#capelli corti e barba uomo
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Anche se vivevano insieme ormai da parecchio, condividendo un appartamento preso in affitto ai tempi dell'università, il mercoledì rimaneva a sempre la loro serata e il Celtic, un vecchio pub del centro, il loro locale preferito: quello era un appuntamento fisso a cui non avrebbero mai rinunciato.
Le vere amiche fanno così, ed Elettra e Gaia erano vere amiche fin dalla prima liceo.
La prima volta che le due ragazze notarono Noa era un mercoledì, erano sedute al loro solito tavolo e mai avrebbero immaginato di condividere quell'uomo, come avevano fatto con tante altre cose, tra cui l'affitto del trilocale dove vivevano insieme.
Fu lui a fare il primo passo, avvicinandosi con tre boccali di birra. Non seppero mai, o non lo vollero sapere, se il suo iniziale interesse fosse per l'una o per l'altra.
Le due giovani donne, entrambe graziose, erano diversissime fra loro: Gaia era bionda con i capelli corti e lisci, Elettra bruna e con i ricci che le ricadevano sulle spalle. La bionda era magra e slanciata, l'altra aveva forme morbide e seducenti. Anche i loro caratteri erano differenti: Elettra era romantica e perennemente persa nei suoi sogni, Gaia più razionale e pragmatica.
Il fatto di accettare Noa al tavolo e lasciare che si sedesse, fu un fatto eccezionale, però il sorriso del ragazzo era contagioso e si sentirono subito a loro agio. Non si poteva definire bello, con la sua barba trascurata e le rughe sopraggiunte anzitempo, le occhiaie indelebili di chi dorme sempre troppo poco e lo sguardo triste che hanno alcuni bambini quando vengono esclusi. Forse era proprio quest'aria di infelicità che le aveva indotte ad accettare quella birra e, subito dopo, si accorsero che era capace di ascoltare, quasi si divertisse a sentire i loro problemi e, talvolta, anche gli acidi pettegolezzi.
Da quella sera e per un bel po', venne incluso anche lui nell'appuntamento fisso del mercoledì. Noa imparò che le due preferivano il vino bianco alla birra, che il maschilismo di facciata non veniva preso bene, che Gaia ogni tanto scopava con il suo capo ufficio il quale non avrebbe mai lasciato la moglie, mentre Elettra cercava il vero amore, restando puntualmente delusa, prendendo delle gran facciate.
Gaia ed Elettra viziavano il loro nuovo amico come fosse un adolescente, quasi a farsi perdonare delle loro chiacchiere a volte futili, pur sapendo che lui si divertiva molto, dimostrando intelligenza nel non intervenire a sproposito. Nacque fra loro un'empatia che ben presto si trasformò in confidenza e poi in complicità.
Durante la giornata le ragazze parlavano spesso di lui, chiedendosi cosa stesse facendo, talvolta chiamandolo, interrogandosi su quell'alone di fascino misterioso che avvolgeva il nuovo amico. In passato era capitato di invaghirsi dello stesso uomo, ma questa volta era diverso, nel parlare di lui non vi era alcun desiderio prevaricatore, era come se fosse del tutto naturale tesserne le doti, anche con battute sfacciate e al limite del volgare, ma senza alcuna competizione, quasi fosse un particolare segreto da condividere.
Mercoledì 21 dicembre di quel fatidico anno, a pochi giorni dal Natale, Gaia non riusciva a smettere di piangere. Seduta al solito tavolaccio di legno del Celtic, in compagnia di Elettra e Noa, raccontava della rottura con il capo ufficio, il famoso uomo sposato che non avrebbe mai lasciato la moglie.
La disidratazione da versamento di lacrime necessitava di abbondanti dosi alcoliche, principio su cui tutti erano d'accordo, bevvero abbondantemente non limitandosi al vino bianco e alla birra. Quel mercoledì 21 dicembre, a pochi giorni dal Natale e per la prima volta, Noa seguì le sue amiche nel loro appartamento.
Lì dentro baciò per prima Gaia, in realtà inciampò sulle sue labbra, sorreggendola nella piccola cucina ed evitando che cadesse. Fu un bacio del tutto naturale, breve e con le labbra che si incontrarono a metà strada. Elettra sorrise per quel gesto che pareva più affettuoso che passionale, finchè Noa la prese per mano attirandola a se e volle assaggiare anche lei.
Il ragazzo, in piedi in quella piccola cucina, stretto fra le due donne, proseguì a baciare entrambe, in quella situazione che seppur inconsueta vissero come fosse ineluttabile.
Avvenne tutto lentamente, si spogliarono vicendevolmente nella camera da letto di Elettra. L'uomo fece l'amore prima con lei, godendosi le carezze di Gaia sulla schiena, sul collo, sulle braccia, quasi che Gaia lo volesse aiutare a prendersi cura dell'amica.
Fu un orgasmo dolce, delicato. Quando finì, steso sul letto fra le due ragazze, entrambe si accovacciarono sulle sue gambe e cominciarono a stuzzicargli il cazzo, con le mani, con la bocca, con la lingua, finché non fu di nuovo eccitato e poté prendersi cura di Gaia. Anche questa volta, cibandosi dei gemiti della donna bionda, Elettra lo accarezzava delicatamente, posando piccoli baci sulla fronte dell'amica.
Si addormentarono abbracciati e felici, in silenzio, con la sensazione che anche un semplice respiro avrebbe potuto rovinare la perfezione di quel naturale incanto.
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Locate di Triulzi (MI), la blocca alle spalle mentre fa jogging e la costringe ad un rapporto sessuale
Locate di Triulzi (MI), la blocca alle spalle mentre fa jogging e la costringe ad un rapporto sessuale. Nelle scorse ore, i Carabinieri sono intervenuti a Locate di Triulzi (MI), nei pressi di una pista ciclabile, zona Cascina Nesporedo, dove una donna di 40 anni, residente in zona, ha riferito di essere stata violentata. Secondo le prime dichiarazioni fornite ai militari, un uomo, ventenne, alto circa 170 cm, con accento straniero (verosimilmente nordafricana), carnagione olivastra, capelli ricci corti sulla nuca e sulle tempie e più lunghi sulla testa, barba quasi non presente e con indosso un pile a collo alto bianco con cerniera e decorazioni blu, l'avrebbe bloccata alle spalle mentre faceva jogging e trascinata in un boschetto costringendola ad un rapporto sessuale completo. La donna, sotto shock, ha allertato il 112 non appena l'uomo si è allontanato, ed è stata trasportata in codice giallo all'ospedale Mangiagalli di Milano. Sul posto sono intervenuti i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Milano e della Compagnia di San Donato Milanese, che indagano per rintracciare l'autore. Gli investigatori, oltre ai rilievi tecnico-scientifici, stanno verificando se la vittima possa essere stata seguita nel percorso.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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4 -Il galeotto e la luna piena
Era una calda estate romana. In casa non si respirava. Luca arriva subito dopo cena. Non ce la sentiamo di stare in casa, pertanto decidemmo di vederci con altri amici. L’ora era un po’ tarda, ma era una bella serata per farci un giro nella periferia della capitale.
Paddy Pub, arriviamo. Dopo una bella birra, si parte per lo scherzo della serata.
Assegnati i ruoli via verso l’ignoto a bordo della Uno bianca di Beppe e l’alfa 33 di Luca.
Gira e rigira ci ritroviamo sulla via Prenestina all’altezza dell’uscita del G.R.A., luogo abitualmente frequentato da prostitute.
Manco a farlo apposta, becchiamo una Uno rossa che ne sta caricando una.
Scatta l’azione, ci caliamo nella parte, Luca il brigadiere, Beppe l’appuntato, Antonio il Maresciallo.
Tutti carabinieri ovviamente finti, attori ma molto ben preparati.
La uno rossa si sposta poco più in là, spegne il motore ed ecco che comincia la giostra.
Dalla nostra postazione si vedeva un enorme culone bianco che si muoveva in modo sussultorio, illuminato dalla luna piena, dall’abbondante peluria, si capiva che tale culone era sicuramente maschile.
Scatta l’operazione. Le nostre auto si avvicinano alla Uno rossa. Tutti a terra in un baleno, < fermi tutti >.
Gli occupanti dall’auto scendono come si trovavano.
Davanti ai nostri occhi si prospetta una scena terrificante. Una donna piuttosto in là con gli anni, con abiti propri del mestiere, minigonna, scarpa alta, trucco pesante, capelli lunghi scuri e unghie mal curate.
Brutta, ma brutta che solo uno che non vede una donna da tantissimo tempo, poteva pensare anche solo di avvicinarla, figuriamoci a toccarla.
Lui un uomo di media statura, con gran pancia, pantaloncini corti e maglietta sul giro panza, barba incolta, infradito e ciliegina sulla torta neanche a farlo a posta uscito da poco di galera, si proprio così, un ex galeotto. Per noi era come servici il pranzo sul piatto d’argento, ci guardiamo in viso e come un branco di lupi con l’acquolina alla bocca, incominciamo la nostra interpretazione.
<Bene signori vogliano favorire i documenti brigadiere prenda nota, appuntato guardi nell’auto.
Allora signora cosa stava facendo? E lei non si vergogna?>
<A marescià so appena uscito de galera e invece de sta a casa a famme na pippa, so uscito pe famme na scopata.> <Lei cosa ha da dire signora?><E che ve devo di, che qui nun se batte chiodo, pe na vorta che ciò un cliente, voi mo me fate fa nottata.> Lo sforzo di trattenere le risate fu immane.
Io facendo finta di parlare alla radio mi nascondo in macchina per ridere.
Dopo varie domande di rito e le minacce di portarli entrambi in caserma, li lasciamo andare assicurandoci che non tornino a…consumare. Finiamo la serata con qualche altro giro ma serata fiacca e allora ci avviamo verso casa, ripromettendoci di riprendere il pattugliamento la sera dopo.
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Shoichi Yokoi, la storia del soldato giapponese nascosto per trent’anni nella giungla DI MICHELE GIORDANO (...) Il sergente Shoichi Yokoi nulla sapeva, però, del bombardamento del Giappone né, dunque, della conseguente resa degli irriducibili del Sol Levante: soltanto mezzo secolo fa, il 24 gennaio del ’72 (proprio oggi ricorrono i cinquant’anni dell’evento), Yokoi venne ritrovato ed ebbe contezza (anche se lui dichiarò a caldo, in stato confusionale, di saperlo) che la guerra era finita, dopo aver trascorso quell’interminabile periodo di selvaggia inconsapevolezza nella giungla delle Filippine. La sua unità era stata sorpresa dagli americani che erano sbarcati in quella zona la notte del 21 luglio ’45. Inizialmente con lui avevano vissuto il forzato esilio due compagni (morti nel ’64) e Yokoi restò solo, nascondendosi in un’area montuosa. Del resto, gli ordini erano di combattere fino alla morte in rispetto del rigido codice etico giapponese del Bushido. Isolato dalla civiltà e in armi (inizialmente… fin che non si arrugginirono), si cibò di ciò che la natura gli offriva: noci di cocco, frutti dell’albero del pane, papaia, lumache, anguille e topi, persino di corteccia d’albero, potendo contare temporaneamente solo sull’attrezzatura militare d’ordinanza. La casa di Yokoi era una grotta sotterranea, una sorta di tunnel nascosto in un boschetto di bambù. Essendo stato, da civile, un sarto, riuscì a cucirsi addosso abiti di fortuna realizzati con foglie di palma, ibisco e altre piante. Fu avvistato, dopo 28 anni di isolamento, mentre pescava nel fiume Talofofo, da due cacciatori locali che lo scortarono presso le autorità locali: aveva 57 anni. Il rapporto di polizia lo descrive, al ritrovamento, come “un uomo magro, pallido, apparentemente debole, barba corta, capelli tagliati grossolanamente sulla schiena, scalzo e vestito con pantaloni corti e maglietta sporchi”. I medici del Guam Memorial Hospital dissero che “la sua pressione sanguigna, il cuore e il polso erano normali, ma sembrava anemico, a causa della sua dieta priva di sale”. Tornato in Giappone, sconcertato e inizialmente incapace di rapportarsi con una società a lui sconosciuta nonostante fosse stato accolto come un eroe, dichiarò: “Ho vergogna di ritornare vivo”. Via via si riprese e, divenuto un personaggio, nel ’74 si presentò persino per un seggio alla camera alta del parlamento, ma non venne eletto, e tirò avanti con corsi di sopravvivenza e apparizioni in tv. Scrisse anche un libro (Lettere dal Pacifico). Si sposò e, d’accordo con la moglie Mihoko, decise per una luna di miele proprio… a Guam. Morì, ottantaduenne, per un infarto, il 22 settembre del ’97. Il caso di Yokoi, pur essendo quello che primeggia per lunghezza temporale, non è certo l’unico nel suo genere: i cosiddetti zan-ryū Nippon hei ovvero soldati fantasma nipponici, quelli che, per svariate ragioni, dopo il 2 settembre ’45, non abbandonarono la divisa, sono moltissimi. I servizi segreti Usa stimarono in 550mila uomini l’ammontare delle truppe nipponiche ancora in armi poste al di fuori dal Giappone con un ulteriore milione e 600 mila militari dislocati in Cina e Manciuria, ancora impegnati in guerriglie con sovietici e cinesi. Ma se, fra la metà di settembre e il dicembre ’45, la maggior parte di queste truppe allo sbando si arrese agli alleati, alcuni gruppi, soprattutto nelle Filippine, resistettero con azioni paramilitari ancora per parecchi mesi. La quasi totalità dei soldati fantasma fu catturata, venne uccisa in scontri a fuoco, morì per cause naturali o, infine, si arrese nella seconda metà degli anni Quaranta. Ma non tutti. Una delle più note vicende dei resistenti è quella dei soldati Hiroo Onada e Fumio Nakahira che uscirono allo scoperto dopo anni di latitanza, nel ’74. Il regista Arthur Harari ha tratto un film, Onoda – 10000 nights in the jungle, sulla loro vicenda. Premiato l’anno scorso a Cannes nella sezione Un Certain Regard è stato penalizzato, quanto a distribuzione, dal Covid-19. C’è poi la storia di Noubo Sangrayban, che, dopo aver visto, nel ’97, al suo ritrovamento, le foto delle moderne città giapponesi, preferì continuare a vivere nella giungla. Statisticamente – riportano attendibili fonti storiche e giornalistiche – è probabile che altri soldati giapponesi ancora non sanno (o sono morti senza sapere) che la guerra è finita da 76 anni (l’ultimo ritrovamento, non confermato dalle autorità giapponesi, risalirebbe al maggio del 2005!). Sergio Corbucci ci ha persino scherzato su con il film Chi trova un amico trova un tesoro (1981) laddove la coppia Bud Spencer-Terence Hill, alla ricerca di un tesoro, trovano, come suo custode, un samurai che crede d’essere ancora in guerra con l’occidente.
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Polvere viola
“Mi chiedo come sia sopravvissuta... è sicuramente una strega... non ho altre spiegazioni altrimenti.” “...aiutami, mettiamola sul tavolo” Una folata d’aria gelida, mi trapassò da fianco a fianco, sentii mani calde sollevarmi, con una rigidità e una cura quasi religiose. Poi il legno del tavolo, mi bruciava, delle parti di me bruciavano con un intensità tale da farmi gridare. Anche gridare era doloroso, sentivo le corde vocali stridere, come se le stessi portando allo stremo, c’era come della ruggine nella mia gola. Un sapore disgustoso e terribile mi raggiunse la lingua, era sangue, ed era lì da un po’, come se non avessi respirato o deglutito. Il fuoco tornò a riempirmi i pensieri, sentivo le fiamme avvolgermi la gamba e forse anche il braccio destro, forse era la schiena. Aprire gli occhi mi costò altre urla, poiché la poca luce che c’era, mi fece aggrottare la fronte e percepii delle cicatrici, o forse croste, sul viso che venne tirato di conseguenza. Ma niente era come il fuoco che sentivo sul corpo. Potevo vedere benissimo il cielo, era notte, le stelle iniziavano a comparire sopra di me, non feci troppo caso alla neve sulle cime degli alberi, o attorno a quelli che erano i resti di un camino e le assi di legno che una volta componevano le pareti della casa. Era buio, freddo, ma bellissimo, quando realizzai che poteva essere inverno, mi forzai di non sentire il fuoco che mi avvolgeva. Di fatto poco dopo sparì.
“Ci dispiace signorina, non abbiamo potuto fare niente...” La voce di prima mi sorprese, ma non riuscivo a muovere il collo, una forte fitta alla schiena me lo impediva, ora sentivo quel maledetto braccio destro, pesante, stanco, non morto, ma nemmeno felice di muoversi, e il collo con lui.
