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LA VITA AGRA: Un Poema di Ivan Pozzoni. Recensione di Alessandria today
Un viaggio nell'animo umano attraverso parole evocative.
Un viaggio nell’animo umano attraverso parole evocative. “La Vita Agra” di Ivan Pozzoni è una poesia che esplora le complessità dell’esistenza umana, affrontando temi di solitudine, sofferenza e la ricerca di una voce autentica in un mondo che spesso sembra opprimente. Attraverso un linguaggio ricco e incisivo, Pozzoni invita il lettore a riflettere sulle sfide quotidiane e sull’importanza…
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🌟 Buona Giornata Internazionale dellə Artistə
Una figura bendata, il volto nascosto, un mistero che si svela attraverso petali di fiori, fragilità delicatezza forza coraggio. Sfuggono dalle sue bende come pensieri creativi. È un’illustrazione di mistero e bellezza, un simbolo dell’arte che può sbocciare anche nelle condizioni più inaspettate. 🌸✨
Io ho iniziato a disegnare nel periodo più buio della mia vita. Le 600 persone che oggi seguono questa pagina sono qui perché un giorno, in terapia, la mia psicologa mi ha dato un compito e io ho deciso di portarlo a termine e poi pubblicarlo qui. Un disegnino. L’unico modo in cui riuscivo ad esprimere le mie emozioni senza la costante ricerca di perfezione, senza il terrore del giudizio. Un solo like era una vittoria per aver vinto il terrore dell’isolamento.
Oggi voglio celebrare non solo lə maestrə dell’arte, ma anche lə aspiranti artistə, coloro che cercano la bellezza in ogni sfaccettatura della vita. L’arte è una forma di espressione che unisce il mondo, abbattendo le barriere culturali e linguistiche. È il linguaggio universale delle emozioni, delle storie, e delle visioni. 🎨🌍
Ogni pennellata, ogni nota, ogni parola scritta, è un’opportunità per esprimere ciò che altrimenti rimarrebbe inespresso. È un modo di guardare il mondo con occhi diversi, nuovi, di catturare la sua complessità e la sua bellezza in modi unici. 🌎❤️
L’arte vive dentro di noi, pronta a sbocciare e a ispirare. Siamo arte, viviamo di arte e cerchiamo bellezza 🌿🌟
#vaerjs #giornatadegliartisti #artistday #illustration
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Alcuni degli artisti contemporanei più riconosciuti che sollevano quesiti e stimolano dibattiti:
1. Ai Weiwei: Artista cinese e attivista politico, il suo lavoro affronta temi come la censura, i diritti umani, la critica al governo cinese e l'immigrazione.
2. Banksy: L'identità di Banksy è ancora sconosciuta, ma il suo lavoro di street art politica e provocatoria ha attirato l'attenzione a livello internazionale. I suoi murales spesso affrontano questioni sociali, politiche e ambientali.
3. Kara Walker: L'arte di Kara Walker indaga il razzismo, l'identità e la storia dell'oppressione degli afroamericani negli Stati Uniti con raffigurazioni provocatorie e spesso violente.
4. Marina Abramović: Conosciuta per le sue performance estreme, Abramović esplora i confini del corpo, del tempo e dell'interazione umana. Le sue performance sono spesso cariche di simbolismo e suscitano reazioni emotive intense.
5. Yayoi Kusama: Kusama è famosa per le sue installazioni immersive e ad alto impatto visivo che spesso utilizzano il concetto dell'infinito e della sovrapercezione. L'artista giapponese ha affrontato temi come la salute mentale, il consumismo e la sessualità.
6. Jenny Holzer: Holzer utilizza la parola scritta come mezzo d'espressione principale, proiettando messaggi provocatori e contestanti su facciate di edifici, installazioni lumino- testuali e scritte su supporti vari. I suoi lavori si concentrano sul potere delle parole e affrontano temi come l'oppressione delle donne, la guerra e la politica.
7. Olafur Eliasson: Eliasson creane installazioni interattive che coinvolgono il pubblico attraverso l'utilizzo di luce, specchi e elementi naturali. Le sue opere esplorano temi come il cambiamento climatico, la percezione umana e l'interazione con l'ambiente.
8. Shirin Neshat: L'arte di Neshat esplora le dinamiche culturali, le divisioni di genere e la politica nel contesto del Medio Oriente. Attraverso fotografie, video e film, l'artista iraniana-america affronta temi come l'identità, l'oppressione e il conflitto.
9. Damien Hirst: Hirst è noto per i suoi lavori che coinvolgono animali morti o parti di animali. Le sue opere sollevano questioni etiche sulla vita e la morte, il consumo e la bellezza.
10. Cindy Sherman: Sherman è famosa per le sue fotografie in cui lei stessa si trasforma in personaggi diversi, spesso stereotipi femminili. Il suo lavoro affronta la cultura dei media, l'identità e il concetto di autorappresentazione.
Questi artisti spingono i limiti dell'arte e affrontano questioni cruciali che suscitano discussioni e riflessioni sulla società, la politica, l'identità e molto altro ancora.
Ci sono diverse splendide installazioni e mostre permanenti di arte contemporanea in Italia. Ecco alcuni esempi:
1. Museo MAXXI a Roma: Il Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo comprende una vasta collezione di arte contemporanea italiana e internazionale. Il museo ospita anche mostre temporanee che presentano artisti contemporanei di spicco.
2. Fondazione Prada a Milano: La Fondazione Prada offre una combinazione di mostre temporanee e una collezione permanente che include opere di artisti internazionali emergenti e di grande calibro. Il complesso museale, progettato dall'architetto Rem Koolhaas, promuove l'arte, l'architettura e il cinema contemporanei.
3. Museo MADRE a Napoli: Il Museo d'Arte Contemporanea Donnaregina presenta una collezione permanente con opere di artisti come Francesco Clemente, Anish Kapoor e Jeff Koons. Oltre alla collezione, il museo organizza mostre temporanee e progetti artistici.
4. Museo MACRO a Roma: Il Museo di Arte Contemporanea di Roma ospita mostre e installazioni permanenti di arte contemporanea italiana e internazionale. Il suo edificio principale, l'ex stabilimento industriale Peroni, è una cornice suggestiva per l'arte moderna.
5. Museo MAD di Bassano del Grappa: Il Museo d'Arte moderna e contemporanea Mario Rimoldi è situato in una storica villa vicino a Bassano del Grappa, in Veneto. La collezione permanente comprende opere di artisti come Giorgio Morandi, Lucio Fontana e Mario Sironi.
6. Museo Castello di Rivoli a Torino: Il Museo d'Arte Contemporanea di Castello di Rivoli è uno dei principali musei di arte contemporanea in Italia. Situato in un castello storico, il museo presenta mostre e installazioni permanenti che coprono diversi periodi e movimenti artistici.
7. Museo MADeC a Cosenza: Il Museo MADeC (Museo Arte contemporanea e del '900) di Cosenza espone una vasta collezione di opere d'arte moderna e contemporanea di artisti italiani e internazionali. Il museo è ospitato in un ex convento e offre un'esperienza artistica unica nel panorama calabrese.
Questi sono solo alcuni esempi di installazioni e mostre permanenti di arte contemporanea in Italia. Ci sono molti altri musei e spazi espositivi in tutto il paese che offrono al pubblico l'opportunità di immergersi nell'arte contemporanea italiana e internazionale.
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Alcuni fotografi sullo stile di soggetto di Dohroty Bahwi:
1. Jan Saudek: Jan Saudek è un famoso fotografo ceco noto per le sue immagini poetiche e surreali. Le sue fotografie spesso raffigurano soggetti nudi o seminudi in pose suggestive, creando immagini che evocano emozioni profonde e complesse.
2. Sally Mann: Sally Mann è una rinomata fotografa statunitense con uno stile molto intimo e personale. Le sue fotografie spesso raffigurano la sua famiglia e la vita nella Virginia rurale, esplorando concetti di memoria, tempo e degrado.
3. Duane Michals: Duane Michals è un fotografo americano noto per il suo approccio narrativo e sperimentale. Le sue fotografie sono spesso una sequenza di immagini che raccontano una storia o esplorano temi come l'amore, la morte e l'identità.
4. Sarah Moon: Sarah Moon è una fotografa francese con uno stile onirico e poetico. Le sue immagini spesso sfocano i confini tra realtà e fantasia, creando atmosfere surreali e misteriose.
5. Joel-Peter Witkin: Joel-Peter Witkin è un fotografo americano noto per le sue fotografie provocatorie e inquietanti. Le sue immagini spesso includono soggetti "diversi" come deformità, corpi mutilati o oggetti macabri, creando immagini che sfidano le norme sociali e provocano riflessioni sulle nostre paure e perversioni.
6. Nan Goldin: Nan Goldin è una fotografa americana con uno stile documentaristico e intimo. Le sue fotografie spesso raffigurano la sua cerchia di amici e conoscenti, documentando la vita notturna, l'amore, la dipendenza e le relazioni umane con un occhio sincero e senza filtri.
7. Arno Rafael Minkkinen: Arno Rafael Minkkinen è un fotografo finlandese-americano noto per i suoi autoritratti in natura. Le sue immagini spesso esplorano la connessione e l'interazione tra il corpo umano e l'ambiente, creando composizioni suggestive e poetiche.
Ricorda che ognuno di questi fotografi ha uno stile unico e distintivo, quindi ti consiglio di esplorare il loro lavoro per trovare quello che più ti ispira.
9. Roger Ballen: Roger Ballen è un fotografo sudafricano noto per le sue immagini disturbanti e surreali, spesso ambientate in ambienti claustrofobici e con protagonisti animali o persone marginalizzate.
10. Jock Sturges: Jock Sturges è un fotografo americano famoso per i suoi ritratti di adolescenti nudi in ambientazioni naturali, creando immagini intime e sensuali che esplorano la transizione dalla giovinezza all'età adulta.
11. Elinor Carucci: Elinor Carucci è una fotografa israeliana-americana che si concentra sulla sua famiglia e sulla sua vita quotidiana, creando immagini intime e personali che rivelano emozioni complesse e universali.
12. David LaChapelle: David LaChapelle è un fotografo e regista americano noto per le sue immagini audaci ed eccentriche, spesso con icone pop, celebrità e riferimenti culturali, creando immagini che catturano l'attenzione estraendo la bellezza e l'assurdità del mondo moderno.
13. Antoine D'Agata: Antoine D'Agata è un fotografo francese noto per il suo lavoro provocatorio e crudo, spesso mostrando la vita nei margini della società, con immagini sessuali esplicite, droga e violenza.
14. Daido Moriyama: Daido Moriyama è un famoso fotografo giapponese noto per le sue immagini in bianco e nero che catturano la vita urbana di Tokyo, con un occhio brutale e decisamente moderno.
15. Francesca Woodman: Francesca Woodman è stata una fotografa statunitense che ha creato immagini intime e poetiche di sé stessa e del suo corpo, spesso intrecciati con l'architettura delle case e degli ambienti in cui si trovava.
16. Vivian Maier: Vivian Maier è stata una fotografa statunitense-americana scoperta in modo postumo, nota per le sue immagini di strada catturate principalmente a Chicago, offrendo uno sguardo unico sulla vita urbana degli anni '50 e '60.
