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#cavalli bardati
jacopocioni · 5 months
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Un Americano a Firenze: Henry Brockholst Livingston
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Henry Brockholst Livingston (Padre) di Isaac L. Williams Tutti a Firenze lo conoscevano e lo chiamavano “L’americano”. Era Henry Brockholst Livingston, nato a New York nel 1819, ultimogenito dell’omonimo Henry Brockholst Livingston, che alla nascita del figlio copriva il ruolo di giudice associato della Corte suprema degli Stati Uniti e che era stato ufficiale nella guerra d’indipendenza americana. Ricchissimo di famiglia non ebbe mai la necessità di esercitare una professione. Si stabilì a Firenze poco più che ventenne, a partire dal 1841. Fu uno di quegli stranieri, non in piccolo numero, che divennero fiorentini “per adozione” ed ebbero un nome a tutti noto e una spiccatissima fisionomia loro propria. Enrico Livingston si rivelò subito un tipo originalissimo. Possessore di una grande ricchezza, fu di una estrema e quasi eccessiva parsimonia: ai teatri andava di buon’ora per arrivare in tempo a prendere un posto nelle panche di platea e più volte richiese alla Amministrazione fiorentina sgravi sulle tasse, che mai gli furono accordati.
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I cavalli erano il solo suo lusso. Attirò l’attenzione pubblica con la mania sfarzosa di guidare per le strade della città la sua straordinaria carrozza trainata da dieci, dodici, addirittura venti cavalli, bardati d’oro, più o meno ammaestrati e vigilati da vari staffieri a piedi. Tutti parlavano di lui: il New York Times lo descrisse nel 1878 mentre guidava una pariglia di 12 cavalli dal mantello equino baio per le strade di Firenze. Era un vero e proprio spettacolo vederlo alla guida della sua carrozza, trainata da un numero spropositato di cavalli, uscire dalle scuderie del Casino delle Delizie, un tempo di proprietà della famiglia Ginori, in via della Mattonaia per raggiungere il viale della Regina e il piazzale del Re alle Cascine. Un acquarello del pittore fiorentino Giovanni Signorini (1808 – 1862), oggi conservato nella Galleria d’ Arte Moderna di Palazzo Pitti, raffigura il passaggio dal piazzale del Re alle Cascine della sua carrozza con un tiro di dieci cavalli. Alla fine dell’ Ottocento i viali delle Cascine costituivano uno dei più prestigiosi palcoscenici del mondo per le ultime “recite” delle carrozze private, antico simbolo del rango sociale. Il parco si apriva al pubblico passeggio, animatissimo specialmente nelle giornate festive e in quelle riscaldate dal sole, quando una folla composta di famiglie popolane, borghesi, aristocratiche, famiglie in libera uscita, vestite con gli abiti della festa si riversavano lungo i numerosi viali e vialetti. I signori non mancavano all’ appuntamento della sfilata di eleganza e del censo, si recavano alle Cascine in carrozza, si esibivano in una specie di parata al piccolo trotto, fra mezzi inchini, cenni di saluto, sorrisi e commenti salottieri. Nel piazzale del Re nel 1869, nel periodo di Firenze capitale, anche Doney aprì un ristorante che sarà frequentato da fiorentini e stranieri. In queste famose e memorabili sfilate Enrico Livingston ogni volta primeggiava per numero di cavalli, inservienti e paramenti , ma dopo che la sua smania di guidare dieci, dodici, venti cavalli per volta dette origine a vari e spiacevoli inconvenienti, la polizia municipale gli proibì, non di usare, ma di abusare della occupazione del suolo pubblico in certe ore della giornata e in certe vie più frequentate per evitare danni alla circolazione di altri mezzi di trasporto e dei pedoni. Il signor Livingston se n’ebbe a male e cambiò domicilio: andò a stabilirsi a Livorno, ma presto abbandonò la città e ritornò a Firenze. Fu sempre originale e stravagante anche negli ultimi anni della sua vita: quasi ottantenne continuerà ad uscire nelle ore pomeridiane guidando da quattro a sei cavalli. Lo accompagnerà sino all’ultimo l’abitudine di rimanere sdraiato su un sofà in una sala del Casino Borghese in via Ghibellina dalla notte sino alle prime ore della mattina, costringendo gli inservienti a far un servizio, davvero dei più straordinari, promettendo che nel suo testamento avrebbe fatto loro cospicui lasciti. Dopo la sua morte, avvenuta a Firenze nel luglio del 1892, rimase per molto tempo nella memoria popolare il ricordo delle sue bizzarrie e della sua singolarità di carattere e del suo memorabile testamento. Lasciò un patrimonio di oltre due milioni di lire in contanti, cifra astronomica per l’ epoca. Nominò eredi universali le nipoti Valentina ed Anna Livingston. Fu stravagante anche nelle sue volontà : destinerà ingenti somme in denaro a stretti amici, tra cui il senatore Olinto Barsanti, suo erede testamentario, ma anche a numerosi cocchieri e conduttori di omnibus, a fiaccherai, a camerieri e altri addetti al servizio del Caffè Bottegone in piazza Duomo, agli inservienti del Casino Borghese, come aveva promesso, e del Caffè Doney.
