#badogliani
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Della brigata Gufi non si conosce il processo di raggruppamento e di formazione
Tirano (SO). Fonte: mapio.net Stessa storia, dove anche qui, non potendo occultare, ci si limita a lasciare nell’indeterminatezza la figura di Carlo Fumagalli, è la storia della brigata Gufi.È nella zona che guarda la piana di Tirano e Villa di Tirano, con base nella caserma abbandonata di Schiazzera, lungo il crinale che domina Grosotto e che permette i collegamenti con la val Grosina e con la…
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#1944#1945#alleati#badogliani#Banlieu#Carlo Fumagalli#Edgardo Sogno#fascisti#Gabriele Fontana#Grosina#Grosotto (SO)#Guerra#Gufi#Lanzo#Luigi Landi#Massimo Fumagalli#Mortirolo#partigiani#Piemonte#tedeschi#Tirano (SO)#Upi#Valle#Valtellina
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Eppure la rete dei militari che nella regione a nord di Milano fanno riferimento al Regio Governo del Sud non è poca cosa
L’azione dello stato maggiore dell’esercito del SudNon ci sono segnali di una presenza attiva d’iniziative organizzate nell’Italia occupata da parte del Regno del Sud sino alla fine di novembre, primi giorni di dicembre 1943. Infatti, risale ai primi giorni di dicembre la definizione dei comandi regionali nella ZO <84 e anche il distintivo che i patrioti dovevano apporre al bavero della giubba.…
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#1943#1944#alleati#badogliani#Banlieu#Cibeno#Edgardo Sogno#fascisti#Fossoli#Gabriele Fontana#generale#Giuseppe Pavone#Giuseppe Robolotti#Jerzy Sas Kulczycki#Lombardia#Luigi Masini#Massimo Fumagalli#militari#OSS#partigiani#poligono#Regno#SOE#Sud#tedeschi#Umberto Utili#VAI
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Eppure la rete dei militari che nella regione a nord di Milano fanno riferimento al Regio Governo del Sud non è poca cosa
L’azione dello stato maggiore dell’esercito del SudNon ci sono segnali di una presenza attiva d’iniziative organizzate nell’Italia occupata da parte del Regno del Sud sino alla fine di novembre, primi giorni di dicembre 1943. Infatti, risale ai primi giorni di dicembre la definizione dei comandi regionali nella ZO <84 e anche il distintivo che i patrioti dovevano apporre al bavero della giubba.…
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I partigiani in quei giorni «si cibarono di foglie di albero, di qualche tozzo di pane a loro gettato dagli spaventatissimi contadini e bevvero l'acqua dei fossi...»
Partigiani della Brigata San Faustino Proletaria d’urto, Fonte: Wikipedia Da un primo nucleo fondato nel settembre 1943 a San Faustino dal liberale Bonuccio Bonucci, la brigata [San Faustino] arrivò a coprire l’ampio quadrilatero compreso tra Città di Castello, Apecchio, Gubbio e Umbertide. Una zona delimitata a est dalla via Flaminia verso le Marche, a ovest dalla via Tiberina verso la Toscana.…
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#1943#1944#alleati#badogliani#brigata#Città di Castello (PG)#CLN#comunisti#Dario Taba#fascisti#Frazione#GNR#Gubbio (PG)#guerra#Leonardo Varasano#Luciana Brunelli#marzo#Morena#partigiani#Perugia#Pesaro#Proletaria d’urto#Resistenza#San Faustino#settembre#tedeschi#Terni#Umbertide (PG)#Umbria#Valnerina
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sarti13carla su Threads
Forse è il caso di dare due nozioni storiche, tanto per chiarire le idee ai criptofascisti che le hanno confuse.
Il secondo gruppo per numero tra i partigiani erano i giellisti del Partito d'Azione (Giustizia e libertà), che non esitavano a dirsi anticomunisti. Come erano anticomunisti anche tanti badogliani.
Curiosamente tra i fascisti non c'erano antifascisti.
La differenza sta tra la libertà democratica di essere quello che si vuole e l'oppressione fascista. Non è difficile.
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“ – Che vuoi? Milton ruotò su se stesso. Nèmega era vecchio, aveva certo trent’anni, e una faccia che pareva la fronte di un bunker, con le feritoie degli occhi e della bocca. Portava un giubbetto impermeabile che sotto la pioggia continua aveva assunto la squadratura di una scatola di cartone. – Parlare col comandante Hombre. – Parlargli di che? – Lo dirò a lui. – E tu chi sei che vuoi parlare con Hombre? – Sono Milton della seconda divisione badogliana. Brigata di Mango – Si disse della brigata di Pascal perché era piú grossa e piú nominata della brigata di Leo. Gli occhi di Nèmega erano praticamente invisibili. – Sei un ufficiale? – gli domandò Nèmega. – Non sono ufficiale, ma ho compiti da ufficiale. E tu chi sei? Sei ufficiale tu, commissario o vicecommissario? – Sai che noi ce l’abbiamo amara con voi badogliani? Milton lo fissò con malinconico interesse. – E perché? – Avete accolto un uomo che aveva disertato da noi. Certo Walter. – Tutto lí? Ma è uno dei nostri principi. Da noi si entra e si esce liberamente. A patto di non finire nelle brigate nere, è ovvio.
– Noi ci siamo presentati alle vostre postazioni per riavere l’uomo, e voialtri non solo non ce l’avete riconsegnato, ma ci avete fatto fare dietrofront e sparire, o ci menavate coi bren. – Dov’è successo? – sospirò Milton. – A Cossano. – Noi siamo di Mango, ma penso che anche noi avremmo agito ugualmente. Voi eravate nel torto a rivolere un uomo che di voi non voleva piú saperne. – Intendiamoci, – disse Nèmega schioccando le dita. – A noi non interessava l’uomo, a noi interessava l’arma. Ha disertato col moschetto e il fucile apparteneva alla brigata e non a lui. Nemmeno il moschetto avete voluto ridarci, e sí che voi avete i lanci, ricevete tante armi e munizioni che ve ne crescono e le dovete sotterrare. È falso quel che diceva Walter, nascosto dietro le spalle dei vostri, e cioè che il moschetto era suo, che lui l’aveva portato alla brigata. L’arma era della brigata. Di elementi come Walter possono scapparcene anche una dozzina, ma non un’arma dobbiamo perdere. Di’ a Walter, quando lo vedi, di non sbagliar mai strada, di girare alla larga dal nostro distretto. – Glielo dirò. Me lo farò indicare e glielo dirò. Ora posso vedere Hombre? – Tu conosci Hombre? Di persona, voglio dire, non per sola fama. – Eravamo insieme al combattimento di Verduno. Sembrò impressionato, quasi colto in fallo, e Milton credette di capire che all’epoca di Verduno Nèmega non era ancora in collina. – Ah, – fece. – Ma Hombre non c’è. – Non c’è!? Me l’hai intonata di quel Walter e del suo miserabile moschetto per dirmi ora che Hombre non c’è? E dov’è? – Fuori. – Fuori dove? Fuori tanto? – Di là del fiume. – Io divento pazzo. Ma che è andato a fare di là del fiume? – Voglio dirtelo. Per benzina. Per solvente da usare come benzina. – Di stasera non torna? – Sarà già tanto che di stanotte ripassi di qua. – Io ero venuto per una cosa importante e urgentissima. Avete un fascista prigioniero? – Noi? Noi non ne abbiamo mai. Noi li perdiamo nell’istante stesso che li facciamo. – Noi non siamo piú teneri di voi, – disse Milton. – Prova ne sia che non ne abbiamo e siamo venuti a chiederne a voi. – Questa è abbastanza nuova, – disse Nèmega. – E noi ve li dovremmo regalare? – Un prestito. Un regolare prestito. C’è almeno il commissario? – Non l’abbiamo ancora. Per ora viene qualche volta il commissario della divisione di Monforte. Nèmega andò ad aumentare la fiamma del petrolio e tornando disse: – Che volevate farne? Scambiarlo con uno dei vostri? Quando l’hanno beccato? – Stamattina. – Dove? – Sull’altro versante, verso Alba. – Come? – La nebbia. Da noi era un mare di latte. – È tuo fratello? – No. – Allora un tuo amico? Si capisce, se hai sfangato fin quassú a fare una parte del genere. Ma non siete capaci di darvi da fare in giro per beccarne uno? – Certo, – rispose Milton. – Girano già dei nostri per questo. Ecco perché eravamo certi di potervi rendere l’uomo. Ma non è come andare a coglier l’uva il mese di settembre. Potrebbe volerci qualche giorno e intanto, forse proprio mentre noi stiamo qui a discutere, il mio compagno è già andato al muro. Nèmega bestemmiò, piano ma concentrato. “
Beppe Fenoglio, Una questione privata, introduzione di Gabriele Pedullà, Einaudi (Collana Super ET), 2020²²; pp. 56-58.
