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#autonomia operaia
nando161mando · 1 month
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Valerio Verbano
Member of Autonomia Operaia who had conducted personal research and collected a lot of information and photographic documentation on the Roman extreme right and its links with state apparatuses and organised crime.
On 22 February 1980, three men from the neofascist Nuclei Armati Rivoluzionari group, pretended to be Verbano's friends in order to gain entry to his home. They tied and gagged Verbano's parents before waiting for Verbano to return from school. When he did so, they shot him dead, and his murderers escaped.
/ #February 22 1980 /
/ Rome - Italy /
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radiso1978 · 10 months
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RADISOL, Il sogno della rivoluzione nell’Italia del 1978. Romanzo, Alfredo Facchini, Ed. Red Star Press
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Il libro è ordinabile sulle piattaforme Feltrinelli, Amazon, Red Star Press, Libreria Universitaria, Mondadori, Rizzoli, Ibs
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dominousworld · 7 months
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Autonomia Operaia: la terza posizione di estrema sinistra e la morte di Toni Negri
Autonomia Operaia: la terza posizione di estrema sinistra e la morte di Toni Negri
a cura della Redazione L’ex leader di Autonomia Operaia si è spento nella notte a Parigi. Filosofo e politologo, aveva 90 anni È morto questa notte a Parigi il filosofo e politologo Toni Negri. Aveva 90 anni. A dare la notizia della sua scomparsa è stata la compagna e filosofa francese Judith Revel. Antonio Negri, detto Toni, nato a Padova il 1° agosto 1933, è stato uno dei maggiori teorici del…
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polaroidblog · 9 months
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Sostanza di cose sperate. Voci e storie dal processo 7 aprile
di Massimo e Ivan Carozzi
https://www.raiplaysound.it/playlist/sostanzadicosesperatevociestoriedalprocesso7aprile
Il 7 aprile 1979, un'imponente operazione di polizia porta all'arresto di decine e decine di militanti dell'area di Autonomia Operaia. Il più noto è il professor Antonio Negri, docente di Dottrina dello Stato all'Università di Padova. L'accusa del magistrato Pietro Calogero desta scalpore. Secondo Calogero, dietro i tanti episodi di illegalità e terrorismo diffuso dell'Italia degli anni Settanta - dall'esproprio nel supermercato al sequestro Moro - ci sarebbe la regia di un gruppo ristretto, che manovra le tante sigle del mondo extraparlamentare e i gruppi clandestini che praticano la lotta armata. Per la prima volta nella storia della Repubblica viene contestato il reato di «insurrezione armata contro i poteri dello Stato». Le voci, i volti e le storie del processo 7 aprile occuperanno per anni le cronache dei giornali e dei tg, eppure oggi se n'è quasi del tutto perduta la memoria. Attraverso gli audio dei processi, interviste e documenti sonori, viene ricostruito il clima di un'epoca insieme alla vicenda di un teorema giudiziario, che se da una parte portò ad accertare molti reati, dall'altra fu responsabile di un abuso dello strumento della carcerazione preventiva e contribuì alla liquidazione di un'opzione politica ed esistenziale, quella «sostanza di cose sperate» evocata in aula dall'imputato Paolo Virno.
documentario alla radio davvero molto bello - come tutto quello che scrive Carozzi - che si chiude con questa canzone incredibile che avevo dimenticato:
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curiositasmundi · 9 months
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Nei giorni in cui sono state scritte tante parole su Toni Negri, deceduto nella sua casa di Parigi lo scorso 16 dicembre, appare davvero una grande occasione questo docu – film per ripercorrere, partendo proprio dalle vicende dell’Autonomia Operaia di cui lui è stato uno dei protagonisti, cosa sono stati quei giorni, quegli anni. Seppure siano passati oramai diversi decenni da quel 7 aprile del 1979, quando decine di persone, appartenenti o simpatizzanti o considerate vicine alla formazione di sinistra extraparlamentare Autonomia Operaia, furono arrestate in un’operazione che diede inizio a uno dei capitoli più discussi e controversi della storia giudiziaria italiana degli scorsi decenni. Una vicenda che coinvolse centinaia di persone ma che ebbe come protagonisti da una parte proprio il professor Toni Negri, dall’altra il magistrato Pietro Calogero. Siamo nei cosiddetti “anni di piombo” e delle stragi fasciste. Un anno prima c'è stato il rapimento di Aldo Moro e la sua uccisione. Vennero così adottate “leggi speciali” tra cui quella che permetteva di applicare il reato di associazione a delinquere alle organizzazioni politiche, e non solo a quelle mafiose. Negri fu accusato di aver partecipato direttamente al rapimento Moro, e addirittura di essere stato il telefonista delle Brigate Rosse che condusse le trattative. In realtà si dimostrò dopo che la voce brigatista era di Valerio Morucci. A denunciarlo fu un docente dell'Università, iscritto al Pci, che dichiarò di aver riconosciuto la voce di colui che teneva i contatti tra le Br e la famiglia del dirigente democristiano, come quella del collega. 
