#avventure tra amiche
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Padronanza e Linguaggio
La campagna di trasformazione dei miei pomodori e pomodorini quest'anno, complice la variabile meteorologica (inverno mite, primavera anticipata) è partita esattamente 40 giorni prima del 2023. Lo scrivo perchè mi ha un po' impedito di dedicarmi appieno al blog, soprattutto riguardo le mie ultime letture.
Vorrei segnalarvi, en passant, due libri tra le ultime letture: uno, magnifico, è la ristampa con nuova traduzione di un romanzo, Qui Il Sentiero Si Perde di Peskè Marty, che Adelphi ha pubblicato di recente: il nome dell'autore è uno pseudonimo di una coppia di scrittori francesi, Antoinette Peské e il marito Pierre Marie André Marty. Scritto negli anni '50, ambientato tra la Mongolia e la Siberia, il romanzo racconta le avventure leggendarie dello zar Alessandro I, vincitore di Napoleone, che nel 1825 avrebbe messo in scena la sua morte. Una diceria, quella della fuga dello zar e delle sue successive metamorfosi, che aveva intrigato anche Tolstoj, il quale vi dedicò un racconto (Memorie Postume dello Starets Fëdor Kuzmìč).
L'altra segnalazione è un piccolo saggio scritto da uno dei massimi esperti di Storia Della Musica Classica, Giorgio Pestelli, che ne Il Genio di Beethoven (Donzelli) percorre, attraverso l'analisi non solo tecnica ma anche emozionale, delle nove leggendarie sinfonie del maestro, un ritratto unico e profondo del grande compositore.
Ma approfitto per parlarvi anche dell'ultima, stranissima ma indimenticabile lettura che è questo libro:
Adam Thirlwell fa parte dell'ultima generazione di scrittori britannici, e per due volte è stato inserito nella Lista dei Migliori Autori Emergenti dalla prestigiosa rivista Granta, le cui segnalazioni negli anni mi hanno sempre fatto conoscere autori niente male (Tibor Fisher o Scarlett Thomas, i primi nomi che mi vengono in mente). In Il Futuro Futuro (Feltrinelli) Thirlwell immagina un mondo distopico, dove succedono in maniera non lineare avvenimenti storici che somigliano moltissimo a quelli avvenuti negli anni appena precedenti la Rivoluzione Francese. Qui Celine, Marta e Julia sono tre giovanissime ragazze che, in maniera misteriosa, sono vittima di anonimi pamphlet dove vengono descritte con pruriginosa minuzia di particolari le abitudini sessuali delle nostre giovani protagoniste. Celine, Marta e Julia si confrontano quindi con un problema: come si gestisce il rapporto tra linguaggio, arte e potere? e tra potere e genere? Per controbattere, hanno un'idea geniale: organizzano delle feste, a cui piano piano partecipano intellettuali, scrittori, impresari teatrali, miliardari, persino una potentissima Antoniette (che sappiamo a chi si riferisca). Diventano il momento più importante delle sere cittadine. I libri anonimi scompaiono, le ragazze si faranno nuovi nemici ma soprattutto rimangono in Celine e le sue amiche dubbi profondi sui massimi sistemi, in primis sul grande e a tratti inestricabile problema del linguaggio:
Si poteva immaginare un mondo senza linguaggio, o che il linguaggio diventasse una cosa intima e diversa. Era come se nelle conversazioni vere arrivasse sempre il momento in cui emergeva una voce che non era quella di nessuna delle persone che stavano parlando, ma era la voce della conversazione stessa, e quando accadeva era come se si accendesse una piccola lampada, inondando di luce calda un angolino. Altri se lo immaginavano come un dio che si manifestava o parlava attraverso un'altra persona, ma Celine la vedeva diversamente. Era la voce della conversazione, pensava lei, che apparteneva a tutti e a nessuno […] (p. 67-8)
Celine, Marta e Julia hanno anche un problema con il potere dei maschi: sebbene vivano una sessualità libera, sono spesso vittime del potere che è legato ai maschi. Un potere legato ai soldi e al sesso, che Celine tenta spesso di scardinare:
-Come è che uno crede di sapere qualcosa di qualcun altro? disse Celine
-Una volta ci andavo a letto, disse Lorenzo.
-E questo che cazzo vuol dire? fece Celine. - Vuol forse dire che Julia ti conosce, solo perchè sa quanto ti piaceva leccarle il buco del culo?
Lorenzo rimase ancora in silenzio, un silenzio stavolta più greve. Visto? disse Celine. - Tutti odiano sentir parlare di sè. Panico Puro (208).
Celine avrà una figlia, Saratoga, viaggerà, verrà costretta dalla Rivoluzione a scappare via in America. Lì farà degli incontri particolari. Ritornerà, nel modo più strambo, a ricongiungersi con la figlia, cercando di capire cosa sia il futuro:
Ogni volta che si incontravano, gli scrittori non facevano che discutere ossessivamente del futuro, chi avrebbe avuto ancora un pubblico di lettori o come sarebbe stato il futuro - ma non si rendevano conto di quanto fosse limitato il loro modo di pensarlo, il futuro. II vero futuro, diceva Saratoga, non era ciò che sarebbe accaduto di lì a un mese o a un anno, ma il futuro futuro: alieno e incomunicabile. Ma loro non lo vedevano, perché non erano capaci di scatenare il pensiero (150).
Un libro che attraverso una trama fantasiosa, una scrittura asciutta ma implacabile, una serie di eventi di natura fantasiosa ma forse con salti troppo giganti, con pochissimi particolari sui personaggi che non siano le loro conversazioni o i loro pensieri, spazia dal saggio filosofico al fantasy, dalla semiotica al pulp, senza dimenticare i numerosi incontri delle nostre protagoniste non solo con alcuni grandi della Storia, ma persino extraterrestri (non vi anticipo nulla). Un libro strano, pazzo ma che scalda il cuore, non solo per la sua originalità, ma anche per i temi che affronta, tra cui l'amicizia, i rapporti di potere, la comunicazione. Che stuzzica ed estremizza:
Era uno dei problemi di vivere fra la gente - si pensava di sapere un sacco di cose sui propri amici, ma quasi sempre ci voleva una catastrofe perchè le persone si parlassero a cuore aperto. La natura umana era terribile (100-101).
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TOKYO MEW MEW REWATCH - EP 39
E dopo due mesi di assenza ospedaliera, tornano i miei rewatch. Vi erano mancati?
Mi piace che in questo episodio Pai e Taruto siano più rabbiosi del solito. Si vede che mentre le eroine hanno la loro bella serie di vittorie, agli alieni inizia a pesare la ripetuta sconfitta.
Se Pai e Taruto sono più rabbiosi Kisshu inizia a capottare psicologicamente proprio. Bello il suo monologo/flashback, che illustra il contrasto tra il voler fare il bene della propria gente e quella che ormai è un'ossessione verso Ichigo.
Eccallà, la famosa scena che ha fatto tanto incazzare i fan della ichisaya.
Credo di aver visto almeno due o tre persone criticare il fatto che Masaya si dichiari già interessato a Ichigo, che va a cozzare contro lo schifo generalizzato che il personaggio prova verso l'umanità e che cambia proprio man mano che conosce la ragazza.
Personalmente, devo dire che sono d'accordo. Credo che la mia versione preferita sia quella di New, che fa un misto delle due cose: Masaya parte con una vaga fascinazione per l'atteggiamento spontaneo di Ichigo (in contrasto con il suo, sempre studiato per farlo apparire come un 'bravo ragazzo') ma l'interesse vero e proprio, e poi l'amore, si sviluppano man mano che i due passano del tempo insieme e hanno veri momenti di dialogo e confronto.
Certo che 'sto Chimero sta facendo un buon lavoro nell'imitare la personalità di Ichigo. O quantomeno, non ha l'interpretazione trasparente che si vede di solito in queste trame in anime per un pubblico giovane, è comprensibile che le altre ragazze siano rimaste fregate.
Quando crei una 'trasposizione in un mondo onirico/inconscio', puoi creare mille avventure in un mondo illogico, fare una profonda esplorazione della mente del personaggio tramite un mondo ricco di simboli ...
Oppure puoi creare un campo sterminato e un attacco a base di cuscini.
- Cosa si prova a far soffrire le tue amiche?
Qualcuno che ha dovuto lasciare un suo amico a morire dovrebbe saperne qualcosa. Seriamente, adoro questo piccolo arco narrativo in cui una ferita non viene dimenticata in due episodi, ha conseguenze serie sia per chi la subisce che per chi gli sta intorno.
E una sottile dimostrazione che Pai non è completamente freddo, vuole bene ai suoi compagni di missione; semplicemente deve dare la priorità alla stessa.
- La uccido io!
Procede a svegliarla e perdere tempo a pretendere che vada con lui. Dopodiché sviene. Vabbè, del resto è sempre stato chiaro che la coerenza quando Ichigo è coinvolta fosse uno dei punti di forza di Kisshu.
Scherzi a parte, facendo il rewatch ho il sospetto che questo anime abbia posto le fondamenta per il mio debole per i personaggi che crollano mentalmente a un certo punto della storia. Pai e Taruto hanno ragione: una scenetta patetica, l'imbarazzo di seconda mano è forte (per non parlare della moralità di minacciare una ragazza di ammazzarla se non si mette con lui), ma mi riesce difficile non provare una certa pena per Kisshu.
Bella la scena finale con Retasu che nota che gli alieni possano provare emozioni ... non fosse stato per il fatto che gli alieni si sono dimostrati molto emotivi (fatta forse eccezione per Pai) fin dai primi incontri, e soprattutto che non sia la prima volta che viene fuori il fatto che loro stiano combattendo per le loro famiglie e amici. Questo anime ha dei bei momenti toccanti, ma spesso non riesce a creare una connessione tra loro.
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Come nasce il blog
Sono E. (Elena, Elisa, Eleonora...chi lo sa) benvenuti e benvenute nel mio blog :)
Questo blog nasce da una conversazione che ho avuto con alcune mie amiche riguardo una piattaforma che non ha bisogno di presentazioni: Onlyfans. Dico che non ha bisogno di presentazioni perchè a quanto pare è conosciuta da tutti....da tutti tranne che da me; avevo un'idea di fondo di come funzionasse ma non avevo idea che fosse così diffuso e così utilizzato e soprattutto dall'enorme quantità di denaro che fa girare. Tutte cose affascinanti, ma la cosa che mi ha affascinata di più è la possibilità per i modelli e le modelle (si possono chiamare così?) di "esibirsi" di condividere cose private della propria vita in modo quasi "professionale". In queste giornate non nego che ci ho pensato un sacco, e di due cosa penso di essere ormai certa:
Non riuscirei mai e poi mai ad aprire un mio onlyfans
L'idea di esibizionismo però mi attira...e anche un sacco!
Mi perdo letteralmente a leggere i racconti online (di fantasia o meno) delle cose che le persone fanno ad esempio in mezzo alle foreste in tenda o delle situazioni che si vengono a creare, più o meno telefonate, tra due sconosciuti grazie alla giusta combinazione di eventi.
Ed ecco che arriva l'idea: apro un blog! Un blog in cui fare l' "esibizionista" (non a pagamento però!) condividere i miei pensieri più segreti ed intimi e carnali, raccontare le mie avventure le mie serate e un sacco di altre cose. Sapere che la gente può leggere tranquillamente questi pensieri e venire a conoscenza delle cose che faccio o che mi vengono in mente durante la giornata....il tutto senza sapere chi sono! E magari perché no, interagire con loro con dei commenti sotto i vari post... E' una situazione win win 😏
Direi che come primo post posso limitarmi a parlare un po' di me. Come vi ho detto mi chiamo E. (il nome intero preferisco non dirvelo per ovvie ragioni) vivo a Bologna e lavoro a Bologna. Diciamo che ho tra i 28 e i 35 anni. Porto i capelli lunghi, scuri. Non sono slanciata come le modelle di intimissimi, ma nemmeno passo le giornate ad ingrassare mangiando schifi sul divano. Sono alta circa 1,70 e porto il 40 di scarpe. Mi ritengo una persona abbastanza aperta alle novità, molto alla mano. Penso che per il momento possa bastare così, sicuramente finirò col darvi altri dettagli di me più avanti nel tempo. Mi piacerebbe aggiornare il blog almeno una volta a settimana, ma non sono ancora sicura della frequenza con la quale verrò a scrivere :) Per il momento l'unica cosa che posso dirvi è rimanete connessi ;)
A presto, E.