[ 1ª ed. originale, postuma: Garzanti, 1963. ]
#Beppe Fenoglio#Una questione privata#partigiani#letture#Storia d'Italia del XX secolo#Resistenza#lotta partigiana#Storia della Resistenza italiana#partigiani azzurri#badogliani#citazioni letterarie#leggere#libri#antifascismo#antifascisti#Storia d'Europa del '900#Piemonte#Langhe#uguaglianza#guerra di liberazione italiana#partigiani badogliani#comunisti#letteratura italiana del XX secolo#brigate Garibaldi#Alba#brigate comuniste#scrittori italiani#guerra partigiana#Cuneo#Gabriele Pedullà
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-------LIBERAZIONE--------
"Fu la più selvaggia parata della storia moderna: solamente di divise ce n'era per cento carnevali. Fece impressione senza pari quel partigiano semplice che passò vestito con l'uniforme di gala di colonnello d'artiglieria con gli alamari neri e le bande gialle e intorno alla vita il cinturone rosso-nero dei pompieri col grosso gancio. Sfilarono i badogliani con su le spalle il fazzoletto azzurro e i garibaldini col fazzoletto rosso e tutti, o quasi, portavano ricamato sul fazzoletto il nome di battaglia. La gente li leggeva come si leggono i numeri sulla schiena dei corridori ciclisti al passaggio della corsa; lesse nomi romantici e formidabili, che andavano da Rolando a Dinamite"
-Beppe Fenoglio -I ventitré giorni della città di Alba
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La retorica, il commento sentimentale ai fatti, l'affermazione costante della giustezza della causa" (cit) costituiscono un'insidia costante alla ricostruzione storica...Fenoglio è illuminante.
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È assolutamente vero: CasaPound non è certamente un fulgido esempio di democrazia, rispetto delle libertà e dei diritti, proprio come l’ideologia che propugna.
Ma da che pulpito vien la predica, si sarebbe detto una volta: l’ANPI non è forse quella che:
fa sfilare alle sue manifestazioni i palestinesi, della stessa religione e della stessa ideologia del Gran Muftì del Cairo, quello dei suoi sproloqui filonazisti e dei suoi incontri con Hitler
non dice una parola sulle SS musulmane bosniache (SS, badate bene, ebbene sì, proprio quelle)
boicotta, alle manifestazioni della Festa della liberazione del 25 aprile, la Brigata Ebraica, quella che combattè i nazisti con gli Alleati proprio qui in Italia
giustifica, se non nega del tutto, gli infami orrori delle foibe
sostenne, a suo tempo, a spada tratta l’autore degli eccidi delle foibe, ossia Tito ed il suo regime dittatoriale
boicottò, insultò, osteggiò, con quasi tutti i comunisti dell’epoca, i poveri profughi giuliano-dalmati dopo la fine della seconda guerra mondiale
riconobbe solo in tempi recentissimi che gli autori dell’infame eccidio di Porzûs erano dei partigiani comunisti, mentre prima, se non negò del tutto la loro responsabilità, la giustificò come atto legittimo contro dei partigiani badogliani, per loro conniventi con i Repubblichini
Da tale associazione politicizzata e con un’altra ideologia di riferimento altrettanto autoritaria e nemica delle libertà, francamente, non accetto lezioni di politica e di antifascismo, che nella loro accezione significa solamente tacitare gli avversari con il tristo e fuori tempo epiteto di fascista.
@badinside1980 ha efficacemente riassunto la cosa col suo teorema di Pavlov, che mi permetto di citare:
#italia#fascismo#teorema dell'antifascismo#teorema di pavlov#antifascismo#comunisti di pavlov#anpi#associazione nazionale partigiani d'italia#palestinesi#brigata ebraica
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Goooood Morning Kakilandia ! Cari amici pisciainchiostro, velinari & scodinzolanti pubblicisti dalla postura prona, badogliani dell’informazione, buongiorno! Oggi a reti riunite elogiate l’incarico al prof. Mario Draghi, persona indubbiamente competente ed autorevole in grado di portare il paese fuori dalla crisi determinata dalle evidenti incapacità del governo precedente, che voi stessi elogiavate fino a l’altro ieri come unica soluzione salvifica possibile, magnificandone la competenza ed il coraggio. C’è qualcosa che non quadra ... mi rifiuto di credere che la dipartita di Rocco Casalino vi abbia privato della direzione d’orchestra della filarmonica mediatica ... ma se malauguratamente così fosse la vostra professionalità si collocherebbe all’altezza del cul@ del potente di turno a prescindere da ogni valutazione sulla sua competenza e sulle sue capacità ... oggi come allora “la guerra continua”, con chi lo scopriremo solo vivendo
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Lo sfogo social del padre di Di Battista dopo il voto su Rousseau: “traditori del caz badogliani del terzo millennio” http://dlvr.it/RdsTxB
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Eppure la rete dei militari che nella regione a nord di Milano fanno riferimento al Regio Governo del Sud non è poca cosa
L’azione dello stato maggiore dell’esercito del SudNon ci sono segnali di una presenza attiva d’iniziative organizzate nell’Italia occupata da parte del Regno del Sud sino alla fine di novembre, primi giorni di dicembre 1943. Infatti, risale ai primi giorni di dicembre la definizione dei comandi regionali nella ZO <84 e anche il distintivo che i patrioti dovevano apporre al bavero della giubba.…
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#1943#1944#alleati#badogliani#Banlieu#Cibeno#Edgardo Sogno#fascisti#Fossoli#Gabriele Fontana#generale#Giuseppe Pavone#Giuseppe Robolotti#Jerzy Sas Kulczycki#Lombardia#Luigi Masini#Massimo Fumagalli#militari#OSS#partigiani#poligono#Regno#SOE#Sud#tedeschi#Umberto Utili#VAI
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I badogliani
La prima cosa che viene da chiedersi di fronte a una simile situazione è: ma chi cazzo sono questi? Cioè da dove viene la compagine parlamentare dei Cinque Stelle, chi l’ha scelta davvero, chi l’ha selezionata e a quale scopo? Non venitemi a dire la base perché ormai dovrebbe essere ampiamente noto che non esiste campo più manipolabile del web e in ogni caso la scelta dei candidati per le…
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Corsi e ricorsi storici
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Corsi e ricorsi storici
Nell’era delle guerre mediatiche, di quelle ibride, di quelle per bande e della natura sempre più pervasiva e totalizzante del conflitto, sentir parlare di ritorno alla leva obbligatoria per “raddrizzare la schiena della gioventù” appartiene a quell’universo di discorsi da bar (o da autobus, direbbe Nanni Moretti), di cui non si sente davvero la mancanza, tanto meno se si entra in un bar o si sale su un autobus.