Il processo si svolse con tempi lunghissimi e, secondo Amnesty International, in violazione dello stato di diritto. Gli imputati furono detenuti preventivamente in carcere per anni. Il processo cominciò soltanto nel 1983. A difendere ben 54 imputati di quel processo denominato 7 aprile e che fu diviso in due tronconi tra Padova e Roma, emerge la grande abilità di un giovane "compagno" avvocato: Enrico Vandelli. E proprio attraverso la sua esperienza che nella prima delle tre puntate si affronta la questione degli Autonomi padovani. E per la prima volta sono i diretti protagonisti a raccontare quegli anni. E sono davvero tanti visto quanto popolare era il movimento ai tempi, in pieni anni Settanta, è raro che ne parlino o concedano interviste. C'è una sorta di patto non scritto che da un lato obbedisce a un principio di lealtà, che non può comunque essere tradito anche se la storia si può dire ormai chiusa, un po' perché non la si vuole svendere, svilire, o rappresentare con una sola immagine consapevoli che nessuno ne è il solo custode visto che quanto vissuto è generato da una esperienza collettiva. Hanno sempre lasciato farlo ad altri ed è inevitabile poi che passi una sola fotografia della storia, in cui inevitabilmente c'è per forza una molotov. 
Dal punto di vista giudiziario il processo si chiude quasi quattro anni dopo con la sentenza della Cassazione che elargisce pene miti e assolve imputati come Toni Negri perché crollano le accuse più gravi insieme al teorema Calogero. Nel film lo scontro tra due magistrati, Calogero appunto e Palombarini, viene ben illustrato.
La docu serie mette bene a fuoco il fatto che come ogni vicenda è fatta di persone e di vite. E il film, soprattutto nel primo episodio che è completamente dedicato alla vicenda degli Autonomi, rende bene l'idea di cosa fossero quegli anni. Affronta il tema della repressione, della carcerazione e pure della latitanza, che è tutto fuorché una vacanza. Racconta di giovani donne costrette a lasciare i figli per sfuggire a una nuova detenzione, come il caso della docente di scienze politica, Alisa Del Re. Se il racconto della sua fuga e come evita l'arresto ricorda la trama di un film di spionaggio, poi c'è la vita non vissuta, sospesa, che forse colpisce ancora di più. Nel film si sceglie di non parlare dei decessi dopo la carcerazione, come il caso del Professor Ferrari Bravo, ma si sente nelle parole di coloro che vengono coinvolti in questo racconto che le scelte convintamente fatte e portate avanti sono state tutte pagate. Anche alla giustizia. 
L'avvocato Enrico Vandelli negli anni di quel processo accresce la sua fama, il suo volto finisce sui giornali e telegiornali nazionali di continuo. E come è ovvio che sia attira le attenzioni soprattutto di chi è malavitoso o detenuto. Tutti quelli che hanno bisogno di un buon avvocato. E lui ha dimostrato di esserlo. Così quando molti anni dopo arriva la chiamata la vede solo come una grande occasione, l'avvocato Enrico Vandelli. Anche economica visto che dal processo 7 aprile non ha certo guadagnato nulla. A rivolgersi a lui è infatti il boss della mala del Brenta, "faccia d'angelo", Felice Maniero. Sono anni completamente diversi in cui l'eroina insieme a un certo diffuso benessere prendono il posto delle contestazioni. E qui comincia una storia, soprattutto umana, completamente diversa. A tenere insieme la banda Maniero sono i soldi, la violenza, i ricatti. Non c'è una figura a lui vicina, madre esclusa, a cui non abbia fatto o procurato del male. Ha tradito chiunque lo ha servito, fino ad arrivare proprio al suo avvocato che di certo errori ne ha commessi ma non quanti gliene sono stati imputati. Eppure ha pagato più di Maniero. La condanna per mafia, l'addio forzato alla toga ma anche la latitanza e la detenzione. Straordinaria la testimonianza del figlio Michele, che racconta con la consapevolezza dell'adulto che è oggi come il passaggio da avvocato dei "rossi" a quello di un mafioso ha cambiato per sempre la sua vita. Nel docu-film il contributo dello scrittore Massimo Carlotto che rende omogeneo tutto il racconto e poi i protagonisti delle due vicende giudiziarie, non solo avvocati ma anche magistrati e procuratori. Una delle contraddizioni che emergono da quella fetta di storia italiana, è che lo Stato che ha trattato centinaia di giovani come criminali solo perché non volevano pentirsi né di ciò che non avevano commesso ma neppure di ciò che praticavano con convinzione, si è invece fidato di uno, Felice Maniero, che non si è fatto problema alcuno nel tradire tutti. Centinaia di persone. Se non fosse che si può comunque scappare da tutto ma non da quel che si è, Maniero in questi anni non l'avrebbe mai vista una cella e si sarebbe potuto godere tutti i giorni in libertà, perfino con una nuova identità.
