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Giovanna Ralli compie 90 anni: una vita dedicata al cinema e al teatro
Celebriamo il compleanno di una delle grandi protagoniste del cinema italiano
Celebriamo il compleanno di una delle grandi protagoniste del cinema italiano Giovanna Ralli: 90 anni di talento e passione. L’attrice Giovanna Ralli, una delle icone del cinema italiano, celebra oggi il suo 90° compleanno. Nata il 2 gennaio 1935 a Roma, Giovanna Ralli è stata una delle interpreti più amate e rispettate del panorama cinematografico italiano, con una carriera che abbraccia…
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Oggi ci lascia una delle più Grandi Attrici, Icona Mondiale del Cinema Italiano nel Mondo… R.I.P. SANDRA MILO, pseudonimo di Salvatrice Elena Greco (Tunisi, 11 marzo 1933 – Roma, 29 gennaio 2024) è stata un’attrice e conduttrice televisiva italiana.
Con la partecipazione a film come Il generale Della Rovere, Adua e le compagne, Fantasmi a Roma, Giulietta degli spiriti e, soprattutto, 8½, premiato con l’Oscar, è stata tra le protagoniste del cinema italiano degli anni sessanta e fu, insieme ad altre attrici come Claudia Cardinale e Giulietta Masina, musa del regista Federico Fellini. #sandramilo #italiancultcomedy #italiancultcomedymovie #italiancultcomedymovies #commediaallitaliana #cinemaitaliano #commediaitaliana #italiancomedy #comedymovie #italianactor #commediaitalia #attoreitaliano #attriciitaliane #italianactress #giallocomedy #italiancinema #italianactors #spaghetticomedy #attoriitaliani #cinema #film #movie #giuliettadeglispiriti #ilgeneraledellarovere #lavisita
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C'è ancora domani: il bellissimo (e arrabbiato) esordio alla regia di Paola Cortellesi
C'è ancora domani, esordio da regista più che convincete di Paola Cortellesi, qui anche sceneggiatrice e interprete: un film da vedere, magari insieme ai propri figli.
Non importa a quale estrazione sociale appartengano e indipendentemente dal livello di istruzione ed economico, tutti gli uomini del film d'esordio da regista di Paola Cortellesi dicono alla protagonista Delia, interpretata dalla stessa Cortellesi, che "se deve impara a sta' zitta". Ma L'attrice più popolare del cinema italiano contemporaneo non ci sta e, preso in mano il microfonoe la macchina da presa, ne ha diverse di cose da dire. Alla faccia di chi fa notare con pregiudizio e senza domandarsi mai realmente cosa abbiano da raccontare, fermandosi solamente al perché - come mai negli ultimi anni, sempre più attrici stiano passando dietro la macchina da presa. Con C'è ancora domani si può dire che Cortellesi ha stupito: non è soltanto perchè è importante ciò che dice, ma anche come.
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C'è ancora domani: foto di gruppo del cast
Il film è ambientato in un Italia del primissimo dopoguerra, e per essere precisi nel 1946, nei giorni che precedono il voto tra Repubblica e Monarchia, primo vero suffragio universale del nostro paese. In un bianco e nero che ricorda i film del Neorealismo, la fotografia è di Davide Leone, ci si accorge subito che la vita di questa donna non è semplice: oltre a curare la casa e prole fa tre lavori diversi. Ma nonostante il suo impegno quotidiano, niente sembra sufficiente per il marito Ivano. Un Valerio Mastandrea che raramente ha ricoperto un ruolo così cattivo sul grande schermo. L'uomo la umilia e la svaluta continuamente. E soprattutto la picchia, o come si dice a Roma la mena. Tanto, ed a ogni minimo cambiamento d'umore. Persino la mattina appena svegli.
Ma nonostante tutto, Delia lavora, per i tre figli, in particolare la maggiore, Marcella (Romana Maggiora Vergano). La ragazza vorrebbe continuare a studiare, ma il padre invece pensa solamente a farla sposare bene, in modo da togliersi dalle spalle una bocca in più da sfamare. E magari nel mentre guadagnarci pure. Sì perché nella casa, oltre ai genitori e ai tre ragazzi, c'è anche il nonno Ottorino (Giorgio Colangeli): e sentendolo parlare si capisce subito da dove provenga la violenza di Ivano. Ma l’uomo non è il solo a prendersela con Delia: anche la figlia maggiore la insulta, le dice che non vale niente e accusandola di essere debole perché non reagisce. In realtà la ragazza rivede nella madre il suo futuro.
Paola Cortellesi ha scritto, insieme agli sceneggiatori Furio Andreotti e Giulia Calenda, diretto e interpretato un film, anche se ambientato negli ultimi anni quaranta del secolo scorso è pieno di "rabbia giovane". Questo perché la rabbia delle donne non conosce tempo: in un mondo fatto su misura per gli uomini, rientrare nel genere che viene considerato "minore" è un peccato originale con cui bisogna fare i conti ogni giorno. Soprattutto quando capisci che, per quanto tu possa lavorare sarai molto spesso pagata meno e considerata meno. Anche fastidiosa, specialmente quando cercherai di dire la tua. Perché "quello è omo!", come dice a Delia il datore di lavoro, quando gli chiede spiegazioni sulla differenza di compenso con il nuovo apprendista. Nonostante le donne come lei, madri, nonne e sorelle, siano state e sono le fondamenta su cui si basa la società, la nostra incrollabile cultura patriarcale, forse ora in modo meno sfacciato, dice sempre "e ringraziate che vi facciamo esistere".
C'è ancora domani: un primo piano di Valerio Mastandrea
E all’interno del film questo è evidente quando il fidanzato di Marcella, Giulio (Francesco Centorame), nonostante si presenti come un bravo ragazzo dolce e innamorato, ripete presto nei confronti della ragazza schemi già visti: possesso, violenza, prevaricazione. Ecco perché il film di Paola Cortellesi ha una forza che serve come non mai, soprattutto al giorno d’oggi, quando pensiamo che la società abbia fatto grandi passi avanti invece orrendi fatti di cronaca ci smentiscono quotidianamente. L'utilizzo di canzoni moderne in un film ambientato quasi 80 anni fa non è per nulla casuale. Perché storie come questa possono anche sembrarci lontane, ma accadono quotidianamente, anche nel "civile" 2024. E dare per scontati diritti come quello del voto, al divorzio e all'aborto, conquistati se ci fermiamo a pensare praticamente ieri, è un pericolo insidioso. quindi anche in tempi moderno e più “civili” non bisogna abbassare la guardia.
