#avrebbe potuto farsi almeno salutare
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Felice di aver scoperto di avere una casa molto accogliente visto che un simpatico uccellino ha deciso di entrarci dentro, certo avrebbe potuto evitare di sentirsi così a casa da decidere, prima di scappare via, di cagare un po' dove voleva ma chi siamo noi per opporci alla natura.
#avrebbe potuto farsi almeno salutare#posso dire che mi è dispiaciuto molto non essere presente in quel momento
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L'attacco dei giganti - Ep 75 - Cielo e terra
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Zitti zitti quatti quatti siamo arrivati all'ultimo episodio di questa prima parte della stagione, beh non proprio zitti zitti quatti quatti, ne sono successe di ogni, e solo solo la sigla è piena di esplosioni. Ma che la fine di questa parte ci colga alla sprovvista è del tutto vero, resteremo col fiato sospeso fino all'anno prossimo quando verrà trasmesso l'episodio 76! Hai voglia a fare gare di apnea! Ma bando alle ciance, cominciamo con l'episodio!
Hange e Floch ormai sono arrivati vicino al luogo dov'era sorvegliato Zeke, poveretta Hange non ha più potuto tacere, non quando quei simpaticoni degli Jaegeristi tengono in ostaggio tutti quelli che hanno bevuto il vino. Arrivati nelle vicinanze sentono lo scoppio di una lancia fulmine, e la cosa non può di certo essere buona, a meno che Levi e Zeke siano diventati amiconi e stiano sparando fuochi d'artificio per festeggiare la cosa. Ma anche qui non vedo la necessità di sprecare lance fulmine. Cosa può essere successo quindi? Gli autori soddisfano subito la nostra curiosità, e torniamo sul luogo dell'esplosione, con Zeke che finalmente sta tirando le cuoia, ed abbiamo il flash di una bambina senza volto con un secchio in mano. Chi sarà? Non lo sappiamo, non ancora almeno, nonostante sia comparsa già diverse volte nei trailer della quarta stagione; ma accade che dopo aver visto questa bambina, spunta dal terreno lì vicino un gigante sconosciuto, che senza mezzi termini si apre la pancia e ci ficca dentro Zeke. Che finalmente abbiamo salutato questo detestabile personaggio e quel gigante gli abbia voluto risparmiare il dolore di esser masticato? Oppure è un modo abbastanza schifoso di aiutarlo? E' vero che i giganti puri si sono sempre comportati in modo strano attorno Zeke, e più avanti ne chiederanno ad Eren il motivo, che se però non lo sa, può essere che anche in questo caso la palla di peli riesca a farla franca. Scusate faccio schifo con le teorie, anche perchè leggendo il manga so già tutto e faccio del mio meglio per evitare spoiler. Ad ogni modo qui manca una scena che invece nel manga c'è, ma riguardando Levi posso capire perchè l'abbiano tolta, innanzitutto penso che si siano voluti concentrare su Shiganshina per la fine di questa parte, perchè è lì che c'è quasi tutta l'azione, ed in secondo luogo capisco che magari vogliano aspettare di trovarsi nel pieno della seconda parte per quanto riguarda Levi, così i suoi fan (non lettori) non si strapperanno i capelli in attesa del 2022, dato che c'è ancora una speranza che sia sopravvissuto. Anche qui, faccio del mio meglio per evitare spoiler.
E dunque andiamo a Shiganshina, questa ridente cittadina addossata al Wall Maria, e che ormai di ridente ha ben poco visto che gli Jaegeristi hanno tipo arrestato tutti, ed hanno applicato il metodo marleyano, svaligiando i negozi di stoffe per appropriarsi di fasce da annodare al braccio. Si sono un po' anche ispirati al semaforo in un certo senso, fascia bianca per gli Jaegeristi convinti, fascia rossa per chi ha tradito dopo aver bevuto il vino e fascia nera per chi è cascato nella trappola con tutti gli scarponi miitari. Pyxis, con fascia nera al braccio, è seduto a tavola con niente popò di meno che Yelena ed i suoi, ed i due non fanno che rinfacciarsi a vicenda che se l'esercito si fosse fidato di Zeke non sarebbero giunti a questo, con la minaccia di trasformarsi in giganti che pende pericolosamente sulla loro testa. Certo Yelena, secondo te questi dovevano fidarsi di un tizio che aveva quasi azzerato la squadra di ricerca ed ucciso tutta Ragako (per quanto ne sappiamo noi, ma potrebbe aver ucciso molte più persone), e che ora sostiene di volerli salvare tutti. Certo. Brutti ingrati che non vi siete fidati di lui, è stato tanto paziente nei vostri confronti e voi lo ripagate così. E' un po' come quando il marito picchia la moglie e se questa si difende è pure ingrata perchè lui la picchia perchè la ama. Fortuna che nella realtà ste cose non succedono, no no.
Ci spostiamo nelle prigioni del forte, da Armin e gli altri, imprigionati insieme a Nicolò ed alla famiglia Braus. Gli hanno pure concesso di farsi il tè, ma tu guarda che gentili. Jean insomma vuole sapere perchè Armin ed Eren hanno fatto a botte, perchè mentre Connie sostiene che Eren ormai sia un bastardo a cui non importa di offendere i suoi due migliori amici e che pensa solo alla guerra, tanto che qualche puntata fa gli hanno dovuto cambiare la cassetta perchè si era bloccato e diceva solo "Combatti!", Jean è invece convinto che ci sia qualcos'altro dietro il suo comportamento. Pulce nell'orecchio? Ma anche se così fosse, quale può essere questo piano di Eren, ammesso che l'abbia, che lo porta a comportarsi in questo modo con Armin e Mikasa? Lo vedremo più avanti, e precisamente l'anno prossimo. Ad interrompere la conversazione arriva Yelena insieme ad Onyankopon e all'ex socio di Nicolò. Saranno venuti a prendersi l'ammazzacaffè insieme ai prigionieri dopo aver mangiato con Pyxis. Dopo aver ucciso l'ex socio di Nicolò a sangue freddo perchè non la smetteva di definire demoni gli eldiani (oltre che insultava Sasha, Sasha non si tocca!), Yelena si accomoda e dice che vuole raccontare loro, stavolta senza omissioni, il piano di Zeke, che consiste nell'eutanasia degli eldiani. Il piano, ormai lo sappiamo, prevede che gli eldiani diventino tutti sterili grazie al potere del gigante fondatore di poter modificare i corpi degli eldiani, e che muoiano lentamente e serenamente, mentre il gigante fondatore passerà di mano in mano finchè questa missione non verrà completata, dopotutto la regina Historia è già incinta, per cui non devono neanche perdere tempo ad aspettare un erede. E questo riporta la mia attenzione su Historia, come mai dal nulla se n'è fuggita con questo signor nessuno ed è rimasta incinta dopo che si era mostrata d'accordo con il piano di Zeke che, per carità, non aveva detto loro di volere sterilizzare tutti gli eldiani, ma era chiaro quanto la regina fosse importante grazie al suo sangue reale? Qualcuno, così come ha fatto Yelena con Eren, è andato da lei a convincerla? Ha tradito? Non lo sappiamo, ed anche nel manga non l'hanno spiegato, considerato che manca solo l'ultimo capitolo sono davvero curiosa di capire le ragioni di Historia, ci rimarrei un po' male se finisse nel dimenticatoio. Tornando a Yelena ed al piano per l'eutanasia, mentre esso si svolge irretiranno le minacce esterne all'isola grazie al boato della terra (e questa parte combacia con quanto avevano detto gli Azumabito) finchè gli eldiani moriranno tutti.
In un altro punto del forte, Eren entra nella stanza in cui hanno rinchiuso Gabi, e le dice che dovrà mandare un messaggio radio a Marley in modo da attirarli. Ma viene interrotto da Pieck (ciau Pieck!) che entra nella stanza con una nonchalance invidiabile e gli punta la pistola alla testa minacciando di ucciderlo. Che donna, può passare senza problemi dall'offrirti la cioccolata a minacciare di sparpagliare il tuo cervello per tutto il pavimento. Ma Eren ormai è versato nell'arte della ribaltata di frittata, e le dice che non può ucciderlo perchè in questo modo perderebbero il gigante fondatore ed a Marley la punirebbero severamente. Pieck si arrende e dice che in realtà è lì per passare dalla parte degli Jaegeristi, e che se Eren la porta sul tetto del forte gli indicherà dove si trovano i suoi compagni. Gabi in tutto questo è scioccata, dopo Zeke anche Pieck sta tradendo, buttando all'aria tanto lavoro per dimostrare che erano eldiani buoni. Oh Gabi, quanto sei piccola a non capire che gli eldiani non saranno mai liberi, neanche se dimostrano di essere buoni per mille anni. Per ora che li usano come giganti li useranno nelle manovre militari, sempre e comunque, e quando i giganti si dimostreranno inutili li uccideranno tutti perchè non se ne fanno nulla di loro. Pieck dunque si fa portare sul tetto, mentre si sparge la voce che c'è un intruso nel forte, e tutti si radunano nell'androne per vedere questo soldato; tra loro c'è pure Galliard che è venuto a salutare, eh! Volevi che non ti vedessi, ma ti ho visto! Per tua fortuna Eren non ti ha notato ed i soldati non ti conoscono, quindi puoi continuare a stare sotto copertura.
Arrivati sul tetto Pieck riconosce Yelena e le dice che stava meglio con la barba. Sempre gentile lei. Dunque, siamo sul tetto, le dice Eren, dove sono i tuoi alleati? Pieck dopo un secondo in cui rassicura Gabi stringendole la mano si volta ed indica proprio Eren. Poi si getta di lato mentre da sotto i piedi di Eren spunta il testone del gigante mandibola che gli mozza le gambe. Ma non ci sono solo Galliard e Pieck, dal cielo arriva tutta la cavalleria rusticana di Marley coi suoi velivoli, che si dirigono a velocità sostenuta verso il punto in cui Eren si è trasformato segnalando subito la propria posizione invece di andarsi a nascondere come avrebbe fatto invece qualcuno dotato di buonsenso. Dunque Marley, in barba alle alleanze coi paesi vicini, si è subito messa in marcia come aveva suggerito Reiner, ed eccolo lì, che dal velivolo inizia una gara di sguardi rabbiosi con Eren, in attesa che inizi la battaglia per vendicarsi di Liberio, nonchè la battaglia finale!
Fomentantissimi questi ultimi secondi, ma conviene calmarsi perchè tanto il 76esimo episodio verrà trasmesso l'anno prossimo. Pensavo, calcolando quello che succede nel manga, che saremmo andati più avanti prima di finire questa parte della stagione, ma in effetti anche così va bene, con l'hype per una battaglia che sta per cominciare, anzi forse è pure meglio, invece di cominciarla e di lasciare i fan appesi fino all'anno prossimo. E c'è stata anche l'opportunità di fare con calma queste scene prima degli ultimi minuti, abbiamo avuto una panoramica di tutti i prigionieri che hanno sentito l'edificio tremare ed Armin ha capito che la battaglia fra giganti è cominciata. Un lungo applauso, ben più lungo di 92 minuti, allo studio Mappa, che, non mi stancherò mai di dirlo, è riuscito ad unire il tratto del Wit Studio e quello di Isayama, impresa non facile, perchè il primo è luminoso e vivace, il secondo è grottesco ed oscuro. Tantissimi applausi e spero che le critiche di chi non capisce non li sfianchi mai. Anche per quanto riguarda le musiche, il passaggio da una scena all'altra, anche se ormai sono quasi tutti nello stesso punto, sono stati giostrati magistralmente. Non ci resta che aspettare l'anno prossimo, saluto tutti con un avvertimento: occhio agli spoiler! Alla prossima! -sand-
#aot#attacco dei giganti#attack on titan#shingeki no kyojin#snk#eren jaeger#mikasa ackerman#armin arlert#yelena#zeke jaeger#aot ep 75#ita#italian#commento#aot 4#aot spoiler#aot final season#anime#vvvvid#aot streaming
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🧬🧬 — New Role Nevil & Ginny 13.05.2021 ; Studio fotografico — #ravenfirerpg « Ciao modella, ti lascio subito il set! »
Esclama Nevil recuperando la felpa da una delle sedie presenti nello studio, voltandosi verso Ginny che - appena arrivata - ha già catturato l’attenzione dei presenti. Grazie alle passioni comuni, i due, hanno stretto una forte e duratura amicizia che non è stata affatto minata dai repentini cambiamenti di umore del Dekker che fatica sempre di più nel reprime quel suo lato malvagio che, ogni giorno, diventa sempre più forte.
« Oggi sono molto pretenziosi e moooolto nervoso, ti consiglio di assecondare ogni loro richiesta oppure — beh, scappa finché sei in tempo! »
Esclama ridacchiando ma utilizzando un tono di voce abbastanza basso da non farsi sentire dai fotografi presenti in studio.