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Non dimenticò nessuno dei suoi camerieri personali , parrucchieri, maestri e assistenti di scuderia, medici che lo avevano sempre curato. Assegnò lasciti a tanti famosi enti e istituzioni benefiche che operavano in città ed a varie scuole d’infanzia. Nel 1912 l’asilo infantile femminile in via di Camaldoli a Firenze, situato nei locali di proprietà della Amministrazione delle Scuole Leopoldine, risultava dedicato a “Enrico Livingston”. Un ritratto dell’ Americano, realizzato dall’ artista romano Eugenio Renazzi (1863 – 1914) ai tempi in cui era studente all’Accademia di Belle Arti a Firenze, era conservato nel Museo Firenze com’era, che dal 1955 sino alla chiusura definitiva nel 2010, si trovava nell’ex convento delle Oblate in via dell’ Oriuolo a Firenze. Oggi un’ urna cineraria nel cimitero degli acattolici, conosciuto come Cimitero degli Inglesi, in piazzale Donatello, conserva le ceneri di questo particolare personaggio, conosciuto da tutti come “ L’ Americano”, che tanto ha lasciato alla città ed ai suoi abitanti.
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Marta Questa Read the full article
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luigifurone · 6 months
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40. (L'orizzonte)
Wedler entra nella sala del trono. Le gambe faticano a sostenerlo, ma nel suo portamento c’è tutta la pratica della nobiltà. E poi è un principe. Il trono e il baldacchino, col tendaggio chiuso sul davanti,  appaiono lontani, in tutto il loro splendore. Ora Wedler saprà. Quel re un po’ strano che lo aspetta non sa che farsene della stirpe, dell’oro. Darà sua figlia e il regno a chi troverà qualcosa. E ancora non si sa che.
Il re si chiama Yom. Anche se tutti sanno che è lui che comanda, è un personaggio leggendario. Nessuno può dire di averlo visto, ma tutti ne sperimentano la potenza. Chi si ribella viene punito. E nessuno è mai riuscito a sfuggire dai confini del regno. Di lui si dice che è giusto. Ma non tutti lo considerano tale. Non esce mai da quel baldacchino, almeno alla vista di qualche suddito.
Wedler ora è lì, a cinque passi, come prevede il cerimoniale. È tra i pochi ad esserci arrivato. Ha già superato molte prove, alcune con forza, altre con fortuna. Ora si inchina e fa la sua richiesta. Con tono alto. Il tendaggio che copre il trono non si muove, non arriva voce. Poi Wedler quasi per caso si accorge di un foglio stropicciato per terra, accanto ai suoi piedi. Nessuno dei presenti gli dice nulla, continuano solo a guardarlo. Lui prende il foglio, spinto non si sa come a farlo. E legge.
“Se vuoi mia figlia devi trovare l’orizzonte”. Wedler respira. E' stanco di duelli. Vorrebbe solo i capelli profumati di Adeline. Ma un enigma può andare. Almeno all’inizio. Ora bisogna però fare qualcosa. È indubbio che questa richiesta non può essere ignorata. Wedler rifà l’inchino ed esce. Va da Frerick, l’alchimista.
