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#cappella della santa croce
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Cappella Maggiore della Chiesa di Santa Croce, Firenze, ITALIA
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Da: SGUARDI SULL'ARTE LIBRO TERZO - di Gianpiero Menniti
IL CIELO VUOTO
La Madre. Il Figlio.
La scelta e il presagio.
E l’ineffabile, il padre: è assente.
L’icona bizantina ricorda sempre il Padre: è nello sfondo, nella materia rilucente che avvolge le figure divine e terrene della Vergine e del Cristo.
L’Occidente cristiano, invece, esclude dalle sue immagini il richiamo al Padre.
Lentamente ma inesorabilmente, scompare.
In ragione della sua indicibilità, della sua irrappresentabilità.
Non c'è scena per il Padre.
Ma scompare anche dall’orizzonte del credente, pregno del Dio generato, del Dio incarnato.
Diviene abissale lacuna.
La raffigurazione pittorica avverte il desiderio di colmarla, per quanto possibile.
Il riflesso realistico fa fatica.
Giotto lascia comparire una mano.
Masaccio lo riporta al vertice della Trinità: un atto imperativo, dirompente quanto il suo dipinto.
Ma è con Piero della Francesca, al vertice insuperato dell’arte sacra, che il Padre riappare al cospetto dell’annuncio, nell’istante dell’inizio.
Per ascoltare quel sì della Madre che inaugura l’era cristiana.
L’era del Figlio.
- Giotto (1267 - 1337): "San Francesco, la rinuncia degli averi", dal ciclo delle “Storie del Santo di Assisi”, 1292/1296, Basilica Superiore, Assisi, Perugia - Masaccio (1401 - 1428): "Trinità", 1426/1428, Santa Maria Novella, Firenze - Piero della Francesca (1416 - 1492): "Annunciazione" da "Storie della Vera Croce", 1452/1458, cappella maggiore, Basilica di San Francesco, Arezzo
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jacopocioni · 1 year
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Il mistero degli affreschi delle cappelle Medici e Pazzi. Risolto?
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Il mistero degli affreschi delle cappelle Medici e Pazzi.
Stiamo parlando della Sagrestia Vecchia nella basilica di San Lorenzo a Firenze e della Cappella Pazzi nel primo chiostro della basilica di Santa Croce sempre a Firenze. Ambedue capolavori architettonici di Filippo Brunelleschi.
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Cappella Pazzi in Santa Croce
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Sagrestia Vecchia in San Lorenzo                     Le interpretazioni sono state più di una, molti gli studiosi che si sono impegnati per risolvere questo enigma fiorentino; enigma centrato più che nell'arte pittorica nello scopo della rappresentazione scelta. Una prima interpretazione viene da Aby Warburg il quale ipotizzò che l'affresco fosse raffigurante la data corrispondente alla consacrazione dell’altare della basilica di San Lorenzo, cerimonia che si è svolta il 9 luglio 1422. Questa teoria è oggi accantonata ma abbiamo voluto verificarla comunque. Non vi inserisco la mappa stellare, ma decisamente non è corrispondente, la luna non è in Toro e il sole è quasi al davanti del cancro. Venere si pone in gemelli e Giove si è perso chi sa dove. Inoltre che senso avrebbe che i Pazzi riproponessero la duplicazione perfetta di quell'evento? Una nascita nella famiglia Medici? Il mistero deve in qualche maniera coinvolgere le due famiglie, la ragione deve essere super partes. Si suppone in questa ipotesi che l'opera sia da attribuire a Giuliano d’Arrigo detto Pesello (Firenze 1367-1446). Pesello era un esperto nel disegno degli animali e un abile ritrattista ma non aveva la cultura astronomica necessaria per una tale precisione, si crede che fosse stato guidato da un esperto astronomo quale Paolo dal Pozzo Toscanelli (1397-1482). Forti non postula nessuna teoria sul "motivo" dell'affresco ma analizza l'affresco solo da un punto di vista scientifico. Ancora un'ipotesi è che la famiglia Medici volesse celebrare la riunificazione delle Chiese d’Occidente e d’Oriente, evento fortemente voluto da Cosimo il quale fece di tutto per spostare il Concilio da Ferrara a Firenze. Infatti la firma del decreto “Laetentur coeli” avvenne il 6 luglio 1439 a Firenze e si raggiunse la completa riunificazione tra greci e latini. Al concilio parteciparono esponenti di grande prestigio per l'epoca da religiosi ad artisti, da architetti ad astronomi fra cui anche Paolo del Pozzo Toscanelli. Un altro astronomo, sempre di Arcetri, si è misurato con questo mistero aprendo una nuova via interpretativa. Fabrizio Massi analizzando la mappa stellare ha confermato il giorno 4 Luglio del 1442 come giorno rappresentato e per la precisione alle 10:30 del mattino. Masi però esplora una nuova strada. Afferma che la volta rappresentata non è del cielo sopra Firenze ma di un punto d'osservazione diverso e cioè la posizione geografica è da collocare presso Shanhaiguan in Cina. Ci fornisce le coordinate corrispondenti a 40° N 120° E. Queste coordinate, secondo google maps, cadrebbero in acqua, ma poco distante da Shanhaiguan circa a 18,5 km a nord-est. Posizionandosi sulla città di Shanhaiguan le coordinate sono circa 40° N 29" 119° E 46". Cominciamo la verifica. Impostiamo le coordinate fornite da Massi di Shanhaiguan (meglio quelle precise) e poi le due date possibili, quella sostenuta da Massi e quella del concilio. In entrambi i casi si deve adattare la visione verso ovest, non tenere conto dell'orizzonte e per ovviare a questi due problemi cambiare l'orario di osservazione sino ad ottenere corrispondenze migliori in orari notturni.  Una teoria compiuta dovrebbe rispettare i parametri di cui disponiamo. L'affresco ha due sicure certezze, Il Sole fra cancro e gemelli e la Luna in Toro, sul muso del toro. L'idea di Francesco Masi di uscire dal concetto che sia il cielo sopra Firenze è interessante e potrebbe aprire a nuove teorie, cioè testimoniare a Firenze un luogo lontano da Firenze, interessante. Magari un luogo che non era ancora possibile raggiungere dati i mezzi disponibili e le conoscenze del tempo. Zheng He è un membro della dinastia dei Ming. Un eunuco compagno di giochi del piccolo principe Zhu Di. Quando Zhu Di divenne imperatore della Cina assumendo il nome di Yongle, ordinò nel 1403 la costruzione di una flotta imperiale sia per scopi mercantili sia come flotta da guerra e scopi diplomatici. L'imperatore nominò ammiraglio Zheng He e lo mise al comando di tutta la flotta. L'imperatore Yongle incaricò Zheng He di effettuare spedizioni navali a carattere diplomatico, scientifico e commerciale nei mari occidentali. Ora poniamo per un secondo che sia vero, una realtà, l'America è stata scoperta per la prima volta da Zheng He e che una delegazione cinese lo avesse fatto presente alla famiglia Medici fornendo la data e le coordinate di dove i cinesi si erano introdotti nel territorio americano. Prendiamo adesso le coordinate fornite da Masi 40°N 120° E e proviamo a mettere 120° Ovest. Impostandole su maps ci ritroviamo qua: https://goo.gl/maps/fd6ksPexQ41jMyGa8 Proviamo a inserire le coordinate nel programma stellarium e a giocare percorrendo le date dal 1421 al 1423 ed esattamente alla data 3 Luglio 1423, esattamente alle 19.30, abbiamo rappresentata questa volta celeste.