“Oh dio, scusa... ecco sono qui. Non puoi vedermi se sto di qua...”
Sentii dei passi prima dietro, cioè all’altezza della mia testa, poi al fianco e in fine un’ombra sovrastò il viso, senza però coprire il cielo. Era un ragazzo dalla faccia simpatica, sembrava il tipico eroe puro e un po’ ingenuo. Faccia da brava persona, naso di una certa importanza, barba media e curata, i capelli corti ma non troppo da essere radi. Evidentemente lo stavo guardando con troppa insistenza, tanto che sgranò gli occhi esclamando “Ti prego, sta calma, non siamo qui per farti del male... giuro”
“Se avessi voluto farmi del male, adesso ...” Mi bloccai a metà, la mia voce era diversa, la cosa mi fece raggelare. Vidi esitazione nel suo volto, scrutò una parte della casa che era fuori dal mio campo visivo, era in difficoltà, provai pena per lui. Ero così stanca da non riuscirmi a preoccupare per me stessa. Provai a richiamare la sua attenzione muovendo una mano nella sua direzione, afferrargli il giaccone di pelliccia era l’intento, nella realtà si accorse di me perché iniziai a soffrire come un cane. Inspirò profondamente. Mi guardò, provai ancora dispiacere per lui, chissà chi era e che incontro crudele doveva essere stato questo. “... Siamo a fine Novembre. Ti abbiamo trovata questo pomeriggio, non sappiamo da quanto tempo tu sia qui, come vedi ha nevicato e questa baracca è andata distrutta dopo solo Dio sa cosa.” Si fece un po’ più indietro, si spostò appoggiandosi al tavolo, in modo che potessi vederlo bene.
“Sono quello che chiameresti babbano o no-mag, non magico. Però mi occupo di occulto, sai chi vive su questi monti è molto abituato ad avere a che fare con cose strane... pensiamo che tu sia entrata in contatto con quello che molti chiamano baubau, o uomo nero, insomma hai sicuramente sentito parlare di questa leggenda.” Ci fu una sferzata d’aria gelida, socchiuse gli occhi infastidito, io rimasi muta ed immobile. La porta, o qualcosa fatto di legno, sbatté lontano da entrambi, successivamente sentii dei passi, più pesanti e affrettati. “Ah... finalmente sei tornato... bravo accendi il fuoco, ne abbiamo bisogno” “... e lei... è sveglia? dovrebbe esserlo dai, ho fatto tutto quello che ho potuto per ...insomma scongelarla... o qualsiasi cosa abbia fatto a se stessa”
La voce del secondo uomo aveva un accento molto diverso da quello vicino a me. Mentre parlava, lo sentivo fuori campo che spezzava legna e l’accatastava non poco lontano da dov’eravamo.
“Sì Sandro, è sveglia... però le stavo raccontando una cosa un po’ seria. Tu finisci con il fuoco e io col racconto...” La stizza del ragazzo mi fece divertire. Colui che rispondeva al nome di Sandro, rispose facendo una serie di rumori infantili, tipo “gne gne”
“Scu-scusami... volevo essere serio e darti una risposta credibile, che ti lasciasse tranquilla, mi dispiace.” si sfregò le mani per scaldarsi. Solo allora notai che le sue labbra si erano inscurite e tremava tantissimo “Mi ricollego a quello che ha detto il mio collega... ti abbiamo trovata in questa catapecchia ed era come se il tuo corpo si fosse congelato, o boh, fatto sta che il cuore non era fermo fermo, era solo... lento... credo” Guardò verso il compare e una luce gialla e calda gli illuminò il viso. Sentii un leggero caldo pure io, quasi impercettibile. “Penso che tu lo sappia, in Italia la magia è cosa più comune di quanto non si dica. Ci sono tipi di magie, attività magiche... sì, diciamo così... che possono essere tramandate o imparate. Sandro ha provato a scongelarti o insomma... farti tornarne qui, con le tecniche che ha imparato dalla sua famiglia. Ha usato una pozione, diciamo...” Una mezza risata si levò dal centro della stanza. “... da quando le pozioni si danno nel costato tipo pulp fiction ... “ La cosa mi sorprese, ma evidentemente non sapevano come darmi quella roba che mi aveva riportata vigile. “Eh sì insomma... fatto sta che hai tantissime ferite ed evidentemente sei rimasta in quello stato per diverso tempo, te ne sarai accorta dallo sforzo che hai fatto nel provare a parlare o anche solo urlando. Sfortunatamente sei finita in un postaccio, non so dove stessi andando... anzi, temo di saperlo, ma penso anche che tu non abbia vissuto niente di reale negli ultimi mesi... almeno le poche cose che ricordi, non credo siano vere...” “Ma scusa, falle vedere il volantino che ho trovato, no!?” Il ragazzo si illuminò e un po’ parve confuso, rovistò in una delle tasche interne del giaccone e mi mostrò una pergamena di scomparsa. “Già... è del tuo mondo.” vedere la mia foto dell’ultimo anno di scuola, che si muoveva, ad un palmo da me, mentre io nemmeno riuscivo a parlare, mi fece lacrimare silenziosamente.
“è di questa estate... il ministero ha contattato ehm.. beh, siamo tipo dei ranger, cioè definirci maghi sarebbe troppo... insomma ha contattato noi esperti del luogo e di queste creature, poco dopo la tua scomparsa...”
“La parola giusta sarebbe, coglioni che non si fanno i cazzi propri e vanno a rovinare la festa a casa del Baubau... ma meglio di no, qui sono superstiziosi nel pronunciare quel nome” Sandro si intromise e sentii la sua voce farsi più vicina, per poi fermarsi al lato opposto del tavolo. Prese l’unica sedia che c’era e si sedette come se niente fosse.
“Quindi... è iniziato dopo il diploma... mi ha presa prima che iniziassi...” provai a dire due parole, la gola raschiava meno e forse il mio corpo bruciava meno, il braccio mi pesava così tanto che non riuscii a concentrarmi a dovere.
“Il tirocinio, iniziassi il tirocinio, già. Le ricerche sono partite dal ministero, poi si sono spostate nella sezione del nord, questa qua, dove saresti dovuta arrivare tu. Veniamo da quelle zone, la comunità magica e non magica vivono a stretto contatto, c���era un gran vociare sulla sconfitta di quel mago cattivo e sull’arrivo di qualcuno dell’accademia di magia. Una sparizione così, per una persona tanto attesa, ha fatto pensare al peggio subito...” Il ragazzo mi parve più rilassato, sicuramente meno infreddolito.
Sandro si intromise, aveva un tono tranquillo ma sicuro non andava preso alla leggera. “Poi non ti abbiamo trovata subito, perché il bau-bau è un gran burlone e nasconde tutto a tutti. Un po’ brutto come primo incontro con un criptide. Ogni cosa può essere piegata alla sua volontà e le leggi della magia moderna, non funzionano con lui. Ti spiego, per contrastarlo, anche solo in cose minori, come piccole manipolazioni della realtà, siamo dovuti ricorrere ai libri di sua nonna...” La risata stavolta non venne da Sandro “non mi ci far pensare... una volta i rituali, anche solo i sigilli, venivano tramandati in modo segreto. Ho dovuto leggere appunti su appunti su come fare la polenta, e tutti i tipi di polenta esistenti all’epoca, per estrapolare qualche informazione sui sigilli di protezione e su come una volta si riparavano da questa minaccia...” Il suo viso tornò a farsi scuro. “Certo Vale, abbiamo avvertito i soccorsi e presto una squadra del ministero sarà qui...mi dispiace se provi tanta paura... lo so”
Sandro batté una mano sul tavolo “Non la toccare! ah-ha! Sai che non puoi usare i poteri su di lei, non sappiamo se una traccia del nostro amicone è ancora dentro di lei... potrebbe farti sentire o vedere cose che non sono mai esistite...” Si sporse e lo vidi in viso per la prima volta, una facciotta rotonda, allegra e resa ancor più gioviale dalle guance rese rosse dal freddo, ma le sopracciglia erano aggrottate in un’espressione di preoccupazione e disappunto. “Tu non le hai pensate quelle cose, vero. Non gli hai chiesto...” “No. Non so di cosa parla...” Dissi con un filo di voce. Sandro continuò a parlarmi, lanciò uno sguardo al suo compare e in tono consolatorio disse “Vedi, il nostro caro amico Furio è nato con un potere a metà tra il tuo mondo e quello babbano. Peccato che il buon cuore lo renda terribilmente stupido!” Tuonò, più in senso amichevole, quasi per tirarlo su di morale stuzzicandolo che per rimproverarlo. “Può leggere nella mente delle persone e vedere i loro ricordi, ma solo se le tocca. Oltre a ciò riesce a percepire la paura delle creature, come dire, piccole... indifese, insomma tipo te ora”.
Furio rimase distante, guardava il fuoco, probabilmente. “Già. Io sono di queste zone. Non sai quante volte, da piccolo, sentivo cose che non potevo comprendere, bambini portati via da quel mostro terribile, sentivo la loro paura, anche se vivevo in città e non in questa foresta. La paura dei bambini per l’uomo nero... speravo di non sentirla più...” “Quindi, brutto cretino, sai anche che rischi corri se entri in contatto con una persona come lei, che le ha resistito.” ci fu una pausa “E tu non solo gli hai resistito... chissà come, hai trovato il suo libro. Sei l’unica che torna indietro con questo” Mi mise davanti agli occhi una sorta di giornalino pieno di macchie d’inchiostro. “Il libro dei cuori perduti, o dei cuori neri. Si dice che sia il mezzo con cui il Baubau si metta in contatto con le vittime, però poi sparisce con loro. Questo fatto è singolare, sicuramente aiuterà quelli del ministero a fare luce sulla faccenda...” “Ma puoi tenerlo... così...” Chiesi, un po’ sorpresa dalla semplicità con cui lo teneva in mano. Solo allora mi accorsi che le sue mani erano completamente segnate di viola, c’erano dei disegni su ogni falange, sul dorso della mano e anche sui palmi. Evidentemente Furio notò la mia faccia incuriosita e sollevò un braccio, tirando su la manica della pelliccia.
“Prima di entrare in questa foresta, ci siamo dovuti far segnare questi dalle vecchiette dell’ultimo villaggio vicino, quello mezzo magico. Usando le informazioni dei libri di mia nonna e la loro conoscenza. E come noi, anche le altre squadre di maghi, altrimenti saremo finiti tutti come te” Il suo braccio era pieno di rune a me sconosciute ed altri simboli intricati.
“Poi io ne ho molti meno perché non ci credo a questo mostro farlocco, ah-ha. Che si palesi come fece l’uomofalena, quello sì che è un signore...” C’era una nota di fierezza nella voce di Sandro, ma anche tanta voglia di smorzare gli animi. Mi strappò una sincera risata “...l’uomo falena... il mio preferito..” sussurrai esausta ma molto più presente a me stessa. Ormai quei due mi avevano incuriosita abbastanza da farmi sentire un po’ più al sicuro, quindi dentro di me si accesero altre necessità, necessità da persona viva e cosciente, dopo tanti mesi. Feci uno sforzo enorme ma con uno scatto che sembrò più uno spasmo, sfiorai una delle dita di Furio. “Devo sapere... scusa” Sentii la mia energia rinvigorirsi, come un fiume che torna a sgorgare. Non era giusto intrufolarsi nella mente di una persona che aveva poca dimestichezza coi propri poteri, anche meno potente di me, dato che babbana, però parlare mi stancava davvero tanto, volevo sapere tutto sul Baubau. Appena lo toccai, sentii che la mia energia veniva come strappata, afferrata di forza da qualcos’altro, era la sua mente affamata di ricordi.
Ero così arrabbiata... mi accorsi che ero arrabbiata, solo quando mi vidi riflessa nei pensieri di Furio. Quella creatura teneva sotto scacco la foresta da secoli, c’era una zona nera, come il triangolo delle bermuda, in cui tutto svaniva, niente poteva giungervi e fare ritorno, la magia per spostarsi non funzionava, anche alcune bacchette davano problemi. Vidi un mare di alberi neri, diventare rossi sotto la luce del tramonto, poi fogli, inchiostro, un bambino che gioca nel giardino di una vecchia casa. Un’anziana lo tiene d’occhio mentre stende il bucato. Era tutto silenzioso e avvolto da un’aura stranamente pacifica. Non si muoveva una foglia, in quel pomeriggio, ma niente faceva pensare che fosse normale.
Una lunga ombra serpeggia sul prato ma il bambino non se ne accorge. Un fuoco altissimo, di colpo, con lingue blu e viola, si alzano dal prato a due passi dall’ombra che sta per schizzare fuori dall’erba, sta per farsi viva, ma non ci riesce. “Tornerò a prenderlo... o lo farà la foresta per me...” Ulula la bestia, sgusciata fuori dalla sua tetra dimora, sfruttando l’ombra degli alberi, la giornata che va a morire. Una donna, rossa come il sole che la illumina, tiene stretto il bambino. “Vorrà dire che ogni cosa brucerà” Anche l’anziana accorre e la donna gli porge il bambino che viene subito riportato in casa. Intravedo della polvere viola sulle imposte della vecchia casa, poi tutto diventa velocissimo e non posso controllarlo, posso solo guardare e stare in silenzio, aspettare il momento in cui vorrà mostrarmi qualcosa di rilevante, ancora. Scatoloni, polvere, fogli, inchiostro, tanto inchiostro, giocattoli, sorrisi, una città, alberi che diventano palazzi, cielo azzurro e spensierato che diventa grigio e plumbeo. Tanti ragazzini, tanta solitudine, verifiche, errori, altre risate. Un viaggio, una ragazza, un anello. Poi nuovamente tanti alberi, il fumo di una casa di legno, un camino, della tecnologia babbana, tante persone allegre, diverse tra loro, ma sembrano stare bene insieme. Un villaggio pacifico e pieno di maghi, di colpo fogli, altri fogli, inchiostro. La mia foto. Il buio del bosco, quel prato dove l’ombra apparve, la veranda della nonna, ormai vuota. Polvere viola, sigilli, fuoco. Un’auto, la mia auto, viene ripescata da un lago ormai ghiacciato. E’ mezza fuori, come nei film thriller. Il cuore quasi mi si ferma. Camminano nella foresta, tutto è estremamente pesante, fa freddo, sembra che il sole non sorga mai. Trovano la mia bacchetta vicino ad una roccia piatta, ha sopra dei simboli che non ho mai visto, che ci fa lì... non ci sono mai stata. La marcia continua, il sole sorge ma per pochissimo. Qualcosa li attacca, piccoli esserini neri, come gatti estremamente magri e spigolosi. Sandro gli tira contro delle ampolle, uno salta sul suo braccio ma appena tocca i sigilli, si polverizza. Una scossa percorre Furio e la sento pure io, che sensazione terribile, come se qualcosa ti tirasse dai piedi e ti trascinasse sul fondo di un lago ghiacciato, come svegliarsi nel cuore della notte e vedere qualcuno sul proprio letto per poi scoprire che è solo un cumulo di vestiti da lavare. Dopo poco il mio corpo. Mi viene da vomitare. “Smettetela adesso o vi taglio le mani!” Un clap mi riporta alla realtà, Sandro ha tirato uno schiaffo all’amico per interrompere il nostro collegamento, io vengo sbalzata fuori come se lo avesse tirato pure a me.
“Signorina ce l’ho anche con te... non ti posso prendere a schiaffi solo perché sei a tanto così dalla morte” Furio intanto scuote il capo e si lamenta “Potevi anche allontanarmi di peso, non importano gli schiaffi ora...”
“Ho come l’impressione che non sarebbe bastato, e poi te lo meriti, così impari a trascinare gli altri dentro di te... ti avevo detto di non farlo, o sbaglio!?” Sandro è molto stizzito ma si capisce che la sua è sincera preoccupazione da amico più che altro.
“Volevo solo che vedesse... è entrata e non..” mi lanciò un occhiata stanca e un po’ dispiaciuta “Non ho potuto fare a meno di usare la sua energia, i suoi poteri, per, per... non lo so” rimase distante da me, quasi a scusarsi.
