#bertuccia
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Copiencollo da feiscbuc
Ogni volta che pubblico un contenuto riguardante qualsiasi tipo di ‘carne finta’ (anche se si dice ‘plant based’, cioè a base di proteine vegetali, ma secondo me carne finta rende meglio l’idea) ricevo molti commenti simili, molti dei quali contengono le stesse due o tre obiezioni a questo o a quell’aspetto del tale prodotto. Ormai ho delle risposte salvate nelle note del telefono che poi semplicemente copio e incollo, tanto le osservazioni sono sempre le stesse. Logorano me, che non sono né vegetariano né vegano, quindi immagino che effetto possano avere sulla psiche di chi è più emotivamente coinvolto o da più tempo. Le frasi ricorrenti sono: 1-Se hai deciso di non mangiare più la carne, perché compri una cosa che le somiglia? È un controsenso! Per rispondersi da soli sarebbe sufficiente la capacità di comprensione di una bertuccia ammaestrata, quindi cercate di capire se uno vi risponde leggermente scocciato. Il 99% (ma secondo me anche il restante 1) delle persone smettono di mangiare carne non perché non gli piaccia, ma perché trovano ingiusto ammazzare degli animali. Una quota minoritaria è inoltre preoccupata per l’impatto ambientale dell’allevamento intensivo, che concorre al 15-20% delle emissioni globali di sostanze climalteranti (ma secondo gli ultimi studi il dato è gravemente sottostimato e potrebbe superare il 50%), per non parlare dei disboscamenti collegati alla necessità di coltivare il cibo da dargli, del consumo di acqua, dell’inquinamento delle falde e blablabla. Ma detto questo, nessuno (o quasi) smette di mangiar carne perché non gli piace. Quindi uno compra una cosa che gli somiglia perché è abituato a mangiarla e abbattere un’abitudine, specie se culturalmente radicata come nel caso del cibo, è molto difficile. 2-Ah sì, la carne inquina? E allora la soia? Che è un po’ la versione di eallorailpiddì in salsa vegana. Il 76% di tutta la soia che viene coltivata ogni anno nel mondo serve per nutrire bestie da macello. Un 4% poi finisce in biodiesel e carburanti, il 13 in oli alimentari, e solo il 7% è direttamente destinato alla produzione di tofu, latte di soia, tempeh eccetera. La soia è un problema enorme per gli stessi motivi sopra elencati per la carne, ma il 76% di questi problemi sono causati dagli allevamenti. L’italia Importa ogni anno più di tre milioni e mezzo di tonnellate di soia, principalmente dal Brasile, e finisce tutta in pasto a polli e maiali. La coltura intensiva della soia pone poi tragici problemi di deforestamento e di espropri di massa ai danni delle popolazioni indigene dei paesi dove viene coltivata, se v’interessasse più degli uomini che degli animali. 3-È sbagliato generalizzare, c’è anche la carne della piccola macelleria che proviene da piccoli allevamenti locali. Certo, e sono comuni come le banconote da 500 euro. Posto che chi non vuole ammazzare animali tende a sbattersene di come hanno vissuto prima di finire al macello, la favola del piccolo allevamento umano è frutto di un grandissimo lavoro di propaganda delle associazioni dei produttori, come Coldiretti, che raggruppano interessi economici derivanti dal commercio della carne nell’ordine delle decine di miliardi di euro l’anno. La verità dei dati: il 99,5% dei polli macellati in Italia proviene da allevamento intensivo, come il 95% dei maiali. Per i bovini è più difficile stabilire il numero, ma è noto che intere filiere, come quella di noti formaggi, sono state dichiarate pressoché a ‘Pascolo 0’, vale a dire che quasi tutte quelle mucche non passano fuori dalla stalla, al pascolo, un solo giorno della propria vita. Da questi numeri è facile intuire come sia estremamente difficile trovare ‘piccole macellerie’ che vendono carne da ‘piccoli allevamenti locali’. Estremamente difficile, per carità, non impossibile. Se vi viene il dubbio, comunque, chiedete al vostro macellaio di poter vedere il documento di trasporto e provenienza. Scoprirete la magia. 4-I prodotti plant based sono ultra-processati. Quindi fanno male. Una delle fallacie logiche in cui si incappa più spesso. Il motivo principale per cui i cibi ultra processati fanno male, secondo tutte le istituzioni che si occupano di salute (come la British Heart Foundation, da cui traggo le successive osservazioni), è che sono generalmente pieni di grassi saturi, sale e zuccheri, e poveri di altri nutrienti, oltre al fatto che siano spesso studiati per consumarne in eccesso, aumentandone la palatabilità con l’aggiunta di aromi. Va da sè che un cibo ultra processato che non abbia queste caratteristiche non condivida lo stesso profilo di nocività. Non è nocivo il fatto che siano ultra processati, ma lo scopo per cui lo sono. Uno yogurt bianco con