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Ecco altri 45 artisti che potrebbero raffigurare soggetti simili a quelli di L'ora Zombie, Chiara Bautista, Zoe Lacchei, Robin Eisenberg e Phazed:
1. Audrey Kawasaki
2. Marion Peck
3. Mark Ryden
4. James Jean
5. Tara McPherson
6. Jenny Frison
7. Brandi Milne
8. Kukula
9. Amy Sol
10. Peter Gric
11. Femke Hiemstra
12. Josh Keyes
13. Brian Despain
14. Kris Kuksi
15. Nicoletta Stamatelatos
16. Gary Baseman
17. Scott Musgrove
18. Sarah Joncas
19. Natalie Shau
20. Shag (Josh Agle)
21. Greg "Craola" Simkins
22. Luke Chueh
23. Caitlin Hackett
24. Soey Milk
25. Audrey Pongracz
26. Alex Pardee
27. Travis Louie
28. Natalia Fabia
29. Chris Mars
30. Casey Weldon
31. Brandi Read
32. Jeanie Tomanek
33. Jessica Joslin
34. Scott Radke
35. Camilla d'Errico
36. Lori Earley
37. Michael Hussar
38. Benjamin Lacombe
39. Miho Hirano
40. Kindra Nikole
41. James Gurney
42. Kris Lewis
43. Martin Wittfooth
44. Timothy Robert Smith
45. Colin Christian
46. Ray Troll
47. Daniel Merriam
48. Jasmine Worth
49. Sonya Fu
50. Michael Page
51. Chie Yoshii
52. Yoko D'Holbachie
53. Sarah Louise Davey
54. Kit King
55. Femmepop
56. Travis Lampe
57. Sheri DeBow
58. Mab Graves
59. Popovy Sisters
60. Amy Brown
61. Laurie Lipton
62. Mark Bryan
63. Ray Caesar
64. Joel Rea
65. Simona Candini
66. Tom Bagshaw
67. Marion Bolognesi
68. Lora Zombie
69. Heather Watts
70. Paul Rumsey
71. Brian M. Viveros
72. Nom Kinnear King
73. Brendan Monroe
74. Jeremy Geddes
75. Lesley Oldaker
76. Kim Simonsson
77. Jana Brike
78. Jeff Soto
79. Hikari Shimoda
80. Yoskay Yamamoto
81. Olek
82. Yayoi Kusama
83. Atsushi Suwa
84. Fem Jasper-King
85. Tina Lugo
86. Zoe Keller
87. Erik Jones
88. Moki
89. Justin Mortimer
90. Gustavo Rimada
91. Michael Shapcott
92. Sachin Teng
93. Laura Colors
94. Erwin Olaf
95. Fairy Teller
96. Michelle Mia Araujo
97. Martin Eder
98. Lin Fengmian
99. Marissa Oosterlee
100. Andrew Hem
1. Jasmine Becket-Griffith: Jasmine Becket-Griffith è un'artista statunitense con uno stile unico e distintivo. Le sue opere spesso raffigurano figure eteree e mistiche, con dettagli intricati e colori vivaci.
2. Chet Zar: Chet Zar è un artista americano noto per le sue opere che fondono horror e fantastico. Le sue raffigurazioni spesso presentano figure bizzarre, mostruose e oscure, in una miscela unica di dettagli realistici e immaginazione distorta.
3. Nicoletta Ceccoli: Nicoletta Ceccoli è un'artista italiana con uno stile fiabesco, ma al tempo stesso inquietante. Le sue opere spesso raffigurano bambine dalle espressioni malinconiche e sognanti, immerse in scenari surreali e simbolici.
4. Camille Rose Garcia: Camille Rose Garcia è un'artista americana le cui opere sono ispirate dal mondo delle fiabe, ma con un tocco oscuro. Le sue raffigurazioni sono caratterizzate da colori vibranti, figure distorte e dettagli intricati.
5. Ray Caesar: Ray Caesar è un artista canadese noto per le sue rappresentazioni di un mondo fantastico e sognante. Le sue opere spesso presentano figure femminili sofisticate e misteriose, ambientate in scenari intricati e dettagliati.
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Questi sono ulteriori artisti che potrebbero interessarti se ami gli stili e i soggetti di L'ora Zombie, Chiara Bautista, Zoe Lacchei, Robin Eisenberg e Phazed. Ognuno di questi artisti ha una prospettiva unica e un modo particolare di rappresentare concetti e emozioni nella loro arte. Potresti scoprire nuove ispirazioni e dimensioni artistiche esplorando il loro lavoro.
#arte#immagine#fotografia#emozioni#messaggio#parola#critica#denuncia#scalpore#mostrare#contemporanea#disegno#fantasia#colore#figura#stile
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De la scritta maniera
Non fu mai intenzion mia immortalare ciò che segue, ma la sfrontatezza di chi mi è inferiore m'ha portato a cambiar la rotta, a navigar per li mari de la bella parlata. Sarò superbamente destro ne la revelatione dell'ars mea, de la quale ho già fatto sfoggio certo e completo in quanto precede.
In questo breve trattato, come da titolo annunziato, vomiterò atomi de la scritta maniera, affinché chi come me non compete nel fare pulcri versi possa manipolare gli italici dirsi.
Il punto primo della scrittura è quello del peso. Si immagini l'accostarsi di parole - o costruzioni di sintagmi che siano - come materia, di cui ogni singolo elemento detiene, appunto, il proprio peso. Verrà naturale pensare che vi sia differenza tra parola e parola seppur uguali di senso, e certamente vi è. Per esempio, se io fossi ne la situazione di dover scrivere di una divina creatura giunta dai candidi cieli, utilizzerei alti termini tingendoli di passati idiomi. Ne evidenzierei lo splendore dicendola maravigliosa, parlerei della sua pulcritudine piuttosto che della sua bellezza, citerei anzichè l'ale le piumate braccia di bianco sfavillio. Si ricordi che pur sempre di peso si parla e, dicendolo nella logica dei numeri, il valore è assoluto: più chiaramente rivelato, una cosa nefasta egualmente rispetto ad una alta vedrà un pareggiarsi del peso.
Il punto secondo della bella scrittura è il peso non quantitativo, ma qualitativo. Ogni parola o costruzione detiene la propria valenza qualitativa che ne determina il ruolo nel discorso e il discrimine di una rispetto all'altra. Vien a farsi cosa una con le polisemie, che siano di specie regolare o metanarrativa. È opportuno aver parsimonia nella scelta dei vocaboli - o sistemi di vocaboli - da apporre ad un periodo, nei termini delle loro sfaccettature plurime. Ad esempio, sia data la parola "dimonio" e sia richiesto di descriverla in incognito contesto. Dirò del dimonio la sua magrezza al fin che siano messe in risalto ambedue la smuntezza e l'empietà, o ne dirò l'iniquo serpeggiare per evidenziarne il viscidume e la reità primigenia. Si badi che anche qui ho scelto vocaboli pesanti e materiosi per l'assolutezza del peso proprio del dimonio. La qualità è forse la regola più importante, se considerata in funzione delle costruzioni - qui si parlerebbe di peso qualitativo relativo - : l'ordine delle parole e dei sintagmi può essere modificato per potenziare inconsci stati. Metterò un aggettivo prima del suo sostantivo se lo crederò di maggior peso, porrò il verbo in un punto ponderato del periodo se lo vedrò gravar a la giusta maniera lì. La qualità ha infinite strade percorribili, che ci portano al terzo punto.
Il punto terzo è quello di ricordarsi che la lingua non è che schifosa limitazione del magnifico pensiero umano. Noi siamo migliori della lingua. Noi siamo più alti. La lingua è nostra deboletta fabbricazione e noi la dobbiamo dominare. È imperativo che noi uomini giungiamo oltre gli idiomi, ma finchè vi soggiaciamo, che questi si pieghino al nostro volere e non viceversa. Le parole e le costruzioni, che si cambino a favor de la bella parlata, che i verbi si disgreghino in funzion de la movenza delle cose, che i periodi si facciano pazzi e insani. Non v'è licenza che non regga, non v'è eccesso, niuna cosa è errata, e seppur io sia ipocrita a far belli periodi con arcaicheggianti messinscene, che sia maledetta quella puttana della lingua. Che si dica nefando, materioso e mille altre parole che non sono.
Quarto e definitivo pilastro è quello della forma. Dopo aver analizzato l'essenza, era naturale discorrere di questa. Per forma io vo intendendo quel che le persone chiaman suono, ma credo che tal nomea sia eccessivamente restrittiva. Addolcirò una parola o un periodo se dovrò narrar d'angeli, li inasprirò se dovrò narrar di dimoni, mi manterrò su mediane ma alte parole se dovrò narrar di nefilim. Si tratta di forma anche nel bel caso del ritmo delle cose, che marcerà a una maniera o a un'altra in base all'energia detenuta dal soggetto, o nel caso dell'elisione, strumento di ineffabile utilità in analoghi casi.
Che mi si affronti, che mi si facciano appunti insulsi, io credo in modo certo e vero in quanto rivelato in queste brevi righe disperate. Si badi che la componente estetica non è mai messa in discussione.
Se non capisci quello che c'è scritto, non è affatto colpa mia. Poichè io scelgo di scrivere in un certo modo. Ma altrimenti, che gusto ci sarebbe?
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10 mag 2024 11:09
LA COCA IN UNA STANZA – GINO PAOLI RICORDA QUANDO SMISE DI CANTARE: “NEL ’68 MI CHIEDEVANO CANZONI POLITICHE. NON CAPIVO CHE CACCHIO INTENDESSERO. ALL'EPOCA MI FACEVO DI COCAINA, ARRESTARONO IL MIO PUSHER E RIMASI SENZA. ALLORA RICOMINCIAI A SCRIVERE E CANTARE” – A TORINO PER PRESENTARE L'AUTOBIOGRAFIA AL SALONE DEL LIBRO, RICORDA “UNA DOLCISSIMA RAGAZZA TORINESE MORTA IN MACCHINA UNA SERA DI NEBBIA” – VIDEO -
Estratto dell’articolo di Luca Castelli per https://torino.corriere.it/
È tempo di battesimi per Gino Paoli. Giunto a ridosso del novantesimo compleanno (il 23 settembre), il maestro della canzone d’autore debutta giovedì 9 maggio al Salone del Libro, presentando alle 18.15 in Sala Rossa la sua prima autobiografia Cosa farò da grande (Bompiani, scritta con Daniele Bresciani), che «come tutte le cose della mia vita mi è capitata addosso».
Fu così anche con la musica?
«Sì, facevo il grafico pubblicitario e Gianfranco Reverberi mi convinse a registrare alcune canzoni che voleva presentare alla Ricordi. Nanni Ricordi, uomo straordinario che stava portando l’etichetta dalla classica alla leggera, disse: “Le canzoni forse non mi interessano, ma il cantante mi piace”. Per due anni l’ho fatto per gioco, finché il direttore della ditta mi fece notare che per una serata prendevo il doppio di quanto mi dava lui di stipendio: “Non pensi sia il caso di lasciare il lavoro?”».
Da allora non l’ha più mollata?
«Solo nel ‘68, quando hanno iniziato a chiedermi canzoni politiche. Non capivo che cacchio intendessero: per me la vita è politica. Non avevo più voglia di cantare, magari finendo pure “processato” come De Gregori. Così trovai un casinò a Levanto che aveva bisogno di un gestore e per qualche anno lavorai lì. Facevo tutto, organizzavo anche concerti grazie all’amicizia con Sergio Bernardini della Bussola».
Quando ha deciso di tornare a cantare?
«In quel periodo mi facevo un po’ di cocaina, un giorno hanno arrestato il mio pusher e sono rimasto senza. Avevo continuato a scrivere delle cose, sono andato a rileggerle da “sano” ed erano orrende. Non sopporto la mancanza di controllo su me stesso, quindi ho smesso di farmi e ripreso a scrivere. Finché Gianni Borgna mi ha convinto a tornare su un palco al Pincio a Roma. Avevo una fifa terribile, ho cantato 15 minuti e sono scappato, ma il pubblico continuava a chiamarmi».