Frerick lo accoglie come un figlio. Comincia a pensare. Lui dice di non temere Yom, lo grida  spesso per le strade del regno. Ma non è mai scappato. Yom gli consente di cercare e di gridare e basta. Fuggire no. Il venerando mago cerca nei papiri più vecchi, e in alcune pergamene appena arrivate dalle terre del Tramonto. Non trova nulla, al momento, e prega Wedler di restare, prima o poi si troverà qualcosa. Ma Wedler non può aspettare. Sa che Frerick può aspettare l’eternità. Adeline no.
Così si incammina, qualcuno o qualcosa troverà. Appena uscito dal palazzo vede un contadino che raccoglie rape. Si avvicina e, temendone lo scherno, lo apostrofa con superiorità: “Ehi, tu, che raccogli rape, dimmi, sapresti trovare l’orizzonte?” Il contadino lo guarda stupito. Si piega leggermente in avanti. E risponde: “Il signore vuole scherzare. Come si fa trovare l’orizzonte?” Wedler è tentato di ascoltarlo, ma tira le redini e trotta via.
Che ne sa un contadino? Lui è un principe, la domanda è di Yom, deve esserci qualcosa sotto. Se non la si vede è perché non si ha guardato abbastanza. Sarebbe troppo facile. Sarebbe troppo poco guerresco. Bisogna cercare ancora. C’è una taverna con dei cavalli bardati, con delle insegne sconosciute.
Il camino lancia una luce rossastra sui volti dei cavalieri. Il vino che hanno bevuto anche. Pare di vedere anche le loro lame rosse di sangue. Sui loro denti il sorriso della belva, sulle gambe le donne del piacere. E sul tavolo cibo mangiato fino a dimenticarsi del resto. Non lo guardano. E quando Wedler, forte della forza della stanchezza, forte come mai prima, si avvicina al capo dei cavalieri  e lo interroga, il cavaliere ride. Ride come un folle. Gli prende un braccio, lo tira su una panca e gli offre da bere. E si arrabbia col taverniere, vuole altre donne per il suo nuovo amico.
Wedler ora conosce la paura. Cerca il cavallo più veloce, ma non trova l’orizzonte. Percorre tutte le terre conosciute fino ai limiti, ma l’orizzonte è ancora lontano. Pensa di impazzire, sente il suo corpo invecchiare. Chissà Adeline, ma non gli importa più tanto, ormai è consacrato. Deve trovare l’orizzonte. E per uno strano caso, a forza di girare e girare si ritrova alle porte del castello di Yom. Così entra, ritrova la sala del trono. Ci sono nuovi personaggi, ma il baldacchino è sempre chiuso.
Wedler si avanza, deciso a morire o a uccidere. Fosse pure Yom. Una lama di luce filtra dalla finestre e lo costringere a guardare. Vede il sole che muore, che in un attimo scompare. E vede l’orizzonte. E cade in ginocchio, come fulminato. “Ecco, l’orizzonte. È sempre stato qui. È sempre stato ovunque io fossi. L’ho avuto sempre intorno, e sempre l‘ho rinnegato. Orizzonte è il mio sguardo.”
Dal suo cuore si alza un masso pesante di secoli. Si solleva. Sorride. Non teme più Yom. Va al baldacchino, nessuno lo ferma. Il foglio con la scritta gli cade dalle mani, e svolazza poco più in là. Spalanca le tende. Non c’è nessuno. Sul trono vede una corona con su scritto il suo nome. Dietro al trono, una porta. E un regno.
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inveritasnews · 6 months
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sciclivideonotizie · 5 years
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‘Gli Amici di Giorgione’ e la Cavalcata di San Giuseppe. SCICLI - Si sono spenti i riflettori sull'edizione 2019 della Cavalcata di San Giuseppe. "Gli Amici di Giorgione" pensano già al 2020. Uccio Brancati, portavoce dell'associazione, è stato nostro ospite per fare un bilancio sulla festa e parlare della prossima edizione.