aggiunta di un edulcorante è un cibo ultra processato, secondo lo schema di classificazione del cibo NOVA (quello che ha inventato la categoria del ‘cibo ultra processato). Vi domando: pensiate che faccia meglio alla vostra salute uno yogurt con edulcorante o un panino con la porchetta, che non è un alimento ultra processato? Se la vostra risposta è lo yogurt, capirete come non abbia senso generalizzare in fatto di cibo ultra processato. Quindi sì, sono ultra processati. No, non necessariamente fanno male. 5-Sono prodotti da multinazionali che ci lucrano. Mentre i colossi della carne sono Onlus. Tutte le imprese del mondo hanno come fine il guadagno. Se questo non vi è chiaro, ripartite dalla prima elementare senza passare dal via. Tra l’altro, allo stato attuale, la maggior parte dei marchi che commercializzano prodotti plant based non sono fanno parte di multinazionali, ma sono aziende giovani e di dimensioni ridotte. 6-Eh ma la fanno in (luogo estero a caso). Il trasporto non inquina? Certo che inquina. Ma molto meno del consumo di carne. Nella filiera dell’allevamento intensivo, il trasporto incide intorno al 5% del resto delle emissioni (secondo il FAO). Il restante 95 deriva dalla produzione di mangimi, dall’allevamento vero e proprio e dalla macellazione. Pensate solo trasportare 10.000 tonnellate di soia al giorno dal Brasile all’Italia quanto può inquinare rispetto a una partita di hamburger plant based che viene, che ne so, dalla Svizzera o da Israele. In generale, inoltre, il trasporto incide solo al 6% sul totale dell’inquinamento generato dal settore alimentare a livello globale (secondo uno studio di Nature del 2019). Quindi sì, inquina. Ma meno delle altre fasi della produzione. 7-Eh certo perché la produzione di quella roba lì non inquina. Di nuovo, certo che inquina. Tutto inquina. Anche respirare inquina. Ma non tutto inquina nelle stesse quantità. Gli ultimi studi suggeriscono che la produzione di hamburger plant based emetta il 96-98% in meno di gas serra rispetto a quella di hamburger veri e propri, richiedano meno acqua (il 75% in meno), meno suolo (tra il 77 e il 92% in meno) e contribuiscano infinitesimamente all’acidificazione del suolo (in proporzione 1 a 61 rispetto all’allevamento del maiale, ad esempio). L’unica voce su cui ancora non c’è molta chiarezza è l’utilizzo di energia elettrica. Secondo alcuni studi i consumi sono equivalenti, secondo altri molto inferiori (di almeno il 65%). Insomma, mi sembra un buon punto di partenza. 8-Questo è solo il primo passo: eliminando la carne cancelleremo la nostra cultura. Esattamente. Porre fine a un particolare aspetto della nostra tradizione distruggerà la nostra intera identità. Proprio come è successo con la pena di morte, la lapidazione delle adultere, il diritto di voto riservato agli uomini, le carrozze trainate dal cocchio, la schiavitù, i processi sommari per eresia e tutte quelle altre cose che non facciamo più. Non si stava molto meglio prima? Lorenzo Biagiarelli
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Catania, San Giovanni Galermo, celebrazioni nei luoghi dove nacque Sant’Agata
Catania, San Giovanni Galermo, celebrazioni nei luoghi dove nacque Sant’Agata Un programma di celebrazioni per ricordare la Santa Patrona Agata, venerdì 2 febbraio, avrà come epicentro il quartiere periferico di San Giovanni Galermo, nei luoghi dove secondo la tradizione sarebbe nata la martire catanese, iniziativa promossa con il supporto del Consiglio Comunale presieduto da Sebastiano Anastasi, dal parroco Giuseppe Catalfo e dal coordinatore del comitato organizzatore Pippo Di Mariano. A partire dalle 10:30, una solenne processione da piazza Chiesa Madre si muoverà per raggiungere Casa Bertuccia, in via Immacolata, laddove, secondo la tradizione, ebbe i natali Sant'Agata, luogo ricordato adesso da un altarino. Sfileranno in preghiera, tra gli altri, i soci della confraternita di San Giovanni Battista, il gruppo di preghiera "padre Pio", il Comitato Agatino, le associazioni agatine e quelle operanti nel territorio e i ragazzi dell'Istituto Comprensivo "Padre Santo Di Guardo – Quasimodo". A conclusione, cenni storici e notizie bibliografiche in merito al luogo dell'altarino, a cura dell'ingegnere Mauro Rapisarda. Già dalle ore 9.00 innanzi sosterà la Candelora di mons. Ventimiglia, accompagnata dal corpo bandistico "G. Virgillito", accolta dal vescovo di Catania, mons. Luigi Renna, dal parroco di San Giovanni Galermo don Giuseppe Catalfo, dal Presidente del Consiglio Comunale di Catania Sebastiano Anastasi, con i Consiglieri comunali, il Presidente, i Consiglieri del IV Municipio, le le autorità civili e militari e i tanti devoti. Le celebrazioni si svolgeranno con il sostegno della Presidenza del Consiglio Comunale di