Molti suoi colleghi hanno scritto romanzi. Non ha mai pensato di darsi alla letteratura?
«Avrò iniziato a scrivere un libro almeno dieci volte, ma intorno a pagina 111 ho sempre buttato tutto. Credo molto nelle parole, nella loro magia, consistenza, significato: la parola è ciò che definisce l’uomo e lo distingue dalla scimmia. Quando devo metterne una vicina all’altra divento pignolissimo, completare un libro per me è troppo difficile».
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Se le dicessero che può auto-candidarsi al Nobel, con quale delle sue canzoni lo farebbe?
«Quella che è riuscita meglio a trasformare un’emozione astratta in fatto concreto è Sassi».
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GINO PAOLI TENTATO SUICIDIO
La musica d’autore andrebbe insegnata a scuola?
«Sì, ma nel modo giusto. I poeti — Carducci, Pascoli, Leopardi — sono stati massacrati dalla scuola, che cercando di imporli li ha resi polverosi. Quando poi li riscopri da adulto, ti rendi conto di quanta bellezza ci sia nell’albero a cui tendevi la pargoletta mano, il verde melograno da’ bei vermigli fior...».
Qual è stata la sua scuola di musica?
«Il primo contatto vero fu grazie ai carri armati americani. La mia casa era l’ultima di Pegli, dietro c’era il loro comando e si erano portati dietro persino i giradischi. Dai carri usciva la musica fantastica di Louis Armstrong e altri. E visto che avevano solo roba in scatola, erano golosissimi di cibo fresco e noi avevamo un orto di guerra, scambiavo un pomodoro con un disco».
Qual è invece il più bel ricordo di Torino?
«I ricordi più belli sono sempre legati a una donna. A Torino, tanto tempo fa, conoscevo una ragazza carinissima e dolcissima che purtroppo è morta in macchina una sera di nebbia»
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Seguici sul:https://notizieoggi2023.blogspot.com/2024/01/chiara-ferragni-come-risalire-dal-fondo.html Chiara Ferragni, come risalire dal fondo: la soluzione choc Sta venendo giù tutto. Fedez è nervoso, Chiara prima piange, poi è serena, poi ammette e si scusa, poi impugna la sentenza, poi parte con i saldi. Sono messaggi troppo contrastanti di chi non sa più che fare. Sembra tutto fatto a caso. Questa task force assoldata per la crisis management sarebbe meglio chiamarla task forse. Certo, se poi, a seguito di un pasticcio come il Pandoro-gate ti consigliano di puntare sul vittimismo e pubblicare un video di ammissione in lacrime che doveva servire ad arginare la situazione e che invece l’ha definitivamente affossata, allora il problema diventa irrecuperabile. Negare, negare e ancora negare: è questa la regola. La scelta del “far finta di nulla” adottata nel dicembre 2022, quando già Selvaggia Lucarelli fece uscire gli articoli che spiegavano le ombre dell’operazione Pandoro Ferragni/Balocco, aveva funzionato: per tutto l’anno successivo nessuna ripercussione sul personaggio di Chiara Ferragni e nessuna crisi reputazionale per le sue aziende. Per questo motivo, quel video non andava assolutamente fatto. Ammettendo pubblicamente di aver sbagliato, anche coloro che fino a quel momento le credevano sulla parola hanno smesso di farlo. Qualcuno accetterà le scuse, ma la maggior parte non lo farà. La gente perdona tutto e tutti, tranne chi scherza con i bambini malati. Vedi cosa succede con tutte le notizie relative a chi evade le tasse, un fatto forse più grave: ma se frodi lo Stato va bene, sei perdonato, perché lo Stato è cattivo, mentre se giochi con le operazioni benefiche cadi in buco nero. Se prima Chiara Ferragni era vista come la principessa intoccabile di bellezza e carità, adesso abbiamo capito che non è proprio così. E non basteranno due foto della figlia Vittoria per far tornare tutti i brand che se ne stanno andando a gambe levate, preoccupati a loro volta di una crisi reputazionale. Come avevo già spiegato in passato, Chiara Ferragni non è una donna, è un brand. E come ogni brand, si muove per aumentare il proprio fatturato, per far conoscere maggiormente la sua immagine, per preservare i propri interessi. Ciò che inizialmente poteva sembrare una comune “mossa astuta di marketing”, una pratica frequente fatta da molte aziende, con le decisioni comunicative adottate successivamente è sembrato un modo per uscirne pulita e in maniera anche virtuosa attraverso una grande donazione. Uno sforzo vano, tant’è che, una volta uscita la notizia dell’avvenuta donazione all’ospedale Regina Margherita di Torino, promessa nel video di scuse, il commento sarcastico più diffuso tra gli utenti online è stato: “Molto spontanea, questa donazione”. Ma come si risale una volta toccato il fondo? Serve un cambio di rotta totale, bisogna difendersi attaccandosi. Chiara, ho io la soluzione. Crea una maglietta con la scritta “TRUFFATRICE”, che poi sarebbero le parole scritte da un vandalo sulla vetrina del tuo negozio. Rispondi all’attacco attaccandoti. Le settimane della moda sono alle porte: immagina Versace che ti fa sfilare indossando una maglia con la scritta “BANDITA”. Sarebbe un coup de theatre. La gente dirà: “Tutto sommato, che ha fatto lei per meritarsi questa gogna”, mettendoti a paragone di altri personaggi che commettono reati molto più gravi. Nessuno potrebbe più accusarti, anche perché saresti tu la prima a farlo, a riconoscere il problema e a giocarci sopra. Ne usciresti trionfante: depotenzi le offese e riaffermi il tuo brand. Certo, ci vuole coraggio, ma la moda è coraggio e, come ti ha creata, ti salverà. Ma, Chiara, attenzione a utilizzare questa idea senza avvisarmi, perché io e la mia avvocata siamo pronti. * Pubblicitario & Presidente dell’Associazione Nazionale Social Media Manager
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Giuliana Mancinelli Bonafaccia: Dihedra e Fine, la bellezza è purezza
Ogni nuova collezione nata dalla bravura preziosa di Giuliana Mancinelli Bonafaccia è una nuova occasione di esplorazione di quella peculiare suggestione in cui la poesia della ricerca si allaccia alla concretezza. Le sue sono opere di fashion jewelry pregiate nella sostanza orafa artigiana, e felicemente riconoscibili nell’apparenza d’ispirazione al contempo potentemente essenziale, eppur profondamente sofisticata: creazioni che mostrano la bellezza con un gesto ribelle di semplificazione meticolosa, che plasmano la forma con un gesto di design che è un progetto sempre rinnovato di sinfonia tra funzione decorativa ed estetica stilosa.
Quella di Giuliana Mancinelli Bonafaccia è un’intenzione creativa che, nel caso delle collezioni più recenti, si aggancia ancor più forte al desiderio di purezza: che non è il minimalismo spoglio, bensì è la consapevolezza di concedere alla geometria l’autorevolezza affascinante di portare in superficie i suoi significati più autentici, concentrandoli in una manciata di creazioni dal gusto pulito perfettamente contemporaneo, squisitamente personale, immancabilmente originale.
Architettura e natura: ecco il binomio alla base dell’indole creativa di Giuliana Mancinelli Bonafaccia, che guida alla collezione ultima, ribattezzata Dihendra: un nome che a scomporlo nei suoi strati linguistici svela l’appartenenza al lessico della geometria, esattamente come accade per il simbolo che, in qualità di logo del brand, da icona rappresentativa del mondo di Giuliana Mancinelli Bonafaccia diviene anche fil-rouge della collezione. Ovvero: l’icosaedro.
La vedete, dunque, quella che a un primo sguardo sembra una borchia, un bullone plasmato nella materia preziosa, e che si sposta lungo le linee di orecchini, anelli, bracciali e pendenti, per andarsi ad incastonare in punti sempre diversi?
Ecco, la sua origine ha per l’appunto a che fare con l’icosaedro: parola complessa, che rievoca il suono antico della lingua greca che gli ha dato il nome tecnico. Ma anche un significato che dal pratico sfuma nel mistico, ad opera soprattutto di Platone, il quale l’ha inserito tra i cinque poliedri regolari, figure che nella loro simmetria perfetta sono gli elementi fondanti della geometria, ma anche della natura del mondo di cui siamo parte integrante. Per indagare più nel profondo bisogna leggere il dialogo intitolato “Tmeo”, l’opera scritta in cui Platone illustra l’opera di generazione dell’universo da parte del Demiurgo che assume i cinque poliedri in virtù delle loro proprietà associandoli ai cinque elementi della natura: «alla terra diamo la figura cubica, perché delle quattro specie la terra è la più immobile, e dei corpi il più plasmabile […] e poi all’acqua la forma meno mobile delle altre (icosaedro), al fuoco la più mobile (tetraedro), e all’aria l’intermedia (ottaedro): e così il corpo più piccolo al fuoco, il più grande all’acqua, e l’intermedio all’aria […] Restava una quinta combinazione e il Demiurgo se ne giovò per decorare l’universo (dodecaedro)» Perfette sono le figure geometriche dei poliedri regolari, perfetta è la natura: ecco il principio di totale, perfetta armonia che li unisce.
Nel cuore di Dihendra c’è un elemento essenziale di tutto questo, ovvero l’angolo diedro: concetto tecnico ben comprensibile a chi l’architettura e le sue discipline tecniche le pratica con saggezza, ma per noi tutti ci basti immaginarlo come l’estensione del concetto di angolo nello spazio. Ed in effetti, come fosse un gioco di affinità, i gioielli della collezione sembrano essere l’estensione nello spazio del concetto di bellezza espressa nella purezza geometrica e nella fattura preziosa dei dettagli: linee asciutte che abitano lo spazio intorno al corpo costruendo forme tridimensionali, così nascono gli orecchini chandelier, e quelli curvilinei che si appigliano a uncino, le maxi-creole impreziosite da perle e cristalli, i cuff che si arrampicano grintosi sul bordo dell’orecchio.
E ancora: i bracciali a forma di scudo, i pendenti e gli anelli che sembrano sospesi sulle dita, tutti realizzati in ottone placcato oro 18kt, rodio e rutenio ultrablack La ricerca di purezza s’impreziosisce nella linea Fine: sembra quasi fluttuare e brillare nell’aria la sfera che pende dalla collana e dagli orecchino sottili, che culmina sull’anello sottile affianco alle fedine preziose. Creazioni plasmate in oro 9kt, 14kt e 18kt e arricchite dai bagliori della lavorazione a diamantatura fatta a mano.
E mentre lo stesso Platone, nel Timeo, a proposito dei suoi poliedri conferma che è inutile impiegare tempo a cercarne altri perché "non accorderemo a nessuno che vi siano corpi visibili più belli di questi”: Giuliana Mancinelli Bonafaccia restituisce un simile valore di unicità alla bellezza, sostituendo l’inutilità del tempo scandito dalla stagionalità alla buona pratica della rivisitazione dei pezzi migliori natai dalla buona creatività.
Silvia Scorcella
{ pubblicato su Webelieveinstyle }
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A qualunque persona istruita — e in un qualunque momento storico fra il 1750 e il 1930 — fosse stato chiesto di descrivere lo scopo della poesia, della pittura, della scultura o della musica, la risposta sarebbe stata: “La bellezza”. E, se aveste chiesto ragione della risposta, vi avrebbero insegnato che il bello è un valore importante almeno quanto il vero e il bene.
