#brocche
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Stress, stress, vanwege mijn 'the UOVO Project II' en het noodweer in Noord-Italië
"Spanning! Gaat 't allemaal lukken? Heeft dat voorbije noodweer in Noord-Italië toch nog steeds invloed op mijn keramisch avontuur 'the UOVO Project' in Gubbio?" Terwijl je dit leest, zit Toos van Holstein nog steeds in spanning. Lees en kijk maar waarom.
Vorig jaar mei. Mijn ‘the UOVO Project’ in Gubbio. Zie de video. Drie maanden geleden. Toen er in Italië nog geen sprake was van noodweer. “Daniele”, zo vroeg ik aan Daniele Minelli, de man met de gouden kleihandjes, “kun jij voor mij begin mei weer een stel van die UOVO-vormen draaien? Net als vorig jaar?”. Nou, dat was geen probleem. Voor alle duidelijkheid: uovo is Italiaans voor ei. in het…
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- Immaginiamo che io venga da te e ti dica ciao. Tu rispondi?
-- Ciao.
- Esatto. E immaginiamo che me ne esco con una frase stupida che neanche un primate userebbe.
-- Tipo?
- Tipo che ne so, tipo “Fa freschetto eh?”
-- Ma siamo a luglio!!
- Infatti, per questo neanche un primate la userebbe.
-- Non fa una piega.
- Supponiamo che ti offra da bere, ma una cosa leggera sennò pensi male.
-- Penso male?
- Tipo che voglio farti ubriacare.
-- Potrei pensarlo.
- Una coca-cola dunque.
-- Con ghiaccio.
- Se volessimo esagerare, sì.
-- E fetta di limone, toh!
- Un carnevale di Rio proprio.
-- E poi? Che supponiamo?
- Supponiamo che parliamo tutta la sera e scopri che sono simpatico.
-- Sì...
- E che forse saresti disposta a uscire insieme.
-- Sì...
- Supponiamo che ti porto in un piccolo locale in un vicoletto di Trastevere, con le sedie un po’ scricchiolanti e le porzioni di carbonara abbondanti.
-- E il vino in brocche scheggiate.
- Con le piante rampicanti che salgono fino agli appartamenti sopra di noi.
-- Si.
- Supponiamo che poi facciamo una passeggiata e ci ritroviamo al ponte, davanti tipo a Castel Sant'Angelo con qualche tizio che suona “Wish you were here” seduto per terra, l'aria un po’ umida appiccicosa perchè mi pare di aver capito che non può fare freschetto giusto?
-- Giusto!
- E stiamo lì, insomma s'è mangiato bene, s'è riso, sei bellissima, la grattachecca di Sora Lella ci ha ghiacciato il cervello e ci sono pure i grilli che fanno un live tipo come al Circo Massimo
-- Si...
- Eh, metti caso che ti bacio.
-- Mh??
- Quante probabilità ci sono che io poi abbia il profumo dei tuoi capelli riccissimi addosso?
-- Beh, non saprei... Qualcuna...
- E supponiamo che nei giorni seguenti io ti chiamo, tu mi chiami, ci chiamiamo insomma, e scopri che oh, in fondo capisci che mi piace farti ridere perché quel sorriso è tipo la droga più pericolosa mai scoperta dagli scienziati premi Nobel.
-- Si...
- Quante probabilità ci sono che da lì in poi tu cominci a innamorarti di me?
-- Più di qualcuna direi...
- Bene, perché altrimenti eravamo davvero nella merda sai?
-- Perché?
- Perché io ho cominciato a innamorarmi già dal “ciao”.
Tommaso Fusari
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Chiedo perdono, ma a vent’anni con le scarpe da tennis nuove e l’arroganza di chi sa che in quel punto esatto non passerà mai più, ho sognato anch’io un figlio maschio. Nel sogno era scuro di capelli e lo davo alla luce faticosamente, ché a vent’anni i drammi sono tutti desiderabili, il dolore è un belletto vitale che regala fascino, e le lacrime lo spalmano sulle guance rendendoti fatale come una Turandot.
Nella mia testa quel parto scenografico è avvenuto mille volte, e la sofferenza era una forma di eleganza, la sfumatura più elevata di una maternità verace.
Non c’era un uomo a far da padre, non ne serve uno per partorire con dolore.