Ginny R. Océane Lagarce
Era dura tornare alla vita di tutti i giorni, soprattutto quando i ricordi erano ancora piuttosto confusi riguardo a quegli avvenimenti che l'avevano vista finire in ospedale ancora una volta. Non vi era stato nulla di rotto, almeno non questa volta, eppure era a livello psicologico che Ginny ne risentì maggiormente, soprattutto provando a riprendere la vita di tutti i giorni. Erano diversi incubi a tenerla sveglia la notte, ma occuparsi delle cose più semplici come trascorrere un po' di tempo allo studio fotografico aiutava a distrarsi. Ridacchiò la giovane mentre ascoltava le parole dell'amico che, ancora una volta, cercava di farle nascere un sorriso ovviamente con successo. « Credimi, potrei diventare io il loro incubo... Settimane che non ti vedo e sei sempre più in forma. Mi sono persa qualcosa? »
Nevil Axel Dekker
La borsa a tracolla con all’interno alcuni vestiti di cambio per le varie fotografie viene issata senza difficoltà sulla spalla destra di Nevil ed è pronto per lasciare il campo libero a Ginny, una modella senza dubbio meglio di lui. « Sai che ho una vita frenetica e mi piace tenermi in forma per poter sgarrare qualche volta e concedermi del poco sano ma gustosissimo “ cibo spazzatura. “ » Ridacchia e si accarezza la pancia con la mano destra, compiendo dei leggeri movimenti circolari. « Se stiamo parlando di una guerra all’ultimo sangue tra incubi è meglio che io mi nasconda per bene o… beh, meglio che io scappi a gambe levate. » Ridacchia e scuote il capo, sa che le ultime vicende sono state difficili per tutti e non è facile superare anche questa ennesima stranezza che ha colpito la città. « Tu come stai? »
Ginny R. Océane Lagarce
Ascoltò con attenzione la replica dell'amico che non vedeva da qualche tempo. Sapeva dei suoi mille impegni quadi come quelli della veggente che cerca di fare occupare quasi l'intera giornata, ma sapeva anche che entrambi apprezzavano quelle piccole gioie che dava loro fare cose semplici, come mangiare un hamburger. Si ritrovò così a sorridere la Lagarce, un qualcosa che non faceva da tempo, soprattutto dopo il terremoto che aveva scosso tutti in città. « Ecco perché siamo amici... Cavolo, non farmici pensare, non mangio patatine fritte da fin troppo tempo e il sol pensiero mi fa brontolare lo stomaco. Stiamo preparando un servizio importante e ultimamente se non sono qui, sono in redazione al giornale. » Commentò come se fosse del tutto naturale avere impegni su impegni, dividersi su fronti, e chi altro avrebbe potuto capirla meglio di Nevil? Era però quella domanda ad essere insidiosa, come si sentiva davvero? « Diciamo che ho avuto momenti migliori... Tu, invece? E dico sul serio, non rifilarmi la solita versione che rifili a tutti. »
Nevil Axel Dekker
« Siamo amici perché ti ho conquista la prima volta offrendoti una porzione doppia di patatine. » Ridacchia a quel ricordo, sembra ormai passata un’eternità ed è anche un po’ triste ripensare al passato, a quando tutto era normale e nessuno strano avvenimento aveva ancora scosso l’intera città. « Io tuo stomaco dovrà aspettare ancora un po’ però, se vuoi, ho una stecca di cioccolato nel borsone. Sai, per le emergenze. » Le fa un’occhiolino e con la mano destra indica la tasca contenente la Beretta appena nominata. « Anche io sto lavorando parecchio per il giornale, sono felice di poter affacciarmi su diversi argomenti in modo da poter avere un’ampia visuale e poter decidere cosa è più affine a me. » Buffo come due ragazzi vent’enni parlino di lavoro e di svariati impegni piuttosto che discorrere di serate, di sbronze e di conquiste di una notte. « La verità? Sono stanco. Tutti questi avvenimenti mi hanno davvero distrutto. » E quanta verità nascondono quelle poche parole? Più di quanta egli vorrebbe ammettere.
Ginny R. Océane Lagarce
Non era un caso che i due fossero amici, avevano più in comune di chiunque altro, ma la verità stava nel fatto che in qualche modo avevano sempre fatto un passo indietro. Non appena toccavano determinati argomenti, i due amici si sentivano in dovere di ritrovare il loro equilibrio. Ricordò quando si conobbero tanto tempo prima, molto prima di diventare colleghi allo studio fotografico e al giornale, eppure qualcosa nel ragazzo l'aveva sempre attirata a lui. « Oh lo ricordo bene, sai? Anzi, uno di questi giorni dovremmo replicare... E poi abbiamo ancora un sacco di cose in sospeso! » Ammiccò in modo divertito la veggente prima di scrollare distrattamente le spalle. Ripensò poi al suo blog a come lentamente stava diventando qualcosa di più serio, mentre quelle parole colpirono decisamente la Lagarce. « La stanchezza penso sia ormai all'ordine del giorno.... E non si tratta di stanchezza fisica, piuttosto di quella mentale che ha messo a dura prova tutti noi. Dio, nell'ultimo anno sono finita in ospedale più volte che in tutta la mia vita, e la cosa è estenuante... A volte vorrei solamente un po' più di spensieratezza. »
Nevil Axel Dekker
La loro amicizia è qualcosa di strano, si, ma di davvero unico. Tra loro c’è quel magnifico equilibrio che mai nessuno dei due ha minato, permettendo entrambi di poter coltivare quel legame nel tempo, facendolo diventare sempre più forte. Ed è per questo che Nevil, spesso, si sente in colpa nel non averle mai raccontato ciò che gli successo in quegli ultimi anni, di non averle mai detto la verità su ciò che è diventato e nel non averle mai confessato che, quella estenuante stanchezza, è dovuta sopratutto agli incubi che tutte le notti lo tengono sveglio per ore. « Quando vuoi Miss Lagarce, Nevil Dekker sempre pronto per sfamare le sue voglie di patatine fritte. » Ridacchia, scaccia via quei pensieri che gli occupano la mente e cerca di allontanare il più possibile i sensi di colpa che lo divorano. « Hai ragione, ci servirebbe davvero una bella vacanza. Lontani da tutti i nostri impegni e da questa città. »
Ginny R. Océane Lagarce
Un sorriso comparve sulle labbra della veggente che in quel momento ripensava alla loro amicizia come ad un qualcosa che mai si sarebbe potuto rompere. Fin da quando s'erano conosciuti avevano trovato il loro equilibrio, il loro confidarsi tutto li aveva portati a creare un legame di fiducia, eppure vi era un qualcosa che Ginny non aveva mai confessato all'amico, il suo essere una veggente. « Sai che potrei prenderti in parola? » Disse la Lagarce prima di rabbuiarsi per un momento. Aveva sempre pensato a Ravenfire come la sua casa, il suo punto di riferimento, e per quanto desiderasse visitare luoghi lontani, aveva sempre accettato la sua condizione di buon grado. « Mi limito alla mia piscina privata, anzi se vuoi venire a farmi compagnia sei sempre il benvenuto! »
Nevil Axel Dekker
« E quando mai non mi hai preso in parola, scusa? » Domanda con un tono di voce ironico ma divertito accompagnato da una fintissima espressione delusa. « …. E sopratutto quando mai non sono stato di parola? » Aggiunge subito dopo scuotendo il capo e fingendo ancora di essere molto offeso con l’amica. È divertente punzecchiarla e, per certi versi, è anche divertente allontanare le mille preoccupazioni e pensieri con giochini stupidi ed infantili come quelli. « Che ne dici se una sera ti porto una super pozione di patatine e ci godiamo la tua bella piscina privata? È tanto che non chiacchieriamo come si deve e questi sporadici minuti dove ci incrociamo per caso non valgono. »
Ginny R. Océane Lagarce
Lo scherzo che intercorreva tra il Dekker e la veggente metteva sempre di buon umore quest'ultima che ormai aveva ritrovato nel ragazzo un punto di riferimento. Si mostrò divertita a quel battibeccare mentre ripensava a come quel luogo che era la sua casa, non era solamente la sua dimora, ma anche il luogo in cui poteva essere se stessa. « Credo che avresti dovuto chiedermelo molto tempo fa. » Replicò con lo stesso tono canzonatorio che aveva Nevil. Gli strizzò così l'occhiolino, allontanando definitivamente quei pensieri che ormai angosciavano la Lagarce anche in piena veglia. « Abbiamo tante cose da raccontarci, e soprattutto credo che non tutti possano comprenderle. E ricordati che ogni promessa è debito! » Ammiccò tradendo quelle parole così veritiere con uno sguardo che cozzava ma che era certa che Nevil comprendesse. Inspirando sonoramente, Ginny si accinse poi a salutare l'amico lasciandolo così allo studio fotografico.
❪ 𝑭𝒊𝒏𝒆 𝑹𝒐𝒍𝒆. ❫
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L’amica di Tepig
L’amica di Tepig
Una nuova giornata stava iniziando nella regione di Arbora. Lento, il sole si stava levando oltre le montagne, e tanto piccoli quanto mattinieri, i Chirbird stavano già solcando i cieli. Contrariamente a loro, un minuscolo Robee se ne restava al sicuro nel suo nido, ed era come se ogni singolo essere vivente volesse chiudere gli occhi e sospirare di sollievo. Proprio come la natura più tranquilla e selvaggia, anche i villaggi erano pieni di vita, come testimoniava il dolce belato di un intero gregge di Mindsheep, che intanto sembrava salutare quel nuovo giorno mentre il caro pastore, aiutato dal suo fido Yamper, le radunava. Ormai era inverno, non c'era più tempo perchè pascolassero, era meglio che restassero nella stalla per il resto della stagione. Per fortuna l'uomo non era da solo, e l'aiuto di quel cane, no, cucciolo da pastore era come provvidenziale. Poco distante dai campi, poi, alcuni bambini si stavano preparando per la scuola, salutando le madri con un bacio e un sorriso prima di incamminarsi, nella speranza di imparare abbastanza, forse anche dai migliori, e poi diventare, come molti sognavano pur non parlandone per non spezzare la magia di quel desiderio, allenatori di Pokèmon. E così, ognuno sembrava avere le proprie mansioni, ma ancora più lontano, nel fitto della foresta, qualcosa, o meglio, qualcuno si aggirava furtivo. Solo e pensoso, un piccolo Tepig camminava nel verde, annusando l'erba e frugando fra i cespugli, ma purtroppo senza successo. Aveva fame, ma per sua sfortuna tutti i suoi simili erano troppo lontani, e nonostante si sforzasse, andando alla ricerca delle loro impronte sul terreno, non riusciva. A quanto sembrava, l'avevano lasciato indietro. Sentiva ancora il loro odore nel vento, chi lo sapeva, forse sarebbero tornati indietro, e fino ad allora, non avrebbe smesso di cercarli. Quel porcellino era ancora un cucciolo, e con ogni minuto che passava, si sentiva sempre più ansioso. Che stava succedendo? Si era semplicemente addormentato, e quando si era svegliato, attorno a lui non c'era più nessuno. Gli mancavano i suoi amici, vero, ma soprattutto i membri più anziani del suo branco. Dov'erano mamma Pignite e papà Emboar? Non lo sapeva, e con lo sguardo rivolto verso un cielo ormai quasi non più azzurro, il maialino sentì alcune piccole lacrime rotolargli lungo il muso. All'improvviso tutto intorno a lui era decisamente troppo strano, e provava una strana stretta all'altezza del cuore. Camminando, annusò un cespuglio lì vicino, e ben presto, scoprì che fra le foglie si nascondevano non poche Baccarance, per fortuna tutte mature. A giudicare dalla posizione, dovevano essere cadute dal loro albero, ma non importava. Scuotendo la testa, Tepig si impose di non pensare a nulla, e forzando un piccolo sorriso, iniziò a mangiare. Ad ogni modo, e per sua sfortuna, c'era da dirlo, ogni boccone fu più amaro del previsto. Di solito quelle bacche erano dolcissime, ma ora erano diverse, come mature e marce al tempo stesso. Respirando a fondo, mandò giù un ultimo morso, poi si allontanò, con lo stomaco pieno, sì, ma di dolore e non di cibo. In genere era bello andare a caccia di cibo, e goloso per natura adorava ingozzarsi, ma la sua buona stella sembrava aver smesso di sorridergli, così, lasciando che quell'ultimo assaggio gli scivolasse in gola, abbandonò definitivamente il resto di quel prezioso bottino. Senza nasconderlo, ovvio, così che qualche altro Pokèmon, magari perfino più piccolo di lui, avrebbe potuto cibarsene. Lento e triste come non mai, si voltò senza dire nulla, spostando con le zampe corte e tozze un sassolino. Dannata stanchezza, perchè doveva sempre sorprenderlo nei momenti meno opportuni? Era stata colpa sua se il suo gruppo l'aveva abbandonato, o almeno così pensava. Non era un bel ragionamento, anzi, gli faceva davvero male al cuore, ma nonostante gli costasse ammetterlo, era la verità. Forse se non avesse chiuso gli occhi mamma, papà e tutti i suoi amici non lo avrebbero lasciato indietro, e ora sarebbe con loro a rotolarsi nel fango, giocare a nascondino o ad acchiapparella, e cosa ancor migliore, magari arrostire insieme bacche e altri frutti davanti a un falò di fortuna. Perso in quei ricordi, Tepig quasi non si mosse, e con il muso di nuovo bagnato di lacrime, si arrese. Non poteva restare da solo, non per sempre, non voleva. Sospirando stancamente, vide del fumo uscirgli a fatica dalle narici, poi riprese il suo cammino. Bastarono pochi passi, e fu allora che le vide. Impronte. Un attimo, impronte? Ma allora non era davvero da solo! C'era davvero una speranza! Che qualcuno fosse tornato a cercarlo? Non lo sapeva, ma con il piccolo cuore a martellargli nel petto, battendo come impazzito, decise di scoprirlo. Sorpreso, il piccoletto finì per sussultare, e fiducioso, si precipitò ad annusarle. Finalmente felice, emise qualche verso, poi un breve grugnito, e fra un passo e l'altro, sbattè contro qualcosa. Confuso, si sedette fra l'erba, e alzando lo sguardo, scoprì la verità. Non aveva davanti un altro Pokèmon, come peraltro si aspettava, ma una ragazza. Gli sembrava incredibile. Che ci faceva un'umana lì? In tutto il loro tempo nella foresta, nè lui nè i suoi simili ne avevano mai visti, se non in lontananza quando, spinti dal capo organizzavano piccole scorribande nei loro villaggi per rubacchiare dai loro cesti di delizie e poi scappar via a zampe levate, e ora non sapeva cosa fare. Era stanco, e spaventato, così tanto che la giovane, tranquilla e sorridente, gli sembrò una specie di strana allucinazione. Chi lo sapeva, forse era solo di passaggio, ma confuso e incerto sul da farsi, indietreggiò fino a nascondersi dietro un masso. "Non farmi del male, ti prego." Sembrò dire, spezzando il silenzio con un altro breve grugnito. Silenziosa, la ragazza gli si avvicinò con cautela. Aperta la borsa che aveva, vi frugò dentro per qualche istante, poi ne estrasse qualcosa. Curioso, il piccolo Tepig si arrischiò a sbirciare, e solo allora, la vide sorridere. Da sempre abituato a vivere nella foresta, doveva ammettere di non sapere molto degli umani, ma di solito sorridevano solo se erano felici e non minacciosi, così, finalmente, si decise. Cauto, mosse qualche passo verso di lei, e sfiorandole una gamba con il muso, attese. "Ciao, piccolino." La sentì dire, ancora tremante di paura. Estranea o meno, quella ragazza aveva una voce bellissima, chiara come il sole e limpida come l'acqua in cui giocava quando il fango lo sporcava troppo. "Che c'è, sei rimasto tutto solo?" gli chiese poi, senza smettere di sorridergli. Nel farlo, si abbassò al suo livello, quasi fino a inginocchiarsi, e protendendo una mano in avanti, gli fece un regalo. Piccolo, sì, ma non certo cattivo, un dolce che aveva fatto con le sue mani, che a giudicare dall'espressione dipinta sul suo muso, il maialino sembrò apprezzare. Masticando con gusto, Tepig grugnì ancora, e quasi sorridendo, si accoccolò fra le braccia della ragazza chiudendo gli occhi e respirando piano, calmo e rilassato, lo sentiva, come prima di allora. Per lui la giovane non aveva ancora un nome, anzi, non la conosceva affatto, ma ormai ne era sicuro. Non sarebbe stato più solo, sarebbero stati bene insieme, e soprattutto, camminando l'uno al fianco dell'altra in quella nuova avventura, iniziata per caso ma destinata a protrarsi nel tempo, amici per sempre.