Cortellesi non lo ha fatto di certo e ha avuto la grande intelligenza di rendere anche istruttivo il proprio film, senza però mai fare la morale o uno "spiegone-manifesto". Ma nonostante la pesantezza del tema, C'è ancora domani risulta essere anche un film divertente - grazie a quell'ironia popolare e acutissima della Cortellesi, spalleggiata nel film in modo sublime da Emanuela Fanelli, che ha il ruolo di Marisa, migliore amica della protagonista -, dal ritmo incalzante, che, anzi, ha proprio come impronta stilistica quella di smorzare e dissacrare ogni climax emotivo, che esso sia positivo o negativo. Ed ecco quindi che l'ennesima scarica di schiaffi diventa un ballo in cui i lividi spariscono o una scena d'amore viene "sporcata" da della cioccolata rimasta tra i denti.
È un esordio alla regia più che riuscito quello di Paola Cortellesi, in cui si trova finalmente qualcuno nel cinema italiano che non è nostalgico del passato ma, anzi, è invece totalmente proiettato verso il futuro. C’è ancora domani è un film che sarebbe bello le madri vedessero insieme alle figlie e, si spera, vedano anche padri e figli. Per capire che non basta dire "io non sono così", ma è il momento di dire: non voglio che queste cose succedano ancora e ancora, quindi cosa posso fare per cambiare le cose?
In conclusione C'è ancora domani, il film esordio di Paola Cortellesi alla regia, è più che convincente: ed è un film che bisognerebbe far vedere a quanti più giovani possibile, per mostrare come una società che considera meno, e umilia, più della metà della sua popolazione sia una società malata. Divertente in diversi punti e con tante scelte di regia interessanti estremamente consapevoli e con un cast perfetto sicuramente una delle pellicole migliori del 2023 per quanto riguarda il cinema italiano.
👍🏻
- La regia di Paola Cortellesi, strepitosa e piena di idee interessanti.
- La recitazione di tutto il cast.
- Il ritmo incalzante.
- La scrittura, che si poggia su un'ironia dissacrante.
👎🏻
- Non c’è nulla che non vada in questo film ma qualcuno potrebbe non apprezzare l'utilizzo di musiche moderne per un film d'epoca ma in realtà il loro utilizzo è una scelta perfettamente coerente con quanto viene raccontato.
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Capitolo 23 – Conquistiamo futuro recuperando il passato
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IV.22
Nel cerchio di un anello
Alla ricerca di ricordi
affidati alla memoria
di chi c’era.
Assecondiamo
un movimento circolare,
percezione di una retta
un avanti che se continuo
fa ritorno.
Conquistiamo futuro
recuperando il passato,
architetti del presente
disegnatori specializzati
di memorie interne.
tratta da Canti Malinconici, una raccolta di mie poesie inedita.
Mi trovavo seduta sul lato passeggero, mia sorella stava guidando e scattai dal mio smartphone una foto del sole che stava tramontando su una curva di strada, nel traffico denso del Grande Raccordo Anulare. Qualche giorno dopo postai quella foto su Instagram con la poesia in epigrafe, era ottobre.
Dopo il rientro da Barcellona avevo ripreso a scrivere, a fotografare e avevo continuato a disegnare il mio diario grafico; il mio processo di elaborazione era finalmente iniziato. Sapevo di essere spiata quindi censuravo molto la mia scrittura, non toccavo direttamente il dolore, non lo fronteggiavo come avrei voluto fare e come avrei fatto, se avessi avuto la certezza di essere l’unica a leggere ciò che scrivevo, avevo trovato un modo di nascondermi tra parole e simboli mentre cercavo di maneggiare con cura il buio.
Partii per Roma, m’imbarcai su una nave che partiva da Palermo e dato che in navigazione internet non funziona, mi sentii libera di scrivere e quella notte in nave iniziai un racconto autobiografico che conclusi, qualche giorno dopo, durante la navigazione Civitavecchia - Barcellona.
Avevo da poco letto La scomparsa di George Perec. Il libro è scritto interamente senza mai, dico mai, utilizzare la lettera e; un gioco letterario in cui cela la più grande sparizione del suo libro. Sentivo che qualcosa di me stava scomparendo, mi trovavo a Roma anche perché dovevo ritirare dalla segreteria universitaria i documenti che mi sarebbero serviti, qualora avessi richiesto la convalida dei titoli in Spagna. Avevo detto a tutti che mi trasferivo lì per svolgere la mia professione, ma non lo sentivo vero. Non volevo più fare la psicologa, ero in totale burn out e capivo che non sarei stata in grado di svolgere la mia professione adeguatamente.
Intitolai il mio racconto La scomparsa e per undici capitoli, partendo dall’ultima sera trascorsa a Gela, presi a pretesto ciò che realmente mi accadde durante quei giorni e intrapresi un viaggio nei luoghi della mia memoria, della memoria delle persone che incontravo e di quelle che ritrovavo. Qualcosa di me stava veramente scomparendo ed io volevo fare come le farfalle, quando dopo essersi scrollate di dosso la carcassa del bruco, si allontano e camminando piano piano sulle zampe, si fermano e aspettano pazienti che il vento asciughi le loro ali.
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A San Lorenzo, il quartiere dove si trova la Facoltà di Psicologia e la sua segreteria, camminando per via degli Apuli corre lungo un muro dove su uno sfondo color salmone, scorrono le sagome bianche delle donne uccise da uomini che dicevano di amarle. In ogni sagoma bianca c’è scritto il nome della donna, la data del giorno in cui è stata uccisa e chi l’ha uccisa: marito, ex-marito, padre, compagno, ex-compagno, fidanzato, fratello, amico, figlio e dopo, si ripetono uguali, per lo più ex qualcosa.
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Il giorno che andai a ritirare i documenti passai davanti a quel muro vedendolo per la prima volta. In uno dei capitoli del mio racconto scrivo:
La segreteria era ancora chiusa ma decisi di aspettare fuori in modo da essere la prima. Dopo poco venne ad aspettare anche un ragazzo e condividemmo, come spesso accade nel mio Paese durante una fila ad un luogo pubblico, la nostra comune insoddisfazione per il modo di lavorare del luogo pubblico in questione, in quel caso la segreteria universitaria, da qui passammo alla critica dell’Università intera fino ad arrivare non so come, a parlare del caso Weinstein. Raccontai di aver letto proprio quella mattina che altre attrici si erano aggiunte alle denunce per molestie sessuali contro il regista, aggiunsi il mio rammarico sul fatto che alcune amiche, donne quindi, condividessero il pensiero di molti, riguardo all’opportunità che queste attrici avessero avuto di fare carriera in questo modo e riflettevo su quanto invece, sia spesso difficile per le vittime denunciare una violenza subita. A quel punto il ragazzo mi rispose:
«Come dice una tua conterranea (si riferisce a Carmen Consoli e cita la frase di una delle sue canzoni più famose) “Se è vero che ad ogni rinuncia corrisponde una contropartita considerevole, privarsi dell’anima comporterebbe una lauta ricompensa”, e io la penso come lei, magari adesso si sono pentite di averlo fatto e cavalcano l’onda della giustizia, ma sul momento hanno approfittato dell’opportunità».