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chiamalegge · 6 months
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Autonomia operaia. Scienza della politica e arte della guerra dal '68 ai movimenti globali.
Dall’autodifesa all’affermarsi della guerriglia nella metropoli, il movimento Autonomo degli anni Settanta italiani viene teorizzato e analizzato nella sua specifica componente operaia di massa. Un’anomalia spiegabile solo attraverso l’egemonia che la figura dell’operaio massa impose all’intero Movimento italiano mettendo al centro il nodo del potere politico. Ma la “questione del potere” non può…
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isacopraxolu · 9 months
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Morto Toni Negri, storico leader di Autonomia Operaia #tfnews #16dicembre
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Morto Toni Negri, storico leader di Autonomia Operaia
Aveva 90 annisource
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crossroad1960 · 9 months
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noisynutcrusade · 9 months
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Toni Negri, the "bad teacher", founder of Autonomia Operaia, has died, he was 90 years old
Toni Negri, the controversial philosopher and political scientist who between the sixties and seventies was one of the major theorists of workerist Marxism, died during the night in Padua. He was 90 years old. The news of his passing was reported by his partner and French philosopher Judit Revel. Antonio Negri, known as Toni, was born in Padua on 1 August 1933 and was among the founders of Potere…
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tempi-dispari · 1 year
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Fil di Ferro: Torino fucina metallica
Contesto
Il 1979 è un anno denso di avvenimenti come lo sono pochi altri. Avvenimenti quasi tutti di pesante impatto globale e gravidi di conseguenze per il periodo a venire. Già il 1° gennaio, il riconoscimento della Cina comunista da parte degli Stati Uniti, lo scambio di ambasciatori tra Whashington e Pechino.
Cambia tutto tra le due sponde del Pacifico. Il 7 gennaio cade in Cambogia il regime di Pol Pot, uno dei più sanguinari della storia recente. Un poco più a Ovest, in Iran, il giorno 17 prende invece il potere un leader religioso rientrato da un lungo esilio a Parigi, Ruhollah Khomeini.
In Italia
In Italia il 1979 avviene l’assassinio del giornalista Mino Pecorelli, che ha voluto mettere il naso nei segreti di certe banche e della massoneria. L’incriminazione del governatore della Banca d’Italia Paolo Baffi e l’arresto del direttore generale Mario Sarcinelli per interesse privato in atti d’ufficio (accusa che poi cadrà).
Il delitto dell’avvocato Giorgio Ambrosoli liquidatore della banca di Michele Sindona. Arresto dei brigatisti Valerio Morucci e Adriana Faranda coinvolti nel caso Moro. Morte in un incidente aereo a Forlì del re dei cereali Serafino Ferruzzi. La fine del sequestro di Fabrizio De André e Dori Ghezzi, rapiti in Sardegna quattro mesi prima.
Per ricordare un fatto che ha tenuto a lungo le prime pagine dei giornali e che avrà echi negli anni successivi si deve tornare al 7 aprile. Un magistrato di Padova, Pietro Calogero, lancia una grande offensiva giudiziaria contro Autonomia operaia.
Tra gli arrestati figurano docenti universitari, intellettuali, giornalisti. Spicca il nome del professor Antonio Negri, Toni Negri. Gli inquisiti sono centinaia.
Nel 13 marzo nasce lo Sme, Sistema monetario europeo, antenato della valuta unica di oggi. Margareth Thatcher si prepara alla elezione del suo primo parlamento.
In questo contesto nascono i Fil di ferro
Storia del gruppo
I Fil di ferro sono un gruppo heavy metal italiano, formatosi a Torino nel 1979 per iniziativa del bassista Bruno Gallo Balma e del batterista Michele De Rosa.
La band è considerata, insieme a Vanadium, Strana Officina, Death SS e Bulldozer, una delle prime ad aver portato la musica metal in Italia, nonché una delle più importanti dello stesso.
Michele De Rosa e Bruno Gallo hanno formato il gruppo con il chitarrista Danilo Ghiglieri e il cantante Leonardo Fiore. Nel 1986 (dopo un demo tape del 1984 e numerosi concerti che danno una certa notorietà al gruppo) esce il primo album, Hurricanes, pubblicato da Il Discotto Records. Questo album viene registrato con il nuovo cantante Sergio Zara e il nuovo chitarrista Claudio De Vecchi.
Il titolo Hurricanes proviene dal nome del gruppo biker di cui facevano parte sia Michele De Rosa sia Bruno Gallo. Il disco è stato registrato da Beppe Crovella (tastierista degli Arti e Mestieri).
Nel 1987 per l’etichetta dischi Noi, con la produzione esecutiva di Mariano Schiavolini (ex membro del gruppo rock progressivo Celeste), i Fil di ferro registrano il loro secondo album, omonimo, che vede l’entrata del nuovo chitarrista Miky Fiorito, autore di tutti i brani del disco, arrangiati con il resto del gruppo.