In un’epoca in cui la conflittualità è totale e si combatte in ogni modo e in ogni forma, soprattutto se non si è in divisa, il riferimento a certe tematiche è simpaticamente desueto come la difesa statica di fanteria contro la Blitzkrieg dei Panzer e degli Stuka (tanto per fare un esempio storico molto chiaro).
Far capire le cose è infinitamente più importante – e duraturo – che imporle, ma è infinitamente più faticoso e complesso di qualche facile slogan per nostalgici attempati. Vorrà dire che, nella deprecabile ipotesi che ciò accada, come sempre – da bravi italiani e dottrinalmente badogliani – combatteremo la guerra precedente. Perdendola, ça va sans dire. E le schiene della gioventù nostrana saranno di certo assolutamente diritte, nel rigor mortis…
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Il barone rosso
Il Barone rosso? In quel portone, al secondo piano. Lo conoscono in tanti nel quartiere San Jacopo a Livorno. Il soprannome glielo hanno affibbiato i ragazzini che qualche volta nelle serate buone, riuscivano a tirargli fuori con le pinze le sue storie di guerra, giù al Circolo del partito. «Ho sempre raccontato poco di quegli anni - dice lui, Rino Risaliti - certi episodi li ha scoperti da poco anche mia moglie: me ne sono successe troppe». E a guardarlo negli occhi, chiari e decisi, capisci subito che è tutto vero, che magari quest’uomo di settantasei anni robusto come un torello ti racconterà una storia in meno, ma quelle che ascolti sono vissute; e sincere. Nel salottino della casa di San Jacopo, in mezzo alle madonne e ai paesaggi livornesi, due o tre teschi in marmo trapassati da pugnali: il simbolo degli Arditi.
«Sì, ero sergente nel battaglione azzurro Duca d’Aosta: sono stato il primo badogliano in divisa ad entrare a Livorno dopo la liberazione: parevo Rambo, col basco in testa, il mitra e i nastri delle cartucciere a tracolla. Andai subito in via De Larderel, dalla mia Andreina: non ci vedevamo da tre anni, ma lei mi ha aspettato: il nostro era amore, mica zuppa di cavolo...». Andreina sorride: «E valeva la pena di aspettarlo — dice orgogliosa— un mese fa abbiamo festeggiato le nozze d’oro».
Era il 1944, Livorno — o quello che ne era rimasto — era un’altra città da quella lasciata nel 1940. E anche Rino Risaliti era un altro uomo: mille ore di volo e di battaglie aeree, sei mesi d’Africa nella Legione straniera, un anno vissuto pericolosamente fra i commandos badogliani lo avevano cambiato dentro.
«Sono nato proprio in questa stanza, nel diciannove. Da ragazzo avevo due grandi passioni: la bicicletta e l’aeromodellismo. Babbo mi proibì di salire in bici dopo un frontale al Castellaccio e parecchie fratture. Nel trentotto partii volontario in aviazione. Ascoli, poi Napoli, Guidonia, Elmas, la Corsica: volavo sugli idrovolanti, io ero marconista. Mille ore di volo, E dire che dal quarantatré non son più salito su un aereo: non mi fido dei jet. Quelli a elica sì, che erano aerei. Si volava allo scoperto, col vento in faccia che ti schiacciava tutto nell’abitacolo, e le tute con la resistenza dentro: attaccavi la spina agli accumulatori, e ti riscaldavi, a volte ti bruciavi anche. Una volta a Guidonia il colonnello Pezzi, detentore del record di altezza in volo, mi chiamò: “Vuoi fare un volo con me?”. Io non dicevo mai di no. Mi pigiarono in uno scafandro come i palombari, e mi ritrovai su un biplano traballante a diecimila metri, la terra era sparita in una nebbia azzurrina».
Poi scoppia la guerra, e i voli diventano battaglie. «Già: il battesimo del fuoco fu nella battaglia di Punta Stilo e Capo Teulada. Io ero su un ricognitore, un idrovolante Cant Zeta 501 con un equipaggio di sei persone. Paura? No, io ho sempre sfidato la morte. Preoccupavano gli Spitfire inglesi, ma fui più tranquillo quando vidi affondare la portaerei Arc Royal. Gli inglesi ne avevano una copia già pronta in cantiere, e dissero che non era stata neanche colpita, ma io la vidi andar giù con i miei occhi. Seguirono molte missioni, scorta sommergibili, convogli, il bombardamento con altri dodici idrovolanti di Hammamet, già, proprio quella di Craxi: la spianammo...».
Poi arrivò l’otto settembre. «Ero in Corsica, e mi trovai sbandato, come tutti i militari italiani. I partigiani corsi ci volevano ammazzare tutti, i tedeschi anche. I miei compagni decisero di aderire alla Repubblica di Salò, non ne ho più saputo niente. A Bonifacio avevo visto un manifesto coloratissimo, con un legionario col Kepì che diceva “Arruolati”. Mi riempì l’occhio: ero un tipo avventuroso, e poi pagavano bene. Quattro giorni dopo ero su una motonave, unico italiano, destinazione Algeri.
Ci mandarono a Sidi Bel Abbes, poi a Orano. Di avventure nemmeno l’ombra. Il forte era vuoto, noi spazzavamo il cortile. Il deserto? Macché. Miraggi? La sera, quando prendevamo grosse sbornie di sidro. Sei mesi dopo sbarcarono gli americani, e in una trattoria sentii parlare italiano. Mi presentai, col mio kepì e la mia divisa blu: “Sei italiano? Vieni a combattere con noi, per la tua patria”. La notte ero già imbarcato su una motonave: mi sbarcarono a Mazara del Vallo, arrivai in treno a Taranto. Qui mi arruolarono subito nell’aviazione dei badogliani, in una squadriglia di polacchi. Un giorno passò il battaglione degli Arditi Duca d’Aosta, con le loro
belle divise azzurre. Decisi di diventare uno di loro, mi presentai, mi presero subito. A Bari, mentre il fronte era fermo, fummo addestrati duramente: ginnastica, lotta col pugnale, anche karate. Seguirono una serie di azioni di guerra, venivamo utilizzati come commandos nelle più pericolose. Poi seguimmo la Quinta armata. Livornesi eravamo in tre. L’ultimo scontro fu a Castellina, contro un blindato tedesco».
