#carte geografiche
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s-memorando · 7 months ago
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Mappe
Alcuni articoli in questi giorni mi hanno fatto riflettere sul mio rapporto con le mappe e l’orientamento delle spazio e dei luoghi, che siano essi reali o virtuali, grandi o piccoli. Un articolo nella miniera di informazioni che mi arrivano da Rocco Rossitto che – come dice lui: “Con gioia  e ostinazione” – invia la sua newsLetter giornaliera, mi ha poi anche riportato il ricordo di un amico che…
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stilouniverse · 8 months ago
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L'antica Etruria rappresentata nella Tavola Peutingeriana
Antiche località dai toponimi riconoscibili o sconosciuti: Taberna Frigida (Massa), Pisis (Pisa), Vadis Volateris (Vada), Florentia Tuscorum (Firenze) Senis (Siena),  Adretio (Arezzo) … a cura della Redazione Parte della Tabula Peutingeriana raffigurante l’Italia centrale, in basso a sinistra una parte della Sardegna e della Corsica Per ingrandire l’immagine ed evidenziare i particolari…
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soldan56 · 2 years ago
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Carta di Peters
“Da cinquemila anni esistono le carte geografiche, e da tremila anni queste carte hanno contribuito a formare l’immagine che l’uomo ha del mondo. Scienziati, storici, papi, ricercatori, navigatori hanno disegnato delle carte, ma solo da 400 anni esiste il mestiere di cartografo. Come storico con interessi geografici ho studiato la storia della cartografia con particolare interesse. Mi resi conto della inadeguatezza delle carte terrestri esistenti che non favorivano, tra l’altro, la migliore soluzione che sempre sorge quando si trasporta la superficie terrestre su un foglio piano. La nuova carta, la mia carta, rappresenta in modo egualitario tutti i paesi della Terra.”
(A.Peters)
Quelle che vedete è la Carta di Peters. Chi non la conosce, l’avrà trovata bizzarra. In un Atlante tutti, da sempre, siamo abituati a vedere una carta più tradizionale, la cosiddetta “carta di Mercatore”, realizzata appunto con quella proiezione. Lo avete notato: è completamente diversa. Perché?
Cerchiamo di spiegarlo, per chi non lo sa, facendo capire così la ragione per cui il nostro Atlante sceglie di usare anche la “proiezione di Peters”. Rapidamente. Nel 1569 Gerardus Mercator, un famoso cartografo fiammingo, disegnò la carta che prese il suo nome. Tenete presente che era un uomo in fuga, inquisito per vari motivi. La sua carta non divenne subito popolare, anzi all’inizio non era accettata. Dopo 30 anni di incertezze, venne accolta e usata da tutti, soprattutto dai navigatori del 1600, dato che tracciò delle linee orizzontali e verticali, creando nuovi punti di riferimento e favorendo, così chi navigava e tracciava una rotta. In realtà, la sua proiezione deforma le aree, cioè le superfici dei Paesi, a causa della curvatura terrestre. Più ci avvicinavamo ai poli, più la superficie aumenta, creando problemi di comprensione della realtà.  Convenzionalmente, però, nei secoli è diventata la nostra visione del mondo, anche se il pianeta non è così. Uno storico ha provato a disegnare una carta che rispetti le reali superfici dei continenti e degli Stati. È il tedesco Arno Peters che vi è riuscito nel 1973. Lo fece, ovvio, anche per ragioni ideali. Peters aveva scritto libri interessanti. Nel 1952 ne aveva pubblicato uno dal titolo: Storia del mondo otticamente sincronica. Quello che lui voleva era recuperare, anche attraverso il rispetto delle dimensioni di ogni singolo Paese, la dignità di ogni popolo, la sua dimensione. Era, insomma, una logica anticoloniale, che dava al Sud del mondo la stessa importanza del Nord. Sapendo che ogni proiezione della sfera sul piano impone delle deformazioni, Peters si rese conto che l’esatta proporzione delle superfici andava a scapito dell’esattezza delle distanze. I continenti assumevano così una forma allungata.
Lui, comunque, propose la sua visione, che ha queste caratteristiche:
• Fedeltà alla superficie: ogni area (Paese, continente, mare) è rappresentata secondo le sue reali dimensioni.
• Fedeltà alla posizione: tutte le linee Est-Ovest sono parallele e orizzontali. Il rapporto di qualsiasi punto della carta con la sua distanza dall’equatore è subito identificabile.
• Fedeltà all’asse: tutte le linee Nord-Sud sono verticali. La posizione di ciascun punto è immediatamente verificabile in termini di meridiano o fuso orario.