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Con le coordinate della Sagrestia Vecchia spostate ad ovest, la situazione non cambia, l'immagine è praticamente la stessa. E se le cappelle fossero l'unica testimonianza della vera scoperta dell'America? Ovviamente un'ipotesi, ma... Magari Colombo è arrivato nel 1492 "sapendo" dove andava!
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personal-reporter · 1 year
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Custodi di arte e fede: Basilica di Santa Croce a Firenze
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Il cuore della storia della città del Medici e una delle chiese più amate del mondo… La Basilica di Santa Croce è da sempre la chiesa dei fiorentini, infatti fu proprio la cittadinanza a finanziare i lavori di costruzione alla fine del Duecento. Alle origini collocata fuori dalle mura cittadine, la basilica venne  edificata su una chiesa francescana,  molto probabilmente su progetto di Arnolfo di Cambio. Se la facciata, in stile gotico rivisitato, risale alla metà dell’Ottocento, l’interno della chiesa ospita la cappelle riccamente affrescate dedicate alle prestigiose famiglie  che ne finanziarono la costruzione e molti monumenti funebri di illustri fiorentini. Fra le tante opere della Basilica la più importante è il Crocifisso di Donatello, causa di una disputa fra l’artista e Brunelleschi che, trovandolo “rozzo e contadino”, ne fece uno più bello. Altre importanti opere sono l’Annunciazione Cavalcanti di Donatello e il Pulpito di Benedetto da Maiano, oltre a una Cappella Medici, opera di Michelozzo. La Basilica di Santa Croce,luogo di sepoltura di benestanti cittadini di Firenze, divenne dall’Ottocento un vero e proprio Pantheon di artisti e letterati, con nomi come Michelangelo, Galileo, Leon Battista Alberti, Vittorio Alfieri, Ugo Foscolo che riposano nella chiesa. Fu progettato un grandioso monumento per il più grande dei poeti della città di Firenze, Dante Alighieri, ma la sua salma restò nella città di Ravenna dove era morto in esilio. Da vedere sono il Monumento funebre di Carlo Marsuppini, realizzato da Desiderio da Settignano, la tomba di Michelangelo disegnata dal Vasari, il Monumento funebre di Vittorio Alfieri di Antonio Canova, il Monumento a Niccolò Machiavelli, un esempio di neoclassicismo fiorentino. Il Museo dell’Opera di Santa Croce è parte integrante del complesso della chiesa e dei chiostri adiacenti, fu istituito nel 1959 in spazi precedentemente occupati dal convento e accuratamente restaurato dopo i danni provocati dall’alluvione del 1966, e ospita splendide opere d’arte di scuola fiorentina. Capolavoro assoluto della storia dell’arte è il Crocifisso di Cimabue collocato nel Refettorio trecentesco, simbolo del passaggio alla pittura moderna, mentre gli interventi cinquecenteschi alla chiesa avevano coperto splendidi affreschi di Taddeo Gaddi e dell’Orcagna, che ora è possibile ammirare nel museo. Arricchiscono il patrimonio di Santa Croce una collezione di terracotte invetriate dei Della Robbia, una scultura in bronzo dorato raffigurante San Lodovico di Tolosa di Donatello, alcuni dipinti e arredi lignei. Gioiello architettonico del complesso è la Cappella Pazzi realizzata da Brunelleschi, un gioiello rinascimentale che vanta anche decorazioni di Desiderio da Settignano e Luca e Andrea della Robbia, cui si accede dallo splendido chiostro trecentesco del convento. Read the full article
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michelangelob · 9 days
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Ritrovate le buche pontaie adoperate da Giotto per affrescare le Storie di San Francesco, a Santa Croce
L’intervento di restauro delle Storie di San Francesco di Giotto nella Cappella Bardi in Santa Croce è un progetto di straordinaria importanza, poiché offre un’opportunità unica di rivisitare e approfondire l’opera di uno dei più grandi maestri della storia dell’arte occidentale. Ritocco particolare Il progetto di restauro Giotto, noto per la sua capacità di innovare e rompere con le…
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lacittaobliqua · 3 months
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Chiesa di Santa Maria della Colonna
Sul luogo della cappella della Madonna “della colonna”, padre Marcello Fossataro fece costruire un monastero per accogliere gli orfani dopo la carestia del 1589. Nel 1598 vi fu fondato il conservatorio “Poveri di Gesù Cristo”, dove si formò Giovan Battista Pergolesi.Nel 1896 la chiesa fu rifatta dall’architetto Antonio Guidetti. La chiesa ha una pianta rettangolare con cupola ed interno a croce…
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kalabriatv · 7 months
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La chiesa di San Francesco di Paola a Uquia
Il viaggio alla ricerca dei luoghi dedicati a San Francesco di Paola nel mondo continua in una delle terre con la più alta affluenza migratoria d’Italia e della Calabria, l’Argentina. Oggi andremo a parlare della Cappella della Santa Croce e San Francisco de Paula a Uquía, città nella provincia di Jujuy a 1600 chilometri dalla capitale Buenos Aires e a due passi dal confine con la Bolivia. La…
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lamilanomagazine · 1 year
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L'affresco ritrovato: il trecento riminese si arricchisce di nuove opere
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L'affresco ritrovato: il trecento riminese si arricchisce di nuove opere. Rimini. Entusiasmo ed emozione, come se si fosse scoperto un tesoro. Questa mattina alla Chiesa di Santa Croce di Villa Verucchio, insieme all’Ordine dei Frati Minori di Verucchio si sono alzati i veli sugli affreschi trecenteschi ritrovati e che sembrano far emergere la mano felice di Pietro da Rimini e della sua fiorente bottega. Tutto nasce due anni fa: Frate Federico è al lavoro per piccoli interventi sopra al coro ligneo e, incuriosito, decide di legare il suo cellulare a un filo e di calarlo nella fessura fra il coro e il muro con la telecamera accesa. Riesce a catturare l’immagine di un’antica pittura medievale del Cristo in Pietà, custodita in una nicchia. Gli esperti stabiliranno de davvero, come pare, è opera di Pietro da Rimini. Comunque è uno dei più importanti rinvenimenti della pittura riminese del Trecento e, in generale, della storia dell’arte medievale. In questi mesi s’è svolta un’intensa attività: gli affreschi sono stati puliti e messi in sicurezza. Ora è possibile ammirare quanto recuperato, ma è anche il momento per rilanciare verso nuovi obiettivi ed altre possibili scoperte. Grazie alla curiosità di Frate Federico e all’interessamento dei Frati francescani, assistiti dall’arch. Claudio Lazzarini, come pure all’attenzione del Comune di Verucchio, della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini e del Rotary Club Rimini, nella Chiesa di Santa Croce di Villa Verucchio, è quindi venuta alla luce una configurazione artistica di grande rilievo e ottima fattura. Il tavolo di lavoro attivato, sotto la supervisione scientifica della Soprintendenza, coinvolge oltre alle istituzioni citate, i restauratori Romeo Bigini e Floriano Biagi, l’arch. Lazzarini e Alessandro Giovanardi, storico dell’arte. Il