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The one with the last night in Sanremo
"Stringimi forte che nessuna notte è infinita."
Renato Zero - I migliori anni della nostra vita
L'emozione di quella notte, Fabrizio non l'avrebbe mai dimenticata.
Non era solo il fatto di essere arrivati fino in fondo nonostante le polemiche, o la gioia nel sentire Claudio Baglioni pronunciare i loro nomi.
Non era nemmeno la sensazione dei coriandoli che gli cadevano addosso o il peso del leoncino che aveva tenuto in mano.
La vera emozione era stata guardare gli occhi di Ermal un attimo prima di abbracciarlo.
Non avevano scritto quel pezzo per andare al festival, ma dal momento in cui erano arrivati a Sanremo Fabrizio aveva sentito un forte senso di responsabilità verso il collega.
Voleva che quell'esperienza andasse bene e non perché fosse colto da un desiderio narcisistico di primeggiare sugli altri. Ma perché voleva che per Ermal fosse un'esperienza indimenticabile. Voleva che Ermal fosse felice.
E quando aveva guardato gli occhi di Ermal dopo essere stati proclamati vincitori, la felicità l'aveva vista.
Aspirò un’ultima boccata di fumo, prima di spegnere il mozzicone contro il bordo del cestino e gettarlo.
Il Dopofestival era appena finito e sia lui che Ermal erano esausti, ma Fabrizio non aveva potuto evitare di chiedere al collega se gli andasse di fumare insieme un'ultima sigaretta prima di salire in camera. Non sapeva per quale motivo, ma proprio non riusciva a salutarlo quella sera.
"Riesci a realizzare quello che è successo?" chiese Ermal mentre entravano in albergo.
Fabrizio scosse la testa. "Per niente. Credo ci vorrà un po' prima di riuscire a realizzarlo. Tu?"
"Se penso che abbiamo vinto il festival di Sanremo mi viene da ridere. Non credevo potesse succedere. Nonostante io abbia partecipato più di una volta, non ho mai immaginato davvero di vincere."
"Però sei felice?" chiese Fabrizio mentre premeva il pulsante di chiamata dell'ascensore.
Quella era l'unica domanda di cui davvero gli interessava la risposta.
Ermal sorrise voltandosi verso di lui. "Sì. Sono davvero molto felice."
O almeno, Ermal credeva di esserlo.
Ciò che sentiva era una sensazione del tutto nuova. Si sentiva contento, appagato, soprattutto era soddisfatto di aver condiviso quel momento con Fabrizio.
Di tutte le persone che conosceva, Fabrizio era l'unico con cui avrebbe voluto condividere un momento così importante.
Quindi sì, probabilmente era felicità quella. Un'emozione a cui non era abituato, ma che lo stava scaldando più di ogni altra cosa avesse mai provato in vita sua.
Quando arrivarono davanti alle loro stanze, nessuno dei due sembrava voler salutare l'altro.
Continuavano a rigirarsi le tessere magnetiche tra le mani, ma non accennavano a muoversi.
Alla fine fu Fabrizio a sporgersi verso Ermal e ad abbracciarlo mormorando: "Buonanotte."
Ermal gli strinse i fianchi, cercando di prolungare il contatto, e Fabrizio si lasciò abbracciare per qualche secondo di troppo rispetto a quanto sarebbe durato un normale abbraccio tra amici.
La verità era che tra le braccia di Ermal, Fabrizio stava fin troppo bene. E se Ermal lo stringeva in quel modo, non aveva alcuna intenzione di allontanarsi.
"Grazie" sussurrò Ermal un attimo prima di allontanarsi.
Fabrizio non capì precisamente a cosa fosse riferito quel ringraziamento. Se fosse per l'abbraccio, per l'esperienza al festival, per essere stato con lui la notte in cui era scoppiata la polemica.
Non lo capì e non fece domande.
Si limitò a sorridere e a soffermarsi a guardarlo per un attimo, continuando a vedere nei suoi occhi quella felicità che ormai li colorava da ore.
Fece un passo indietro, avviandosi verso la sua camera, quando la voce di Ermal lo fermò.
"Ti va di bere qualcosa?"
In realtà avrebbe voluto dormire. Anzi, era certo che si sarebbe addormentato da un momento all'altro. Ma Ermal era lì, che gli chiedeva di passare ancora un po' di tempo insieme, e Fabrizio non poteva dire di no.
Non avevano bevuto nulla, alla fine.
Erano semplicemente entrati in camera di Ermal e avevano iniziato a parlare di come si sentivano, di cosa significava per loro quella vittoria.
Fabrizio aveva ripetuto decine di volte che non riusciva a credere che avessero vinto, che sembrava tutto un sogno.
E poi, senza alcun motivo, a un certo punto Ermal si era rifugiato tra le braccia di Fabrizio.
Lo aveva abbracciato con quell'istinto di protezione che entrambi avevano nei confronti dell'altro, con quella voglia di chiudere tutte le cose negative al di fuori del loro abbraccio.
Si erano addormentati così. Abbracciati, senza nemmeno levarsi le giacche che avevano indossato per l'esibizione.
Fabrizio era stato il primo a crollare. Ermal lo aveva seguito un attimo dopo.
Entrambi sapevano che il giorno seguente sarebbero ritornati alle proprie vite. Ci sarebbero state interviste insieme, ospitate in televisione o in radio, l'Eurovision... ma l'avventura di Sanremo sarebbe finita lì, anche se entrambi avrebbero voluto che quella notte durasse per sempre.
Ma visto che non era possibile, almeno potevano cercare di trascorrerla nel modo migliore. Insieme, come ogni passo di quel viaggio.
La mattina seguente, al loro risveglio, l'imbarazzo calò su di loro pesante come un macigno.
C'era da aspettarselo. Non era normale per loro addormentarsi nello stesso letto, per di più abbracciati.
Avevano legato molto, soprattutto in quell'ultima settimana, e Fabrizio aveva già trascorso la notte in camera di Ermal - la sera in cui erano stati accusati di plagio - ma non era successo niente di simile.
Quindi, quella domenica mattina quando si svegliarono ancora accoccolati l'uno tra le braccia dell'altro, fu più che naturale sentirsi imbarazzati e fuori posto.
Eppure, nonostante tutto, nessuno dei due sentì la necessità di giustificarsi o di trovare una spiegazione a ciò che era successo.
Probabilmente entrambi si erano solo resi conto che quella notte non sarebbe stata infinita e tanto valeva renderla una notte che valesse la pena di essere ricordata.
Per tutta la mattina non si erano detti molto, se non qualche parola di circostanza.
Solo quando ormai erano usciti dall'albergo e stavano per separarsi, Ermal disse: "Mi raccomando, non sparire."
Fabrizio lo attirò a sé, avvolgendolo in un abbraccio - l'ennesimo - e rispose: "Paura che senza di me non avrai più nessuno che ti rompe le palle?"
"Un po'. E paura che senza di te non avrò più nessuno che mi stringe così" confessò Ermal a bassa voce.
Fabrizio lo strinse ancora più forte, sapendo che avrebbe dovuto farsi bastare quel contatto per un po'. Poi sciolse l'abbraccio e si avviò verso la macchina, voltandosi indietro appena prima di salirci giusto per salutare un'ultima volta Ermal.
Entrambi pensavano la stessa cosa: nonostante si fossero appena separati, sentivano già la mancanza l'uno dell'altro.
Tutto ciò che potevano fare era conservare i ricordi di quegli abbracci fino a quando avrebbero avuto la possibilità di vedersi di nuovo.
E allora ci sarebbero stati nuovi abbracci e, chissà, magari qualcosa di più.
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CRONACHE DI YUUEI - GROUND ZERO Capitolo 5 - Guai all’orizzonte
PAIRING: BAKUGO X KIRISHIMA RATING: +18 GENERE: Fantasy AU
P.O.V. BAKUGO
Quando, nel primo pomeriggio, Uraraka rientrò dalle sue commissioni, andò subito a salutare il Re, che a quell'ora riceveva i sudditi nella sala del trono.
Appena varcò la soglia del familiare salone, l'immagine che la accolse la fece congelare sul posto per qualche istante.
Il Re era seduto sul trono, con la corona perfettamente posata sulla chioma bionda, e un'espressione più serena e pacifica del solito, per lo meno in questa particolare attività. Non che Bakugo non amasse i suoi sudditi, ma dover parlare con così tanti esseri umani in una volta sola lo metteva piuttosto a disagio.
Alla sua destra, leggermente più indietro rispetto al trono, era stata sistemata una delle morbide poltroncine della biblioteca, e sopra di essa era rannicchiato Kirishima, come una specie di gatto dai capelli a punta, con il naso immerso in un vecchio libro rilegato in pelle.
La mora, particolarmente incuriosita, decise di non annunciarsi e rimanere nell'angolo a osservare. La seduta si svolse come tutte le altre, se non per il tono un poco più morbido del solito con cui Bakugo rispose alle richieste dei sudditi e le sottili occhiate che di tanto in tanto Kirishima gli scoccava, come ad assicurarsi che il biondo fosse ancora lì e che stesse bene.
I due, almeno per il momento, non avevano ancora avuto nessun tipo di...rapporto intimo, Uraraka aveva delle spie tra il personale di palazzo che erano incaricate di riferirle ogni notizia in merito, ma di certo c'era qualcosa tra loro.
Quando aveva fatto portare Kiri a palazzo aveva sperato che Bakugo avrebbe colto l'occasione di avere uno schiavo pronto a soddisfare ogni suo desiderio, ma appena aveva posato gli occhi sul ragazzo aveva capito subito che non sarebbe accaduto nulla del genere, più che un esperto di sesso e seduzione Eijiro sembrava un cucciolo di cane bastonato, il che probabilmente non era troppo lontano dalla verità, e Katsuki non si sarebbe mai, MAI, approfittato di una persona così debole e fragile. Però, a quanto pare, una parte del suo desiderio era stata esaudita: la sua fronte era insolitamente distesa e priva del solito cipiglio e tutto in lui sembrava più rilassato. Non sapeva che strano accordo ci fosse tra i due, ma finché le cose andavano così a lei stava bene.