Le registrazioni vengono effettuate in Cornovaglia con Guy Bidmead, ingegnere del suono di Rod Stewart e Motörhead. I Fil di ferro tengono anche un concerto presso l’Hammersmith Apollo di Londra, trasmesso dalla televisione italiana su Italia 1 nel programma Rock a mezzanotte.
La performance viene registrata e inclusa nella compilation Italian rock invasion.
Nel 1991 Sergio Zara è uscito dai Fil di ferro, lasciando il posto alla voce femminile di Giordy (Elisabetta Di Giorgio), con la quale la band ha registrato la ballata Give me your hand e girato un video clip per il mercato russo.
Nel 1992 per l’etichetta Axis Records è uscito il terzo album, Rock Rock Rock che vede la partecipazione del chitarrista russo Victor Zinchuk e di Roberta Bacciolo delle Funky Lips in veste di ospiti. In esso è stato ripreso Give me your hand registrata precedentemente da Giordy come singolo.
L’album ha presentato caratteristiche più hard rock/blues rispetto ai primi due lavori e vede Miky Fiorito anche nel ruolo di cantante. Nello stesso anno si è verificata la fine della collaborazione, durata quasi un anno, con Giordy.
Nel 1997 è entrato nel gruppo Piero Leporale alla voce, mentre il 1998 è tempo dell’ingresso di Francesco Barbierato al basso.
Nel 2004 esce a distanza di dodici anni dal lavoro precedente il quarto album, It Will Be Passion. Il disco è un rifacimento di vecchi brani e nuovi inediti.
Nel 2008 il gruppo cambia ancora formazione: escono dalla formazione Fiorito, Leporale e Barbierato, sostituiti da Gianni Castellino al basso, Alex Verando alla chitarra e Phil Arancio alla voce. Nel 2009 entrano in formazione Gianluca “Yes” Uccheddu alla chitarra al posto di Alex e Elvis Taberna al posto di Phil Arancio.
Con questa nuova formazione il gruppo ha abbandonato l’hard rock blues del terzo e quarto album ritornando ad un più duro heavy metal di stampo Saxon/Judas Priest che ha caratterizzato la band nei primi due album.
Nel settembre del 2012 è uscito It’s Always time, album contenente il rifacimento di Hurricanes con la nuova formazione, tre inediti e dodici brani tratti dai dischi più significativi.
In occasione del festival Acciaio italiano 2015, tenutosi a Modena il 31 gennaio 2015, si è verificato il ritorno alla voce di Phil in sostituzione di Elvis Taberna, che ha dovuto abbandonare il gruppo per motivi di salute. Elvis è rimasto nel giro Fil di ferro con mansioni amministrative.
Dopo pochi mesi nuovo cambio di formazione riguardante la voce: entra Paola Goitre al posto di Phil, con la quale sono in programma vari lavori live e in studio.
A inizio 2017 ritorna in formazione il chitarrista Miky Fiorito, il quale si mette subito al lavoro per comporre le canzoni che faranno parte del sesto album del gruppo. I riff di chitarra questa volta hanno un piglio epico ed è a seguito di queste nuove sonorità che nasce l’idea del concept album intitolato Wolfblood, che narra della mitologia nordica del RagnaRock, anche per via dei testi a tema ideati da Paola Goitre. Il nuovo lavoro viene pubblicato a ottobre del 2019.
Discografia Hurricanes (1986) Fil di Ferro (1988) Rock Rock Rock (1992) It Will Be Passion (2004) It’s Always Time (2012)
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radiso1978 · 10 months
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LETTERE A LOTTA CONTINUA: FAUSTO E IAIO
Scrivo di Fausto e Iaio perché eravamo amici. Avevano diciotto-diciannove anni, non erano di nessun gruppo, nonostante le ricorrenti simpatie di Iaio per Autonomia Operaia e il recente entusiasmo di Fausto per Lotta Continua.
L’istituto professionale non erano riusciti a sopportarlo e se ne erano andati. Fausto per passare all’Artistico e Iaio per andare a lavorare.
A Iaio piaceva mettersi la bombetta nelle serate del Leoncavallo, era buffo con quella faccia da indiano ragazzino. Una volta sul pullman, ha chiesto a una giovane signora che non conosceva: «Mi presta il bambino, che ci gioco un po’?».
Dal falegname dove lavorava come decoratore lo sfruttavano moltissimo, ma recentemente aveva un progetto di andare a lavorare con altri.
Gli piaceva leggere. Quando lo hanno ucciso aveva con sè I sotterranei di Kerouac. Raramente ho visto uno più autonomo di Iaio da miti e mode culturali, a parte il suo recente pallino per i segni zodiacali (era dell’Ariete). Con Iaio avevamo in cantiere una intervista sulla sua vita, il che lo divertiva molto. Gli chiedevo: «A che pensi Iaio?», e lui: «Niente, sogno».