Catania, anche grazie alla sollecitazione del Consigliere Comunale Erio Buceti, già Presidente del IV Municipio e ora componente del civico consesso. "Da anni ormai, la data del 2 febbraio ci conduce verso i resti di quel luogo sacro, dove, secondo la tradizione, Sant'Agata ebbe i natali, poiché in quel luogo sorgeva la residenza estiva della famiglia Colonna, cui apparteneva per appartenenza al nobile casato, la Martire catanese -ha spiegato il Presidente del Consiglio Comunale, Sebastiano Anastasi-. Il consiglio comunale quindi nel segno della tradizione e della devozione popolare, ma anche dell'attualità perché San Giovanni Galermo è simbolo di tutte le periferie catanesi a cui guardano tutte le nostre attività consiliari e per contribuire in modo incisivo al recupero sociale, culturale, infrastrutturale di tutti i quartieri catanesi".... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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La poesia lineare di Carla Bertola
Il “Lasciatemi divertire” di Aldo Palazzeschi, cioè il giocare con le parole, lo troviamo – per fortuna – in un buon numero di poeti contemporanei. Ma perché si gioca con le parole? Si gioca con le parole, no per un semplice divertissement ma ˗ come dice Giangiacomo Amoretti ne Il gioco della poesia1 ˗ « un tentativo di rompere il continuum dell’esperienza quotidiana, dominata dalla coscienza e dal senso della realtà, per aprirlo a una verità diversa», alla traslazione del quotidiano. La sfida dei “manipolatori di parole” è con loro stessi e con il linguaggio che vorrebbero gli appartenesse con la sua piena autonomia eteronima e riproposte ascrivibili non al proprio quotidiano contraddetto dal paradosso e all’antinomia. Ma cosa vuol dire “traslare il quotidiano”? Proprio quello che stavamo dicendo, lavorare per una poesia/linguaggio/scrittura antinomica che non dica di sé, del sé poeta, ma che vada al di là di ciò che quotidianamente facciamo, in modo da postulare un continuo movimento “del fare”. In buona sostanza allontanarsi dal proprio dettato autobiografico, dalla routine di tutti i giorni che forse non interessa nemmeno al poeta stesso. Si sa che la parodia e il nonsense sono due importanti attrattori affinché in poesia emerga il “giocare con le parole”, quasi due anarcoidi, nella forma e nella sostanza, ma non per questo meno curiosi e interessanti. È una «rivoluzione della mente», se vogliamo, come dice Italo Calvino, non meno seria e sensata. E un po’ tutti i poeti, quando il clima si fa tragico ed incerto, «anche la “vecchia” poesia italiana si trasforma, facendosi in essa meno netti i confini tra senso e nonsenso, tra serio e tragicomico ridicule . Sanguineti ad esempio, soprattutto dagli anni Settanta, infila nei suoi libri, quasi uno dietro l’altro, tautogrammi, ribattimenti leporeambici, acrostici acrobatici (da qui un titolo come Acrobistico), invenzioni e scomposizioni lessicali come “versavice viceversa e dice” alla maniera del Carroll di Jabberwocky. C’è poi Antonio Porta, che nella sua famosa antologia per Feltrinelli, Poesia degli anni Settanta, celebra – come scrive lui – “l’ultrasenso del nonsenso” di Toti Scialoja, tanto da rivendicarne una certa organicità al discorso della neoavanguardia. E ancora nell’antologia portiana ritroviamo poeti della Neoavanguardia di seconda generazione ad alto contenuto nonsense come Corrado Costa, Vincenzo Spatola o Giulia Niccolai»2. Uno dei poeti contemporanei che gioca con le parole è senza dubbio Carla Bertola che è anche una eccellente poeta visiva e sonora: Berenice Berenice bere anice non si addice Il berbero burbero bercia in berberesco ˗ mai bere barbaresco ˗ La bergère berce le berceau ˗ ma non beve solo l’eau ˗ Bere cin zio e cin zia che bere ci formi! Nel bergamasco con voi berrò. La dolce berceuse si fa berleffe del berillo, la berghinella bergola assai, alla berlina non ci va mai? Berk ber ché? Berlicche lecca chicche viaggia in berlina fino a Berlino, spende berlinghe in berlingozzi (che almeno s’ingozzi) alla berlocca. Ber ma alle Bermude, cacciando bernacle un poco bernecche, berneggiando qua e là. Sfoggiavo una bernia (dopo la sbornia) che bernoccolo sotto il berretto! Il berrettaio ha la berretta facile, più del fucile. Chi ha il ber retto può bere assai Il bersagliere berrovéria il bersaglieresco ben fresco, anche il bers’aglio ber sà. Ber so, Berta cara, Berta bello è ber e berteggiar, ma attenta che la bertesca ti addesca. Bertibello, Bertino, Bertocchio, Bertolo finto tonto. Bertone lenone, Berto vello di bertuccia. Se ti tolgo dal berretto, un beruzzo di berzemino te lo fai? (al Bar Zemino mi troverai) (In «Risvolti», n. 1, settembre 1998, pp. 32-33) Carla Bertola vive a Torino dove è nata nel 1935. Artista visuale scrittrice performer