Nel mondo in frantumi dei miei vent’anni, l’unico padre pronunciabile era il Padre Nostro, pregato con la fiducia incosciente di chi ancora non si è sentito chiedere niente da sacrificare.
Nel mondo in frantumi dei miei vent’anni, io credevo di essere nata con una sola cosa intera per le mani: l’istinto materno, la vocazione all’essere ventre, come le brocche d’olio in magazzino.
Nel mondo in frantumi dei miei vent’anni, non dovevo cercare alcun perché all’esistere, mi sarebbe bastato trovare un per chi. Sposa di qualcuno, madre di chiunque, io non sapevo cosa fosse la vocazione ad essere me.
Ma quando i vent’anni passano, un figlio smette di essere materiale da sogno, e diventa un atto sovversivo. Dopo i trent’anni siamo tutti dei sopravvissuti, e i figli dei sopravvissuti sono gravidanze a rischio anche quando non li fai, anche quando li pensi e basta, perché non c’è pensiero che possa ancora dirsi innocente. Quando si comprende che orizzonte è solo un altro nome per chiamare il limite, ogni possibilità diventa rischiosa tensione all’utopia.
A quello stadio, se ancora figlio deve essere, non può più essere maschio.
Sarà femmina, e non avrà occhi facili. Vorrà sapere.
Seduta sulle mie ginocchia, mi chiederà chi è e chi siamo, e le mie risposte non uccideranno le sue domande. Perché non le venga la malattia dei figli unici, credersi la sola misura di se stessi, partorirò per lei i ricordi del futuro e le profezie del passato, in un tempo senza scarti, dove poter già essere quel che saremo. Mia figlia diventerà ricordo prima di essere progetto, e accoglierà il presente come fosse un seme ricevuto.
Non si addormenterà con i cartoni animati, no. Io le canterò una ninna nanna per stare sveglia, una ninna nanna per non chiudere gli occhi, perché abbiamo già dormito tanto e troppo, mentre altri plasmavano i nostri sogni in incubi di realtà.
Michela Murgia
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piccoli morsi
Come perle d'acqua sulle labbra la notte, quando la sete fa sognare grandi brocche. Come il primo respiro dopo un'apnea, prima di reimmergersi. Come la torcia finalmente accesa nel buio che hai cercato dentro le tasche e non trovavi. Come un singolo palpito improvviso di un cuore impolverato, dimenticato su un tavolino da the, dentro un soggiorno vuoto con le lenzuola sui mobili, appena trafitto da un po' di luce che filtra dalle persiane. Come la fronte che si apre e gli occhi che si allungano, come succede ai gatti. Come i "bravo" di mio padre. Come due mani strette a trasmettersi energia e fra loro una scrivania carica di pile di assurdità e ingiustizia. Come brani di cielo limpido che, tenaci, si fanno spazio tra nuvole minacciose. A piccoli morsi, come i merli con le briciole di pane che cadono dalle tavole imbandite nei pranzi luculliani: di nascosto, in fretta e poi dileguarsi prima che qualcuno si accorga.
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Coppia di brocche in maiolica di caltagirone
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COPPIA DI BROCCHE IN MAIOLICA DI CALTAGIRONE
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Pompei: scavi nella Regio IX rivelano un sacrario con pareti blu
Pompei (Napoli): scavi nella Regio IX rivelano un sacrario con pareti blu Il 3 giugno 2024 il Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, si è recato al Parco archeologico di Pompei per una visita ai nuovi cantieri di scavo. Accompagnato dal direttore Gabriel Zuchtriegel e dai funzionari del Parco, il Ministro ha visitato l’insula dei Casti amanti, di recente aperta al pubblico, e la Regio IX da cui proviene l’ambiente scavato nell’area centrale della città antica, dipinto in blu e interpretabile come un Sacrarium. “Pompei non smette di stupire, è uno scrigno di tesori in parte ancora inesplorato. È per questo motivo che abbiamo finanziato i nuovi scavi e stiamo lavorando per mantenere elevata la qualità del parco archeologico”, ha dichiarato il Ministro Sangiuliano. È stato pubblicato sull’e-Journal degli Scavi di Pompei un approfondimento