Con Fausto avevamo recentemente parlato di proporre a «Lotta continua» un paginone su Baudelaire e compagni e i giovani che li leggono oggi.
Li trovavo spesso il sabato sera a ballare al Leoncavallo, Fausto imitava in modo eccezionale il dimenarsi da decadent-rock e poi veniva in radio a farci compagnia nelle notturne, collaborando alla scelta dei dischi, ma senza mai voler parlare al microfono per timidezza e discrezione.
Per caso sono stati uccisi proprio loro. Ma casualmente i killers hanno scelto con precisione esemplare: non due militanti organizzati, non due “combattenti comunisti”, non due “freaks alternativi”, ma due giovani compagni che stavano esattamente sotto e sopra queste dimensioni e figure.
So che è retorico usare le parole innocenza e verità a proposito di persone. Ma la sensazione terribile è proprio questa: d’innocenza e verità stroncate.
Paolo
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RADISOL, Il sogno della rivoluzione nell’Italia del 1978. Romanzo, Alfredo Facchini, Ed. Red Star Press
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aforismidiunpazzo · 4 years
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Accadde Oggi: 22 Febbraio 1980
A Roma, Valerio Verbano, studente di 18 anni vicino agli ambienti dell’Autonomia Operaia, viene ucciso con un colpo alla nuca da tre neofascisti che lo attendono a casa sua, dopo esservisi introdotti e aver immobilizzato i genitori.
Continua su Aforismi di un pazzo.
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mmnt17 · 6 years
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L’enigma dell’organizzazione
Da Commonware, recensione di Marco Scavino, Potere operaio. La storia. La teoria, vol. I (Derive Approdi 2018, qui la scheda)
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«Compagni, l’unico modo per non correre rischi è di andare a pescare trote nel lago di Garda, in tutte le altre occasioni si corrono dei rischi».
È in questa frase, che l’autore di Potere operaio. La storia. La teoria, vol. I (Derive Approdi 2018) riporta e ipotizza attribuibile a Guido Bianchini – uno delle figure maggiormente decisive di questa storia collettiva e colpevolmente meno approfondite dalla ricerca degli storici –, che può essere riassunto il senso della parabola nazionale dell’organizzazione più intelligente, contraddittoria, sofferta e intransigente che nella prima metà degli anni Settanta più si è fatta erede – legittima o meno – degli strumenti temprati dall’operaismo politico degli anni Sessanta. Il rischio di chi tenta di anticipare una linea di tendenza, di chi osa agire una scommessa politica, di chi mette in gioco la propria vita attraverso la militanza, ma soprattutto il rischio di misurarsi con il nodo  dell’organizzazione rivoluzionaria dell’autonomia operaia e proletaria, il vero filo rosso – mai sciolto – che accompagna la vicenda che va dall’operaismo all’Autonomia e che sostanzia in tutta la sua complessità l’esperienza di Potere Operaio in un periodo e in un contesto storicamente determinati.
Il (primo) libro su Potere Operaio di Derive Approdi, quindi: era ora, fatecelo dire. Un libro necessario e molto atteso, la cui assenza si è fatta sentire sugli scaffali sia dello storico che del militante, di fianco ai volumi che la casa editrice romana ha già pubblicato sull’operaismo, sugli autonomi, sulle riviste e sui movimenti del “lungo ‘68”, e di recente sulle organizzazioni armate degli anni Settanta. Un vuoto che l’autore ha iniziato a colmare con rigore analitico e capacità di sintesi, raggiungendo l’obiettivo di fare luce, finalmente con gli strumenti scientifici del metodo storiografico e non con quelli spuntati del giornalismo, sui nodi – appunto, irrisolti – di un’esperienza paradigmatica per i suoi caratteri di approfondimento e anticipazione di «una storia molto più grande» (p. 26).