A quel punto non parlai più, sembra che sia proprio atavico il pregiudizio che una donna che subisce violenza, in qualche modo ne sia responsabile.
Rileggendolo oggi aggiungerei che radicato è anche il pregiudizio che una donna che subisce violenza possa non averne sofferto così tanto, che sia anzi probabile che dall’esperienza qualcosa abbia persino guadagnato. Un pensiero brutale ma condiviso da molti, da così tanti che sembra quasi comprensibile che un produttore violenti le attrici con cui lavora mentre ci lavora, come brutalmente normale -tanto da essere legge- era considerato durante il secolo scorso, il matrimonio riparatore.
Rileggendo oggi quello che scrissi allora, mi fa ancora orrore ma non mi sorprende più se un ragazzo di vent’anni, un giovane studente di Psicologia, che si reca ogni giorno in Facoltà per seguire le sue lezioni, passando accanto a quel muro resta indifferente mentre gli scorre a fianco la sfilata della violenza. Non mi sorprende nemmeno quando ascolto notizie di cronaca su personaggi famosi, o come sempre più spesso accade su figli di uomini famosi, accusati di violenza sessuale nei confronti di donne e adolescenti. Adesso so che la fama talvolta può essere una maschera di carnevale, indossata la quale tutto è lecito. Non mi sorprende più ma continua a farmi orrore.
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I Canti Malinconici e La scomparsa sono stati scritti per me, non per essere pubblicati o letti da chiunque. I Canti li ha letti soltanto un amico, che a sua volta mi ha permesso di leggere il suo romanzo mai pubblicato. L’unica persona che ha letto La scomparsa è Giò, a cui è dedicato un intero capitolo. Lei è l’unica persona che ha letto tutti i miei racconti, anche quelli più intimi. Mi piacevano sia le sue critiche che i suoi apprezzamenti, anche quando le sue riflessioni su ciò che esprimevo, o su come lo esprimevo, mi disturbavano un po’ mi spingevano ad andare oltre, ad esprimermi ancora e meglio di prima, ma soprattutto mi fidavo di lei e di come avrebbe usato il suo sguardo sulla mia intimità.
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Non ci vedevamo da anni, ci rincontrammo a San Lorenzo lo stesso giorno che ritirai i documenti in segreteria, all’ora di pranzo avevamo appuntamento davanti l'entrata dell'Università. Lei fu la prima a cui confessai l’identità del personaggio famoso e dato che già lo seguiva su Instagram si accorse, nei mesi seguenti, delle risonanze tra quello che scrivevo io e ciò che lui pubblicava sul social.
Così scrivevo del nostro incontro e di quando le raccontai quello che mi stava accadendo
...Dell’amicizia però, il senso più nobile è la fiducia. Ecco perché è una forma d’amore. L’amico vero ti conosce, è quello che quando tutto il modo ti dà del matto, sa che sta accadendo qualcosa di grosso, che magari non capisce ma non dubita mai, nemmeno per un secondo, che tu sia impazzito.
...Giò sapeva e non dubitava della mia salute mentale, anche se capii che era in apprensione per la mia salute psichica. Con lei non fu difficile raccontare della storia virtuale, non fu difficile neanche confessarle quando la storia d’amore nel web aveva iniziato a tingersi di giallo e a diventare una storia di spionaggio, delazioni e delatori. Per la prima volta, riuscii ad esprimere il senso d’impotenza in cui mi aveva gettato l’essere vittima di un hacker che era in grado di fare qualsiasi cosa con il mio smartphone e con il mio iPad. Ascoltarmi, osservarmi, leggere i miei contenuti, i miei messaggi, i documenti, qualsiasi cosa, come se i miei supporti tecnologici fossero i suoi. Avere accesso completo a ogni sfera della mia privacy. Riuscii finalmente ad esprimere come il non avere i mezzi per poter porre fine a questo abuso, mi facesse sentire debole e sfiduciata, completamente impotente.
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E poco dopo
“Cosa ti piaceva di lui?” Giò ha chiesto a un certo punto.
Cosa mi piaceva. Mi piaceva quello che diceva, come lo diceva. Mi piacevano le cose a cui dava importanza. Mi piaceva la sua azione sociale, condividevo quello contro cui lottava…
…Non ho l’animo della fan per i personaggi pubblici. Anche gli Stati con ancora i regni monarchici mi fanno uno strano effetto, così assurdo, quasi surreale.
..Dico questo per dire, che penso si possa apprezzare l’opera di qualcuno, di un personaggio pubblico noto, come non so uno scrittore, un artista o un politico per esempio, senza per questo innamorarsi o desiderare di avere una relazione più intima con lui o con lei. Il sentimento del fan penso, include questa speranza, come include una quasi morbosa curiosità per i dettagli della vita personale e privata di questo personaggio noto. Io non sento questo desidero per nessuno dei personaggi che ammiro, e non lo sentivo neanche nei suoi confronti, mi piaceva e lo ammiravo, e stimavo la sua capacità di vivere in una situazione particolarmente difficile come era quella in cui viveva lui.
(..ho iniziato)A sentire oltre le sue parole, a sentirmi chiamata dalle sue parole e a sentire una profonda empatia per lui. Ho iniziato a vedere quello che non mostrava, quello che tra parole, punteggiatura ed immagini restava un silenziosissimo urlo.
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La corsa in auto con mia sorella finì in un locale di San Lorenzo, quello dove pranzai con i miei amici e la mia famiglia per festeggiare il giorno che discussi la tesi. Quella sera incontrai due compagne di studio che avevo perso di vista quando mi trasferii in Sicilia. C’eravamo tutte e tre laureate con una tesi in psicofisiologia con il prof. Vezio Ruggieri. Era stato il nostro maestro. Molto di quello applico nel mio lavoro me lo ha insegnato lui; ancora oggi utilizzo molti dei principi del Modello Psicofisiologico Integrato da lui creato per i miei interventi. In uno dei capitoli del mio racconto parlo dell’importanza che il prof. Ruggieri ha avuto nella mia formazione di psicologa, racconto dei seminari di teatroterapia e di musicoterapia che seguii con lui per tre anni, della mia partecipazione al montaggio e alle riprese del film che stava realizzando sulla filosofa Ipazia, di come le sue lezioni e il suo modo di osservare abbiano profondamente influenzato la mia maniera di intendere la psicologia e l’essere umano.