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Bologna: “L’Attesa” al Teatro Arena del Sole il 25 e 26 marzo 2023
Bologna: “L’Attesa” al Teatro Arena del Sole il 25 e 26 marzo 2023. Al Teatro Arena del Sole di Bologna va in scena "L’Attesa" di Michela Cescon, sabato 25 marzo alle 19.00 e domenica 26 marzo alle 16.00. L'attrice e regista fondatrice della compagnia Teatro di Dioniso affida il testo dello scrittore Remo Binosi a due interpreti molto amate dal pubblico, Anna Foglietta e Paola Minaccioni, per la prima volta insieme sul palcoscenico. Quasi trent’anni dopo la storica messa in scena del 1994, diretta da Cristina Pezzoli, Cescon decide di riproporre il testo di Binosi nella sua prima stesura del 1992, scritta a macchina dall’autore stesso - con una punteggiatura spesso ossessiva dopo ogni singola parola, ogni singolo articolo - e con la dedica nella seconda pagina del dattiloscritto alla moglie Anna, che durante la stesura era incinta. «Il testo di Binosi – afferma la regista – ha una grande forza drammatica e di coinvolgimento, a cui è difficile rimanere indifferenti e - nonostante l'azione sia ambientata nel '700 - i temi e i contenuti trattati sembrano parlare di noi, come se non fosse cambiato nulla: la differenza di classe, il rapporto serva-padrona, il doppio, l’amore, il piacere, la maternità, il peccato, la punizione, il femminile, il male, la morte, la seduzione. Tutto viene raccontato con continui cambi di registro narrativo, tenendo in equilibrio tra loro commedia e dramma». La nobildonna Cornelia e la sua serva Rosa si ritrovano recluse nella stessa stanza a scontare la vergogna di una gravidanza inaspettata, che la società non intende accettare. La relazione tra le due esprime un dualismo moderno, presente nei personaggi come nella lingua, tra il teatro di Rosa in lingua veneta e la letteratura ricca di immagini e inconscio di Cornelia. «L’Attesa è proprio un testo per il palcoscenico – continua la regista –, per gli attori, pieno d’invenzioni molto riuscite. Tutto è raccontato con freschezza e con un erotismo naturale nei confronti della vita e del mondo. Alle due attrici viene richiesta un’adesione fisica ai personaggi totale, e il loro stare in scena diventa molto sensuale, non per un finto gioco di seduzione, ma per la loro immersione nel racconto; un racconto sui corpi femminili, sulla punizione per il desiderio, la punizione di essere donne, sulla maternità, sull’amicizia, sull’amore, sul piacere, sulla lealtà, sulle differenze di classe… due voci femminili che diventano un gran bel punto di vista, per portare in scena il nostro sguardo più personale ed intimo. Il dramma è costruito attorno a due donne che vengono allontanate e rinchiuse per nove mesi per nascondere entrambe una gravidanza. Si racconta una clausura, un’impossibilità ad uscire e mai, come in questi tempi, l’idea teatrale, anche semplice, di chiudere due personaggi all’interno di una stanza diventa vera, reale e sentita. Insieme ai miei collaboratori abbiamo costruito un luogo scenico che rappresenta la mente di Cornelia, il diario su cui lei scrive, dove la chiusura o l’apertura dei muri è metafora di una condizione interna, della vita del cuore; mentre la relazione con l’esterno viene raccontata dalla luce e dal buio, dalle ore del giorno e dai suoni della campagna estiva, e dalla natura prepotente che le circonda». «Mia moglie era in attesa di nostra figlia Giulia – scriveva l’autore – e io stavo leggendo le memorie di Casanova. Le avventure del grande seduttore si accompagnavano all’esperienza che stavo vivendo, con il procedere della gravidanza il corpo di mia moglie cambiava e insieme cambiava anche il rapporto che lei aveva con sé stessa e con le altre donne. La sentivo parlare con le sue amiche e intessere facilmente discorsi anche con donne molto diverse da lei, si scambiavano emozioni, consigli, paure e speranze. C’era tra loro una corrente di grande energia comunicativa. Proprio a partire da un dato intimo come quello del corpo gravido, le donne costruiscono una rete di confidenza e complicità di cui gli uomini sono assolutamente incapaci. Il maschio mito Casanova con la sua dispersiva sessualità, mi sembrava la prova di questa incapacità, cominciai così a pensare a una storia che mettesse a confronto donne diverse entrambe incinte dello stesso uomo assente». Remo Binosi (1949-2002), giornalista e scrittore, ha esordito come autore teatrale nel 1992 con il monologo Sognanti interpretato da Rosa Di Lucia. Nel 1994 la sua commedia L’Attesa ottiene il Biglietto d’oro Agis come migliore novità italiana e nel 2000 diventa un film, Rosa e Cornelia, diretto da Giorgio Treves con la sceneggiatura dello stesso Binosi. Tra i suoi testi per il teatro, ricordiamo Fausta – Peccato d’eternità (1994), La finestra sul ponte – Visione di una battaglia in corso (1995), Il martello del diavolo (1997), La Bovarì sulla bocca di tutti (1998), I cacciatori (1998), Che magnifica serata! (1999), Verde (2001), Betty Vintage (2001), Carambola (2001) e Una relazione privata (2001). Ha inoltre scritto il radiodramma Week-end e per il cinema il cortometraggio diretto da Mauro Balletti Fasten Seat Belts. Teatro Arena del Sole, via Indipendenza 44 – Bologna Prezzi dei biglietti: da 7 € a 25 € esclusa prevendita Biglietteria: dal martedì al sabato dalle ore 11.00 alle 14.00 e dalle 16.30 alle 19.00 Tel. 051 2910910 - [email protected] | http://bologna.emiliaromagnateatro.com Vengo anche io! Laboratori creativi per bambini mentre i grandi sono a teatro ERT offre la possibilità ai genitori di assistere ad alcuni spettacoli della stagione mentre i bambini (dai 6 ai 12 anni) sono impegnati negli spazi interni al teatro in percorsi creativi a cura di istituzioni e realtà del territorio. In occasione della replica de L’attesa sabato 25 marzo dalle 19.00 Kilowatt - Le Serre dei Giardini conduce Duetto – laboratorio creativo con materiali naturali e di recupero sul tema del “doppio” attraverso il concetto delle “due facce della stessa medaglia”. I partecipanti faranno esperienza concreta del dualismo insito in tutti gli aspetti della vita dove gli opposti non si escludono, anzi si esaltano e compensano. Un albo illustrato accompagnerà, il percorso per creare un’atmosfera creativa che non conosce barriere di genere. Il costo di ogni appuntamento è di 7 € per bambino (10 € per due bambini), oltre al prezzo del biglietto ridotto del 20% per i genitori. Disponibilità limitata fino a esaurimento posti. Prenotazione obbligatoria: tel 051-2910950 | 347 167 1833 email [email protected] ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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I biscotti secchi di Nonnina
Nonnina Weatherwax non crede in bacchette magiche, talismani o gingilli da mettere al collo. Nonnina Weatherwax crede nel lavarsi tutte le mattine la faccia con l’acqua fredda, nei biscotti secchi da mangiare con il tè caldo e, naturalmente, in nonnina Weatherwax.
Stiamo parlando della protagonista di Streghe di una notte di mezza estate, il quarto volume del ciclo delle streghe della saga del Mondo Disco, edito nel 1992 da Salani Editori. Incredibile è pensare che a disegnare questa Donna sia stato un uomo, ma non si tratta certo di un uomo qualunque. L’autore è infatti niente di meno che Terry Pratchett: maestro del nonsense, dal gusto spiccatamente dadaista, il quale, tra le altre cose, detiene l’invidiabile primato di scrittore i cui libri sono in assoluto i più rubati dalle biblioteche di tutto il mondo.
Le streghe di Terry Pratchett incarnano tutta la sfacciata praticità delle donne che, alle sofisticatissime gerarchie dei maghi universitari e ai loro dubbiamente utili intellettualismi astratti, preferiscono un po’ di sano nonnismo e di olio di gomito.
Indossano prevalentemente il nero, certo, ma solo perché le macchie sul nero si vedono meno e sono convinte che tutte quelle mirabolanti fantasie sui sabba stregoneschi composti da giovinette che, languidamente, danzano intorno al fuoco tutte nude siano state inventate da qualche studentello in piena pubertà, dopo aver passato un po’ troppe notti insonni nella propria cameretta. (Nude? Con il vento d’autunno?! Per carità! Doppi mutandoni di lana piuttosto!)
Nonnina Weatherwax è sbruffona, boriosa all’inverosimile e brutta come una cornacchia. È l’insopportabile vecchia bisbetica del villaggio… nonché colei da cui si va quando si verifica uno scomodo problema (ah che guaio le emorroidi), che si chiama quando la vacca gravida deve partorire e che passa notti insonni a vegliare sui morti sotto la propria giurisdizione lasciando il tempo ai parenti del defunto di soffrire, piangere ed organizzare il funerale.
Nonnina non dispensa moine, non è una presenza particolarmente rassicurante e di certo non è dotata né di tatto né di diplomazia… lei piuttosto si armerà di intuito femminile e tisane rinvigorenti e poi, semplicemente, farà ciò che va fatto, camminando spavalda nella foresta di notte nella più completa convinzione questa brulichi di terrificanti bestie oscure… prima tra tutte lei stessa.
Questo spigoloso carattere diviene ancora più irresistibile nel suo interagire con le molteplici personalità del romanzo, ed in particolare con le altre due streghe protagoniste.
Se tutta la tagliente impazienza della Nonnina si manifesterà infatti nel suo rivolgersi a Magrat Garlick (Strega dell’ultima generazione e dallo spirito progressista, inguaribile romantica in perpetua, e fallimentare, ricerca di sé stessa), è altresì vero che i dibattiti più brillanti sono da ricercarsi nel suo scambio con Tata Ogg (Prepotente e gioviale, bevitrice di vino, frequentatrice di uomini, ideatrice di canzoncine sconce ed amante delle cipolline sottaceto.)
Sarà proprio questo disarmante e caparbio trio a trovare il tempo, tra un braccio di ferro verbale e l’altro, di salvare la situazione quando il Mondo Disco si ritroverà ad essere minacciato da forze oscure ed antiche: gli elfi.
Sir Terry regala al lettore grasse risate ed insegnamenti saggissimi. Tra gli edificanti consigli espliciti che le streghe rivolgono alle fanciulle annoveriamo: 1- Prima chiedere sempre il nome ed il numero di telefono del giovanotto e 2- Indossare ogni mattina biancheria pulita nel caso di morte accidentale... se ti si dovesse ritrovare con la biancheria sporca di una settimana, infatti, potresti morire dalla vergogna!
Dai molteplici riferimenti letterari (a partire dall’evidente rimando Shakespeariano del titolo) Streghe di una notte di mezza estate è forse il libro più spassoso che ho letto negli ultimi tempi, ed è per questo che lo consiglio di cuore a tutte le donne dall’anima pragmatica e la lingua tagliente, abbinanto agli amati biscotti secchi della Nonnina.
La ricetta è quella rustica dei tradizionali biscotti da attaccare all’albero di Natale (perché naturalmente, per le streghe, rituali e tradizioni sono importantissimi, stelle fisse intorno a cui articolare la propria esistenza eccetera eccetera eccetera … ma più che altro perché siamo sotto Natale).
Il sapore assomiglia molto a quello della classica pasta frolla, l’impasto è solo leggermente più consistente per poter reggere quali decorazioni: sono quindi piuttosto croccanti, ma diventano deliziosi se consumati prima di una avventura tra ragazze ed affiancati da tè bollente alla menta!
Ingredienti:
4 tuorli
350 g di farina
200 g di burro
150 g di zucchero
5 g di lievito per dolci
latte intero q.b.
Preparazione:
Versare in una ciotola la farina e il lievito setacciati. Aggiungervi il burro freddo tagliato a cubetti, i tuorli e lo zucchero. Impastare bene fino ad ottenere un composto uniforme.
Stendere la pasta e tagliare i biscotti (se si ha intenzione di utilizzarli quali decorazioni ricordarsi di fare un piccolo foro per poi far passare un nastro)
Spennellare con latte freddo ed infornare in forno preriscaldato a 180 gradi per 15 minuti.
Chiamare a raccolta tutte le amiche festanti di cui si dispone e mettere un bollitore pieno d’acqua sul fuoco per il tè alla menta. Consumare tra chiacchiere e risate.
-Giulia
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25/07/2021 ore 23:04 - 23:41
Cara Me del Futuro,
ero sotto il getto caldo della doccia quando ho pensato di scriverti una lettera come facevo una volta. Tra circa venticinque ore compirò * anni ed è strano.
Ad oggi ho tanti difetti: permalosa, volubile, lunatica, irascibile, imbranata, testarda, scontrosa; questa sono io. Non sono bella, non ho assolutamente nulla di speciale, il sedere piatto e la pancia un pò gonfia, il seno a pera e un viso discreto. A volte non mi preoccupo più di tanto di avere le sopracciglia perfettamente sistemate o lo smalto impeccabile.
Non piaccio a molti; i maschi della mia età preferiscono le ragazze snelle e sempre disponibili, ragazze che non pensano troppo e che si lasciano andare senza troppi “se”... e sono perfettamente consapevole di non fare parte di questa categoria. Sono sempre lì, a chiedermi come si faccia, a farmi mille domande senza quasi mai agire concretamente.
Penso troppo, rido troppo, a volte mangio troppo e piango in maniera esasperante.
Eppure, sono qui a scrivere che sono una persona meravigliosa, e lo affermerò senza elencare i miei pregi: non ho bisogno di scrivere che sono magnanima, empatica, dannatamente buona e sensibile. La mia sensibilità, quanto l’ho maledetta, quanto l’ho odiata… mi ha sempre fatta sentire diversa e sbagliata.
Oggi scrivo con fermezza che sono felice e fiera di essere sensibile, pensatrice, buona e nostalgica. E ho capito che sentirsi diversi non implica sempre essere sbagliati.
I libri sono una parte fondamentale di queste mie consapevolezze, così come lo sono le persone che mi hanno ferita e maltrattata e quelle che mi hanno insegnato cosa significa amare incondizionatamente e ad ogni costo.
Sono fiera di essere come sono perché se Dio mi ha donato le persone stupende che ho attorno, allora devo sentirmi davvero fortunata.
Mio padre, la mia essenza di vita, la mia più grande dimostrazione di amore, la stima più alta. Mia madre, con la quale ho combattuto per anni e che mi ha insegnato a tenere il punto, a combattere per i miei ideali e ad arrabbiarmi. Elena, la sorella che non ho mai avuto, ma che ora sono fiera di avere. Il mio sangue è legato al suo senza la genetica, la mia anima e la sua perfettamente compatibili in questo grado. Daniela, un’altra mia grande ispirazione, lei che mi insegna cosa significa coraggio, battaglia, stringere i denti, anche essendo estremamente sensibile. E poi Sara, la migliore amica che abbia avuto, una compagna di avventure col carattere difficile quanto il mio, se non di più; Lorenzo, che mi ha insegnato a prendere alla leggera certi aspetti della vita e a non farsi ostacolare dai timori e dalle circostanze. Tutte le altre mie amiche, che ogni giorno mi salvano dalla solitudine e dalla diversità.
Non sarei quella che sono senza queste persone, ma una cosa la so: comunque vivrei, comunque sarei su questa Terra e mi amerei inesorabilmente, anche quando mi giudico, anche quando mi odio.
Se un giorno sarai da sola, Eleonora, se un giorno ti sentirai persa e nessuno ti indicherà la strada, ascoltati. Vai al mare, mettiti seduta sulla spiaggia, guarda il sole, fatti baciare dai suoi caldi raggi, sospira per il fruscio delle onde e per l’odore di sale, e ascolta i battiti del tuo cuore; sei viva. Sei qui, respiri: è questo l’importante.
Non sarai mai sola, finché avrai modo di ascoltare il tuo respiro e di amarti, per il resto della vita. Gli altri sono passeggeri, vanno e vengono, oggi sono qui per te e domani sono andati via; ma tu ci sarai.
Eleonora, il tuo nome è “compassione”. Sei nata per essere sensibile, buona e fugace.
Non fartene una colpa.