Poi, nel secolo XX, la bellezza ha smesso di essere importante. Il fine dell’arte è diventato con sempre maggior frequenza quello di turbare, di rompere tabù morali. Non è più stata la bellezza a essere glorificata, ma l’originalità, comunque raggiunta e a qualunque costo morale.
Non solo la pittura e la scultura hanno affermato il culto della bruttezza; anche l’architettura è diventata senz’anima e sterile. E non è solo ciò che fisicamente ci circonda a esser diventato brutto: il nostro linguaggio, la nostra musica e le nostre maniere sono diventati sempre più scabri, egocentrici e offensivi, come se la bellezza e il buon gusto non trovassero più un loro posto nelle nostre vite.
Una parola è scritta a chiare lettere su tutte queste brutte cose. Questa parola è: “Io”. Il “mio” guadagno, i “miei” profitti, i “miei” desideri, il “mio piacere”. E l’arte non ha null’altro da dire in risposta a quest’atteggiamento se non: “Bene! Vatteli a prendere!”.
Personalmente, penso che stiamo rischiando di perdere la bellezza. E vi è il pericolo che, con lei, perderemo anche il senso della vita
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-uomini ignorati dai media perché non cavalcano l'onda: quelli da recuperare.
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"Alienazione. Non mi viene in mente altro termine. Alienazione quando, al mattino, metto insieme le forze per alzarmi dal letto, preparare la colazione, vestire mia figlia, vestire me, cercare di non privare mio marito di un sorriso e qualche stralcio di buona conversazione. Quando lo lascio alla fermata del bus diretto al lavoro, lui. Quando mi inoltro tra i banchi del mercato facendo mente locale su quanto serve per casa. Quando mi dedico alle faccende domestiche, i letti, il bucato, i piatti, e faccio ingoiare all’aspirapolvere i miei sogni di giovane donna. Quando la mia unica interlocutrice di lunghe mattinate è la mia gatta. Quando mi accorgo con rabbioso scoraggiamento che i miei orari sono gli stessi dei pensionati del mio palazzo. Quando mi toglie il respiro il pensiero che le mie capacità intellettuali possano un giorno, semplicemente, cigolare, arrugginirsi, invecchiare. E per evitarlo non resta che interessarsi a tutto, con ostinazione: politica, cultura, questioni sociali. Alienazione al tavolo della libreria su cui passo ore a leggere libri che poi riporrò sullo scaffale. O quando stancamente leggo annunci di lavoro. Venditore, agente, operatore, animatore, hostess-bella-presenza, promoter, contabile, consulente, estetista. Il mondo non vuole correttori di bozze. Al mondo non interessa la bellezza della parola scritta.
Alienazione quando le tasche vuote consentono, unico capriccio, di girovagare per il centro, cercando un po’ di bellezza dove ancora la si può trovare. C’è tanta gente, ma nessuno sembra alienato quanto me. Chi sono, hanno un lavoro? Come, e perché? E diviene quasi ossessione. Quando vado a prendere mia figlia a scuola inizia il secondo capitolo della giornata. Faccio in modo che l’immagine di me che voglio trasmetterle, farle ricordare, sia quella che in realtà, ora, non è: forte, allegra, entusiasta, stimolata e stimolante. Qualche volta perdo la pazienza. Le chiedo scusa in silenzio. Alienazione quando torna mio marito e vorrei tanto gratificarlo con la mia leggerezza, di cui pure sono stata (e sono?) capace. Ma tutto rischia, al minimo volgere di sguardo, di ricoprirsi di una patina bruna, opaca. E il giorno, un altro, si conclude, si rimette tutto in ordine, si scorrono velocemente i canali tv in cerca di qualche bel film, si rimboccano coperte, ci si distrae con qualche lettura, si spegne la luce e io mi invento strategie, gratto dal fondo del barile qualche buona idea, mi aggrappo al pensiero di un progetto, l’ennesimo, un master all’università quando la mia laurea è già vecchia di dieci anni, l’ultima possibilità, mi dico non senza horror vacui. E nelle ore, nei giorni, passare in rassegna le scelte fatte, i torti subiti, le opportunità perdute, farsi carico di ogni responsabilit��, ed è un lungo viaggio, che parte da lontano. Perché, con un compagno crudele al fianco come solo il tempo sa essere, ci si scopre i più severi giudici di se stessi."
Fonte: Doppiozero, Anna. M. B.
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Una settimana fa ho rischiato di fare un incidente frontale in macchina. Non per colpa mia, fortunatamente. Un camion non mi aveva vista e mi stava per venire contro. È stata una bruttissima sensazione, ho frenato forte e ho suonato il clacson, poi, come per istinto, ho chiuso gli occhi. Giuro che avevo pensato al peggio. Ma non ho sentito alcuna botta, allora ho riaperto gli occhi: ci eravamo fermati a mezzo cm di distanza l'uno dall'altro. Salvati per un pelo, letteralmente. A volte mi chiedo cosa sarebbe successo se il camion non avesse frenato forte, penso che non sarei più qui a scrivere queste cazzate, chissà dove sarei... Forse in ospedale, o forse il mio nome sarebbe già stato dimenticato. Perché le persone possono piangere un giorno, ma poi la vita va avanti, per chi rimane. A volte vorrei quasi che fosse successo, poi penso che sono una cretina, che anche stavolta qualcuno deve avermi voluto bene. E sono ancora qua... Eh... già...
Eh già… la vita è un soffio. Un battito di ciglia e tutto può cambiare, finire, svanire nel nulla. Oggi siamo qui, con le nostre ansie, le nostre paure, i nostri sogni a metà… e domani? Domani è solo un’ipotesi, una possibilità fragile come un filo sottile nel vento. Ci affanniamo, corriamo, rimandiamo. “Lo farò domani”, diciamo, come se il domani fosse una certezza scritta da qualche parte. Ma la verità è che non lo è. Basta un attimo, una distrazione, un caso, e tutto si spezza. E allora cosa rimane? I ricordi negli altri, forse. Ma anche quelli si sbiadiscono col tempo. La vita va avanti, sempre. Senza aspettare nessuno. Eppure siamo qui. Ancora. A respirare, a sentire il cuore battere forte dopo aver sfiorato l’abisso. Forse per caso, forse per destino.
Forse perché c’è ancora qualcosa che dobbiamo fare, qualcuno che dobbiamo incontrare, una parola che dobbiamo dire. E allora andiamo avanti, con la consapevolezza che ogni giorno è un regalo che potrebbe non ripetersi. Viviamo come se fossimo eterni, rimandiamo parole, scelte, sogni, come se il tempo fosse una moneta infinita nelle nostre mani. Ma il tempo non ci appartiene davvero. Un giorno siamo qui, con le nostre abitudini, i nostri affetti, il battito rassicurante della quotidianità. Il giorno dopo… chissà. È un pensiero che fa paura, ma anche che, in un certo senso, dà valore a ogni istante. Perché se tutto fosse infinito, niente avrebbe davvero importanza. È proprio la fragilità della vita a renderla preziosa. E allora, forse, l’unica cosa che possiamo fare è viverla davvero. Dire ciò che sentiamo, amare senza riserve, guardare il cielo e sentire la bellezza di esserci, adesso. ❤️
#pensieri#incidente#rischio#scrivere#regalo#quotidianità#morte#paura#oggi#crescita#vita#fragilità#emozioni#senso della vita#fragile#parole#scelte#infinito#giorno
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I PREFERITI DEL MESE #23, #24 e #25: Novembre, Dicembre e Gennaio
Quasi non riesco a credere che sia finito un altro anno, e che sia finito un altro mese. Come siamo arrivati a febbraio 2022 io stento davvero a crederlo. Quando parlo mi sembra ancora di riferirmi al 2019, e invece sono passati quasi due anni da inizio pandemia. Siamo oltre, siamo già oltre. E se novembre è stata una lunga corsa ad ostacoli in cui mi sono finalmente riuscita ad assestare nel mio nuovo lavoro, sono contenta di essere riuscita a vedere le mie amiche, sono contenta di essere riuscita a muovere dei passi verso una stabilità che mi sembrava sempre mancare. Ho riabbracciato una carissima amica, e un mio ex collega e amico, con cui non ho fatto neanche una foto ma che mi ha riempito di gioia. Abbiamo inaugurato il periodo natalizio a dicembre con una gita a Verona che non avevo mai avuto occasione di visitare e che mi è molto piaciuta. Entrare nell’Arena mi ha molto colpito, ho sempre pensato fosse molto più grande. Tra merende in una delle nostre torterie preferite e cene improvvisate sono tornata a casa dei miei per Natale. Tempo di festeggiare tra un pezzo di baccalà fritto e un po’ di ragù e l’anno era già bello che andato. Ho festeggiato il capodanno tra scoppi di gioia, un karaoke un po' stonato e tequila mentre già albeggiava e non potevo desiderare un inizio anno migliore.
A gennaio ho festeggiato i due anni dall'anniversario della mia liberazione, un compleanno specialissimo, gli incontri con alcune delle mie amiche più care e soprattutto la terza dose di vaccino (boosterizzata con Moderna, again). Mentre siamo tornati a lavorare fissi in smartworking e io sono rimasta a casa dei miei, mi sono congelata durante i giorni della merla e spero che questo inverno finisca presto per tornarmi a godere il caldo e le giornate più lunghe.
Comunque, per cambiare le carte in tavola e dare una rinfrescata a questo blog, da inizio anno ho deciso di portare qui su questo spazio di web una delle rubriche che più mi piace guardare su Youtube e che sostanzialmente dimostra che non mi so inventare niente, ma che amo inglobare nel mio modo di essere espressioni, modi e idee che mi colpiscono l’immaginario. “I preferiti del mese” è un format che forse non si presta molto alla parola scritta ma ci proviamo, che tanto se non funziona lo facciamo funzionare a modo nostro.
Enjoy!
MUSICA
La mia solita playlist che mi accompagna nelle attività più disparate si è arricchita con un brano del mio bias dei BTS: Jin infatti ha interpretato “Yours” una delle ost del drama Jirisan uscita lo scorso novembre e da allora la ascolto imprescindibilmente tutti i giorni. La voce di Jin racconta una storia tormentata e dolcissima, e la canzone è di una bellezza allucinante, potrei essere completamente di parte, lo so, ma io innamorata persa di Jin. Per il suo compleanno, il 4 dicembre, ha lanciato nell’etere una canzone dal sapore trot, fin troppo breve, che racconta del suo amore per la pesca, scritta in un momento di relax in barca con il suo produttore, è diventata virale nel giro di poche ore: “Super Tuna”. Accompagnata da un balletto semplice ed effetto ha lanciato una challenge accolta da qualsiasi tipo di organizzazione e personaggio a dispetto delle vere intenzioni di Kim Seokjin tanto per ribadire il potere che ha sul mondo delle Army e non solo.
Tanto per dire che oramai Tiktok imperversa di riflesso anche nella mia vita o comunque condizionata irrimediabilmente dai reel di Instagram ho iniziato ad ascoltare in maniera fin troppo ossessiva “Groupies” di Cate Canning super catchy mi è entrata immediatamente nel cervello. Mentre guardavo una serie su Netflix “Guida astrologica per cuori infranti” ho ascoltato “De Niro” di Angelica e ho iniziato a canticchiarla in loop finché non l’ho aggiunta alla mia playlist. E tanto per non farci mancare niente ho iniziato ad ascoltare in maniera un po’ ossessiva anche “Born Singer” dei BTS che vedrei bene in uno di quei film che raccontano l’ascesa di successo nel mondo della musica.
