony Effe, Cancun, Gue Pequeno), relazioni di carattere lavorativo nel settore musicale: ciò gli ha consentito di aumentare, in maniera esponenziale, e con pochissimi controlli, i propri guadagni, avviando preliminari accordi tesi a gestire i concerti di tali artisti, sia sul territorio nazionale (ed in particolare in Calabria), sia internazionale, facendo leva sull’intraprendenza del suo fedelissimo Hagag, già in contatto con alcuni imprenditori operativi nel settore, molti dei quali di origine calabrese”. Tra questi, gli inquirenti segnalano Giovanni Galluzzo, figlio incensurato di Laura Procopio arrestata nel 2022 per droga reato aggravato dall’aver favorito la locale di ‘ndrangheta di Rho (Milano). Scrive il gip: “Le attività tecniche hanno documentato come, nel recente periodo, a tessere i rapporti con Galluzzo sia stato l’indagato Islam Hagag, tant’è che il suo nome è comparso sul sito ticketone.it in qualità di organizzatore del concerto di Fedez previsto per il 6 agosto 2024 al Calura di Roccella Jonica (RC) e di tutti gli altri eventi previsti in quel locale nel mese di agosto, oltre che quello di altri artisti attivi nel settore che si esibiranno, grazie alla mediazione di Hagag e della Why Event di Lucci”. I locali in lista sono: Miraya di Catanzaro Lido, White Different Club di Corigliano Calabro e il Copacabana Beach Club sul lungomare di Gioia Tauro”. Le entrature calabresi – Inoltre l’ultras milanista Hagag “grazie alle sue entrature calabresi ha ottenuto l’autorizzazione allo svolgimento di una serie di eventi in Calabria, segnatamente nel Comune di Roccella Jonica, interfacciandosi direttamente con soggetti dell’amministrazione locale”. In una intercettazioni, infatti, “ha svelato di essere a Roccella Jonica al fine di organizzare un buon numero di eventi musicali relativi all’esibizione dei “suoi” rapper, previo accordo con la classe politica locale”. Volano di tutto è la società White Event controllata all’80% da Valeria Bonomelli, moglie di Lucci e al 20% da Marianna Tedesco, compagna di Matteo Norrito membro del direttivo della curva interista. Mentre tra le cosiddette “entrature calabresi”legate alla ‘ndrangheta risulta un tale “cugino Ciccio” che secondo il giudice risulta essere Francesco Barbaro, figlio del boss Rocco Barbaro alias U Sparitu già a capo del manadamento ‘ndranghetista della Lombardia. Insomma per Luca Lucci nuovi affari, tanti soldi e molti nuovi amici vip. Almeno fino a oggi. Read the full article
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Retrospettiva di Ray Johnson “NOTHING / NOIHTNG”
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Presentazione:
Pavilion Lautania Valley
Stranieri Qui e Altrove - Foreigners Here And Elsewhere
Retrospettiva di Ray Johnson “NOTHING / NOIHTNG”
Presentazione a cura di Sandro Bongiani
con la collaborazione dell'Archivio Ray Johnson di Coco Gordon, Colorado (USA).
Salerno, 5 aprile 2024
Quella di Ray Johnson da autentico “stranger” rimane una proposta decisamente ai margini del sistema dell’arte ufficiale diffusa ad ampio raggio, grazie alla capillarità del mezzo postale in diversi paesi del mondo. Per lungo tempo è stato considerato dalla critica negli anni 60’ per essere “il più famoso artista sconosciuto di New York” e un pioniere della performance nell'uso della lingua scritta nell'arte visuale. Una ricerca che accoglie persino frammenti di oggetti di vita. Ray è stato “un assiduo raccoglitore di cose trovate e recuperate” per essere rimesse nel circuito della comunicazione e nell’arte restituendo a loro una nuova vita. Le associazioni delle cose e i processiin cui accadono realmente erano alla base della comunicazione visiva, una sorta d’indagine intesa come un “work in progress” assolutamente del tutto provvisorio, che non può avere mai una definitiva conclusione.
Una pratica per certi versi trasversale e nel contempo deviante e poco credibile agli occhi del sistema dell’arte ufficiale, basata essenzialmente sulla contaminazione tra i diversi strumenti espressivi: collage, fotografia, oggetti recuperati, disegno, performance, happening e testi scritti, utilizzando frequentemente il gioco oscuro delle parole, come per esempio, “SEND” riorganizzato come “ENDS”, oppure, “NO THINGS” diventato “NOTHINGS”, con unasorta di operazione, in cui “i giochi di parole non sono solo un fatto ludico”, fine a se stesso,ma un’altra diversa possibilità di liberarsi dalle costrizioni e dagli impedimenti e affidarsi all’invenzione e alla creatività della parola, avvalorata anche dalle collaborazioni attraverso dall’invio postale.