“Visto!? Non sappiamo nemmeno come funzionano i tuoi poteri, almeno non fino in fondo. Poteva succedere qualsiasi cosa... vieni qui tu! Sta ferma mi raccomando!” Mentre Sandro rimproverava Furio, lo sentii mettermi un braccio su entrambe le cosce, per tenerle immobili. Estrasse qualcosa da una borsa che prima non avevo notato, simile a quelle vecchie di pelle, quelle dei dottori per intenderci. Subito dopo ci fu uno sparo. Urlai, o meglio, aprii la bocca cercando di far uscire un suono, ma non uscì niente poiché contrariamente a quanto mi aspettavo, non sentii alcun dolore. “Smetterò di entrare nella testa delle persone o insomma, usare questi poteri a caso, quando TU smetterai di sparare le tue pozioni sulla gente SENZA AVVERTIRE!” Sandro rise di gusto, con in mano quella che era una pistola ma che ai miei occhi stanchi sembrava boh, un paio di grosse forbici da dottore, o una cosa del genere. All’affermazione di Furio mi feci un po’ più preoccupata, sentii la tensione ma anche l’adrenalina che circolavano in ogni parte del mio corpo, percepivo il freddo pungente e la faccia non mi faceva così male, quel colpo mi aveva fatto sicuramente bene, la mia gamba non andava più a fuoco.
“Bene mia cara, ora non sentirai alcun dolore, per le prossime ore. Però non significa che tu sia guarita, ma almeno potrai riposare... ora ti do questo che dovrebbe aiutarti con la gola, poi penso a ripulirti le bende e ti sistemo un po’ per farti trasportare al meglio dai tuoi amici.” Prese una vecchia coperta e me la mise sotto la testa, riuscivo finalmente a vedermi i piedi senza nessuno sforzo, avrei preferito non vederli, ma almeno in quella posizione mi era più facile parlare con loro due e prendere la pozione, che sembrava più uno sciroppo per la tosse mescolato con la vodka, che mi passò Sandro poco dopo. La gamba che sentivo in fiamme, aveva ogni ragione per esserlo. Riuscivo a vedere quello che penso fosse la mia rotula, mentre attorno la carne era rossa e viva come non mai, però Sandro riusciva a sdrammatizzare abbastanza mentre mi cambiava quella porzione di bende. Ero scalza, mi avevano trovata coi vestiti strappati e induriti da un mix di sangue e neve. Quando mi avevano messa sul tavolo, prima ero stata fasciata e cosparsa di unguenti, rimedi insomma, pseudo magici, poi avvolta in una sorta di lenzuolo con sopra una coperta termica. Le mie cose erano state ritrovate nella mia borsa, a pochi metri dal mio corpo. Anche se era territorio del Baubau, quei due erano così tranquilli, affiatati tra loro, e propensi a stuzzicarsi e prendersi in giro, che la mancanza di un soffitto per quella baracca nella foresta, era poca cosa. Sprigionavano calore familiare, accoglienza, sicurezza. “E così il tuo ex ragazzo era un vampiro... che storia... non ero sicuro esistessero. Dev’essere stato terribile...” Mentre mi cambiava le bende, Sandro chiese a Furio di disegnarmi sulle braccia gli stessi simboli che avevano pure loro, quindi per tenermi sveglia iniziò a chiedermi cose sul mio vissuto. Il suo sciroppo magico alla vodka, dopo una prima fiammata alle corde vocali, sembrò ripulirle dal tempo e dal sangue in un istante. Quindi attaccai subito con la mia instancabile parlantina, un po’ per rimanere presente a me stessa, un po’ per esorcizzare le cose che mi aveva fatto vedere quella bestia.
“Mh, pure della peggior specie. Non posso nemmeno impalarlo” sbuffai “Sapete, nel mondo magico i vampiri sono accettati, tanti si sanno contenere, ma tanti altri ancora sfruttano gli umani... come fossimo inferiori”
“Il mondo è molto più complicato di come lo descrivono nei libri per ragazzi, eh vabbè” Sandro fece spallucce riferendosi alla famosissima serie di libri, che per tanti babbani sono pura fantasia. Sistemate le mie bende, rimise le sue cose nella borsa e si spostò verso il fuoco, ormai ero sicura fosse alle mie spalle, vedevo la sua luce proiettata in ciò che rimaneva del muro di legno, davanti a me. Furio stava ancora disegnando rune, così assorto che non parlava già da un po’. “Quindi, tua madre è una strega...” sussurrai, pensando alla donna coi capelli rossi, le fiamme blu e viola, su quel prato nei suoi ricordi.
Alzò lo sguardo dal mio gomito e mi guardò come se non avesse capito bene ciò che avevo detto. “Penso di sì...” sospirò e si guardò attorno un po’ incerto. “Non lo so, sono cresciuto in città, non ricordo bene come fosse qui quando ero piccolo... scusami, ho cercato di fartelo vedere per... non so, forse speravo che avresti potuto dirmelo tu.” Erano passate ore, il cielo era più sereno, e mentre mi parlava pieno di incertezze, iniziammo a sentire rumori strani, come di pentole che vengono sbattute. Più si avvicinavano più suonavano familiari. “Schiantesimi?!” borbottai, aggrottando la fronte, che iniziò a pizzicarmi per il freddo. “Beh la fuori è pieno di quei cosini scemi, qua non possono entrare, tranquilla, ma se i tuoi amici sanno come farli saltare in aria... beh, non mi metto a piangere, anzi”. La risposta sarcastica di Sandro, mi distrasse completamente dalla conversazione che stavo avendo, e sentii il calore della salvezza, credo, invadermi il cuore. Più si avvicinavano, più gli incantesimi volavano, ma entrambi i miei compari, erano tranquilli e continuavano con le loro cose. Erano così vicini che vedevo i fasci verdi, azzurri e rossi, riflessi nelle finestre. Sospirai profondamente. “E’ arrivata la cavalleria...” Furio accennò una risata. “Coi fuochi d’artificio. In grande stile” Risposi sinceramente divertita, mi sentivo così piena di speranza, che quel duro tavolo di legno, divenne comodo come il letto di casa mia. Ero rilassata, dopo mesi e giorni passati al freddo, rattrappita dalla paura e dalla neve. Che splendida sensazione.
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Occhi cadenti, ovvero della “prudicizia”
Per i dettagli dei fatti di cronaca, rimando alle notizie abbastanza note e diffuse, anche perché è argomento succulentemente prudico (mi si conceda questo neologismo, mix di pruderie e pudicizia).
Mi riferisco alle vicende che hanno riguardato (ma non è ancora finita) la protesta delle liceali italiane (in particolare quelle del Socrate di Roma) e le loro colleghe francesi: unite nella battaglia contro chi vuole emendare gli usi ed i costumi sull’abbigliamento. Pare, infatti, che le minigonne e gli shorts favoriscano il proliferare degli sguardi lubrichi dei professori, pertanto va evitato un abbigliamento disvelante, in favore di abiti più contestualizzati.
“Non è colpa nostra se gli cade l’occhio” si legge sul cartello (virale in web) preparato dalle ragazze.
Giusto. Siamo uomini, non animali, e dobbiamo educarci a non far cadere l’occhio su scosciamenti e scollature. Tuttavia, se pure il Vespa nazionale (celebre l’episodio della ‘caduta dell’occhio’ sulla scollatura della scrittrice Avallone) indulge nella lubrica pratica, vuol dire che l’etologia ha (ancora) la meglio sulla cultura.
In altre parole, la cultura attuale, anch’essa, ha i suoi cedimenti.
Ma voglio prenderla alla lontana, se avrete la pazienza di seguirmi. Cominciamo scomodando l’etologia.
Gli animali sono esperti in richiami sessuali. Essi consistono in una vastissima gamma di colori, grandezze, movenze, canti, odori che attirano sessualmente gli esemplari all’interno di specie e razze. Ci sono uccelli che mettono in mostra piumaggi spettacolari e innescano danze stupende. Così anche molti insetti e pesci. I mammiferi, oltre alla grandezza fisica che innesca lotte sanguinarie tra pretendenti, puntano sulle secrezioni ormonali: un leone fiuta nell’aria l’estro della leonessa, per esempio. Gli uomini non sarebbero insensibili ai feromoni (che peraltro non hanno odore).
Anche tra i Sapien(te)s (che è la specie nostra, cioè di tutti gli uomini sul pianeta Terra, unica sopravvissuta tra le sette linee originate dall’homo erectus: Neanderthal, Denisova, Soloensis, Rudolfensis, Ergaster, Floresiensis e Sapiens, appunto), è attiva questa primitiva caratteristica relativamente al richiamo e all’attrazione sessuale, solo che noi non abbiamo piume da dispiegare e pochi di noi sanno danzare mirabilmente. La cultura e il raziocinio hanno messo fine alle lotte per la conquista delle femmine, da trascinare per i capelli, come vuole l’iconografia popolare. Ci siamo sviluppati ed evoluti.
Uhm. È davvero così?
A che cazzo è servita la Civiltà se siamo ancora animali in preda dell’etologia, se continuiamo a dare per scontato che i maschi dei sapien(te)s non resistano ai decimetri di pelle femminile nuda. (E i quadri di nudo? Che turbamenti arrecano? E gli espliciti dipinti di nudo di Guttuso - oltre i quali c’è solo un’ecografia transvaginale, ma in tal caso cambia il contesto e addio scandalo - provocano?)
Oggigiorno, i richiami sessuali sono altri, ma tutti passano per l’aspetto esteriore: abbigliamento, acconciature, make up e accessori. Anche la dimostrazione della ricchezza (che sta da sempre per ‘partner più adatto’), prima che dalle auto di grossa cilindrata e/o gli yacht e la servitù e i castelli, passa per l’abbigliamento (accessori compresi), il quale - culturalmente parlando - è un potentissimo messaggio non verbale.
Per sommi capi sapete già cosa aspettarvi da un ipertatuato con sopracciglioni rasati, orecchinato, in sella ad uno scooterone truccato. Sapete già con chi avete a che fare se vi si para davanti un pallido occhialuto un po’ goffo. E cosa ci comunica una minigonna o un paio di shorts? Inoltre, il messaggio cambierà se a mettere una minigonna sarà una donna, una agée o addirittura un uomo.
Insomma, noi comunichiamo attraverso i paramenti: più sono lussuosi/vistosi/osé/stravaganti più destano attenzione e in qualunque caso disvelano di noi. L’abito fa il monaco, dunque.
L’abbigliamento femminile è sempre stato un cruccio umano lungo il percorso della Civiltà. Se appena appena guardiamo all’ieri della Storia, ci dovremmo mettere tutte il burqa. (Ma se lo facessimo - vedi Silvia Romano - le polemiche e le proteste sarebbero parimenti veementi.)
Anche una caviglia diventerebbe innesco di guerre ormonali negli uomini, come durante il vittorianesimo, quando si coprivano le gambe di mobili e tavoli per non istigare parallelismi peccaminosi con le caviglie delle donne. Un po’ tutte le culture e le religioni hanno di queste fisse sugli abiti delle donne. Gli ebrei ultra ortodossi rapano a zero le chiome delle neo-mogli e le costringono a indossare parrucche (vi consiglio, sul tema, la mini serie Unorthodox, su Netflix) oltre a tantissime altre restrizioni. Vogliamo fare la lista delle coercizioni cattoliche?
Il proibizionismo non ha mai risolto niente.
Poiché non è mia intenzione innescare ulteriori polemiche, ho scomodato anche la Sociologia, grazie ad uno dei più innovativi studiosi del comportamento umano, Erving Goffman. In un suo saggio (Il comportamento in pubblico, Einaudi), lo scienziato affermò che non solo non si può non comunicare, ma che si comunica con tutto, non unicamente con le parole: silenzi, pause, gesti, sguardi, fattezze e abiti sono loquaci, spesso più delle stesse parole esplicite.
Prendete una situazione banale (che certamente avrete avuto modo di notare anche nella nostra piccola città) che altrove colpì pure Goffman: chi ritorna dalle vacanze al mare pretende di poter vestire [meteorologia irpina permettendo, NdA] come se fosse sulla rotonda di un lido, con infradito, ciabatte, prendisole, bermuda e canotta. Insomma, si va fuori contesto, il Nostro lo chiama conflitto di definizione della situazione.
Cosa comunica un tizio o una tizia che vestono in cotal guisa mentre attraversa il Corso principale? Nei fatti essi sono alquanto dissonanti e li guardiamo quasi automaticamente con raccapriccio e sospetto, nella misura in cui destabilizzano l’ordinamento comportamentale urbano, il quale richiede - per essere conosciuti, conoscibili, prevedibili e ritenuti inoffensivi - l’adeguamento a canoni di abbigliamento e di gestualità (non invasive) ben precisi, adatti ai luoghi.
Ci sarà un motivo se sugli inviti alle cerimonie inseriscono anche l’obbligo di un abbigliamento particolare. Esistono dress code per gli stadi come per i luoghi di culto, per la Scala e per il Parlamento, per il Quirinale e le sale da ballo, per le palestre e le orchestre. I bohémiens e gli hippies si riconoscevano dall’abbigliamento, i punkabbestia e i paninari pure. Il grunge ha fatto della camicia di flanella a quadri e i pantaloni cargo i suoi vessilli. Sono regole non scritte, ma ben riconosciute e parlano alle comunità.
Non stupitevi, una comunità, sempre secondo Goffman, si regge sulla cosiddetta ‘inattenzione civile’: incrociando gente per strada, le s-guardiamo per qualche secondo e stabiliamo che sono, tutto sommato, occhèi per la nostra sicurezza. È una prassi connaturata con il sapiens, la eseguiamo continuamente. Fateci caso qualche volta, mentre camminate tra la gente. Ma se così è, perché una minigonna farebbe, invece, soffermare lo sguardo? Laddove le minigonne e gli shorts sono oramai l’uniforme delle ragazze.
Sempre Goffman: “Di solito cioè, quando si è in presenza d’altri, c’è l’obbligo di fornire un certo tipo di informazioni e di non produrre impressioni diverse, così come si può prevedere che anche gli altri si presentino in un certo modo. Si tende a trovare un accordo non solo sul significato dei comportamenti visibili, ma anche sui comportamenti che si dovrebbero esibire. L’individuo può dunque smettere di parlare, ma non può smettere di comunicare attraverso l’idioma del corpo; egli deve dire o la cosa giusta o la cosa sbagliata; non può non dire niente. Paradossalmente, il modo in cui può dare il minor numero d’informazioni su si sé - sebbene anche questo indichi qualcosa - è adeguarsi e agire come ci si aspetta debbano agire persone del suo tipo. [...] Uno studente universitario che entra in classe con la barba lunga e in calzoncini corti o una ragazza che entri con i bigodini in testa dimostrano una mancanza di rispetto nei confronti del contesto. [...] Un’improprietà di comportamento nei confronti della situazione può comunicare a quelli che vi assistono, giustificatamente o no, il fatto che colui che agisce è alienato non tanto dal raggruppamento, quanto dalla comunità o dalla istituzione o dagli amici o dalla conversazione. [...] Quando si trova in presenza d’altri, l’individuo �� guidato da un sistema particolare di regole definite proprietà situazionali. Queste regole controllano la distribuzione del coinvolgimento dell’individuo nella situazione, espresso mediante un idioma convenzionale di segnali comportamentali.”
In altre parole, le ragazze indosserebbero abiti ‘non convenzionali’ per l’istituzione scolastica poiché terrebbero di più all’appartenenza al gruppo degli adolescenti, parlando - mediante gli abiti - l’idioma situazionale proprio di quel gruppo. Ciò potrebbe significare anche uno scadimento dell’istituzione, che non merita più quel rispetto finora collettivamente dimostrato anche da una certa temperanza dell’abbigliamento (e da un maggiore rispetto della classe docente da parte di genitori, media e politica, diciamocelo).
Ricordiamoci che Aldo Moro manteneva giacca-e-cravatta sulla spiaggia perché il decoro pubblico di un uomo politico era trasversale ai contesti: rispettava la sua missione anche in ambienti in cui ci si poteva rilassare. Esattamente il contrario dello stridore comportamentale di certe panze (e/o chiappe) parlamentari nei vari papeete.
Ora dovremo stabilire se le ragazze che mettono gli shorts e le minigonne abbiano scambiato un luogo per un altro, ovverosia se le ragazze siano in conflitto con la definizione della situazione: a scuola, come ci si dovrebbe vestire per essere ritenuti adeguati, credibili, innocui? Ci si deve normativamente adeguare alla più vasta categoria delle teenagers, cioè, mettendo shorts e toppini striminziti o è preponderante il ruolo di studentesse all’interno di una onorata-quasi-sacra Istituzione, quale è (o era?) la Scuola?
Tempo fa, a scuola ci si metteva il grembiule. Alcuni Istituti (specie all’Estero) impongono tuttora le divise. Non mi piaceva il grembiule nero delle medie, però, col senno di poi, ad essere uguali nell’abbigliamento, ovverosia a quasi parità di comunicazione non verbale, diventava più immediata l’emersione delle personalità brillanti. Poi, al liceo, liberate dal grembiule ci ingarellammo (quasi) tutti a chi vestiva meglio e coi i marchi più quotati, che alla fine la personalità divenne solo una questione di costruzione d’immagine. L’outsider, il maverick - perché c’è sempre e per fortuna un maverick - non aveva fascino. Ora, pretendiamo tutti di essere egregi (fuori dal gregge, cioè) senza essere davvero delle singolarità.