progetto di smontaggio del coro ligneo s’è avviato a fine maggio scorso e già alle prime operazioni s’è scoperto che la parete attorno alla nicchia portava traccia di altre pitture che dovevano coprire interamente l'abside. Da maggio a settembre i lavori sono proseguiti spediti: gli affreschi sono stati puliti e messi in sicurezza. L’obiettivo dei promotori è ora quella di proseguire le indagini, i restauri e il riallestimento dell’abside recuperando la forma originaria, e valorizzando il prezioso coro. Inoltre, è stato smontato il Crocifisso duecentesco che, sotto le spesse ridipinture, dovrebbe nascondere la mano di un maestro vicino ai modi di Giunta Pisano e di Cimabue. Alla presentazione, questa mattina sono intervenuti coi saluti inziali Stefania Sabba Sindaco di Verucchio, Mauro Ioli Presidente Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, Padre Bruno Miele Guardiano del Convento e Attilio Gardini Presidente Rotary Club di Rimini. A dare il giusto spessore alla straordinaria scoperta Federica Gonzato, Soprintendente per le Provincie di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini e Giovanni Carlo Federico Villa, Storico dell’Arte Università degli Studi di Bergamo. A seguire, visita guidata agli affreschi insieme allo storico dell’arte Alessandro Giovanardi e al restauratore Romeo Bigini. Giudizio unanime: è una scoperta che fa tremare i polsi, uno dei più importanti rinvenimenti della pittura riminese del Trecento e, in generale, della storia dell’arte medievale tout court: un termine di paragone è il ritrovamento degli affreschi trecenteschi nella chiesa riminese di San Giovanni Evangelista (Sant’Agostino), avvenuto nel 1916 contemporaneamente agli eventi sismici che, in quell’anno infelice di guerra, devastarono la città. Alla chiesa conventuale di Santa Croce a Villa Verucchio, d’altra parte, è nata da una delle più belle leggende francescane. Il Santo di Assisi si fermò a pregare e a riposare. Esisteva già una cappella rustica, e dal suo bordone piantato a terra nacque il cipresso monumentale che a tutt’oggi domina il chiostro. La Chiesa è stata oggetto dal XIII al XX secolo d’importanti interventi architettonici e artistici, ma i suoi tesori più suggestivi appartengono al Basso Medioevo, a partire dalla croce duecentesca, sospettata a lungo di essere una copia di un originale perduto, ma il cui testo pittorico, in verità, riposa dietro a molte ridipinture. Anche su questo prezioso manufatto, unico nel territorio riminese a riprendere il modello canonico bizantino del Christus patiens, adottato da Giunta Pisano e Cimabue, si attendono fondamentali rivelazioni dal futuro restauro. DICHIARAZIONI ‘Se si ipotizza dell’arte trecentesca sia giunto a noi meno del tre per cento di quanto allora compiuto – il commento entusiasta dello storico dell’arte Giovanni Carlo Federico Villa - subito emerge quanto sia eccezionale cosa sta emergendo in una delle più antiche aree francescane della Romagna. La scoperta di un nuovo ciclo pittorico la cui qualità altissima ribadisce l’asse che da Assisi a Padova, patrimoni mondiali UNESCO, ha in Rimini e nelle sue Valli un fulcro essenziale capace di generare una scuola di riferimento per le due coste adriatiche. E la gratitudine alla Fondazione CARIM, e al suo presidente Ioli, va oltre la rivelazione, adoperandosi ora per coordinare interventi che andranno al di là del recupero storico artistico, ponendo in luce percorsi territoriali capaci di restituire una nuova geografia, ed economia, dell'asse del Marecchia' "Lo strepitoso ritrovamento di Villa Verucchio – il commento dello storico dell’arte Alessandro Giovanardi - segna un inedito sentiero di scoperta nella pittura riminese del Trecento e ci offre probabilmente un episodio unico della storia e della spiritualità francescana. L'antica Santa Croce potrebbe svelarsi oggi come uno dei centri più rilevanti per la cultura artistica, liturgica e teologica tra XIII e XIV secolo, in Romagna e in Italia". Dichiarazione di Federica Gonzato, Soprintendente per le Provincie di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini “Questa straordinaria scoperta ci permette di gettare nuova luce non solo sulla scuola giottesca riminese, ma anche sulla storia di questo convento. È un’operazione molto complessa, che sarà possibile grazie ad un ottimo lavoro di squadra che è stato avviato nel migliore dei modi e per il quale mi complimento. Come Soprintendenza abbiamo chiesto al Ministero di poter contribuire al lavoro che porterà alla conoscenza, restauro e valorizzazione di questo importantissimo complesso. La sfida sarà quella di rendere fruibile questo tassello incredibile all’interno di volumi che continueranno ad ospitare l’attività liturgica”. “Nonostante i tanti anni di attività – dice il restauratore Romeo Bigini - è sempre una grande emozione essere coinvolti in una scoperta così importante. E’ stato come aprire un vecchio libro polveroso rimasto chiuso per oltre cinque secoli in cui era scritta una storia finora sconosciuta. Nel corso dello smontaggio dell’antico coro ligneo sono tornati alla luce ampi frammenti di affreschi di cui nessuno immaginava l’esistenza. Man mano che si procede nel loro recupero, restituendone la leggibilità, si evince la grande qualità pittorica e la possibile scuola di appartenenza; immagino che sarà un altro importante tassello che si aggiunge alla straordinaria pittura riminese della prima metà del Trecento. L’importante ritrovamento e i tanti segni dettati dalle successive modifiche, ci aiutano a capire sempre più chiaramente quello che poteva essere l’aspetto originario dell’antica Chiesa Francescana e gli eventi che nel tempo ne hanno determinato le trasformazioni. Immagino che sarà un avvincente lavoro che ho il piacere di condividere con un gruppo di collaboratori, direttori e gli stessi padri Francescani veramente splendidi e pieni di entusiasmo in un ambiente sereno e ricco di storia ancora da scoprire”. “Il coinvolgimento della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini in questo nuovo progetto di valorizzazione, nel coordinare un tavolo di lavoro composto dai Frati francescani, dal Rotary Club di Rimini e dal Comune di Verucchio – dice Mauro Ioli, Presidente Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini - è il risultato naturale di un percorso che fin dal 1992 con l’acquisizione sui mercati internazionali di importanti opere d’arte - come la testa di Cristo di Giuliano da Rimini, le due tavolette con le Pie donne al Sepolcro e il Noli me Tangere di Pietro da Rimini e tante altre – la vede da sempre sostenitrice e promotrice di quel periodo storico artistico conosciuto come Scuola del Trecento Riminese, e quindi della storia artistica cittadina. La Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini continua ad operare per sostenere la valorizzazione e la promozione del ritorno alla luce di porzioni di splendide pitture trecentesche sulle murature interne dell'abside della chiesa francescana in Villa Verucchio. Con ciò continuando a intervenire in un ormai antico solco di impegno istituzionale indirizzato alla valorizzazione di un passato ricco di vitalità artistica e di valore culturale, che ritengo abbia ancora molto da dire al presente. La Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, insieme