• Totalità: la terra è completamente rappresentata, senza “tagli” o doppie rappresentazioni.
• Regolarità nella distribuzione degli errori: non sono concentrati tutti nelle aree più lontane dall’Europa.
• Colori base per ogni continente: tradizionalmente, le colonie avevano lo stesso colore degli Stati colonizzatori. Peters sceglie un colore base per ogni continente e assegna ai singoli Paesi delle varianti, per evidenziarne le affinità e le radici comuni.
Ecco, questa è la carta che avete visto e che diventa fondamentale nel nostro Atlante. Lo è perché crediamo che questa sia la corretta visione del mondo, con i suoi problemi e le sue contraddizioni.
L’abbiamo adottata per dare coerenza al nostro lavoro, che è anche geografico. Vi accorgerete che nelle singole schede Paese le carte usate sono tradizionali: c’è una logica. Ogni Stato, fotografato dal satellite è identico a come lo abbiamo sempre visto sulla carta, non subisce deformazioni. Inutile cambiare, in questo caso.
Ringraziamo l’ONG Asal che ci ha permesso di utilizzare questa Carta e con la quale collaboriamo per l’uso di questa nell’Atlante.
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schizografia · 1 year ago
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Ho parlato della mappa non perché abbia l'ossessione, la mania delle carte geografiche, ma perché il lavoro del fotografo, quel lavoro che vorrei fare un po’ anche con voi, credo consista nella stesura di una carta geografica più che nel seguire una linea retta, una strada precisa.
Luigi Ghirri
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canesenzafissadimora · 1 year ago
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La maggior parte di noi si porta dentro, da sempre, un viaggio, che non è una semplice visita o una vacanza, ma un sogno. E va crescendo a poco a poco, costruendosi una delicata architettura. E’ un’amabile malinconia, che sviluppiamo con un complicato processo: senza voli aerei, senza tempo, senza soldi.
Dalle palpebre verso dentro.
Un viaggio di questo tipo si alimenta di letture, cartoline illustrate, carte geografiche, fotografie, persone che arrivano con delle notizie, avventure vissute da altri e di cui uno si sente partecipe nell’oscurità di una sala cinematografica o a casa, soli davanti alla televisione.
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Maruja Torres
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alephsblog · 1 month ago
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Dopo l’invasione quella che era stata fino a quel momento retorica ideologica diviene vera e propria prassi eliminazionista, con la teoria spostata sul campo di battaglia che lascia il posto alla pratica e con gli intenti genocidi che si concretizzano in azioni da parte delle truppe russe nei territori ucraini occupati.
In altre parole, attraverso la perpetrazione da parte russa di innumerevoli pur se non sistematici atti di genocidio a danno dei civili ucraini si delineano i contorni di quello che in situazioni analoghe è stato definito come etnocidio ossia “genocidio culturale”: vale a dire lo sradicamento forzato dell’identità di un popolo attraverso forme di assimilazione coercitiva e violenta, compresa l’eliminazione fisica anche massiva dei non-disposti a farsi assoggettare.
Esempi di etnocidio sono quelli perpetrati contro i nativi americani, i tibetani e più recentemente gli uiguri del Sinkiang.
Di per sé, il genocidio culturale differisce da quello eliminazionista tout-court (ebraico, armeno, ruandese) in quanto può utilizzare nel suo perpetrarsi, oltre ai soliti metodi cruenti e sbrigativi di immediata applicazione (come la distruzione fisica e la pulizia etnica) anche il tempo come arma, attraverso metodi vessatori non-omicidali (privazione di diritti, imposizione di obblighi specifici, ecc.) di durata indefinita, che possono protrarsi per anni o anche per generazioni: ovvero per il tempo necessario a sradicare l’identità delle vittime ed evitare che risorga nei loro figli e nipoti.
Ed infatti il regime di Putin, dopo avere ostinatamente negato per anni (dal 2008) l’esistenza di una nazione ucraina separata da quella russa, pare adesso determinato a cancellarne ogni traccia dalla memoria storica, culturale, politica ed ideologica dei cittadini ucraini dei territori occupati. Da qui una lunga serie di misure attive di denazionalizzazione ed assimilazione forzata, riduzione numerica, sostituzione etnica, rieducazione politica e revisione culturale: il tutto riassumibile nella parola “russificazione”.