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Pioggia
Ciao, sono Annalisa, oggi sono stata molto fortunata. Può essere lo sia in assoluto. Ma un’ora fa, se qualcuno me l’avesse detto, gli avrei menato. Sto parlando di una cosa di cui magari a voi non frega un cazzo, ma a me sì. E’ stato quando la prof mi ha vista e mi ha detto “Ah, ma se c’è anche lei facciamo tutto stasera”. Le ho risposto che sì, insomma, a dire il vero l’esame era previsto per il pomeriggio successivo, io ero solamente venuta a vedere... Però quando una che ha assoluto potere su di te ti risponde “ma non è detto che domani sera sarà più facile” che fai? Che le dici? Io ho detto “va bene”, avrei voluto vedere voi. Anche se tra me e me pensavo “ma guarda tu sta fija de ‘na mignotta, stai a vedè che per questo esame del cazzo mi rovino la media...”.
E invece no, è andata benissimo. Mi ha pure fatto i complimenti, mi ha detto “signorina, ce ne fossero come lei...”. E’ una un po’ fissata con il fatto che le donne sono sempre state discriminate a proposito di matematica. Mi è pure sempre stata simpatica anche se, appunto, la materia è un po’ del cazzo. Ma in quel momento l’avrei strozzata.
Comunque ci siamo rivisti tutti al bar, dopo l’esame. Eravamo in sei, eh? Non è che a matematica ci siano tutte ste frotte di gente agli appelli. Anche i miei compagni, quando hanno saputo l’esito, si sono affrettati a sottolineare “ma che culo, Annalì”. Non nel senso in cui in genere me lo dicono. Intendevano proprio la fortuna. Ahò, ma che cazzo volete? Si vede che avevo studiato.
Già mi pregustavo i complimenti al mio ritorno a casa, avevo in mano le chiavi della macchina. L’unico vero vantaggio di fare un esame a quest’ora del pomeriggio, per la verità si erano fatte le sette, in questa villa fuori dalla città universitaria, è che si trova parcheggio abbastanza facilmente. E della macchina, oggi, ne avevo proprio bisogno. Perché sono tre giorni che piove a dirotto. Ma forte, eh? E non smette mai. Al massimo rallenta un po’ e poi ricomincia.
A me non è che la pioggia dia fastidio, anche se la gente comincia già a rompere i coglioni dicendo che un tempo così non c’è mai stato. Ora, a parte il fatto che non è vero, di che cazzo vi stupite? Siamo agli inizi di dicembre, è autunno, piove! Fa il dovere suo. E quando fa 27 gradi a Natale che vi dovete preoccupare.
Anyway, stavo per salutare e andare via quando a qualcuno è venuta la bella idea di festeggiare a cena. Declinare mi è stato praticamente impossibile, perché sono partiti una serie di appelli molto gentili, del tipo “dai, Annalì, non fare la stronza come al solito” che non me la sono sentita di rifiutare. E’ stata Elena a convincermi. Non tanto per il suo “viene pure Gilberto”, che io ho registrato mentalmente con un sarcastico “ah beh, allora...”, quanto perché ha detto “viene pure Gilberto e offre lui”. Ok, già va meglio. Sto Gilberto è il suo ragazzo ed è impaccato di soldi, suo padre gli ha comprato – non affittato, comprato – una casa dalle parti del Colosseo dove vivono insieme. Voglio dire, io con Gilberto non ci vivrei mai, ma se a lei piace... No, ok, esagero. Sono carini. Una volta mi hanno invitata a una festa da loro ed è lì che ho conosciuto le mie amiche Serena e Giovanna. Almeno questo glielo riconosco, glielo devo. E poi non è che i miei compagni mi stanno sul cazzo. Sono bravi ragazzi. Non li trovo interessanti, d’accordo, ma per una sera...
L’unico dubbio mi viene al momento in cui mi annunciano la destinazione: “Da Eataly? Cazzo, ma è dall’altra parte della città, con questa pioggia ci sarà un traffico terrificante, non si può fare altrove? Più vicino?”. No, non si può fare, hanno tutti voglia di andare da Eataly. Mi carico in macchina Elena e partiamo. Durante il viaggio si parla del più e del meno. Si vede che lei è molto compresa nel suo ruolo di ragazza-fuorisede-che-convive-con-il-suo-ragazzo-fuorisede e che le piace molto giocare all’adulta. A me pare molto buffa, ma non gliene voglio, anche se quando mi domanda “ma tu ce l’hai il ragazzo, Annalisa?” a me sembra che voglia più che altro sottolineare la nostra differenza di status. Ma forse mi sbaglio.
No. No, non ce l’ho il ragazzo. Sì, è vero, sarebbe carino avercelo, ma finora non ho trovato nessuno che.. e poi preferisco pensare solo a studiare, ci tengo molto a finire il prima possibile. Sì, ok, d’accordo, ma come mai, tu così carina, eh lo so ma che ci vuoi fare, ogni tanto qualcuno che sembra interessante lo trovo ma poi... sai com’è, vogliono solo quello. Frasi così, chiacchiere sconclusionate che per fortuna si fermano sempre abbondantemente prima di toccare argomenti più scabrosi. Elena non è il tipo da chiederlo e io certo non mi sogno di rivelarle che razza di troia stia in questo momento al volante, figuriamoci.
Il problema è che, mentre parliamo, all’argomento “ragazzo” inizio a pensarci io, in piena autonomia, tra me e me. E non mi ci vuole poi molto per fare l’upgrade “ragazzo-sesso”. Anche perché son quasi due mesi che non faccio nulla, ma proprio nulla a parte le (poche) avventure in solitario nel mio letto.
L’ultima volta è stato con Fabrizio, il più classico degli scopa-amici. L’avevo cercato dopo due esperienze che mi avevano lasciata, per usare un eufemismo, parecchio turbata.
Essere stata beccata a scoparmi uno dentro casa sua dalla moglie, essere stata menata e buttata fuori di casa nuda sul pianerottolo, sempre dalla suddetta moglie, già mi aveva scossa e non poco. Trovarmi un paio di giorni dopo a essere aggredita insieme alla mia amica Serena dentro la Rinascente da un pazzo omofobo era stata la ciliegina sula torta.
Ero stata io a cercare Fabrizio, a chiedergli se quella sera fosse libero. Senza ipocrisie, tra noi non ce n’è bisogno. Mentre ero a gambe aperte sotto di lui, mi aveva detto “ma quanto sei troia stasera? sei già venuta sei volte”. Appena finito di dirmelo è arrivata la settima. Io lo adoro, Fabrizio. E non solo perché mi scopa benissimo, ma anche per questi particolari. Perché tiene il conto dei miei orgasmi e perché mi chiama troia come un altro in quei momenti mi chiamerebbe amore mio. Io, troia, lo preferisco. Anche perché nessuno mi ha mai detto amore mio. Sì, oddio, quando ero al liceo ogni tanto c’era qualcuno che lo faceva. Di solito dopo che gli avevo fatto un pompino, a volte anche prima. C’è sempre qualcuno che si innamora o pensa di farlo.
Ma la verità è che quella sera non ero andata da lui perché volessi farmi chiamare troia. E nemmeno perché avessi voglia solo di essere scopata. In realtà avevo voglia di essere scopata prima e abbracciata dopo. Coccolata. Che avete da guardarmi in quel modo? Anche a me piace essere coccolata, sapete? E che cazzo...
Comunque, l’ultima volta è stata quella, quasi due mesi fa. Poi Fabrizio è partito. Lui lavora in uno studio di progettazione, è ingegnere idraulico o qualcosa del genere. Arabia Saudita, fino a Natale. In realtà, mi ha spiegato, va più che altro a fare il garzone di bottega, altro che ingegnere. Ma pare che sia la prassi. Ci sono rimasta talmente male a sapere che partiva che gli ho estorto – sì, io, proprio io – un appuntamento per il suo ritorno. In quel momento non avrei proprio voluto che se ne andasse, e fargli promettere che ci saremmo rivisti al suo ritorno mi era sembrato l’unico modo per lenire il dispiacere.
Così mi sono buttata sulle lezioni, su questo cazzo di esame a dire il vero molto facile, sono stata molte sere a casa, ho visto le mie amiche. Anche Serena, naturalmente. Con la quale però non c’è stato più nulla, da quel punto di vista. Ho fatto la brava, insomma, la bravissima. E volete sapere una cosa? Non ho nemmeno avuto bisogno di sforzarmi tanto. Ecco.
Solo che, adesso che sto in macchina con Elena e lei mi chiede come mai una come me non abbia un fidanzato che-a-te-i-ragazzi-dovrebbero-correrti-dietro-mamma-mia, penso in effetti quasi due mesi senza combinare nulla di nulla mi sembrano un periodo piuttosto lungo. Tanto lungo da pensare che forse vale la pena di aspettare qualche giorno e raggiungere i due mesi tondi tondi e intanto fare qualche calcolo per cercare di stabilire se sia o meno un record.
E invece no, un attimo dopo penso che ho voglia, anche se non so esattamente di cosa. Un attimo dopo ancora capisco di cosa ho voglia: ho voglia di farmi riempire la bocca. Sì, un pompino. Di quelli nemmeno troppo delicati. Odore, sapore e dominio incontrastato di un cazzo nella mia bocca. Anzi no, nemmeno questo a dire il vero. Sì, ok, lo so che vi do ai nervi, ma aspettate un momento, cavolo, sto mettendo a fuoco! Un pompino ok, brutale ok. Ma in realtà, quello che voglio è bere. Bere sperma. Ecco. Sì è questo. Ho una formidabile voglia di ingoiare sperma, in questo momento. Anche se so perfettamente che, vista la compagnia, si tratta di una voglia che di sicuro non esaudirò stasera.
Non lo so, sono confusa. A tutto pensavo tranne che a questo, quando sono uscita di casa.
- Cosa stai pensando? – mi domanda Elena. Non so nemmeno da quanto tempo la ascolto senza sentire quello che dice.
- Scusa – le rispondo – stavo pensando che per festeggiare stasera vorrei bere qualcosa di speciale.
- Per ora c’è solo acqua – commenta lei. La pioggia batte fortissimo, di là dal vetro faccio fatica a vedere le macchine davanti.
Il “qualcosa di speciale” è alla fine una birra artigianale, anzi due. Ma per il resto non è che la serata sia il massimo della convivialità. Mangiare, si mangia bene, eh? Non fantastico, ma si mangia bene. Però, un po’ perché i miei amici non sono proprio una banda di allegroni, un po’ perché non ci fanno nemmeno accostare i tavolini, la serata è davvero moscia. La mia proposta di vendicarci dei camerieri parlando ad alta voce da un tavolo all’altro e tirandoci le molliche di pane viene, tra l’altro, bocciata. Ho di fronte a me un tipo, Enrico, che d’ora in poi chiamerò “Harry tre parole”, perché in tutta la cena avrà spiccicato tre parole, appunto. Vi lascio immaginare i discorsi e il divertimento. Mi annoio come in una serata passata davanti alla tv a guardare la De Filippi.
Fortunatamente agli altri tavoli c’è un po’ di turn over, così almeno posso distrarmi con la gente che va e viene. Proprio davanti a me, due postazioni più in là, a un certo punto arrivano due coppie. Non li osservo uno per uno, almeno all’inizio, mi mantengo su una visione complessiva del quartetto, per così dire. Solo che quello che sta proprio di fronte a me, a meno di una decina di metri, mentre si siede mi fissa. E mentre mi fissa viene anche a me da fissarlo. Per reazione, più che altro. Non so dire bene che età abbia, intorno ai trentacinque, direi. Ma è davvero difficile, non ci scommetterei. Sono tutti e quattro vestiti molto casual, con jeans e maglioni. Come me del resto. Qualche secondo dopo volto lo sguardo e vedo che mi sta riservando un’occhiata clandestina, poi si sporge un po’ in avanti per dire qualcosa a quella che presumo sia la sua ragazza e finisce sotto la luce della lampada. Non è per niente male. Che sia alto, asciutto e con le spalle larghe me ne ero accorta prima. Ora posso vedere meglio e suoi riccetti corti e castano-chiari, gli occhi azzurri. E, soprattutto, un sorriso da canaglia.
“Mica male”, penso rimanendo un po’ imbambolata. Lui muove ancora una volta gli occhi nella mia direzione e si accorge che lo sto osservando. Ricambia. Ehi, ma tu sei un uomo, io sono solo una ragazzina. Te ne dovresti accorgere dai miei occhioni spalancati e dal ditino che porto alle mie labbra fingendo di mordermi un’unghia nervosamente. Una ragazzina un po’ impertinente, d’accordo, visto che col cazzo che abbasso lo sguardo, aspetto che sia tu a farlo. Del resto, è uno dei miei giochi preferiti prendere in castagna uomini più grandi di me che mi lanciano occhiate eloquenti di nascosto dalle loro compagne. Mi diverte da matti.
Tra una chiacchiera e l’altra con le nostre rispettive compagnie il gioco di occhiate va però avanti più del solito. Così decido di giocare un po’ più pesante. Mi alzo e vado verso la cassa a pagare la terza Menabrea, accentuando impercettibilmente il mio naturale sculettamento. Credo che le forme del mio sedere e i jeans stretti facciano il resto. Quando torno a voltarmi verso di lui avanzo bevendo direttamente dalla bottiglia, fissandolo. Arrivo al mio posto e mi siedo continuando a bere dalla bottiglia. Fissandolo. Non ho staccato gli occhi dai suoi nemmeno per un’istante. Sono sfacciata e mi godo il gioco sino in fondo, proprio sulla soglia dell’eccitazione.
Purtroppo però l’ora di andarsene arriva troppo presto. E poiché il conto lo abbiamo già pagato prima di mangiare, non ci resta che alzarci, metterci i giacconi e scendere. Il boato di un tuono sottolinea il momento. Oltre le vetrate l’acqua riprende a scendere a secchiate.
Mi volto un’ultima volta, di nascosto. Lui mi sta osservando ancora e si accorge che lo sto guardando anche io con la coda dell’occhio. Spero che possa vedere il mio sorriso, spero che capisca che mi sono divertita.
Pianto i miei compagni con una scusa. Anzi due, visto che la prima non basta. “Ciao ragazzi, devo andare al bagno”, “dai ti aspettiamo”, “no, ma poi volevo anche fare un giro a cercare una marmellata di mandarino tardivo per mia mamma”, “ah ok, allora ci vediamo a lezione”, “sì, ci vediamo a lezione, ciao ragazzi”. Mi dirigo verso i bagni e, già che ci sono, faccio pipì, compiacendomi della mia innata capacità di inventare cazzate su due piedi.
Non è che abbia proprio un programma, mi va semplicemente di continuare il gioco, vedere se funziona ancora con qualcun altro. Sì, è vero, non sono appariscente stasera, ma gli sguardi li ho sempre attirati. E stasera ci ho preso proprio gusto. Voglio attirare sguardi e rispondere agli sguardi, altro che mandarino tardivo.