al Rotary Club di Rimini, ha compiuto i primi passi per riportare alla luce un altro importante pezzo di storia di quella "felice variante dello stile giottesco", contribuendo anche alla realizzazione della copia del Crocifisso duecentesco, ritenuto da sempre un falso, per permettere ai professionisti del settore di studiare l’opera e svelarne la sua vera essenza. Da una prima analisi, sotto i diversi strati di ridipintura, pare sia visibile il disegno originale che potrebbe riprendere il modello canonico bizantino del Christus Patiens, adottato da Giunta Pisano e Cimabue. Alla Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, dunque viene consolidata e riconosciuta un ultradecennale leadership sul territorio grazie all’attenzione riservata al restauro, alla conservazione e valorizzazione della storia del suo territorio”. Dichiarazione di Stefania Sabba, Sindaca di Verucchio: “Siamo davanti a uno straordinario ritrovamento che viene a impreziosire il patrimonio culturale di Verucchio. Al Museo Civico Archeologico dai reperti unici al mondo della civiltà villanoviana e alla Rocca che ne fa la culla dei Malatesta, si aggiungono ora nuove pagine entusiasmanti del Trecento Riminese che riscrivono la storia dell’arte medioevale. In un luogo come il Convento di Santa Croce che è nel cuore di tutti per il Cipresso più grande d’Italia che la tradizione vuole piantato da San Francesco nel 1213 e che ne fa la prima tappa dell’omonimo Cammino Rimini-La Verna. E in una chiesa che già ospita importantissime opere al suo interno - dall’affresco sulla navata sinistra al crocifisso in legno a sua volta al centro di un intervento di recupero - e si candida ora a entrare nei principali itinerari del turismo culturale andando a completare un territorio ricco di testimonianze di ogni epoca”. Dichiarazione di Padre Bruno Miele: “Ci troviamo in un luogo che ha un’origine ben precisa, legato al passaggio di San Francesco. In molti riconoscono la pace che qui si respira e che l’arte ha sempre cercato di raccontare. La bellezza di questi affreschi aggiunge forza al messaggio di pace di questi luoghi, frequentati da tanta gente che li apprezza e vuole bene a noi frati”. Dichiarazione di Attilio Gardini, Presidente Rotary Club Rimini : “Il Rotary Club Rimini in questi anni ha collaborato a numerosi progetti di recupero del patrimonio culturale riminese (Porta Galliana, Porta Montanara, statua di Giulio Cesare in Piazza Tre Martiri e Sant’Agostino con la scoperta, nella Cappella Feriale, di affreschi della seconda metà del Trecento). Le scoperte che stanno avvenendo presso la chiesa di Santa Croce a Villa Verucchio con il ritrovamento da parte dei Frati Francescani di pitture della scuola giottesca riminese del Trecento sono eccezionali: il lavoro di restauro nella zona absidale, diretto scientificamente dalla Soprintendenza Archeologica, ha permesso di comprendere la rilevanza del ritrovamento che costituisce quasi un unicum a livello nazionale. La sfida per riportare alla luce questo affresco è impegnativa e affascinante, ma richiederà un impegno corale; a questa sfida il Rotary Club Rimini, la Fondazione Cassa di Risparmio, la Comunità monastica e il Comune di Verucchio, non si sottrarranno per valorizzare assieme alle imprese, alle istituzioni e ai cittadini, questo significativo patrimonio culturale del territorio”.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Diplomatic Post: London (Episodio 10)
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Con un caloroso e convinto brindisi al Papa-Re, si ritirarono nelle stanze loro messe a disposizione da von Hollerich. L’indomani si ritrovarono alle sette in punto nella cappella privata per la recita delle lodi e la concelebrazione eucaristica, al termine della quale fecero colazione per poi dirigersi nel salone degli arazzi del chateau e dare finalmente inizio alla giornata di lavoro. Ad aprire la sessione provvide il nunzio Andrea Odescalchi: <<Eminentissimi Signori Cardinali di Santa Romana Chiesa qui giunti e qui riuniti in una delle più grevi ore del pontificato di Leone XIV, grazie di cuore per la Vostra disponibilità e benvenuti, anche a nome di Helmut von Hollerich, in questa splendida cittadina capitale del Liechtenstein. Come avrete avuto modo di notare, la salute del regnante pontefice sta sempre più deteriorando, e forse un giorno non molto lontano ci troveremo nella situazione di dover affrontare un Conclave. Arriviamo a siffatto, triste ma ineluttabile, appuntamento con la Storia, noi che abbiamo a cuore la Tradizione della chiesa, ben preparati. Stabiliamo nei minimi dettagli e con la miglior intelligenza possibile delle cose uno schema di gioco che dia a noi la mano finale. E’ con questi sentimenti nel cuore che mi permetto di chiedere a tutti voi, Eminenze carissime, la grazia soprannaturale di riuscire a metter da parte le pur legittime ambizioni personali in nome di un vincente e sicuro progetto comune. Conosciamo tutti qui il nominativo su cui l’ala progressista vorrebbe puntare – se solo intravvedesse debolezze e spaccature apparenti nel nostro schieramento conservatore. Diamo loro l’illusione di ciò, spingiamoli a gettare la maschera e far quadrato sul quel barbone di francescano, esponente della teologia della liberazione nonché figlio spirituale del cardinal Sbrodoglio S.J: il famigerato cardinal arcivescovo di Caracas Miguel Pugnado Inculado O.F.M., promosso a quell’incarico dall’ondivago Giovanni Paolo II, il papa di Carlo Maria Martini S.J. e di Hans Hermann Groer O.S.B – l’ondivago, per l’appunto. Stabiliamo con chirurgica precisione tre nominativi di peso del nostro schieramento da esibire uno dopo l’altro e su cui, sempre con chirurgica precisione, far cadere molti meno voti di quanti se ne aspetterebbe lo schieramento avversario. In tal modo, loro si sentiranno pronti a giocare la carta, forti delle nostre apparenti divisioni e spaccature, del cardinal Pugnado Inculado O.F.M. A quel punto, noi giocheremo il nostro vero jolly – ovvero un candidato “minore” ma a noi vicino, un centrista con la personalità in grado di appianare spaccature ed evitare epidermiche reazioni di rigetto. Eminenze reverendissime, il nome che ho in mente e che sarà oggetto delle nostre discussioni per l’intera mattina sino al pranzo è quello del cardinal Juncker O.P.>>. Il piano di guerra elaborato dal nunzio Odescalchi piacque subito a tutti i convenuti; anche perché, nelle menti di tutti gli uditori, nessuno escluso, si materializzò il pensiero, simile al peggiore degli incubi, di un cardinal Pugnado Inculado O.F.M. eletto al soglio petrino e catapultato a combinar disastri dalla periferica ed innocua Caracas alla Roma caput mundi della cattolicità: no, quel barbone di frate francescano che aveva venduto palazzo e curia arcivescovile per trasferire abitazione personale ed uffici amministrativi in un sobborgo di Caracas, che indossava sempre il semplice saio con croce pettorale di latta anche a berretta cardinalizia ricevuta, che guidava personalmente un Fiat Strada pick-up con tanto di targa diplomatica (status cardinalizio: passaporto diplomatico, targa diplomatica – NdA), quel barbone di frate francescano andava fermato. Ne andava del futuro stesso della cattolicità: su questo punto l’accordo era unanime.