Prove di tale russificazione ve ne sono in quantità: dall’obbligo di accettare passaporti russi, al reinsediamento forzato di intere comunità, al rapimento e deportazione in Russia di bambini ucraini, alla perdita della genitorialità sui figli, all’inserimento dei giovani ucraini nelle liste di leva, alle leggi vessatorie verso coloro che rifiutano l’assimilazione, alla privazione di diritti e servizi, medicinali compresi, ai ricatti e minacce, agli espropri (il)legali ed alle azioni persecutorie, tra cui il mancato insegnamento della lingua e della cultura ucraina, sostituite nelle scuole da programmi patriottardi in russo importati da Mosca, compresa la di fatto obbligatoria iscrizione degli adolescenti nella Yunarmiya, che in Russia invece è facoltativa (*).
Un dossier compilato da Human Right Watch disponibile in pdf [link PDF] illustra tutto questo con dovizia di particolari.
Non solo prove fattuali ma anche verbali, pronunciate apertamente dai principali capibastone del regime putinista, che riconfermano qualora ve ne fosse ancora bisogno, le reali intenzioni di Mosca nei confronti degli ucraini: non solo le fesserie propagandistiche diffuse a piene mani in Occidente (denazificazione, accerchiamento NATO, “genocidio del Donbas”, ecc.) ma anche il più celato intento di cancellare dalle carte geografiche l’Ucraina come stato e gli ucraini come specificità etnoculturale, assimilando il tutto nella Malorossiya, ossia in una regione della “grande Russia”.
Come vedremo, si tratta di dichiarazioni estremamente esplicite non dal sen sfuggite bensì meditate ed indicatrici di un preciso intento etnocida, intrise di fanatismo ideologico, razzismo, suprematismo e violenza estrema, che in ogni paese democratico avrebbero sollevato sacrosanti scandalo e polemiche ma che in Russia fanno parte della normalità quotidiana, in molti casi diffuse addirittura dai principali media nazionali.
Tutte queste grevi dichiarazioni genocidali dei capibastone del Cremlino, impliciti atti di accusa verso ciascuno di loro, potranno fornire un giorno materiale probante in un auspicabile processo al putinismo ed ai suoi gerarchi. Per ora sono state raccolte dalla ONG Just Security in un faldone, continuamente aggiornato.
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abr · 1 month ago
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Faccio notare che l'esercizio shoeshine mica è iniziato lì. Non serve andar troppo indietro - 1500, lega di Cambrai, imperiali franzosi e spagnoli: poco prima di quella foto, nel 1938, le famigerate LEGGI RAZZIALI per nulla popolari e richieste, furono genuflessione, prova d'amore richiesta dall'ex allievo e nuovo padrone all'ex maestro, ex amante dell'ebrea Sarfatti che pur timidone cagasotto certo non era. Il punto non è, anche Lui lo fece, è il contrario: persino Lui capì che soli non possiamo stare. Purtroppo scelse male con chi andare e pagò caro.
Da che mondo è mondo il Sovranismo Reale ben temperato, diverso da quello tattico antiamerikano di ritorno dei sinistri globalisti, si chiede non se, ma con chi convenga schierarsi. Oggi, tolti Putin e la EU che come il Molise esistono solo sulle carte geografiche, ce ne sono due tra cui scegliere. Uno dei due paga lo shoeshine e ogni tanto, vedi caso Sala recente, accontenta gli amici; l'altro ti sputa.
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Il 25 Aprile in una immagine.
Da allora, nei ruoli, nei gesti e negli intenti non è cambiato nulla.
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michelangelob · 3 months ago
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Non è di Ignazio Danti il mappamondo della Sala delle Carte Geografiche
Dopo tre anni di lavori, è giunto al termine il restauro del grande mappamondo che finora si pensava fosse di Ignazio Danti e delle 53 carte geografiche di tutto il mondo conosciuto nella seconda metà del Cinquecento secolo, dipinte a olio su tavola negli sportelli degli armadi, su disegno di Ignazio Danti e Stefano Bonsignori. E’ stato eseguito anche il consolidamento strutturale del pavimento,…
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antro-dei-fumetti · 3 months ago
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In Patagonia
Dopo l’ultima guerra alcuni ragazzi inglesi, fra cui l’autore di questo libro, chini sulle carte geografiche, cercavano il luogo giusto per sfuggire alla prossima distruzione nucleare. Scelsero la Patagonia. E proprio in Patagonia si sarebbe spinto Bruce Chatwin, non già per salvarsi da una catastrofe, ma sulle tracce di un mostro preistorico e di un parente navigatore.