Nella parola “Nothing” come nel collage di Jeff - scrive Coco Gordon - non c’è la lettera “I”, in cui sotto le dita del piede c’è scritto “Martin Friedman”, a volte non scrive per tre volte la lettera “I”, oppure aggiunge “No I” come quello spedito a Chuck Welch. Nella mia personale esperienza con Ray il "NO I “' l’aveva scritto in occasione della mia mostra alla CHA SOHO Gallery nel 1982 sull’invito all'opera trap per pianoforte, scrivendo su un piccolo foglietto di carta la parola “noihtng”, opponendola come regalo di compleanno per John Cage con 70 rossi pistacchi sanguinanti in carta sulla parete della Galleria. Forse provava a comunicare nascostamente la sua scomparsa con un “i” scrivendo “Noihtng” anche dietro la mia tshirt dicendo di non perderla perché era molto importante… In questo modo nascosto annunciava già sommessamente agli amici la sua prematura scomparsa che poi realmente ha realizzato nel 1995 gettandosi in mare da un ponte a Sag Harbor, New York, e che la critica ha valutato come ultima opera testimoniale e finale di questo importante artista americano.
Diceva Ray: “ho semplicemente dovuto accettare che per una necessità di vita ho scritto molte lettere e dato via molto materiale e informazioni, ed è stata una mia azione compulsiva, e mentre l'ho fatto, è diventato storia. È il mio curriculum, è la mia biografia, è la mia storia, è la mia vita”. I suoi progetti includono prestazioni concettualmente elaborate che si occupavano di relazioni interpersonali e disordini formali, diceva: "sono interessato a cose e cose che si disintegrano o si disgregano, cose che crescono o hanno aggiunte, cose che nascono da cose e processi del modo in cui le cose mi accadono realmente. Secondo Coco Gordon, “i suoi lavori non sono mai singole operazione assestanti di mail art, ma nascono da piccole storie, da incontri con le altre persone, da relazioni e riflessioni spontanee capaci di innescare nuovi apporti e nuove azioni al pensiero creativo”dando così completa autonomia alla comunicazione e rendendo questo nuovo modo di espressione totalmente libero, al di fuori di qualsiasi schema imposto e prefissato dal potere culturale e di conseguenza dal mercato ufficiale dell’arte.
Spesso viene associato al gruppo Fluxus per il carattere solitamente minimal-concettuale dei suoi progetti; il gruppo Fluxus è stato un vivace movimento internazionale che in quel periodo si distinse per una serie di azioni e interventi a carattere neodadaista. Dobbiamo segnalare che Ray Johnson non ha mai fatto parte del “Fluxus”, ma ha comunque condiviso le stesse problematiche e ”l’underground” prettamente sperimentale con molti artisti di questo raggruppamento. Precursore e convinto individualista. presenza enigmatica e nel contempo trasgressiva dell’arte contemporanea americana, nel 48, si era trasferito a New York iniziando una produzione di opere geometriche aderendo così al “Gruppo degli Artisti Astratti Americani”, per poi a metà degli anni '50 dedicarsi al collage, producendo centinaia di piccoli lavori che chiamò "moticos", quasi una sorta di “Pop Art” anticipatrice delle ricerche che a distanza di qualche anno verranno messe in campo con successo da Leo Castelli con il gruppo storico americano. Non sappiamo se era cosciente fino in fondo della portata innovativa e rivoluzionaria che stava apportando all’interno dell’arte . Oggi, a distanza di diversi anni ci appare uno dei personaggi più originali e influenti, e nel contempo, un grande pioniere solitario dell’arte visuale, influenzando il futuro dell'arte e divenendo altresì il punto di riferimento per nuove generazioni di giovani artisti.