Dunque? Dopo questo pippone, non ce la dai una risposta, Marika?
Una risposta ce la dà Franco Basaglia. In una post fazione al testo di Goffman citato, il riformatore della psichiatria italiana ebbe a scrivere: “Norme, regole, moduli di comportamento o schemi di condotta, delimitazioni di ciò che è lecito, adatto, adeguato, opportuno, corretto o conforme, scandiscono, definiscono e danno significato alla nostra vita quotidiana. Meglio: determinano e creano il significato della nostra vita quotidiana. Ogni atto nasce sotto il segno del ‘si deve’ o ‘non si deve’, in nome di una realtà sociale che bisogna rispettare. Nel rispetto della libertà altrui, c’è la nostra libertà; nell’accettazione della regola generale il benessere del singolo e della collettività; nell’adattamento alla norma comune la garanzia di una convivenza civile. [... Tuttavia], una regola che non risponde a un bisogno non può agire che come strumento di sopraffazione e, quindi di controllo, sul gruppo di persone cui viene imposta, proponendosi come una categorizzazione astratta che non trova giustificazione se non nell’imposizione e nelle sanzioni implicite per chi non vi si adegua.”
Le regole (in questo caso sul decoro dell’abbigliamento che viene chiesto in alcune scuole) servono alla sopravvivenza dell’istituzione, al mantenimento della sua credibilità e della sua autorità, ma, nel caso di specie, trattandosi di mondo femminile, sono potenziate dalla combinazione con l’incapacità culturale di abbattere le pulsioni etologiche e di cambiare l’anacronistica antropologia imperante. Usi e costumi - e loro significati contestualizzanti - cambiano, ma non certe ‘fisse’.
L’unica discriminante che vorrò sempre precisare si trova tra l’eleganza e lo stile e tutto il resto. Poi, ognuno vesta come vuole.
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Oramai sto seriamente comprendendo perché faccio in media tra le 3 e le 6 di mattina per addormentarmi e lo sto odiando.
Aver visto tutti quei video e foto nelle mie memorie esterne per fare ordine non è stato solo rivelatorio per certe Epifanie d'identità sulla mia vita e su me stesso, ma è stato come firmare in mia incoscienza una condanna a questi pensieri notturni.
Capisco perché mi sono distanziato dalla socialità artificiale e perché non ne ho mai fatto mai parte troppo perché in questi giorni che escludo un sito e sprofondo in un altro il format di comunicazione mi ingabbia in modi di pensare che mi uccidono.
Sono le 1 proviamo anche stasera a dormire e a svegliarci in un modo migliore... e invece dopo 1 o 2 ore mi alzo in preda a fantasie assurde. Scendo, mangio, mi fumo una sigaretta o due, bevo dal rubinetto e prendo un pò di xanax che prima di questa quarantena se Dio vuole non faceva più parte della mia vita.
Mi immagino nel futuro e mi sento vanesio e forte. Ma poi mi accorgo che devo fare i conti ancora su uomini che disprezzo e donne che non riesco a perdonare e non ho la forza di volerle male e metterle nel cassetto, perché me lo sono ripetuto troppe volte durante questa trasfigurazione in gabbia... sono cambiato, sono uomo, ho bisogno di diventare uomo e non posso essere come forse sarei, come sempre...Troppo buono.
Forse la settimana scorsa(?) Sono scoppiato come una pentola a pressione e ho fatto una scenata. Cercavo la rissa con mio padre e ho distrutto tante cose sia con le mani che sbattendole per terra perché volevo fare a botte con un uomo che non ho mai sentito e che mi ha regalato senza saperlo una delle mie più silenziose e peggiori sofferenze, una totale assenza di figura maschile durante il mio sviluppo fino ad adesso, rimpianzandola con un babbo buono come il pane e dedito all'economia e al suo conseguente sostegno della famiglia, ma totalmente sottomesso e remissivo alla moglie, con un ansia di controllo verso la casa e un incapacità incalzante con gli anni nell'essere autoritario. Se qualcuno leggesse non saprei spiegarli, ma per un maschio che non ha nessun altra figura maschile vedere L unica figura di uomo che ha nella sua vita ogni volta che litiga con la moglie lei alza voce e gli dice ogni cazzo di volta "stai zitto" lui abbassa la testa e chiede SEMPRE "scusa". In me negli anni si è accumulato una sofferenza indecifrabile e una rabbia irrazionale verso di lui che si è tramutata negli anni da quando è andato a lavorare lontano da casa come una completa incapacità nel ricevere affetto da lui.
Finita la scenata e il casino, espongo il problema oramai che mi si era reso palese e lui scoppia a piangere strozzato in bagno. Ne consegue forse condizionato da una serie televisiva distopica non so... un enorme forza ma aggressività stabile che mi si manifesta nel petto. È tutto chiaro. Sono stato cresciuto da donne nella mia vita e mia sorella ha preso il ruolo di mio padre insegnandomi a relazionarmi con le ragazze, a radermi la barba e a spiegarmi come stava funzionando il mio sviluppo.
Ho chiuso i rapporti con mia sorella da un pezzo e lei ora sta provando a scrivermi pietosi messaggini che ancora io non so come rispondere perché le sue violenze e suprusi sono stati all'ordine del giorno e svilenti fino al midollo.
Mi sento lupo solitario e mi alleno in maniera bestiale aspettando il giorno che potrò rifare uno sport violento, mi taglio i capelli sempre più corti, desidero imparare a saper usare una beretta e so che non mi guardo più allo specchio come prima; ho una faccia cattiva e disprezzante e forse aspetto solo che qualcuno mi rompa i coglioni per gonfiarlo. Ma sono stato sempre buono e aperto di anima pronto a vedere il meglio nel prossimo e ad amare anche sconosciuti. Ma ora vorrei solo riempire di offese e disprezzi chiunque tenti di interferire con me senza il mio desiderio.
Ma solo il mondo nuovo darà il verdetto su tutto questo.
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Capelli Corti E Barba Uomo
Capelli Corti E Barba Uomo
Taglio capelli uomo come scegliere la sfumatura ideale per il 2018. Andiamo a scoprire quali sono i tagli uomo che vedremo maggiormente questanno.
Barba Lunga E Capelli Rasati Cdco2018
Ecco quali sono i tagli preferiti e quelli adatti alla forma del tuo viso.
Capelli corti e barba uomo. Taglio con riga laterale e sfumatura razor fade e barba corta sfumata. Il tipico taglio hipster…
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MONREALE - Mosaico di un Angelo
IL MARESCIALLO MUSCARA’ E IL CASO DELL’ANGELO CUSTODE
Il maresciallo Muscarà stava scrivendo un rapporto su i noti avvenimenti relativi al furto in casa del ragioniere Domenico D’Anna, vicesindaco del paese, furto consistente in quattro “capi” di salame, due forme di pecorino e un caviso di olio. Si era fermato a pensare agli avvenimenti cosi come descritti dal ragioniere, alla concomitante coincidenza che il figlio del ragioniere (noto nullafacente) era scomparso da tre giorni e che la porta del magazzino non sembrava fosse stata scassinata. Raccolte le idee incominciò a cercare la lettera P sulla tastiera, per iniziare il suo rapporto, ma preso dai pensieri, non riusciva a trovarla. La faccia dell’appuntato Cacace apparve sulla porta del piccolo ufficio del militare. Vedendo che il maresciallo non stava scrivendo si avvicino e abbassandosi gli sussurrò all’orecchio: “Maresciallo c’è il professore Mastroeni, vuole denunciare un atto di stalking…” il maresciallo lo guardò e ad alta voce disse “Raccogli la deposizione, ora sono impegnato…” L’appuntato, abbassando ulteriormente la voce aggiunse “dice che l’autore dello stalking è un angelo….” Il maresciallo guardò severamente l’appuntato e lui allargo le braccia in segno di impotenza. “Fallo entrare” esclamò rassegnato il maresciallo. L’appuntato, sollevato dal compito di affrontare una denuncia inverosimile, corse subito in corridoio e disse ad alta voce con cipiglio professionale “Professore il maresciallo la riceve!”.
Apparve sulla porta un signore alto con un vestito grigio ed un soprabito ancor più grigio. Tra le mani un cappello che nell’attesa era stato sgualcito. Gli occhi erano stanchi, circondati da profonde occhiaie, erano comunque vivacissimi e nervosi; spesso, quando il professore voleva sottolineare un concetto si allargavano dandogli un’aria da folle. Due baffi e un pizzo di barba a punta gli circondavano la bocca mentre due folte sopracciglia disegnavano con il pizzo un triangolo quasi diabolico. I capelli non avevano visto il pettine da tempo e circondavano il volto quasi avesse una aureola fiammeggiante ed oscura “Maresciallo, la ringrazio per la sua generosa e professionale disponibilità che fa onore all’Arma che lei si pregia di servire con merito inequivocabile.” “Professore Mastroeni è un piacere rivederla – fece il militare allungando la mano per salutare e immediatamente gli venne in mente il soprannome con cui gli alunni del professore lo chiamavano “u Pruppu”, il polipo…. – mi spieghi cosa è successo”. In realtà non era un piacere. Il professore gli stava profondamente antipatico da quando alcuni genitori delle sue alunne erano venuti a parlargli delle libertà che secondo loro il professore si prendeva con le loro figlie; carezze, allusioni, strusciate tra i banchi che avevano fatto imbestialire i padri e le madri e che erano all’origine del suo soprannome. Lui aveva promesso di prendere provvedimenti, ma il professore, il giorno stesso era andato a trovarlo informandolo “… di un clima di profonda ostilità che lo circondava e che a sentire alcuni suoi amici di provata fede ed onestà, stava sfociando in una chiara situazione diffamatoria volta a screditarlo, minando quella che per lui era una missione: l’insegnamento alle nuove generazione a cui dedicava tutte le sue forze e conoscenze basate su anni di studi e su una moralità integra e cristallina.” Il maresciallo allora gli rispose di non preoccuparsi, perché proprio per difenderlo da simili situazioni infamanti, erano state poste telecamere nascoste con cui raccogliere prove della sua innocenza. Ovviamente le telecamere non c’erano, ma u Pruppu da allora si mantenne sempre a un metro di distanza da ogni sua alunna.
“ Maresciallo, mi rivolgo a lei quale baluardo della giustizia e dell’onestà per un argomento molto delicato di cui qui le accenno con la massima riservatezza” “mi dica pure, Professore” rispose sollecito il maresciallo. Il professore esitò qualche secondo come raccogliendo le idee e lentamente, con qualche esitazione incominciò “Qualche giorno fa, alzandomi al mattino, mentre mi facevo la barba, vidi nello specchio, alle mie spalle un volto. Mi impaurii e mi girai gridando, ma dietro di me non c’era nessuno. Tornai a guardarmi nello specchio e lo rividi. “Chi sei?” gli chiesi “Professore non mi riconosce, sono Stefania, Stefania Russo della quarta B…..” il maresciallo lo fermò “Quella Stefania Russo? Quella che……” “Si maresciallo, quella che avete trovato morta sotto il ponte, la drogata che avevano violentato e ucciso” un muscolo sulla mascella del maresciallo guizzò a rivelare la sua sorpresa e disappunto. Se la ricordava la Russo riversa tra i rifiuti con il volto rivolto verso il fondo del ponte sotto cui avevano buttato il suo corpo acerbo e denutrito come se fosse una bambola rotta o un mobile di cui disfarsi. Ricordava i capelli tagliati corti, i suoi occhi aperti e rassegnati, la bocca con le piccole labbra semichiuse come pronte a baciare, la maglietta bianca sporca e strappata da cui spuntava un piccolo seno con delle strisce di sangue coagulato che contrastavano con il suo candore latteo e la sua forma simile a quello di una bambina. Questo ricordava più di tutti il maresciallo: il senso di profanazione dell’innocenza, con quei pantaloni abbassati, aperti sul davanti e sporchi di qualcosa di umano, le mosche che giravano e il puzzo dell’urina di topi topi che sicuramente non desideravano altro che addentare che piccolo corpo. “Continui, la prego” sollecitò il maresciallo mentre il professore di asciugava la fronte. “Ecco io la guardo e le dico: “Russo, tu sei morta che ci fai qui?” lei sorride e mi risponde “si professore è tanto che sono morta. Mi hanno fatto angelo, vede ho le ali” e si gira a tre quarti e mi fa vedere un paio di ali come quelle che hanno gli angeli del cimitero, lunghe e con tante piume. Io faccio la faccia di quello che non capisce, e lei continua “vede con tutte queste guerre e questi morti siamo diventati troppi in paradiso per cui il Signore ci ha detto di andare sulla terra ad aiutare chi è in bilico tra il bene e il male. Ed io ho deciso di venire da lei perché lei è stato l’ultimo…..”. E da allora maresciallo non mi ha più lasciato un secondo. Se io esco la vedo nelle vetrine sui vetri delle macchine che mi segue, che mi osserva. Appena ecco vedo una bella signora e mi attardo a guardarla ecco che sento la sua voce dirmi “professore, non pensi cose sporche” ma quali cose sporche maresciallo!! Uno ha i pensieri che hanno tutti i maschi normali e lei me li viene a rinfacciare! “Non guardi qua, non guardi la, non pensi questo, non pensi quello, non tocchi, non sfiori…..” insomma maresciallo una cosa terribile! Non vado più neanche su internet dove mi attardavo a vedere qualche bella signora in vestiti succinti; ora ogni volta che ci vado ecco che lei incomincia a dirmi, “non guardi questo che è disumano, non veda quello che le farà pensare male…, sta cadendo in tentazione …. non desiderare la donna di altri … Dovrebbe pregare per vincere il desiderio …..” maresciallo la mia vita è diventata un tormento, un privarsi continuamente di ogni pensiero e voglia….. come fa un uomo normale come me, se deve rinunciare alle sue illusioni, ai suoi sfoghi: è il desiderio che fa nascere la fantasia ed è da questa che si forma l’intelligenza! Senza fantasia e desideri che fanno accettare e cercare il domani, senza il sesso che è l’energia della vita, cosa vivo a fare. Lei mi deve aiutare, deve intimare alla Russo di andarsene! Lei maresciallo è la legge, quella degli uomini, per quella di Dio c’è sempre tempo, ma ora siamo sulla terra ed è la legge degli uomini che comanda, ed è uguale per tutti – fece il professore battendo ritmicamente la mano sulla scrivania del maresciallo – e la legge deve valere anche per gli angeli: deve intimate alla Russo di lasciarmi stare!!!” Soddisfatto della richiesta si appoggiò esausto contro la spalliera della poltrona.
Il maresciallo l’osservava senza mostrare o far trapelare alcuna emozione. Alla fine disse solo un “Capisco!” Guardò attentamente U Pruppu e incominciò a parlare lentamente. “Vorrei chiarirmi prima un’altra cosa: la signorina Russo le ha detto “lei è stato l’ultimo….” Per giustificare la sua presenza presso di lei. Che cosa intendeva esattamente?” E l’osservò facendo lo sguardo cattivo. Il professore si agito sulla sedia diventando di un color rosso intenso “ma non saprei…. a cosa esattamente si riferisse…., sa…, la Russo era una poco di buono…… una drogata…. Una che faceva tutto quello che le si chiedeva per pochi soldi per comprarsi la droga……” il muscolo sulla mascella del maresciallo guizzò nuovamente. “ comprendo…. “ disse alla fine “anche se minorenne era una pervertita…. – aggiunse sottovoce il professore per sottolineare quanto aveva già detto – una già persa, abbandonata a se stessa dalla famiglia” “e non solo da quella…” aggiunse il maresciallo “ infatti” sottolineo il professore con ampi gesti di assenso del capo non capendo l’allusione del maresciallo “non c’è più la moralità dei nostri tempi…. – incominciò il professore ad alta voce – quando i figli dovevano obbedire e la scuola era una fucina di onestà e dedizione ai valori più importanti della nazione.” Il maresciallo lo fermo con un gesto della mano “Professore, io sono un povero maresciallo di un paesino in Sicilia, e non voglio farle perdere tempo. Lei è colpevole o non è colpevole ? quell'affermazione della signorina Russo “…lei è stato l’ultimo….” è dovuta ad una fragranza di reato da parte sua o no?! e se si, di quale reato?” e lo guardò severamente!”