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semoromani · 5 months ago
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La Galleria delle Carte Geografiche dei musei vaticani voluta da papa Gregorio XIII nel 1580, ha lo scopo di collegare il nuovo osservatorio astronomico, la Torre dei Venti, con il Palazzo Apostolico
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cerentari · 5 months ago
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L'altrove è arrivato
È venuto da un punto  invisibile sulle carte geografiche, si è installato in casa e comanda teste incapaci di libero pensiero, così gli stolti realizzano nuovi sogni . preparavano la canzone dell’estate bella come il sole, l’altrove è arrivato, ha sfondato la porta, estate e poesia sono fuggite passando dal balcone. *
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enkeynetwork · 5 months ago
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paoloferrario · 6 months ago
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Giuseppe Bettoni, Isabella Tamponi, Geopolitica e comunicazione, FrancoAngeli, 2012
scheda dell’editore: https://www.francoangeli.it/Libro?id=20487 La geopolitica è una disciplina moderna perché prima di tutto basata sulla comunicazione. Sono i media e l’influenza che hanno sulle popolazioni a rendere la geopolitica una “disciplina del XX secolo”. Ma chi sono i primi a utilizzare oggi la geopolitica? Come mai si vedono sempre più carte geografiche nei giornali, persino in un…
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schizografia · 2 years ago
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La guerra in Galizia
Vi erano al centro dell’Europa delle regioni che sono state cancellate dalla carta geografica. Una di queste – non è la sola – è la Galizia, che coincide oggi in buona parte con il territorio in cui da più di un anno si combatte una guerra sciagurata. Fino alla fine della Prima guerra mondiale, la Galizia era la provincia più lontana dell’Impero austro-ungarico, al confine con la Russia. Alla dissoluzione dell’impero asburgico, i vincitori, certo non meno iniqui dei vinti, l’assegnarono alla rinata Polonia, come la Bucovina, che con essa confinava, fu annessa altrettanto capricciosamente alla Romania. I confini, ogni volta ridisegnati con gomma e matita sulle carte geografiche dai potenti, lasciano il tempo che trovano, ma è probabile che la Galizia non riapparirà più sugli inventari della politica europea. Assai più della cartografia c’importa il mondo che in quella regione esisteva – cioè gli uomini che nel Königreich Galizien und Lodomerien (questo era il nome ufficiale della provincia) respiravano, amavano, si guadagnavano da vivere, piangevano, speravano e morivano. Per le strade di Lemberg, Tarnopol, Przemysl, Brody (patria di Joseph Roth), Rzeszow, Kolomea camminava un insieme variegato di ruteni (così allora si chiamavano gli Ucraini), polacchi, ebrei (in alcune città quasi metà della popolazione), rumeni, zingari, huzuli (che fra il 1918 e il 1919 costituirono una repubblica indipendente di breve durata). Ognuna di queste città aveva un nome diverso secondo la lingua degli abitanti che vi convivevano, in ognuna di esse le chiese cattoliche girato l’angolo si trasformavano in sinagoghe e queste in chiese ortodosse e uniate. Non era una regione ricca, anzi i funzionari della Kakania la consideravano la più povera e arretrata dell’impero; era tuttavia, proprio per la pluralità delle sue etnie, culturalmente viva e generosa, con teatri, giornali, scuole e università in più lingue e una fioritura di scrittori e musicisti che dobbiamo ancora imparare a conoscere. È questo mondo che si trovò nel 1919 da un giorno all’altro politicamente e giuridicamente annientato ed è a questa multiforme, intricata realtà che l’occupazione nazista (1941-1944) e poi quella sovietica diedero qualche decennio dopo il colpo di grazia. Ma ancor prima di diventar parte dell’Impero austro-ungarico, la terra che portava il nome di Halyč o Galizia (secondo alcuni di origine celtica, come la Galizia spagnola) e alla fine del medioevo era sotto il dominio ungherese col nome di principato di Galizia e Volinia, era stata contesa di volta in volta fra cosacchi, russi e polacchi, finché la granduchessa Maria Teresa d’Austria profittò della prima spartizione della Polonia nel 1772 per annetterlo al suo impero. Nel 1922 il territorio fu annesso all’Unione Sovietica, col nome di Repubblica socialista sovietica Ucraina, da cui si separò nel 1991 abbreviando il proprio nome in Repubblica Ucraina.
È tempo di cessare di credere ai nomi e ai confini segnati sulla carta e di chiedersi piuttosto che ne è stato, che ne è di quel mondo e di quelle forme di vita che abbiamo appena evocato. Come sopravvivono – se sopravvivono – al di là degli infami registri delle burocrazie statuali? E la guerra ora in corso non è ancora un volta il frutto dell’oblio di quelle forme di vita e l’odiosa, letale conseguenza di quei registri e di quei nomi?