LIBRI
Visto che dei libri che mi sono piaciuti molto lo scorso anno ho parlato nel post di recap vi parlerò di uno dei libri che ho finito di leggere a gennaio: Papyrus di Irene Valleyo. Si tratta di un saggio molto interessante sulla storia dell’oggetto libro, a partire dalle tavolette di argilla, passando per i papiri arrotolati egizi per finire con il libro che teniamo in mano. È un racconto che si nutre delle suggestioni suggerite dalle esperienze personali dell’autrice. È un viaggio tra aneddoti e curiosità, tra storia e immaginazione e lascia a lettore con la voglia di saperne ancora. Questa la trama: “Questo è un libro sulla storia dei libri: libri di fumo, di pietra, di argilla, di giunchi, di seta, di pelle, di alberi e, gli ultimi arrivati, di plastica e di luce. Ma è anche un libro di viaggio che percorrendo le rotte del mondo antico fa tappa tra i canneti di papiro lungo il Nilo, sui campi di battaglia di Alessandro, tra le stanze dei palazzi di Cleopatra, nella Villa dei Papiri di Pompei prima dell’eruzione del Vesuvio, sul luogo del delitto di Ipazia, e poi nelle scuole più antiche dove si insegnava l’alfabeto, nelle prime librerie e nei laboratori di copiatura manoscritta, fino ad arrivare davanti ai roghi dove sono stati bruciati i libri proibiti, ai gulag, alla biblioteca di Sarajevo e ai sotterranei di Oxford. Papyrus è un racconto personalissimo, dove l’esperienza autobiografica si intreccia a evocazioni letterarie e a storie antiche, e dove un filo invisibile collega i classici con il frenetico mondo contemporaneo e i dibattiti più attuali: Erodoto e i “fatti alternativi”, Aristofane e i processi agli umoristi, Tito Livio e il fenomeno dei fan, Saffo e la voce letteraria delle donne, Seneca e la post-verità. Ma questo libro è soprattutto una favolosa avventura collettiva che ha come protagoniste le migliaia di persone che nel corso del tempo hanno salvato e protetto i libri: cantori, scribi, miniatori, traduttori, venditori ambulanti, insegnanti, maestri, spie, ribelli, suore, schiavi, avventurieri... lettori al riparo delle montagne o di fronte al mare in tempesta, nelle grandi capitali dove l’energia si concentra o nelle comunità più remote dove il sapere si rifugia quando fuori infuria il caos.” È un libro molto interessante che tratteggia la nascita e l’evoluzione di un oggetto che ancora oggi influenza la nostra vita.
FILM & SERIE TV
Vi parlerò solo di un film su cui ho versato tutte le mie lacrime: “Encanto” uno degli ultimi film di animazione della Disney che io ho guardato su Disney+ e che non mi aspettavo minimamente. Mirabel Madrigal è una dei membri di una famiglia eccezionale, a cui è stato concesso un “miracolo”: ogni membro della famiglia ha un dono particolare con cui poter aiutare il villaggio in cui vivono e loro stessi, peccato che Mirabel invece ne resta sprovvista. Nonostante la ragazza non ne sia particolarmente turbata, resta comunque in “attesa di un miracolo” e la nonna, la matriarca della famiglia, non fa che sottolineare la sua mancanza di capacità. Quando il più piccolo della famiglia riceve il suo dono, emergono le difficoltà e le ansie di tutti i membri della famiglia: ognuno di loro proietta una immagine perfetta nascondendo tutto quello che non va, c’è il dono e non c’è altro. Mirabel vuole aiutare la sua famiglia e per farlo si mette sulle tracce dello zio Brano scomparso anni prima e di cui non si parla. Scavare nelle complessità di una famiglia disfunzionale è difficile ma ciò che mi è più piaciuto del film è il ruolo di Mirabel, il suo essere perfetta così come è, nonostante la mancanza di un dono. Non sono le capacità che la rendono preziosa e importante. La musica e i colori della Colombia rendono “Encanto” una bellissima esperienza visiva e colpiscono dritto nel segno nel cuore degli spettatori.
BEAUTY
La vera svolta che ho introdotto nella mia routine, oltre ad aver tagliato i capelli, è stata acquistare questa meravigliosa palette di Nyx. E me ne sono completamente innamorata e ho creato dei look pazzeschi, tra l’altro l’oro raga è super pigmentato per capodanno è stato molto bello da indossare. Tra l’altro adesso che sono dai miei mi sono resa conto di averla lasciata a Torino e un po’ mi mangio le mani. Mannaggia.
CIBO
Ci sono varie cose di cui vorrei parlare per la sezione cibo. Sicuramente i tortellini fritti che ho mangiato a casa di Chiara per inaugurare il Natale, di una bontà senza precedenti.
Oppure dei Grisbì con dentro la crema dei Baci Perugina che ho comprato in un momento di sconforto e ho centellinato per giorni perché non volevo finirli.
O anche i cupcake di Tauer mangiati in una delle innumerevoli merende di dicembre passate nella torteria prima che chiudesse.
Oppure il babà con la crema che abbiamo mangiato per Natale e che ancora mi sogno la notte.
RANDOM
Davanti Palazzo Reale, nella piazzetta che poi affaccia su piazza Castello è stata allestita "In Between" una mostra di arte contemporanea con le sculture di Fabio Viale che prosegue poi all’interno del palazzo. Si tratta di alcune sculture famose riprodotte coperte di tatuaggi. A caratterizzare il lavoro di Fabio Viale è di sicuro la contrapposizione tra la purezza marmorea di possenti corpi e delicate figure femminili, capolavori di maestri come Canova e Michelangelo, con l’aggressività dei tatuaggi colorati, provocatori, che emergono dalla pelle. Capita quindi di riconoscere la riproduzione e poi rimanere shockati dal contrasto con i colori e le forme che compaiono sul liscio marmo bianco. La mostra si è conclusa il 9 gennaio ma è stata estremamente interessante.
Come vi dicevo all’inizio di dicembre ho avuto l’occasione di fare un salto a Verona e oltre a mangiare molto bene e a visitare l’Arena, che mi aspettavo mooolto più grande di quello che è davvero, sono riuscita a dare uno sguardo anche al famosissimo “Balcone di Giulietta” gli spazi ristretti, la gente e le norme anti-Covid non ci hanno permesso di soffermarci a lungo ma sembra incredibile che uno spazio del genere sia sopravvissuto ai secoli per essere restituito a noi che ancora ascoltiamo “Romeo e Giulietta” e la osanniamo come “LA TRAGEDIA”.
Con le mie amiche a gennaio sono anche stata in visita alla Fondazione Prada a Milano. Abbiamo visitato “Atlas” un progetto nato da un dialogo tra Miuccia Prada e Germano Celan che riunisce opere realizzate tra il 1960 e il 2016, rappresenta una possibile mappatura delle idee e delle visioni degli artisti che hanno contribuito allo sviluppo delle attività della Fondazione nel corso degli anni. E siamo anche state a visitare la mostra dedicata a Domenico Gnoli: una sezione cronologica e documentaria con materiali storici, fotografie e altre testimonianze contribuisce a ricostruire il percorso biografico e artistico di Gnoli a più di cinquant’anni dalla sua scomparsa. L’arte contemporanea è un atto di fede e un insieme di interpretazioni che portano il visitatore a scavare dentro di se in un mare di dettagli ed è proprio questo che mi affascina di più.
E voi che avete combinato negli ultimi mesi?
Raccontatemelo in un commento.
#Preferiti del mese#novembre#dicembre#gennaio#musica#libri#serie tv & film#beauty#cibo#random#bts#papyrus#torino#friends
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- L’angelo caduto - cap.9
"Le persone legate dal destino si troveranno sempre a vicenda" THE WITCHER
Splendenti raggi solari bucano la fitta coltre di nuvole bianche, squarciando il cielo con la loro intensa luce. La nebbia che avvolge l'alta collina si dissolve, lasciando che il grande maniero del conte Straud sia visibile in tutta la sua oscura perfidia. I tetti appuntiti neri, le mura di un grigio antracide e le alte finestre oscurate osservano la bellezza di quella mattinata assolata, dove la luce si riflette contro la bianca neve emanando un'aura brillante, quasi accecante.
Il comandante Cullen cammina da solo nel fitto bosco di abeti, il rumore della neve che si infrange sotto i suoi passi. Non sembra sentire freddo, riscaldato dall'astro infuocato che governa un cielo ora terso. Il suo animo è tranquillo, serenamente contento. Non c'è timore sul suo viso, non c'è più la paura della lotta. Sorride alla vista della sua amata che lo saluta da lontano, pronta a correre verso di lui e gettarsi tra le sue braccia. L'idillio perfetto dopo anni di sanguinosa lotta per la sopravvivenza dell'umanità, anni di rinunce, di paure, di progetti rinviati. La luce che inonda il piccolo borgo oscuro di Forgotten Hollow è il simbolo della rinascita, del non temere più il buio della notte e le sue creature che si aggiravano tra quelle strade, pronte a porre fine ad un'altra vita umana senza pietà. Ed eccoli lì, gli eroi silenziosi di quella battaglia, la ragazza prescelta dal destino per porre fine a quel lungo capitolo di crudeltà, e il giovane comandante di un insolito esercito, compagno nella guerra e nella vita. Sono a pochi passi l'una dall'altro, si guardano, sorridono, una nuova vita pronta per essere scritta tra le pagine bianche di un altro libro dove non c'è più il male ad affliggere il mondo. Ancora un passo...
Un istante e il mondo idilliaco va in pezzi. La nebbia torna ad avvolgere la collina che sovrasta il piccolo borgo di Forgotten Hollow, il sole scompare dietro una fitta coltre di nuvole scure e il buio torna a dipingere le strade. Come un fuoco che divampa all'improvviso, la lunga chioma rossa appare alle spalle del comandante. Lo sguardo di lui si tramuta, il sorriso si dissolve e il terrore riempie i suoi occhi chiari. Un grido squarcia il silenzio della grande vallata. La cacciatrice tenta invano di muoversi in soccorso dell'uomo che ama, ma è tutto inutile. La vampira afferra il collo del comandante e in un secondo è tutto finito. I denti affilati affondano nella pelle dell'uomo in profondità bucando i tessuti e i muscoli fino alla giugulare dissanguandolo in pochi attimi. Il corpo freddo e inerme dell'uomo cade a terra con un tonfo sordo nella neve fredda e opaca, mentre la risata della vampira sovrasta il grido della cacciatrice sconfitta. L'uomo che ama non c'è più. Ne resta solo una carcassa vuota, senza più battiti, senza più anima.
Le sue urla di terrore riecheggiarono nella grande casa vittoriana. "Svegliati!" sussurrò una voce maschile scuotendola dal torpore. "No, ti prego. Cullen..." mormorò la cacciatrice in preda ai deliri. Un sussulto e i suoi grandi occhi celesti si aprirono. Le luci tenui della piccola stanza da letto la aiutarono a mettere a fuoco i dintorni non riconoscendoli. "Dove mi trovo?" domandò Helena guardandosi attorno. "Sei a villa Vatore, cacciatrice" rispose la stessa voce maschile che aveva tentanto di svegliarla pochi istanti prima. Helena accortasi di indossare soltanto la biancheria intima, tentò di coprirsi con le mani, ma una fitta di dolore al braccio la fece desistere.