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partenopetour · 4 years
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Pompei non smetterà mai di meravigliarci: un ritrovamento spettacolare! La storia riemerge ancora. 🧜‍♀️
"Durante le attività di scavo in corso in località Civita Giuliana , a circa 700 m a nord-ovest di Pompei, nell’area della grande villa suburbana dove già nel 2017 – grazie all’operazione congiunta con i carabinieri e la Procura di Torre Annunziata finalizzata ad arrestare il traffico illecito dei tombaroli - era stata portata in luce la parte servile della villa, la stalla con i resti di tre cavalli bardati, sono stati rinvenuti due scheletri di individui colti dalla furia dell’eruzione.
Così come nella prima campagna di scavo fu possibile realizzare i calchi dei cavalli, oggi è stato possibile realizzare quelli delle due vittime rinvenute nei pressi del criptoportico, nella parte nobile della villa oggetto delle nuove indagini." (Così pubblicato dallo stesso parco archeologico di pompei)
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#napoli #pompei #scavi
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watercolour-blur · 4 years
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“Sguardo basso, cerchi il motivo per un altro passo
Ma dietro c'è l'uncino e davanti lo squalo bianco
E ti fai solitario quando tutti fanno branco
Ti senti libero ma intanto ti stai ancorando
Tutti bardati, cavalli da condottieri
I tuoi maglioni slabbrati, pacchiani, ben poco seri
Sei nato nel Mezzogiorno però purtroppo vedi
Solo neve e freddo tutt'intorno come un uomo Yeti”
Una chiave - Caparezza
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temporanea · 6 years
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Luce alle ombre 4
Sotto la bambola stavano, ben riposte nella carta velina, le lenzuola del corredo, ricamate con le iniziali, mai toccate. Già allora sentivo la tristezza: tutto quel tempo passato a ricamare con dedizione e cura, e per me era un tempo infinito perché non amavo ricamare e ogni punto era un’avventura e una tragedia insieme. Tutto quel tempo speso e poi non usarle mai? Perché non le aveva mai usate? Il corredo era qualcosa di importante e sacro. Era ciò che una donna possedeva di veramente suo, ciò che portava con sé nella nuova dimora, data dal marito. Era quello che ne segnava l’importanza, l’esistenza stessa, prima di perdere identità cambiando cognome e casa e vita. Era quello che le rimaneva, qualunque cosa fosse successo. E andava preparato con cura, si iniziava a ricamare presto nella vita, ancora ragazzine e chissà quante fantasticherie, quanti sogni, quanti bei visi si intrecciavano con i punti del cotone o del lino e quante rivalse, quante aspettative, quando sarò grande, avrò una casa mia e farò ciò che vorrò. Certo che lo potevamo capire, noi bambine. E chissà quanti amori immaginati soltanto, quante romanticherie da fanciulle andavano a sbattere contro la saggezza delle madri: “lavora veloce, cuci con attenzione, mettiti via qualcosa di tuo perché non sai quello che capiterà”. Ma le lenzuola erano niente, solo una suggestione, qualcosa da non sgualcire, in fondo una cosa da mamme, niente in confronto al pezzo forte: chiusi in una scatola di cartone dall’interno di seta, avvolti nella carta velina, pallida e scricchiolante, c’erano due paia di guanti da sera, uno bianco e uno nero, di pelle morbidissima e fine, lunghi fino al gomito. E che mani piccole aveva! Dalle dita lunghe ed esili e i polsi sottili su cui si allacciavano luccicanti bottoncini di madreperla. Era impossibile, è impossibile, non vedere quei guanti bianchi e non pensare ad abiti da sera di raso e pizzo, luci di candelabri e gas tremolanti, coppe di champagne mentre un’orchestra suona valzer viennesi tra le palme in vaso e le colonne avorio, alte e scanalate, di un salone da ballo. Ed era altrettanto impossibile non vedere i guanti neri e pensare a pesanti drappi funebri, a cavalli bardati d’argento, a fruscianti abiti scuri, parole sussurrate e lacrime sotto un cielo tempestoso, trafitto dai cipressi del cimitero. Cosa poteva esserci di più affascinante e spaventoso? Provarli era una sottile sfida alla sorte, mentre le nostre mani, negli anni, crescevano fino a non riuscire più ad entrarci. Come non sognare i guanti bianchi? Come non temere i guanti neri? E i guanti neri erano un pelo più grandi, un pelo più comodi dei bianchi. Forse più usati? Noi sapevamo che la storia era triste e come poteva non essere triste un corredo mai adoperato, un baule mai aperto, un futuro visto baluginare e poi sfuggito, mai diventato un passato da raccontare, mai diventato una vita? Questo era il baule di Maria Domenica Petronio e questo raccontava, a noi bambine. Che il futuro è fragile come uno dei calici della credenza che tintinnavano ad ogni passo. Che puoi sognare con tutto il cuore del mondo, che puoi respirare la vita a grandi sorsate, che puoi tendere la mano ad afferrare ogni cosa ma che tutto, tutto quello che ami, quello che sogni, quello che speri, può sfuggire come un fazzoletto di mano, una scintilla dal camino acceso e non accadere mai.