Poi Rambo depone le armi, si rifugia nella calma della sua San Jacopo. «La guerra è brutta, ma la gioventù è bella: rifarei tutto». E il Barone Rosso per i ragazzini giù al Circolo sceglie solo le storie migliori. Quelle che non fanno male.
Livorno, Novembre 1995
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Ur-Fascismo/Fascismo Eterno di Umberto Eco
SCRITTO SU “LA RIVISTA DEI LIBRI” N°7/8 DI LUGLIO/AGOSTO 1995
--Commento del blogger: Per piacere, se dovete leggere una cosa soltanto oggi, leggete questo saggio su come riconoscere il fascismo attorno a noi in ogni tempo storico. Grazie--
Nel 1942, all'età di dieci anni, vinsi il primo premio ai Ludi Juveniles (un concorso a libera partecipazione coatta per giovani fascisti italiani - vale a dire, per tutti i giovani italiani). Avevo elaborato con virtuosismo retorico sul tema: "Dobbiamo noi morire per la gloria di Mussolini e il destino immortale dell'Italia?" La mia risposta era stata affermativa. Ero un ragazzo sveglio.
Poi nel 1943 scopersi il significato della parola "libertà". Racconterò questa storia alla fine del mio discorso. In quel momento "libertà" non significava ancora `liberazione".
Ho passato due dei miei primi anni tra SS, fascisti e partigiani, che si sparavano l'un l'altro, e ho imparato come scansare le pallottole. Non è stato male come esercizio.
Nell'aprile del 1945 i partigiani presero Milano. Due giorni dopo arrivarono nella piccola città dove vivevo. Fu un momento di gioia. La piazza principale era affollata di gente che cantava e sventolava bandiere, invocando a gran voce Mimo, il capo partigiano della zona. Mimo, ex maresciallo dei carabinieri, si era messo coi badogliani e aveva perso una gamba in uno dei primi scontri. Si fece vedere al balcone del comune, appoggiato alle sue stampelle, pallido; cercò con una mano di calmare la folla. Io ero lì che aspettavo il suo discorso, visto che tutta la mia infanzia era stata segnata dai grandi discorsi storici di Mussolini, di cui a scuola imparavamo a memoria i passi più significativi. Silenzio. Mimo parlò con voce rauca, quasi non si sentiva. Disse: "Cittadini, amici. Dopo tanti dolorosi sacrifici... eccoci qui. Gloria ai caduti per la libertà." Fu tutto. E tornò dentro. La folla gridava, i partigiani alzarono le loro armi e spararono in aria festosamente. Noi ragazzi ci precipitammo a raccogliere i bossoli, preziosi oggetti da collezione, ma avevo anche imparato che la libertà di parola significa libertà dalla retorica.
Alcuni giorni dopo vidi i primi soldati americani. Erano afro-americani. Il primo yankee che incontrai era un nero, Joseph, che mi fece conoscere le meraviglie di Dick Tracy e di Li'1 Abner. I suoi fumetti erano a colori e avevano un buon odore.
Uno degli ufficiali (il maggiore o capitano Muddy) era ospite nella villa della famiglia di due mie compagne di scuola. Ero a casa mia in quel giardino dove alcune signore facevano crocchio intorno al capitano Muddy, parlando un francese approssimativo. Il capitano Muddy aveva una buona educazione superiore e conosceva un po' di francese. Così, la mia prima immagine dei liberatori americani, dopo tanti visi pallidi in camicia nera, fu quella di un nero colto in uniforme giallo-verde che diceva: "Oui, merci beaucoup Madame, moi aussi j’aime le champagne..." Sfortunatamente mancava lo champagne, ma dal capitano Muddy ebbi il mio primo chewing-gum e cominciai a masticare tutto il giorno. Di notte mettevo la cicca in un bicchiere d'acqua, per tenerla in fresco per il giorno dopo.
In maggio, sentimmo dire che la guerra era finita. La pace mi diede una sensazione curiosa. Mi era stato detto che la guerra permanente era la condizione normale per un giovane italiano. Nei mesi successivi scoprii che la Resistenza non era solo un fenomeno locale, ma europeo. Imparai nuove, eccitanti parole come "reseau"; "maquis", "armée secrete", "Rote Kapelle" "ghetto di Varsavia". Vidi le prime fotografie dell'Olocausto, e ne compresi così il significato prima di conoscere la parola. Mi resi conto da che cosa eravamo stati liberati.
In Italia vi sono oggi alcuni che si domandano se la Resistenza abbia avuto un reale impatto militare sul corso della guerra. Per la mia generazione la questione è irrilevante: comprendemmo immediatamente il significato morale e psicologico della Resistenza. Era motivo d'orgoglio sapere che noi europei non avevamo atteso la liberazione passivamente. Penso che anche per i giovani americani che versavano il loro tributo di sangue alla nostra libertà non era irrilevante sapere che dietro le linee c'erano europei che stavano già pagando il loro debito. In Italia c'è oggi qualcuno che dice che il mito della Resistenza era una bugia comunista. E vero che i comunisti hanno sfruttato la Resistenza come una proprietà personale, dal momento che vi ebbero un ruolo primario; ma io ricordo partigiani con fazzoletti di diversi colori.
Appiccicato alla radio, passavo le mie notti - le finestre chiuse, e l'oscuramento generale che faceva del piccolo spazio intorno all'apparecchio l'unico alone luminoso - ascoltando i messaggi che Radio Londra trasmetteva ai partigiani. Erano al tempo stesso oscuri e poetici ("Il sole sorge ancora", "Le rose fioriranno"), e la maggior parte erano "messaggi per la Franchi". Qualcuno mi bisbigliò che Franchi era il capo di uno dei gruppi clandestini più potenti dell'Italia del Nord, un uomo dal coraggio leggendario. Franchi divenne il mio eroe. Franchi (il cui vero nome era Edgardo Sogno) era un monarchico, così anticomunista che dopo la guerra si unì a gruppi di estrema destra, e venne anche accusato di aver collaborato a un colpo di stato reazionario. Ma che importa? Sogno rimane ancora il sogno della mia infanzia. La liberazione fu un'impresa comune per gente di diverso colore.
In Italia c'è oggi qualcuno che dice che la guerra di liberazione fu un tragico periodo di divisione, e che abbiamo ora bisogno di una riconciliazione nazionale. Il ricordo di quegli anni terribili dovrebbe venire represso. Ma la repressione provoca nevrosi. Se riconciliazione significa compassione e rispetto per tutti coloro che hanno combattuto la loro guerra in buona fede, perdonare non significa dimenticare. Posso anche ammettere che Eichmann credesse sinceramente nella sua missione, ma non mi sento di dire: "Okay, torna e fallo ancora." Noi siamo qui per ricordare ciò che accadde e per dichiarare solennemente che "loro" non debbono farlo più.