promotrice di iniziative culturali ha partecipato a moltissime mostre internazionali. Numerose le mostre individuali così come le performances di poesia sonora e d’azione in varie città europee oltre che in Canada Messico Brasile Cuba. È stata Artist in Residence presso il Sirius Arts Centre in Irlanda nel 2010. Ha editato e diretto dal 1978, insieme ad Alberto Vitacchio, la rivista internazionale multimediale «Offerta Speciale» ed eseguito il maggior numero di performences sonore e pièces denominate Poesiteatro. Ha pubblicato soltanto due libri di poesie lineari (almeno in Italia), I Monologhi, (SIC, 1973) e Ritrovamenti (Eureka Edizioni, 2016). I suoi libri verbovisuali libri d’artista e poesie si trovano in molti cataloghi, antologie, collezioni pubbliche e private, riviste cartacee e online («Letteratura»; «Altri Termini»; «Carte Segrete»; «Uomini e Idee»; «Anterem»; «Testuale»; «Salvo Imprevisti»; «Amenophis»; «Plages»; «D(o)cks»; «Dopodomani»; «Risvolti»; «L’Intranquille»; «Otoliths»; «Ulu-late»; «Margutte»; «Utsanga»; «Frequenze Poetiche», etc.). Una rappresentativa selezione delle sue opere è presente al Museo della Carale di Ivrea. Tra le antologie segnaliamo Poesia Totale (Mantova, 1998); A point of View Visual ʼ90 (Russia, 1998); Libri d’Artista in Italia (Torino, 1999); International Artists’ Books (Ungheria, 2000). Ma chi è veramente Carla Bertola? Ad una rivista non-rivista on line, «Margutte» (così si definiscono i responsabili, anzi, le responsabili di questa rivista: Gabriella Mongardi e Silvia Pio), così si autodefinisce: «Ho cominciato a scrivere da ragazza, senza nessun indirizzo e poche conoscenze letterarie, anche se leggevo molto già a 15 anni . Verso gli anni ’60 ho iniziato a scrivere poesie di una certa consistenza, ispirate dalle letture dei contemporanei Ungaretti, Quasimodo, Gatto. Mi rendo conto adesso che quello che mi attirava, inconsciamente era la musicalità dei loro versi, il ritmo impresso alla parola. Iniziai anche a pubblicare qualche poesia su riviste letterarie. Squarotti mi recensì dicendo che ero la miglior scrittrice su piazza, peccato che lo dicesse di tutti. Anche se non ci credevo, mi azzardai a inviare dei testi al Premio Città di Amalfi, che era presieduto da Quasimodo, ma non ricordo l’anno. Fatto sta che ebbi il terzo premio e lui morì di crepacuore. Sul finire degli anni ‘60 cominciai a scrivere testi interessanti e nel ’72 Franco Cavallo mi pubblicò un libretto I Monologhi nella collana Sic, che purtroppo ebbe breve durata. Erano anni che si leggeva molto in pubblico e io stessa organizzai delle serate di poesia e partecipai a degli incontri con altri poeti. Leggendo in pubblico ci si ascolta e ci si confronta. Si capisce anche cosa si vuole o non vuole fare. Non saprei dire esattamente come venni a conoscenza di scritture verbovisuali. Certamente con la “scoperta” del Futurismo e del Dadaismo. Per approdare alle esperienze del Gruppo ’63 e sentendo io stessa il bisogno di sperimentare nuove forme di scrittura. Non sono mai stata molto incline al sentimentalismo nella poesia. Anche nei miei testi “seri” si intravedeva una vena ironica e «un’assoluta mancanza di pietà verso me stessa» (a detta di un critico che mi criticava anche, meno male)»: La Ballata dei Saldi saldi saldi saldi saldi saldi saldi saldi saldi la tendenza è forte ma la carne è in scatola vendita promozionale a chi va bene a chi va male pochi soldi saldi saldi saldi sa tanti saldi sa saldi sa melamangio viva melavvito al dito dietro di lei il deserto dopo di lui il diluvio davanti a noi il disastro liquidazione totalitaria saldi oh yes soldiiiiissssmmmiiiiii oh yes svendiamo sìì veniamo ci sveniamo non svenite saldiamo sa sal fuori i saldi o sparo saldi subito spero Il mio corpo ti salderà 3x2 sei fregato quante volte la luna ho sognato… saldi… saldi Saldano i bastimenti occassioni ocasssioni occasioni stracciate straccioni occasionali i sogni si avverano i saldi si azzerano prezzi pazzi pazzi siamo a pezzi prezzi fissi siete pazzi signori e signore signore ascoltaci signore dacci la saldezza eterna Macbeth you’ll sleep no more all is sold so sad no sales nomore Un saldo nel buio tenetevi ai soldi tenetevi saldi teniamoci i soldi saldisolsalsolsasooo si saldi chi può (in «Offerta Speciale», n. 6, novembre 1990, p. 18) Dunque, la poesia bertolana è costellata d’ironia spensieratezza allegria; tristezza malinconia aggressive invettive, che a detta della stessa Bertola sono stati i sentimenti sui quali gli editori (italiani, naturalmente) accampavano sempre qualche scusa per non pubblicarla. La poesia di Bertola si compone anche per accumulo, associazione di vocaboli, dissociazioni, allitterazioni, calembours; una fonetica del significante che viviseziona parole e segni