Scavino non poteva che cominciare con il ripercorrere la partecipazione da protagonisti di diversi militanti tra i più significativi di Potere Operaio all’apprendistato operaista nel decennio precedente la formazione del gruppo. La parabola di Potere Operaio, infatti, affonda le propri radici teoriche e politiche nel “ritorno a Marx” degli anni Sessanta, un tentativo di svecchiare, de-ideologizzandolo da dogmi e incrostazioni, il marxismo professato dal Movimento Operaio ufficiale, ancora incagliato su categorie e letture di matrice terzinternazionalista non più adeguate a interpretare e agire l’inedita situazione di classe venutasi a creare in Italia dopo la risposta capitalista alla precedente fase di lotte operaie, risposta passata mediante l’innovazione fordista-taylorista della fabbrica e, di conseguenza, della società. «Non si poteva più fare riferimento ai modelli di rivoluzione e di organizzazione del passato, proprio perché erano cambiate le basi materiali, di classe (la composizione politica, appunto) del movimento» (p. 57): stava qui uno degli aspetti più di rottura della prassi operaista mutuata da Potere Operaio. È in quel contesto che piccoli gruppi di militanti-intellettuali – più o meno emarginati dalle organizzazioni della sinistra, Partito comunista e Cgil in primis – riuniti intorno a riviste come «Quaderni rossi» e «classe operaia» elaborano le coordinate di un punto di vista, di un metodo di lavoro e di uno stile della militanza comuni (sia nell’intervento politico di massa che nel suo rapporto con la ricerca teorica) che verranno poi trasmessi e rielaborati da Potere Operaio, e attraverso questa socializzazione – passata attraverso anche uno sterminato apparato di fogli di lotta, opuscoli, riviste e pubblicazioni – sarebbero diventati una cultura politica diffusa tra le nuove generazioni di militanti politici di classe formatesi durante e dopo il biennio rosso 1968-‘69. Composizione e ricomposizione di classe, operaio-massa, rifiuto del lavoro, piano del capitale, autonomia operaia sono un patrimonio comune del lessico politico del movimento rivoluzionario degli anni Settanta, armi concettuali forgiate in quella incredibile stagione di intervento, conricerca e partecipazione dentro ai conflitti operai nelle fabbriche di Torino, Milano, Porto Marghera, Ferrara, Modena.
È già in questo primo passaggio, in cui i militanti operaisti intercettano l’emergere di una conflittualità operaia espressa in lotte e comportamenti spuri e ambigui ma sempre più radicali, diffusi ed efficaci, che si pone la questione dell’organizzazione: «Per tutti era in corso un processo di ricomposizione politica delle lotte, ma la discriminante era ormai netta: riguardava il rapporto con le organizzazioni, la possibilità di lavorare al loro interno per modificarne le scelte e gli orientamenti strategici, o al contrario la scelta di stare dentro il fenomeno tumultuoso del movimento per farne un soggetto rivoluzionario di massa autonomo e alternativo» (p. 51). Se per alcuni, come Tronti, l’internità al movimento operaio ufficiale non sarebbe mai stata messa in discussione, per il gruppo veneto-emiliano – l’unico con un significativo e concreto radicamento di intervento in realtà operaie – era l’internità strategica ai reali movimenti della classe e alle dinamiche tendenziali del conflitto il terreno su cui basare ogni ipotesi di intervento, di sviluppo organizzativo e di potere. L’autore di questo importante sviluppo ne dà conto, dilungandosi con estrema chiarezza sui motivi per cui la postura operaista, per propria sua natura, non avrebbe potuto cristallizzarsi in una semplice scuola filosofica di pensiero, in un’ennesima eresia settaria del marxismo o in uno dei tanti tentativi di creare un’area di dissidenza alla sinistra del movimento operaio ufficiale.
Dalla ricognizione di tale prassi metodologica Scavino passa così a descrivere la formazione, ben prima dell’autunno caldo del 1969, del Potere Operaio veneto-emiliano, un’embrionale forma di rete stabile, coordinata dall’omonimo foglio di lotta, fra organismi di base disseminati tra i poli chimici di Porto Marghera e Ferrara e la piccola fabbrica diffusa emiliana. Il  network  aveva lo scopo di sostenere – approfondendola, allargandola e dispiegandola – quella «spontaneità organizzata» cifra della nuova e sempre più montante conflittualità autonoma operaia, sfuggente al controllo delle organizzazioni della sinistra, considerate come soggetti passati a cogestire lo sviluppo del piano del capitale con il compito di controllare e mediare le lotte per incanalarne la forza su programmi di soluzione riformista della crisi e innovazione capitalistica.
Lo storico qui mette in risalto il diverso piano d’intervento su cui agivano i militanti veneto-emiliani di Potere Operaio: la concezione dell’organizzazione e i compiti della militanza appaiono trarre significato piuttosto dal loro porsi come agenti catalizzatori al servizio e in funzione della ricomposizione di classe che nell’orizzonte di accrescimento geometrico della propria singola formazione. Ovvero, «l’alternativa non era creare dei piccoli gruppi minoritari, ma conquistare una posizione di forza nelle lotte, dalla quale contendere a partito e sindacato la direzione politica dello scontro di classe» (p.75), attraverso cui tradurre l’autonomia di classe, le sue forme di massa e i suoi contenuti rivendicativi (meno lavoro, più salario uguale per tutti) in un programma operaio di rottura degli equilibri generali del sistema. Un modello ben distante dalla prassi che avrebbe caratterizzato la militanza nei gruppuscoli e partitini della sinistra estrema o extraparlamentare.