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oramicurcu · 7 years
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Ti riconosco dai capelli, crespi come cipressi
Da come cammini, come ti vesti
Dagli occhi spalancati come i libri di fumetti che leggi
Da come pensi che hai più difetti che pregi
Dall'invisibile che indossi tutte le mattine
Dagli incisivi con cui mordi tutte le matite
Le spalle curve per il peso delle aspettative
Come le portassi nelle buste della spesa all'Iper
È dalla timidezza che non ti nasconde
Perché hai il velo corto da come diventi rosso
E ti ripari dall'imbarazzo che sta piovendo addosso
Con un sorriso che allarghi come un ombrello rotto
Potessi abbattere lo schermo degli anni
Ti donerei l'inconsistenza dello scherno degli altri
So che siamo tanto presenti quanto distanti
So bene come ti senti e so quanto ti sbagli, credimi...
No! Non è vero!
Che non sei capace, che non c'è una chiave
No! Non è vero!
Che non sei capace, che non c'è una chiave
Sguardo basso, cerchi il motivo per un altro passo
Ma dietro c'è l'uncino e davanti lo squalo bianco
E ti fai solitario quando tutti fanno branco
Ti senti libero ma intanto ti stai ancorando
Tutti bardati, cavalli da condottieri
Tu maglioni slabbrati, pacchiani, ben poco seri
Sei nato nel mezzogiorno però purtroppo vedi
Solo neve e freddo tutto intorno come un uomo yeti
...
La vita è un cinema tanto che taci
Le tue bottiglie non hanno messaggi
Chi dice che il mondo è meraviglioso
Non ha visto quello che ti stai creando per restarci
Rimani zitto, niente pareri
Il tuo soffitto: stelle e pianeti
A capofitto nel tuo limbo in preda ai pensieri
Procedi nel tuo labirinto senza pareti
Noi siamo tali e quali
Facciamo viaggi astrali con i crani tra le mani
Abbiamo planetari tra le ossa parietali
Siamo la stessa cosa, mica siamo imparentati
Ci separano solo i calendari, vai!
Tallone sinistro verso l'interno
Caronte diritto verso l'inferno
Lunghe corse, unghie morse, lune storte
Qualche notte svanita in un sonno incerto
Poi l'incendio
Potessi apparirti come uno spettro lo farei adesso
Ma ti spaventerei perché sarei lo spettro di me stesso
E mi diresti "guarda, tutto a posto
Da quel che vedo invece, tu l'opposto"
Sono sopravvissuto al bosco ed ho battuto l'orco
Lasciami stare, fa' uno sforzo, e prenditi il cosmo
E non aver paura che...
No! Non è vero!
Che non sei capace, che non c'è una chiave
No! Non è vero!
Che non sei capace, che non c'è una chiave...