Il professore si passò la mano sulla faccia quasi a volersi strappare una maschera. Si avvicinò di scatto al maresciallo dicendo a voce bassa ma come se gridasse
“Non lo so….non lo so…! Ho avuto dei pensieri su di lei, delle cose …..contorte. Di cui mi vergogno…. ma non ho mai …. ecco, non ho mai!! …” Scosse la testa come per scacciarne i pensieri che dentro di essa turbinavano senza fargli finire il ragionamento. Il maresciallo lo osservò attentamente. “Professore, con tutto il rispetto. Io non le credo….” Il professore si alzò di scatto, guardandolo con aria di sfida, si mise il cappello in testa e si diresse verso la porta a vetri. Arrivato sulla porta, si fermo d’improvviso, come se nel vetro della porta avesse visto qualcosa. Arretrò di qualche passo con lo sguardo fisso sul vetro, poi si girò e si risedette stancamente sulla sedia, con il capo chino, evitando di guardare il maresciallo. “Io…. io penso che la signorina Russo si riferisse ad un episodio avvenuto dopo che lei lasciò la scuola. Ero,… o meglio stavo tornando verso casa dopo una mattinata a scuola. Una mattinata inconcludente come tante. Trovai la Russo nel portone di casa mia, nascosta in un angolo che stava male, forse per mancanza di droga. La tirai su e le chiesi cosa avesse. Lei mi guardò come se non mi vedesse. Disse solo “dammi dei soldi…e fai quello che vuoi”” qui il professore si fermò “E lei?” chiese il militare “Io… la guardai…Era una bella ragazza. tra le altre a scuola spiccava come una rosa in un campo di papaveri…Io allora fui preso da non so cosa…. una frenesia…. un fuoco di lussuria e misi la mano in tasca e le diedi quello che avevo…. poi allungai la mano per toccare …..” il professore si nascose la faccia tra le mani e si mise a piangere. “Quindi consumò….” concluse il maresciallo.. ”No No! No!! – disse di scatto il professore gridando con veemenza e disperazione – quando le toccai il seno lei osservò la mia mano e poi sollevando il volto mi guardò negli occhi e li io vidi il baratro in cui ero caduto. Erano gli occhi di una mia allieva, di una bambina, di una malata… di chi ormai non aveva nessuna difesa e nella vita, nessuna speranza ed io ne approfittavo così…. Fu un lampo che mi aprì la mente e mi fece vedere l’oscura fogna in cui ero caduto. Una mia allieva… io con una mia allieva….. qualcuno che la società mi aveva affidato e che io trattavo in quel modo…. come una prostituta. La presi da un braccio e le dissi di andarsene, la spinsi fuori dal portone, e lei, stringendo i soldi contro il petto corse via. A casa mi continuai a lavare le mani che l’avevano toccata, non per lei ma pensandomi sporco, immondo, vedendomi come un mostro, cercando con il sapone di levarmi tutto lo sporco che avevo nell’anima, chiedendomi come potevo io, primo in ogni ordine di studi, cadere così in basso, scendere al livello animale a quel livello che pensavo di aver scacciato dal mio animo con i filosofi greci ed i poeti latini. Mi ero comportato da animale, forse lo ero sempre stato. A che valeva vivere se tutta la propria vita si era rivelata in quell’unico momento per quella che era: una ipocrita falsità”. Si asciugò gli occhi e poi la bocca “Era come svegliarsi da un sogno in cui ci si vede come un re per scoprirsi come un qualunque pezzente, avido e disgustosamente attaccato alla carne. Pensai a farla finita, ad aprire il gas e ad andarmene. Non l’ho fatto perché tutti avrebbero incominciato a congetturare a ipotizzare a dire cose non vere disegnandomi peggio di quello che sono.” Si soffiò il naso rumorosamente. Il maresciallo si schiarì la gola “ Da allora, l’ha più rivista? “ “No – rispose subito il professore - Da allora , ecco l’avevo sognata nei miei incubi peggiori, ma mi ero limitato a questo. Ora invece me la trovo sempre dietro, che mi perseguita, con il suo silenzio mi giudica e con il suo sorriso mi condanna”
Seguì un lungo silenzio. Il maresciallo si schiarì di nuovo la voce quasi a richiamare il professore che era preso dai suoi pensieri “lei ha una prova che il sedicente angelo la perseguita? una lettera, una foto, una registrazione, un testimone? Qualcuno che l’ha vista e che può testimoniare che la sta perseguitando?” il professore lo guardò stupito “ma no, ho provato a fotografarla ma non è venuto fuori niente…. No, non ho nessun testimone…… ma c’è la mia parola, la parola di un galantuomo!” “Ne è sicuro ? – lo incalzò il maresciallo sorridendo – La presenza della signorina Russo potrebbe dimostrare il contrario. Un pubblico ministero potrebbe affermare che lei potrebbe essere stato l’ultimo a pagarla in cambio di un qualcosa di illecito e anche se non ha perpetrato il reato, il suo gesto era equivalente a volerlo fare.”
Il professore lo guardò con gli occhi dilatati e la bocca aperta. poi d’improvviso incomincio a piangere “Lo so, è questo che ho sempre pensato. Ma perché l’ho fatto, perché l’ho fatto….! le donne sono sempre stata la mia più grande passione, le ho sempre desiderate sognate, cercate, senza trovare quella che poteva spegnere questo mio inesausto desiderio. Le donne per me sono come uno stimolo, una fuga, una droga quasi. Se ne guardo una, se ne tocco una, se ne penso qualcuna, dimentico tutto, tutto! Capisce. L’ironia degli alunni, la loro poca voglia di ascoltarmi, le chiacchiere della gente, il tempo che passa, il mio aver sempre desiderato di avere una unica donna che restasse con me e che non ho mai avuto, forse perché sono incapace di amare veramente o di voler veramente amare. Qualcuna che mettesse fine alla mia arsura carnale al mio continuo desiderio, al mio fuoco distruttore. Ora sento solo la colpa, lo schifo di quello che per me era prima un abituale piacere, una via di sfogo, il soddisfacimento di un bisogno naturale. Sento il mio animo ribollire e mentre questo prima mi faceva sentire vivo, ora provo solo nausea e mi sento un mostro, un essere abominevole con lei, quella piccola figura che mi guarda senza parlare, che mi osserva da ogni specchio, da ogni vetro, dai mobili lucidi, dall’acqua nel bicchiere, dalla tazzina del caffè, che osserva, giudica e anche senza cattiveria, condanna, ripete quel verdetto che mi sono sempre detto ma che ho sempre nascosto. Non ce la faccio più mi sento come castrato….,” “angelicamente castrato – lo corresse il maresciallo sorridendo – comunque, lei dimentica un particolare.” Il professore lo guardò attento “Perché la signorina Russo è venuta proprio da lei?” “Glielo ho già detto: sono stato l’ultimo…., così ha detto!” “L’ultimo in cosa? per i soldi? per non aver abusato di lei? “ il professore lo guardò stupito “ e perché se no… lei ha appena detto….?” Il maresciallo sorrise. “I suoi sensi di colpa non le permettono di capire bene cosa la Russo volesse dire. Vede, ho seguito il caso della signorina Russo e posso confermarle che lei sicuramente non è stato il primo a darle qualcosa in cambio del suo corpo, ma neanche l’ultimo prima della sua morte. Ma sicuramente è stato il primo a comprendere il male che stava facendo e a tirarsi indietro, a lasciarla andare via senza toccarla e con anche i soldi che le aveva dato. Lei è stato l’ultimo a mostrarle una scintilla di umanità, ed è per questo l’ha fatta tornare: la sua umanità. Non l’ umanità di Adamo che pecca e dà la colpa ad Eva, ma quella di Pietro dopo il canto del gallo, che comprende il suo errore e ne prova dolore. La Russo, è stata per lei il gallo che canta tre volte, come per Pietro. Quel professore che pensava solo al corpo delle donne e a farne ogni uso ed abuso era sul bordo dell’abisso ma si può salvare, perché finalmente ha accanto quella donna che stava cercando, quella che potrebbe mettere fine al suo “fuoco distruttore”, come lo ha chiamato lei. Finalmente professore ha quello che ha sempre cercato: l’inizio della pace, il metro con cui misurare e vincere i suoi errori! Lei però la vede come una punitrice, ma se così fosse sarebbe dovuta apparire con le sembianze di un diavolo, invece è un angelo, come magari lei si è sempre immaginato la sua donna perfetta, quella che avrebbe posto fine a questa sua arsura carnale senza fine.” Il professore lo guardo fisso per qualche secondo “Lei dice…? dice che lei non è qui per punirmi…?” Il maresciallo sorrise. “lo avrebbe già fatto. Le sta tendendo una mano, ma lei, che delle donne ha una sola idea, non riesce ad afferrarla. Fa come fanno tanti, la vuole punire di aiutarla, la vuole denunciare” Il professore lo guardò. “Non ci avevo pensato, è vero sono stato uno stolto come dice Orazio: lo stolto è chi pospone l'ora di vivere giustamente: è come lo zotico che aspetta che il fiume si esaurisca prima di attraversarlo ” disse in modo erudito dopo alcuni secondi di considerazione “Io Orazio non lo conosco - fece il maresciallo con umiltà - penso però che se lei fosse stato sposato, lo avrebbe già capito perchè “non fare questo, non fare quello” lo dice o una moglie che vuole portarla a pazzia o una donna che amandola le dà il consiglio migliore. Qualcuno che per amore, solo per amore, da lei pretende una perfezione di cui lei non è consapevole.” Il professore lo guardò stupito “… per amore ?” chiese aggiustandosi i capelli “Certo, per amore, le posso assicurare che di persone da tormentare la signorina Russo ne avrebbe avuto a centinaia. Se è venuta da lei, di sicuro non è per questo motivo. Forse in quel momento di crisi e dolore, il fatto che lei le avesse dato dei soldi in cambio di nulla, è ricordato come una sua prova d’amore, non dell’amore che lei segue su internet o che si immagina di fare con le donne, ma del solo che la signorina Russo può ora considerare, quello di aiutare senza alcuno scopo o beneficio…” Il professore lo guardò serio “una … prova … d’amore….?” “Certo d’amore, cos’altro potrebbe essere, lei spiega ai suoi alunni la poesia antica, avrà certamente spiegato loro che solo chi ama dona in cambio di nulla, solo chi è disposto a vincere la propria natura, i propri difetti per l’altro, è in grado d’amare per sempre. Altrimenti tutto è un semplice libero scambio, un mercanteggiare come quello a cui la Signorina Russo era ormai abituata. Ovviamente lei ha avuto i suoi soliti cattivi pensieri, ma non li ha seguiti, e questo è un altro merito. Penso che la signorina Russo conoscesse bene la sua passione carnale; se si è fatta trovare nel suo portone vuol dire che sapeva che lei avrebbe pagato per il suo corpo. Ma lei non l’ha fatto. È stato il primo e forse l’unico a non farlo, ma sicuramente è stato l’ultimo a mostrarle quella umanità che tutti gli altri dopo di lei le hanno negato. Le ha dato dei soldi e l’ha mandata via, forse un gesto troppo banale. Avrebbe potuto portarla in ospedale o farla ricoverare, ma lei ha i limiti che mi ha detto e il suo limite più grande è il farsi dominare dai suoi desideri: in quel momento era troppo preso a resistervi, troppo preso a cacciare via da lei i diavoli che l’hanno sempre dominato e non poteva fare di più. Lei questo lo ha capito. Avrebbe potuto fare di peggio, ma non l’ha fatto, avrebbe potuto fare di meglio, ma non poteva. Questo per un angelo è stata una prova del fatto che anche se gran parte della sua anima è secondo la sua definizione “marcia”, non lo è fino in fondo: lei è veramente in bilico, lei vorrebbe trovare quella pace che cerca e dimenticare le tempeste dei suoi desideri. Vincendo la sua natura lussuriosa, almeno quella volta, si è guadagnato una possibilità. La Russo è quindi venuta per aiutarla a superare il ”marciume” che lei dice di avere. Ora professore la lascio andare, mi raccomando: non veda la signorina come un angelo vendicatore, come ha fatto lei con la Russo in un momento di difficoltà, le sta porgendo solo una mano ed io le consiglio di accettarla. Ci pensi”. Il professore si alzò e con gli occhi sbarrati strinse la mano al maresciallo. “Ci penso…” disse con un filo di voce girandosi lentamente ed avviandosi verso la porta. L’aprì ma si fermò subito e si mise da parte, quasi a far passare qualcuno prima di lui, poi guardando il maresciallo, uscì. Appena il professore fu uscito il maresciallo restò a guardarle la porta, poi scuotendo la testa tornò alla sua relazione. L’appuntato entrò “Maresciallo, tutto bene con il professore?” “Si, tutto a posto” L’appuntato inarcò le sopracciglia ormai abituato al mutismo del maresciallo, poi fattosi coraggio incominciò a dire “Maresciallo , c’è di là la signorina Conte…. – e con una certa esitazione aggiunse - …. è per un altro angelo….” Il maresciallo alzò gli occhi e vide una anziana signora piccola e con i capelli bianchi che sbirciava dalla fessura della porta rimasta aperta. “Appuntato Cacace – fece il maresciallo a voce alta affinché la signorina Conte sentisse bene – quante volte gliel’ho detto che angeli e demoni non ricadono sotto la giurisdizione della legge italiana: articolo quarto comma due, rigo quinto dei Patti Lateranensi. Non possiamo fare il lavoro della curia e non possiamo dare un dispiacere a sua Santità. Chieda gentilmente alla signorina Conte di andare da Don Nino” L’appuntato osservò il maresciallo non riuscendo a capire di cosa parlasse, realizzò comunque che il tutto voleva dire che poteva mandare via la vecchia con una buona scusa. Quindi si irrigidì sull'attenti e battendo i tacchi disse “Comandi”, ed uscì. Il maresciallo tornò a concentrarsi sulla tastiera del computer per iniziare la relazione sul furto dei salami. Senti qualcosa che lo sfiorò sulla guancia e reagì con uno scarto della testa cercando con la mano destra di cacciare qualche insetto che forse lo aveva toccato. Vide che era un piccolo pezzettino di piuma bianca. L’osservò curioso e si guardò intorno come a cercare qualcuno. La mise di lato sulla scrivania osservandolo con sorpresa, riprese la posizione per iniziare a scrivere, poi si fermò e guardò intorno nella stanza. “Se non gli vai dietro tu, quello prima o poi si ammazza” disse rivolto a qualcuno nella stanza. Poi vide finalmente la lettera P e con decisione, pensando al figlio del ragioniere D’Anna, la schiaccio con cattiveria e soddisfazione.
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07/08/28 - Daddy
Aspettava Carl con impazienza. Lui e i suoi numerosi impegni gli facevano sempre trovare spazio per lei, per sua figlia. La sua visita sporadica, mensile, era quasi una ronda ed era toccato questa volta anche al suo appartamento nel Devil’s. La telepate aveva sistemato la casa per bene, ordinata, profumata e pulita. In forno ancora i brownies al cioccolato, una specialità di Anja. Suo padre era un uomo puntuale, tutto d'un pezzo, un uomo d'affari. Sempre ben vestito, barba perfettamente rasata, profumo costoso. Le ricordava Michael sotto questo punto di vista. Alle 15 spaccate aveva suonato il campanello e lei aveva aperto la porta. Si era tirata a lucido anche lei. Non era cambiato poi molto Carl. Aveva solo i capelli più corti, brizzolati e occhi nocciola che Anja aveva ereditato da lui. Fissò sua figlia con un sorriso ampio con il chiaro intento di abbracciarla poco dopo. La strinse poi si staccarono e lui entrò dentro senza dir nulla, senza degnare i cani di una carezza. Si guardò intorno ma aveva quel modo di fare di chi giudica, di chi disprezza, di chi ritiene non adatto. Quello sguardo Anja lo conosceva bene e lo detestava. Lei sospirò. Carl Lightwood riportò le iridi nocciola sulla figlia, l'unico dettaglio ricco di riguardo per quanto lo riguardava.
“Al Centro ho visto una serie di appartamenti. Sono grandi, luminosi, ariosi. Ho qualche contatto. ��Ti farebbero avere un grosso sconto. O se volessi… potresti averli… Gratis”
Riferendosi principalmente al fatto che avrebbe pagato lui. Lei avrebbe dovuto solo dire di sì e quel terribile appartamento in affitto sarebbe stato solo un ricordo squallido in un periodo di ribellione. Ma non era una ribellione, era solo la voglia di far da sola, finalmente, qualcosa.
“Ne abbiamo già parlato, papà”
“Non capisco perché ti sei puntata con questa storia di abitare in questo quartiere. Con tutto quello che sta succedendo. Alieni. Razzisti. Delinquenti. E Dio sa che altro. Tua madre non dorme la notte. Anche James è preoccupato per te”
“Dobbiamo ancora litigare per questo?”