con il ritmo e il suono che incalzano ad ogni angolo del foglio che spesso viene occupato (ma sarebbe più adatto dire invaso) in tutto il suo spazio bianco, creando la cosiddetta “parola che si vede”. E non potrebbe essere altrimenti, visto che Bertola è anche una importante poeta visuale. Potremmo dire anche ˗ forse senza essere smentiti ˗ che la poesia lineare di Carla precludeva e preclude in sé tratti di “visualità” fin troppo evidenti, e soprattutto le linee guida delle sue performances sonore. D’altronde, nella nota a Ritrovamenti, ci confida che «La mia scrittura ha iniziato un’evoluzione costante alla fine degli anni ’70 incontrando la poesia visuale e poco dopo la poesia sonora. Tuttavia, rileggendo i testi degli anni sessanta, sparsi in qualche rivista storica del periodo, ritrovo già un ritmo che doveva segnare il percorso successivo fino alle performances e alle opere visive delle attuali installazioni». Un tempo dicemmo che i suoi testi nascevano da sensazioni momentanee e/o spontanee, senza premeditazioni, da spunti spinti sul foglio alla rinfusa, figli del caos. Ma ben altra è la struttura del suo linguaggio. C’è da ribadire ancora una volta che il ritmo e il suono dei fonemi, spesso squamati come si squama una spigola da indesiderate anossie siderali, sono i cardini del suo discorso poetico, più ˗ forse ˗ della voglia di dire o di fare, che pur “dicono” e “fanno” questi versi. Docile e allo stesso tempo sorniona, Carla Bertola, con gli strumenti della consapevolezza e dell’esperienza, ci conduce nel suo mondo, quasi in punta di piedi, dove ogni cosa viene sostituita dal magma della concretezza, dove ogni azione è fecondata da un’azione più prepotente, sia pure per accumulo di parole frante e scorporate da un io lirico e melense di tanta poesia in circolazione («… Salina Lina sa cosa? / Sa lino e seta e lana e / Salì nella Salicornia e Saliva la Saliva / Sali scendi Salimetro salì metrò / Salmi per una Salma Salmastro per un Salmì / Salmodìa sal mi dia il sal m’odia / Sal modico o poco prezzo…3). Quindi si riscontrano tracce di nonsense («Sa lato per lato per / Salpa salpinge…»), di limerichs, d’irrisione pungente («S’Alice nel Salicento sogna l’aceto…») che Bertola propone (anche se a volte cautamente) come modo, se non l’unico, per uscire dall’impasse, dallo spaesamento che attraversa la nostra letteratura. Di qui il senso fisico di vivere dentro le cose, dentro l’azione del corpo, lo spazio tra una parola e l’altra (a volte quasi “siderale”) come una pulsione struggente che diviene fattore di un tempo di rottura di armonie incantevoli e ipnotiche che rifiuta ogni sistema di certezza di un mondo blatero, col rischio di farsi alleata di una catarsi: Un foglio biancofa paura ha un futuroimprevedibile strappare non servepotrebbe servire meglio scritto se poi è stampatopubblicato tuttoè concesso come un matrimonio l’incertezza è logorante crudelmentedisumana specie per quelliche restano purtroppo non tutti capiscono certe creature se unonon le aiuta persino gli insettinon si lasciano in agoniaho visitato tantibar trattorie affini frequentato chiese ospedali grandimagazzini la solitudineha sempre un odorequalche volta puzza raramenteprofuma le case nuovesono tristi perché non mancaniente eccetto la polvere ciò le rendedisadatte all’amore (Da Ritrovamenti, Eureka Edizioni, 2016, p. 14) I versi di Carla vivono di una verve spinta e convinta, di un hazard in consapevole controllo: le parole si accostano a vicenda, si sezionano, si scrutano e si spezzano in modo elegante, senza subire violenza, quasi pacificamente, in enjambement fedeli al richiamo di un’analisi ulteriore proveniente dalla conoscenza del poeta. Il che da un lato porta a un automatismo che gira attorno all’enigma, dall’altro ad una parechesi e al divertissement, demistificando la parola nell’uso e nel modo che le sono più congeniali: accoppiandola ˗ è proprio il caso di dire ˗ con segni pieni di virilità di quel suono-ritmo di cui abbiamo già detto. Insomma, la sua praxis poetica, tra anafore e bisticci di parole, pur restando tutto sommato ancorata al formale, nonché agli estremi di un gioco ludico, in realtà possiede gli strumenti per rimettersi alla funzionalità del Testo. Inoltre, nei versi della Bertola non soltanto l’ironia e l’autoironia sono assicurate, ma anche un andamento scanzonato che sprizza come quando apriamo una lattina di coca cola agitata, per scardinare le coordinate, le consonanze col senso comune, partorendo alla luce del sole quei segni nascosti e immagini “nuove” indispensabili per imbastire un ricamo di vita diversa, al di fuori degli ambienti minimali e ipnotici dei significanti corrotti e usurati, scontati, che l’incomunicabilità del postmoderno4 custodisce gelosamente come un segreto che non gli appartiene, e che solo il poeta che azzarda riesce a vedere e a denunciare. ____________________ 1 In «Redaction Magazine», 31 dicembre 2020. 