Johnson ha sempre preferito lavorare su piccoli formati, precludendosi così l’appoggio del grande mercato dell’arte ufficiale, rifiutando spesso di esporre o vendere il proprio lavoro. Del resto, il mercato dell’arte preferisce le grandi dimensioni e una produzione creata appositamente per essere “mercificata” in senso commerciale, e quindi, poco interessato a tale situazione. Si direbbe, una ricerca del tutto “trasversale” rispetto alle proposte svolte in quel periodo da altri autori, che accoglie diversi mezzi espressivi con interventi che di fatto hanno creato attrito come del resto ha fatto, quasi nello stesso periodo, anche Guglielmo Achille Cavellini in Italia utilizzando la scrittura, il comportamento, la concettualità e persino l'ironia ben sapendo che questa era l’unica strada possibile da percorrere. Ray, non amava tanto essere chiamato un mail artista, e neanche essere considerato il pioniere della Mail Art, ma pensava di poter creare un nuovo gruppo di lavoro “Pre Pop Shop” tra Black Mountain e Pop Art. Secondo lui l’arte è vita, del resto, anche la parola “Moticos” utilizzata molto spesso deriva dalla parola osmotic, una specifica qualità caratterizzata da una reciproca influenza, uno scambio fra individui, una compenetrazione di idee, atteggiamenti e realtà culturali, insomma, un nuovo modo di pensare in un processo decisamente fluido e in evoluzione che si rivela in modo puntuale esaminando gli scritti e le azioni performative “Zen Nothings” svolte dall’artista americano. Oggi a distanza di 29 anni dalla morte il suo lavoro sperimentale dagli anni 60’ in poi è considerato dalla critica parte integrante del movimento Fluxus e persino originale anticipatore della Pop Art americana.
Ray Johnson (1927-1995)
Nato il 16 ottobre 1927 a Detroit, nel Michigan, i suoi primi anni di vita comprendevano lezioni sporadiche al Detroit Art Institute e un'estate alla Ox-Bow School di Saugatuck, nel Michigan. Nel 1945, Johnson lasciò Detroit per frequentare il progressivo Black Mountain College in North Carolina. Durante i suoi tre anni nel programma, ha studiato con un certo numero di artisti, tra cui Josef Albers, Jacob Lawrence, John Cage e Willem de Kooning. Trasferitosi a New York nel 1949, Johnson stringe amicizia tra Robert Rauschenberg e Jasper Johns, sviluppando una forma idiosincratica di Pop Art. Nei decenni successivi, Johnson divenne sempre più impegnato in performance e filosofia Zen, fondendo assieme la pratica artistica con la vita. Il 13 gennaio 1995 Johnson si suicidò, gettandosi da un ponte a Sag Harbor, New York, poi nuotando in mare e annegando. Nel 2002, un documentario sulla vita dell'artista chiamato How to Draw a Bunny, ci fa capire il suo lavoro di ricerca. Oggi, le sue opere si trovano nelle collezioni della National Gallery of Art di Washington, D.C., del Museum of Modern Art di New York, del Walker Art Center di Minneapolis e del Los Angeles County Museum of Art.
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Ucraina, niente aiuti e armi da Usa: Senato dice no ma c'è piano B
(Adnkronos) - Niente aiuti e armi dagli Usa all'Ucraina, almeno per ora. Il Senato boccia la legge che avrebbe dovuto garantire un maxipacchetto da 61 miliardi a Kiev. Il no firmato dai repubblicani, con l'ombra di Donald Trump dietro le quinte, non fa calare il sipario sulla vicenda e sulle speranze del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Esiste un 'piano B' per uscire dalle sabbie mobili in cui il pacchetto è respinto con 49 voti contrari rispetto ai 50 favorevoli, laddove ne servivano almeno 60. Il leader della maggioranza democratica, Chuck Schumer, ha votato no per ragioni tecniche. Ciò gli permetterà di presentare una nuova mozione, tentando di far votare una misura che comprenderà solo i fondi per Ucraina, Israele e altre priorità di politica estera, senza legarle misure anti migranti sul confine meridionale, come era stato inizialmente chiesto dai repubblicani. A spingere per la bocciatura delle legge in Senato è stato Trump: "Solo un pazzo, un democratico della sinistra radicale, potrebbe votare questa orribile legge", ha scritto sul suo social Truth. "Non avrei mai pensato di vedere una cosa del genere", ha commentato il presidente Joe Biden, stizzito per il 'verdetto' malgrado nel pacchetto fossero inserite misure per il controllo del confine con il Messico, come chiesto dal GOP. I repubblicani hanno fatto marcia indietro perché "minacciati da Donald Trump", ha detto Biden in