“Puoi essere indipendente anche in una zona migliore. Cosa vuoi dimostrare?”
Anja si mosse verso la cucina per aprire il forno. Mise il guantone e tirò fuori una teglia quadrata ancora calda. L'aroma dolce dei brownies riempì la stanza subito. Ignoro’ suo padre, sperando di non dover tornare su quella discussione ancora una volta. La realtà è che quella era solo l'introduzione. Carl sarebbe passato dalla casa al lavoro e così fece. Fu come aprire il vado di Pandora.
“E poi cos'è questa storia della palestra? Pensi che lo yoga possa darti da mangiare, Anja?”
Taglió con cura il dolce, formò tanti piccoli quadrati, erano perfetti. Chinó il capo in modo che sua padre non la guardasse in viso. Tremava. Aveva gli occhi lucidi. Era una battaglia continua. Carl l’amava, anche troppo e voleva il meglio per sua figlia ma lo dimostrava in un modo spesso contorto, non semplice da comprendere: andando contro a lei, per farle capire che sbagliava, che doveva mirare in alto. Alle Stelle. Solo che quelle Stelle per Anja erano diverse. Erano di altra natura.
“Hai preso una laurea in Chimica e sei specializzata. Dovresti lavorare alla Thorne. Dovresti avere una brillante carriera già avviata a questo punto. Ah…ora che ci penso… il figlio di Trevol vorrebbe conoscerti, magari organizziamo una cena…”
“Stai scherzando, vero?”
E la discussione poi andrò avanti, per molto. Carl non toccò il dolce ma alzò i toni tra di loro. Presto litigarono. Si aspettava sempre qualcosa da suo padre ma le arrivava sempre in maniera difficile. Essere la principessa di casa aveva portato a questo. Una volta che si sceglieva qualcosa di diverso da ciò che si credeva giusto, subito scattava la lamentela. Era un’accozzaglia di emozioni che non riusciva a trattenere. Le braccia conserte, il labbro inferiore tormentato dai denti, la mascella serrata, lo sguardo lucido e distante. Volava via, non lo guardava. Era stanca.
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Ieri, aspettando il treno a Mestre, c'era questo ragazzo (o forse dovrei dire uomo) che mi ha colpito, dopo un sacco di tempo che resto quasi indifferente a qualsiasi uomo mi passi/stia accanto: aveva gli occhi leggermente sporgenti, di un colore tendente all'azzurro o almeno così sembravano attraverso gli occhiali da vista, dei lineamenti abbastanza decisi, ma senza risultare aspri, anzi li trovavo in perfetta armonia con ogni singolo dettaglio sia riuscita a percepire di lui e, direi, i classici lineamenti che hanno sempre fatto colpo su di me, pensando alle volte in cui sono stata davvero presa o innamorata. Aveva delle mani bellissime, dalle dita lunghissime ma comunque molto maschili, con vene in rilievo, spezzate in alcuni punti da un paio di anelli che lucicavano a contatto coi raggi del sole e una massa di capelli che, pur tagliati abbastanza corti, erano incredibilmente folti e voluminosi ma perfettamente lisci e quel tipo di barba non molto lunga che tanto mi piace. Siamo saliti sul treno in contemporanea e quindi ho notato che era alto quanto me. Ci siamo entrambi fermati in quella specie di corridoio, mentre tutti gli altri, che sono saliti insieme a noi, sono andati nei vagoni coi posti a sedere e da questo ho intuito che forse sarebbe sceso alla mia stessa fermata. Dando le spalle al muro, avevo modo di osservarlo e persino i pantaloni della tuta gli stavano perfettamente addosso e, in generale, mi piaceva il suo stile nel vestire e nel portare sé stesso, incluso lo zaino che aveva sulle spalle. Ogni volta che mi accorgevo che mi stava guardando, abbassavo lo sguardo oppure guardavo fuori dal finestrino oppure mi fingevo impegnata a leggere dei messaggi che avevo già letto molte ore prima. Il mio intuito era giusto e siamo scesi entrambi alla stessa fermata, ma una volta scesi nel tunnel sotto il binario, le nostre vie si sono divise in direzioni proprio opposte e probabilmente non lo vedrò mai più. Credo andasse a prendere il tram
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In the Place of Kindred Souls.
(Inspired by this blessed post by @lyasmind. Written under author permission. Thank you so much!)
Lo vedevo. Eravamo in quel posto senza nome dove si incontrano le anime affini. Un posto dove il tempo non esiste e ciò che accade trova un senso e un'appartenenza. Gli Dèi conoscono quel posto, così uno strano istinto indomabile mi aveva condotto fin là,...ma non pensavo di trovarvi anche lui. Ad aspettarmi.
Con quel suo sguardo gentile, quasi timido.Rimanemmo in silenzio, un silenzio che però diceva tutto, un silenzio dolce, leggero, eppure dolorosamente triste. Ed io ero stanco di soffrire.
In quell'aria ferma e sottile, in quella luce trasparente, delle immagini presero forma. Mi costrinsi a guardarle anche se facevano male. Facevano tremendamente male. Sapevo quanto avessero fatto soffire coloro che, su Midgard, avevano preso a cuore me e la mia storia. Ho udito ogni loro sfogo, ogni loro grido. Ho sentito la loro rabbia, visto le loro lacrime, provato il loro dolore,...maledicendo me stesso per non poterli aiutare.
Quelle immagini facevano male da morire. Erano state un pugno nello stomaco per chiunque le avesse guardate, una brutalità senza senso. Una violenza gratuita.
Avrei voluto mostrarmi, gridare a tutti di non disperarsi: io sono un Dio, vivo e vivrò in eterno, e ciò che avevano visto era solo mera finzione. Eppure quella mera finzione, quel fato tanto violento e immeritato che "loro" mi avevano riservato, aveva sconvolto e indignato tutti quanti. Che ora inneggiavano il mio nome, chiedendo a gran voce il mio ritorno. Senza sapere che, ad ogni modo, io ci sarò per sempre.
Comunque sia, eccolo là. Eccomi là. Thor, il mio amato e odiato fratello adottivo, a piangere e disperarsi sul mio corpo immobile. Il mio sacrificio per lui. Chissà se ne era valsa la pena...
Nascosi ogni mia emozione. Loki Dio dell'Inganno non mostra debolezza e non ostenta i suoi sentimenti. Una lezione imparata quasi da subito...
Inspirai profondamente e drizzai le spalle. Sapevo che lui era dietro di me: aveva visto anche lui quelle immagini tanto inquietanti, ed ora aspettava che fossi io il primo a parlare. Un discorso difficile, duro da affrontare, e soprattutto da accettare.
"E così..." dissi cercando di mantenere la mia voce ferma "...così immagino che sia questo il momento in cui dobbiamo dirci addio, dunque. Lo sapevamo fin dall'inizio che sarebbe finita così, non è vero?"
"Sì..." rispose una voce morbida alle mie spalle "Sì, e..."
Mi voltai a guardarlo, finalmente, e ancora una volta mi ritrovai a stupirmi di quanto lui mi assomigliasse...come se una potente magia, sconosciuta anche per me, avesse creato il mio gemello Terrestre.
"...e all' improvviso ricordo quando ti ho incontrato la prima volta."
Sorrisi. Anche io lo ricordavo. Non potevo non ricordarlo.
Era stato stupefacente incontrarlo, vederlo diventare me. Avevo deciso che mi piaceva, e vedere la mia faccia su qualcun altro risultava tremendamente divertente.
Si chiamava Tom, e all'epoca sembrava un ragazzino caduto dentro i vestiti di un adulto: il viso magro. gli zigomi affilati, gli occhi azzurri come il cielo senza nuvole di Asgard. E una risata che avrei presto imparato a conoscere,...e riconoscere tra mille altre.
Era bravo, dannatamente bravo. All'inizio avevo pensato di regalargli un soffio della mia magia, poi con stupore mi accorsi che non ne aveva bisogno. Perchè in un attimo mi aveva capito più di chiunque altro, e tutta la sua anima diventava la mia quando doveva indossare i miei panni e parlare come me.
Risi piano, avvicinandomi.
"Anche io lo ricordo, amico mio..." l'aria si mosse, tremolò davanti a lui, e quando si fermò io avevo di nuovo l'aspetto di quando tutto ebbe inizio. I capelli corti, lo sguardo arrabbiato e triste, il viso di un adolescente perduto, rotto per sempre.
"Quando ero così..." mormorai "Sembrano passati secoli, non trovi? Quando tutto ebbe inizio e io non ero altro che un pugno di rabbia, risentimento e ossa rotte. " sorrisi amaramente "Sei stato bravo, amico mio...non dimenticherò mai quei giorni."
Lo osservai. Avevo seguito la sua vita in silenzio e con attenzione, mentre intrecciava realtà e finzione. Lui giocava a fare me, mentre io lo osservavo con curiosità e alla fine con affetto. Lo avevo visto diventare popolare, avevo visto masse di gente acclamare il suo nome,...avevo visto il suo viso di eterno ragazzino arrossire di felicità e imbarazzo.
Lo avevo visto divertirsi, ridere, fare cose sciocche e prendersi in giro. Ed essere anche tremendamente serio.
Mi era piaciuto, Tom. Lui parlava di me nei termini giusti, era in grado di rendermi giustizia, mi capiva. Il che non vuol dire che mi giustificava. Capiva le mie emozioni, ed era importante.
Mi mise una mano sulla spalla, in un gesto di sincero affetto.
"E'...è un momento toccante...insomma, voglio dire,...se hai bisogno di una spalla per..."
Lo interruppi. No, Loki non mostra le sue emozioni. Loki deve nascondere. Loki deve andare oltre la sofferenza e la tristezza. Non sono abituato a mostrare la mia parte più emotiva, ma era inutile nasconderlo,...sì, quel momento toccava profondamente anche me. Stavo per perdere il mio migliore amico.
Ma l'istinto prevalse e mi comportai con compostezza, come avevo sempre fatto.
"No,...Loki non condivide le sue lacrime con i Terrestri..."
Per un momento mi vergognai di me stesso, imprecando tra me la freddezza che avevo imparato ad erigere tra me e gli altri. Un simpatico "dono" di mio padre.
Ma Tom si mostrò comprensivo ancora una volta verso di me, confermando ai miei occhi la brava persona che era, e che sarebbe sempre stata: comprensivo, dolce, gentile, educato.
"Okay..." disse semplicemente, sorridendo.
Distolsi per un attimo lo sguardo, mordendomi il labbro. Divento sempre nervoso quando devo dire o fare qualcosa di serio, che coinvolga i sentimenti. Miei o di altri.
"In verità..." iniziai a dire, ma la mia voce si sovrappose alla sua, con la stessa parola. Non mi stupii più del dovuto: eravamo due parti della stessa anima, era ovvio che potevamo sentire l'uno i pensieri dell'altro.
Tom annuì.
"Vai pure prima tu, Loki..."
Rimasi un attimo in silenzio, a cercare le parole adatte. Io, che ero maestro di eloquenza, modellatore di immagini, Linguadargento,...in quel momento sembravo un idiota dalla lingua annodata.
"Io...io ho creato questo...come lo chiami tu? Pudding? E' questo il suo nome su Midgard? Ho fatto questo pudding per te."
Davanti ai suoi occhi stupiti, tra le mie mani comparve un piccolo vasetto dorato. Glielo porsi.
"Il più delle volte non comprendo voi, gente Terrestre, ma...credo che questo possa piacerti. Ho cantato delle benedizioni su di esso. Le migliori"
Lui sembrava felice. Stringeva il vasetto come fosse il tesoro più prezioso al mondo, i suoi occhi azzurri scintillanti di gioia.
"Grazie!" esclamò come un bambino il giorno del suo compleanno.
Non avevo finito. Veniva la parte peggiore, quella della tristezza.
"Nascondi, Loki,...nascondi, non lasciare che sappia..."
No, basta nascondere, basta fingere! Non con Tom...
"Perchè...perchè dopo di me incontrerai altre persone sul tuo cammino, e io voglio...vorrei..."
L'aria brillò intorno a me, e io tornai ad assumere il mio aspetto più recente: i capelli neri lunghi sulle spalle, la tuta di pelle color petrolio, le alte polsiere scure, i paramani bordati di giallo.
Un'ombra di dolore dovette apparire sul mio viso, perchè Tom mi si avvicinò con fare rassicurante.
"E' vero, Loki, ma..."
Mi guardò dritto negli occhi e io per la prima volta in tutto quel tempo mi accorsi di quanto fosse cambiato, cresciuto, maturato.
Non aveva più il volto liscio da ragazzino, non era più magro, quasi spigoloso. Aveva i capelli più lunghi, ora, e folte onde di un biondo rossiccio incorniciavano il viso di un uomo. Portava la barba, occhiali dalla montatura nera e il suo fisico era quello di sempre, solo più definito.
Mentre io e Tom intrecciavamo le nostre vite, e lui raccontava la mia tragedia, io ero rimasto un Dio immortale e lui era divenuto un uomo. Sotto i miei occhi.
Un uomo adulto, riflessivo, calmo,..ma con ancora quel sorriso che incantava il mondo e lo sguardo dolce di una persona buona.
Perso nelle mie considerazioni non mi ero accorto che stava continuando a parlare.
"Quello che dici è vero, ma...ma non ti ringrazierò mai abbastanza per tutti i fantastici, indimenticabili anni che abbiamo trascorso insieme. Così,...ascoltami, Loki, voglio che tu tenga bene a mente queste parole, una volta che ci saremo separati."
Mi mise le sue mani sulle spalle, la sua voce divenne un sussurro morbido, le sue parole una carezza alla mia anima già dolorante. Avevo perso tanto, avevo perso tutto,...ora stavo per perdere anche lui.
"Tu meriti di essere amato, Loki. Meriti di essere amato da tutti. E sì, hai ragione...incontrerò altre persone ma nessuna di queste potrà mai prendere il tuo posto."
un brivido mi corse per la schiena nell'udire quella frase. Era vero? O era piuttosto una frase di circostanza, di quelle che si dicono solo per fare bella figura?
Conoscevo Tom...e non era il tipo che se la cavava con vuote frasi fatte.
Era vero, allora.
Sorrisi lievemente.
Di colpo mi ritrovai a stringere in mano qualcosa di piccolo e freddo. Guardai, e con grande sorpresa capii che stavo tenendo in mano una chiave. Una piccola chiave d'oro: aveva l'impugnatura tonda come una moneta, e sopra era incisa una piccola faccina con un ghigno soddisfatto e sarcastico. Come se avesse appena combinato un tiro mancino e se la stesse spassando. Portava un elmo con lunghe corna ricurve.
"Tienila, è tua." disse Tom "Ogni volta che sentirai la mia mancanza dovrai solo aprire questa porta. Qui."
Puntò l'indice al suo petto e all'improvviso, la magia imprevedibile di quel luogo fuori dal Tempo e dallo Spazio, mi mostrò una luce soffusa,...lì, dove Tom teneva il suo indice,...sul petto. Una luce tenue, soffusa, calda e pulsante. Rassicurante. Di un tenue colore rosa.
Guardarla mi faceva sentire al sicuro come se vedessi un luogo familiare e conosciuto. Un luogo dove ero stato felice.
"Conosci già la strada..."
Il cuore di Tom.
Sì, conoscevo già la strada.
Sapevo che il cuore di Tom era un cuore grande e colmo di affetto,...ed era abbastanza da darne anche a me. Tom mi aveva voluto bene fin dall'inizio, mi aveva preso, mi aveva tenuto stretto, fatto crescere, mi aveva dato quella luce che tutti avevano voluto negarmi. Mi aveva amato e difeso.
Sì, la conoscevo bene, la strada per il cuore di Tom. In quel momento capii che non l'avrei mai perso, che avrei sempre avuto un posto a cui appartenere.
Che io e Tom non ci saremmo mai separati, in realtà, nè ci saremmo mai detti realmente addio.
Perchè due parti della stessa anima non possono separarsi, possono solo guardarsi e sapere che nulla finisce per sempre.
Guardai la faccetta ghignante sulla chiave e risi.
"Non sapevo che anche tu conoscessi la magia tanto bene, Tom..."
La faccina ghignante. Loki, Dio dell'Inganno. Sarcastico e tagliente...arrogante, pieno di fascino e carisma. Bellissimo e splendente. Denigrato e amato alla follia. Sminuito eppure in grado di oscurare tanti eroi sfacciatamente buoni e perfetti. Loki.
Lo riconoscevo, quel ghigno, fatto con pochi, semplici tratti. Efficaci e buffi come il disegno di un bambino. Tom...
"E questo coso sarei io?" esclamai, cercando di apparire costernato.