2 Andrea Afribo, Tracce di nonsense nella poesia del Novecento, in «treccani.it magazine», 25 giugno 2008. 3 C. Bertola, Il sale e i suoi derivati, in «Offerta Speciale», n. 5, maggio 1990, pp. 31-32. 4 Secondo Jean Baudrillard (La società dei consumi, Il Mulino), in un mondo frammentario e senza legami, di pura rappresentazione, i modelli finiscono con il sostituire le cose, e il soggetto è spinto ad abbandonare la propria condizione di individuo, declinando le proprie scelte personali, per ridursi a personaggio all’interno del discorso autoreferenziale attraverso cui la società mostra e produce se stessa; un mondo di feticci e simulacri, in cui non c’è alcuna distinzione tra significante e significato, in cui il segno è già di per sé ipersignificativo, è già messaggio. È il famoso capitale “giunto a un tale livello di accumulazione da diventare immagine” (Guy Debord, La società dello spettacolo, Massari editore) (Emiliano Zappalà, Postmoderno e Postmodernità: vivere la nostra epoca, in «sulromanzo.it», 31 agosto 2012). Read the full article
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"scienziato scimmia" Bertuccia - Macaca Sylvanus Potrebbe sembrare un titolo casuale, ma per chi mi conosce personalmente, ricorderà un periodo non felicissimo della mia vita. #bertuccia #primate #animalphotography #naturephotography #nature #parconaturaviva #canon #canonitalia #photografy #canonphotography (presso Parco Natura Viva) https://www.instagram.com/p/Ce5hjVQjZpA/?igshid=NGJjMDIxMWI=
#bertuccia#primate#animalphotography#naturephotography#nature#parconaturaviva#canon#canonitalia#photografy#canonphotography
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nice barbary ape. #truegrittexturesupply #ape #barbary #bertuccia #digitalart #digitalillustration #digitaldrawing #digitalpainting #illustration #drawing #painting #animalsportrait #animalspainting #monkey #adobe https://www.instagram.com/p/CL9LvYbsujH/?igshid=15zuaajgs7iwz
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ALCUNI ANIMALI SELVATICI - A FEW WILD ANIMALS (And a few vocabs more)
i pinguini = penguins
la scimmia = monkey lo scimpanzé = chimpanzee lo scimmione = ape il gorilla = gorilla il gibbone = gibbon l'orango, l'orangotango = orangutan il primate = primate la bertuccia = Barbary ape il macaco = macaque
l'ippopotamo = hippopotamus
il procione, l'orsetto lavatore = raccoon
il leone = lion la leonessa = lioness
il leopardo = leopard il ghepardo = cheetah
il riccio, il porcospino = hedgehog l'istrice = porcupine
la volpe = fox
il canguro = kangaroo
la giraffa = giraffe
il pellicano = pelican
lo struzzo = ostrich
i pesci = fishes
la pecora = sheep il montone = ram la capra = goat il capro, il caprone = billy goat
la lepre = hare il coniglio = rabbit, bunny
il tacchino = turkey
la zebra = zebra
l'orso bianco, l'orso polare = polar bear l'orso, l'orso bruno = bear, brown bear
le api = bees (il barattolo di miele = honey jar)
il lupo = wolf il coiote/il coyote = coyote
il coccodrillo = crocodile l'alligatore = aligator
la tigre = tiger
l'elefante = elephant
#it#italian#card#italiano#lingua italiana#italian language#languages#language#langblr#italian langblr#italianblr#parole words#vocabs#vocabulary#italianvocabs#italian vocabulary#animals#animali#animali selvatici#wild animals#italian vocabs#languageblr#language learning#learning languages#linguistics
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PER I NOSTRI GEORGE FLOYD CHE SPESSO SONO SEMPLICI JOHN DOE.
Scendo dalla metro di rientro da una domenica di lavoro e, sulle scale mobili verso i tornelli di uscita, un urlo rabbioso mi violenta le orecchie.
"Allontanatevi! Circolare!"
Come tutte le cose fatte e dette solo per mostrare i muscoli, non solo quell'urlo non ottiene nessun effetto, bensì, casomai, ottiene quello contrario.
Mi volto in direzione della bertuccia strillona e immediatamente capisco il motivo di tanto scazzo per la presenza di un pubblico.
Un ragazzo nero, magro come un chiodo e ammanettato, si regge in piedi a malapena. Ha la faccia schiacciata contro il gabbiotto dell'ATM, gliela tiene ferma con una mano un Big Jim meno agitato, e quindi forse più pericoloso. Con l'altra mano gli blocca i polsi, ammanettati, dietro la schiena.
La bertuccia urlante, che sembra più un pitbull con la bava alla bocca, ora che lo vedo, fa il suo show, urla nelle orecchie al ragazzo, che sembra semi-incosciente, ringhia alla gente che si ferma a guardare, e rotea forsennatamente il suo complesso d'inferiorità lungo e nero, con l'anima di ferro, con cui cerca maldestramente di compensare un malinteso anelito di virilità.