su un nuovo ambiente scavato nell’area centrale della città antica, dipinto in blu e interpretabile come un sacrarium, ovvero uno spazio dedicato ad attività rituali e alla conservazione di oggetti sacri. L’ambiente è stato mostrato in anteprima nello Speciale Meraviglie della RAI del 27 maggio, curato e condotto da Alberto Angela. Su sfondo blu, le pareti mostrano figure femminili che affiancano le nicchie presenti al centro, e che raffigurano, in quelle laterali le quattro stagioni, le Horae, mentre in quelle sulla parete centrale allegorie dell’agricoltura e della pastorizia, come indicano gli attributi dell’aratro e del pedum, un corto bastone usato da pastori e cacciatori. Il colore azzurro qui ritrovato era raramente testimoniato negli affreschi pompeiani e in genere era presente in ambienti di grande impegno decorativo. Già parzialmente esplorato in epoca borbonica, lo scavo ha restituito oggetti appartenenti all’arredo della casa, temporaneamente depositati in occasione dei lavori edilizi estesi a tutto il complesso. Nell’ambiente sono state ritrovate quindici anfore da trasporto e un corredo in bronzo composto da due brocche e due lucerne. Presenti anche accumuli di materiali edilizi, pronti per essere impiegati nelle ristrutturazioni. Sulla soglia d’ingresso è stato rinvenuto un mucchio di gusci di ostriche già consumate che, probabilmente, una volta tritati venivano aggiunti agli impasti per gli intonaci e le malte. La stanza, che misura circa 8mq, è emersa tra le strutture poste nella porzione meridionale dell’isolato, pertinenti ad un quartiere secondario di una grande domus, che ha finora restituito un quartiere termale ancora in corso di scavo e un grande salone nero affrescato affacciato su un cortile, con scala di accesso al primo piano del complesso. L’attività di scavo che sta interessando l’insula 10 della Regio IX è parte di un più ampio progetto di messa in sicurezza del fronte perimetrale tra l’area scavata e non, e di miglioramento dell’assetto idrogeologico, finalizzato a rendere la tutela del vasto patrimonio pompeiano (più di 13mila ambienti in 1070 unità abitative, oltre agli spazi pubblici e sacri) più efficace e sostenibile. ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Als enige Nederlandse kunstenaar in de collectie van het Italiaanse Museo delle “Brocche d’Autore”
In keramiekstad Gubbio zijn nu 3 brocche, 3 kruiken, van mij opgenomen in de museumcollectie, gewijd is aan de Ceri. De eeuwenoude, religieuze happening die in heel Italië bekend is. Een heel grote eer om daar als Nederlands kunstenaar bij te mogen horen.
de uitnodiging voor de expositie met rechtsonder mijn naam Drie heiligen en dus ook drie brocche, drie kruiken. Drie brocche van mij, die nu staan te pronken in dat Museo delle “Brocche d’Autore”, het Museum van de “Kruiken Ontwerpers”. Drie brocche gewijd aan Sant’Ubaldo, San Giorgio en Sant’Antonio. Ubaldo, de beschermheilige van de stad Gubbio, gekoppeld aan de kleur geel. Joris, martelaar…
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#15 mei#brocche#ceri#corona#Covid-19#Giampietro Rampini#Gubbio#heiligen#Italië#keramiek#kruiken#Middeleeuwen#Museo Civico di Palazzo dei Consoli#Museo delle Brocche d’Autore#Palazzo dei Consoli#Piazza Grande#Rampini Ceramiche d’Arte#Rampjaar#San Giorgio#sant’Antonio#Sant’Ubaldo#Sint Antonio van Egypte#Sint Joris#Umbria#Umbrië#UOVO-Project
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- Immaginiamo che io venga da te e ti dica ciao. Tu rispondi?
- Ciao.
- Esatto. E immaginiamo che me ne esco con una frase stupida che neanche un primate userebbe.
- Tipo?
- Tipo che ne so, tipo “Fa freschetto eh?”
- Ma siamo a luglio.
- Per questo neanche un primate la userebbe.
- Non fa una piega.
- Supponiamo che ti offra da bere, ma una cosa leggera sennò pensi male.
- Penso male?
- Tipo che voglio farti ubriacare.
- Potrei pensarlo.
- Una coca-cola dunque.
- Con ghiaccio.
- Se volessimo esagerare, si.
- E fetta di limone, toh!
- Un carnevale di Rio proprio.
- E poi? Che supponiamo?