La scomparsa è un testo nel quale riannodo le fila di un lungo percorso di vita in un momento di totale frammentazione. Sto lasciando il mio Paese, ho quarant’anni e guardo indietro vedendo gli anni della mia gioventù, passo al setaccio i progetti che avevo e i sogni che mi spingevano a realizzarli per capire cosa ne è rimasto. Recupero pezzi di me recuperando amicizie lontane nel tempo, riscopro cosa hanno significato per custodire con più cura quello che mi hanno trasmesso. Rivedo i momenti in cui le mie scelte hanno deviato un corso che poteva andare altrimenti, riconosco i passi che mi hanno portato a diventare quello che mi scopro essere diventata.
Se oggi pubblico parti di questi scritti personali non è soltanto perché mi aiutano a ricordare, a raccontare e a trovare un senso, ma perché come ho detto all’inizio di questo blog, tutto ciò che pubblicherò qui, è tutto ciò che lo stalker ha visto spiandomi, ha preso e ha utilizzato per le sue pubblicazioni. Almeno quelle di cui mi sono accorta. Se ce ne siano di più di quelle che riporto non lo so, e confesso che sono anche contenta di non saperlo. Nel 2020 lo stalker ha pubblicato un saggio molto più corposo dei mie 11 capitoli, in cui scrive a se stesso ripercorrendo i luoghi e i personaggi, attraverso i loro libri, che sono stati utili alla sua formazione. Tra questi la filosofa Ipazia che, in un video di presentazione del suo libro arrivatomi in notifica sul mio smartphone, dice di amare letteralmente non soltanto metaforicamente. Non ho letto il libro, quello che so è quello che mi ha sbattuto in faccia con le sue notifiche e con i suoi post fino a quando l'ho seguito. Quello che ho visto è bastato a farmi riconoscere ciò che era mio, ciò che apparteneva alla mia vita.
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In un certo senso la psicologa che ero nel tempo in cui scrivevo La scomparsa non c’è più, ce ne una diversa, una che conosciuto il trauma e lo stress traumatico non solo come professionista, come studiosa e per interposta persona, ma anche come vittima. O come sto cercando di fare, come protagonista. Alla maniera di Yayoi Kusama provo a riappropriarmi delle mie paure, dei miei dolori, delle mie ferite, le mostro e me ne libero, lasciandole qui libere di vagare nella rete.
Roma 26 febbraio 2023 h: 5.25pm – 27 febbraio 2023 h:5.05pm
#LOVEINTblog#stalking online#Yayoi Kusama#abuso#potere#resistenza#hacker#amicizia#maschere#trauma#solidarietà#libertà#sorveglianza#socialmedia#verità#speranza#empatia#loveintblog#privacy#azione
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Serena Grandi è una delle attrici più amate dal pubblico
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Serena Grandi ha sempre incantato tutti sia con con la sua bellezza che con il suo talento. Serena Grandi, all’anagrafe Serena Faggioli, si trasferisce a Roma con il sogno di fare l’attrice. Tanti i film che l’hanno vista protagonista e l’hanno consacrata al grande pubblico. Accanto alla carriera, l’attrice ha avuto anche un’intensa vita privata. Dal 1987 al 1993 è stata sposata con l‘arredatore e antiquario Beppe Ercole con cui ha avuto un figlio, l’unico dell’attrice, Ercole. In un’intervista la Grandi ha svelato un retroscena sulla propria carriera: «A un certo punto volevano farmi fare solo le parti di madre. Avevo 35 anni e facevo la mamma di Lorella Cuccarini, di Carol Alt. Allora ho aperto un negozio di antiquariato in piazza Navona. Più avanti un ristorante. Questo mi ha aiutato a non sconvolgere i miei algoritmi, perché il telefono non suonava spesso o mi proponevano ruoli solo per avere il mio nome in cartellone». Oggi, è pronta per accettare ruoli da nonna. Serena Grandi e il tumore al seno: la paura dell’attrice Serena Grandi ha parlato anche della propria malattia. “Ho avuto un terribile tumore al seno, mi sono operata e vivo con una sola mammella perché non ho voluto la ricostruzione. E poche settimane fa ho temuto che il male fosse tornato”, ha svelato l’attrice. Poche settimane fa ha temuto che la malattia fosse tornata: “C’erano dei sospetti sull’altro seno, ho fatto tutte le analisi di corsa e non era niente. Ma la paura è stata forte visto che avevo smesso la cura da qualche tempo”, ha svelato ancora tirando, fortunatamente, un sospiro di sollievo. Read the full article
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Beatrice Campagna - Il nuovo cortometraggio “Coming Out”
La regista lascia immergere il pubblico nei ricordi di una storia d’amore e separazione
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Il cortometraggio “Coming Out” della regista Beatrice Campagna, è stato proiettato alla VI Edizione dell’Aprilia Film Festival di Roma tenutosi il 21 e il 22 settembre 2024, vincendo il “Premio del pubblico Sabato” (https://cinecittanews.it/aprilia-film-festival-tutti-i-vincitori/). La produzione del corto è stata curata da Duende Film, una realtà del panorama cinematografico indipendente, che ha costruito solide collaborazioni con registi, attori e sceneggiatori di talento, arricchendo il proprio patrimonio creativo. Ogni progetto portato avanti è frutto di una combinazione unica di esperienza, innovazione e dedizione: l’obiettivo di Duende Film è quello di restituire forza comunicativa e ispirazione, partendo da un’esigenza espressiva. Le storie trattate hanno una loro identità e si propongono come esperienze uniche da ricordare per il pubblico. La distribuzione è nelle mani di Associak, una casa di distribuzione cinematografica indipendente nata nel 2012 ed impegnata nella diffusione artistica e commerciale di lungometraggi, documentari e cortometraggi nei principali festival nazionali.
“Coming Out”, oltre ad essere il titolo del corto, è anche il primo locale gay di Roma, dove sono state effettuate le riprese, situato davanti al Colosseo. In questo luogo, fervono i preparativi per uno degli eventi più importanti dell’anno: il Pride, la parata che termina la sua corsa nella stessa via del locale, San Giovanni in Laterano. Lisa, una donna di 38 anni, ha fondato e gestisce il “Coming Out” da più di vent’anni ma, quest’anno, per lei, si respira un’aria diversa. Per la prima volta, infatti, non trascorrerà questo giorno con la compagna Gaia e il loro bambino. La separazione è ancora fresca, la loro storia andava avanti sin da quando erano adolescenti e i nuovi equilibri familiari si stanno ancora formando. Lisa continua ad organizzare i preparativi, riflettendo sul passato e mischiando i propri ricordi con i suoni e i colori del Pride (in questa sequenza, si evidenziano anche le riprese ad Anguillara). La storia narrata lascia immergere il pubblico in una dimensione intima e personale, trattando tematiche di estrema attualità con una sensibilità nuova e un punto di vista originale e autentico.