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Lunedì 24 luglio 2023 alle ore 21.30, la Basilica di Santa Croce, ha ospitato il bellissimo concerto dei Solisti del Festival internazionale 'Italian Brass Week', Rex Richardson, Omar Tomasoni, Andrea Dell'Ira alle trombe, Oliver Darbellay, jorg Bruckner ai corni, Lito Fontana, Zoltan Kiss ai tromboni, David Childs – euphonium
Ryunosuke (Pepe) Abe – euphonium, trombone
Sérgio Carolino, Mario Barsotti, Gianluca Grosso – al tube, Filippo Lattanzi al marimba, Andrea Severi all' organo.
Musiche di J. S. Bach, G. F. Handel, G. Caccini, A. Marcello, T. Albinoni
I solisti del Festival condivideranno con il pubblico presente le più prestigiose pagine del repertorio cameristico fiorentino ed italiano, legandosi ai capolavori artistici, pittorici e scultorei, che la Basilica custodisce.
Saranno eseguiti brani della fiorentina Camerata de' Bardi, celebranti la Cappella dei Bardi di Vernio, omaggio al Conte Giovanni fondatore del circolo musicale ed intellettuale che ha dato vita al melodramma; dei compositori francescani, primo fra tutti Padre Giovan Battista Martini, maestro di Wolfgang Amadeus Mozart, gli ottocenteschi Luigi Cherubini e Gioachino Rossini; così come brani sacri che si legano alle Storie di San Giovanni Battista, di San Giovanni Evangelista, di San Francesco e della Vergine Maria, celebranti i cicli pittorici realizzati da Giotto e da Gaddi per le Cappelle Peruzzi, Bardi e Baroncelli.
Riccardo Rescio per I&f Arte Cultura Attualità
Firenze 24 luglio 2023
Italian Brass Week Città di Firenze Cultura Fondazione CR Firenze Italia&friends Publiacqua SpA Basilica di Santa Croce di Firenze
Ministero della Cultura Ministero del Turismo ENIT - Agenzia Nazionale del Turismo Ivana Jelinic
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ildiariodibeppe · 1 year
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Padre Leone Dehon
La vita e le opere
Padre Leone Dehon nacque il 14 marzo 1843 a La Capelle in Francia , nella diocesi di Soissons. Egli godrà di essere stato battezzato il 24 marzo successivo, vigilia dell’Annunciazione, “unendo – scriverà – il mio battesimo all’Ecce venio di Nostro Signore”. Dirà infatti ai suoi figli spirituali, i sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù: “Nell’Ecce Venio e nell’Ecce Ancilla si trova tutta la nostra vocazione e missione”. Il Cuore di Gesù e il Cuore Immacolato di Maria saranno la luce e la forza di tutta la sua lunga vita. Una tenera e filiale devozione alla Madonna lo condurrà alla contemplazione appassionata del Cuore del Salvatore trafitto sulla croce.
Dalla famiglia, distinta e stimata, il giovane Dehon attinse caratteristiche di nobiltà d’animo e signorilità che lo resero ricco di umanità e aperto a relazioni di amicizia con le personalità civili ed ecclesiastiche durante tutta la sua lunga esistenza. In particolare ringraziava Dio “per il dono della mamma che lo aveva iniziato all’amore del divin Cuore”.
Durante gli studi umanistici, favorito dalla guida spirituale di sacerdoti eminenti per scienza e virtù, sperimenta la prima chiamata al sacerdozio nel Natale del 1856. Ma suo padre che sognava per lui una brillante posizione sociale, cercò subito di ostacolarlo dalla sua vocazione, inviandolo alla Sorbona di Parigi, dove, all’età di 21 anni, Leone Dehon conseguì il dottorato in diritto civile. Tuttavia la frequenza al S. Sulpizio, “là dove regnava uno spirito sacerdotale, dona vigore all’attrattiva verso il sacerdozio”. Il padre, quasi a volerlo distogliere dall’idea del sacerdozio, gli offre un lungo viaggio in Oriente. Il giovane Leone gode di percorrere soprattutto la terra di Gesù, ma al suo ritorno, senza cedere alle resistenze familiari, si ferma a Roma. Va dal Papa Pio IX e gli confida la propria vocazione. Il Papa, nel quale ammira “la bontà unita alla santità”, lo invita ad entrare nel seminario francese di Santa Chiara. Vi entra infatti nell’ottobre del 1865: “ero finalmente nel mio vero ambiente: ero felice!”.
Ordinato sacerdote il 19 dicembre 1868, nella basilica di S. Giovanni Lateranense, ritrova,insieme alla gioia della sua ordinazione sacerdotale, anche quella del ritorno di suo padre alla pratica religiosa. Dopo la forte esperienza ecclesiale, quale stenografo al Concilio Vaticano I, il giovane sacerdote Dehon torna nella sua diocesi d’origine, Soissons, e in obbedienza al proprio vescovo, diviene l’ultimo di cappellani di S. Quintino. Con quattro lauree(in diritto civile e canonico, in filosofia e teologia) e soprattutto con una solida esperienza spirituale e ecclesiale, esprimerà tutto il suo fervore e la sua sensibilità in molteplici iniziative pastorali e sociali:lo vediamo partecipare ai primi congressi di associazioni operaie, fondare un giornale cattolico, dare vita al patronato S. Giuseppe per l’accoglienza e la formazione dei giovani e poi il Collegio S. Giovanni.