24 aprile 2023
Giorgio Agamben
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crazy-so-na-sega · 8 months ago
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AHAHAH....bravo Xi, fatti pagare in yuhan e riscrivi le carte geografiche pro domo tua, che fin'ora non t'era riuscito...dagliele secche...👍
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alephsblog · 2 months ago
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Non è certo un caso che il popolo israeliano si stia oggi, ancora una volta, scontrando con ideologie e culture che tendono a comprimere marcatamente lo spazio riservato alla libertà di coscienza, senza peraltro trarre da questa ostilità verso di essa qualche vantaggio concreto. Come accadde con il nazismo, che trasse dall’odio verso gli ebrei più svantaggi che vantaggi, anche oggi i seguaci di Hamas o di altre forme bellicose d’islamismo che vorrebbero cancellare Israele dalle carte geografiche sono riusciti a produrre per i loro stessi popoli solo terribili sofferenze.
Ancor più che religiose, politiche od economiche, le loro risentite motivazioni verso Israele e il popolo ebraico sembrano dunque riconducibili proprio all’ostilità verso quest’elemento misterioso, ma cruciale, che aveva già colpito Freud, e che è in grado di suscitare una paura pressoché incontrollabile. Ciò che gli antisemiti ancora oggi temono più di ogni altra cosa è infatti l’irriducibile propensione alla libertà individuale che caratterizza comunque gli ebrei, ivi inclusa quella che li protegge dalle implicazioni della loro stessa religione o nazionalità e che li ha a lungo indotti a non identificarle una con l’altra. Anche l’aver scelto di vivere come ospiti in giro per il mondo, e in contesti spesso inospitali, è secondo Yehoshua una conseguenza di questa esigenza e di questa precauzione.
Probabilmente, quest’aspetto è anche quello che ha sempre consentito agli ebrei di saper collaborare in modo reciprocamente proficuo con tutti i popoli e con tutti gli Stati che non si proponessero di sterminarli, senza che però questo loro tratto distintivo gli impedisse di essere perseguitati. Forse è per questo motivo non marginale che il giornalista ebreo/ucraino Vladimir Zeev Žabotinskij (Odessa 1880-New York 1940) fu indotto a formulare la sua lapidaria sentenza: «se non sconfiggerete la diaspora, la diaspora sconfiggerà voi». In questo modo, spiega Yehoshua, egli “sintetizzò l’urgenza del sionismo”, che a sua volta “si adoperò per normalizzare al più presto l’esistenza degli ebrei, tentando di creare una sovranità indipendente in una parte della terra d’Israele”.
Di fronte ai recenti e violenti sussulti, in tutto il democratico mondo occidentale, di un sostanziale antisemitismo, pur mascherato da un pretestuoso antisionismo, risulta quindi evidente che ormai non è in gioco solo la sopravvivenza dello Stato d’Israele e del popolo ebraico, ma anche quello stesso principio di tolleranza liberale di cui lo Stato ebraico è ancora oggi l’unico avamposto in Medio Oriente; e se tale principio ha potuto trovare un terreno fertile presso il popolo ebraico è perché questo ha sempre cercato di preservare l’elasticità del vincolo tra religione e nazionalità che costituisce un elemento fondamentale per poter pervenire a una concezione laica e democratica dello Stato.
L’antisemitismo non è dunque prevalentemente riconducibile, come alcuni ancora ritengono, a una presunta posizione di forza degli ebrei all’interno dei sistemi di potere dei paesi ospitanti, a una qualche peculiare potenza economica del popolo ebraico, ma proprio ad un elemento che, almeno ad una visione superficiale, potrebbe denotare una sua intrinseca debolezza, vale a dire quella mai compiuta saldatura tra nazionalità e religione che per Yehoshua contrassegna un tratto cruciale della sua storia. Alla mancata fusione di questi due elementi è infatti riconducibile quell’esercizio della libertà individuale che anche durante la diaspora ha sempre caratterizzato la vita dei componenti delle sue comunità. Si tratta in effetti della stessa libertà di coscienza, religiosa e politica, su cui sono imperniate le società liberaldemocratiche, e il fatto che i più accesi nemici d’Israele e degli ebrei, oggi come nel secolo scorso, siano quasi sempre anche nemici della liberaldemocrazia e che le loro iniziative politiche tendano a prefigurare nuove forme ibride di totalitarismo sembra confermare in modo inequivocabile questa relazione.
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