"Hai intenzione di fare qualcosa o sei qui solo per fare il manichino, Comandante Uraraka?" esclamò all'improvviso il Re.
Solo allora lei si rese conto di essere rimasta la sola al cospetto del sovrano.
"Scusa Maestà, stavo pensando" rispose, avvicinandosi al trono.
"Allora, questo informatore?"
Uraraka guardò dal Re a Kirishima con un sopracciglio inarcato.
Bakugo seguì il suo sguardo e sbuffò esasperato.
"Capelli di merda?"
"Io non so niente, io non dico niente" esclamò l'altro, continuando a leggere.
Bakugo fece un sorriso soddisfatto, poi fece cenno ad Uraraka di procedere.
"Davvero? E' qui da meno di un giorno e lo tratti come se fosse il tuo nuovo cucciolo?" chiese la mora, nella lingua del loro popolo.
"Non è il mio cucciolo. E'...complicato. Non posso dirti tutti i dettagli, ma possiamo fidarci di lui, è completamente leale a noi" rispose lui con convinzione.
"A te. E' completamente leale a te, è questo che non mi spiego. Capisco che l'hai accolto nel tuo castello, ma ti guarda come se fosse pronto ad affrontare un drago per te" osservò.
Bakugo sorrise all'inconsapevole scelta di parole della sua amica.
"Prima o poi ti spiegherò. Mi ha chiesto di custodire il suo segreto e finché non deciderà di dirtelo io ho le labbra cucite. Ora, fidati di me e fatti i cazzi tuoi. E se scopro che hai fatto indagini su di lui o che l'hai fatto spiare, giuro che ti ammazzo" ringhiò.
"Va bene, va bene! Ho capito, non scaldarti tanto" ridacchiò divertita "dunque, l'informatore. Brutte notizie dalla capitale, quel porco di Re Todoroki sembra aver deciso di piazzare il suo brutto culo sul trono imperiale, dato che il fantomatico erede di Yagi non si trova. Per farlo come sai gli serve l'appoggio della metà più uno dei regni. Re Yaoyourozu e Re Hawks gli hanno già garantito il suo appoggio, la Regina IIda sta prendendo una decisione in queste ore"
"Quindi è già a tre regni su sei. Gliene manca soltanto uno" commentò Bakugo, con cipiglio.
"Già. Ne restano altri tre. La Regina Shoji, Re Aizawa e ovviamente tu"
"Re Aizawa? Lo conosco, è il Re dei draghi" esclamò Kirishima.
Bakugo gli lanciò un'occhiataccia.
"Voglio dire...non è che lo conosco...ne ho sentito parlare" specificò con voce tremante.
"Il vecchio bastardo non ha le palle per trattare con i draghi, ne tanto meno con i demoni, quindi verrà a rompere le palle qui" sbuffò Katsuki, massaggiandosi gli occhi.
"E' una cosa brutta?" chiese Eijiro.
"Sì. Re Todoroki è un figlio di puttana della peggior specie. E' da prima che Yagi crepasse che puntava al suo trono, mi stupisco che abbia aspettato così tanto per farsi avanti. Io non sono d'accordo che sieda sul trono dell'Impero e lui non accetterà un no come risposta" spiegò Bakugo, avvertendo già la fitta di emicrania che si preparava a trapanargli il cervello per le prossime ore.
"Quindi pretenderà l'appoggio con la forza" concluse Eijiro.
"Allora non sei stupido" commentò Katsuki con un sorrisetto.
"Dobbiamo essere cauti. Non possiamo rischiare una guerra" osservò Uraraka.
Bakugo annuì. Le sue sopracciglia erano contratte e il suo sguardo ansioso. La stessa espressione si specchiava sul viso di Kirishima, mentre guardava il suo sovrano con preoccupazione.
"Hai ancora quel contatto nel regno dei demoni?" esclamò il Re all'improvviso, guardando la ragazza.
"Sì...vuoi tentare un'alleanza?" chiese, allargando gli occhi "Todoroki la vedrà come una dichiarazione di guerra"
"Che la veda come gli pare, i demoni sono potenti, con loro al nostro fianco avremmo una possibilità in caso di scontro"
"Se riuscissimo anche a stringere un accordo con Re Aizawa saremmo inarrestabili" osservò Uraraka "ma i draghi non si fidano facilmente delle altre razze"
"Forse ho io la soluzione per questo" mormorò Bakugo "tu indaga presso il tuo amico demone, io penserò al resto"
"D'accordo. Se non c'è altro mi ritiro. Ci vediamo a cena?"
Bakugo annuì e posò stancamente la testa sul braccio.
Appena la mora se ne fu andata, Kirishima posò il suo libro e si avvicinò al sovrano.
Sembrava molto stressato. Questo Re Todoroki non doveva essere nuovo a creare problemi.
Eijiro desiderava ardentemente aiutare il suo Re in qualche modo.
"Bakugo?" mormorò.
"Mmh?"
"Deve venire ancora gente?" chiese, indicando la porta.
Bakugo scosse la testa.
"Ti va di allenarci?" propose.
Il Re rimase immobile per un secondo, poi alzò la testa e annuì, l'accenno di un sorriso gli sollevò l'angolo delle labbra.
Sapeva cosa stava cercando di fare il drago e la cosa non gli dispiacque. Era dalla morte di suo padre che qualcuno non si prendeva così cura di lui. Sua madre lo amava, certo, ma era la Regina, e fin dalla sua nascita si era posta il compito di educarlo ad essere il suo erede, forte, coraggioso e indipendente, quindi per Masaru, di carattere più morbido, era stato naturale assumersi il compito di genitore affettuoso, riempiendo Katsuki di attenzioni e tenerezze, almeno fino a quando il ragazzino si era dichiarato "troppo grande per queste sciocchezze da deboli". Non aveva capito quanto quelle "sciocchezze da deboli" fossero importanti finché non aveva perso il suo vecchio.
C'era qualcosa di agrodolce nel modo in cui Kirishima si curava del suo benessere. Anche se si conoscevano da si e no ventiquattro ore, Bakugo sentiva qualcosa nel petto, un legame. Nella vita il suo istinto era sempre stato un potente alleato, quindi non vedeva perché smettere di ascoltarlo ora.
"Vieni, Capelli di merda. Hai un mare di cose da imparare e non ci restano molte ore di luce" brontolò.
Si incamminò a passo svelto verso il giardino, ben sapendo che il drago stava allegramente trotterellando dietro di lui, felice di aver adempiuto al suo compito di distrarre il Re.
Bakugo lo condusse nello stesso spiazzo in cui aveva combattuto la sera prima, si slacciò il mantello e lo drappeggiò su un muretto lì accanto.
Lanciò un'occhiata a Kirishima da sopra la spalla, per dirgli di togliersi la giacchetta. Il ragazzo era ancora fermo dove l'aveva lasciato, con gli occhi spalancati che scivolavano sulla sua schiena nuda, con le pupille dilatate e la bocca semi aperta. La fame che bruciava nei suoi caldi occhi rossi gli fece ribollire il sangue nelle vene.
"Vedi qualcosa di interessante, Eijiro?" chiese, camminando lentamente verso il suo nuovo amico.
Il povero Kirishima indietreggiò deglutendo rumorosamente.
Chiunque avesse assistito a quella scena, avrebbe potuto dire con certezza chi era il predatore tra i due, e sicuramente non si trattava del drago.
#my hero academia#fanfiction#italiano#kiribaku#bakushima#fantasy AU#dragon!kirishima#barbarian!bakugo
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L’alba di una nuova vita
Questa storia partecipa al COWT di Lande di Fandom Settimana: sesta Missione: M2 Prompt: Meltem N° parole: 1667
Volgeva all’alba, e una luce aranciata sempre più forte faceva capolino da dietro gli alti edifici che circondavano il porto. Le persone, come tante piccole formiche, iniziavano ad uscire dalle loro abitazioni per andare incontro alle navi dei pescatori che facevano ritorno con le reti cariche di pesce freschissimo, pronto per essere impilato nelle cassette di legno e venduto al mercato del mattino. Gloria respirava con forza l’odore aspro della salsedine, mentre dalla sua piccola camera dell’ostello di fronte alla piazza che separava la città dall’oceano osservava la giornata iniziare con un largo sorriso. Era una ragazza snella e non troppo alta, di circa tredici anni, con i capelli castani e gli occhi neri dalla forma leggermente rotonda, le cui forme erano ancora troppo acerbe per renderla anche solo minimamente associabile al genere femminile se la si guardava con i vestiti che aveva addosso, una larga casacca logora e un paio di pantaloni infilati negli stivali di pelle marrone, il classico abbigliamento da mozzo.
Ed era esattamente questo quello che desiderava.
Era fuggita di casa ormai da due settimane, da una famiglia che non poteva offrirle niente di meglio di un padre violento e un matrimonio combinato con qualche cugino quando sarebbe stata poco più grande. Sua madre l’amava, certo, ma non aveva mai potuto fare niente di più che questo. Quando chiudeva gli occhi la sera, vedeva le mura della sua camera con l’orribile tappezzeria beige intorno a lei, sentiva il tocco delle lenzuola ruvide del suo letto, e poi si ritrovava improvvisamente nel grande salotto arredato con minuzia per cercare di dare l’impressione di nobiltà nonostante ad uno sguardo più attento si potessero notare diverse sbeccature sugli angoli dei mobili e la polvere che si accumulava nelle credenze. La sua era una famiglia in decadenza, ed il fatto di aver avuto due figlie femmine non aveva di certo giovato alla loro posizione, rendendo l’umore del padre ancora più nero del solito, e la sua predilezione per gli alcolici più accentuata. Era un uomo alto, di corporatura imponente, con i capelli screziati di grigio e gli occhi neri come quelli di Gloria, ma spesso venati di rosso per il bere o per la collera. La madre, invece, era sottile e minuta come un filo d’erba, la pelle diafana adornata di piccole lentiggini sul viso che si ostinava a coprire con strati e strati di cipria, dato che non erano considerate un pregio dalle signore dell’alta società, gli occhi verdi sempre velati di tristezza che però si addolcivano nel guardare lei e la sorellina, Alissa. Quando Gloria se n’era andata aveva dovuto lasciarla lì, perché era troppo piccola per correre abbastanza veloce da tenere il suo passo, e avrebbe rischiato che venissero scoperte e riportate a casa. Sperava solo che stesse bene, ma non poteva negare il senso di colpa che le avvolgeva lo stomaco quando ci ripensava.
I primi giorni erano stati i più difficili, aveva corso come non aveva mai fatto, senza sosta, quasi senza mangiare né bere se non per quelle poche cose che era riuscita a prendere di sfuggita dalla cucina. Poi, arrivata in una città più grande, aveva venduto al banco dei pegni due dei gioielli di sua madre che le erano valsi monete a sufficienza per affittare una piccola stanzetta sudicia nell’ultimo degli ostelli, lì nel quartiere portuale, e dei vestiti di seconda mano da ragazzo. Era andata avanti rubacchiando per il cibo, e mentre i giorni passavano la sua figura era diventata ancora più smunta. Una mattina però, aveva sentito serpeggiare tra i commercianti di pesce la voce che una grande nave stava per attraccare nel porto per rifornirsi di provviste prima di partire alla volta di continenti lontani, per cercare nuove vie di commercio. E, oltre le provviste, a quanto pareva erano alla ricerca di mozzi da mettere al lavoro. Era la sua occasione per andarsene, per partire all’avventura in luoghi sconosciuti e finalmente avere una vita propria, di cui era la sola responsabile. Non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione.
L’attracco del veliero fu uno spettacolo unico: era una nave gigantesca, provvista di cinque alberi che svettavano ad un’altezza da capogiro, e ognuno di essi era provvisto di cinque vele rettangolari bianche e senza nessun simbolo ricamato sopra, tranne l’ultimo che ne aveva solo quattro essendo il più basso. Davanti, lungo il pennone, erano spiegate altre quattro vele triangolari, la cui funzione era totalmente sconosciuta alla ragazza, come più o meno qualunque altra cosa che riguardasse le imbarcazioni. Lo scafo era incredibilmente lungo, dipinto di bianco e costellato di piccole bocche quadrate dipinte d’azzurro dietro le quali, silenziosi ma letali, riposavano i cannoni. Era una nave mercantile, è vero, ma doveva sapersi difendere dai pericoli della navigazione. I pirati scorrazzavano ovunque per mare. Farsi accettare a bordo non era stato troppo difficile, o almeno non tanto quanto aveva immaginato all’inizio. Non era richiesta una qualche conoscenza del mare o delle imbarcazioni, solo voglia di lavorare e uno spirito forte per sopportare i lunghi periodi sull’acqua. Gloria aveva pensato che facendosi passare per un ragazzino avrebbe riscosso maggior successo, quindi la mattina del reclutamento aveva preso uno dei coltelli da cucina che usavano per preparare il cibo nella locanda in cui alloggiava e, con mano tremante, si era tagliata tutti i capelli cercando di accorciarli il più possibile senza ferirsi. Il risultato era stata una zazzera scomposta che le arrivava sopra le orecchie, ma che non aveva fatto sorgere nessun dubbio sul suo genere. In generale, sotto il nuovo nome di Gavin, sembrava aver fatto una buona impressione nonostante la magrezza ed il fatto che, secondo il reclutatore che aveva di fronte, avesse la pelle un po’ troppo chiara e che probabilmente i primi tempi avrebbe sofferto parecchio il sole.