L’idea è divertente, la sua realizzazione pratica molto meno. Soprattutto perché non mi si caga nessuno. Tranne uno, in realtà, una specie di sosia di Danny De Vito che è meglio perderlo che trovarlo. La cosa mi indispettisce non poco, come sempre quando va così. Anche perché, ma cazzo, fino a cinque minuti fa funzionava benissimo. Forse proprio per questo decido di fare una cosa che non ho mai fatto. Non da sola almeno. Vado alla birreria, direttamente al bancone, mi siedo su uno sgabello alto e aspetto di essere servita dal ragazzo. Assumo un’aria civettuola perfino con lui, faccio l’oca. Voglio proprio vedere se qualcuno si avvicina.
Vorrei chiarire una cosa: non ho voglia di essere rimorchiata. Non ho voglia di sesso. Sì, lo so che prima in macchina avevo pensato che fare un pompino del tutto senza senso a qualcuno e bere il suo sperma non sarebbe stata per nulla una cattiva idea. Ma quel momento è passato e dopo il gioco degli sguardi con il riccetto, interrotto dagli eventi, la mia immaginazione mi ha portata da tutt’altra parte.
Comunque niente, eh? Non succede un cazzo nemmeno qui. Dopo un po’ l’unica cosa che mi trattiene dall’andarmene è che fuori è ormai un nubifragio vero e proprio e che io ho lasciato la macchina al parcheggio più lontano, cretina che sono.
Poi però una cosa succede, cazzo. Succede che il riccetto di poco fa è seduto con la sua ragazza e l’altra coppia su un divanetto della caffetteria, e mi ha vista. E che porco cane la situazione non è esattamente quella di prima, quando stavamo a scambiarci occhiate ognuno al riparo delle proprie compagnie. Manco per niente. Quella che lui sta osservando adesso è una ragazzina bionda con la faccia da adolescente che sta facendo l’oca con il ragazzo delle birre e che ha in pratica un cartello addosso con su scritto “sono una troietta, che aspettate a farvi avanti?”.
Non so nemmeno io perché, ma improvvisamente mi sento a disagio, mi vergogno. Cioè, non è proprio vergogna. E’ che il gioco con questo tipo è andato anche troppo avanti, mentre a me questo gioco piace perché è fatto di momenti, sguardi allusivi. A me diverte fare l'oca con gli uomini quando sono in compagnia delle loro donne, è vero. Divertono le piccole provocazioni, mi piace l'ammirazione clandestina che leggo nei loro occhi e godo nel vedere come reagiscono quando si accorgono che non volto la faccia dall'altra parte, che li fisso con un'espressione a metà tra l'ironico e il malizioso che dice "ah, se fossimo soli".
Quasi mi vergogno a scrivervelo, ma in realtà tutto quello che volevo quando mi sono seduta al bancone era essere abbordata da qualcuno, ma non dal riccetto. Con quello meglio di no, troppo pericoloso per questo tipo di gioco.
Mi andava solo di fare la troietta idiota, rifiutare le eventuali avances di un tipo qualsiasi, almeno per l’immediato, facendogli però capire che uno di questi giorni sarei stata molto più che disponibile a restare come mamma mi ha fatta davanti a lui, dargli un numero di telefono fasullo e lasciarlo all’asciutto. Per poi tornare a casa e sditalinarmi nel mio letto immaginando come sarebbe stato farmi scopare da lui in centouno modi.
Scema, vero? Me l’hanno detto in tanti. In ogni caso, il numero del Servizio di igiene mentale della mia zona è 06 7730 8400. Magari potreste volermi fare un favore e segnalare il mio caso.
Mi alzo quasi di scatto e imbocco il tapis roulant che scende al primo piano, all’uscita. Nubifragio o non nubifragio è meglio levare le tende.
Solo che, ecco, chiamatelo intuito femminile o come cazzo vi pare, ma sento di essere seguita, sento una presenza alle mie spalle. Non è che ci sia poi tanta gente su questo tapis roulant, sono quasi certa che se mi voltassi lo vedrei. E questo è il motivo per cui non mi va di voltarmi. Il motivo per cui invece mi volto ve l’ho detto prima: sono scema. E’ così, fatevene una ragione che io me la sono fatta da un pezzo.
L’occhiata che ci scambiamo per un paio di secondi che sembrano interminabili è completamente diversa da tutte quelle che l’hanno preceduta. La mia è l’occhiata della preda che ha individuato il predatore e che viene assalita dal panico perché non sa dove cazzo andare a nascondersi.
Chiariamoci: a me piace sentirmi preda. A patto però che il cacciatore lo scelga io. Altrimenti ho delle reazioni che variano dall’indifferenza al vattelapijanderculo, dipende da una serie di fattori. In questo caso il cacciatore non è nemmeno male, ve l’ho detto. Ma non l’ho scelto io.
Avete presente quando fate una cosa e immediatamente dopo vi chiedete "ma perché cazzo l'ho fatto?". E vi date pure della cretina, perché non è che avete seguito un impulso, manco per niente. Avete pianificato le cose, avevate una strategia. E d'improvviso, puff: ma perché ho fatto una stronzata del genere? E’ esattamente quello che è successo. Lui è dietro di me e, a meno che non si tratti di una coincidenza assurda, si appresta a tirare fuori il gancio per il rimorchio. D'improvviso tutto mi sembra implausibile, inattuabile. Inutile, persino. E anche un po' imbarazzante. Voglio dire, io volevo solo giocare e adesso mi trovo a dovere fare i conti con le conseguenze del mio gioco.
Non sento il rumore delle porte automatiche che si richiudono. Non so se è a causa del fracasso della pioggia sul selciato o del fatto che qualcuno è passato dopo di me e ne ha ritardato la chiusura. Piove da matti, adesso. Non si vede nulla e dalla fine del porticato alla mia macchina ci saranno almeno cento metri allo scoperto. Mi fermo giusto un paio di metri indietro dalla fine della copertura. L’acqua cade talmente forte che le gocce rimbalzano e arrivano a bagnarmi. Ma non è questo su cui sono concentrata, sono concentrata su una cosa che sta per succedere, che è inevitabile che succeda.
“Ciao, come ti chiami?”, penso tra me e me.
- Ciao – dice una voce alle mie spalle.
- Ciao – rispondo dopo essermi voltata lentamente. Una lentezza che mi sono imposta.
- Che acqua, eh?
- Già.
- Io sono Marco.
- Io Annalisa.
Nonostante il buio mi è talmente vicino che posso vederlo meglio di come abbia fatto prima. Probabilmente ho fatto male i miei calcoli, credo che abbia di più dei 35 anni che gli davo. E’ molto giovanile nei modi e nel vestire, ma certi dettagli non mentono. Il contorno occhi, per esempio.
- Stai andando a casa?
- Sì.
- Anche io. Vado a prendere la macchina.... inutile bagnarsi in quattro.
Fisicamente non potrebbe essere più diverso, ma parla come Silvio Muccino, ha persino la zeppa di Silvio Muccino. E’ incredibile quanto sia identico. Per il resto no, per il resto è davvero un bel manzo. Vista l’età dovrei dire un bell’uomo. E non posso non notare il suo modo timido di atteggiarsi, quasi premuroso, che si annulla completamente quando sfodera il sorriso da canaglia. E’ obiettivamente un sorriso fatto per stenderti.
- Ho visto che mi guardavi – dice.
- A dire il vero hai cominciato tu...
- Mi sei piaciuta, non hai mai abbassato gli occhi.
- Era un gioco...
- Che tipo di gioco?
- Nulla una cazzata...
- Potremmo riprovare a giocare, una sera di queste...
Istintivamente starei per dirgli “ma no dai, lascia perdere”. Poi mi fermo, senza un motivo. Gli squilla il telefono e mi dice “scusa” prima di rispondere. Dice, presumo alla sua compagna, che è meglio aspettare che spiova un po’, che è una tempesta, che per strada è un lago. E che chiamerà lui quando starà per arrivare, che forse ci vorrà un po’. Mi torna in mente Elena, quando mi ha chiesto se avessi un ragazzo, mi torna in mente il suo ingenuo senso di superiorità. E però immediatamente dopo mi torna anche in mente il pensiero osceno che le sue parole mi avevano portata a fare.
Per la verità, non so nemmeno io di che cosa ho voglia in questo momento. Sì, ok, farmi riempire la bocca in modo insensato, bere sperma. Avevo pensato questo. Ma ora come ora non saprei nemmeno dire se ho voglia di qualcosa di più. O di meno. O di nulla in assoluto. Mi sento confusa e anche abbastanza idiota.
- Certi giochi ha senso portarli in fondo una volta che si sono cominciati... – gli dico d’impulso una volta che ha chiuso la telefonata.
- Cosa intendi dire con “portarli fino in fondo”?
E’ chiaro che ha capito. O meglio, spera di aver capito. Ma è ancora guardingo.
- Intendo dire che potresti baciarmi – gli faccio avanzando di un passo verso di lui.
Si volta per guardarsi alle spalle ma non ce n’è bisogno. Ci siamo solo io e lui qui sotto il porticato. Pochi metri più in là tonnellate di acqua che scendono con violenza. Mi afferra la mano e mi trascina dietro un angolo buio e qui sì che ci bagnamo, cazzo. Ci schiacciamo contro il muro, ma la tettoietta che è sopra di noi è troppo piccola per ripararci da questa valangata di pioggia. Ridacchio stupidamente, è un riflesso nervoso. Lo faccio sempre quando vengo forzata fisicamente a fare qualcosa, non posso farci nulla. L’unica cosa che riesco a fare, in realtà, è coprirmi la testa con il cappuccio della mia The North Face tecnica. Lui fa altrettanto e poi mi bacia.
E’ un bacio lungo, furioso, cinematografico. In quante canzoni avete sentito il verso “kiss you in the rain”? Abbiamo troppa roba addosso, labbra e lingue sono il nostro unico punto di contatto, eppure bastano e avanzano. Almeno per me.
- Dimmi che mi vuoi – ansima.
- Ti voglio... – rispondo quasi in automatico.
- Domani sera? – domanda. E mentre me lo domanda porta la mano in mezzo alle mie gambe. Avrò pure i jeans, ma vi assicuro che la scossa la sento tutta.
Io però non riesco a concepire che lui si possa proiettare su domani sera. E adesso che cazzo devi fare, portare a casa la fidanzata? Oppure vivete insieme? Come cazzo pensi di mollarmi qui così? E stanotte? E domani mattina? Che c’è, ti aspettano al lavoro? Mi vuoi così tanto da non poter mandare all’aria niente della tua vita? Sono irragionevole, lo so. Ma se non lo fossi non starei qui sotto l’acquazzone a farmi baciare e a farmi tastare la fregna da un perfetto sconosciuto.
- Chissà se ci sono, domani sera – gli dico concitata, prima di rituffarmi a baciarlo.
- Che significa?
- Significa che ti voglio ora...
- E come cazzo facciamo?
Apro la bocca per accogliere la sua lingua e stavolta sono io che gli porto la mano in mezzo alle gambe. Il contatto di questo pacco gonfio per me mi fa quasi piegare le ginocchia.
- Posso farti venire con la bocca, se vuoi... – gli mormoro quando ci stacchiamo.
Mi guarda esterrefatto, preso in contropiede. Non so cosa stia pensando. Se stia valutando le possibilità, la fattibilità della cosa. O se mi abbia semplicemente presa per matta.
- Un pompino... – gli sussurro come se sentissi la necessità di spiegarmi, guardandolo negli occhi. Dall’alto in basso, perché nonostante io non sia proprio una nana, lui è decisamente alto. Ehi, l’hai capita? Sto parlando di succhiartelo...
- Ma chi cazzo sei, Baby?
- Ahahaha... sicuramente sono meno annoiata di Chiara, ma probabilmente sono anche peggio, da quel punto di vista...
- Quale punto di vista?
- Indovina...
Adesso il suo sguardo non è più esterrefatto. Adesso il suo sguardo è quello di un maschio che si è velocemente arrapato e che sta per prendersi qualcosa che gli è stato offerto su un piatto d’argento.
- Corriamo in macchina... – propone.
- Rischiamo di annegare prima di arrivarci, alla macchina – gli dico – qui va bene.
- Qui? – domanda sorpreso.
- Qui. Qui è perfetto.
- Tu sei strana, non sei normale... – mi dice, ma il suo è più che altro un tono sorpreso, di autodifesa.
“Cos’è normale?” gli domando mentre mi accuccio davanti a lui. Non mi sembra il caso di posare le ginocchia per terra. Mentre gli lavoro le cerniere del giaccone e dei pantaloni sento la sua voce ancora un po’ incredula che mi apostrofa con un “ma lo sai che sei un po’ troia?”. Gli rispondo “anche più di un po’” in modo veloce, quasi disinteressato, senza nemmeno alzare lo sguardo verso di lui. L’unica cosa su cui sono concentrata in questo momento è il tentativo di liberare quel bozzo che vedo sotto il tessuto delle mutande color prugna.
Sarà che mi sono raffreddata con tutta questa pioggia, ma non sento nessun odore particolare quando glielo tiro fuori. Non è ancora duro, ma quasi. Duro lo diventa quando me lo lascio scivolare dentro la bocca e inizio a rotearci la lingua intorno. Nonostante tutta la stranezza della situazione, mentre lo faccio ammetto con me stessa che il pompino mi sta venendo benissimo. Forse perché oltre a voler bere il suo sperma voglio che gli piaccia davvero, che ne goda. Non saprei dire perché, ma ci tengo.
Dire che abbia un grande arnese sarebbe una bugia, ma chissenefrega. La sua consistenza mi gratifica, il suo sapore mi gratifica. Il suo “oh cazzo” sospirato quando glielo prendo tutto mi gratifica. Siamo fradici e infreddoliti, ma la mia bocca e il suo uccello sono roventi.
“Che troia”, “sei bravissima”, “sei una bravissima troia”. Anche queste frasi smozzicate mi gratificherebbero, e non poco, se non fosse per il suo telefono che riprende a squillare. Se non mi interrompessi, sinceramente non lo so se lui risponderebbe. Ma comunque lo faccio, e lui risponde.
- Sì, c’è anche uno che blocca la sbarra del parcheggio con la macchina, sto deficiente, ma adesso arrivo, vi chiamo io...