- Supponiamo che parliamo tutta la sera e scopri che sono simpatico.
- Si.
- E che forse saresti disposta a uscire insieme.
- Si.
- Supponiamo che ti porto in un piccolo locale in un vicoletto di Trastevere, con le sedie un po’ scricchiolanti e le porzioni di carbonara abbondanti.
- E il vino in brocche scheggiate.
- Con le piante rampicanti che salgono fino agli appartamenti sopra di noi.
- Si.
- Supponiamo che poi facciamo una passeggiata e ci ritroviamo al ponte, davanti tipo a Castel Sant'Angelo con qualche tizio che suona “Wish you were here” seduto per terra, l'aria un po’ umida appiccicosa perchè mi pare di aver capito che non può fare freschetto giusto?
- Giusto.
- E stiamo lì, insomma s'è mangiato bene, s'è riso, sei bellissima, la grattachecca di Sora Lella ci ha ghiacciato il cervello e ci sono pure i grilli che fanno un live tipo come al Circo Massimo
- Si?
- Eh, metti caso che ti bacio.
- Mh?
- Quante probabilità ci sono che io poi abbia il profumo dei tuoi capelli riccissimi addosso?
- Non saprei. Qualcuna?
- E supponiamo che nei giorni seguenti io ti chiamo, tu mi chiami, ci chiamiamo insomma, e scopri che oh, in fondo capisci che mi piace farti ridere perché quel sorriso è tipo la droga più pericolosa mai scoperta dagli scienziati premi Nobel.
- Si?
- Quante probabilità ci sono che da lì in poi tu cominci a innamorarti di me?
- Più di qualcuna direi.
- Bene, perché altrimenti eravamo davvero nella merda sai?
- Perché?
- Perché io ho cominciato a innamorarmi già dal “ciao.
Tommaso Fusari - Calcolo delle probabilità
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ASCENSIONE
La notte che precede l’Ascensione, si raccolgono le rose più belle del giardino. Chi ne ha tante, ne regala a chi non ne ha. Si preparano delle brocche piene d’acqua, vi si immergono i petali, magari con qualche spighetta profumata di lavanda e di menta, si lasciano fuori nei balconi, nei davanzali e nei giardini in omaggio a Gesù che quando al sorgere del sole attratto dal profumo di mille…
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#ascensione#chiesa cattolica#Ettore#festa dell’Ascensione#Giovanni Ginobili#marche#marmellata di rose#nonni e nipoti#Petriolo#religione cattolica#rose#Sara Futura#tradizione religiosa#usi e detti marchigiani
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Chiedo perdono, ma a vent’anni con le scarpe da tennis nuove e l’arroganza di chi sa che in quel punto esatto non passerà mai più, ho sognato anch’io un figlio maschio. Nel sogno era scuro di capelli e lo davo alla luce faticosamente, ché a vent’anni i drammi sono tutti desiderabili, il dolore è un belletto vitale che regala fascino, e le lacrime lo spalmano sulle guance rendendoti fatale come una Turandot.
Nella mia testa quel parto scenografico è avvenuto mille volte, e la sofferenza era una forma di eleganza, la sfumatura più elevata di una maternità verace.
Non c’era un uomo a far da padre, non ne serve uno per partorire con dolore.
Nel mondo in frantumi dei miei vent’anni, l’unico padre pronunciabile era il Padre Nostro, pregato con la fiducia incosciente di chi ancora non si è sentito chiedere niente da sacrificare.
Nel mondo in frantumi dei miei vent’anni, io credevo di essere nata con una sola cosa intera per le mani: l’istinto materno, la vocazione all’essere ventre, come le brocche d’olio in magazzino.
Nel mondo in frantumi dei miei vent’anni, non dovevo cercare alcun perché all’esistere, mi sarebbe bastato trovare un per chi. Sposa di qualcuno, madre di chiunque, io non sapevo cosa fosse la vocazione ad essere me.
Ma quando i vent’anni passano, un figlio smette di essere materiale da sogno, e diventa un atto sovversivo. Dopo i trent’anni siamo tutti dei sopravvissuti, e i figli dei sopravvissuti sono gravidanze a rischio anche quando non li fai, anche quando li pensi e basta, perché non c’è pensiero che possa ancora dirsi innocente. Quando si comprende che orizzonte è solo un altro nome per chiamare il limite, ogni possibilità diventa rischiosa tensione all’utopia.