Ma chi sono "loro"?
Se pensiamo ancora ai governi totalitari che dominarono l'Europa prima della seconda guerra mondiale, possiamo dire con tranquillità che sarebbe difficile vederli ritornare nella stessa forma in circostanze storiche diverse. Se il fascismo di Mussolini si fondava sull'idea di un capo carismatico, sul corporativismo, sull'utopia del "destino fatale di Roma", su una volontà imperialistica di conquistare nuove terre, su un nazionalismo esacerbato, sull'ideale di una intera nazione irreggimentata in camicia nera, sul rifiuto della democrazia parlamentare, sull'antisemitismo, allora non ho difficoltà ad ammettere che Alleanza Nazionale, nata dall' MSI, è certamente un partito di destra, ma ha poco a che fare col vecchio fascismo. Per le stesse ragioni, anche se sono preoccupato dai vari movimenti filonazisti attivi qua e là in Europa, Russia compresa, non penso che il nazismo, nella sua forma originale, stia per ricomparire come movimento che coinvolga una nazione intera.
Tuttavia, anche se i regimi politici possono venire rovesciati, e le ideologie criticate e delegittimate, dietro un regime e la sua ideologia c'è sempre un modo di pensare e di sentire, una serie di abitudini culturali, una nebulosa di istinti oscuri e di insondabili pulsioni. C'è dunque ancora un altro fantasma che si aggira per l'Europa (per non parlare di altre parti del mondo)?
lonesco disse una volta che "solo le parole contano e il resto sono chiacchiere". Le abitudini linguistiche sono spesso sintomi importanti di sentimenti inespressi.
Lasciatemi dunque chiedere perché non solo la Resistenza ma tutta la seconda guerra mondiale sono state definite in tutto il mondo come una lotta contro il fascismo. Se rileggete Per chi suona la campana di Hemingway, scoprirete che Robert Jordan identifica i suoi nemici coi fascisti, anche quando pensa ai falangisti spagnoli.
Permettetemi di lasciare la parola a Franklin Delano Roosevelt: "La vittoria del popolo americano e dei suoi alleati sarà una vittoria contro il fascismo e il vicolo cieco del dispotismo che esso rappresenta" (23 settembre 1944).
Durante gli anni di McCarthy, gli americani che avevano preso parte alla guerra civile spagnola venivano chiamati "antifascisti prematuri" - intendendo con ciò che combattere Hitler negli anni quaranta era un dovere morale per ogni buon americano, ma combattere contro Franco troppo presto, negli anni trenta, era sospetto. Perché un'espressione come "Fascist pig" veniva usata dai radicali americani persino per indicare un poliziotto che non approvava quello che fumavano? Perché non dicevano: "Porco Caugolard", "Porco falangista", "Porco ustascia", "Porco Quisling", "Porco Ante Pavelic", "Porco nazista"?
Mein Kampf è il manifesto completo di un programma politico. II nazismo aveva una teoria del razzismo e dell'arianesimo, una nozione precisa della entartete Kunst, 1`arte degenerata", una filosofia della volontà di potenza e dell' Ubermensch. Il nazismo era decisamente anticristiano e neopagano, allo stesso modo in cui il Diamat (la versione ufficiale del marxismo sovietico) di Stalin era chiaramente materialista e ateo. Se per totalitarismo si intende un regime che subordina ogni atto individuale allo stato e alla sua ideologia, allora nazismo e stalinismo erano regimi totalitari.
Il fascismo fu certamente una dittatura, ma non era compiutamente totalitario, non tanto per la sua mitezza, quanto per la debolezza filosofica della sua ideologia. Al contrario di ciò che si pensa comunemente, il fascismo italiano non aveva una sua filosofia. L'articolo sul fascismo firmato da Mussolini per l'Enciclopedia Treccani fu scritto o venne fondamentalmente ispirato da Giovanni Gentile, ma rifletteva una nozione tardo-hegeliana dello "stato etico e assoluto" che Mussolini non realizzò mai completamente. Mussolini non aveva nessuna filosofia: aveva solo una retorica. Cominciò come ateo militante, per poi firmare il concordato con la Chiesa e simpatizzare coi vescovi che benedivano i gagliardetti fascisti. Nei suoi primi anni anticlericali, secondo una plausibile leggenda, chiese una volta a Dio di fulminarlo sul posto, per provare la sua esistenza. Dio era evidentemente distratto. In anni successivi, nei suoi discorsi Mussolini citava sempre il nome di Dio e non disdegnava di farsi chiamare "l'uomo della Provvidenza".
Si può dire che il fascismo italiano sia stata la prima dittatura di destra che abbia dominato un paese europeo, e che tutti i movimenti analoghi abbiano trovato in seguito una sorta di archetipo comune nel regime di Mussolini. Il fascismo italiano fu il primo a creare una liturgia militare, un folklore, e persino un modo di vestire - riuscendo ad avere all'estero più successo di Armani, Benetton o Versace. Fu solo negli anni trenta che movimenti fascisti fecero la loro comparsa in Inghilterra, con Mosley, e in Lettonia, Estonia, Lituania, Polonia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Grecia, Iugoslavia, Spagna, Portogallo, Norvegia, e persino in America del Sud, per non parlare della Germania. Fu il fascismo italiano a convincere molti leader liberali europei che il nuovo regime stesse attuando interessanti riforme sociali in grado di fornire una alternativa moderatamente rivoluzionaria alla minaccia comunista.
Tuttavia, la priorità storica non mi sembra una ragione sufficiente per spiegare perché la parola "fascismo" divenne una sineddoche, una denominazione pars pro toto per movimenti totalitari diversi. Non serve dire che il fascismo conteneva in sé tutti gli elementi dei totalitarismi successivi, per così dire, "in stato quintessenziale". Al contrario, il fascismo non possedeva alcuna quintessenza, e neppure una singola essenza. Il fascismo era un totalitarismo fuzzy. Il fascismo non era una ideologia monolitica, ma piuttosto un collage di diverse idee politiche e filosofiche, un alveare di contraddizioni. Si può forse concepire un movimento totalitario che riesca a mettere insieme monarchia e rivoluzione, esercito regio e milizia personale di Mussolini, i privilegi concessi alla Chiesa e una educazione statale che esaltava la violenza, il controllo assoluto e il libero mercato? Il partito fascista era nato proclamando il suo nuovo ordine rivoluzionario ma era finanziato dai proprietari terrieri più conservatori, che si aspettavano una controrivoluzione. Il fascismo degli inizi era repubblicano e sopravvisse per vent'anni proclamando la sua lealtà alla famiglia reale, permettendo a un "duce" di tirare avanti sottobraccio a un "re" cui offerse anche il titolo di "imperatore". Ma quando nel 1943 il re licenziò Mussolini, il partito riapparve due mesi dopo, con l'aiuto dei tedeschi, sotto la bandiera di una repubblica "sociale", riciclando la sua vecchia partitura rivoluzionaria, arricchita di accentuazioni quasi giacobine.