un incontro con un gruppo di donatori a Manhattan, riferisce la Cnn. Schumer, nonostante l'esito negativo intuibile prima della votazione, ha deciso di andare avanti con il voto procedurale pur sapendo di non avere i voti necessari ad arrivare alla maggioranza qualificata per procedere la legge. In questo modo i democratici potranno, in campagna elettorale, accusare i repubblicani di essersi opposti all'approvazione di misure efficaci per la sicurezza del confine, per fare gli interessi di Trump che vuole poter continuare ad attaccare Biden come responsabile di "un'invasione" di migranti. Intanto, Schumer può lavorare per attivare il piano B: il leader ha spiegato ai dem e alla Casa Bianca che "ha preparato un piano per ripresentare la mozione e costringere i repubblicani a votare i fondi all'Ucraina e Israele senza le misure di confine", hanno spiegato a The Hill fonti dei democratici al Senato. Secondo Schumer vi sarebbero abbastanza voti repubblicani per arrivare alla soglia di 60 e quindi poi portare in aula i 61 miliardi di dollari per l'Ucraina per il voto finale. ---internazionale/[email protected] (Web Info) Read the full article
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Alberto Angela - 1
Alcune cose su Alberto Angela che forse non conoscete:
- Quando Alberto Angela si diplomò non volle fermarsi con lo studio, voleva continuare. Così inventarono le Università
- Quando Alberto Angela legge un libro, in realtà, è il libro che legge Alberto Angela
- Una volta tempo fa Alberto Angela fece un solco nel terreno, nacque Roma antica
- Da quando Alberto Angela entrò nell'Anfiteatro Flavio, questi si allargò per contenere la cultura di Alberto. Divenne un colosso... il Colosseo
- Un giorno Alberto Angela da perfetto sconosciuto diede una caramella a un bambino, gli pose poi la mano sulla testa, oggi quel bambino è Alessandro Barbero
- Ogni 8 aprile Alberto Angela non compie un giro attorno al Sole, è il Sole a compiere un giro attorno ad Alberto Angela
- Il sesto giorno Dio creò l'uomo, poi volle superarsi e creò Alberto Angela
- Quando Alberto Angela visita un sito archeologico è il sito archeologico che ammira Alberto Angela
- Quando la Torre di Pisa vede Alberto Angela essa si raddrizza
- Leonardo fu un genio perché sapeva che poi Alberto Angela ne avrebbe parlato, altrimenti se ne fregava di dipingere e scrivere
- Alberto non si è laureato è la Laurea che si è Angelata
- Quando una stella cadente vede Alberto Angela, la stella esprime un desiderio
- Dove noi vediamo rovine Alberto Angela vede civiltà e storia
- Un giorno in classe Alberto raccontò alla Maestra di aver vistato Pompei, fu da allora che venne istituita Storia come materia scolastica
- Quando Alberto deve risolvere un'equazione, l'equazione si risolve da sola
- Alberto è l'unico uomo che non deve comprendere le donne, sono le donne che devono decifrare Alberto
- Quando Chuck Norris incontra Alberto Angela, Chuck Norris si dà un pugno da solo
Vorrei continuare a dirvi altre cose, ma dovrà essere Alberto a darmi il consenso.
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Il problema è che il resto del mondo prima o poi va a dormire
È così che va con l’insonnia. Tutto è così lontano, una copia di una copia di una copia. L’insonnia ti distanzia da ogni cosa, tu non puoi toccare niente e niente può toccare te” Chuck Palahniuk, Fight Club Il problema è che il resto del mondo prima o poi va a dormire. E si addormenta davvero. Le persone con cui parli per messaggio ti augurano la buonanotte, una alla volta. Come se fosse…
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Perché ti senti come una cretina se ridi da sola, ma poi finisci sempre per piangere? Com’è che riesci sempre a mutare e a essere sempre lo stesso virus mortale?
INVISIBLE MONSTERS - Chuck Palahniuk
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Se stai per metterti a leggere, evita.
Tra un paio di pagine vorrai essere da un'altra parte. Perciò lascia perdere. Vattene. Sparisci, finché sei ancora intero.
Salvati.
Ci sarà pure qualcosa di meglio alla tv. Oppure, se proprio hai del tempo da buttare, che so, potresti iscriverti a un corso serale. Diventare un dottore. Così magari riesci a tirare su due soldi. Ti regali una cena fuori. Ti tingi i capelli.
Tanto, ringiovanire non ringiovanisci.
Quello che succede qui all'inizio ti farà incazzare. E poi sarà sempre peggio.
Chuck Palahniuk - Soffocare - incipit
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