Penso tra me e me che anche lui non è male, quando si tratta di inventare cazzate. Lo guardo dal basso in alto, tenendo in mano il suo affare. Improvvisamente, però, non ne ho più voglia. Che cazzo ne so. Potrei dire che ho paura che la sua ragazza scenda e che mi meni anche lei, come ha fatto la moglie di quello che mi aveva rimorchiata al parco. Ma non è vero, non è così. La verità è che non mi va più e basta. Con quella telefonata si è rotta la magia del momento, se vogliamo chiamarla così.
- Lasciamo perdere, dai, non voglio farti passare un guaio – gli sorrido cercando di rimettergli il cazzo nelle mutande.
Mi guarda con un misto di riconoscenza e di rimpianto. Spero solo che capisca che non sono incazzata con lui, mi dispiacerebbe. E’ andata così, non è colpa di nessuno. Mi rialzo e gli appoggio la testa sotto la spalla. Cazzo, se è alto.
- Che hai da ridere? – mi domanda.
Rido. Non ci posso fare nulla, mi viene da ridere. Anzi, da ridacchiare. Nulla di esplosivo, però inarrestabile.
- E' la prima volta che faccio un pompino con un cappuccio in testa - riesco a dire. E poi riattacco a ridere.
- Come prima volta non c'è male... però non hai finito, non è stato un vero e proprio pompino...
Trovo la precisazione un po’ pignola, ma sono indulgente e sto al gioco. “Ok, allora diciamo che è la prima volta che succhio un cazzo con un cappuccio in testa...”. Mi risponde ridacchiando anche lui, mentre io forse per la prima volta realizzo lo stato in cui si trovano i miei jeans.
- Dio santo, sono tutta bagnata.
- Non in quel senso, intendi.
- Ahahaha... non lo so, sono talmente zuppa che in quel senso dovrei controllare...
- Se vuoi controllo io...
- Ahahahahah meglio di no... meglio che andiamo.
- Annalisa, hai detto?
- Non è molto carino da parte tua non ricordarti il nome...
- Se domani sera continua a piovere possiamo darci appuntamento qui...
- Ahahahah... magari domani sera ho la polmonite...
- Sarebbe carino, però. Potrei metterti con le spalle al muro. Anche quella è una cosa che non ho mai fatto sotto la pioggia.
- Ah, ecco... non so se avrei voglia di essere inchiodata a quel muro.
In realtà, se ci penso, la prospettiva non mi dispiace affatto. Pioggia o non pioggia. Ma è meglio non creare tante aspettative.
- "Inchiodata al muro"... ma parli sempre così?
- In genere no. Ci sono cose che si pensano e non si dicono...
- Ma si immaginano...
- Sì...
- Immagine per immagine, non spalle al muro, ma faccia al muro. E con i jeans calati. Io immagino di inchiodarti così, prima un buco e poi l'altro.
Eccolo, anzi eccoli. Lo spasmo e il calore. Adesso sì che non ho più bisogno di controllare se sono bagnata anche sotto le mutandine.
- Sei un porco... – sibilo.
- E tu una troia...
- Non sai quanto, te l’ho detto. E poi avevo proprio voglia di qualcuno che mi chiamasse troia.
Mi stringe, poi mi bacia ancora. Sta combattendo contro il suo desiderio, lo sento. E la cosa mi piace. Il mio calore avanza.
- Allora facciamo per domani sera? - sussurra.
- No – gli rispondo senza nemmeno pensarci tanto.
- Perché no? – domanda sorpreso.
- Perché no. E nemmeno dopodomani o un’altra volta. Vorrei dirti restiamo semplicemente amici – gli dico sbottando quasi a ridere – ma in realtà chi cazzo ti conosce?
- Te l’ho detto prima – mi fa dopo qualche secondo di silenzio – non sei normale.
- E io te l’ho chiesto prima, ma non mi hai risposto: cos’è normale? Scambiarsi i numeri, vedersi domani sera o comunque quando sarai libero, uscire, corteggiarsi, farti un pompino in macchina, portarmi a casa tua? Scoparmi in un albergo?
- Cosa ci sarebbe di male? – chiede.
- Nulla. Per carità, nulla. Anzi. Ma perché sarebbe stato meglio di un pompino qui? Poi è andata buca, pazienza... ma sarebbe stato fantastico.
- Però avremmo più tempo – obietta - staremmo più comodi. Di sicuro più asciutti.
- Non discuto. Ma a me andava ora.
- Davvero non me lo dai il telefono?
- Davvero.
- Sei proprio matta...
- Sì, lo so. Matta e troia. Una troia matta... Stammi bene, Marco.
Mi volto e comincio a correre verso il parcheggio, verso la mia macchina. Non perché non voglia bagnarmi. Tanto, nonostante l’acqua continui a precipitare in modo assurdo, più bagnata di così non potrei essere. Corro perché ho voglia di scomparire alla sua vista, ho voglia di non voltarmi indietro. Ho voglia di salire in macchina grondante e bagnare i sedili, accendere il riscaldamento e correre il più veloce possibile a casa. Spogliarmi e infilarmi sotto una doccia bollente.
E sditalinarmi prima che mi scompaia dalla mente l’immagine di lui che si stupra una ragazzina tenendola faccia al muro. Una ragazzina bionda con i jeans abbassati e il giaccone tirato un po’ su. Sotto la pioggia che batte e che copre ogni altro rumore intorno. Ma che non riesce a coprire gli strilli di quella zoccoletta.
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Gli inviti superflui
Vorrei che tu venissi da me in una sera d’inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo. Per gli stessi sentieri fatati passammo infatti tu ed io, con passi timidi, insieme andammo attraverso le foreste piene di lupi, e i medesimi genii ci spiavano dai ciuffi di muschio sospesi alle torri, tra svolazzare di corvi. Insieme, senza saperlo, di là forse guardammo entrambi verso la vita misteriosa, che ci aspettava. Ivi palpitarono in noi per la prima volta pazzi e teneri desideri. “Ti ricordi?” ci diremo l’un l’altro, stringendoci dolcemente, nella calda stanza, e tu mi sorriderai fiduciosa mentre fuori daran tetro suono le lamiere scosse dal vento.
Ma tu – ora mi ricordo – non conosci le favole antiche dei re senza nome, degli orchi e dei giardini stregati. Mai passasti, rapita, sotto gli alberi magici che parlano con voce umana, né battesti mai alla porta del castello deserto, né camminasti nella notte verso il lume lontano lontano, né ti addormentasti sotto le stelle d’Oriente, cullata da piroga sacra. Dietro i vetri, nella sera d’inverno, probabilmente noi rimarremo muti, io perdendomi nelle favole morte, tu in altre cure a me ignote. Io chiederei “Ti ricordi?”, ma tu non ricorderesti.
Vorrei con te passeggiare, un giorno di primavera, col cielo di color grigio e ancora qualche vecchia foglia dell’anno prima trascinata per le strade dal vento, nei quartieri della periferia; e che fosse domenica. In tali contrade sorgono spesso pensieri malinconici e grandi, e in date ore vaga la poesia congiungendo i cuori di quelli che si vogliono bene. Nascono inoltre speranze che non si sanno dire, favorite dagli orizzonti sterminati dietro le case, dai treni fuggenti, dalle nuvole del settentrione. Ci terremo semplicemente per mano e andremo con passo leggero, dicendo cose insensate, stupide e care. Fino a che si accenderanno i lampioni e dai casamenti squallidi usciranno le storie sinistre delle città, le avventure, i vagheggiati romanzi. E allora noi taceremo, sempre tenendoci per mano, poiché le anime si parleranno senza parola.
Ma tu – adesso mi ricordo – mai mi dicesti cose insensate, stupide e care. Né puoi quindi amare quelle domeniche che dico, né l’anima tua sa parlare alla mia in silenzio, né riconosci all’ora giusta l’incantesimo delle città, né le speranze che scendono dal settentrione. Tu preferisci le luci, la folla, gli uomini che ti guardano, le vie dove dicono si possa incontrar la fortuna. Tu sei diversa da me e se venissi quel giorno a passeggiare, ti lamenteresti di essere stanca; solo questo e nient’altro.
Vorrei anche andare con te d’estate in una valle solitaria, continuamente ridendo per le cose più semplici, ad esplorare i segreti dei boschi, delle strade bianche, di certe case abbandonate. Fermarci sul ponte di legno a guardare l’acqua che passa, ascoltare nei pali del telegrafo quella lunga storia senza fine che viene da un capo del mondo e chissà dove andrà mai. E strappare i fiori dei prati e qui, distesi sull’erba, nel silenzio del sole, contemplare gli abissi del cielo e le bianche nuvolette che passano e le cime delle montagne. Tu diresti “Che bello!”. Niente altro diresti perché noi saremmo felici; avendo il nostro corpo perduto il peso degli anni, le anime divenute fresche, come se fossero nate allora.
Ma tu – ora che ci penso – tu ti guarderesti attorno senza capire, ho paura, e ti fermeresti preoccupata a esaminare una calza, mi chiederesti un’altra sigaretta, impaziente di fare ritorno. E non diresti “Che bello! “, ma altre povere cose che a me non importano. Perché purtroppo sei fatta così. E non saremmo neppure per un istante felici.
Vorrei pure – lasciami dire – vorrei con te sottobraccio attraversare le grandi vie della città in un tramonto di novembre, quando il cielo è di puro cristallo. Quando i fantasmi della vita corrono sopra le cupole e sfiorano la gente nera, in fondo alla fossa delle strade, già colme di inquietudini. Quando memorie di età beate e nuovi presagi passano sopra la terra, lasciando dietro di sé una specie di musica. Con la candida superbia dei bambini guarderemo le facce degli altri, migliaia e migliaia, che a fiumi ci trascorrono accanto. Noi manderemo senza saperlo luce di gioia e tutti saran costretti a guardarci, non per invidia e malanimo; bensì sorridendo un poco, con sentimento di bontà, per via della sera che guarisce le debolezze dell’uomo.
Ma tu – lo capisco bene – invece di guardare il cielo di cristallo e gli aerei colonnati battuti dall’estremo sole, vorrai fermarti a guardare le vetrine, gli ori, le ricchezze, le sete, quelle cose meschine. E non ti accorgerai quindi dei fantasmi, né dei presentimenti che passano, né ti sentirai, come me, chiamata a sorte orgogliosa. Né udresti quella specie di musica, né capiresti perché la gente ci guardi con occhi buoni.Tu penseresti al tuo povero domani e inutilmente sopra di te le statue d’oro sulle guglie alzeranno le spade agli ultimi raggi.
Ed io sarei solo. È inutile. Forse tutte queste sono sciocchezze, e tu migliore di me, non presumendo tanto dalla vita. Forse hai ragione tu e sarebbe stupido tentare. Ma almeno, questo sì almeno, vorrei rivederti. Sia quel che sia, noi staremo insieme in qualche modo, e troveremo la gioia. Non importa se di giorno o di notte, d’estate o d’autunno, in un paese sconosciuto, in una casa disadorna, in una squallida locanda. Mi basterà averti vicina.
Io non starò qui ad ascoltare – ti prometto – gli scricchiolii misteriosi del tetto, né guarderò le nubi, né darò retta alle musiche o al vento. Rinuncerò a queste cose inutili, che pure io amo. Avrò pazienza se non capirai ciò che ti dico, se parlerai di fatti a me strani, se ti lamenterai dei vestiti vecchi e dei soldi. Non ci saranno la cosiddetta poesia, le comuni speranze, le mestizie così amiche all’amore. Ma io ti avrò vicina. E riusciremo, vedrai, a essere abbastanza felici, con molta semplicità, uomo con donna solamente, come suole accadere in ogni parte del mondo.
Ma tu – adesso ci penso – sei troppo lontana, centinaia e centinaia di chilometri difficili a valicare. Tu sei dentro a una vita che ignoro, e gli altri uomini ti sono accanto, a cui probabilmente sorridi, come a me nei tempi passati. Ed è bastato poco tempo perché ti dimenticassi di me. Probabilmente non riesci più a ricordare il mio nome. Io sono ormai uscito da te, confuso fra le innumerevoli ombre.
Eppure non so pensare che a te, e mi piace dirti queste cose.
Dino Buzzati
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Dopo anni di intesa e vera amicizia l’affetto che intercorre tra loro due non può consentire la presenza di dubbi sulla veridicità dei fatti. Armonia parla di getto e Simpaty le crede d’impulso. Le due amiche decidono di rileggere insieme quello strano scritto, mosse dalla stessa curiosità, anzi Simpaty legge ed Armonia ascolta o meglio incomincia a vagare nei ricordi ed entrambe sono felici. Come nell’infanzia anche ora percorrono le stesse avventure immerse tra la fantasia e la realtà, quasi che il tempo sembra essersi fermato. Solo che a quell’epoca erano un trio: c’era anche Altruy, il più bel ragazzo della scuola. Simpaty per un attimo pensa a quei momenti, poi guarda profondamente la sua amica come se cercasse sul suo volto la conferma ad un dubbio, che da sempre avrebbe voluto chiederle, ma che non aveva mai avuto il coraggio di farlo... "Psicomeccanica di un Adattamento" di Anna Maria Iannaccone e Stefano Iurassich #psicomeccanicadiunadattamento #annamariaiannaccone #stefanoiurassich #personalità #conoscenza #conoscenzadisé #adattarsi #adattarsiallecircostanze #librileparche #leparchedizioni (presso Naples, Italy) https://www.instagram.com/p/CVCtRsao1xY/?utm_medium=tumblr
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La mia top ten dei romanzi di Kathleen E. Woodiwiss
Credo che tutti conoscano Kathleen E. Woodiwiss. E’ una delle regine del romance. Una delle poche autrici di romanzi rosa che anche qui in Italia si può trovare sugli scaffali di tutte le librerie, non solo in edicola. I suoi libri sono stati stampati molte volte e lo sono a tutt’oggi. I suoi romanzi non conoscono l’oblio, ma sono sempre super reperibili ovunque.
Non è stata una delle autrici di romance più prolifiche,ma ha venduto talmente tanto da assicurarsi per sempre un posto fra le grandi autrici di romance. La Woodwiss è morta di cancro, dopo aver lottato a lungo contro la malattia, nel 2007; ma i suoi romanzi rimarranno in eterno e ogni giovane generazione di giovani donne potrà leggerli.