Il ragazzo, nel frattempo, s'impegna fortissimo per portare a casa la pelle. Resta immobile, testa bassa, non parla, non guarda storto, non guarda proprio. Non respira. Ah no. Respira. Questo sfacciato!
"Ci inquini l'aria". Gli urla nell'orecchio il pitbull.
E mi torna in mente la fiaba di Fedro, quella dell'agnello imputato dal lupo di inquinargli l'acqua del fiume a cui il lupo si voleva abbeverare. Ma l'agnello fa notare al suo predatore che si trova più a valle rispetto a lui, dunque non può sporcare l'acqua. Ma il lupo non demorde e lo accusa allora di aver sparlato di lui l'anno precedente. Peccato che l'agnello all'epoca non fosse ancora nato.
"Se non sei stato tu, allora sarà stato tuo padre!".
Questo padre, ragazzo magro, che ti ha fatto nascere lontano, lontano, dove la pelle è scura e la vita difficile.
Ad Harlem, sulla 138St all'incrocio con la Adam Clayton Powell Blv, c'è un murales: "Know your rights", scritto da fratelli per i fratelli.
"A frisk is only a pat down. If the police try to do more than that, say loudly 'I do not consent to this search".
Ma non credo che il ragazzo magro sia mai stato ad Harlem. Diritti non ne pretende. Spera solo di evitare le botte.
Quando Big Jim gli dà un colpo secco nelle gambe per farlo inginocchiare (così, a caso) al ragazzo magro si bagnano i pantaloni. Il pitbull ride, ma quando si accorge che ride da solo s'impettisce come un chihuahua incazzato e ricomincia a berciare improperi brandendo il manganello.
Arrivano tre militari.
TRE
MILITARI.
Arrivano tre militari e così siamo a 8 contro 1.
Tre militari.
Due poliziotti.
Due tizi della sicurezza dell'ATM.
Il tizio del gabbiotto dell'ATM.
E un ragazzo magro, semi-incosciente, con la testa china e silenzioso che si è appena pisciato sotto dalla paura.
Alla fine arrivano i buoni (ma restiamo in inferiorità numerica) vestiti d'arancione catarifrangente con la loro arma magica: una barella.
I tre volontari dell'ambulanza, non senza prima sbrigare un fiume di trattative con gli otto convenuti (più con le 5 guardie che con quelli dell'ATM, devo dire la verità) riescono a convincere Big Jim a riprendersi le manette e a caricarsi il ragazzo magro sull'ambulanza.
Salgo le scale dietro di loro, per riguadagnare la superficie ché eravamo tutti un po' in apnea. Vedo uno dei paramedici che lo aiuta a stendersi dentro l'ambulanza, gli medica la testa, perde sangue.
Big Jim e il pitbull seguono ogni movimento delle tute arancioni, non è che lo staranno trattando un po' troppo bene, 'sto negro?
Aspetto che uno dei paramedici chiuda il portellone dell'ambulanza. Partono.
La polizia non li segue nemmeno.
Forse non era poi così pericoloso, quel ragazzo magro. Era solo negro.
L'esercito si dilegua. Anche oggi ha dimostrato la sua imprescindibilità nella città militarizzata del consolato Di Stefano - Sardone.
Ave!
Il pitbull si stiracchia, rinfodera il manganello, si accende una sigaretta. Sale quello dell'ATM. Discutono, non capisco di cosa, poi Big Jim mi nota.
Mi guarda, aggressivo.
"Lo conosci?"
Lo conosco.
Li conosco tutti.
Li conosciamo tutti.
Sono i ragazzi magri, figli di padri e madri che li hanno fatti nascere lontani, lontani, dove la pelle è nera e la vita è difficile.
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Vaghezza razzista
Si fa presto a dire “terra dei padri”. Ma quali padri? E quale terra?
Caro amico razzista, o leghista, o che altro sei, sarebbe bene facessi una ricerca sulle tue radici.
Scendessi dall’albero sul quale vivi come una bertuccia e indagassi il tuo albero genealogico. Potresti scoprire di condividere il sangue di coloro che vorresti “via da Modna”.
Sono tempi duri, la concorrenza è spietata: ci…
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#albero genealogico#bertuccia#dialetto#foto storica#intolleranza#Modena#Modna#padri#radici#razzismo#terra
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Brutta #bertuccia. (presso Torino Porta Nuova)
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Fauna preistorica del Pleistocene medio a Basso Garda
Quando mammut e rinoceronti pascolavano in riva al Garda. Grandi predatori come tigri dai denti a sciabola, leoni e giganteschi orsi. Con i mammut, gli elefanti, rinoceronti e persino tantissime scimmie. Questi erano solo alcuni degli animali protagonisti del Basso Garda nel Pleistocene medio, un periodo interglaciale di oltre 300 mila anni fa, quando il ghiacciaio profondo 1,5 chilometri ha lasciato posto a una foresta caldo-temperata. Uno scenario che continua a sorprendere anche gli esperti. Il territorio a est di Brescia era una distesa di latifoglie e il lago di Garda aveva già la forma attuale. Ma la fauna era più simile a quella dell’Africa odierna. «Era un patrimonio faunistico immenso - spiega il paleontologo e archeozoologo Fabio Bona, che ha collaborato agli scavi del sito Unesco del lago Lucone a Polpenazze -.