Nominato dal Vescovo confessore e direttore spirituale all’arrivo delle Ancelle del S. Cuore, potrà scrivere: “Questa circostanza provvidenziale preparò l’orientamento di tutto il resto della mia vita”. Sì, perché nonostante la frenetica attività pastorale, il canonica Dehon si sentiva attratto dalla vita religiosa. Il progetto di amore e di riparazione al Sacro Cuore che animava l’istituto delle Ancelle, attendeva d’essere condiviso da una congregazione sacerdotale. Accompagnando il proprio Vescovo nel viaggio a Roma, passa per Loreto, sosta e tappa fondamentale, fonte d’ispirazione originaria a cui attingerà l’impulso per la sua fondazione: “Qui è nata la Congregazione nel 1877” scriverà. In quella casa che gli ricorderà sempre l’evento della Incarnazione attraverso l’Ecce Venio e l’Ecce Ancilla, egli intuisce quale dovrà essere il nucleo spirituale e dinamico della Congregazione.
Il 28 giugno 1878, festa del S. Cuore, nella cappella del collegio S. Giovanni, il canonico Leone Dehon emetteva i voti religiosi come primo Oblato del S. Cuore e vi univa il voto di vittima d’amore e riparazione. Per questo volle chiamarsi con un nome nuovo: padre Giovanni del Sacro Cuore . E con questa denominazione venne presentato dal postulatore nell’avviare la causa di beatificazione di Padre Dehon. Iniziano anni di fervida attività, di fioritura di vocazioni ma anche di difficoltà, di incomprensioni, di prove dolorose che condurranno alla soppressione della giovane fondazione, al consummatum est del 3 dicembre 1883. P. Dehon si sente “atterrato e triturato” ma la grande sofferenza è occasione di una splendida dichiarazione di sottomissione alla volontà di Dio e della Chiesa. Questa prova sarà l’alba della risurrezione dell’Istituto con il nome nuovo di “Sacerdoti del Sacro Cuore”. E’ la rinascita, la ripresa dello slancio verso impegni missionari, l’apostolato sociale, le missioni popolari, l’evangelizzazione. Dopo il Decretum Laudis del 25 febbraio 1888, P. Dehon si reca a Roma a ringraziare il Papa Leone XIII, che lo incoraggia a predicare le sue encicliche, a sostenere con la preghiera e la collaborazione i sacerdoti, a suscitare case di adorazione, a donarsi per le lontane missioni: “Ecco la missione affidataci dal Papa” annoterà con gioia.
Ma altre Via Crucis nel frattempo si abbattevano su di lui: calunnie sul suo comportamento, difficoltà nei rapporti con la diocesi,opposizione all’interno dell’Istituto. Tutto sembrava perduto e infamato. Nel ritiro spirituale ignaziano egli ritroverà serenità e rinnoverà il suo patto d’amore: “Mi offro completamente a N. Signore per servirlo in tutto e fare la sua volontà. Sono pronto a fare e a soffrire ciò che Egli vorrà, con l’aiuto della sua Grazia”. Più tardi , meditando sulle vicende spesso assai dolorose della sua storia egli scriverà: “N. Signore ha accettato il mio atto di oblazione. Egli voleva fare della sua Opera un edificio importante. Per questa ha scavato così profondamente.” La fecondità della croce che padre Dehon seppe accettare con fede in spirito di amore e di riparazione, portò ad un consolidamento e a una forte espansione della congregazione. Sostenuto dalla benevolenza dei Sommi Pontefici Leone XIII, S. Pio X, Benedetto XV, Pio XI, verso i quali professò una devozione sempre fedele e operosa, padre Dehon proseguì instancabile la sua missione, con scritti, (è dal 1889 la stampa della rivista Il Regno del S. Cuore di Gesù nelle anime e nella società!) conferenze (famose le sue conferenze tenute a Roma e Milano), partecipazione a congressi sociali e soprattutto con le numerose fondazioni della congregazione SCJ. “L’ideale della mia vita – lasciò scritto nelle ultime pagine del suo Diario – il voto che formulavo con lacrime nella mia giovinezza era d’essere missionario e martire. Mi sembra che questo voto si sia compiuto. Missionario lo sono per i cento e più missionari sparsi nel mondo; martire lo sono perché N. Signore diede compimento al mio voto di vittima”.
Uomo instancabile, nonostante la perenne fragilità fisica che si trascinava dietro, sorretto da una fede genuina e profonda, fatta “ certezza nella confidenza “: ecco la roccia sulla quale P. Dehon aveva costruito l’edificio della sua vita e della sua missione. Ne proveniva un costante e cristiano ottimismo che superando ogni prova, lo conduceva a guardare avanti sempre con speranza: “ aveva una fede irradiante che manifestava nella predicazione e negli esempi, con un amore ardente verso il Cuore di Cristo”. Amore e riparazione: era la sua grande preoccupazione: riparazione eucaristica specialmente mediante l’Adorazione affidata ai suoi religiosi come loro missione nella Chiesa; riparazione sociale mediante la giustizia e la carità come vie per una “civiltà dell’amore”. Nella contemplazione del Cuore di Cristo egli attinse pure quella che fu considerata una costante della sua personalità: la bontà luminosa che lo circondava di un fascino e di un affetto grande, specialmente tra i giovani tanto da venire chiamato “Très Bon Père”.
Nel servo di Dio, padre Dehon c’è stato un mirabile equilibrio di virtù umane, nella semplicità e nel contesto della vita ordinaria che egli, nello zelo apostolico e nell’ascesi mistica, con la grazia del Signore, ha reso soprannaturali per lo sforzo costante nella perfezione sacerdotale e religiosa, esempio di sacerdote e religioso dei tempi moderni.
Grande impegno negli ultimi anni di vita, oltre a diffondere la spiritualità del Sacro Cuore e il costante anelito del Regno di Dio nei cuori e nella società, è stata la costruzione della grande basilica di Cristo Re, il tempio della Pace, da lui inaugurato il 18 maggio 1920. L’accompagnò sempre la luce amabile della Vergine Maria: “Vivat Cor Jesu, per Cor Mariae” era il suo saluto.
“Il regno del Cuore di Gesù nelle anime e nella società” così il P. Dehon ha compendiato le sue più alte aspirazioni e la missione della sua Famiglia Dehoniana nella Chiesa: è il regno della civiltà dell’amore!