Ci fu una sola architettura nazista, e una sola arte nazista. Se l'architetto nazista era Albert Speer, non c'era posto per Mies van der Rohe. Allo stesso modo, sotto Stalin, se Lamarck aveva ragione non c'era posto per Darwin. Al contrario, vi furono certamente degli architetti fascisti, ma accanto ai loro pseudocolossei sorsero anche dei nuovi edifici ispirati al moderno razionalismo di Gropius.
Non ci fu uno Zdanov fascista. In Italia ci furono due importanti premi artistici: il Premio Cremona era controllato da un fascista incolto e fanatico come Farinacci, che incoraggiava un'arte propagandistica (mi ricordo di quadri intitolati Ascoltando alla radio un discorso del Duce o Stati mentali creati dal Fascismo); e il Premio Bergamo, sponsorizzato da un fascista colto e ragionevolmente tollerante come Bottai, che proteggeva l'arte per l'arte e le nuove esperienze dell'arte d'avanguardia che in Germania erano state bandite come corrotte e criptocomuniste, contrarie al Kitsch nibelungico, il solo ammesso.
Il poeta nazionale era D'Annunzio, un dandy che in Germania o in Russia sarebbe stato mandato davanti al plotone d'esecuzione. Venne assunto al rango di Vate del regime per il suo nazionalismo e il suo culto dell'eroismo - con l'aggiunta di forti dosi di decadentismo francese.
Prendiamo il futurismo. Avrebbe dovuto essere considerato un esempio di entartete Kunst, così come l'espressionismo, il cubismo, il surrealismo. Ma i primi futuristi italiani erano nazionalisti, favorirono per ragioni estetiche la partecipazione italiana alla prima guerra mondiale, celebrarono la velocità, la violenza, il rischio, e in certo modo questi aspetti sembrarono vicini al culto fascista della gioventù. Quando il fascismo si identificò con l'impero romano e riscoprì le tradizioni rurali, Marinetti (che proclamava una automobile più bella della Vittoria di Samotracia e voleva persino uccidere il chiaro di luna) venne nominato membro dell'Accademia d'Italia, che trattava il chiaro di luna con grande rispetto.
Molti dei futuri partigiani, e dei futuri intellettuali del Partito Comunista, vennero educati dal GUF, l'associazione fascista degli studenti universitari, che doveva essere la culla della nuova cultura fascista. Questi club divennero una sorta di calderone intellettuale in cui le nuove idee circolavano senza nessun reale controllo ideologico, non tanto perché gli uomini di partito fossero tolleranti, quanto perché pochi di loro possedevano gli strumenti intellettuali per controllarle.
Nel corso di quel ventennio, la poesia degli ermetici rappresentò una reazione allo stile pomposo del regime: a questi poeti venne permesso di elaborare la loro protesta letteraria dall'interno della torre d'avorio. Il sentire degli ermetici era esattamente il contrario del culto fascista dell'ottimismo e dell'eroismo. Il regime tollerava questo dissenso palese, anche se socialmente impercettibile, perché non prestava sufficiente attenzione a un gergo così oscuro.
Il che non significa che il fascismo italiano fosse tollerante. Gramsci venne messo in prigione fino alla morte, Matteotti e i fratelli Rosselli vennero assassinati, la libera stampa soppressa, i sindacati smantellati, i dissidenti politici confinati su isole remote, il potere legislativo divenne una mera finzione e quello esecutivo (che controllava il giudiziario, come pure i mass media) emanava direttamente le nuove leggi, tra le quali vi furono anche quelle per la difesa della razza (l'appoggio formale italiano all'Olocausto).
L'immagine incoerente che ho descritto non era dovuta a tolleranza: era un esempio di sgangheratezza politica e ideologica. Ma era una "sgangheratezza ordinata", una confusione strutturata. Il fascismo era filosoficamente scardinato, ma dal punto di vista emotivo era fermamente incernierato ad alcuni archetipi.
Siamo ora giunti al secondo punto della mia tesi. Ci fu un solo nazismo, e non possiamo chiamare "nazismo" il falangismo ipercattolico di Franco, dal momento che il nazismo è fondamentalmente pagano, politeistico e anticristiano, o non è nazismo. Al contrario, si può giocare al fascismo in molti modi, e il nome del gioco non cambia. Succede alla nozione di "fascismo" quel che, secondo Wittgenstein, accade alla nozione di "gioco". Un gioco può essere o non essere competitivo, può interessare una o più persone, può richiedere qualche particolare abilità o nessuna, può mettere in palio del danaro, o no. I giochi sono una serie di attività diverse che mostrano solo una qualche "somiglianza di famiglia".
1 2 3 4
abc bcd cde def
Supponiamo che esista una serie di gruppi politici. Il gruppo 1 è caratterizzato dagli aspetti abc, il gruppo 2 da quelli bcd, e così via. 2 è simile a 1 in quanto hanno due aspetti in comune. 3 è simile a 2 e 4 è simile a 3 per la stessa ragione. Si noti che 3 è anche simile a 1 (hanno in comune l'aspetto c). Il caso più curioso è dato da 4, ovviamente simile a 3 e a 2, ma senza nessuna caratteristica in comune con 1. Tuttavia, a ragione della ininterrotta serie di decrescenti similarità tra 1 e 4, rimane, per una sorta di transitività illusoria, un'aria di famiglia tra 4 e 1.
Il termine "fascismo" si adatta a tutto perché è possibile eliminare da un regime fascista uno o più aspetti, e lo si potrà sempre riconoscere per fascista. Togliete al fascismo l'imperialismo e avrete Franco o Salazar; togliete il colonialismo e avrete il fascismo balcanico. Aggiungete al fascismo italiano un anticapitalismo radicale (che non affascinò mai Mussolini) e avrete Ezra Pound. Aggiungete il culto della mitologia celtica e il misticismo del Graal (completamente estraneo al fascismo ufficiale) e avrete uno dei più rispettati guru fascisti, Julius Evola.
A dispetto di questa confusione, ritengo sia possibile indicare una lista di caratteristiche tipiche di quello che vorrei chiamare 1`Ur-Fascismo", o il "fascismo eterno". Tali caratteristiche non possono venire irreggimentate in un sistema; molte si contraddicono reciprocamente, e sono tipiche di altre forme di dispotismo o di fanatismo. Ma è sufficiente che una di loro sia presente per far coagulare una nebulosa fascista.
1. La prima caratteristica di un Ur-Fascismo è il culto della tradizione. Il tradizionalismo è più vecchio del fascismo. Non fu solo tipico del pensiero controrivoluzionario cattolico dopo la Rivoluzione Francese, ma nacque nella tarda età ellenistica come una reazione al razionalismo greco classico.
Nel bacino del Mediterraneo, i popoli di religioni diverse (tutte accettate con indulgenza dal Pantheon romano) cominciarono a sognare una rivelazione ricevuta all'alba della storia umana. Questa rivelazione era rimasta a lungo nascosta sotto il velo di lingue ormai dimenticate. Era affidata ai geroglifici egiziani, alle rune dei celti, ai testi sacri, ancora sconosciuti, delle religioni asiatiche.