La mattina della partenza si era svegliata all’alba, e mentre addentava un tozzo di pane indurito che conservava dal giorno prima a mo’ di colazione si era messa a preparare il piccolo sacco contenente le poche cose che aveva intenzione di portare con sé. Tutto ciò che aveva era un cambio di vestiti, una manciata di fogli ed una matita per poter tenere traccia delle sue avventure (aveva tutta l’intenzione di tenere un fitto diario) e una collanina sottile d’argento con un piccolo pendente a forma di luna che la madre le aveva regalato un anno prima. Era tutto ciò che le rimaneva di lei, e Gloria tenne in mano quel piccolo oggetto per qualche secondo prima di avvolgerlo strettamente in un fazzoletto e seppellirlo nel fondo della sacca. Dopo aver dato un ultimo sguardo alla camera sgangherata in cui aveva passato l’ultima settimana, con il letto singolo di legno in un angolo, una cassapanca per conservare i vestiti che non aveva mai usato e la piccola finestrella quadrata che dava direttamente sulla piazza, si mise in spalla la borsa e uscì senza guardarsi indietro. La piazza adesso era molto affollata, le persone vi si erano riversate a frotte per assistere alla partenza della grande imbarcazione, e persino il mercato sembrava attirare meno interesse del solito nelle donne che uscivano per fare compere. Gloria cercava di farsi spazio spintonando a destra e a sinistra chiunque si trovasse di fronte per raggiungere in breve tempo il pontile d’attracco. Quando finalmente lo vide, corse verso il reclutatore con cui aveva parlato giorni prima, che la mandò direttamente ad aiutare a caricare le pesanti casse di legno senza troppe cerimonie.
«Gli alloggi dei mozzi sono sul ponte più basso, fila laggiù e lascia quella sacchetta che ti porti appresso, poi torna qui e inizia a lavorare seguendo gli altri, non abbiamo tempo da perdere per farti da balia ragazzino!»
Mentre saliva sulla nave, una fresca brezza oceanica le scompigliava le corte ciocche castane, e la ragazza si passò una mano tra i capelli con una smorfia ricordando quanto fossero stati lunghi e morbidi. Ma ormai non aveva troppa importanza. Si infilò sottocoperta e scese due rampe di scale interne, arrivando finalmente agli alloggi dove scelse una delle amache libere legandoci con attenzione la sacca, così da indicare che l’aveva occupata, poi corse nuovamente all’aperto e si mise al lavoro. Passarono forse un paio d’ore prima che tutti i materiali e le provviste venissero finalmente caricati, e Gloria non era mai stata così stanca. Le sembrava che le braccia dovessero staccarsi da un momento all’altro, e le gambe le bruciavano per lo sforzo di tutte quelle scale, ma finalmente i preparativi erano ultimati. Salendo sul ponte esterno, lasciò che il sole le asciugasse il sudore e si appoggiò al parapetto inspirando il forte odore di salsedine che le vorticava attorno portato dal vento. In basso, centinaia di persone si erano accalcate per salutare i parenti in partenza (figli, fratelli o mariti) o anche soltanto per la curiosità di assistere ad un evento così imponente. Improvvisamente il capitano iniziò a sbraitare ordini a destra e a manca, e tutti intorno a lei presero a correre, ad arrampicarsi sui cinque alberi per spiegare le vele, a tirare cime, annodare funi e slegarne altri. Lei decise di unirsi ai numerosi uomini impegnati a ruotare il grosso argano che avrebbe tirato su l’ancora, e i suoi muscoli si lamentarono ancora. Spinse con tutta la forza che aveva, e finalmente il grosso macchinario di legno si bloccò con un tonfo sordo, segnale che era finalmente arrivato alla fine della corsa. La nave iniziò a muoversi lentamente, mentre il grosso timone veniva ruotato con forza per farla uscire dal porto, e quando finalmente fu nella direzione giusta le grosse vele vennero spiegate quasi all’unisono, iniziando subito a gonfiarsi per il vento e facendo prendere velocità al grosso veliero senza troppo sforzo. Gloria corse fino alla poppa, dietro il timone, e osservò il porto e la città mentre diventavano sempre più piccoli e venivano inghiottiti pian piano dalla foschia e dall’oceano che li separava. Dietro di sé aveva una vita insignificante e sbagliata, mentre di fronte si trovava l’infinità dell’oceano e nuove terre da scoprire. Sorrise. Non era mai stata così pronta.
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Non faccio nemmeno in tempo a stare meglio che mi ripiomba davanti Jek.
E quello che più mi dà fastidio è che non ha mai la decenza di farsi vedere
Non dico andare d'accordo con me ma almeno un Ciao o comunque salutare gli altri.
E invece no, tutti devono sentirsi in imbarazzo perché lui non ha le palle.
Almeno oggi Mich ha compreso il mio punto di vista senza fare il "paraculo"
E anche lui pensa che Jek tornerà non appena tornerà single.
Si può essere più viscidi?
Avrebbe le palle di chiedermi di tornare amici dopo quello che mi ha fatto piuttosto che comportarsi civilmente adesso?
Mi chiedo come abbia potuto dare importanza a una persona così
Cioè ognuno ha i suoi pro e contro però lui poteva scegliere di non farmi male
Ma l'ha fatto almeno 3 volte
E mi ha anche incolpata una volta
Come se io fossi responsabile delle sue scelte...
Quindi direi che il limite l'ha superato
Vorrei che non fosse mai successo.
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Jonathan Wick Aveva cercato di mantenere un'espressione neutrale, per lunghissimi istanti, dopo di che aveva scosso la testa lentamente. «Quello dovrei essere io immagino. Comunque no, sei troppo paranoica.» Ovviamente sapevano entrambi che il biglietto era stato creato proprio da lui, però era più divertente negare l'evidenza. «Posso tenerlo?» Aveva teso la mano per farsi dare il reperto, nel mentre si era sollevato leggermente verso destra, per recuperare il portafoglio nella tasca posteriore dei pantaloni. «Lo mostrerò a Didier, era vagamente dolorante quando l'ho lasciato oggi.» John La musica soffusa del bar del Continental aveva un vero e proprio tocco di nobiltà francese. Era così bassa che John dovette sforzarsi per capire che tipo di genere fosse. Si era seduto in un angolo, su un mobido divanetto e aveva deciso di digerire con calma la cena squisita francese con dell'ottimo whisky. Era seduto in modo fin troppo composto e tra un'occhiata agli altri colleghi in vena di qualche drink e al cellulare, trovava il tempo di guardare di sfuggita anche l'ingresso, essendo del tutto certo che Margot sarebbe venuta a cercarlo. Doveva ammettere che almeno per un paio di minuti in un'intera giornata si era sentito un po' messo alle strette, ma solo per il fatto che Margot sembrava avere una fitta rete di contatti, in grado di trovare letteralmente chiunque, ovunque. «Monsieur Wick dovrei andare a scercare la madamoiselle Margot?» «Non merci, sono quasi certo che si farà viva a momenti.»
Margot Forrester *In realtà Margot era già arrivata. Aveva raggiunto il bar con largo anticipo e aveva preso posto nell'angolo più buio e lontano dall'ingresso, lievemente nascosta dalla colonna del bancone e in quel momento stava fissando John con un'intesità tale che avrebbe potuto bucargli il cranio se ne avesse avuto la facoltà. Aveva il busto lievemente voltato nella sua direzione, le gambe accavallate e il gomito posato sul bancone con una sigaretta fumante alla mano. Aveva fatto fuori metà pacchetto nel giro di una serata. Per quell'occasione aveva scelto di indossare l'abito blu che aveva scartato la sera precedente e aveva perso tempo ad arricciarsi le punte dei capelli in boccoli vaporosi che ricordavano la moda anni Quaranta. Lavorare sulla propria vanità era servito a medicare un po' l'orgoglio ferito. Le sue labbra erano dipinte di un color rosso cupo, come il sangue che avrebbe volentieri fatto scorrere in quel momento. Finì ciò che rimaneva del suo drink in un unico sorso e ordinò un Margarita per sé e un bourbon liscio per l'uomo che si era guadagnato la pole position sulla sua lista nera. Prese i bicchieri e si avviò verso John, si fermò di fronte a lui e rimase a guardarlo in silenzio fino a quando l'uomo non si tu accorto della sua presenza. Gli assestò un lieve colpo d'anca per farlo spostare leggermente e sedersi accanto a lui, sul divanetto*
Jonathan Wick
«Finalmente.» Aveva mormorato mentre le faceva spazio. Si era soffermato un po' nell'osservarla, aveva sicuramente notato che fosse una donna che teneva al suo aspetto, ma quella sera forse aveva dato il meglio di sé. «Bella mossa quella del bar. Peccato per la sfortuna che sembra tormentarti. Il povero Didier dovrà lavorare molto sulla pulizia stasera.» Aveva preso il bicchiere pieno di Bourbon e lo aveva sollevato in direzione di Margot. «Oggi non hai commesso errori, quindi non posso che farti i complimenti.»
Margot Forrester La donna lo osservò meditabonda e la linea dura che le aveva solcato la fronte fino a quel momento si ammorbidì un poco. Si guardò la punta delle scarpe, lievemente in imbarazzo. Il suo spirito di cavaliere legato alla Guerra veniva filtrato da quelle stupide emozioni umane che non avevano un freno. La sua anima ribollente veniva costantemente stuzzicata e perdeva le staffe facilmente. Sul lavoro le era più facile concentrarsi ed incanalarla, ma nella vita di tutti i giorni era fin troppo facile abbassare la guardia e perdere il controllo. « Forse ho un po' esagerato » disse dopo un po' « Scusa » gli rivolse lo sguardo più mellifluo e manipolatore che le riuscì di trovare « Detesto perdere. » Ancora un sorso di Margarita, prima di proseguire: « Poco male. Ho ancora cinque giorni, è un sacco di tempo. Hai intenzione di farmi girare tutta l'Europa? »
Jonathan Wick Dentro di sé già un po' si sentiva in colpa, se solo Margot avesse saputo che quel test era più che altro goliardia...Lo avrebbe fatto fuori sul serio. «Avevo intenzione di passare a salutare qualche amico a Londra. Se mi prometti che fai la brava, possiamo viaggiare insieme domani.» Stava, senza pensarci, lisciando la fede con le dita, quell'anello spesso e pesante che non aveva mai tolto. «Però forse non dovrei fidarmi. Questa tua competizione sfrenata non sembra troppo razionale.» Aveva ripreso il bicchiere con la mano sinistra e aveva bevuto l'ultimo sorso, svuotando il bicchiere completamente. «Scegli. Momentanea tregua. Avrai un bonus finale sulle ore di viaggio che perdiamo. Fatta?»
Margot Forrester Socchiuse gli occhi con diffidenza: « Una tregua? Che vorresti fare a Londra? E poi perché sei così gentile con me? Hai qualcosa da farti perdonare? » Improvvisamente le tornò in mente un dettaglio che quasi si era dimenticata, distratta com'era dal suo orgoglio e dalla frustrazione. « A tal proposito.... » Afferrò la borsetta e frugò al suo interno per un po', cercando qualcosa in particolare. « Quello con il talent scout non è stato l'unico incontro ravvicinato che ho avuto oggi » Finalmente riuscì a recuperare un pezzo di carta tutto spiegazzato: era il post it con la faccina sorridente che le aveva appuntato sulla fronte quel pomeriggio. Lei aveva aggiunto la barba e aveva mutato l'espressione ilare dell'omino stilizzato nel broncio tipico di John; in ultimo aveva poi aggiunto la scritta: "L'ultima volta che ho sorriso, i dinosauri erano ancora in vita". Glielo mostrò con un'espressione altamente sarcastica sulla faccia. « L'hai mai visto prima? »
Jonathan Wick Aveva cercato di mantenere un'espressione neutrale, per lunghissimi istanti, dopo di che aveva scosso la testa lentamente. «Quello dovrei essere io immagino. Comunque no, sei troppo paranoica.» Ovviamente sapevano entrambi che il biglietto era stato creato proprio da lui, però era più divertente negare l'evidenza. «Posso tenerlo?» Aveva teso la mano per farsi dare il reperto, nel mentre si era sollevato leggermente verso destra, per recuperare il portafoglio nella tasca posteriore dei pantaloni. «Lo mostrerò a Didier, era vagamente dolorante quando l'ho lasciato oggi.»