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Le attrici che hanno partecipato sono Anna Malvaso e Lara Balbo, rispettivamente nei ruoli di Lisa e Gaia; Elena Giuliano e Anna Chiara Gabriele, invece, hanno interpretato le due donne da adolescenti. Giulio Loreti Scarnera ha avuto il ruolo di Giulio, mentre Giovanni Cipolletta e Alex Croitor hanno recitato nei panni di Luca e Matteo. Gli altri camerieri del locale sono stati interpretati da Luigi Nicolas Martini e Alessandro Di Felice. Il produttore esecutivo del cortometraggio è Stefano Bacchiocchi, mentre i direttori della fotografia e delle musiche sono rispettivamente Roberto Gigliotti e Lilla Fiori. Il montaggio è stato curato dalla stessa regista Beatrice Campagna.
Storia della regista
Beatrice Campagna è nata a Roma nel 1989. Da sempre appassionata di cinema e teatro, dopo il liceo classico ha frequentato il DAMS di Roma Tre, oltre a diversi corsi più specifici (sceneggiatura, montaggio, regia). Sui set di film, videoclip, spot e cortometraggi ha ricoperto con continuità, per oltre dieci anni, i ruoli di segretaria di produzione, coordinatrice di produzione, assistente casting, assistente alla regia e aiuto regia. Tra le molte, ha lavorato per la Wildside e la Lotus Production.
Per quest’ultima, ha seguito la fase di sviluppo dei progetti; ha collaborato stabilmente con la società Agidi, seguendo la produzione di film e spettacoli teatrali (principalmente del trio “Aldo Giovanni e Giacomo”). Durante gli anni di impegno sul set, ha sempre continuato a scrivere per il cinema e per il teatro, lavoro che ormai svolge a tempo pieno. Oltre a diverse regie teatrali, ha realizzato nel 2020 la co-regia con Simone Miccinilli di una serie web “Fregene 37.1”, degli Actual; nel 2023 scrive per il cinema, firmando la sceneggiatura dei film a episodi "I migliori giorni" e "I peggiori giorni", per la regia di Massimiliano Bruno e Edoardo Leo, prodotti da IIF. Contemporaneamente, scrive e dirige per diverse aziende spot per il web e videoclip per artisti emergenti.
Nel 2024 è coinvolta da Istituto Luce nella scrittura del progetto "100 anni di Luce", che verrà proiettato alla 19esima edizione della Festa del Cinema di Roma. “Il Grande Méliès” (2022) è il suo primo cortometraggio da regista, vincitore di oltre trenta premi in Italia e all'estero, acquistato poi dalla piattaforma Mediaset Infinity+. "Coming Out", distribuito nei festival dal 2024, è il secondo corto che dirige.
Beatrice Campagna
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Duende Film
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Biki
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Biki è stata una importante imprenditrice della moda che ha contribuito a lanciare il made in Italy nel mondo.
Ha vestito attrici e teste coronate e, soprattutto, ha forgiato lo stile di Maria Callas che si affidava completamente al suo gusto.
Nata a Milano il 1 giugno 1906 come Elvira Leonardi, portava il nome della nonna, sposata in seconde nozze con il compositore Giacomo Puccini che era solito chiamarla affettuosamente col soprannome Bicchi, birichina, più tardi trasformato in Biki, su suggerimento di Gabriele D’Annunzio. Cresciuta in un ambiente colto e raffinato, tra musica, teatro e arte, aveva sviluppato, sin da piccola, un gusto naturale per l’eleganza.
Aveva imparato a fare la maglia e cucire grazie alla nonna Elvira, durante la Grande Guerra. Dopo gli studi al liceo Manzoni, frequentando il mondo dell’arte e della cultura, aveva viaggiato spesso in Europa per seguire le tournée di Arturo Toscanini, padre della sua cara amica Wally, in Francia, allora patria della moda mondiale, aveva avuto modo di apprezzare lo stile dei couturiers e trarne ispirazione.
Nel 1934, la sua prima esperienza imprenditoriale è stata Domina, casa di biancheria intima che proponeva camicie da notte che somigliavano ad abiti da sera, scollate, trasparenti e sensuali che destarono scandalo e, insieme, ammirazione.
Dopo il successo del nuovo modo di vestire la notte, decise di mettersi in proprio e creare capi di alta sartoria, abiti da gran sera e tailleurs. In breve era diventata la sarta delle maggiori personalità del mondo della cultura, dello spettacolo e della finanza.
Nel settembre 1936 ha sposato Robert Bouyeure, antiquario francese, con il quale ebbe una forte intesa anche in campo lavorativo. L’anno seguente nacque la loro figlia Roberta, che ha seguito le orme della madre e lavorato con lei fino alla fine.
Dopo la crisi provocata dalla guerra, per risollevarsi, ebbe l’intuizione di mettere la sua arte al servizio delle mutate esigenze sociali e, in un clima profondamente cambiato, pur restando fedele al suo stile, lanciare la prima linea di prêt-à-porter.
Per prima, per sostenere i costi, ha utilizzato fibre sintetiche e artificiali e costruito alleanze con fabbriche di tessuti.
Il suo stile si caratterizzava per gli accostamenti audaci di colori e di tessuti, come il blu marino e il verde mela, il viola e il blu, il giallo e l’arancio, e l’unione di pelle e chiffon, tela e jersey di seta, feltro e raso.
Dalla metà dei Cinquanta alla metà dei Sessanta ha consolidato uno stile italiano che non imitava più la haute couture francese.
È stato il suo decennio d’oro. Grazie al contributo del couturier francese Alain Reynaud, marito di sua figlia, la sua maison ha conosciuto uno sviluppo internazionale. La trasgressione lasciava il posto alla linearità e impeccabilità dello stile.
In quegli anni ha aperto negozi in varie località italiane e svizzere, come Saint Moritz, Portofino e Roma e poi ancora in Francia, negli Stati Uniti e ancora in Giappone, dove ebbe grande popolarità.
È stata questa l’epoca della cliente più nota, Maria Callas, conosciuta nel 1951, di cui ha inventato il look e che, da testimonial d’eccellenza, con le sue tournée in giro per il mondo aveva rafforzato la fama della sartoria. Il loro è stato un sodalizio iconico di amicizia e stile.