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sciatu · 7 years
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Scordia - il paese delle arance
Il copione è pronto, abbiamo ancora qualche incertezza sul titolo (siamo indecisi tra “I segreti di Scordia” o “Il Templare di Scordia”) ed aspettiamo i finanziamenti per partire con le prime riprese. Il film inizia con un matrimonio nella chiesa di San Rocco nel centro di Scordia con gli sposi sulla scalinata circondati da amici e parenti. Campo lungo per far vedere tutti gli invitati poi primo piano americano sugli sposi, mentre lui sta per baciare la sposa (una nota ricercatrice della National Gallery esperta nei vangeli apocrifi). D’improvviso un colpo di fucile: lo sposo e la sposa cadono colpiti da un'unica pallottola. Grida, confusione, primo piano sulla protagonista Claudia, amica della sposa che abbraccia la sposa morente mentre dice “ iddu fu…” e aggiunge qualcosa che solo Claudia sente. Da questo punto tutto  un susseguirsi di situazioni d’azione pura: si inizia con il tentativo di strangolare Claudia durante la festa di San Giuseppe con i cavalli bardati e salvata all’ultimo minuto dal maresciallo Barillà, l’ inseguimento di Claudia di notte per le strade di Scordia  da un uomo vestito come gli incappucciati delle congregazioni religiose della città, armato di una affilatissima Katana, la lotta sul tetto della chiesa di Santa Maria Maggiore del maresciallo contro uno strano frate che cerca di far cadere dal tetto il maresciallo a colpi di il Kung Fu, la scoperta di un misterioso cofanetto intarsiato in oro e avorio nel Palazzo Branciforte contenente un manoscritto cifrato di un cavaliere templare in cui si parla del luogo dove è nascosto il misterioso vangelo di Pietro che avrebbe potuto cambiare la visione della cristianità, l’inseguimento di Claudia e di Barillà in un grande aranceto da parte di un elicottero da cui partono colpi di kalashnikov , la risoluzione dell’enigma nel Palazzo Modica in cui si scoprirà l’insospettabile colpevole con un finale a sorpresa. Come protagonista maschile nella parte del maresciallo Barillà stiamo pensando a Kim Rossi Stuart, per la parte di Claudia l’attrice Nicole Grimaudo sta già leggendo il copione. Sarà di sicuro un successo.
The scrip is ready, we still have some uncertainty about the title (we are undecided between "Scordia Secrets" or "The Templar of Scordia") and we expect get the money for starting with the first shoots. The film begins with a wedding in the church of San Rocco in the center of Scordia with the spouses on the staircase surrounded by friends and relatives. Long view by the camera to show all the guests then american close-ups on spouses while he is about to kiss the bride (a well note researcher of the National Gallery expert in apocryphal gospel). Suddenly a shotgun: the groom and the bride are hit by a single bullet. Confusion, camera on the protagonist Claudia, a bride's friend who embraces the dying bride while saying "was he ..." and adds something that only Claudia catch. From this point a whole series of situations of pure action: we start with a first attempt to strangle Claudia during the feast of St. Joseph with the horned horses and saved at the last minute by Marshal Barilla; the pursuit of Claudia at night on the streets of Scordia from a man dressed as the hooded people of the city's religious congregations, armed with a Katana, the battle on the roof of the Santa Maria Maggiore church between Marshall Barillà against a strange friar who seeks to bring down the Marshal from the roof by kung-fu; the discovery of a mysterious casket inlaid with gold and ivory in the Branciforte Palace containing an encrypted manuscript of a Templar Knight who speaks of the place where the mysterious gospel of Peter has been hiden, a gospel that could change the vision of Christianity,than we have the pursuit of Claudia and of Barillas in a large orange grove by a helicopter from which kashnikov strikes, the enigma will be clarified at the end in the Modica Palace where the guilty one will be discovered with a surprise final. As a male protagonist in Marshal Barilla's part we are thinking of Kim Rossi Stuart, for Claudia's part the actress Nicole Grimaudo is already reading the script. It will be a success!