Margot Forrester « Come sarebbe a dire "immagino"? È il tuo ritratto sputato » Disse accostando il foglietto al suo viso, fingendo di confrontarli con occhio artistico. « Certo che puoi tenerlo. Considerando il fatto che mi hai quasi frantumato il cranio per appiccicarmelo in faccia - molto elegante, a proposito - come minimo lo devi appendere da qualche parte in casa tua e spacciarlo ai tuoi ospiti come un Pollock perduto. » Glielo passò senza fare complimenti. « Sì beh, quella cartuccia era per te. Forse dovresti presentarmelo e indicarmi la cosa più costosa presente nel menù del suo bar. Almeno posso farmi perdonare. »
Jonathan Wick «Durante la tregua possiamo passare a fare colazione da Didier. Sempre se accetti.» Nasconde il suo ritratto in una tasca del portafoglio, ma solo dopo averlo guardato ancora per qualche istante con aria scettica, dopo di che le porge la mano, cercando di sembrare il più serio possibile. «Domani la cena la offro io, così proverò a farmi perdonare per la commozione cerebrale che ti ho causato con un semplice schiaffetto.»
Margot Forrester « Devi ammettere che le mie doti di illustratrice sono molto più raffinate delle tue. Una faccina sorridente? Sul serio? Avresti potuto impegnarti di più. » Guardò la mano che le stava allungando soppesando le possibilità. Non avrebbe saputo spiegare il motivo, ma sentiva che qualcosa in tutta quella faccenda non quadrava. Alla fine sospirò e gli strinse la mano saldamente. « Devi farti perdonare quello, il fatto di avermi fatto girare mezzo mondo per due giorni di fila e per non esserti sprecato nemmeno in mezzo complimento dopo tutta la fatica che ho fatto per prepararmi, stasera. Al contrario di Beyoncé, io non mi sveglio così. »
Jonathan Wick «Quando hai accettato di sottoporti al test, hai accettato tutto in blocco. Per esempio ti va di lusso il fatto che tu sia un cecchino, non mi farei alcun problema a difendermi in un corpo a corpo. E allora lì sì che qualcuno potrebbe farsi male.» Aveva poi lasciato la stretta formale e ben calibrata, dopo di che aveva spinto i suoi due bicchieri vuoti verso il centro del tavolo. «Ti inviterei a fare un giro in centro, per sfoggiare il tuo tentativo di imitare Beyoncé, ma temo che tu possa fregarmi in qualche modo. Quindi, con permesso, andrei a godermi un bel film in compagnia di questi due whisky in circolo.» Si era alzato lentamente e le aveva fatto una specie di inchino piuttosto divertito, prima di infilarsi le mani in tasca e raggiungere l'ascensore.
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Dopo più di un mese che non scrivo qui ho poco e niente da dire, ma quello che ho ha un certo peso e ho bisogno di elaborarle prima di metterle giù con sicurezza; Le ultime settimane soprattutto sono state un po’ turbolente.
Di due persone devo parlare in particolare: Marie e Marco. Come sempre, direte voi. Io invece preferirei non farlo.
Marie.
Marie sta male, la mia piccola Marie. Soffre di depressione, ormai è ovvio e palese, ormai è certo che è malata e questa sua malattia ha raggiunto livelli alti.
Ci sono vari sintomi della depressione, per quanto io ne sappia su questo argomento: le persone affette da questa malattia - che è una vera e propria malattia che va curata con farmaci e visite specializzate, che non se ne va semplicemente perché lo vuoi - hanno difficoltà a vivere normalmente, fare le cose come le facevano prima, mangiare, sentirsi importanti, dormire bene e il giusto (dormono troppo o troppo poco), concentrarsi. Sono nervose o fin troppo pigre, e hanno spesso pensieri suicidi.
Bastano solo cinque di questi sintomi perché si possa diagnosticare la depressione clinica.
[Per sapere dove ho letto queste cose cliccate qui, è tutto scritto/detto in inglese ma se traducete è questo, più dei consigli su come aiutare qualcuno affetto da depressione clinica]
Marie, per quel che mi dice distrattamente e per quel che riesco a notare io pur sentendola solo per telefono, ne ha forse più di cinque, ma me ne sono resa conto solo dopo che lei m’ha detto che la madre del suo moroso le ha detto che non è guarita dalla depressione e mi sono convinta a informarmi un minimo.
Qualche giorno fa il suo ragazzo m’aveva scritto allarmato dicendo che non gli rispondeva più e che la stava cercando, io e Amber abbiamo passato mezz’ora d’inferno muovendo mezzo mondo per cercarla.
Alla fine stava dormendo, Camille nel chiamarla l’ha svegliata. Parlando con lei, qualche ora dopo l’incubo (fissavo il vuoto e e quando provavano a parlarmi piangevo, ripensavo a tutte le volte in cui m’aveva detto “Me ne vado” o “M’ammazzo” ed era inquietantemente seria), mi ha detto che era viva solo perché quella notte non erano passati treni sui binari a pochi passi da casa sua.
Mi sono messa a litigare con lei, a dirle che la volevo nella mia vita ancora per tanto tempo, che volevo darle in braccio i miei bimbi, al mio matrimonio girarmi e vederla lì vestita da testimone che mi guarda con gli occhi lucidi, che volevo aiutarla a superare questi anni di inferno, volevo farle guardare ciò che avrà costruito in futuro e dirle: “Visto che hai fatto bene a continuare a combattere?”
“Porterai i tuoi figli al cimitero, parlerai loro di me davanti alla mia tomba. Ti guarderò da lassù.”
“Sono atea, Marie, io di una cazzo di lapide non me ne faccio niente. Per me le persone ci sono da vive, non da morte.”
Domenica ho ancora litigato con lei per questo, aveva riniziato a dire queste cose.
Io ho cercato di farla ragionare e quando non ce l’ho fatta mi sono chiusa in camera e ho pianto. Avevo parenti a casa, ed è arrivato anche mio cugino Jace con mia zia. Quando sono venuti a salutarmi avevo appena smesso di piangere, e entrambi hanno capito che c’era qualcosa che non andava.
“E’ successo qualcosa in casa o fuori?” ha chiesto mia zia.
“Fuori, ma non è niente, tranquilla.”
Jace ha indicato le scale e ha detto: “Madre, scendi che io e mia cugina dobbiamo parlare.”
“No, deve scendere a salutare zio.”
Siamo scesi e alla fine con Jace non ho parlato. Meno male, perché conoscendolo sarebbe partito e andato da Marie senza preoccuparsi due volte di sua madre, della compagnia, di me che lo avrei pregato di non dire a Marie che gli avevo detto una cosa del genere.
In compenso credo avesse capito che stavo in quel modo per Marco. Ieri ho capito il perché, ma è un’altra storia.
Ora comunque, Marie cerca di evitare l’argomento. Credo che quando le vengono le ricadute eviti di parlarmi, o almeno di dirmi tutto quello che le passa per la testa come faceva prima.
Quando le ho detto dell’episodio di domenica con Jace mi ha detto di non piangere per lei, che sono solo ricadute.
“Era solo per il nevoso, non ci sono abituata ma sto cercando di farlo perché ti voglio stare vicino anche quando spari cazzate perché è il minimo che io possa fare.”
“Lo so, Michele (il suo ragazzo) me l’ha detto che stai facendo anche più di quello che sei in grado di fare solo perché mi vuoi bene.”
Quelle parole mi hanno confortato, perché a me sembrava di non riuscire a fare nulla di concreto. Più che dirle che deve farsi aiutare e che non deve pensare di non avere un futuro non so bene come comportarmi. Lo stress e tutte le responsabilità che mi carico da sola mi fanno piangere per il nervoso e comportarmi male con gli altri, ma non voglio smettere di preoccuparmi.
Perché ho paura di non prenderla sul serio un giorno e perderla così, in un battito di ciglia. E anche se sono andata a letto un paio di sere temendo che mentre io ero sdraiata nel mio letto lei stava per fare l’irreparabile, non voglio non pensarci.
Voglio provarci fino all’ultimo, anche sbagliando.
Voglio provarci perché lo merita, voglio provarci perché è la persona più importante della mia vita e voglio stare al suo fianco fino all’ultimo, voglio averla al mio fianco. Le ho promesso che ci sarei stata, e non manco alle promesse.
Non con lei.
Marco.
Marco dopo l’ultima volta che ho scritto su questo diario non l’ho sentito per quattro/cinque settimane. Nel corso di questo tempo ha fatto di tutto per attirare la mia attenzione visualizzandomi alcune storie di instagram, whatsapp e facebook (con vari profili, ho motivo di credere), mettendomi quegli insopportabili like su facebook non solo alle mie foto ma, come è successo una sera, anche ad uno stato dove scrivevo: “Ora che so quel che voglio la domanda che più mi preme è: tu lo sai?”.
Dopo l’ultimo like, non messo su facebook ma su instagram, pensavo di essere immune, di essere sì innervosita dal suo comportamento ma completamente indifferente.
Sapevo in cuor mio che erano piccoli gesti in modo da spingermi a scrivergli, a ricordarmi di lui, e proprio perché lo sapevo mi sono trattenuta dal farlo.
So che sembrano cose stupide, ma lo conosco abbastanza da sapere che lui gioca proprio su questo per non avere colpe. Gli stratagemmi per uscirne pulito li sa tutti, e sa esattamente come rigirarmi per ottenere quello che vuole.
Fatto sta che ieri sera mentre guardavo le notifiche di Instagram mi è capitato il suo nome sotto agli occhi per la decima volta e, cedendo, ho guardato il suo profilo: non lo usa spesso, quindi quando ho visto una nuova foto (dove aveva una barba orribile e in mano un attestato) mi sono messa a ridere.
Non capendo che cosa fosse, senza pensarci gli ho mandato un messaggio per chiedergli informazioni.
“Che hai preso?”
“Ehhh.”
“Eh cosa? Dai che voglio farti i complimenti se è qualcosa di importante.”
“Ehh ma come mai mi scrivi? Il diploma comunque.”
“Ma non l’avevi già preso?”
“Si ma era la consegna.”
“Allora congratulazioni, visto che alla fine non te le ho fatte. Comunque così. Ti ho sognato due notti di fila.” gli ho detto, per rispondere alla domanda, in uno slancio di sincerità sul quale non ho pensato molto. E’ stato tutto questione di pochi minuti, perché ha subito visualizzato e risposto. Probabilmente aveva il cellulare in mano, d’altronde la foto era stata caricata una mezz’ora prima.
“Sono fidanzato” mi ha risposto lui, così dal nulla, senza che c’entrasse molto.
Io ho letto quelle due parole e ho sentito un dolore lancinante, simile a quando avevo visto la foto che aveva caricato su facebook dove posava la mano su quella di un’altra ragazza.
Ho cercato di pensare velocemente a una risposta perché non volevo che pensasse che quell’affermazione mi avesse fatto l’effetto che probabilmente si aspettava.
“Ah, finalmente!” sono riuscita a scrivere, anche se a posteriori penso che avrei potuto chiedergli da quanto o un “Davvero?” un po’ sarcastico.
“Eh, tu non ti sei fatta più sentire..”
“Guarda che non devi giustificarti con me. Non avevamo nessun impegno, quasi me lo aspettavo. Io volevo solo chiederti cosa avessi preso perché ho visto il like e per curiosità sono andata sul tuo profilo, tutto qui.”
“Ah ok ok.”
Non gli ho risposto, stavo già dormendo. Quando mi sono svegliata alle cinque di mattina ho visualizzato il messaggio e innervosita ho archiviato la chat.
Non avevo nient’altro da dirgli, e orgoglio e rispetto mi hanno impedito di continuare quella che non so se davvero fosse una conversazione.
Sono stata un bel po’ a rifletterci sopra, a chiedermi che significasse quel “tu non ti sei più fatta sentire”: l’aveva di nuovo rigirata come se fosse colpa mia, e io ho dovuto ripetermi più volte che la colpa in realtà era sua, che se avesse voluto mi avrebbe cercato, e non solo una volta come aveva fatto.
Sono stata un bel po’ a pensarci perché quelle due parole m’avevano fatto male non perché ora fosse di un’altra, ma perché dopo un anno passato a dirmi che non poteva darmi quello che volevo ora stava dando tutto quello che avrei voluto a un’altra.
Sono stata un bel po’ a chiedermi se davvero fosse colpa mia, ma poi sono arrivata a realizzare che quel che potevo l’ho fatto. E ho ancora qualche domanda da fargli e mi sa che probabilmente nel giro di ventiquattro ore gliele faccio, devo solo trovare il coraggio.
Stamattina ero un po’ assente e apatica perché mi chiedevo se davvero si è fidanzato, con chi, e se era per questo che cercava di attirare la mia attenzione così, se era questo che aveva da dirmi.
Poi pian piano sono riuscita a non pensarci, o almeno non lasciare che tutta questa situazione mi facesse star male; ora devo solo capire, ma nel complesso so di stare bene.
So che se davvero se n’è andato, so che se stavolta m’ha davvero perso, è la mia chance per andare avanti e stare bene.
Finalmente.
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The one with the messages
"Stanco?"
Fabrizio, steso a terra sul pavimento del teatro in cui avevano appena finito di girare la cartolina per l'Eurovision Song Contest, si voltò verso Ermal e sorrise. "No, in realtà. Anzi, mi sono divertito oggi."