Non è la scrittrice di romance più brava che io abbia mai letto, ne ho lette di migliori stilisticamente, o di più innovative, ma la Woodiwiss aveva la capacità di scegliere trame acchiappanti. Sapeva attirare il pubblico, aveva lo stesso magnetismo di una soap opera e letto un suo libro dovevi comprarli tutti. Non sto scherzando è proprio così. Io e tutte le mie amiche e mia zia e diverse conoscenti…tutte abbiamo tutti o quasi i suoi libri, anche se uno ci deludeva dovevamo averli tutti. Il suo stile ti cattura e vuoi leggerlo ancora e ancora. Forse ha scoperto un modo per drogare gli ormoni dei lettori…..non lo so, ma è una febbre che prende quasi tutti quelli che leggono i suoi lavori. Poi una volta letti tutti o quasi passa.
Come dicevo prima non è stata una scrittrice super prolifica anche a causa della sua salute perciò fare una top ten dei suoi romanzi che preferisco è quasi come elencarli tutti poichè in tutto ne ha scritti 13, e di questi 13 io ne posseggo e ho letto solo 12. Mi manca il romanzo pubblicato postumo dopo la sua morte e intitolato PER SEMPRE (EVERLASTING). Ma intendo rimediare al più presto.
E ora ecco la mia top ten dei suoi romanzi:
1. Petali sull’acqua (Petals on the river)
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Trama: Irlanda, 1747. Una giovane ingiustamente accusata di furto fugge su una nave negriera diretta in Virginia. Comprata come schiava da un gentiluomo inglese che la conduce in un’incantata residenza nei boschi, l’ardente diciottenne dagli occhi di smeraldo non sa resistere a quel suo enigmatico e generoso “padrone”. Ma un’oscura minaccia si addensa all’orizzonte, e un’altra nave solca l’oceano spinta da un vento di vendetta e di passione.
La mia opinione: uno dei miei libri preferiti di questa autrice. Ogni tanto lo rileggo tanto per tirarmi su il morale. Non è tra i suoi migliori lavori stilisticamente ma è così piacevole. Sensuale, divertente anche se non innovativo. I protagonisti sono simpatici e soprattutto, come piace a me, non troppo complicati. Accettano abbastanza bene quasi da subito le circostanze e ne traggono il meglio. E poi ci si identifica con la protagonista femminile. Chi non sbircerebbe l’attraente eroe mentre si fa una nuotatina nudo? Lo consiglio!
2. Magnifica preda (So worthy my love)
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Trama: E’ un epoca d’intrighi e tradimenti. Nell’Inghilterra turbolenta di Elisabetta I convivono i lussuosi balli a corte, la miseria degli stati più bassi della popolazione e gli orrori perpetrati dentro la Torre di londra. Una notte la giovane, bella e innocente Elise Radborne scompare dalla proprietà dello zio. Si ritrova prigioniera in un tetro castello di pietra e il suo rapitore è Maxim, un uomo affascinante e ipnotico che ha molti motivi per detestare la famiglia di origine del suo tenero ostaggio. Nonostante l’ostilità che sulle prime caratterizza il loro rapporto, tra Elise e Maxim nasce ben presto un sentimento che troverà molti ostacoli…
La mia opinione: Uno dei miei preferiti della Woodwiss. Forse il più divertente e piacevole. Mi ricorda a tratti La bisbetica domata di Shakespeare. La protagonista, una ragazza giovane ma con un bel caratterino viene rapita per sbaglio al posto della cugina (o sorella ora non ricordo). Il rapitore poverino non sa che farsene della donna sbagliata e pensa di ospitarla per un pò per poi restituirla ma senza secondi fini. Però la ragazza cerca di scappare, gli mette i chiodi nel letto, e lui allora le getta secchiate d’acqua fredda…insomma tutta una serie di dispetti tra due persone forti ma anche decise e senza paura e anche in grado di divertirsi e piano piano lui si rende conto che è stato fortunato a rapire la donna sbagliata e che una donna con un cervello ed un carattere deciso è meglio di una docile svampita…..e decide di conquistarla e poi la sposa e……oops ho rivelato troppo….poi ci sono anche avventure e spie…insomma vi consiglio caldamente di leggerlo perchè merita a mio avviso. Mi è venuta voglia di rileggerlo a parlarne….
3. Il lupo e la colomba (the wolf and the dove)
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Trama: Inghilterra, 1066. La colomba è Aislinn, la bella e fiera figlia del signore di Darkenwald. Il lupo è l’uomo che l’ha fatta prigioniera: Wulfgar, un valoroso guerriero di Guglielmo il Conquistatore. L’unico sentimento che una schiava può provare per il suo padrone è la vendetta. Ma fra i due giovani sorge una passione travolgente, che non si fermerà nemmeno davanti a ostacoli che sembrano insormontabili.
La mia opinione: Questo è senza dubbio a detta di tutti, me compresa, il romanzo migliore della Woodiwiss. Mi è piaciuto veramente tanto scoprirlo ed è grazie a lui se poi ho comprato tutti gli altri libri di questa scrittrice. Ha tutte le caratteristiche per conquistare il pubblico. Non ha idee innovative e ripete temi già superusati dal romance, ma funziona, è innegabile. I protagonisti sono affascinanti, due persone forti che si ritrovano nemici sotto lo stesso tetto. Aislinn prima padrona del castello, poi schiava poi di nuovo padrona ma sempre sotto il potere del nemico usurpatore, amato, ma anche odiato, ma desiderato. E che piano piano si rivela come un buon uomo e ciò che era iniziata come una guerra si trasforma in amore….insomma è come una favola.E non si può restarne indifferenti. Lo consiglio.
4. Il fiore e la fiamma (The flame and the flower)
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Trama: Londra, 1799. La giovane e bella Heather è in fuga dopo avere commesso un efferato crimine per difendere la propria virtù. Troverà rifugio sulla nave del capitano Birmingham, in partenza per le Americhe, dove l’aspetta una nuova vita. Ma prima di approdare nel Nuovo Mondo, Heather dovrà difendersi dalla torbida passione del capitano e dai travolgenti sentimenti che le ispira.
La mia opinione: primo romanzo della scrittrice, un esordio veramente col botto, poichè è indubbiamente uno dei suoi migliori lavori, che purtroppo, anche a causa di problemi di salute, sono altalenanti come stile di scrittura ed idee. Alti e bassi certo, ma tutti di buon livello. Questo romanzo presenta senza dubbio due personaggi principali ben caratterizzati anche se Heather è forse un pò troppo debole all’inizio, ci sta che sia così visto l’epoca. Meno digeribile per me è invece il Capitano Birmingham all’inizio molto duro e chiuso. E anche la scena d’amore non …consensuale…della prima parte mi è ostica. Per questo non inserisco questo romanzo tra i miei preferiti di questa autrice. La protagonista ne subisce davvero troppe nelle prime pagine per poter leggere il libro con animo sereno. Almeno questo vale per me, ma ripeto è un bel romanzo, scritto bene. E forte come carattere. E poi il protagonista maschile si fa perdonare…..peccato che io al contrario della protagonista femminile non perdoni facilmente….ma passiamo oltre. Vi segnalo anche che questo romanzo è tra i preferiti delle ragazza che vincendo il concorso a quiz del blog ha vinto la possibilità di suggerirmi l’argomento di un post e mi ha suggerito di dedicare un post alla Woodiwiss,
5. Il fiore sbocciato (The reluctant suitor)
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Trama: Lady Adriana Sutton è da sempre innamorata di Colton Wyndham al quale è stata promessa in matrimonio sin da ragazzina. Colton però, insofferente alle imposizioni paterne, parte improvvisamente per arruolarsi come ufficiale nell’esercito inglese impegnato nella guerra contro Napoleone. Al suo ritorno il suo cuore comincerà a cedere ad Adriana, divenuta una donna dalla bellezza e dalla vivacità straordinarie. Ma un segreto del suo passato e la comparsa di un rivale invidioso rischieranno di allontanare Adriana dalle sue braccia…
La mia opinione: Trama classica del romance il maschiaccio che diventa donna bellissima e conquista il suo amore di sempre. Però ho letto libri migliori sullo stesso tema. In primis “Proposta di passione” di Patricia Cabot, che vi consiglio di leggere.
6. Cuori in tempesta (The elusive flame)
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Trama: Porto di Londra, ottobre 1825. Il coraggioso capitano Beauregard accoglie sulla sua nave in rotta per l’America la bellissima Cerynise, in fuga da un uomo senza scrupoli che vuole farle del male. Tra loro nasce un sentimento irresistibile, ma ben presto pericolosi segreti, nemici ostinati e violente tempeste infurieranno sull’oceano e dentro i loro cuori, mentre l’amore rischia d’infrangersi contro i marosi di un destino avverso.
La mia opinione: Piacevole e avventuroso. Forse c’è troppa carne al fuoco, ma intrattiene.
7. La donna del fiume (Come love a stranger)
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Trama: Cavalcava nella notte, coperta solo da una camicia trasparente e un mantello. Ricorca la carrozza, l’impatto dello scontro, ricorda di essere caduta…Poi più nulla. Si sveglia tra le braccia di Ashton, un uomo che sostiene di essere suo marito: un uomo affascinante, meraviglioso, ma le starà dicendo la verita? Lierin - forse questo è il suo nome - non ha più passato, e il suo presente è popolato di presenze ostli: Marelda, che la considera una rivale nel cuore di Ashton; Malcom, che giura di essere lui e solo lui il suo vero marito; un sedicente padre ubriacone… Ed i fantasmi vaghi di un passato che stenta a riaffiorare alla memoria.Una sola certezza: tra le braccia di Ashton, e solo lui, Lierin si sente al sicuro, si sente donna, si sente amata.
La mia opinione: Le trame dove il/la protagonista del romance soffrono di amnesia sono piuttosto diffuse. Io le avrei fatto tornare la memoria prima della fine della prima metà del libro, tutto questo mistero sul fatto se lui sia o no suo marito mi metteva ansia.
8. Una stagione ardente (A season beyond a kiss)
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Trama: Inghilterra, primi dell’Ottocento. Di famiglia nobile caduta in disgrazia, Raelynn Barrett decide d’imbarcarsi per l’America, la terra delle opportunità. Sogna un futuro migliore, ma andrebbe incontro a un triste destino se non intervenisse Jeff Birmingham, aitante e ricco uomo d’affari di Charleston. Innamorata del suo salvatore e ricambiata con passione, Raelynn è felice, ma un nemico trama nell’ombra per separarli…
La mia opinione: Piacevole.
9. Rosa d’inverno (A rose in winter)
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Trama: Inghilterra, 1792. Lord Saxton è un uomo potente e crudele. Le fiamme di un furioso incendio gli hanno sfigurato il volto, che da allora cela sotto una maschera di cuoio. Al “mostro” ” viene data in sposa la giovane e delicata Erienne da un padre privo di scrupoli. Il destino della sfortunata ragazza pare segnato. A meno che non riesca a scoprire chi si nasconde veramente dietro quella maschera.
La mia opinione: riprende gli stessi temi della favola di La bella e la bestia e del mito di Amore e Psiche. Io non riesco a rimanere convinta dei romanzi dove uno dei protagonisti si maschera e l’altro non lo riconosce, è più forte di me.
10. Fiori sulla neve (Forever in your embrace)
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Trama: Mosca, 1620. La giovane contessa Synnovea Zenkovna, rimasta orfana, è stata affidata dallo zar alla cugina, la principessa Anna Taraslovna. Mentre si dirige verso la capitale, nel silenzio della steppa innevata, la sua carrozza viene assalita dai briganti, e solo il tempestivo intervento di Tyrone Rycroft, un ufficiale inglese in missione in Russia, la salva dal rapimento. Tra i due sconosciuti scocca un’attrazione intensa, immediata, ma a corte, quando si incontreranno di nuovo, dovranno fronteggiare mille intrighi, pericoli e tradimenti.
La mia opinione: l’ambientazione lo rende interessante e ci sono un paio di scene divertenti.
Nella top ten oltre a PER SEMPRE, che non ho letto, mancano Come cenere nel vento (Ashes in the wind) e Shanna (Shanna), perchè sono quelli che ho amato di meno in assoluto di questa scrittrice, Shanna in particolare è una delle protagoniste romance che trovo più antipatica.
Aspetto di sapere anche da voi quali sono i vostri romanzi preferiti di questa autrice in commento.
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At the end of the world Or the last thing I see You are Never coming home Never coming home Could I S h o u l d I
And all the things that you never ever told me And all the smiles that are ever gonna h a u n t me
( Natale di tre anni fa ) Tutte cerimonie. Tutti strani rituali che la tengono ancorata al presente ed a quel Natale migliore di altri quindici Natali trascorsi tra le mura di casa ed una madre sola. Crudele, a conti fatti, per averla lasciata sola, questa volta. Silenziosamente gioisce, mentre lui scarta quel regalo. Il libro d`avventure è vuoto, ma pieno sarà il primo bacio che lei gli rivolgerà alla sua semplice richiesta di contatto. E mentre le sue dita raggiungono i suoi fianchi, lei è già lì che si assopisce silenziosamente al suono del suo respiro, poggiando il capino sul suo petto e tacendo. Semplicemente socchiude gli occhi, silenziosa.
The ghost of you
Do you ever get the feeling that you're never all a l o n e
« Quando la guardi, vedi me? Nella sua distanza vedi me? Eravamo amiche, sai. Io le piacevo molto. Si’ » Occhioni grigi ad Aconite. « Anche lei e’ molto, molto distante. »
« Devi smetterla di seguirmi. » La interrompe lui, irritato. « Devi smetterla di stare ovunque. Sei ovunque. »
« E’ un disagio profondo, Davìd, quello che prova. Sottopelle e inevitabile. » Tutti i silenzi di Aconite, l’affogare in se stessa, il rovinarsi e non chiedere aiuto, come si era rovinata lei. « Lo sai anche tu. » Prima di dissolversi, repentinamente, lasciandolo all’abbaglio doloroso della realta’ tangibile attorno. Lasciandolo allo Schiantesimo della resa dei conti: e se fosse vero?