Questa nuova cultura doveva essere sincretistica. "Sincretismo" non è solo, come indicano i dizionari, la combinazione di forme diverse di credenze o pratiche. Una simile combinazione deve tollerare le contraddizioni. Tutti i messaggi originali contengono un germe di saggezza e quando sembrano dire cose diverse o incompatibili è solo perché tutti alludono, allegoricamente, a qualche verità primitiva.
Come conseguenza, non ci può essere avanzamento del sapere. La verità è stata già annunciata una volta per tutte, e noi possiamo solo continuare a interpretare il suo oscuro messaggio. E sufficiente guardare il sillabo di ogni movimento fascista per trovare i principali pensatori tradizionalisti. La gnosi nazista si nutriva di elementi tradizionalisti, sincretistici, occulti. La più importante fonte teoretica della nuova destra italiana, Julius Evola, mescolava il Graal con i Protocolli dei Savi di Sion, l'alchimia con il Sacro Romano Impero. Il fatto stesso che per mostrare la sua apertura mentale una parte della destra italiana abbia recentemente ampliato il suo sillabo mettendo insieme De Maistre, Guenon e Gramsci è una prova lampante di sincretismo.
Se curiosate tra gli scaffali che nelle librerie americane portano l'indicazione "New Age", troverete persino Sant'Agostino, il quale, per quanto ne sappia, non era fascista. Ma il fatto stesso di mettere insieme Sant'Agostino e Stonehenge, questo è un sintomo di Ur-Fascismo.
2. Il tradizionalismo implica il rifiuto del modernismo. Sia i fascisti che i nazisti adoravano la tecnologia, mentre i pensatori tradizionalisti di solito rifiutano la tecnologia come negazione dei valori spirituali tradizionali. Tuttavia, sebbene il nazismo fosse fiero dei suoi successi industriali, la sua lode della modernità era solo l'aspetto superficiale di una ideologia basata sul "sangue" e la "terra" (Blut und Boden). Il rifiuto del mondo moderno era camuffato come condanna del modo di vita capitalistico, ma riguardava principalmente il rigetto dello spirito del 1789 (o del 1776, ovviamente). L'illuminismo, l'età della Ragione vengono visti come l'inizio della depravazione moderna. In questo senso, l'Ur-Fascismo può venire definito come "irrazionalismo".
3. L'irrazionalismo dipende anche dal culto dell azione per l'azione. L'azione è bella di per sé, e dunque deve essere attuata prima di e senza una qualunque riflessione. Pensare è una forma di evirazione. Perciò la cultura è sospetta nella misura in cui viene identificata con atteggiamenti critici. Dalla dichiarazione attribuita a Goebbels ("Quando sento parlare di cultura, estraggo la mia pistola") all'uso frequente di espressioni quali "Porci intellettuali", "Teste d'uovo", "Snob radicali", "Le università sono un covo di comunisti", il sospetto verso il mondo intellettuale è sempre stato un sintomo di UrFascismo. Gli intellettuali fascisti ufficiali erano principalmente impegnati nell'accusare la cultura moderna e l'intellighenzia liberale di aver abbandonato i valori tradizionali.
4. Nessuna forma di sincretismo può accettare la critica. Lo spirito critico opera distinzioni, e distinguere è un segno di modernità. Nella cultura moderna, la comunità scientifica intende il disaccordo come strumento di avanzamento delle conoscenze. Per l'Ur-Fascismo, il disaccordo è tradimento.
5. Il disaccordo è inoltre un segno di diversità. L'UrFascismo cresce e cerca il consenso sfruttando ed esacerbando la naturale paura della differenza. Il primo appello di un movimento fascista o prematuramente fascista è contro gli intrusi. L'Ur-Fascismo è dunque razzista per definizione.
6. L'Ur-Fascismo scaturisce dalla frustrazione individuale o sociale. Il che spiega perché una delle caratteristiche tipiche dei fascismi storici è stato l'appello alle classi medie frustrate, a disagio per qualche crisi economica o umiliazione politica, spaventate dalla pressione dei gruppi sociali subalterni. Nel nostro tempo, in cui i vecchi "proletari" stanno diventando piccola borghesia (e i Lumpen si autoescludono dalla scena politica), il fascismo troverà in questa nuova maggioranza il suo uditorio.
7. A coloro che sono privi di una qualunque identità sociale, l'Ur-Fascismo dice che il loro unico privilegio è il più comune di tutti, quello di essere nati nello stesso paese. E questa l'origine del `nazionalismo': Inoltre, gli unici che possono fornire una identità alla nazione sono i nemici. Così, alla radice della psicologia Ur-Fascista vi è l'ossessione del complotto, possibilmente internazionale. I seguaci debbono sentirsi assediati. Il modo più facile per far emergere un complotto è quello di fare appello alla xenofobia. Ma il complotto deve venire anche dall'interno: gli ebrei sono di solito l'obiettivo migliore, in quanto presentano il vantaggio di essere al tempo stesso dentro e fuori. In America, ultimo esempio dell'ossessione del complotto è rappresentato dal libro The New World Order di Pat Robertson.
8. I seguaci debbono sentirsi umiliati dalla ricchezza ostentata e dalla forza dei nemici. Quando ero bambino mi insegnavano che gli inglesi erano il "popolo dei cinque pasti": mangiavano più spesso degli italiani, poveri ma sobri. Gli ebrei sono ricchi e si aiutano l'un l'altro grazie a una rete segreta di mutua assistenza. I seguaci debbono tuttavia essere convinti di poter sconfiggere i nemici. Così, grazie a un continuo spostamento di registro retorico, i nemici sono al tempo stesso troppo forti e troppo deboli. I fascismi sono condannati a perdere le loro guerre, perché sono costituzionalmente incapaci di valutare con obiettività la forza del nemico.
9. Per l'Ur-Fascismo non c'è lotta per la vita, ma piuttosto "vita per la lotta". Il pacifismo è allora collusione col nemico; il pacifismo è cattivo perché la vita è una guerra permanente. Questo tuttavia porta con sé un complesso di Armageddon: dal momento che i nemici debbono e possono essere sconfitti, ci dovrà essere una battaglia finale, a seguito della quale il movimento avrà il controllo del mondo. Una simile soluzione finale implica una successiva era di pace, un'età dell'Oro che contraddice il principio della guerra permanente. Nessun leader fascista è mai riuscito a risolvere questa contraddizione.
10. L'elitismo è un aspetto tipico di ogni ideologia reazionaria, in quanto fondamentalmente aristocratico. Nel corso della storia, tutti gli elitismi aristocratici e militaristici hanno implicato il disprezzo per i deboli. L'Ur-Fascismo non può fare a meno di predicare un "elitismo popolare". Ogni cittadino appartiene al popolo migliore del mondo, i membri del partito sono i cittadini migliori, ogni cittadino può (o dovrebbe) diventare un membro del partito. Ma non possono esserci patrizi senza plebei. Il leader, che sa bene come il suo potere non sia stato ottenuto per delega, ma conquistato con la forza, sa anche che la sua forza si basa sulla debolezza delle masse, così deboli da aver bisogno e da meritare un "dominatore". Dal momento che il gruppo è organizzato gerarchicamente (secondo un modello militare), ogni leader subordinato disprezza i suoi subalterni, e ognuno di loro disprezza i suoi sottoposti. Tutto ciò rinforza il senso di un elitismo di massa.