"Chi sei?" domandò ancora osservando il suo misterioso interlocutore "Cosa è successo?" "Mi chiamo Caleb Vatore, cacciatrice. Non ricordi cosa è accaduto qualche notte fa?" chiese di rimando. "Io ricordo di essere stata attaccata da un gruppo di vampiri e poi quella rossa...tu...tu sei venuto ad aiutarmi?!" domandò retoricamente. Caleb fece cenno di assenso senza aggiungere altro. "Grazie, Caleb. Sarei probabilmente morta senza il tuo aiuto" concluse la cacciatrice. "E' stato un onore, cacciatrice." rispose l'uomo abbozzando un sorriso. La sua pelle era stranamente molto pallida, quasi lucida sotto le luci tenui della stanza. Gli occhi avevano la stessa tonalità del ghiaccio che contrastavano sotto i folti capelli scuri. Helena lo osservò attentamente, ma non disse una parola, benchè un dubbio si fosse insinuato nella sua mente. "Io ora ti lascio tranquilla. I tuoi abiti sono su quella poltrona lì" annunciò Caleb indicando la seduta nell'angolo. "Se hai fame scendi pure al piano inferiore. C'è del cibo in cucina appositamente per te. Io sarò nel salone, se avrai bisogno di qualcosa" "Caleb, dove siamo?" domandò Helena confusa. "A casa mia, te l'ho detto" rispose Caleb. "Intendevo in che posto" incalzò Helena, mentre i suoi dubbi si facevano sempre più pressanti. Caleb con un sospiro confessò "A Forgotten Hollow..."
La cacciatrice sussultò mentre i pezzi di un puzzle invisibile andavano ad incastrarsi alla perfezione. Le tende tirate e scure nella stanza, l'arredamento antiquato e la carnagione di Caleb potevano significare soltanto una cosa. "Sei un vampiro" annunciò Helena con lo sguardo attonito, fisso su Caleb. "Si, ma non temere. Non ho intenzione di farti del male. Se avessi voluto ucciderti lo avrei fatto quella notte e non mi sarei preso cura delle tue gravi ferite" dichiarò il vampiro sorridendo appena e mettendo in mostra i canini allungati. "Suppongo di dovermi fidare di te..." mormorò Helena abbassando lo sguardo e notando le pesanti fasciature che avvolgevano il suo corpo in più punti. Sull'addome la macchia di sangue era ancora visibile sulle bende, segno che in quel punto aveva subito forse il danno maggiore. "Caleb...da quanto tempo sono qui?" domandò poi. "Tre notti. Le ferite erano molto gravi quando ti ho trovata e non sei stata cosciente fino a questa mattina, ma le cure stanno dando i loro effetti. Presto potrai tornare a cacciare" rispose Caleb, in piedi davanti a lei come una statua di marmo. "Tre notti? Io devo tornare. Mi staranno cercando!" disse Helena mettendosi a sedere sul bordo del letto e tentando di alzarsi. Un capogiro la colse all'improvviso facendola ricadere di peso sul morbido materasso cigolante.
"Sei ancora debole per affrontare tutta quella strada da sola ed io adesso non posso uscire di qui" mormorò Caleb che era andato a sedersi accanto a lei con uno scatto fulmineo. "Ma io devo tornare a casa..." sussurrò lei accigliandosi. "Ascolta, ora riposa un altro pò. Intanto ti preparerò qualcosa da mangiare che possa rimetterti in forze e stanotte ti promettò che ti aiuterò a tornare a casa, se lo desideri." concluse Caleb aiutandola a stendersi. Helena asserì con la testa e si sdraiò di nuovo sul comodo letto abbandonandosi totalmente alla richiesta di riposo che il suo corpo necessitava.
Quando il sole fu alto nel cielo di metà pomeriggio la cacciatrice si ridestò dal suo sonno ristoratore, sentendosi finalmente più in forze e pronta per tornare a casa. Erano passati tre giorni dall'attacco della vampira ed Helena si domandava se i membri dell'Organizzazione l'avessero data ormai per morta e il suo pensiero volò inevitabilmente a Cullen. Aveva bisogno di far sapere a tutti che stava bene, che era viva e che aveva ricevuto un aiuto prezioso dall'ultima persona che si sarebbe mai aspettata. Come era possibile che un vampiro avesse aiutato proprio lei la cacciatrice, colei scelta dal destino per distruggerli tutti? Poteva davvero fidarsi di lui? Si mise a sedere sul bordo del materasso a molle che cigolò sotto il suo peso. La stanza era nella penombra ed Helena desiderò ardentemente aprire le tende per far filtrare un pò di luce esterna. Così si alzò lentamente per paura di un nuovo capogiro e andò verso una delle finestre coperte da pesanti drappi scuri. Afferrò un lembo e tirò, lasciando così che una flebile luce di metà pomeriggio entrasse ad illuminare la grande stanza da letto. Amava il sole e non poteva immaginare come fosse vivere per l'eternità senza più godere di quella meraviglia, benchè anche la sua vita si svolgesse per la maggior parte del tempo nell'oscurità. Raccolse i suoi vestiti sulla poltrona nell'angolo accanto alla porta e iniziò ad indossarli, facendo attenzione a non strapparsi le bende che Caleb le aveva accuratamente messo per coprire le sue ferite. Osservò la sua figura vestita nello specchio da terra dal vetro un pò appannato e pensò a quanto fosse sciocco tenere un oggetto simile in una casa abitata da un vampiro, dal momento che le creature della notte non potevano vedere la loro immagine riflessa su nessuna superficie.
Quando fu completamente vestita, Helena osservò i segni ancora visibili sul suo viso, domandandosi se sarebbero rimaste le cicatrici e fu allora che la sua attenzione cadde su una fotografica incorniciata sulla toeletta in legno chiaro. Ritraeva quattro persone, due donne, un uomo e una bambina di circa 7 anni, sorridenti e vestiti con abiti che, molto probabilmente, risalivano ai primi anni del novecento. La foto era ingiallita dal tempo, ma Helena riconobbe Caleb vestito con una giacca e un paio di pantaloni stretti sul ginocchio. Un berretto copriva i suoi capelli pettinati e il suo sguardo era autoritario, ma al contempo dolce e affabile. Accanto a lui c'era una donna, capelli chiari raccolti in uno chignon e un abito lungo che le fasciava il corpo esile. Un'altra donna coi capelli corti e scuri era in piedi sul lato opposto, anche lei in abito lungo e uno sguardo profondo. La bambina era adorabile con la sua treccia lunga e il vestitino corto e sembrava felice. Helena osservò quei volti domandandosi chi potessero essere le persone accanto a Caleb e se, anche loro, fossero vampiri e si aggirassero tra le mura di quella casa. Non aveva mai visto dei vampiri-bambini e neppure il suo Osservatore ne aveva mai fatto menzione alcuna. Il pensiero di quella bambina trasformata in un mostro immortale fece rabbrividire la cacciatrice. I suoi pensieri però vennero interrotti quando la porta della camera si aprì e la figura di Caleb apparve sull'uscio. La vista del sole che filtrava dalla finestra lo fece rizzare come un gatto spaventato ed Helena si affrettò a tirare di nuovo la tenda. "Perdonami. Volevo solo far entrare un pò di luce naturale" annunciò voltandosi verso il vampiro. "A volte piacerebbe anche a me vedere ancora il sole" dichiarò Caleb rabbuiandosi in volto, più di quanto non fosse già tenebroso. "Caleb, non ho potuto fare a meno di notare quella foto" disse Helena indicando la cornice sulla toeletta "Le altre persone ritratte con te, sono in questa casa adesso?" domandò poi di getto senza pensare alle conseguenze di quella sua richiesta. "Solo mia sorella Lilith...la donna coi capelli scuri" rispose Caleb abbassando lo sguardo. Helena non domandò dove fossero la donna e la bambina fotografate accanto al vampiro, temendo di porre un quesito scomodo all'uomo. Fu Caleb a prendere la parola, asserendo che le avrebbe raccontato una storia, se avesse avuto voglia di ascoltarla. La cacciatrice annuì silenziosamente mentre Caleb le faceva segno di seguirla.
Scesi al piano inferiore della villa, Caleb fece strada ad Helena e l'accompagnò verso il salotto dove il crepitio del fuoco riecheggiava tra le mura. Seduta su una comoda poltrona c'era la donna della fotografia, ma era molto diversa a vederla di persona. Era vestita con un abitino aderente che le fasciava le curve mettendo in risalto i muscoli ben definiti, un paio di calze a rete e tacchi talmente alti che solo a guardarli facevano venire le vertigini. I capelli lunghi e neri erano tirati dietro le spalle lasciando il viso completamente scoperto a metterne in mostra i piccoli occhi color ghiaccio come quelli di Caleb. Il trucco pesante incorniciava il tutto. Non aveva più nulla della donna della fotografia, quell'aria un pò ingenua e l'aspetto delicato di quei tempi andati. Come il fratello il susseguirsi inesorabile dell'eternità con i suoi eventi storici, le guerre, le carestie e le epidemie avevano indurito i suoi lineamenti. "Cacciatrice, lei è mia sorella Lilith" annuciò Caleb. "Salve" disse Helena cercando di trovare qualcosa ad effetto da dire in quella circostanza così anomala. La vampira non rivolse nessun tipo di saluto alla cacciatrice, ma si limitò a guardare il fratello con aria truce. "Lilith non essere maleducata" mormorò il vampiro ricambiando lo sguardo della sorella. "Perdona la sua mancanza di educazione. Mia sorella è sempre stata una ribelle" disse poi rivolgendosi ad Helena. "Magari tua sorella non gradisce la presenza della cacciatrice in casa sua e ne ha tutto il diritto" asserì Helena guardando la vampira. "Esattamente, ma mio fratello fa sempre di testa sua senza mai chiedere nulla. Non è vero Caleb?!" parlò Lilith. La sua voce era profonda, per nulla stridula. "Ne abbiamo già discusso, Lilith. La cacciatrice aveva bisogno di aiuto" ringhiò Caleb. Helena iniziò a sentirsi a disagio in quella discussione tra fratelli, e soprattutto tra vampiri. "E per aiutare lei hai ucciso Lauren, la tua creatrice!" disse Lilith di rimando. "Ho dovuto farlo..." intervenì Caleb, ma non terminò la frase perchè Helena si intromise chiedendo chi fosse Lauren. "Siediti Helena" disse poi il vampiro tornando ad un tono calmo e vellutato chiamandola per la prima volta con il suo nome e non con il ruolo che il destino le aveva imposto "Voglio raccontarti quella storia".
Nel frattempo lontano da villa Vatore e da Forgotten Hollow, a Tiamaranta's Fortress i membri dell'Organizzazione non si davano pace. Da giorni non avevano mai interrotto le ricerche di Helena, mentre i due maghi avevano tentato qualsiasi incantesimo di localizzazione, senza avere successo. Alcuni di loro avevano ormai perso le speranze di ritrovare la cacciatrice viva e vegeta, benchè Amelia continuasse ad insistere che se fosse stata uccisa, avrebbe percepito l'aura di una nuova prescelta. Chi non aveva mai smesso di sperare era il comandante. Non dormiva da quella mattina in cui era andato a Forgotten Hollow in cerca di Helena e aveva ritrovato soltanto il suo ciondolo. A malapena mangiava e le forze lo stavano abbandonando. Jo continuava a ripetergli di riposare, di mangiare o si sarebbe ammalato presto, ma Cullen era inamovibile e continuava a dire che se non avesse ritrovato Helena tanto valeva morire. Si era recato spesso a Forgotten Hollow alla ricerca di tracce che potevano essergli sfuggite quel giorno e, durante le ronde notturne, aveva affrontato diversi vampiri domandando se sapevano qualcosa a riguardo della sparizione della cacciatrice, prima di ucciderli. Ma di Helena nessuna traccia. Era come svanita nel nulla, mentre lei era sempre stata lì, a pochi passi da loro, al sicuro in una delle camere da letto di villa Vatore.