L’incontro/scontro del metodo veneto-emiliano con nuclei militanti di Torino e Milano e il movimento studentesco del 1968 – soprattutto quello romano e fiorentino, con cui nacque nella primavera del 1969 il progetto de «La Classe», giornale che voleva essere mezzo di circolazione e generalizzazione delle lotte per stimolare l’elaborazione di linea politica nel movimento – è illustrato da Scavino come il fattore determinante che permise alla teoria operaista di farsi politica di massa, contaminandosi e rielaborandosi con la carica e le istanze apportate dalle nuove generazioni militanti davanti alle fabbriche: l’attitudine antiautoritaria e assembleare degli studenti, la riflessione sull’istituto capitalista della scuola, l’analisi di nuove figure centrali come i tecnici  si fondevano con lo la prassi che aveva conricercato lo spontaneo egualitarismo e il rude materialismo pagano dei loro coetanei costretti alla catena di montaggio.
L’impalcatura portante di Potere Operaio, come organizzazione politica nazionale nata nel settembre-ottobre 1969 e disgregatasi tra 1973 e 1975, prende forma proprio qui, nella straordinaria stagione del terremoto operaio del 1968-’69, con suo epicentro Torino: nasce tra l’intuizione editoriale de «La Classe» e l’esplosione della rottura anticipata dei contratti, tra il lavoro di porta ai cancelli di Mirafiori e le barricate della battaglia di corso Traiano, tra le riunioni notturne dell’Assemblea operai-studenti e il fallimento di costituire un’organizzazione politica nazionale attorno ai comitati di base operai al Convegno delle avanguardie al Palazzetto dello sport. Una stagione che il gruppo in formazione ha vissuto in prima linea, riuscendo in modo decisivo a influenzare la circolazione dei contenuti più avanzati e unificanti, la radicalità delle forme di lotta praticate a livello di massa e, per certi momenti, anche la direzione politica delle avanguardie autonome di un movimento di classe dalle dimensione e dalle caratteristiche mai viste in precedenza –  tutto ciò, almeno, nelle fasi iniziali dello scontro che diedero il via all’autunno caldo.
È a questo punto che il lavoro di ricostruzione e interpretazione di Scavino entra nel vivo del «carattere irrisolto» (p. 26) di Potere Operaio: se nello stesso nome del gruppo «si poneva in tutta la sua drammaticità storica il problema di trovare uno sbocco rivoluzionario, di potere, alle lotte operaie e proletarie» (p. 25), è in tale determinata fase dello scontro di classe in corso – quella della controffensiva sindacale e riformista delle sinistre per recuperare, gestire e rendere compatibile la grande forza accumulata dalla conflittualità operaia della primavera, del conseguente “riflusso” (relativo) dell’iniziativa autonoma rinchiusa dentro la fabbrica e del domandarsi soggettivamente “che fare?” dopo la chiusura dei contratti, insanguinati dalla strage di Stato di Piazza Fontana e dall’inizio della “strategia della tensione” – che si presenta alle avanguardie in tutta la propria urgenza la necessità di ridefinire i compiti e il senso soggettivi della militanza e sciogliere il nodo dell’organizzazione, quello dell’organizzazione dell’autonomia, o meglio: sbrogliare il nodo del rapporto lotte-organizzazione e della sua generalizzazione, oltre i cancelli delle fabbriche, sul terreno sociale complessivo, un rapporto considerato non come predeterminato o un a priori teorico-pratico, ma come una relazione sempre cangiante tra la composizione politica di classe di una determinata fase del ciclo storico e l’enigma concreto della rottura rivoluzionaria – pensata come, è importante ribadirlo, sempre situata e  praticata a livello di massa – in un contesto di capitalismo avanzato.
Scavino è bravo a ripercorrere l’estrema complessità del dibattito sviluppatosi all’interno di Potere Operaio e ridare il senso delle sue incertezze, controversie e limiti con notevole capacità di sintesi esplicativa, anche se in tale frangente un lettore attento (e pignolo) avrebbe potuto apprezzare un ulteriore approfondimento delle differenti posizioni politiche avanzate dalle corrispondenti componenti territoriali che si videro scontrarsi, a partire dal primo convegno nazionale d’organizzazione (Firenze, 9-11 gennaio 1970). È da questa occasione che, lungo un percorso travagliato e ricco di rotture, anche sofferte, va definendosi un salto di qualità organizzativo attraverso un’originale rilettura di Lenin, introducendo nel patrimonio di Potere Operaio «un punto di vista inconsueto per la tradizione teorico-politica» alla quale il gruppo si richiamava. Secondo  i sostenitori di tale svolta con la tradizione operaista maturata negli anni precedenti, «se i movimenti di classe […] arrivavano a porre all’ordine del giorno la questione del potere, era inevitabile che si dotassero di strumenti organizzativi adeguati allo scopo; ed era in questo senso che andava recuperata la lezione storica del leninismo […]. Non si trattava, beninteso, di fare delle fughe in avanti, di costruire piccoli apparati slegati dai livelli di massa dello scontro» (p. 136), o di diventare l’ennesimo «partitino» ideologico e burocratizzato dell’estrema sinistra, ma di riuscire a determinare, dal suo interno, processi di ricomposizione e direzione politica del movimento di lotta espresso dall’autonomia operaia e proletaria attraverso l’organizzazione soggettiva – ecco il compito dei militanti di Potere Operaio –  di occasioni, «scadenze», di scontro di massa generalizzato su obiettivi e parole d’ordine unificanti (come il «salario politico» per tutti sganciato dal lavoro): non più solo contro il singolo capitalista in fabbrica, ma anche contro l’organizzazione collettiva dei capitalisti, lo Stato. Come spiega l’autore, «si trattava di prendere atto […] che il rapporto lotte/organizzazione andava riconsiderato nel suo complesso, tenendo conto di quanto era emerso con chiarezza dalla vicenda contrattuale, e cioè il passaggio Dalla guerriglia di fabbrica alla lotta per il potere (per usare uno dei titoli più suggestivi del giornale) non si sarebbe verificato facilmente, per il solo diffondersi e massificarsi dello scontro sociale e delle forme di organizzazione materiale delle lotte, ma richiedeva un nuovo “salto di qualità” politico e programmatico del movimento» (pp. 157-158). Come sappiamo, nella materialità delle cose le intenzioni di potere Operaio non si sarebbero viste realizzate.