Lui ridacchiò. Sapeva perfettamente che stavo fingendo, con lui i miei trucchetti non funzionavano. Mai.
Allora risi anche io: con Tom potevo permettermi di lasciarmi andare e sorridere. Inspirai profondamente.
"Grazie, Tom."
Sapeva cosa volevo dire, cosa c'era dentro a quel "grazie". Era un "grazie" per tutto quello che era stato per me, per ciò che aveva detto e ciò che aveva fatto.
Grazie Tom.
Mi ritrovai stretto in un abbraccio pieno di calore, le braccia di Tom mi tenevano come se non volessero più lasciarmi. Come se volesse in qualche modo assorbire un soffio del mio spirito il più a lungo possibile.
L'abbraccio di un fratello.
Dell'unica persona, aldilà di mia madre, che mi aveva capito e voluto. Voluto per davvero.
"No..." lo udii sussurrare piano, la voce rotta dalle lacrime "Grazie a te, Loki."
Allora lo abbracciai anche io,...forte e stretto. Poggiai d'istinto la fronte sulla sua spalla, qualcosa velò la mia vista e mi lasciai andare. Tom mi abbracciò ancora più stretto.
Perchè là, nel Luogo delle Anime Affini, non c'è tempo, non ci sono addii, nè separazioni. Solo anime che si ritrovano e tornano ad appartenersi per sempre.
Perchè Loki appartiene a Tom.
E Tom è parte di me.
"Grazie, Tom."
"No, grazie a te, Loki..."
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Dolce Flirt Campus Life - Trailer e anticipazioni
Lo so, sono in ritardo con questo post, ma non potevo mancare con le mie opinioni che non interessano a nessuno x’D
Visto che ci sono veramente tanti punti da analizzare, partiamo subito dal trailer che sicuramente avrete visto tutte.
Dai primi fotogrammi ritroviamo 6 dei personaggi che ci accompagneranno in questa nuova storia. Da sinistra ritroviamo Alexy, la sostituta di Kim, AMBRA???, Nina (??), un fuckboy con cui spero si possa flirtare, la tumblr girl della situazione, e infine la nostra amata Rosalya, il cui seno è magicamente gonfiato. Tralasciando il fatto che Alexy abbia spudoratamente rubato i vestiti del nostro caro Dake, devo dire che è cresciuto proprio bene e che spero che Armin abbia seguito il suo esempio mlmlml Per quanto riguarda gli altri personaggi c’è davvero poco da dire considerando che ancora non sappiamo nulla di concreto. La sostituta di Kim sembra essere una ragazza perennemente di cattivo umore per qualche motivo, e a giudicare da una piccola anteprima che vi mostrerò più avanti, è possibile che sia la nostra futura compagna di stanza insieme alla tumblr girl. Ambra è sempre presente peggio di una palla al piede, stranamente questa volta non è vestita da prostituta ed è già qualcosa di positivo... Però a giudicare dalla sua espressione, sembra essere la stessa stronza di prima. E chissà che fine avrà fatto la sua carriera da spogliarellista, che abbia abbandonato il suo sogno? :c A seguire, come avevano supposto già in molti, la biondina con le code potrebbe essere la nostra vecchia amica Nina Yandere. A prima vista sembra una persona normale ed equilibrata, quindi deve aver passato questi 4 anni in manicomio lol. Scherzi a parte, credo che questa possibilità sia davvero plausibile, in fondo in questi 4 anni Nina avrebbe potuto benissimo superare la sua fase goth ed entrare al primo anno di università. Continuando, alcune hanno ipotizzato che il fuckboy potesse essere Kentin, ed effettivamente la posizione del corpo e l’espressione da morte cerebrale sembrano combaciare, ma i colori dei capelli e degli occhi sembrano diversi, quindi a meno che non abbiano deciso di cambiarli, potrebbe essere un nuovo personaggio. Si vedrà. La ragazza successiva rispetta tutti i requisiti per essere definita uno stereotipo di tumblr girl alternativa, ma ammetto che mi piace tutto sommato.
Proseguendo troviamo una delle possibili prime illustrazioni con la nostra dolcetta (che indossa una fedora da “nice guy”, la cosa mi preoccupa abbastanza) e Priya. Come vedremo più avanti è stato confermato che Priya farà parte dei nostri flirt, e la cosa mi mette in crisi esistenziale perché non saprò mai chi scegliere. Le due sembrano piuttosto affiatate e potrebbero essere rimaste in contatto dopo tutto questo tempo. Da notare come Priya non abbia più tagliato i capelli dai tempi del liceo lol
Questi dovrebbero essere i nostri nuovi professori, tutti bruttissimi, non saranno mai all’altezza del mio amato Faraize o di Boris. Almeno sembrano essere persone mentalmente sane, una preoccupazione in meno. Ma questi non sono i professori che ci interessano di certo.
Noi preferiamo questo qui, non quei vecchiacci incapaci di vestirsi decentemente. Guardate quanta concentrazione di ormoni attorno a lui, ogni volta che entra in una stanza si sentono le ovaie delle studentesse che scoppiano peggio di una bomba atomica.
Ma andiamo avanti e vediamo subito chi saranno i nostri primi possibili flirt.
Partiamo dall’esaminare lo sfondo e il grembiule di questa immagine. Da quanto si vedrà più avanti nel trailer, sembra che la nostra dolcetta troverà lavoro al “Cosy bear cafe” e che il primo flirt sarà un suo collega di lavoro dal nome molto originale. Giuro, non esiste un solo coreano su internet che non si chiami Hyun... Andiamo, un po’ di fantasia, ci sono trecentomila nomi disponibili, cercateli su internet. Temo a conoscere il suo cognome. Ma non importa, io lo perdono perché è stato amore a prima vista, mi piace un sacco. Sarà che si è risvegliata quella parte di me ossessionata dai kdrama, what can I do? Dalla frase che accompagna il suo nome, deve essere un personaggio piuttosto dolce, calmo e gentile. Mi sta bene, basta che non sia un poeta maledito anche lui. Per ora devo dire che è il ragazzo che mi ispira di più, ma prima di decidere voglio vedere la sua testa senza cappellino, per quanto ne sappiamo potrebbe nascondere qualunque cosa là sopra x’’D
Qui scopriamo che il nome del professore che sembra uscito da un episodio di Paso Adelante è Rayan, un uomo che “dovrebbe rappresentare l’autorità, ma se proprio deve scegliere, preferisce buttarsi sulla patata”. Il professore con cui flirtare è un cliché che esiste dai tempi di Cristina D’avena, ma se gestito bene è molto interessante, e personalmente mi piace... Però l’aspetto di questo nuovo personaggio non mi fa impazzire, sarà la carnagione da “cadavere dopo tre giorni”, o la barba, non so esattamente cosa non vada. Ma nel dubbio, io flirterei pure con lui perché l’harem è sempre importante.
Qui troviamo Priya che è bellissima li mortacci sua, perché la nostra dolcetta non è come lei? Nulla da dire su di lei, è un flirt, le piace divertirsi e niente. Flirtiamo pure con lei e facciamoli ingelosire tutti perché siamo delle persone orribili hahahahah
Arriviamo finalmente alla parte più discussa di questo trailer: Castiel e la sua faccia da reduce di incidente stradale. Perdonatemi, ma è veramente brutto, non so come abbiano fatto a non accorgersene. Ovviamente è pieno di tatuaggi e sembra uno dei Green Day, ma non mi aspettavo diversamente. Dalla frase che lo accompagna, si direbbe che la relazione con la dolcetta sia finita, che si siano lasciati o abbiano preso una pausa non si sa, ma sembra che la decisione sia comunque partita dalla nostra dolcetta. La chiave di tutto sta nei 4 anni che sono passati dalla fine del liceo, ma ne parlerò dopo. Ad ogni modo, sembra che anche Castiel continui ad essere un flirt, quindi non preoccupatevi ragazze. Per quanto riguarda tutti gli altri ragazzi, sarebbe assurdo non includerli e mettere solamente Castiel, per cui come dicevano in molte, la scelta di inserire solo Castiel nel trailer potrebbe essere dovuta al fatto che comunque è il più popolare ed in un certo senso rappresenta un po’ tutti i flirt passati.
Prima di concludere il trailer riusciamo a vedere un’altra possibile illustrazione dei primi episodi che mi fa venire il cringe... Poteva mancare la situazione in cui la protagonista inciampa come una decerebrata sulla buccia di banana, e il ragazzo salva prima che si spacchi la faccia... Tutto questo mantenendo il vassoio con l’ordinazione in perfetto equilibrio perché lui è un figo. Anche se da come sono messi quei due sembra che glielo abbia improvvisamente buttato in culo hahahahahahah Scusatemi x’’D
Qui si conclude il trailer, ma le informazioni non finiscono qui. Ecco alcune informazioni sui personaggi reperibili sull’anteprima della beta del sito americano, vi lascio le traduzioni qui sotto.
“Hyun lavora in città come cameriere al Cosy Bear Café. Nonostante possa inizialmente sembrare un “bravo ragazzo”, ciò non significa che non gli piaccia far festa. E’ un ragazzo gentile che potrebbe diventare un ottimo sostegno dinanzi ai problemi quotidiani.”
“Rayan Zaidi è un professore di storia dell’arte moderna e contemporanea dell’univerità Anteros. Il suo metodo di insegnamento è sì intrigante, ma anche destabilizzante per gli studenti. Lontano dai banchi è abbastanza amichevole, nonostante cerchi di nascondere la sua natura torturata.”
“Castiel è il leader dei Crowstorm, un famoso gruppo rock. Fedele al se stesso del liceo, è sfrontato, piuttosto difficile da avvicinare e possiede un senso dell’umorismo sconcertante. E’ molto impegnato con le sue tournée, ma ogni tanto viene all’università Anteros per seguire gli studi di musicologia.”
“La personalità della tua vecchia amica del liceo è ancora più forte di prima. Brillante e determinata, Priya frequenta la facoltà di Giurisprudenza. E’ entusiasta di ritrovarti e ci sarà sempre per aiutarti. Potrebbe persino diventare più che una semplice amica...”
Qui sopra invece ecco la sagoma completa che avrà il nostro avatar, con due mani disegnate con molto impegno e due cosce che finalmente hanno preso un po’ di forma. Sarà possibile scegliere sempre tra i capelli lunghi che abbiamo già visto, i corti con boccoli che sarebbero quelli dello screen qui sopra, e quelli corti lisci. Certo che mettendo a confronto la nostra dolcetta con Priya, sembra una ragazzina, altro che donna adulta ._.
Ad ogni modo, oltre queste piccole informazioni sui personaggi, è disponibile una veloce descrizione della trama dei primi due episodi:
Da quanto si capisce dal primo episodio, siamo state “assenti” per 4 anni... Ma che cavolo avremo combinato nel frattempo? Avremo studiato fuori? Ci saremo prese una vacanza? Dalla descrizione sento anche delle reminiscenze del primissimo episodio di Dolce Flirt e della nostra iscrizione... Bei tempi :’) Come vedete, l’immagine della tumblr girl e della versione antipatica di Kim sembrano anticipare che una delle due diventerà la nostra compagna di stanza, forse la decisione dipenderà dalle nostre scelte, o magari sarà totalmente random, questo non possiamo saperlo.
In questo episodio incontreremo anche la proprietà di questo famoso Café, “Clemence”, probabilmente la signora di mezza età nell’anteprima che crede di essere più attraente indossando magliette con la fantasia da ghepardo pls. A quanto pare dovremo cercare di fare una buona impressione su di lei, e sono pronta a scommettere che non andrà proprio benissimo e che sbloccheremo l’illustrazione con Hyun che abbiamo visto nel trailer. A quanto pare in questa palestra incontreremo qualcuno che si allena... Che sia Kentin o Priya? Oppure un nuovo personaggio?
E questo per ora è tutto quello che è possibile reperire riguardo a Dolce Flirt all’università. Da quanto si è visto finora, è difficile capire se saremo ancora fidanzate con i nostri vecchi boy o meno, e dubito che riusciremo a capirlo immediatamente, possiamo sperare solo in qualche riferimento casuale. Tuttavia io continuo ad essere sempre più convinta che la relazione col nostro boy sia finita dopo tutti questi anni, magari riusciremo a incontrare nuovamente i nostri ex e ci verrà data la scelta di provare a rimetterci con loro. Personalmente dopo aver visto Hyun non c’ho più capito nulla, so solo che la mia Dolcetta ci proverà con tutti i maschi che le si presenteranno davanti perché l’harem è d’obbligo.
Un’altra domanda che mi pongo è che fine abbia fatto Lysandro, non tanto perché è il ragazzo della mia dolcetta, ma perché essendo stato in gruppo con Castiel, potrebbe far parte dei Crowstorm insieme a lui? Oppure le loro strade si sono separate?
Sono sicura di aver dimenticato la metà delle considerazioni che avevo intenzione di fare, per cui se vi viene in mente qualcos’altro, scrivetemelo pure. Sono ben accette anche le vostre teorie, vi aspetto con impazienza nel mio ask.
Per ora passo e chiudo, e vi do appuntamento alla prossima novità sul gioco.
-Dorothy
#le teorie di dotty#dolce flirt#dolce flirt all'università#spoiler#dolce flirt castiel#dolce flirt priya#anteros academy#beemoov
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CASTING ATTORE PER IMPORTANTE FILM
CASTING ATTORE PER IMPORTANTE FILM
Per la realizzazione di un importante film, OZ film effettua casting finalizzato alla selezione di attori Nello specifico si cerca : Uomo, 30/40 anni, capelli castani e corti, barba lunga, molto lunga. Disponibile per riprese in Puglia zona Fasano e dintorni, dal 23 Agosto a fine Settembre MODALITA’ DI PARTECIPAZIONE Vi preghiamo di candidarvi solo ed esclusivamente se avete le…
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Il mio bar
Lo guardo dal bancone del bar mentre finisco di bere le ultime gocce di rum rum . I suoi passi suonano decisi nel silenzio della sala mentre finisce di riordinare. Si è fatto crescere un velo di barba nera, perfetta con la sua carnagione olivastra, capelli corti ordinati, neri, fianchi stretti e decisi. Lo seguo con lo sguardo, senza perdermi nemmeno un movimento. Mentre si allunga sui tavoli per mettere le tovaglie non posso non soffermarmi sui pettorali che affiorano dalla stoffa leggera della camicia bianca.
Quando i suoi occhi neri incrociano i miei, sento un brivido lungo la schiena, come una scarica di adrenalina. Lo vorrei ora dentro di me, subito, vorrei sentire la sua pelle sulla mia . . Sento le guance arrossire, improvvisamente la temperatura sale superando la soglia di sicurezza.
Dopo qualche sguardo in confusione contraccambio con un sorriso, abbasso lo sguardo sul fondo del bicchiere, assaporando strane alcoliche fantasie della mente. Mi accorgo che anche lui è impegnato a fissarmi deciso, mi sento così eccitata, senza vergogna accavallo le gambe facendo intravedere le mutandine bianche, fumo l ultima sigaretta sa di uomo. Mi alzo vado verso i bagni, li supero, giro in un corridoio, cammino con passi legeri, sento qualcuno dietro di me.... vedo la sua camicia. Sicura e con passo sensuale continuo. Mi fermo davanti ad una porta c'è scritto "magazzino", entro sorridendo, lasciando socchiusa la porta, la stanza è stretta e mi siedo sulla cassa di bottiglie, ferma. Sento I suoi passi.... il cuore si ferma il respiro aumenta il suo profumo è lì, mi prende per i fianchi da dietro, sento le sue labbra calde sul mio collo. Chiudo gli occhi assaporando i brividi che corrono sulla mia pelle, con il solo pensiero di averlo dietro me, trasformando i miei capezzoli in due chiodi che si vedono sotto il tessuto della maglietta. Il suo sesso è già duro, vorrei quasi girarmi per stringerlo con le mani, ma rimango ferma, come una preda in trappola. Mi sbottono la gonna, la tiro, lui gioca con i mie capezzoli, mi toglie la maglietta tutto è così veloce, infila le dita nel elastico delle mutandine tirandole giù deciso, poi prosegue in una piacevole ispezione. Dopo un po' sento la sua barba grattare leggermente contro il mio inguine e la sua lingua correre dentro, respiro forte con la sua testa tra le mani, chiudo gli occhi godendo in silenzio ma un gemito di piacere scappa, mi tappa la bocca con la mano. Mi piace essere presa, trattenuta. Mi fa girare e io lo faccio sapendo, ora le sua barba sono sul mio collo e lui è li dentro di me, con delicatezza lentamente da prima per poi essere più deciso fino a quando.... non ricordo più niente. Soddisfatti ci rivestiamo sorridiamo compiaciuti, mi prende per mano rivestendomi io non vorrei, mi sussurra ad un orecchio che deve tornare al bancone. Mi offre un altro bicchiere di rum guardandomi negli occhi, offrendomi una sigaretta, mi dice che ho un sapore buono più del rum e che se voglio, dopo la chiusura.....