Ermal si lasciò scappare un sorriso mentre continuava ad accarezzare lentamente le corde della sua chitarra. "Sì, anch'io."
"Ti ricordi com'eravamo all'inizio?"
"Che vuoi dire?" chiese Ermal.
"Quando ci siamo conosciuti, quando abbiamo iniziato a lavorare insieme... Eravamo impacciati, sembravamo quasi impauriti di stare l'uno accanto all'altro."
"Forse un po' lo eravamo. Io lo ero" ammise Ermal senza vergogna.
Lo era stato davvero all'inizio. Un po' perché non è mai facile collaborare con qualcuno per cui provi ammirazione, un po' perché collaborare con qualcuno vuol dire essere disposti a mettersi a nudo e non è mai facile farlo con qualcuno che non conosci bene.
"Un po' lo ero anch'io. Però poi le cose sono cambiate, ci siamo conosciuti meglio" disse Fabrizio.
Ermal rimase in silenzio, con le dita sulla sua chitarra e le parole di Fabrizio in testa.
Già, si era conosciuti meglio e tutto era cambiato. Si era creato un legame che entrambi avevano definito amicizia, ma che con il tempo era diventato molto di più.
Erano diventati complici, due anime affini che si completano.
"Quando abbiamo iniziato a lavorare insieme, l'anno scorso, l'avresti mai detto che saremmo finiti così?" disse Fabrizio a un certo punto.
"Intendi seduti sul pavimento di un teatro di Porto?"
Fabrizio si mise a ridere. "No. Parlo di tutto il resto. I messaggi, le telefonate in piena notte solo per chiederci come stiamo, i video stupidi sui social..."
"Ehi, i video stupidi non dipendono da me! Sei tu che fai quelle facce assurde!" disse Ermal.
"Va beh, hai capito che voglio dire."
"Sì, ho capito. E no, non avrei mai immaginato che saremmo arrivati a questo punto, ma sono contento che sia successo."
Fabrizio rimase in silenzio per qualche secondo, poi si alzò e si spostò di qualche passo arrivando di fronte a Ermal e tendendogli la mano per aiutarlo ad alzarsi.
Quando furono l'uno di fronte all'altro, le mani ancora strette tra loro che sembravano non volerne sapere di staccarsi, Fabrizio disse: "Non c'è nessun altro con cui vorrei condividere tutto questo."
Ermal sorrise. "Vale lo stesso per me, Bizio."
Le Instagram Stories fatte insieme quel giorno, scorrevano sotto lo sguardo attento di Ermal.
Ormai aveva perso il conto di quante volte le aveva guardate, imprimendo nella sua memoria ogni dettaglio e domandandosi come avrebbe fatto ad abituarsi a stare lontano da Fabrizio quando sarebbe giunto il momento di tornare a casa.
Quel momento sarebbe arrivato presto e tra i vari impegni di entrambi, forse non sarebbe stato nemmeno difficile ritornare alla normalità. Il fatto era che Ermal non era sicuro di volerlo fare. Non era sicuro di sentirsi pronto a salutare quella pace e quella serenità che facevano parte di lui solo quando stava accanto a Fabrizio.
Durante quei giorni insieme, di cose ne avevano dette tante e alcune di quelle cose si erano annidate nella mente di Ermal e non volevano proprio saperne di sparire.
Continuava a ripensare alle foto scattate insieme, ai video stupidi, a Fabrizio che diceva di voler vivere a Lisbona e lui che pensava che sì, sarebbe stato bello vivere a Lisbona ma più di tutto sarebbe stato bello vivere con Fabrizio.
Sospirò mentre abbandonava il cellulare accanto a sé sul letto e si copriva la faccia con un cuscino.
Se qualcuno gli avesse chiesto quando era successo, quando aveva iniziato a vedere Fabrizio come qualcosa di così fondamentale per lui, probabilmente non avrebbe saputo rispondere.
Era successo lentamente, senza che se ne accorgesse.
Fabrizio gli era entrato nella mente, nel cuore e nell'anima senza chiedere permesso. Aveva invaso ogni angolo, lasciandosi dietro piccoli pezzi di sé che Ermal aveva raccolto e custodito con cura, fino ad arrivare ad amarli. E così, praticamente senza accorgersene, si era innamorato di lui e quando l'aveva capito ormai era troppo tardi per uscirne.
L'aveva negato a sé stesso, si era ripetuto più volte che stava solo confondendo l'amicizia e l'ammirazione con l'amore. Si era imposto di non vederlo diversamente da un amico, perché a lui non piacevano gli uomini e non gli sarebbero mai piaciuti. E poi semplicemente, un giorno aveva smesso di mentire a sé stesso. Aveva smesso di farsi domande e aveva iniziato ad accettare qualsiasi cosa provasse per Fabrizio.
Aveva affrontato l'esperienza a Lisbona con più leggerezza e, forse proprio grazie a quella leggerezza, era riuscito a legarsi ancora di più a Fabrizio. Avevano iniziato a scherzare di più, a prendersi in giro davanti alle telecamere, a ridere senza preoccuparsi troppo di quello che avrebbe pensato la gente.
Ed Ermal si era innamorato un po' di più ogni giorno.
La suoneria del cellulare che lo avvisava di un nuovo messaggio, lo riportò alla realtà costringendolo a smettere di farsi paranoie almeno per un attimo.
Sorrise quando si accorse che era un messaggio di Fabrizio, con allegato un link.
-Questa ti piace?
Ermal aprì il link, accorgendosi che Fabrizio gli aveva mandato un annuncio di una casa in vendita a Lisbona.
Sorrise mentre digitava velocemente una risposta.
-Allora eri serio quando dicevi di voler vivere a Lisbona!
-Sì, ma solo se vieni con me.
-E che facciamo? Molliamo tutto e ci trasferiamo qua?
-Sarebbe bello.
Ermal sospirò leggendo la risposta.
Già, sarebbe stato bello.
Sarebbe stato bello staccarsi dalla realtà, avere un posto dove scappare quando la vita non andava nella direzione giusta, un posto in cui stare insieme, in cui condividere le giornate. Un posto in cui Ermal si sarebbe innamorato sempre di più di Fabrizio e magari, con il tempo, anche Fabrizio si sarebbe innamorato un po' di lui.
Ermal scosse la testa, cercando di scacciare via i pensieri, mentre Fabrizio gli inviava un altro messaggio.
-Vieni da me? Facciamo due chiacchiere...
Ermal sospirò.
Passare del tempo con Fabrizio era una delle cose che preferiva ma non poteva farlo, non in quel momento, non con le immagini di loro due che condividevano una casa ancora in testa.
-Meglio di no, Bizio.
-Perché?
Ermal rimase a fissare lo schermo, indeciso su cosa dire.
Avrebbe potuto semplicemente rispondere che era tardi, che era stanco e che voleva dormire. Ma la verità gli bruciava il cuore e premeva per uscire con una forza che Ermal faceva fatica a controllare.
Mentre aveva lo sguardo ancora fisso sul telefono, la schermata cambiò mostrando una chiamata in arrivo da parte di Fabrizio.
Prese un respiro profondo prima di rispondere, consapevole che più che di un respiro avrebbe avuto bisogno di autocontrollo.
"Ehi."
"Perché non vuoi parlare con me?"
Ermal sorrise sentendo Fabrizio porgli quella domanda con lo stesso tono di un bambino che chiede ai genitori di giocare con lui.
"Non è che non voglio parlare con te. È solo che è tardi."
"Sicuro che è solo per questo?"
"Sì" rispose Ermal dopo qualche secondo.
"C'è qualcosa che non va" disse Fabrizio.
Non era una domanda ed Ermal si stupì della facilità con cui Fabrizio gli leggeva non solo la mente, ma soprattutto il cuore.
"C'è qualcosa. Ma è troppo complicato da spiegare e avrebbe troppe conseguenze" rispose Ermal, ormai sentendosi messo alle strette e sperando che quella risposta bastasse a concludere il discorso.
"Tu non sei il tipo di persona che si preoccupa delle conseguenze prima di dire ciò che pensa. Non ti fai questi problemi."
"Con te me li faccio."
"Quindi questo qualcosa che non va... È colpa mia?"
Ermal smise per un attimo di respirare rendendosi conto di aver parlato troppo e di non sapere più come uscire da quella situazione.
"Ermal?" lo richiamò Fabrizio.
"Eh?"
"Ho fatto qualcosa?"
La voce di Fabrizio era solo un sussurro, il tono quasi timoroso.
"No, no. Non hai fatto niente. È un problema mio" si affrettò a rispondere Ermal.
"Ma hai paura di parlarne con me."
Ermal sospirò. "Se io te ne parlassi, potresti iniziare a vedermi diversamente e io non ho nessuna intenzione di complicare le cose."
"Potresti dirmi qualsiasi cosa e l'opinione che ho di te non cambierebbe."
"Forse" rispose Ermal.
Sapeva quanto Fabrizio tenesse a lui, quanto lo considerasse importante e sapeva anche che quello non sarebbe mai cambiato.
Ma cosa sarebbe successo se Fabrizio avesse saputo cosa c'era nella sua testa?
Cosa sarebbe successo se avesse saputo quante volte Ermal si perdeva a pensare a quanto fosse incredibilmente bello, a quanto stesse bene ogni volta che lo abbracciava?
Cosa sarebbe successo se Fabrizio avesse saputo quante volte Ermal, trovandosi da solo a riguardare foto e video fatti insieme, si era perso ad ammirare ogni dettaglio del suo viso?
E cosa sarebbe successo se avesse saputo quante volte Ermal si era toccato pensando a lui e poi era finito a sussurrare il suo nome mentre veniva nella sua mano?
C'erano troppi se e Ermal non si sentiva pronto a rischiare tutto.
"Non credevo che pensassi questo di me, che mi ritenessi così superficiale" rispose Fabrizio, ferito dalle parole di Ermal.
"Non penso che tu sia superficiale."
"Credi che potrei vederti in modo diverso se tu mi dicessi cosa ti preoccupa quindi sì, pensi che io sia così superficiale da lasciarmi condizionare da qualcosa che a quanto pare crea problemi solo a te."
Entrambi rimasero in silenzio per un attimo. Ermal troppo sconvolto per dire qualcosa, Fabrizio troppo arrabbiato.
"Avevi ragione. È tardi ed è meglio andare a dormire. Scusa se ti ho disturbato" disse Fabrizio prima di interrompere la telefonata senza aspettare che Ermal rispondesse.
"Fanculo" mormorò Ermal lasciando cadere il cellulare accanto a sé e affondando la testa nel cuscino.
Aveva cercato di trattenersi, aveva evitato di dire a Fabrizio cosa provava per lui per non rendere le cose difficili, e poi alla fine si era complicato tutto comunque.
Anzi, complicato era un eufemismo.
Fabrizio aveva frainteso tutto e Ermal non sapeva cosa fare per farglielo capire.
Fissò per un attimo il telefono, abbandonato accanto a lui sul letto, poi si decise ad afferrarlo e a scrivere un messaggio a Fabrizio.
Doveva parlargli, doveva dirgli tutto. Era disposto ad accettare che il loro rapporto cambiasse, che la situazione diventasse strana e imbarazzante, ma non poteva accettare che Fabrizio fosse arrabbiato con lui e che fosse convinto che Ermal lo considerasse in quel modo.
Per un attimo considerò l'idea di alzarsi e andare semplicemente a bussare alla sua porta, ma gestire l'imbarazzo attraverso uno schermo sarebbe stato più semplice per entrambi.
Digitò velocemente un messaggio e poi lo inviò senza nemmeno rileggerlo, convinto che se ci avesse riflettuto un secondo di più avrebbe cancellato tutto.
Solo dopo averlo inviato, si concesse di ricontrollare le parole che aveva scritto, mentre il peso di quel segreto lo abbandonava lentamente.
-Non credo che tu sia superficiale. Non l'ho mai creduto. Anzi, credo che tu sia una delle persone migliori al mondo. Ed è per questo che ti scrivo, anche se probabilmente quello che ti dirò cambierà le cose.
Mi sono innamorato di te. All'inizio era davvero solo questo, solo un sentimento troppo forte che mi scaldava il cuore ogni volta che eravamo insieme. Poi è diventato anche altro e ho iniziato ad amare tutto di te, non solo la tua personalità e il tuo carattere. Ho iniziato ad amare il tuo sguardo, il tuo viso, il tuo corpo, ogni cosa di te.
Quando mi hai chiesto di venire da te, dopo tutti quei discorsi ridicoli sul comprare una casa insieme a Lisbona, non potevo dirti di sì. Non potevo guardarti in faccia e fare finta di niente, mentre nella mia testa c'erano solo immagini di noi due insieme.
Il problema non sei tu, sono io e per una volta è la verità e non la solita frase fatta.
Spero che questo non renda le cose troppo complicate perché, nonostante tutto, resti uno dei miei migliori amici. Buonanotte.
Ermal rimase a fissare lo schermo, notando che Fabrizio aveva visualizzato il messaggio e stava rispondendo. Ma il messaggio che ricevette un attimo dopo non era di certo la risposta che si aspettava.
-Sei un cretino, Ermal.
-Scusa?