È su tale punto, sull’«agire da partito» così elaborato, all’interno di una situazione di alta conflittualità scaturita da quello che veniva equiparato a un 1905 operaio in un contesto di capitalismo avanzato, che il gruppo avrebbe misurato la propria capacità di pensare la rivoluzione e la militanza rivoluzionaria in forma inedita rispetto alla scolastica terzinternazionalista o alle suggestioni terzomondiste, e in ultima analisi i propri limiti, le proprie derive e la propria impasse, che già cominciavano a prefigurarsi nel tormentato dibattito – non solo sull’organizzazione, ma anche sulla lotta armata –  descritto da Marco Scavino in questa prima parte della sua storia di Potere Operaio, che arriva fino al gennaio 1971, considerato dall’autore come uno spartiacque.
Aspettando con impazienza la seconda parte, che sicuramente sarà all’altezza della prima, concludiamo precisando che il nodo irrisolto dell’organizzazione – attraverso la cui lente è stata scritta questa recensione – è solo una delle questioni centrali attraverso cui la ricostruzione della breve ma intensa parabola di Potere Operaio può aiutare a comprendere, senza strumentali demonizzazioni, la complessità dei movimenti di classe che hanno caratterizzato gli anni Settanta. Una conflittualità diffusa e di massa dalle radici lunghe, non solo operaia, che durante il decennio sarò arricchita dall’emergere di istanze e bisogni di altri soggetti e generazioni che con forza prenderanno parola, decretando l’implosione e il superamento delle ipotesi organizzative nate sull’onda del biennio 1968-’69.
Potere Operaio, qui considerato non come un nucleo di professori e “cattivi maestri” staccati dalla realtà sociale del proprio tempo, ma come l’insieme di tutte e tutti i militanti che, ad ogni livello, ne hanno soggettivamente costruito, partecipato per un pezzo o accompagnato fino in fondo la traiettoria rischiando dall’interno dei processi di lotta di massa dati in un periodo e in un contesto storicamente determinati, rimane attore non secondario e paradigmatico di questa storia, quella degli anni Settanta, ancora oggi irrisolti per le questioni (tutt’ora attuali!) che hanno posto e forse per propria natura irrisolvibili – come tutti quegli squarci d’epoca concretamente di rottura con l’esistente – in una memoria d’ordine pacificata.
Da un punto di vista militante, d’altronde, non è la quiete che si ricerca, ma la tempesta: compito della storia militante, quindi, non sarà quello di rendere asettico e inoffensivo l’oggetto del proprio racconto, ma di comprenderne le ragioni, le pratiche e i limiti espressi nel passato per distillare metodo, strumenti e prospettive efficaci per l’agire nel presente, consapevole, in questo modo, di riannodare i fili ancora vivi di una memoria – e di una storia – di parte.
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chiamalegge · 7 months
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Con un piede impigliato nella storia
L’autobiografia di Anna Negri inizia con una brusca perdita dell’innocenza. Figlia di Toni, professore di Scienze politiche all’Università di Padova, fondatore di Potere operaio e leader di Autonomia operaia, Anna diventa una testimone d’eccezione di quegli anni: racconta l’infanzia e l’adolescenza di una figlia cresciuta a Milano, insieme alle vicende della sua famiglia in uno snodo cruciale,…
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marcogiovenale · 2 years
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mili romano, "il rumore del tempo. bologna, settembre 1977" (2006)
mili romano, “il rumore del tempo. bologna, settembre 1977” (2006)
Nel settembre del 1977, a Bologna, durante i giorni del convegno contro la repressione, un gruppo di giovani, tra cui l’autrice, con Gianni Celati girava con un furgone un po’ sgangherato che sulle fiancate portava impressi i volti dei fratelli Marx e di Buster Keaton, passandosi di mano in mano una macchina da presa super8. Quel furgone era la sede mobile dell’allora nascente etichetta…
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