È di Biki anche l’abito nero indossato da Jeanne Moreau nel film La notte di Michelangelo Antonioni, del 1961.
Questa signora appartenente a una classe sociale che non aveva bisogno di lavorare, si è impegnata fino all’ultimo giorno della sua vita. Non amava farsi chiamare stilista ma semplicemente sarta. Insignita del titolo di Commendatore prima e di Grande ufficiale dell’ordine al merito della Repubblica italiana, poi, è stata, per diversi anni, nel consiglio d’amministrazione del Corriere della Sera.
Aveva ereditato dalla madre, che si era risposata con Mario Crespi, uno dei maggiori proprietari, una grossa fetta di azioni dell’impero editoriale.
Ha tenuto rubriche di moda su varie riviste e alla radio.
Dopo gli anni sessanta, che hanno visto il fiorire della rivoluzione anche negli abiti, in contro tendenza, ha lanciato una moda molto sobria, destabilizzando coi suoi abiti da sera confezionati in tweed.
Ha abbandonato le passerelle solo negli anni Ottanta, per dedicarsi al nascente mercato asiatico e alla sua Biki-Japan.
Con la sua morte, avvenuta il 24 febbraio 1999, la maison è stata chiusa.
La documentazione relativa alla sua vita e attività creativa, è depositata presso le Civiche Raccolte Storiche del Comune di Milano.
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[…]
Dunque il privato. E dunque Aldo De Rosa, suo marito da anni immemori. L'altra metà della mela, complementare in tutto, lei atea lui cattolico, lei una scienziata lui un letterato ("un'enciclopedia vivente che consulto in continuazione"), lei del tipo aggressivo e lui pacioso, "imprevedibile, timido, sognatore, come un extraterrestre, il mio opposto".
Si sono conosciuti da bambini, a Firenze, dove lei abitava profeticamente in via Centostelle. "Io avevo 11 anni e lui 13, ci incontravamo ai giardini pubblici. Giocavamo a guardie e ladri, noi s'era sempre i ladri. Facevamo anche grandi tornei di palla e corse di resistenza. Ci arrampicavamo sugli alberi, e io lo battevo sempre". La loro frequentazione si interrompe per dieci anni: il padre di Aldo, commissario di polizia, viene trasferito, prima all'Aquila, poi a Palermo. "Ci siamo ritrovati all'università e a dire il vero ci eravamo piuttosto antipatici. Si litigava sempre, non mi ricordo poi com'è finita che ci siamo innamorati e addirittura sposati".
Da ragazza, campionessa di salto in lungo e di salto in alto, Marga era fascista: "Si era tutti nazionalisti, si andava alle adunate, si faceva sport, ci si divertiva un mondo. Sono stata fascista fino al '38, fino al giorno in cui entrarono in vigore le leggi razziali. Avevo una professoressa di scienze bravissima, si chiamava Enrica Calabresi, con un centinaio di pubblicazioni al suo attivo, che era ebrea e da un giorno all'altro non venne più a scuola. Cercammo di informarci, di sapere che cosa le era capitato e solo dopo la guerra venimmo a sapere che era stata rinchiusa a Santa Verdiana, il carcere femminile di Firenze, e venti giorni dopo morì suicida: si avvelenò".
Nel '44, a febbraio, Margherita e Aldo si sposano. "Io non avevo nessuna voglia di sposarmi. Considero il matrimonio una cosa inutile. In chiesa poi! Mi vergognavo come un cane. Ma i genitori di Aldo erano religiosi, erano credenti, ci tenevano... Il mio abito da sposa? Un cappotto rivoltato. Celeste, credo. E cosa portavo sotto non me lo ricordo neppure. Niente di speciale comunque. Anche Aldo aveva un cappotto rivoltato. Una cerimonia semplicissima, eravamo sette o otto persone in tutto. Nessun pranzo di nozze. Andammo lui e io da soli a mangiare in una trattoria a piazzale Michelangiolo. Mangiammo certi spaghetti al pomodoro così cattivi che ancora me li ricordo. Ci voleva la tessera per mangiare: si staccavano i bollini".
Margherita Hack sa che c'è un attore molto bravo, si chiama Max Tortora, che le fa una splendida imitazione, ma non l'ha mai sentito, non l'ha mai visto. Se ne infischia allegramente di essere presa in giro sulla sua, diciamo così, non vanità. "Da giovanissima un po' ci tenevo. Mi piaceva vestirmi bene, anche se sempre in modo molto semplice. Truccarmi no, al massimo avrò messo qualche volta un po' di rossetto. Ma se i capelli non mi stavano come volevo io pativo molto. Poi m'è passata. A 18 anni ho smesso di badarci. Non mi sentivo più incerta. Molta sicurezza me l'ha data lo sport. E forse anche il successo negli studi, la matematica. Mi sentivo forte". Niente trucco, niente abiti femminili, niente shopping: "Ancora oggi per me è la peggiore delle condanne. Piuttosto vado vestita di stracci. Se devo entrare in un negozio mi vergogno, ci vado soltanto quando è indispensabile, preferisco i grandi magazzini, perché nei negozi normali mi appioppano quel che vogliono loro".
Chissà se oggi, a 84 anni, con una vita piena di successi e gratificazioni alle spalle, tanti amici, figli di amici, nipoti di amici alcuni dei quali sono già in cattedra, le capita mai di rimpiangere di non avere avuto bambini. "Mai, mai. Noi i figlioli non si volevano. C'è chi è portato e chi non è portato: io non sono portata. Da ragazza poi mi dava molta noia tutta quella propaganda di Mussolini secondo cui le donne dovevano fare figlioli per forza, e anche tanti. Oggi c'è molta retorica attorno alla maternità. Io preferisco i gatti".
Dai genitori non ha avuto nessun condizionamento. "Mi hanno cresciuta nel modo più libero, senza ancorarmi ai ruoli femminili, inculcandomi due valori fondamentali: la libertà e la giustizia. Una grande fortuna per me". E la religione? "Mio padre era nato protestante, mia madre cattolica, ma erano entrambi disgustati della loro religione e aderirono alla teosofia, laicamente però".
Atea, e in modo granitico, lo è diventata prestissimo. Non crede in nessun sublime orologiaio: "L'idea che esista Dio mi sembra talmente assurda! Non c'è né Dio, né l'aldilà, né l'anima. Quello che noi chiamiamo anima è il nostro cervello. Non credo nella vita dopo la morte e tanto meno credo a un paradiso in versione condominiale, dove rincontrare parenti, amici, nemici, conoscenti. Non mi soddisfa. Certo, può essere consolatorio: un po' come credere alla Befana...". Ma professarsi così strenuamente atea non è, alla fine, una forma di fede anche quella? "Dice? La verità è che non me n'è mai fregato nulla della religione, a esser sincera".