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sciclivideonotizie · 6 years
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La Rai a Scicli per la “Cavalcata di San Giuseppe” SCICLI - L’amministrazione comunale di Scicli, in collaborazione con la parrocchia di San Giuseppe, dà appuntamento per la…
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forastepfromhell · 7 years
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Sguardo basso, cerchi il motivo per un altro passo Ma dietro c'è l'uncino e davanti lo squalo bianco E ti fai solitario quando tutti fanno branco Ti senti libero ma intanto ti stai ancorando Tutti bardati, cavalli da condottieri Tu maglioni slabbrati, pacchiani, ben poco seri Sei nato nel Mezzogiorno però purtroppo vedi Solo neve e freddo tutt'intorno come un uomo Yeti La vita è un cinema tanto che taci Le tue bottiglie non hanno messaggi Chi dice che il mondo è meraviglioso Non ha visto quello che ti stai creando per restarci Rimani zitto, niente pareri Il tuo soffitto: stelle e pianeti A capofitto nel tuo limbo, in preda ai pensieri Procedi nel tuo labirinto senza pareti
Caparezza - Una Chiave
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MIlano - Corvetto (3)
Quando arrivi all’oratorio di San Michele ti accorgi di essere uscito da qualcosa, di aver varcato un confine invisibile. Si sentono gli uccelli. Un generale senso di oppressione è passato: gli uomini transitano, non stanno appesi agli usci a fumare e a grattarsi tatuaggi slabbrati. Due piccioni, uno grigio e uno bianco, fianco a fianco, a contatto, appoggiati l’uno all’altro a guardarsi negli occhi. Le vecchie sulla sedia a rotelle in casa di riposo si accordano su chi paga il caffè domani e il muro della scuola (pare una scuola) è come un quadro di Emilio #Isgrò: sotto c’era scritto qualcosa, che è stato cancellato con pittura stesa a rettangoli su ogni parola. Qui vi era un poema, forse l’Iliade intera.
Un murale di El Tilf affaccia su un orto davanti a un palazzo dove a una finestra sono state messe le transenne. Nella ex casa occupata Il #Corvaccio, vuota ufficialmente da quattro anni, le ortensie crescono tra l’erba alta. Con i piedi nelle sterpi che circondano il campo da basket dilaniato, una donnetta sta cercando di strappare un fiore a una magnolia. L’aiuto ad afferrare il ramo e a conquistare l’enorme fiore bianco che tra poche ore sarà marrone puzzolente e morto. Mi blocca sotto il sole rovente tra la cacca dei cani (continua a ripetere: ne ho pestata una) con un discorso infinito sui fiori olezzanti ma belli (“anche quegli altri, quelli di sambuco, no, non è sambuco. Non ricordo che fiori sono…”), quindi si fa fotografare accanto al campo di basket ridotto a discarica e mi fornisce il suo numero per avere la foto via uosssap. Mi dice che possiamo darci l‘amicizia, si lamenta ancora per aver pestato una merda, si giustifica che non si fa foto da sola perché ha sempre lo sguardo basso.
                 Corvetto state of mind                          Ci avete tolto il circolino?    
        Voi non potete fermare il tempo ci fate solo perdere tempo
I palazzi grigi di 16 piani di San Dionigi si innalzano nel nulla, l’ingresso macchiato da mobili abbandonati, vista sul traffico e su erba bruciata. Più in là, verso Milano, sta El Signurun de Milan, che, la prima volta che lo incroci, enorme su una terrazza, a braccia aperte come se stesse nella scena madre di Titanic, fai un salto mentre guidi (la strada è a senso unico, e non lo vedi di fronte a te, ma ti appare accanto nella sua enormità d’improvviso. Forse, un miracolo), e sei già oltre e ti chiedi: ma ho visto davvero un #Jasoo enorme e senza una mano?Si dice che affacciasse sulla #Vettabbietta, si dice cadde in acqua e venne ripescato (non credo che cadendo in acqua vi potesse affondare e sparire. Ci vorrebbe il Nilo per farlo sparire), si dice pure che sia stato trovato tra i flutti e messo sul terrazzo (a proposito, la casa è posta in vendita comprensiva di statua? E il simulacro fa aumentare o diminuire il costo dell’appartamento?). Dietro ‘sto colosso c’è la balaustra in pietra, sostenuta dalla schiena di due pecore che sembrano elefanti. No, si tratta di un paio di cavalli bardati, dice qualcuno. O di due asini.
  Ricordo un cantante funky degli anni ’90 milanese che non diceva “Sto al Corvetto” ma “Sono di san Dionigi”.