Padre Dehon muore a Bruxelles, il 12 agosto 1925. Stendendo la sua mano verso l’immagine del S. Cuore, con voce chiara esclamò:
“Per lui sono vissuto, per Lui io muoio.
E’ Lui il mio tutto, la mia vita,la mia morte, la mia eternità”.
Ai suoi figli spirituali, i Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù (detti anche Dehoniani dal nome del fondatore) e a tutti coloro che vedono in padre Dehon un padre e una guida per vivere il Vangelo nella spiritualità del Cuore di Cristo, la Famiglia Dehoniana odierna, ha lasciato un testamento spirituale scritto:
“Vi lascio il più meraviglioso dei tesori.
Il Cuore di Gesù”.
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Da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO TERZO - di Gianpiero Menniti
IL CIELO VUOTO
La Madre.  Il Figlio. La scelta e il presagio. E l’ineffabile, il padre: è assente. L’icona bizantina ricorda sempre il Padre: è nello sfondo, nella materia rilucente che avvolge le figure divine e terrene della Vergine e del Cristo. L’Occidente cristiano, invece, esclude dalle sue immagini il richiamo al Padre. Lentamente ma inesorabilmente, scompare. In ragione della sua indicibilità, della sua irrappresentabilità. Non c'è scena per il Padre. Ma scompare anche dall’orizzonte del credente, pregno del Dio generato, del Dio incarnato. Diviene abissale lacuna. La raffigurazione pittorica avverte il desiderio di colmarla, per quanto possibile. Il riflesso realistico fa fatica. Giotto lascia comparire una mano. Masaccio lo riporta al vertice della Trinità: un atto imperativo, dirompente quanto il suo dipinto. Ma è con Piero della Francesca, al vertice insuperato dell’arte sacra, che il Padre riappare al cospetto dell’annuncio, nell’istante dell’inizio. Per ascoltare quel sì della Madre che inaugura l’era cristiana. L’era del Figlio. 
Giotto (1267 - 1337): "San Francesco, la rinuncia degli averi", dal ciclo delle “Storie del Santo di Assisi”, 1292/1296, Basilica Superiore, Assisi, Perugia
Masaccio (1401 - 1428): "Trinità", 1426/1428, Santa Maria Novella, Firenze
Piero della Francesca (1416 - 1492): "Annunciazione" da "Storie della Vera Croce", 1452/1458, cappella maggiore, Basilica di San Francesco, Arezzo
In copertina: Maria Casalanguida, "Bottiglie e cubetto", 1975, collezione privata
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jacopocioni · 9 months
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Michele Arcangelo Palloni, pittore fiorentino all'estero
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Michele Arcangelo Palloni Michele Arcangelo Palloni è nato a Campi Bisenzio il 29 settembre 1642. Figlio di Cosimo di Fiorindo Palloni e Maria Maddalena Palloni, nonché cugino del predicatore locale, Rev. Andrea di Fiorindo Palloni. Si tratta di un pittore che la critica definirebbe minore in quanto poco conosciuto. Questa suo anonimato è anche a causa della sua abitudine di lasciare alcuni dipinti senza firma. Addirittura la sua firma fu mal interpretata in passato ed alcuni suoi lavori attribuiti ad altri; persino a pittori inesistenti. Talvolta si firmava semplicemente come Florentinus. Alla sua epoca era però un artista conosciuto e ben pagato. Sicuramente talune opere del pittore saranno riscoperte nel corso del tempo, magari qualche tela conservata in una polverosa cantina di qualche museo o sotto un'opera vergata da un altro artista.
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Franceschini "Il Volterrano" autoritratto La sua vena pittorica deriva, ovviamente, della pittura fiorentina conseguenza dal mecenatismo della corte medicea. Durante l'infanzia, ed in seguito nell'adolescenza, furono principalmente le opere fiorentine del Caravaggio, e dei suoi seguaci, a colpirlo. A questi studi fu accompagnato dal suo maestro, a sua volta affascinato da queste opere, Baldassarre Franceschini, noto come “Il Volterrano”. Franceschini introdusse Palloni ai segreti sia dell'affresco che della pittura ad olio. Nella sua formazione il Franchescini spiegò molto bene al Palloni l'arte decorativa, quella moderna di Pietro da Cortona, ed allo stesso tempo gli inculcò la tradizione fiorentina dell'affresco derivata dall'arte del Correggio.
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Maria Maddalena dolente Le opere conosciute del Palloni su suolo italiano si trovano presso due chiese di Campi. Una è la chiesa di San Martino sita nel quartiere San Lorenzo dove troviamo la "Madonna con San Giovanni e San Girolamo ai piedi della Croce" e l'altra è presso la chiesa dei Santi Quirico e Giulitta a Capalle dove troviamo "I Dolenti" tra cui la "Maria Maddalena dolente". Probabilmente la Madonna con San Giovanni e San Girolamo ai piedi della Croce (datato a cavallo tra il 1650 e il 1660) è stata la sua prima opera indipendente.
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Cappella di San Casimiro - Il miracolo della resurrezione Possibile che, in stretta collaborazione con il maestro Il Volterrano, Palloni contribuì all'affresco della Cappella Niccolini in Santa Croce e alle decorazioni della chiesa di Santa Maria Maddalena de' Pazzi. Perché Palloni è cosi poco conosciuto in patria? Semplice, oltre al fatto della sua pessima abitudine di non firmarsi o di firmare non chiaramente, il Palloni lasciò Firenze e nel 1676 si trasferì in Polonia assieme alla moglie. In Polonia ebbe come mecenate il Gran Cancelliere Cristoforo Sigismondo Pac che gli affidò la decorazione del Monastero del Mons Pacis a Pazaislis, nei dintorni della città lituana di Kaunas. Nel 1683 gli venne commissionato di affrescare a Varsavia il palazzo di Jan Dobrogost Krasiński, dal nome del proprietario che era un nobile polacco che a quel tempo sindaco della città di Varsavia. Palloni riuscì ad adattare la propria tecnica pittorica dell'artistica Firenze del XVII secolo alla religiosità monastica o popolare dei magnati dei confini orientali. Questo all'epoca gli permise di essere apprezzato nella terra dell'est e di avere in cantiere sempre nuovi progetti. Allo stesso tempo questo suo "adattarsi" allo stile locale ha contribuito non poco alle attribuzioni errate delle sue opere.