« Che cosa hai fatto? »
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Oggi ho deciso di parlare di quello che eravamo, di quello che avevamo costruito, di com’eravamo cresciute e di tutto quello che c’era tra noi. Io e te siamo cresciute insieme, ci siamo tenute per mano in quelle che sono definite “le tappe critiche” della crescita, un’infanzia insieme, ma soprattutto un’adolescenza insieme. Dai 6 ai 18 anni, sempre l’una al fianco dell’altra, ad ascoltare tutto ciò che avevamo da dire, a condividere esperienze e avventure. Poi a noi si è unita una terza persona ed è cambiato tutto. No, non in senso negativo. Questa persona si è integrata come se fosse destinata a stare con noi, abbiamo legato fin da subito e forse fin da subito avevamo capito quanto sarebbe stata importante per noi. Eravamo diventate IL trio, eravamo così unite da essere considerate una cosa sola ormai, quando se ne incontrava una nessuno esitava a chiedere dove fossero le altre due, quando se ne incontravano due insieme, tutti chiedevano che fine avesse fatto la terza. Ci siamo vissute come credo di non aver mai vissuto nessuno nella mia vita. Ci siamo confidate segreti, desideri, ci siamo dette le cose più imbarazzanti che ci siano mai capitate anche se nella maggior parte dei casi le avevamo affrontate e vissute insieme e quando riemergevano nei nostri discorsi non erano altro che fonti di grosse e grasse risate. Cosa volete sapere di loro? Cosa posso dirvi? Posso dirvi che ho realizzato che l’amore non lo si prova esclusivamente nei confronti di un amante, l’amore io l’ho provato per quelle due persone che sono entrate a far parte di me. Il nostro essere insieme, il nostro essere tre faceva parte di me, ed io ero innamorata di quella parte di me. Posso dirvi che erano le prime persone a cui mi rivolgevo per ogni cosa, anche la più stupida, erano il mio rifugio, il mio modo di isolarmi dal mondo quando mi stava stretto, erano quelle persone con cui puoi stare con le mani in mano e ti sta bene lo stesso. Erano quelle persone che hanno saputo tirarmi su il morale ogni volta che era sotto i piedi, quelle persone con cui non mancava mai la risata, con loro non c’era mai il giudizio puramente morale, con loro c’erano i consigli, le critiche, il confronto, qualunque cosa potesse farti crescere e avere un punto di vista che non fosse il tuo. Erano quelle persone che non rientrano nel ‘non dirlo a nessuno’ perché non dirlo era come nascondere qualcosa a se stessi. Erano coloro con cui avrei voluto condividere tutto, le persone che avrei voluto per sempre nella mia vita, d’altronde è questo che desideri quando sei innamorato di qualcuno. Erano le mie migliori amiche, lo eravamo davvero però. Abbiamo parlato, riso, mangiato, festeggiato, pianto, bevuto, ballato, cantato a squarciagola, urlato, fatto foto, dormito nello stesso letto, visitato città, studiato, tutto insieme. Noi abbiamo fatto tutto. Ma poi tu sei andata via e quel "tutto" l'hai portato con te. Ora di quel "tutto" non c'è più niente.
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Vorrei che tu venissi da me in una sera d’inverno e, stretti assieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo. Per gli stessi sentieri fatati passammo infatti tu ed io, con passi timidi, insieme andammo per le foreste piene di lupi, e i medesimi genii ci spianavano dai ciuffi di muschio sospesi alle torri, tra svolazzare di corvi. Insieme, senza saperlo, di là forse guardammo entrambi la vita misteriosa, che ci aspettava. Ivi palpitarono in noi per la prima volta pazzi e teneri desideri. “Ti ricordi?” ci diremo l’un l’altro, stringendoci dolcemente, nella calda stanza, e tu mi sorriderai fiduciosa mentre fuori daran tetro suono le lamiere scosse dal vento. Ma tu – ora mi ricordo – non conosci le favole antiche dei re senza nome, degli orchi e dei giardini stregati. Mai passasti, rapita, sotto gli alberi magici che parlano con voce umana, ne’ battesti mai alla porta del castello deserto, ne’ camminasti nella notte verso il lume lontano lontano, ne’ ti addormentasti sotto le stelle d’Oriente, cullata da piroga sacra. Dietro i vetri, nella sera d’inverno, probabilmente noi rimarremmo muti, io perdendomi nelle favole morte, tu in altre cure a me ignote. Io chiederei “Ti ricordi?”, ma tu non ricorderesti.
Vorrei con te passeggiare, un giorno di primavera, col cielo di color grigio e ancora qualche vecchia foglia dell’anno prima trascinata per le strade dal vento, nei quartieri della periferia; e che fosse domenica. In tali contrade nascono spesso pensieri malinconici e grandi; e in date ora vaga la poesia, congiungendo i cuori di quelli che si vogliono bene. Nascono inoltre speranze che non si sanno dire, favorite dagli orizzonti sterminati dietro le case, dai treni fuggenti, dalle nuvole del settentrione. Ci terremmo semplicemente per mano e andremo con passo leggero, dicendo cose insensate, stupide e care. Fino a che si accenderanno i lampioni e dai casamenti squallidi usciranno le storie sinistre della città, le avventure, i vagheggiati romanzi. E allora noi taceremo sempre tenendoci per mano, poiche’ le anime si parlano senza parola. Ma tu – adesso mi ricordo – non mi dicesti cose insensate, stupide e care. Ne’ puoi quindi amare quelle domeniche che io dico, ne’ l’anima tua sa parlare alla mia in silenzio, ne’ riconosci all’ora giusta l’incantesimo della città, ne’ le speranze che scendono dal settentrione. Tu preferisci le luci, la folla, gli uomini che ti guardano, le vie dove dicono si possa incontrare fortuna. Tu sei diversa da me e se venissi quel giorno a passeggiare, ti lamenteresti di essere stanca; solo questo e nient’altro.
Vorrei anche andare con te d’estate in una valle solitaria, continuamente ridendo per le cose più semplici, ad esplorare i segreti dei boschi, delle strade bianche, di certe case abbandonate. Fermarci sul ponte di legno a guardare l’acqua che passa, ascoltare nei pali del telefono quella lunga storia senza fine che viene da un capo del mondo e chissà dove andrà mai. E strappare i fiori dei prati e qui, distesi sull’erba, nel silenzio del sole, contemplare gli abissi del cielo e le bianche nuvolette che passano e le cime delle montagne. Tu diresti “Che bello!” Niente altro diresti perche’ noi saremmo felici; avendo il nostro corpo perduto il peso degli anni, le anime divenute fresche, come fossero nate allora.
Ma tu – ora che ci penso – tu ti guarderesti attorno senza capire, ho paura, e ti fermeresti preoccupata a esaminare una calza, mi chiederesti un’altra sigaretta, impaziente di fare ritorno. E non diresti “Che bello!”, ma altre povere cose che a me non importano. Perche’ purtroppo sei fatta così. E non saremmo neppure per un istante felici.
Vorrei pure – lasciami dire – vorrei con te sottobraccio attraversare le grandi vie della città in un tramonto di novembre, quando il cielo è di puro cristallo. Quando i fantasmi della vita corrono sopra le cupole e sfiorano la gente nera, in fondo alla fossa delle strade, già colma di inquietudini. Quando memorie di età beate e nuovi presagi passano sopra la terra, lasciando sopra di sè una specie di musica. Con la candida superbia dei bambini guarderemo le facce degli altri, migliaia e migliaia, che a fiumi ci trascorrono accanto. Noi manderemo senza saperlo luce di gioia e tutti saran costretti a guardarci, non per invidia e malanimo; bensì sorridendo un poco, con sentimento di bontà, per via della sera che guarisce le debolezze dell’uomo. Ma tu – lo capisco bene – invece di guardare il cielo di cristallo e gli aerei colonnati battuti dall’estremo sole, vorrai fermarti a guardare le vetrine, gli ori, le ricchezze, le sete, quelle cose meschine. E non ti accorgerai quindi dei fantasmi, ne’ dei presentimenti che passano, ne’ ti sentirai, come me, chiamata a sorte orgogliosa. Ne’ udresti quella specie di musica, ne’ capiresti perche’ la gente ci guardi con occhi buoni. Tu penseresti al tuo povero domani e inutilmente sopra di te le statue d’oro sulle guglie alzeranno le spade sugli ultimi raggi. Ed io sarei solo. E’ inutile. Forse tutte queste sono sciocchezze, e tu migliore di me, non presumendo tanto dalla vita. Forse hai ragione tu e sarebbe stupido tentare. Ma almeno, questo sì almeno, vorrei rivederti. Sia quel che sia, noi staremo insieme in qualche modo, e troveremo la gioia. Non importa se di giorno o di notte, d’estate o d’autunno, in un paese sconosciuto, in una casa disadorna, in una squallida locanda. Mi basterà averti vicina. Io non starò qui ad ascoltare – ti prometto – gli scricchiolii misteriosi del tetto, ne’ guarderò le nubi, ne’ darò retta alle musiche o al vento. Rinuncerò a queste cose inutili, che pure io amo. Avrò pazienza se non capirai ciò che ti dico, se parlerai di fatti a me strani, se ti lamenterai dei vestiti e dei soldi. Non ci saranno la cosiddetta poesia, le comuni speranze, le mestizie così amiche all’amore. Ma io ti avrò vicina. E riusciremo, vedrai, a essere abbastanza felici, con molta semplicità, uomo con donna solamente, come suole accadere in ogni parte del mondo.
Ma tu – adesso che ci penso – sei troppo lontana, centinaia e centinaia di chilometri difficili da valicare, tu sei dentro a una vita che ignoro, e gli altri uomini ti sono accanto, a cui probabilmente sorridi, come a me nei tempi passati. Ed è bastato poco perché ti dimenticassi di me. Probabilmente non riesci più a ricordare il mio nome. Io sono ormai uscito da te, confuso fra le innumerevoli ombre. Eppure non so pensare che a te, e mi piace dirti queste cose.
Inviti superflui – Dino Buzzati (1949)
[ho dimenticato il tuo nome]
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The K-Drama Book Tag
È quasi Pasqua, le giornate si stanno allungando e il sole splende sulle nostre teste e io davanti al pc lavoro, o cerco di lavorare, con una soglia dell’attenzione che si abbassa sempre di più. Leggo poco e male, la sera mi sparo drama su drama in call appassionate con le mie amiche del Team Drama Club e insieme a loro abbiamo anche organizzato una challenge su IG (seguitemi sul mio profilo, @anncleire per vedere le meraviglie create da Chiara). Mentre cercavo ispirazione per un post qui sul blog, perché non leggendo non ho al momento tantissime recensioni da scrivere, mi è venuto in mente di unire le passioni del momento, in un’unica soluzione: un book tag, è da un po’ che non ne faccio uno e mi divertono sempre un sacco. Speravo di trovarne uno già messo in piedi, in realtà, ma dopo una breve ricerca in quel di Google non ho trovato quello che stavo cercando, un Book Tag che unisse i kdrama con i libri, sostanzialmente le categorie definite tramite i drama coreani di cui ormai sono ossessionata (si, ho un problema, lo so, ma sorvoliamo) e quindi sono finita a costruirmelo a mia immagine e somiglianza il mio THE K-DRAMA BOOK TAG con alcuni dei miei drama preferiti.
Enjoy!
Her private life
Un libro o una saga che ti ha reso una completa fangirl
Vi sorprenderò probabilmente con questa risposta, ma capitemi, sono un po’ folle. L’ultimo libro che mi ha reso una fangirl è sicuramente La storia delle api di Maja Lunde che mi ha portato addirittura al Festivaletteratura di Mantova per due giorni per incontrarla. Oramai chi mi segue da tempo sa che ho una leggerissima ossessione per i libri che parlano di api e anche questo non fa eccezione, è un racconto straordinario che lega epoche diverse in un passaggio avvincente e incredibilmente ben costruito, che pone l’attenzione su tante problematiche che affliggono la società moderna e che potrebbero distruggere il mondo così come lo conosciamo. Un lucido disegno di un mondo distopico fin troppo reale. Il meraviglioso intreccio di tre vite, indissolubilmente legate dal fil rouge delle api e della vita, in un racconto organico e variopinto, che esce dagli schemi e urla la premura di non distruggere un ecosistema e un mondo con l’avventatezza di migliaia di piccoli gesti. Un mondo fugace e irresistibile, che non è solo intrattenimento, ma anche monito, per una storia vividissima e indimenticabile.
Because This is My First Life
Un libro di narrativa contemporanea in cui riconoscerti
Probabilmente non è il mio libro preferito, anzi, probabilmente una certa parte di me lo ha odiato profondamente, però Parlarne tra amici di Sally Rooney fotografa bene in pieno un’intera generazione ancorata perfettamente al mondo dell’internet, nerd, con un mare di passioni, proiettata verso il futuro, fortemente tecnologica e allo stesso tempo con chiaro in testa il senso dell’analogico. Il ritratto di una intera generazione, quei millennials precari e contraddittori che cercano di sopravvivere come meglio possono, incostanti e provocatori, e allo stesso tempo incredibilmente fragili e confusi. Leggendo di Frances mi sono resa conto di quanto il nostro vissuto sia universale, come i miei dubbi e le mie paure sono gli stessi dei miei coetanei, di quanto sia difficile superare certi schemi mentali, di quanto sia facile cadere vittime dell’insoddisfazione e di comportamenti meschini e di egoismi tutti umani.
Are You Human Too?
Un libro o una saga sci-fi piena di colpi di scena
Ho pensato molto a cosa mettere in questa categoria e non posso non citare La Trilogia dell’Area X di Jeff VanderMeer (Annientamento – Autorità – Accettazione). Io me ne sono invaghita dopo aver visto diverse recensioni positive e la parte sci-fi unita a quella post-apocalittica mi hanno convinta che fosse il libro giusto per me. Una storia pazzesca, consumante, che tiene desta l’attenzione, arzigogolata, dal ritmo incalzante, un vortice di informazioni e descrizioni accuratissime, che sconvolge e inquieta, lasciando a bocca aperta il lettore, incredulo e sconcertato. Tantissime domande che non hanno ancora risposta, per un primo volume stupefacente. Bramo gli altri volumi, per immergermi ancora nei segreti dell’Area X. Per chi vive di scienza e per chi di scienza non capisce niente.
Goblin
La perfetta bromance su cui fangirlare
Dovevo infilare in un TAG la mia adorata, ma lo farò evitando di citare sempre il mio Divino. Una delle bromance che più mi piacciono è quella che troviamo ne La spia del mare di Virginia de Winter. Cassian ha il fascino del maledetto e i modi da nobile d’altri tempi, un uomo di cui innamorarsi senza possibilità di scampo. Nonostante il suo essere scorbutico e un solitario votato al masochismo di mesi trascorsi a rincorrere un sogno, Cassian non è solo, ma accompagnato da tre fedelissimi amici e compagni di missione, un gruppo di spavaldi giovani alla ricerca di gloria e passatempi per sfuggire alla noia. El Cid, Manuel, un giovane nobile spagnolo scappato da uno scandalo innominabile, accompagnato sempre da una schiera di Mori pronti a sfoderare rinfreschi in qualunque posto e in qualunque condizione. Un giovanissimo e impertinente Casanova, pronto a sfoderare il suo fascino per piegare la volontà di chiunque, e il mio preferito del trio, Monsieur un elegantissimo giovane francese, sempre accompagnato dai suoi spiriti, da sussurri, da modi galanti e da quella superiorità tipica dei cugini d’oltralpe che irretisce e inganna.