11. In questa prospettiva, ciascuno è educato per diventare un eroe. In ogni mitologia 1`eroe" è un essere eccezionale, ma nell'ideologia Ur-Fascista l'eroismo è la norma. Questo culto dell'eroismo è strettamente legato al culto della morte: non a caso il motto dei falangisti era: "Viva la muerte” Alla gente normale si dice che la morte è spiacevole ma bisogna affrontarla con dignità; ai credenti si dice che è un modo doloroso per raggiungere una felicità soprannaturale. L'eroe Ur-Fascista, invece, aspira alla morte, annunciata come la migliore ricompensa per una vita eroica. L'eroe Ur-Fascista è impaziente di morire. Nella sua impazienza, va detto in nota, gli riesce più di frequente far morire gli altri.
12. Dal momento che sia la guerra permanente sia l'eroismo sono giochi difficili da giocare, l'UrFascista trasferisce la sua volontà di potenza su questioni sessuali. È questa l'origine del machismo (che implica disdegno per le donne e una condanna intollerante per abitudini sessuali non conformiste, dalla castità all'omosessualità). Dal momento che anche il sesso è un fioco difficile da giocare, l'eroe UrFascista gioca con armi, che sono il suo Ersatz fallico: i suoi giochi di guerra sono dovuti a una invidia penis permanente.
13. L'Ur-Fascismo si basa su un "populismo qualitativo" : In una democrazia i cittadini godono di diritti individuali, ma l'insieme dei cittadini è dotato di un impatto politico solo dal punto di vista quantitativo (si seguono le decisioni della maggioranza). Per l'UrFascismo gli individui in quanto individui non hanno diritti, e il "popolo" è concepito come una qualità, un'entità monolitica che esprime la "volontà comune". Dal momento che nessuna quantità di esseri umani può possedere una volontà comune, il leader pretende di essere il loro interprete. Avendo perduto il loro potere di delega, i cittadini non agiscono, sono solo chiamati pars pro toto, a giocare il ruolo del popolo. Il popolo è così solo una finzione teatrale. Per avere un buon esempio di populismo qualitativo, non abbiamo più bisogno di Piazza Venezia o dello stadio di Norimberga. Nel nostro futuro si profila un populismo qualitativo Tv o Internet, in cui la risposta emotiva di un gruppo selezionato di cittadini può venire presentata e accettata come la "voce del popolo". A ragione del suo populismo qualitativo, l'Ur-Fascismo deve opporsi ai `putridi" governi parlamentari. Una delle prime frasi pronunciate da Mussolini nel parlamento italiano fu: "Avrei potuto trasformare quest'aula sorda e grigia in un bivacco per i miei manipoli." Di fatto, trovò immediatamente un alloggio migliore per i suoi manipoli, ma poco dopo liquidò il parlamento. Ogni qual volta un politico getta dubbi sulla legittimità del parlamento perché non rappresenta più la "voce del popolo", possiamo sentire l'odore di Ur-Fascismo.
14. L'Ur-Fascismo parla la "neolingua". La "neolingua" venne inventata da Orwell in 1984, come la lingua ufficiale dell'Ingsoc, il Socialismo Inglese, ma elementi di Ur-Fascismo sono comuni a forme diverse di dittatura. Tutti i testi scolastici nazisti o fascisti si basavano su un lessico povero e su una sintassi elementare, al fine di limitare gli strumenti per il ragionamento complesso e critico. Ma dobbiamo essere pronti a identificare altre forme di neolingua, anche quando prendono la forma innocente di un popolare talkshow.
Dopo aver indicato i possibili archetipi dell'Ur-Fascismo, mi sia concesso di concludere. Il mattino del 27 luglio del 1943 mi fu detto che, secondo delle informazioni lette alla radio, il fascismo era crollato e che Mussolini era stato arrestato. Mia madre mi mandò a comperare il giornale. Andai al chiosco più vicino e vidi che i giornali c'erano, ma i nomi erano diversi. Inoltre, dopo una breve occhiata ai titoli, mi resi conto che ogni giornale diceva cose diverse. Ne comperai uno, a caso, e lessi un messaggio stampato in prima pagina, firmato da cinque o sei partiti politici, come Democrazia Cristiana, Partito Comunista, Partito Socialista, Partito d'Azione, Partito Liberale. Fino a quel momento avevo creduto che vi fosse un solo partito in ogni paese, e che in Italia ci fosse solo il Partito Nazionale Fascista. Stavo scoprendo che nel mio paese ci potevano essere diversi partiti allo stesso tempo. Non solo: dal momento che ero un ragazzo sveglio, mi resi subito conto che era impossibile che tanti partiti fossero sorti da un giorno all'altro. Capii così che esistevano già come organizzazioni clandestine.
Il messaggio celebrava la fine della dittatura e il ritorno della libertà: libertà di parola, di stampa, di associazione politica. Queste parole, "libertà", "dittatura" - Dio mio - era la prima volta in vita mia che le leggevo. In virtù di queste nuove parole ero rinato uomo libero occidentale.
Dobbiamo stare attenti che il senso di queste parole non si dimentichi ancora. L'Ur-Fascismo è ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili. Sarebbe così confortevole, per noi, se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: "Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane!" Ahimè, la vita non è così facile. L'Ur-Fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l'indice su ognuna delle sue nuove forme - ogni giorno, in ogni parte del mondo. Do ancora la parola a Roosevelt: "Oso dire che se la democrazia americana cessasse di progredire come una forza viva, cercando giorno e notte con mezzi pacifici, di migliorare le condizioni dei nostri cittadini, la forza del fascismo crescerà nel nostro paese" (4 novembre 1938). Libertà e liberazione sono un compito che non finisce mai. Che sia questo il nostro motto: “Non dimenticate”.
E permettetemi di finire con una poesia di Franco Fortini:
Sulla spalletta del ponte Le teste degli impiccati Nell'acqua della fonte La bava degli impiccati
Sul lastrico del mercato Le unghie dei fucilati Sull'erba secca del prato I denti dei fucilati
Mordere l'aria mordere i sassi La nostra carne non è più d'uomini Mordere l'aria mordere i sassi Il nostro cuore non è più d'uomini
Ma noi s'è letto negli occhi dei morti E sulla terra faremo libertà Ma l'hanno stretta i pugni dei morti La giustizia che si farà.
Copyright © by Umberto Eco
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I partigiani in quei giorni «si cibarono di foglie di albero, di qualche tozzo di pane a loro gettato dagli spaventatissimi contadini e bevvero l'acqua dei fossi...»
Partigiani della Brigata San Faustino Proletaria d’urto, Fonte: Wikipedia Da un primo nucleo fondato nel settembre 1943 a San Faustino dal liberale Bonuccio Bonucci, la brigata [San Faustino] arrivò a coprire l’ampio quadrilatero compreso tra Città di Castello, Apecchio, Gubbio e Umbertide. Una zona delimitata a est dalla via Flaminia verso le Marche, a ovest dalla via Tiberina verso la Toscana.…
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