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EDS4
18) Come l'acqua nel pozzo
Camionette rombanti attraversano in lungo e in largo la capitale quando il capo nazista ci ordina di occuparci della repressione di moti che incorrevano nella città. Era il 15 settembre 43, in Italia si respirava un’aria insana e il territorio appariva devastato e con esso anche le persone. Veleggiava un’insolita rabbia nel popolo, tra chi si sottometteva ai tedeschi e chi appoggiava la rivolta ed era tutto un assurdo circo di violenza. Eravamo alloggiati in un vero e proprio casale, in cui quasi volentieri eravamo stati
“ospitati” dal proprietario, in cambio di benevolenza. La loro famiglia era composta di quattro figli oltre a lui, Giovanni, sua moglie Sara. Il più piccolo Tommy giocava a rincorrere le galline, mentre Renato, il terzo, già iniziava ad aiutare nei campi, la prima e la seconda erano ragazze, Teresa avrà avuto forse tredici anni. Con i suoi riccioli biondi e l’aria sbarazzina è purtroppo oggetto di troppe attenzioni da parte dei miei colleghi. Lucia, la maggiore, anni 17 è un vero e proprio uomo nel lavorare. Poco attenta nel curarsi, capelli corti castani ,sguardo che non lascia liberi a interpretazioni e aria poco attraente , sembrano essere quasi una corazza ,almeno ora , almeno per ora. Sono buttato su una branda, la cena di zuppa e pane, riscalda ma non riempie e ti lascia libero di pianificare quanto avverrà di lì a poco. Mi guardo allo specchio, ah caro Sten ti ci vorrebbe una pausa vera. La barba incolta e i fini capelli biondi e un po’ arruffati donavano un’aria trasandata, nonostante gli occhi azzurri presi dalla mamma, non gli impedissero di apparire attraente lo stesso. Domani, ci recheremo alla ricerca di gruppo di noti partigiani rei di partecipare attivamente alla resistenza nonché di aver attentato un nostro gruppo in servizio.
Domani, nel mettere mano a randelli o armi avrò di nuovo la responsabilità di condannare o salvare, o loro o noi . Incido con una pietra una parola sul muro, vergebung (PERDONO) e tento di dormire ripetendola anche nella mente. Ci svegliamo presto, il tempo di armarci e seguire l’operazione pre agguato e già sono le nove, attendiamo un gruppo di sovversivi da aggiungere ad altri gruppi per decisioni future del nostro campo. Ci dirigiamo verso il centro, con fare circospetto e stranamente silenziosi. Urlare ci dava spesso l’idea di esistere più che di essere, esistere poiché anime ormai perse che si richiamano come cani in attesa dell’inevitabile destino. Essere, per me era tutt’altra cosa. Essere era liberarsi delle costrizioni, degli ordini e della lordura di cui quasi quotidianamente ci ricoprivamo.
Eravamo su una via stretta, stranamente silenziosa per l’ora e per l’insieme di attività che ci sarebbero dovute essere. Nulla, non c’era nulla e nessuno. Iniziamo a bussare ai portoni per controllare negozio per negozio o casa per casa. Io ero di guardia all’esterno di un palazzo, fissavo un sampietrino e nella mente vagava l’idea di come un pezzo di strada, potesse avere un nome, nel 1700 pare che un tizio decise di lastricare con questi piazza San Pietro. Mentre vagavo con la mente in attesa dei miei, vedo spuntare una donna, paltò grigio scuro, abito grigio con un rotolo di carte in mano. Si muove circospetta guardando alla sua destra e sinistra, ma non si cura di guardare indietro. Inizio a seguirla, mi stacco dal gruppo facendo cenno a Herbert che vado a pisciare. Lei svolta l’angolo, scarpe basse marroni, mora, capelli mossi ,corpo sinuoso, seguirla a distanza non era affatto spiacevole non fosse stata una probabile sovversiva. Entra in uno scantinato, la attendo fuori, dopo circa 20 min esce senza carte, peccato che qualcuno prima di lei avesse già svelato il contenuto, era in atto l’ennesima protesta che si sarebbe svolta l’indomani. C’era ancora qualcuno armato di tanto coraggio che tentava di sfidarci, sarebbe finito prigioniero, o sarebbe stato graziato temporaneamente o sarebbe morto. Attendo che si allontani ancora un paio d’isolati dal punto in cui ormai dovevamo essere arrivati con il gruppo. Non lascio indizi ai miei, la seguo e basta, l’avrei seguita per milioni di anni. La seguo e vado in preda alla follia forse o a un impeto ostinato e sconosciuto. A un certo punto fa per tornare indietro, si volta e mi vede. Il gelo nei suoi occhi la diceva lunga su cosa si aspettasse. La afferro prima che potesse urlare, parlare o svenire, e la pianto sul muro. Mano sulla bocca, sussurro .. chi sei. Il suo volto terrorizzato, il corpo teso e tremante e questi occhi verdi come il mare in cui mi perdevo. Chi sei! Chiedo con convinzione.
Ebbba, dice, mentre mi accorgo di avere ancora la mano sulle sue labbra. Lascio la presa intimandole di non gridare. Per fortuna non lo fa.
Elena, dice, portando lo sguardo verso le scarpe, e iniziando a piangere.
Avrà avuto circa 25 anni. Avevo 25 anni di donna, incantevole e tremante davanti agli occhi, e avevo la consapevolezza che fosse una partigiana. Non potevo. Non poteva essere.
-Cosa facevi lì dentro ?! Le chiedo, cercando di darmi un tono, nella speranza che almeno mentisse per non comunicarmi la triste realtà. Lo fece.
-Niente! Lo giur! Ero andata a trovare degli amici!
Un moto di esaltazione mi avvolse, volevo credere a quella bugia, quella fantastica, meravigliosa, assurda bugia pronunciata dalla donna più bella che avessi mai visto. E da quel giorno purtroppo divenne anche la più triste .
II) Elena
Avevo quasi dimenticato di dover andare dal gruppo quel giorno, mia madre mi subissava di domande, in preda al panico mi proibì di uscire, o almeno tentò. Unica figlia di una famiglia di tre, di cui due nell’esercito. Mio padre è stato ucciso qualche mese fa ed io non riesco a mandarla giù. La devono pagare tutti, se ne devono andare, loro i loro comandi, le imposizioni, le regole e la voglia di prendere tutto ciò che vogliono. Donne comprese. Vittime della circostanza. Patriote quasi, con figli di padri sconosciuti ed eternamente tristi. Non voglio finire così. Disse! Mi unirò ai partigiani come il mio amico Mario. Lui si che ha ragione. È un bravo ragazzo, un caro amico, so di piacergli ma non riesco a concedermi. Sarebbe un buon marito e un buon padre. Un bravo ragazzo..Ahh Credo che resterò sola. Magari saranno di moda le donne senza marito, in un’epoca futura.
Pensavo a questo mentre caricavo di sensi di colpa mia madre, allo scopo di farmi uscire, ero in ritardo. Alla fine cedette, indossai il paltò e uscii. Presi di nascosto le stampe. Il magazzino non era lontano da casa mia e non mi fu difficile raggiungerlo. Mario mi attendeva con impazienza e mi abbracciò quando mi vide. La mia rigidità in questi casi la diceva lunga, ma non quanto l’espressione stralunata.
-Ma che hai ?
-Ma come non lo sai? Disse Mario agitato
-No cosa ?
-Siamo braccati!Elena dobbiamo scappare!Nascondere tutto e tornare a casa !
Iniziai a rimpiangere di non essere rimasta in balia delle prediche di mia madre.
-Ok .. allora torno a casa e ci vediamo domani ?
-Se ci sarà un domani Elena! Disse Mario in preda ad un attacco di nervi.
Uscii, la voglia di correre era tanta ma avrei dato nell’occhio. Così mi voltai con circospezione e .. lo vidi. Era lì nella sua divisa con quell’aria seria che ogni ufficiale tedesco era capace di avere. Mi raggelai e in un attimo fui braccata. Il suo volto vicino al mio e poi una domanda, chi sei? Chiese. Immaginai il peggio. Ma non sembrava nonostante tutto volere farmi del male. O forse era solo una speranza. Il suo volto era talmente vicino da sentire il suo alito su di me. Inventai qualcosa e sembrò crederci. Mi lasciò libera di andare ma volle accompagnarmi. Non so perché ma per qualche ragione il solo camminargli accanto,( in verità ero più avanti), come una prigioniera, era per me quasi di conforto, provavo un senso di salvezza, uno strano sentirsi a casa. Mi salutò con un cenno del volto. Io lo stesso, e salii in casa di corsa. Non volli uscire per giorni e non seppi nulla dei miei compagni fino a che un conoscente non mi avvisò dell’irreparabile. Mario era stato catturato.
Sarebbe stato torturato, lo avrebbero fatto parlare, avrebbe fatto il mio nome e sarei morta punto, non avevo scampo ero una donna morta.
III) Sten
Una volta lasciata a casa Elena, ero
Libero di rientrare al mio posto. Herbert mi guardò con aria strana e poi fece un sorrisetto. Forse pensò mi fossi intrattenuto con qualcuna per scaricare il peso di quelle giornate. Proseguimmo avanti, oltre le altre case e oltre quella di Elena per fermarci davanti al magazzino di prima. Entrammo armi spiegate urlando, e trovammo un gruppo esiguo di ragazzi che tentavano di bruciare, quanto era all’interno. Li catturammo tutti per portarli al campo. Quale fosse il loro destino mi era ignoto ma non avevo buoni presentimenti.
Qualche settimana dopo mi presentai da solo a casa di Elena, con la scusa di prendere delle informazioni, la convinsi a uscire. Era impaurita, triste, quasi depressa.
Elena cosa hai ?
Me ne uscii così di punto in bianco come un amico. E mi sorpresi. Colsi anche la sua sorpresa. Perché si appresto’ a dirmi che si sarebbe opposta con tutte le sue forze a qualsiasi forma di soprusi da parte mia, che mi avrebbe picchiato che avrebbe fatto qualcosa, ma io non l'ascoltai , la presi di nuovo tra le braccia , la poggiai al muro e la baciai nel vicolo semi deserto vicino casa sua. Lei mi respinse per qualche secondo poi iniziò a ricambiare. Le mie mani sotto la sua gonna e le sue più morigerate solo sul mio viso. Volevo prenderla ma mi fermai. Non avrebbe giocato a mio favore. Senza contare che probabilmente mi avrebbero ucciso se mi avessero visto e avessero saputo che me la facevo con una partigiana. La rispedii a casa controllandola da lontano. Non si voltò. “ allora mi mente ‘“ pensai e mi ripromisi di punirla la volta successiva. Con quest’idea crudele e un sorriso mi allontanai tornando all’alloggio provvisorio. Trovai Lucia alle prese con il pranzo, impastava qualcosa, ne approfittai per andare a parlare con Herbert. L’indomani altri ordini e altri controlli. Teresa più lontano s’intratteneva con uno dei nostri che si apprestava ad allungare le mani, a quanto sembrava. Ehi Gustav vieni a sentire! La ragazza scappò via e il nostro, stizzito si lamentò.
IV) Elena
Non riuscivo a non pensare a lui e al guaio in cui mi ero cacciata. Oltre a mentire adesso mi costringevo a dargli tutto quello che voleva. No mentivo a me stessa. Mi piaceva. Lo volevo, mi entrava nella testa, nel cuore e nelle ossa e lo volevo. Ma non potevo. Non dovevo e non sapevo come uscirne. Forse lo fece lui perché spari’ ed io non né seppi nulla.
Dopo Mario era il secondo che spariva e iniziai a sentirmi inutile.
Mario era stato portato come prigioniero fuori Roma. Non sapevo dove, ne’perché, l’unica cosa certa era che non aveva fatto il mio nome. Perché a parte l’ufficiale tedesco che mirava alle mie mutandine. Nessuno era venuto a reclamarmi.
Un pomeriggio di fine dicembre lo rividi, sotto casa mia ad aspettarmi. Mia madre aveva capito e piangeva. Con o senza di lui il mio destino era segnato. O puttana o prigioniera. O forse tutte e due. Gli andai incontro vestita più che altro del mio profumo. Non lo mettevo mai ed era una delle poche cose che possedevo. Per le grandi occasioni.
-Ti porto a fare un giro vuoi ?
Mi fece salire su una motocicletta ma bendata.
Scese una qualche discesa. Sulla fine, mi prese in braccio e mi fece cadere su un pagliericcio.
-Dove sono? Chiesi, ma lui mi disse dolcemente di tacere. Sentii le sue labbra sulle mie e feci per toccarlo ma con la mano mi fermò.
-Oggi sarai mia. Disse, con un tono che non avevo mai sentito. In preda all’eccitazione e al terrore rimasi immobile del tutto. Lo sentii rimuovere le calze e l’intimo in totale silenzio ed ero già in preda agli spasmi. Non avevo mai sentito le mani di un uomo addosso così. I brividi mi percorsero tutto il corpo e la mia pelle li evidenziò di certo. Con la mano salì tra le gambe emisi un leggero strillo, tentando di serrarle.
- Zitta! Sussurro ‘abbassandomi il vestito sotto il seno e baciandolo. Ero in preda a qualche attacco perché mi sentivo avvampare e col fiato corto. Poco dopo smise di giocare con le dita e fu tra le mie gambe. Un dolore secco anticipò il graduale piacere successivo. Iniziai a gemere mentre lui era quasi in silenzio preso dalla sua eccitazione. Le sue spinte a ritmo crescente fecero di me un fuoco di passione e mi sentii sciogliere all’improvviso. Si ritrasse continuando tra i miei seni e mi cosparse il volto della sua lussuria. A quel punto mi lascio ‘ mi tolse anche le bende con le quali mi ripulì. Sorrideva mentre io ero una via di mezzo tra l’umiliato, l’innamorato e lo sconcertato. Eravamo in silenzio dentro ad un capannone, dall’apertura si vedeva solo un vecchio pozzo. Rimanemmo così per qualche minuto poi lui parlo ‘.
V) Sten
-Non possiamo, questo lo sai. Le dissi, mentre il rossore sulle guance cominciava a svanire e il cielo fuori si faceva plumbeo.
-Sì. Riuscì solo a pronunciare questo mentre si stringeva nel cappotto e fissava il vuoto. Era visibilmente scossa, la volevo così. Volevo che mi amasse ma anche che mi temesse perché fosse più facile dimenticarmi.
Le tesi la mano
-Dai andiamo, sta per piovere.
Montammo sulla motocicletta e la riaccompagnai. I pochi passanti ci guardavano con aria preoccupata. Poi la videro scendere. Mi affrettai ad andar via, perché le si creò intorno, un capannello di persone. Non seppi mai cosa s’inventò, non volle mai parlarne. Le volte successive furono più caute e non ci furono occasioni alla luce del sole per molti mesi, eravamo stanchi, ma estremamente legati.
Il nostro legame si faceva sempre più solido e per quanto volessimo dimostrarci tutto l’opposto, ci amavamo e lo lèggevano negli sguardi, in quel modo di mangiarci le labbra in un bacio, prima del sesso che ci congiungeva in quel legame vivo e carnale che non aveva nome. Una sera ce ne stavamo nudi, coperti solo dai nostri soprabiti, con la porta del capannone spalancata a guardare fuori. Lei si alzò completamente nuda e si diresse verso il pozzo.
-Che fai? La seguii sorridendo.
-È strano Sten, non ci avevo mai pensato,
-A cosa ?
-A questo luogo, triste e desolato che ogni tanto accendiamo di vita, alla nostra relazione impossibile, alla gente che mi guarda come se fossi la tua prostituta e alla delusione di mia madre e i miei fratelli nell’avere una figlia “ contaminata”.Alla pena della gente che incontro, e a questo pozzo fermo, solo e pieno del peso della sua acqua stagnante. Un po’ come noi soli, fermi e pieni di questo sentimento ambiguo di amore e pentimento.
Seppi solo abbracciarla, pur volendo, non commentai, erano tempi duri che purtroppo non potevo gestire ne’prevedere.
Vi) (conclusione )
La presenza a Roma si faceva sempre più difficile e il destino volle che non la vedessi più da quella sera, dovetti partire di gran fretta perché non potevamo restare. Nel giugno, seppi poi che eravamo stati sconfitti. Non seppi nulla di lei, e non la cercai. Sapevo che era viva e questo bastava, forse un giorno le avrei detto tutto, forse un giorno avrei potuto…
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