Mentre Helena ascoltava la storia che Caleb le stava narrando, a Tiamaranta's Fortress Cullen sedeva alla sua scrivania. Un foglio di carta bianca era poggiato davanti a sè e il comandante fissava il suo candore cercando le parole giuste da incidere. La speranza di rivedere Helena viva era ancora lì, aggrappata con le unghie alla sua anima e Cullen volle esternare i suoi sentimenti su quel pezzo di carta, augurandosi di poterle dare quella lettera una volta che fosse tornata.
"Senza dubbio questa mia lettera ti confonderà. Devo ammetterlo, non ho avuto molte opportunità di comporre nulla di natura personale. Forse è sciocco. Sei impegnata nella tua lotta, come lo sono anche io. Il nostro lavoro sembra non finire mai, ogni passo in avanti sembra finisca con quattro passi indietro. Ti ho vista oltrepassare quel cancello ogni notte per andare a combattere, tornando sempre. In queste notti ho atteso. La testa premuta contro le fredde pietre della finestra, aspettando di vedere la tua sagoma comparire all'orizzonte. Sembra patetico ora che lo scrivo, come se fossi una fanciulla in una torre che si strugge per un cavaliere. Non ho mai pensato che tu potessi non farcela. Al contrario, in ogni fase di questa missione, ho sempre creduto con fervore nel tuo successo. Le mie intenzioni con questa lettera non erano di attirare dubbi sulle tue capacità. La verità, la ragione di questo spreco di tempo è che ti amo. Sto qui chino sulla scrivania e osservo il consumarsi delle candele e tutto ciò che scorre nelle mie vene è una paura infernale che non potrei mai dirti. Non in futuro, ma adesso con te così lontana da me. Tu sei molto di più di quanto avrei potuto desiderare, sperato, necessitato. Hai distrutto le mie difese con uno sguardo. Mi hai fatto tremare in ginocchio e mi hai rialzato in piedi. Non mi sono mai sentito così vulnerabile come lo sono tra le tue braccia. La tua semplice presenza è un balsamo per la mia anima ferita, la stessa che darei per tenerti con me per sempre. Ti desidero. Baciare le tue labbra, perdermi nel tuo abbraccio, assaporare le tue cosce che tremano a cavalcioni sopra di me e sorridere mentre ti muovi sotto di me. La promessa dei tuoi sussulti che implorano di più infiamma il mio cuore e mi distoglie dalla sconforto della guerra. I miei sogni possono essere costellati per sempre da incubi, ma i miei pensieri, i miei momenti di veglia, sono dedicati a te. Sei un vino profumato che inebria la mia mente e la mia lingua, e libera l'uomo che temevo fosse perso per sempre dalle sue catene. Non avrei mai immaginato di essere diventato il tipo d'uomo che scrive una lettera d'amore. Di devozione. Una dichiarazione che ciò che voglio di più da questo mondo, dal Creatore stesso, sei tu. So che tornerai da me, passando per quel cancello e tra le mie braccia. E avevo bisogno che tu sapessi che mi troverai con la fronte premuta contro la fredda pietra che ti aspetta. Ti amo. Cullen"
Terminò di scrivere quella confessione che il sole aveva iniziato a discendere dietro la linea del mare. Poggiò la fronte contro il pugno chiuso, adagiando il gomito sul foglio di carta non più immacolato e chiuse gli occhi, mentre una smorfia di dolore gli tirò le labbra. "So che tornerai..." mormorò poi abbandonandosi totalmente ad una silenziosa disperazione che lo aveva accompagnato in quei giorni, senza lasciarlo mai, benchè la speranza del ritorno di Helena gli avesse dato la forza di non cedere.
Le ombre fuori Tiamaranta's Fortress iniziarono ad allungarsi col passare dei minuti, mentre la linea dell'orizzonte si tingeva delle tonalità del rosso del tramonto. Fu allora che una figura scura sopraggiunse oltre il fitto degli alberi che coprivano la scogliera dove si ergeva la fortezza. Passi veloci corsero tra i corridoi, sempre più affrettati. Senza bussare contro il battente di legno dello studio, Leliana aprì la porta di scatto trovando il comandante perso nei suoi pensieri malinconici. "Comandante" lo chiamò cercando di attirare la sua attenzione, ma Cullen non si mosse. "Cullen" chiamò ancora "La cacciatrice...è tornata!".
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Finalmente era partito. Ce l'aveva fatta. Era una settimana che ci rimuginava sopra. anche quando era in tutt'altre faccende affaccendato, il pensiero tornava sempre lì: al punto di partenza, o di arrivo, ciò era ancora da stabilire. Sperava e temeva, allo stesso modo. si era preso un giorno di riposo, tanto ne aveva accumulati così tanti, nel corso degli anni di servizio, che avrebbe potuto anche starsene a pancia all'aria per un bel pezzo. Era salito sulla sua ammaccata utilitaria bianca ed era partito alla volta del suo paese natale. direttamente in bocca alle proprie origini. Un viaggio breve, ma che aveva il potere di coprire la distanza di decine d'anni. non voleva ammetterlo, neanche con se stesso, ma era emozionato come un bambino il primo giorno di scuola.
Uscito dal Grande Raccordo Anulare, si immise sulla Statale Flaminia, la via che preferiva. La più tortuosa, vero, la più lenta, niente a che vedere con l'autostrada, o la Cassia, molto più veloci e agevoli, ma volevi mettere la bellezza! Sarebbe comunque arrivato in paese. Il suo paese. O, meglio, non più il suo, visto il tempo che aveva passato lontano. Ormai era, a tutti gli effetti, un cittadino, anche se non proprio un romano de Roma. Piuttosto uno dei tanti burini trapiantati nella capitale del mondo. Quindi, tirando le somme, non più un paesano e giammai un cittadino puro. In pratica senza radici e senza futuro. Un bel cazzo di risultato, c'era di che vantarsene! Il viaggio scivolò via come l'olio. Tenne accesa la radio per fargli compagnia. Il vantaggio della radio, rispetto alle cassette, già, perché lui ancora faceva affidamento su una di quelle anticaglie che si cibavano dei nastri, faceva fatica a disfarsene e ci era affezionato. Il vantaggio della radio, tornando al discorso, era che lei non ti costringeva ad ascoltare. Era una compagna discreta. potevi tranquillamente continuare a pensare ai cazzi tuoi, senza prestarle attenzione, non si offendeva mai.
Giunse all'Arco di Porta quasi senza accorgersene, potenza del riflesso condizionato. dicono che, in ultima analisi, la guida non sia altro che questo. D'ora in avanti, però, avrebbe dovuto procedere con i piedi di piombo, cercando di dissimulare quel fastidioso senso di nausea che lo stava avvolgendo come un putrido sudario. Il maresciallo Giovanni Ferri parcheggiò la sua affaticata autovettura in Piazza del Castello a si diresse, a passo deciso, verso il bar lì vicino, con la speranza... con quale speranza era un mistero anche per lui. Era quasi mezzogiorno, il valzer dei campari, secondo i suoi ricordi, e come da consolidata consuetudine, doveva già essere iniziato. O mancava poco.
"Buongiorno a tutti!" Disse aprendo la porta del locale, lo disse con troppa enfasi, troppa giovialità. Era solo, nessun altro cliente. "E buonanotte al cazzo!" Pensò subito dopo. "Che entrata da coglione. Anzi, peggio, da carabiniere." E pensare che stava in borghese. Per non dare nell'occhio, aveva rinunciato anche a portarsi la pistola, ma appena aveva aperto bocca, si era fatto riconoscere. Coglione! Si insultò ancora mentalmente. Che entrata di merda! Dalla porta del bagno, fece capolino un ragazzotto magro, rasato a zero. Un bel tipo, non tanto alto, magro come un chiodo del dieci, sguardo sveglio e intelligente, e sfoggiava una maglietta dei Clash.
"Buongiorno a lei. Posso esserle utile?" Disse cortesemente il ragazzo.
"E tu chi sei? E che fine ha fatto il sor Francesco?" Domandò il maresciallo, guardandosi intorno per la prima volta. Non era il bar che ricordava. Non era quello della sua adolescenza. Era stato stravolto. Chissà perché siamo portati a pensare che alcune cose non potranno mai cambiare. Soprattutto quelle legate alla nostra infanzia. Soprattutto se questa infanzia si è vissuta in un piccolo, immutabile paese. E non solo le cose, anche le persone, cristallizzate nella memoria come in un incantesimo.
"Non so chi sia il sor Francesco, ma io lo so chi sono: sono Alessandro, faccio il barista, per questo mi trovo qui." rispose sorridendo il giovanotto.
"Scusami, ti devo essere sembrato un coglione. Ma giuro che non è così. Il fatto è che sono moltissimi anni che manco dal paese e, vai a capire per quale stupido motivo, ero convinto di trovare tutto come lo avevo lasciato."
"Niente affatto. Sembri soltanto uno con dei bei ricordi. Non è poca cosa."
"Puoi darmi un Campari corretto con il prosecco, per favore?"
"Sono qui per questo" rispose il ragazzo, iniziando ad armeggiare con le bottiglie.
Buttò giù d'un fiato, pagò ed uscì in strada. Sarebbe tornato più tardi. Ora aveva voglia di fare un giro sulla macchina del tempo. si addentrò pigramente nel dedalo di viuzze, in cerca di visioni, odori, suoni a lui consueti. non riuscì a fare a meno di passare anche davanti alla sua vecchia casa. Quella dove era cresciuto, insieme a sua madre e a quel dettaglio trascurabile che era suo padre. Si fermò, imbacuccato nel suo cappotto di nostalgia, a cercare qualche segno del suo passaggio. Un muro scrostato, una macchia di vernice, una vecchia scritta sbiadita dal tempo, niente, come se non fosse mai esistito. Avevano ridipinto la facciata dell'edificio da non molto, di un orribile giallo smorto, c'erano panni stesi al balcone, di certo non erano suoi, si sentì come sa avesse subito un torto. Era come se fosse stato scippato della sua giovinezza. Salutò con un cenno del capo la sua vecchia dimora e proseguì nel giro di perlustrazione. Incrociò in tutto una decina di persone, non di più. non riconobbe nessuno. Non avrebbe potuto, sette su dieci erano stranieri, il carabiniere, a volte, prendeva il sopravvento sull'uomo. anche qui, in questo buco nero di paese, chissà cosa ci stavano a fare visto che di lavoro neanche l'ombra. Soltanto una decina di anni prima sarebbe stato impensabile. Gente che andava lì a cercare fortuna, cazzo, non fosse stato tragico, sarebbe stato davvero comico. Controllò l'orologio, l'una meno un quarto, era tempo di tornare al bar. sicuramente avrebbe avuto più fortuna, o almeno sperava. fu fortunato, la speranza non fu disillusa, non dovette neanche entrare per constatarlo, Tonino, il suo vecchio amico Tonino, stazionava davanti alla porta godendosi un aperitivo in compagnia di altre tre persone che immaginava di conoscere, ma che non riusciva proprio a riconoscere.
"Ciao, Tonino, come va? Posso unirmi alla compagnia?" Disse emozionato, arrivandogli alle spalle.