Né della religione né della morte: "Non me ne preoccupo minimamente. Io la penso come Epicuro. Quando c'è la morte non ci sono io, e quando ci sono io non c'è la morte. Della malattia sì, ho paura: ho paura di soffrire, di non essere più autonoma, per questo sono così favorevole all'eutanasia. La vita e la morte appartengono all'uomo e non a Dio. Uno Stato laico e non teocratico deve riconoscere il diritto all'eutanasia come all'aborto, ai pacs, al divorzio, alla ricerca sulle cellule staminali embrionali". Lo ripete ogni volta che può. Quando va in televisione per esempio. La sua tv è piccola e un po' sbilenca: la accende soltanto per guardare i telegiornali e i dibattiti, essenzialmente su Rai3 e la7. Confessa di avere un debole - sarà perché è animalista - per Il commissario Rex; quanto ai reality li etichetta come "tutte bischerate".
Il suo approccio con le stelle è quanto di meno "poetico" si possa immaginare: "Capisco che un bel cielo stellato possa essere uno spettacolo meraviglioso, ma come un bel tramonto, come una bella aurora, come un magnifico paesaggio, non a caso l'Unesco ha dichiarato il cielo stellato patrimonio dell'umanità. Ma perché turbarsi?". Abituata a scrutare l'infinito, Margherita Hack alle stelle non chiede segni ma temperatura, densità, composizione chimica. "La gente ci immagina a testa in su che studiamo il cielo con un cannocchiale. Ma quando mai? In realtà stiamo molto più tempo al computer. Anzi: i telescopi moderni sono dei computer su cui i rilevatori elettronici traducono l
'intensità delle radiazioni delle stelle esprimendola in numeri".
Ammette di avere con il firmamento lo stesso approccio che gli entomologi hanno con gli insetti e non condivide la celebre affermazione di Kant: "Due cose mi riempiono l'animo di crescente meraviglia e di timore: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me". La legge morale benissimo, anche la meraviglia di fronte alle stelle, ma non certo il timore: "È sbagliato provare questo senso di annientamento. Anzi: quel che sento io è proprio il contrario. È una grande soddisfazione al pensiero che noi siamo così piccini, viviamo così poco, eppure negli ultimi cento anni siamo riusciti a capire così tanto di astrofisica, c'è stata un'accelerazione incredibile".
Se avesse la bacchetta magica chiederebbe di poter campare altri diecimila anni, perché è curiosissima del futuro: "Altri diecimila anni per scoprire cos'è la materia oscura, arrivare al primo istante del big bang, vedere tutte le conseguenze meravigliose che avrà la mappatura del DNA". Se potesse o dovesse trasferirsi su Marte, in fondo il meno inospitale fra i pianeti del sistema solare, porterebbe con sé "Guerra e Pace, la Montagna incantata, Vivaldi, Mozart e Bach. E anche la mia amatissima bicicletta: su Marte sicuramente non c'è traffico".
In bici - per ora sulle salite e sulle discese di Trieste - ci va ancora, mentre ultimamente ha rinunciato alle partite di pallavolo: "Ho le ginocchia di titanio, non posso più saltare". Moni Ovadia l'ha definita una straordinaria affabulatrice: "Forse perché quando faccio le conferenze o tengo lezione, riesco a sorprendere chi mi ascolta dicendo cose meno ovvie. Mica faccio come gli americani però, che raccontano tutte quelle barzellette!".
Da brava affabulatrice ha scelto la favola delle favole, Pinocchio, come "libro di una vita" di cui andrà a parlare a Roma il prossimo giugno nella basilica (aiuto, una chiesa!) di San Lorenzo in Lucina: "Pinocchio perché è il libro sul quale ho imparato a leggere. Perché è il libro delle avventure. Perché c'è dentro tanti insegnamenti che si attagliano a oggi: i ladri fuori, gli onesti in galera...".
Già, i libri: tracimano in questa piccola casa frugale. Saranno trentamila, stipati ovunque, in un disordine travolgente nel quale Marga sembra orientarsi perfettamente, per nulla scoraggiata. Ci sono pile che partono da terra e arrivano fin quasi al soffitto, pile sul tavolo da pranzo, pile in cucina, pile di fronte ai vecchi divani, pile su cui saltano elastici i gatti. Ne prendo un paio a caso, fra quelli più a portata di mano. Uno si intitola I labirinti del sacro, dalla protostoria alla New Age quantistica. Un altro è l'autobiografia di Rossana Rossanda, La ragazza del secolo scorso. Margherita Hack si guarda intorno, sorride e allarga le braccia: "È il tempo, è il tempo che mi manca. Quando riuscirò a leggere tutto questo?".