The Legend of the Blue Sea
Un libro o una saga dal finale perfetto
Non potrei immaginarmi nessun altro finale per Vani Sarca di quello racchiuso in quello racchiuso in Un caso speciale per la ghostwriter di Alice Basso. niziata nel 2015, ma scoperta da me solo nel 2017 perché sono un po’ scema, la serie segue le avventure di una ghostwriter, come da titolo, in una Torino contemporanea e ricco, e i legami che crea con le persone che la circondano. Alice Basso ha il dono di costruire con ironia e sagacia un intero mondo, a cui è davvero difficile dire addio. Per fortuna che c’è la rilettura. La fine perfetta insomma per un’avventura intensa, in cui le risate si accompagnano agli abbracci. Alice Basso è riuscita a coniugare una storia speciale in cui perdersi, per cercare il mistero e la commedia, il sarcasmo e le lacrime, la forza e la determinazione, perché in fondo la vita è un mix di esperienze in cui “né uragani né tormente ci potranno fare niente”.
Healer
Un protagonista dalla doppia vita
Ho solo un libro chiaro in mente per questa categoria. I cieli di Sandra Newman e non ve lo posso neanche spoilerare troppo. Kate, la protagonista, è una ragazza come potrebbero essercene tante in mondo che si sta affacciando nel nuovo millennio, quel 2000 che nella nostra epoca è stato infestato dal mostro del Millennium Bug, ma che per Kate si affaccia in un mondo migliore. Sembra un’utopia, un miraggio, un sogno. Ma poi Kate si addormenta e si risveglia nel corpo e nelle intenzioni di Emilia, una giovane artista italiana trapiantata nell’Inghilterra di fine Cinquecento. Una storia incerta e assoluta, la sovrapposizione di così tanti layer, di così tante decisioni, che è il risultato probabilmente anche delle interpretazioni del lettore. A tratti angosciante e a tratti illuminante, I Cieli è una storia da leggere in un fiato.
Search WWW
La perfetta protagonista da amare
Avrei la protagonista perfetta per questo libro, ma non posso dirvela ancora. Perciò mi tocca ripiegare su Ead una delle protagoniste de Il priorato dell’albero delle arance di Samantha Shannon. Entrare nel mondo della Shannon è una scommessa perché non sai di preciso se ne uscirai tutto intero, si tratta di una storia lunga ottocento pagine e potrebbe intimidire da più punti di vista. Le immagini che la scrittrice riesce ad evocare entrano dentro e superano le barriere della pagina scritta per fagocitare completamente il lettore. È un fantasy di vecchio stampo, con un mondo completamente estraneo al nostro, ma che allo stesso tempo lo richiama vuoi per usanze, vuoi per cibi, vuoi per i luoghi. Le leggende si intrecciano per creare una storia nuova, un mondo immenso e terribile minacciato da forze oscure in cui alchimia, magia, e lotte per il potere si combattono per la supremazia. Eadaz du Zāla uq-Nāra si nasconde sotto i falsi abiti di Ead Duryan alla corte della regina Sabran. Ma Eadaz non è chi dice di essere, infatti è una delle ancelle del Priorato dell’Albero delle Arance, una comunità antichissima del regno di Lasia, da sempre votata ad uccidere i wyrm, gli sputafuoco, con un compito molto importante, proteggere a tutti i costi l’ultima erede della Madre o Donzella, a seconda del culto di cui ci si riferisce, Cleolind Onjenyu ultima che ha combattuto contro il Senza Nome e l’ha gettato nell’abisso. Ead è più coraggiosa di qualunque altra ancella, e ha anche un dono particolare. Lontana dalla sua casa Ead si adatta come può e soprattutto deve farsi forza per rinnegare il suo credo. La storia ha una forte matrice femminile, molte sono infatti le protagoniste femminili che emergono, ma Ead è sicuramente la mia preferita.
Fight for my way
Una storia d’amore su cui fantasticare
Ormai lei è diventata una delle mie scrittrici salva vita per le romance e non vedo l’ora di mettere le mani sul suo prossimo volume. Notte numero zero di Rebecca Quasi è una di quelle storie che neanche credi che esistano ma ti scaldano il cuore. Costanza e Mario si incontrano per caso in un aeroporto, ma sono destinati ad incontrarsi di nuovo. Sembra impossibile che due come loro riescano ad innescare una tale reazione, ma si sa la chimica è imprevedibile e la Quasi accompagna il lettore in un viaggio affascinante e una storia d’amore emozionante.
E, voi quali sono i vostri drama preferiti? E con che libri avreste risposto?
Fatemelo sapere in un commento.
#Book Tag#kdrama#favorite#rebecca quasi#virginia de winter#alice basso#sandra newman#samantha shannon#maja lunde#sally rooney
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Inviti superflui – (1949) Dino Buzzati
Vorrei che tu venissi da me una sera d'inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo. Per gli stessi sentieri fatati passammo infatti tu ed io, con passi timidi, insieme andammo attraverso le foreste piene di lupi, e i medesimi genii ci spiavano dai ciuffi di muschio sospesi alle torri, tra svolazzare di corvi. Insieme, senza saperlo, di là forse guardammo entrambi verso la vita misteriosa, che ci aspettava. Ivi palpitarono in noi, per la prima volta pazzi e teneri desideri. "Ti ricordi?" ci diremo l'un l'altro, stringendoci dolcemente, nella calda stanza, e tu mi sorriderai fiduciosa mentre fuori daran tetro suono le lamiere scosse dal vento. Ma tu - ora mi ricordo - non conosci le favole antiche dei re senza nome, degli orchi e dei giardini stregati. Mai passasti, rapita, sotto gli alberi magici che parlano con voce umana, né battesti mai alla porta del castello deserto, né camminasti nella notte verso il lume lontano lontano, né ti addormentasti sotto le stelle d'Oriente, cullata da piroga sacra. Dietro i vetri, nella sera d'inverno, probabilmente noi rimarremo muti, io perdendomi nelle favole morte, tu in altre cure a me ignote. Io chiederei "Ti ricordi?", ma tu non ricorderesti.
Vorrei con te passeggiare, un giorno di primavera, col cielo di color grigio e ancora qualche vecchia foglia dell'anno prima trascinata per le strade dal vento, nei quartieri della periferia; e che fosse domenica. In tali contrade sorgono spesso pensieri malinconici e grandi; e in date ore vaga la poesia, congiungendo i cuori di quelli che si vogliono bene. Nascono inoltre speranze che non si sanno dire, favorite dagli orizzonti sterminati dietro le case, dai treni fuggenti, dalle nuvole del settentrione. Ci terremo semplicemente per mano e andremo con passo leggero, dicendo cose insensate, stupide e care. Fino a che si accenderanno i lampioni e dai casamenti squallidi usciranno le storie sinistre della città, le avventure, i vagheggiati romanzi. E allora noi taceremo sempre tenendoci per mano, poiché le anime si parleranno senza parola. Ma tu - adesso mi ricordo - mai mi dicesti cose insensate, stupide e care. Né puoi quindi amare quelle domeniche che dico, né l'anima tua sa parlare alla mia in silenzio, né riconosci all'ora giusta l'incantesimo delle città, né le speranze che scendono dal settentrione. Tu preferisci le luci, la folla, gli uomini che ti guardano, le vie dove dicono si possa incontrare la fortuna. Tu sei diversa da me e se venissi quel giorno a passeggiare, ti lamenteresti d'essere stanca; solo questo e nient'altro.
Vorrei anche andare con te d'estate in una valle solitaria, continuamente ridendo per le cose più semplici, ad esplorare i segreti dei boschi, delle strade bianche, di certe case abbandonate. Fermarci sul ponte di legno a guardare l'acqua che passa, ascoltare nei pali del telegrafo quella lunga storia senza fine che viene da un capo del mondo e chissà dove andrà mai. E strappare i fiori dai prati e qui, distesi sull'erba, nel silenzio del sole, contemplare gli abissi del cielo e le bianche nuvolette che passano e le cime delle montagne. Tu diresti "Che bello!" Niente altro diresti perché noi saremmo felici; avendo il nostro corpo perduto il peso degli anni, le anime divenute fresche, come se fossero nate allora.
Ma tu - ora che ci penso - tu ti guarderesti intorno senza capire, ho paura, e ti fermeresti preoccupata ad esaminare una calza, mi chiederesti un'altra sigaretta, impaziente di fare ritorno. E non diresti "Che bello!", ma altre povere cose che a me non importano. Perché purtroppo sei fatta così. E non saremmo neppure per un istante felici.
Vorrei pure - lasciami dire - vorrei con te sottobraccio attraversare le grandi vie della città in un tramonto di novembre, quando il cielo è di puro cristallo. Quando i fantasmi della vita corrono sopra le cupole e sfiorano la gente nera, in fondo alla fossa delle strade, già colme di inquietudini. Quando memorie di età beate e nuovi presagi passano sopra la terra, lasciando dietro di se una specie di musica. Con la candida superbia dei bambini guarderemo le facce degli altri, migliaia e migliaia, che a fiumi ci trascorrono accanto. Noi manderemo senza saperlo luce di gioia e tutti saran costretti a guardarci, non per invidia e malanimo; bensì sorridendo un poco, con sentimento di bontà, per via della sera che guarisce le debolezze dell'uomo. Ma tu - lo capisco bene - invece di guardare il cielo di cristallo e gli aerei colonnati battuti dall'estremo sole, vorrai fermarti a guardare le vetrine, gli ori, le ricchezze, le sete, quelle cose meschine. E non ti accorgerai quindi dei fantasmi, né dei presentimenti che passano, né ti sentirai, come me, chiamata a sorte orgogliosa. Né udresti quella specie di musica, né capiresti perché la gente ci guardi con occhi buoni. Tu penseresti al tuo povero domani e inutilmente sopra di te le statue d'oro sulle guglie alzeranno le spade agli ultimi raggi. Ed io sarei solo. E' inutile. Forse tutte queste sono sciocchezze, e tu migliore di me, non presumendo tanto dalla vita. Forse hai ragione tu e sarebbe stupido tentare. Ma almeno, questo sì almeno, vorrei rivederti. Sia quel che sia, noi staremo insieme in qualche modo, e troveremo la gioia. Non importa se di giorno o di notte, d'estate o d'autunno, in un paese sconosciuto, in una casa disadorna, in una squallida locanda. Mi basterà averti vicina. Io non starò qui ad ascoltare - ti prometto - gli scricchiolii misteriosi del tetto, né guarderò le nubi, né darò retta alle musiche o al vento. Rinuncerò a queste cose inutili, che pure io amo. Avrò pazienza se non capirai ciò che ti dico, se parlerai di fatti a me strani, se ti lamenterai dei vestiti vecchi e dei soldi. Non ci saranno la cosiddetta poesia, le comuni speranze, le mestizie così amiche all'amore. Ma io ti avrò vicina. E riusciremo, vedrai, a essere abbastanza felici, con molta semplicità, uomo e donna solamente, come suole accadere in ogni parte del mondo.
Ma tu - adesso ci penso - sei troppo lontana, centinaia e centinaia di chilometri difficili a valicare. Tu sei dentro a una vita che ignoro, e gli altri uomini ti sono accanto, a cui probabilmente sorridi, come a me nei tempi passati. Ed è bastato poco tempo perché ti dimenticassi di me. Probabilmente non riesci più a ricordare il mio nome. Io sono ormai uscito da te, confuso tra le innumerevoli ombre. Eppure non so pensare che a te, e mi piace dirti queste cose.
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ieri sfrecciavo in macchina tra le luci del tramonto, il cielo lilla e la testa piena di sogni. in radio passa ‘forever young’ di jay z. chi è degli anni 90 come me si è vissuto questa canzone negli anni del liceo, quando eravamo davvero giovani e intoccabili e immortali. mi viene la pelle d’oca, e squarci di vita di sei anni fa mi trapassano. sembra passato così tanto da allora, io un pò più bionda, un pò più incasinata, ma sempre libera, libera come il vento. eppure sembra un battito di ciglia fa, le nottate infinite insieme a urlare nella notte e cantare a squarciagola la nostra canzone preferita, e tutti i tramonti insieme, le albi da strafatti ma con l’anima in fiamme, e il cuore che batte all’impazzata e il One Million ovunque, noi quattro inseparabili, ‘amiche per sempre’, il bagno in mare mentre diluvia, i tuoi occhi cioccolato e le labbra salate. ed io sempre, sempre, sempre, fedele solo e soltanto a me stessa. quante ferite sul cuore da allora, molte mai rimarginate davvero, nei giorni di pioggia ancora sanguinano. da quelle più profonde però, da un pò di tempo mi sono accorta che entra la luce, e dentro brillo brillo brillo. è un pensiero effimero, il passato, eppure così dannatamente presente. io lo sento, sai, attorno a me, dentro, ovunque, tutto quello che abbiamo vissuto, tutte le risate, le voci, e ancora mi emoziono, e piango, se mi fermo e ci penso davvero.e sto piangendo anche adesso, con questa canzone di nuovo in sottofondo, pensando che un altro ciclo sta per concludersi, ed io sono esattamente e fottutamente sempre la stessa, sempre la stessa ragazzina con la testa piena di sogni e avventure da vivere, che sa ancora emozionarsi e guardare il mondo ‘con meraviglia’. io non dimentico niente. non dimentico il perchè delle mie cicatrici, ma neanche il motivo per cui ho le ali. e riesco a volare, indietro, avanti, oltre ogni cosa. un’altra era sta per concludersi, e questo mi spaventa? mai. non sono cambiata neanche in questo. ma il cuore mi si stringe un pò proprio come allora, perchè quando ami e VIVI l’amore poi finisce sempre così, tutto diventa inevitabilmente parte di te ed è una sensazione stupenda perchè anche se poi le cose non vanno, anche se poi le cose finiscono e i rapporti vanno a puttane e non ti ci saluti neanche più con quelle persone, i ricordi rimangono, sempre. i pezzi di vita che hai vissuto e condiviso, restano. sono marchiati a fuoco dentro di te e rendono te, te. esattamente la persona che sei. dunque io sorrido, ho ancora il sapore di fragola e il viso da bambolina, e ancora, ci credo. e ci crederò sempre. riesco ancora a scorgere la magia. e chissà cosa mi riserva il futuro. tutto ciò che è scritto nelle stelle, suppongo.
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