Tonino si girò di scatto, era il ritratto dello stupore. Rimase col bicchiere appoggiato alle labbra, sgranò gli occhi, ma non riuscì ad inghiottire neanche un sorso. Squadrò da capo a piedi il nuovo arrivato, per un tempo che sembrava non avesse fine, poi: "Guarda chi ti capita tra capo e collo," Disse "Qual buon vento, Bomba? O preferisci essere chiamato maresciallo Ferri?"
"Cosa? Maresciallo?" Chiese uno degli altri due. quelli di cui proprio non riusciva a ricordare i nomi.
"Già, il nostro amico è un maresciallo della benemerita."
"Uno sbirro!" Disse sempre l'altro, facendosi scuro in volto. Sputò per terra, buttò giù d'un fiato il suo Campari, consegnò il bicchiere al barista e: "Io con gli sbirri non ci bevo!" Grugnì allontanandosi seccato.
"Ti do ragione, neanch'io ci bevo!" Gli gridò dietro il maresciallo, ma l'altro neanche si voltò.
"Complimenti! Sei appena tornato e già hai trovato un nuovo amico. Complimenti vivissimi!" Lo prese in giro Tonino.
"Non è che la cosa mi turbi particolarmente. Può andare a farsi fottere dove vuole."
"Non farci caso, è sempre stata una testa di cazzo! Ordinati da bere, piuttosto." Disse il terzo, mostrando un sorriso privo di parecchi denti.
"E tu, Orco, che ne pensi? Neanche a te piacciono i carabinieri?"
Lo aveva riconosciuto non appena aveva aperto bocca. Quella dentatura fantasiosa e quel vocione sgraziato e cavernoso erano il suo marchio di fabbrica.
"Non particolarmente, Bomba, me se non ce l'hanno con me, facciano pure il cazzo che vogliono. Te compreso."
"Dai, facciamoci un altro giro, offro io. Dopo, se è possibile, se non hai troppo da fare, vorrei parlarti in privato. " Disse ancora il Maresciallo rivolto a Tonino.
"Perdi tempo, fratello, sono pulito!"
"Pulito è una parola grossa, diciamo che ripulito suona più veritiero."
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perché credi debbano stare nei musei? se vuoi ricordare la storia leggi i libri, ascolti le testimonianze delle persone. per quanto tu possa rimanere affascinato dalla bellezza delle statue rimangono solo pietra fredda, quella di Montanelli soprattutto, visto le azioni riprovevoli da lui commesse
La fredda pietra plasmata a statua è testimonianza alla pari della parola scritta a inchiostro sulla carta.
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L’importanza dell’oggettività e della soggettività all’interno della critica musicale
La dicotomia oggettivo/soggettivo in una cosa così empirica come la fruizione di un opera in campo artistico (in questo caso parliamo di musica) è un po’ difficile da affrontare.
“La musica è arte e scienza allo stesso tempo.
Perciò, al lo stesso tempo, deve essere colta emozionalmente e compresa intellettualmente; e anche per la musica, come per ogni arte o scienza, non esistono scorciatoie che facciano progredire nella conoscenza.”
L'amatore che si diletta ascoltando la musica senza capirne il linguaggio è come il turista che passa le vacanze all'estero e si accontenta di godersi il paesaggio, i gesti degli abitanti, il suono delle loro voci, senza capire neppure una parola di ciò che essi dicono.
Egli sente, ma non è in grado di comprendere. Anche leggerete scrupolosamente libri puramente teorici non farà di voi dei musicisti né vi insegnerà a scrivere la musica; come in ogni lingua, anche una scorrevolezza puramente grammaticale non si può ottenere che a prezzo di molti anni di esercizio.
Giungerete cosí, alla stessa situazione del turista che conosce una lingua in modo tale da consentirgli, quando si trovi nel paese in cui è parlata, di decifrare i giornali locali, intendere un po' di ciò che si svolge intorno a lui, avere qualche idea della topografia e della struttura sociale della nazione, ed esprimersi con gli abitanti senza far la figura di un muto.
Bisognerebbe capire che l'esistenza stessa dell'opera d'arte presuppone che in essa ci sia: ciò che l'artista voleva metterci, ciò che l'artista inconsciamente ci ha messo e ciò che te fruitore vedi.
Senza peraltro nessuna possibilità di separare le tre cose.
Inoltre, come in molti libri di critica musicale viene detto, la critica va sempre contestualizzata a partire dalle proprie basi con le quali si percepisce la musica, se uno è appassionato di virtuosissimo ovviamente guarderà più al lato esecutivo che non compositivo, chi è appassionato di Free Jazz non guarderà alla cacofonia (preciso che definire “cacofonico” il Free Jazz è una semplificazione quasi obbligata in questo specifico contesto, perché la cacofonia è la sovrapposizione di cellule melodiche che non hanno nulla a che fare l'una con l'altra e il più delle è volte accidentale, mentre il Free Jazz si basa su tutto il contrario, ovvero sulla collettività dei musicisti e sull'interazione fra essi, che poi risultino melodie dissonanti, disarmoniche e senza tempo è un altro conto, ma di certo non è cacofonico) ma a come interloquiscono i vari strumenti, idem per il Punk, la No Wave, si guardano anche altre caratteristiche come “quali sono i riferimenti presi dall’artista, e quando esso è riuscito a riformulare le influenze?”.
Cosa che però per esempio non si può fare con artisti come John Cage.
Citando una parte de “Il silenzio non esiste” del critico americano Kyle Gann dedicata al controverso, illuminante e sorprendente brano 4’33”, che ha segnato la storia di John Cage e l'idea di musica di tutto il Novecento: “L'evento più famoso nella storia delle stagioni concertistiche alla Maverick si tenne la sera del 29 Agosto, quando pianista David Tudor si sedette al pianoforte sul piccolo palco di le rialzato, chiuse il coperchio della tastiera e guardo un cronometro. Per due volte nei successivi quattro minuti alzò il coperchio e lo riabbassò prestando attenzione a non fare rumore, benché girasse anche le pagine dello spartito, che erano prive di note. Dopo che furono passati quattro minuti e trentatre secondi, Tudor si alzò per ricevere gli applausi e fu cosi che venne eseguita per la prima volta una delle opere musicali più controverse, illuminanti, sorprendenti, famigerate, imbarazzanti e in fluenti dai tempi di La sagra della primavera di Igor Stravinskij”.
Comunque sia, 4’33” ha un regolare spartito di sei pagine orizzontali, i cui il tempo-spazio orizzontale di ciascun movimento viene segnato da linee verticali che appaiono a intervalli proporzionali al passaggio del tempo.
Cage concepisce quel nuovo pezzo come qualsiasi altro brano e lo scrive "nota per nota".
“L'ho compo sto come un pezzo di musica, eccetto che non c'erano suoni solo durate".
Non rinuncia alla struttura e lo divide in tre parti, anche per convincere il pubblicona riconoscerlo come un lavoro musicale: "Un periodo di silenzio non articolato sarebbe presumibilmente sembrato troppo amorfo”
Più tardi confesserà di avere usato i tarocchi per decidere le durate, anziché lanciare le abituali monetine dell'I Ching; e qualcuno avanzerà il sospetto che forse il caso non è stato cosi casuale se la somma che scaturisce alla fine (30" + 2'23" + 1’40" = 4’33") si avvicina quasi perfettamente al format buono per la Muzak che Cage aveva adombrato in una conferenza.
Ennesimo bias da eliminare:
Non si pensi che il nostro sistema tonale di scale maggiori e minori sia l'apice dell'evoluzione musicale.
Nell'arte, un progresso inteso come miglioramento non esiste.
La musica che conosciamo meglio, in realtà non è altro che il prodotto della tecnica e dello stile di poche centinaia d'anni; una musica che esce da questi confini perché piú recente o più antica, può avere lo stesso valore di qualsiasi composizione scritta da Mozart.
A partire dal 1950 il mondo della musica si è trovato di fronte una sfida enorme: la ricerca di una teoria della musica razionale ed oggettiva che potesse rimpiazzare il sistema della tonalità convenzionale, ormai ritenuto limitato e inadeguato.
Si era capito che una qualsiasi teoria della musica avrebbe dovuto rendere conto al suo interno di opposizioni sia culturali che teoriche, come quelle tra musica europea e musica non europea, tra musica scritta e orale, tra musica esistente musica immaginabile.
Nel numero di compositori del dopoguerra che hanno affrontato questa sfida, nessuno è più qualificato di Stockhausen per poter articolare i temi filosofici e pratici che stanno alla base della musica d'avanguardia.
II suo straordinario successo è prima di tutto quello di aver dimostrato sia con i suoi scritti che con le sue composizioni che il fondamento teorico della nuova musica, sia essa seriale, elettronica, statistica o indeterminata, può essere efficace, razionale, coerente e universale.
Schönberg sosteneva che non esistono definizioni dei concetti di “melodia” e di “melodico” che vadano piú in là di un'estetica da quattro soldi, e quindi la composizione delle melodie dipende esclusivamente dall'ispirazione, dalla logica, dal senso formale e dalla cultura musicale.
Nel periodo contrappuntistico, i compositori si trovavano in una situazione analoga per quanto riguardava l'armonia.
Le regole danno solo delle avvertenze “negative”, cioè dicono quello che non va fatto, e anche i compositori di quel tempo impararono quel che dovevano fare solo per mezzo dell'ispirazione.
Questo perché la bellezza, in quanto concetto indefinito, è assolutamente inutile come base di valutazione estetica; e lo stesso vale per il sentimento.
Una Gefüblsästhetik (estetica del sentimento, come la chiamava Schönberg) di questo genere ci riporterebbe all'insufficienza di un'estetica antiquata che paragonai suoni al movimento delle stelle e fa derivare vizi e virtú dalle combinazioni dei suoni.
Esiste comunque la musica oggettivamente importante storicamente, l'influenza è un fatto storico, quantificabile e misurabile.
Però sarebbe falso dire che la musica è bella solo perché storicamente importante questo non ti renderebbe un appassionato di musica ma uno storico.
Ci sono dischi che sono storicamente importanti perché hanno creato un modo nuovo di intendere o di costruire o concepire la musica e quindi inevitabilmente gente dopo di loro ha riutilizzato gli "assiomi" da cui i primi erano partiti (Velvet Underground su tutti nel Rock), ma non è che quel disco è bello perché è influente, è bello perché ha una originalità e creatività che va oltre gli schemi. Questo non è un assunto universale: anche i Queen per esempio sono influenti, che pur non avendo davvero inventato cose nuove sono stati popolari quindi per una basilare legge statistica hanno influenzato tanta gente.
Ecco perché ritengo che ridurre tutta questo universo a solo “la musica è solo oggettiva” o “la musica è solo soggettiva” rende abbastanza sterile la discussione, impedendo uno svilupparsi di una coscienza personale durante lo scambio di argomentazioni.
Concludo con una citazione - l’ennesima- sapendo che in realtà tutto ciò che ho detto sia terribilmente riduttivo e tiene conto di molti altri aspetti e dilemmi filosofico-musicologici che sono stati affrontati nei secoli, più avanti magari amplierò il discorso
Gottfried Wilhelm Leibniz a Christian Goldbach, lettera del 1706:
“La musica è un occulto esercizio aritmetico dell'anima, che non sa di numerare.
Anche se non sa di numerare, l'anima avverte l'effetto di questo calcolo insensibile, ossia il diletto che viene dalle consonanze e la molestia delle dissonanze.
Il piacere nasce infatti da molte percezioni insensibili.
Coloro che attribuiscono all'anima solo le operazioni di cui è conscia, in verità intendono male”
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