-Sei un cretino perché se tu queste cose me le avessi dette un attimo fa al telefono, ti avrei risposto che ti amo anch'io e poi sarei venuto a bussare alla tua porta e ti avrei baciato.
Ermal rilesse il messaggio tre volte prima di rendersi conto di quale fosse il significato. Poi un enorme sorriso si aprì sul suo volto mentre rispondeva velocemente.
-Puoi farlo adesso.
-No.
-Ma come no?
-Non ti sei fidato di me, non hai voluto dirmi cosa ti preoccupava. Sono ancora arrabbiato.
Ermal sorrise capendo immediatamente che Fabrizio stava scherzando. Sapeva che non era veramente arrabbiato - non così tanto da non volerlo vedere almeno - e che stava solo esagerando, probabilmente per scherzare e per spingerlo ad andare da lui.
-Vuoi che venga io da te?
Poi mentre aspettava una risposta - che era convinto sarebbe stata positiva - prese una felpa dalla valigia e se la infilò velocemente.
Il cellulare, appoggiato sul comodino, vibrò segnalando un nuovo messaggio ma ormai per l'ennesima volta quella sera, non era ciò che Ermal si aspettava.
-No.
-Dai, Bizio. Smettila di fare l'offeso.
-Non faccio l'offeso. Voglio che tu capisca che se mi avessi detto tutto subito a quest'ora avresti ottenuto qualcosa, ma visto che non è andata così non avrai nulla.
-Ah, sì? E sentiamo, cosa avrei ottenuto se ti avessi detto tutto subito? A parte il bacio di cui parlavi prima, ovviamente.
Solo dopo aver inviato il messaggio, Ermal si rese conto di come sarebbe andata a finire la serata.
L'aveva fatto qualche volta - quando stava con Silvia e passavano tanto tempo senza vedersi - ma con Fabrizio era diverso.
Ciò che provava per lui era più profondo di qualsiasi altra cosa avesse mai provato e c'erano ancora troppe parole non dette tra loro. Non era sicuro che quello fosse il modo migliore di continuare quella conversazione.
Ma ormai era troppo tardi per tornare indietro.
-Vuoi saperlo davvero?
Ermal sorrise leggendo il messaggio di Fabrizio che, avendo capito che piega stesse prendendo la conversazione, aveva cercato di dargli un'ultima via d'uscita nel caso avesse voluto tirarsi indietro.
E fino a un attimo prima, Ermal avrebbe dato qualsiasi cosa per evitare che Fabrizio leggesse quel messaggio e che la conversazione finisse in quel modo, ma in quel momento si sentiva curioso - e leggermente eccitato - e voleva solo vedere fino a che punto si sarebbe spinto Fabrizio.
-Sì, dimmelo.
-Ti avrei spinto in camera continuando a baciarti. Tu probabilmente mi avresti stretto i fianchi, lo fai sempre.
-Lo avrei fatto sicuramente.
-Poi ti avrei tolto la maglia.
-Ero senza maglia fino a un attimo fa, quindi non avresti avuto nulla da togliere.
-Fino a un attimo fa?
-Pensavo di venire da te e mi sono infilato una felpa. Sarebbe stato imbarazzante se qualcuno mi avesse visto in corridoio senza maglia.
-Toglila.
Ermal rimase a fissare il messaggio incredulo.
Fino a un attimo prima stavano parlando in via del tutto ipotetica. Come erano passati da quello, a Fabrizio che gli ordinava di fare qualcosa?
Un altro messaggio di Fabrizio attirò la sua attenzione.
-Scusa, forse sono andato troppo oltre. Fai finta che non abbia detto niente.
Ma Ermal non avrebbe mai potuto fare finta di niente. Non a quel punto, almeno. Non quando se ne stava sdraiato sul suo letto con una dolorosa erezione tra le gambe e il bisogno di toccarsi, ma la voglia che fosse Fabrizio a chiedergli di farlo.
Si sfilò velocemente la felpa, come Fabrizio gli aveva chiesto un attimo prima, e poi riprese la conversazione.
-L'ho tolta.
-Non devi farlo se non ti va.
-Mi va. Avrei solo voluto che fossi stato tu a sfilarmela.
-Ermal, così mi uccidi.
Ermal sospirò pensando a quante volte anche lui aveva pensato che prima o poi Fabrizio lo avrebbe ucciso.
Fabrizio che portava sempre la camicia sbottonata e le braccia in vista, Fabrizio che si ostinava a indossare quei pantaloni terribilmente stretti che lasciavano davvero poco spazio all'immaginazione, Fabrizio che gli si buttava addosso per abbracciarlo e Ermal che moriva un po' ogni volta perché riusciva solo a pensare a Fabrizio che gli si buttava addosso per altri motivi.
Ripensò a quando Fabrizio lo aveva abbracciato mentre registravano la cartolina, buttandosi letteralmente tra le sue braccia e premendo ogni centimetro del suo corpo contro il suo. E poi ripensò a quando aveva detto di voler vivere a Lisbona, in quel video postato su Instagram, e subito nella sua mente si erano formate immagini di loro due che inauguravano la casa facendo l'amore in ogni stanza.
Una mano scese rapidamente a toccare il cavallo dei pantaloni, ormai troppo stretto, mentre l'altra digitava velocemente una risposta.
-Ora capisci come sto io ogni volta che ti vedo.
-Io non ti ho mai detto che volevo tu mi svestissi. L'ho pensato tante volte, ma non te l'ho mai detto. Quindi fidati, non sai cosa provo in questo momento.
Ermal distolse lo sguardo dal cellulare puntandolo verso il basso, dove la sua mano continuava a massaggiare la sua erezione attraverso i pantaloni della tuta. Se Fabrizio era convinto di essere l'unico sull'orlo del baratro, si sbagliava di grosso. Ma forse farglielo credere non sarebbe stata una cosa negativa.
-Allora spiegamelo. Dimmi cosa provi.
-Ho provato a immaginarti mentre sei davanti a me e io ti tolgo la maglia. E poi tu togli la mia.
-E poi?
-Ho immaginato che tu avessi addosso quei pantaloni grigi, oppure quel pigiama orrendo che ti ostini a portarti ovunque. Comunque nelle mie fantasie, nemmeno quelli ti rimangono addosso per molto.
La mano di Ermal superò il bordo dei pantaloni, andando a sfiorare l'erezione ancora coperta dai boxer.
Immaginò la mano di Fabrizio al posto della sua e sapeva che sarebbe bastato poco per ottenere quello che voleva - avrebbe semplicemente dovuto bussare alla porta accanto - ma non poteva negare di sentirsi eccitato da quella situazione e di essere curioso di vedere fin dove sarebbe arrivata quella conversazione.
-E...?
-E mi sto toccando come un ragazzino.
La consapevolezza che Fabrizio fosse nella sua stessa situazione - e che lo fosse per causa sua - fece sospirare Ermal, costringendolo a chiudere gli occhi per un attimo.
Non era la prima volta che lo faceva, non erano i primi messaggi erotici che leggeva, eppure era come se lo fosse. Era tutto più intenso con Fabrizio.
Superò lentamente l'elastico dei boxer facendo scorrere la mano sulla sua erezione, immaginando che Fabrizio fosse lì a guardarlo, che gli dicesse come farlo, quando accelerare e quando fermarsi.
Immaginò la mano di Fabrizio sostituire la sua e poi ricoprirlo di baci su tutto il corpo, facendolo arrivare al limite, quasi costringendolo a supplicarlo di dargli di più.
Sulla conversazione di WhatsApp rimasta aperta, apparve un altro messaggio di Fabrizio. Come diavolo facesse a continuare a scrivere in quella situazione, Ermal proprio non riusciva a capirlo.
-Lo stai facendo anche tu, vero?
-Sì.
Quando il telefono iniziò a squillare, appena un paio di secondi dopo, Ermal rispose senza nemmeno controllare chi fosse. Sapeva che era Fabrizio.
"Ti pare il momento?" disse Ermal, con il respiro leggermente più corto, mentre attivava il vivavoce e abbandonava il cellulare accanto a sé sul letto.
"Ho bisogno di sentirti mentre vieni."
"Cazzo, Fabrì. Non puoi dire queste cose."
"Se vuoi riattacco" rispose Fabrizio. Aveva la voce più roca del solito e Ermal per un attimo pensò di venire semplicemente sentendolo parlare.
"Non ci provare."
Per qualche secondo nessuno dei due disse altro. Ascoltare il loro respiro farsi sempre più corto e i gemiti uscire dalla loro bocca era più che sufficiente.
Poi Fabrizio disse: "A cosa stai pensando?"
La sua voce era talmente bassa che per un attimo Ermal credette di averla immaginata.
"A te" rispose semplicemente, mentre i movimenti della sua mano si facevano un po' più veloci.
"In particolare?"
Ermal non rispose, troppo concentrato sulla voce di Fabrizio e sulle sue fantasie per pensare ad altro e troppo imbarazzato per dire ad alta voce ciò che gli passava per la testa.
"Ermal..."
La voce di Fabrizio arrivò alle orecchie di Ermal come una supplica, convincendolo a rispondere alla domanda di poco prima.
"Sto immaginando la tua bocca al posto della mia mano."
"Metti una mano tra i miei capelli, per darmi il ritmo. Sei prepotente anche a letto" scherzò Fabrizio, continuando il discorso di Ermal come se fosse lì con lui e tutto quello stesse succedendo davvero.
"Non immagini quanto" mormorò Ermal.
"Lo immagino bene, fidati."
"Non sembra che ti dispiaccia."
"Infatti non mi dispiace."
Ermal sospirò. "Bizio..."
Pochi attimi dopo si lasciò andare nella sua mano, mentre si mordeva il labbro per evitare di gemere. Fabrizio, dall'altra parte, lo seguì un attimo dopo.
Rimasero entrambi in silenzio per un po' ad ascoltare i propri respiri regolarizzarsi, fino a quando Fabrizio, con la voce un po' più bassa e roca del solito, disse: "Stai bene?"
"Sì. Tu?"
"Anch'io. Sto benissimo, in realtà."
Ermal sorrise. Sì, anche lui stava benissimo. Stanco, ma ne era valsa la pena.
"Pensi di farcela ad alzarti e ad aprire la porta della stanza? Tra cinque minuti sono da te" disse Fabrizio.
Quando pochi minuti dopo Fabrizio entrò nella sua stanza, Ermal non ebbe nemmeno il tempo di sentirsi imbarazzato per ciò che era appena successo.
Fabrizio gli si buttò letteralmente addosso, circondandogli il viso con le mani e baciandolo lentamente.
"Scusa. Avevo voglia di baciarti da quando mi hai scritto quel messaggio" disse Fabrizio scostandosi leggermente.
Ermal sorrise prima di riprendere a baciarlo.
Aveva immaginato di farlo così tante volte che quasi aveva problemi a credere che stesse succedendo davvero.
Eppure, Fabrizio era davvero lì e lui lo stava davvero stringendo a sé mentre lo baciava in mezzo a una stanza d'albergo di Lisbona.
"Stavo pensando a una cosa..." disse Fabrizio, mentre si separava da Ermal e si sdraiava sul letto.
Ermal sorrise notando che il più grande aveva tutte le intenzioni di restare a dormire lì.
"Cosa?" disse sdraiandosi accanto a lui.
"Lisbona ha una buona influenza su di te. Sei più allegro, ti incazzi di meno, mi confessi di amarmi e poi stai al telefono con me mentre ho uno degli orgasmi migliori della mia vita... Ora capisci perché ho detto che voglio vivere qui?" scherzò Fabrizio.
"Che deficiente che sei" rispose Ermal mettendosi a ridere.
Forse Lisbona aveva davvero qualche potere su di lui, ma non era merito di una città se si sentiva così bene in quei giorni. Era merito di Fabrizio, dei suoi sorrisi, delle sue battute.
Non importava dove fosse, l'importante era che ci fosse Fabrizio con lui.
Anche se davvero a Lisbona doveva ammettere di aver trovato un'atmosfera speciale.
"Bizio?" lo richiamò Ermal.
"Dimmi" rispose Fabrizio, avvicinandosi a Ermal e circondandogli la vita con un braccio.
Ermal si lasciò stringere, mentre accarezzava distrattamente il braccio di Fabrizio. "Niente, volevo solo averti più vicino."
Fabrizio sorrise mentre si sporgeva su di lui per dargli un bacio. Poi tornò a posare la testa sulla sua spalla.
"E pensare che nemmeno volevi parlare con me. Se non lo avessi fatto, a quest'ora saremmo ognuno nella propria stanza" disse Fabrizio.
"Continuerai a rinfacciarmelo?"
"Probabilmente."
Ermal scoppiò a ridere, sentendosi leggero come non si sentiva da tempo.
Fabrizio aveva riportato nel suo cuore tutte le emozioni che Ermal pensava fossero sparite insieme a Silvia, e non poteva che essergliene grato.
Sapeva che le cose non sarebbero state facili, che ci sarebbero stati problemi enormi da affrontare, ma sapeva anche che l'avrebbero fatto insieme. E se la situazione fosse diventata troppi difficile, avrebbero sempre potuto scappare insieme nella loro Lisbona, lì dove tutto sembrava un po' più semplice e loro si sentivano un po' più felici.
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