Il mammut: una delle presenze accertate e documentate nel passato remoto del territorio del GardaScimmie simili alle bertucce furono tra gli abitanti delle rive del lago Lo studio degli animali antichi del territorio è ancora lontano dall’essere svelato, alcune specie si sono estinte, altre sono sopravvissute fino all’epoca moderna, siamo intenzionati ad approfondire la ricerca». L’Homo Erectus già c’era. Non essendo stati trovati resti non si può sapere se si trattasse dell’Homo Heidelbergensis o del Neanderthal (o di entrambi), ma le punte di selce confermano la sua presenza. I resti di alcuni animali macellati confermano che cacciava in gruppo ed era parecchio temerario: non temeva di fronteggiare né l’orso delle caverne (un carnivoro grande il doppio dell’orso bruno) e nemmeno il mammut lanoso (che comparirà sul Garda 50 mila anni fa). Erano tempi duri per gli ominidi del paleolitico medio, che se la dovevano vedere anche la temutissima tigre dai denti a sciabola: un feroce felide dai lunghissimi canini superiori presente nel Bresciano, l’ultimo ritrovamento è stato fatto a Nuvolento. «Abbiamo trovato resti di una specie di leone, elefanti senza pelo,, c’erano di sicuro rinoceronti e anche una temuta specie di leone. I cavalli selvatici erano un po’ più piccoli, il cinghiale un po’ più grande, l’elefante non era peloso era simile a quello africano ma aveva denti dritti e c’erano anche tantissime macache, scimmie simili alla bertuccia - racconta Bona che collabora regolarmente con lo scavo del Lucone -. Sono specie estinte, non a causa dell’intervento antropico, gli ominidi non c’entrano. Forse il flusso genico, legato a piccole mutazioni ambientali è terminato». Cervi e daini, anatre e germani ci sono sempre stati, passando anche dal periodo del bronzo medio, quando i palafitticoli li cacciavano in un’epoca faunistica ben diversa: i cani erano addomesticati, i gatti c’erano ma erano piccole linci selvatiche e si allevavano, maiali, capre e bovini, l’ultima scoperta estiva del Lucone è un luccio identico a quelli che nuotano oggi nel lago. Ma i reperti che scoprono questo scenario poco conosciuto sono nei magazzini del museo della Scienza di Brescia che espone in mostre temporanee solo l’alce impagliato. •. Read the full article
#alceimpagliato#Brescia#cavalliselvatici#Heidelbergensis#Homo#homoerectus#LagodiGarda#macache#mammut#neanderthal#palafitte#rinoceronti#RivadelGarda
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La scimmia Bertuccia
Cammina sulla roccia
Scivola sulla buccia
Il gomito si sbuccia
Ma il dottor Macao inteligentao
Le consiglia il Charleston
Tutte tutte le scimmiette
In fila per 7 ballando il Charlestoon
La scimmia Bertuccia
Entra nella doccia
La saponetta mangia
Ahia che mal di pancia
Ma il dottor Macao inteligentao
Le consiglia il Charleston
Tutte tutte le scimmiette
In fila per 7 ballano il Charlestoon
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Inviato da IPad di Franceca Palmieri
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L’Orazione
La bertuccia era la e tutti erano insieme vetuti di nero Per dire, per dire l’orazione della bertuccia
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O non ci si aspetta un cazzo o ci si aspettano i miracoli che manco cristo-mazinga. Boh, non so proprio.
Ad ogni modo zitto. Son due giorni che sono a dieta, ma non lo dico e qui intanto non legge nessuno, quindi è come non dirlo. Non sto bevendo, resisto. Perché con me quelle cazzate del ridurre e del diminuire non funzionano. E’ così in tutto: io o tutto o niente.
E’ così. Sarà sbagliato, ma quando sei così e decidi di ballare, balli oppure molli e lasci che le cose facciano il loro corso. Del resto il motivo per cui i trattamenti di rehab si svolgono in luoghi isolati, asettici e monacali è figlio di questo. La temperanza e la misura non appartengono a chi ha un problema. Sono di chi al massimo dà utili consigli senza avere un’idea chiarissima di cosa significhi avere una scimmia sulla schiena, che sia essa una bertuccia da mezzo chilo o un gorilla da 3 quintali.
E allora ballo. Zitto. Da solo. Manco mi peso perché so già che mi incazzerei... perché o niente o cristo-mazinga. L’ho già detto.
Zitto. E’ la cosa più bella di solito. E quando si tratta di me. Zitto. Bello.
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nice barbary ape. #truegrittexturesupply #ape #barbary #bertuccia #digitalart #digitalillustration #digitaldrawing #digitalpainting #illustration #drawing #painting #animalsportrait #animalspainting #monkey #adobe #drawoftheday #sketch #sketchoftheday #wacom (presso Milan, Italy) https://www.instagram.com/p/CQGt1mTqFms/?utm_medium=tumblr
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