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lunedì 29 gennaio 2024 Sandra Milo nel film Adua e le compagne Sandra Milo è deceduta all’età di 90 anni nella sua casa, a Roma, circondata dall’affetto dei famigliari. Musa di Federico Fellini, è stata una delle più celebri attrici del cinema italiano. Nata a Tunisi l’11 marzo 1933, esordì al cinema nel 1955 accanto ad Alberto Sordi; nel 1959 ebbe il primo ruolo importante nel film Il generale…
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21 gennaio, roma: l'aperossa in piazza per la palestina
Domenica 21 gennaio 2024, nelle piazze Sauli e Sant’Eurosia a Garbatella (Roma), a partire dalle ore 10:00, un gruppo di attori e attrici, tra cui Laura Antonini, Eugenia Costantini, Simone Liberati, Alessio Moneta e Luca Di Giovanni, reciteranno brani tratti da opere di poeti e scrittori palestinesi ed ebrei.La performance è pensata come un happening dove l’azione degli artisti irrompa nella…
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Si è conclusa a Roma la manifestazione culturale Natale in V Municipio. Cinema e musica sono stati protagonisti di una serie di appuntamenti promossi da CIAO LAB APS nel territorio del V Municipio di Roma. Con il concerto tributo Morricone e non solo, eseguito dal Quartetto dell'Orchestra Sinfonica Nova Amadeus, composto da un trio d'archi e un flauto, nel Teatro San Giustino di Roma, si è conclusa il 28 dicembre 2023 e con meritato successo la I edizione di “Natale in V Municipio”. L'evento, promosso da CIAO LAB APS in collaborazione con Ass.ne Nova Amadeus, Accademia Togliani, è stato realizzato con il finanziamento del V Municipio e con il patrocinio gratuito di OPES APS. Questa I edizione ha visto una grande affluenza di pubblico in occasione degli appuntamenti in programma nel mese di dicembre 2023 e destinati agli amanti del cinema e della musica. Grande successo quindi al Cinema Aquila in occasione della rassegna di cortometraggi “Merry Cine - Mas”, condotta da Adelmo Togliani e Chiara Vinci, una serata di proiezioni alla presenza di registi, attori e attrici che hanno dialogato con il pubblico in sala. La musica ha poi avvolto il quartiere del Pigneto in occasione del Concerto“Gran Galà di Fine Anno e Natale 2023” dell'Orchestra Sinfonica Nova Amadeus diretta dal M° Mirca Rosciani al Teatro San Luca. Il pubblico ha avuto la possibilità di assistere all'esecuzione di alcune fra le più belle sinfonie e arie d’opera di Strauss, Verdi e Puccini con un’orchestra di venti elementi oltre al tenore Delfo Paone ed al soprano Anastasia Demchenko. Il concerto rientrava nella programmazione della trentunesima Stagione Concertistica dell'Orchestra Nova Amadeus, sotto l’egida del Ministero della Cultura. «Siamo stati onorati di aver portato alcuni valori della cultura, in questo caso attraverso il buon cinema e la buona musica, all'interno del territorio del V Municipio. Il nostro evento “Natale in V Municipio” ha voluto offrire al pubblico una serie di eventi di alto livello e guidati da grandi professionisti del cinema e della musica», afferma Vanda Braghetta, Presidente di CIAO LAB APS. «Per noi è fondamentale sviluppare occasioni di incontro, arricchimento culturale, inclusione e condivisione anche nei territori periferici della città di Roma, proprio perché per noi la cultura deve essere di tutti. Vista la grande affluenza agli appuntamenti in programma, siamo felici di essere riusciti a intercettare i bisogni e i gusti del nostro pubblico di riferimento che da sempre è attento ed eterogeneo».
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31 ott 2023 18:45
CALVINO IN CALORE - LE BOLLENTI 407 LETTERE D'AMORE DI ITALO CALVINO ALL'ATTRICE ELSA DE’ GIORGI, CHE GLI EREDI DELLO SCRITTORE HANNO SEMPRE BANNATO, SVELANO UNA RELAZIONE SELVAGGIA, FATTA DI INCONTRI PROIBITI DAL '55 AL '58, CON UN EPISODIO DA CRONACA NERA: “ERO IN CASA EDITRICE. A UN CERTO PUNTO IRRUPPE UNA BIONDONA CON LO CHIGNON. MI ACCORSI CHE IN MANO AVEVA UNA PISTOLA VERA. ''DOV'È ITALO, DOV'È QUEL MASCALZONE?'' GRIDÒ NEL CORRIDOIO…'' -
LA STORIA D’AMORE TRA ITALO CALVINO ED ELSA DE’ GIORGI
Articolo del 25 settembre 2018
Italo Calvino è passato alla storia della letteratura come un letterato schivo, riservato, a tratti persino freddo. Eppure, a parte sua moglie, c’è stato qualcun altro che ha tenuto a precisare che oltre allo scrittore vi fosse un uomo appassionato e passionale: Elsa De Giorgi.
I due furono amanti, negli anni tra il ’55 e il ’58 e, a testimoniare il loro amore, vi è un carteggio di lettere (ben 407) conservate interamente nel Fondo Manoscritti di Pavia. Ma non solo. Nel 1990, infatti, proprio la De Giorgi decise di pubblicarne alcune sulla rivista “Epoca” e alcune di essere sono state riprese anche qualche anno fa dal “Corriere della Sera” con un certo disappunto da parte della moglie dello scrittore.
COME SI CONOBBERO – Ma facciamo qualche passo indietro. Elsa De’ Giorgi, nata Elsa Giorgi Alberti nacque nel 1914 e fu una delle attrici più amate del cinema dei “telefoni bianchi”; proveniva da una nobile famiglia e appena 18enne iniziò la sua carriera, agevolata dalla sua bellezza.
Nel 1948 sposò il Conte Sandrino Contino Bonacossi, partigiano e collezionista d’arte; nella loro Villa a Roma ricevevano personalità del calibro di Alberto Moravia, Carlo Levi, Renato Guttuso ed Elsa era piuttosto stimata in quanto donna e in quanto letterata. Nel 1955 conobbe Italo Calvino; all’epoca lo scrittore – dieci anni più giovane rispetto a lei – e si occupava dell’ufficio stampa alla casa editrice Einaudi.
IL LORO AMORE – I due iniziarono a collaborare e il lavoro sfociò ben presto in un amore difficile e furioso, fatto di incontri proibiti, corrispondenze, viaggi in treno tra Roma e Torino.
La relazione finì sui giornali di cronaca e finì nel 1958. A testimonianza di questo rapporto c’è appunto il corpus epistolare che la filologa Maria Corti, una delle poche ad averlo letto nella sua interezza, ha dichiarato essere “il più bello del Novecento italiano”. La stessa Elsa De’ Giorgi si battè per far capire quanto questa relazione incise non solo sulla formazione di Calvino in quanto uomo ma anche e soprattutto in quanto scrittore.
‘’MI ACCORSI CHE IN MANO AVEVA UNA PISTOLA VERA’’
Su “Repubblica”, l’ottimo Antonio Gnoli intervista Guido Davico Bonino, letterato e grande amico di Calvino, che racconta un episodio bollente: “Ero in casa editrice. A un certo punto irruppe una biondona con lo chignon. Mi accorsi che in mano aveva una pistola vera. Dov' è Italo, dov' è? Gridò nel corridoio. Ma lei chi è, che vuole? “Sono Elsa De Giorgi, quel mascalzone dov'è?”
“Un usciere senza un braccio, perso durante la resistenza, si avvicinò e le disse: ma signora perché urla, il dottor Calvino non è in sede. " Non ci credo, ditemi dov' è". Giulio Einaudi comparve sulla soglia del suo studio. Capì perfettamente cosa stava accadendo e impaurito si richiuse dentro. Italo dov' è? continuava a gridare la signora”.
“Effettivamente non c'era. Giunse anche Giulio Bollati che riuscì a calmarla. Alla fine se ne andò. Era ancora una bella donna appesantita nel corpo. Furiosa per il tradimento del suo amante. Quando rividi Italo mi disse che da una settimana dormiva fuori casa; certe notti da Fruttero, altre da Lucentini. Scappava dall' ira della De Giorgi! Un episodio del genere fu a suo modo unico. In casa editrice vigeva l' etica del silenzio. Non si parlava mai di questioni inerenti il sesso. Il sesto comandamento era formalmente rispettato”
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