A quello stadio, se ancora figlio deve essere, non può più essere maschio.
Sarà femmina, e non avrà occhi facili. Vorrà sapere.
Seduta sulle mie ginocchia, mi chiederà chi è e chi siamo, e le mie risposte non uccideranno le sue domande. Perché non le venga la malattia dei figli unici, credersi la sola misura di se stessi, partorirò per lei i ricordi del futuro e le profezie del passato, in un tempo senza scarti, dove poter già essere quel che saremo. Mia figlia diventerà ricordo prima di essere progetto, e accoglierà il presente come fosse un seme ricevuto.
Non si addormenterà con i cartoni animati, no. Io le canterò una ninna nanna per stare sveglia, una ninna nanna per non chiudere gli occhi, perché abbiamo già dormito tanto e troppo, mentre altri plasmavano i nostri sogni in incubi di realtà.
Michela Murgia
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Chiedo perdono, ma a vent’anni con le scarpe da tennis nuove e l’arroganza di chi sa che in quel punto esatto non passerà mai più, ho sognato anch’io un figlio maschio. Nel sogno era scuro di capelli e lo davo alla luce faticosamente, ché a vent’anni i drammi sono tutti desiderabili, il dolore è un belletto vitale che regala fascino, e le lacrime lo spalmano sulle guance rendendoti fatale come una Turandot.
Nella mia testa quel parto scenografico è avvenuto mille volte, e la sofferenza era una forma di eleganza, la sfumatura più elevata di una maternità verace.
Non c’era un uomo a far da padre, non ne serve uno per partorire con dolore.
Nel mondo in frantumi dei miei vent’anni, l’unico padre pronunciabile era il Padre Nostro, pregato con la fiducia incosciente di chi ancora non si è sentito chiedere niente da sacrificare.
Nel mondo in frantumi dei miei vent’anni, io credevo di essere nata con una sola cosa intera per le mani: l’istinto materno, la vocazione all’essere ventre, come le brocche d’olio in magazzino.
Nel mondo in frantumi dei miei vent’anni, non dovevo cercare alcun perché all’esistere, mi sarebbe bastato trovare un per chi. Sposa di qualcuno, madre di chiunque, io non sapevo cosa fosse la vocazione ad essere me.
Ma quando i vent’anni passano, un figlio smette di essere materiale da sogno, e diventa un atto sovversivo. Dopo i trent’anni siamo tutti dei sopravvissuti, e i figli dei sopravvissuti sono gravidanze a rischio anche quando non li fai, anche quando li pensi e basta, perché non c’è pensiero che possa ancora dirsi innocente. Quando si comprende che orizzonte è solo un altro nome per chiamare il limite, ogni possibilità diventa rischiosa tensione all’utopia.
A quello stadio, se ancora figlio deve essere, non può più essere maschio.
Sarà femmina, e non avrà occhi facili. Vorrà sapere.
Seduta sulle mie ginocchia, mi chiederà chi è e chi siamo, e le mie risposte non uccideranno le sue domande. Perché non le venga la malattia dei figli unici, credersi la sola misura di se stessi, partorirò per lei i ricordi del futuro e le profezie del passato, in un tempo senza scarti, dove poter già essere quel che saremo. Mia figlia diventerà ricordo prima di essere progetto, e accoglierà il presente come fosse un seme ricevuto.
Non si addormenterà con i cartoni animati, no. Io le canterò una ninna nanna per stare sveglia, una ninna nanna per non chiudere gli occhi, perché abbiamo già dormito tanto e troppo, mentre altri plasmavano i nostri sogni in incubi di realtà.
Michela Murgia
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IN LIRICA E IN PROSA
Dimmi, orsù e di grazia, perché t’imballi quando ti sballi nel casinò di san Vincenzo tra le dame di carità vestite di nuovo come le brocche dei fiordalisi in questa domenica d’agosto e dimmi, ancora e per favore, come mai le chiappe estetiche sono soltanto abilitate a supportare la defecazione in questa giornata di amena calura con tanto di sole che fulmina anche a Damasco. Eppure eran belle le…
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#affetto#agosto#Alfredo#bordello#casinò#chiappe#Damasco#lirica#oscenità#Piece di soligo#Polanski#prosa#provincia#sottoteso#trippe#Vincenzo
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