  In faccia a via San Dionigi c’è la casa occupata Rosa Nera, il cortiletto brulicante di sedie di plastica, carrelli del supermercato e biancheria stesa. Uno slavo al telefono: “ssshhhhtttttt carta intestata tai sccchhii ttt”. Mi sorpassa con gran rumore di pianelle un donnone sudato che ostenta una maglia che ritrae un muso di tigre il cui naso le ondeggia sul culo; uno stridio molesto da un citofono che si è bloccato. Sedie a impossessarsi di posteggi. Due donne obese e un ragazzino sovrappeso sono nell’ingresso a prendere fiato prima di fare le scale. (Fino qui tutto bene). Tra le ali di un palazzo, un magnifico terrazzo su cui corrono come cuciture fili e fili di biancheria stesa, la targa: da qui sono stati deportati a Mauthausen Giancarlo #Serrani, 19 anni, e Enzo #Besozzo, 18. Passa una donna con il chador a cavallo di una bici. Attraversa la strada un uomo tutto sudato, pantaloncini e zainetto, come se stesse facendo trekking e sia arrivato ora a piedi che so da Pavia. .. #eltilf #sandionigi#signorun#csaocorvaccio #GianniResta #csorosanera
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gmalandra · 6 years
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Membri delle tre confraternite di Giulianova si riposano durante la messa all’aperto in onore della Madonna dello Splendore, Giulianova, 2018. . Da circa cinquecento anni, a ricordo dell’apparizione, ogni 22 aprile si celebrano a Giulianova, tra i primi esperimenti urbani del Rinascimento, i solenni festeggiamenti in onore della Madonna dello Splendore, protettrice del centro adriatico, il cui culto era molto sentito dalla famiglia Acquaviva d’Aragona, fondatrice della città. Un tempo gli eventi erano affidati ad un capitano coadiuvato da un alfiere e da altri deputati che organizzavano ben tre palii, di cui uno, quello con i cavalli berberi si è disputato fino a qualche anno fa. L’evento più importante era ed è la solenne processione mattutina che vede sfilare per le vie della parte alta di Giulianova, la statua pellegrina della Madonna, dato che l’antica immagine lignea del Quattrocento esce dal suo Santuario solo in occasione di particolari ricorrenze. Il sontuoso corteo che parte dal Duomo di San Flaviano è stato preceduto dalle croci e dagli alti stendardi bardati di drappi colorati, ovvero le insegne delle confraternite giuliesi, nei secoli molto numerose e dedite alla preparazione delle processioni cittadine e dei riti della Settimana Santa. Alla fine dell’Ottocento si erano tuttavia ridotte a tre: la più antica, l’Arciconfraternita della Madonna della Misericordia, di rosso, fondata dal Vescovo Campano nel 1474, la confraternita di San Francesco, un tempo in nero ma oggi in giallo e dedicata al Sacramento, e quella della Madonna dello Splendore, in celeste, nata nel 1824. Dopo alcuni anni, grazie all’impegno di alcuni, queste confraternite stanno tornando a vivere e ad occupare quel ruolo determinante per la prosecuzione di tradizioni secolari e per valorizzare la devozione popolare. — view on Instagram https://ift.tt/2HTw3gE
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orchideevelate · 7 years
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Sguardo basso, cerchi il motivo per un altro passo. Ma dietro c’è l’uncino e davanti lo squalo bianco. E ti fai solitario quando tutti fanno branco, ti senti libero ma intanto ti stai ancorando. Tutti bardati, cavalli da condottieri, tu maglioni slabbrati, pacchiani, ben poco seri.
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sierra-black · 7 years
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Sguardo basso, cerchi il motivo per un altro passo Ma dietro c'è l'uncino e davanti lo squalo bianco E ti fai solitario quando tutti fanno branco Ti senti libero ma intanto ti stai ancorando Tutti bardati, cavalli da condottieri Tu maglioni slabbrati, pacchiani, ben poco seri
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written-on-the-skin · 7 years
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Tutti bardati, cavalli da condottieri, tu maglioni slabbrati, pacchiani, ben poco seri.
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