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Cappella di San Casimiro - Apertura della bara di San Casimiro Nel 1688 Palloni divenne pittore di corte. Il re di Polonia Giovanni III Sobieski in persona gli affidò l'incaricò di affrescare la reggia di Wilanów, a sud di Varsavia. La reggia era stata realizzata in uno stile barocco italiano e sembrò logico al sovrano chiamare il pittore italiano cosi famoso in Polonia. Terminato il suo incarico per il re si spostò a Bielany a nord di Varsavia dove affrescò la chiesa dei Camaldolesi ed in seguito a Poznań dove si dedicò al castello di Rydzyna. Nel 1692 Palloni cominciò quella che è probabilmente la sua opera più celebre, la decorazione della Cappella di San Casimiro nella cattedrale di Vilnius. La sua opera decorativa fu in seguito dedicata a Palazzo dell'Atamano e alla chiesa di Sant'Ignazio, sempre a Vilnius, ma entrambe queste opere sono andate perdute. Rientrato in polonia decorò il seminario di Łowicz. Michele Arcangelo Palloni è deceduto a Węgrów in Polonia nel 1712.
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mariotolvo62 · 1 year
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Francesco De Mura, rappresentante del barocco napoletano e maggior erede...
Dopo aver frequentato per circa un anno la bottega di Domenico Viola, a partire dal 1708 entrò a far parte dello studio di Francesco Solimena, dove rimase fino al 1730. L'influenza del Solimena e della sua tecnica pittorica si vede in maniera evidente nei dipinti risalenti al periodo 1720-30, tra le quali è da annoverare il Cristo morto in croce con san Giovanni del 1713 dipinto nella Chiesa di San Girolamo alle Monache. Nell'Immacolata e angeli (1715-1718), dipinta per la Chiesa di Santa Maria Porta Coeli a Napoli (ora nella Sacrestia del Divino Amore), già si vede il suo distacco dallo stile di Mattia Preti (impartitogli da Domenico Viola) verso un graduale schiarimento della sua tavolozza. Nel S. Antonio da Padova della pinacoteca del Pio Monte della Misericordia e nella Madonna col Bambino e s. Domenico del Museo Duca di Martina (Villa Floridiana) si procede verso il Rococò e il metodo di Luca Giordano. Verso il 1723 gli furono commissionate le tre tele per la cappella di S. Paride nella cattedrale di Teano, prima delle sue più grandi commissioni. Nel 1727 sposò Anna d'Ebreù. A partire dal 1728, con i dipinti per la Chiesa di Santa Maria Donnaromita il De Mura iniziò a mostrare un percorso pittorico più personale, forse anche influenzato dalle tematiche arcadiche in voga a Napoli in questo periodo. Dal 1741 al 1743 soggiornò a Torino dove ebbe modo di conoscere il pittore Corrado Giaquinto e l'architetto Benedetto Alfieri. Tornato a Napoli fu accolto da un vasto consenso al punto da essere ricevuto alla corte spagnola e mantenne contatti con diversi artisti attivi soprattutto a Roma, in particolare con il pittore francese Pierre Subleyras. Con la sua tecnica cromatica influenzò i contenuti realistici tipici del classicismo-rococò il Settecento artistico napoletano. La scuola barocca, in particolare dei maestri Francesco Solimena e Luca Giordano, è evidente nelle sue opere laiche - quali gli affreschi dei palazzi reali di Torino e Napoli - ed ecclesiastiche, come l'Epifania nella Nunziatella a Napoli, la decorazione della Chiesa di Santa Chiara a Napoli e la Moltiplicazione dei pani nella cattedrale di Foggia. Alla sua morte lasciò tutte le opere e i bozzetti in suo possesso alla storica istituzione di carità del Pio Monte della Misericordia di Napoli. Nella sua fiorente bottega si formarono quattro protagonisti dell'ultima fase della stagione rococò a Napoli (in quanto molto attivi nella decorazione degli edifici borbonici e degli appartamenti della migliore aristocrazia napoletana): Pietro Bardellino, Fedele Fischetti, Giacinto Diano e Girolamo Starace-Franchis. Altri allievi comunque validi, ma impegnati a soddisfare principalmente "committenze periferiche" furono: Oronzo Tiso, Nicola Peccheneda, Nicola Menzele (1725-1789), Romualdo Formosa, Vincenzo Cannizzaro, Vincenzo De Mita (1751-1828), Francesco Palumbo e Luigi Velpi.
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cerentari · 2 years
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Gioielli Rubati 223: Ekaterina Grigorova - Maurizio Manzo - Carla Viganò - Irene Rapelli - Rafael Lòpez Vilas - Annamaria Scopa - Nadia Alberici - Sandro Pecchiari.
Gioielli Rubati 223: Ekaterina Grigorova – Maurizio Manzo – Carla Viganò – Irene Rapelli – Rafael Lòpez Vilas – Annamaria Scopa – Nadia Alberici – Sandro Pecchiari.
Passeggiata serale nel giorno di Santa Mina . Sarà il secolo scorso entro mezzogiorno. Fuoco verso la terra. Che dici di questa notte? Sarà la tua mano sulla mia. C’è solo buio davanti. Sul lato sud della cappella. La luna è in in bozzolo. Cavalca le tenebre con i ferri di cavallo più silenziosi. È ancora blu scuro alla luce della croce. Ultimi colori. L’ultimo. Ma da qualche parte lì…
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pettiveria · 2 years
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Il Santuario della Verna La Verna, montagna sacra nel cuore del Casentino, fu donata a San Francesco dal conte Orlando Cattani di Chiusi nel 1213.  Si narra che quando San Francesco andò per la prima volta sulla montagna venne accolto da uno storno di uccelli che con il loro battere di ali mostravano grandissima festa e allegria. Francesco vide in quel gesto un segno Divino, così la Verna divenne uno dei romitori nei quali ogni anno amava passare prolungati periodi di ritiro.  In questo stupendo posto immerso nel verde il 17 settembre 1224, San Francesco d’Assisi ricevette il sigillo delle stigmate.  La prima costruzione del complesso fu la cappella di Santa Maria degli Angeli, detta anche “la Chiesina” sorta tra il 1216 e il 1218 e dedicata, per espressa volontà di San Francesco, alla Vergine degli Angeli, la quale, apparendo al Santo, aveva indicato il luogo e le dimensioni della prima chiesetta della Verna.  La costruzione della Basilica maggiore fu iniziata a ridosso della chiesetta di Santa Maria degli Angeli soltanto nel 1348.  Si entra nel complesso attraverso un portico rinascimentale. L’interno a croce latina è a navata unica dove sono custodite alcune delle opere più belle della famiglia di scultori fiorentini Della Robbia che nel XV secolo abbellirono il convento con le loro terrecotte.  Contraddistinta da una cancellata in ferro battuto troviamo la Cappella delle Reliquie dove sono conservati il saio del santo, una teca con la reliquia del sangue di San Francesco, più altre reliquie custodite sotto vetro.  Può essere definito il cuore del Santuario la Cappelle delle Stimmate la cui parete centrale è ricoperta interamente dalla “Crocefissione” di Andrea della Robbia.  #santuariodellaverna #chiusidellaverna #iluoghidelsilenzio #santuarifrancescani #sanfrancescodassisi (presso Santuario della Verna) https://www.instagram.com/p/CkbwwxkNldc/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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