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Casale Monferrato: presentazione del libro “Arte Casale Fine 1700”
Un viaggio nella storia artistica della città attraverso il dizionario biografico di Renzo Rolando.
Un viaggio nella storia artistica della città attraverso il dizionario biografico di Renzo Rolando. Venerdì 31 gennaio 2025, alle ore 18:00, presso il Salone Senato della Biblioteca Civica “Giovanni Canna” di Casale Monferrato, si terrà la presentazione della pubblicazione “Arte Casale Fine 1700” di Renzo Rolando. Il volume, ispirato alla lettura di “Ritratto della città di Casale” di Giuseppe…
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L’arte della moda
L’età dei sogni e delle rivoluzioni 1789-1968
A cura di Cristina Acidini, Fabiana Giacomotti, Fernando Mazzocca
Dario Cimorelli Editore, Milano 2023, 384 pagine, 400 ill. col., 23 x 28 cm, ISBN 9791255610014
euro 34,00
email if you want to buy [email protected]
Mostra Forlì, Musei San Domenico, 18 marzo - 2 luglio 2023. A cura di G. Brunelli e F. Mazzocca
La moda dipinta, ritratta, scolpita, realizzata dai grandi artisti. L'abito che modella, nasconde, dissimula o promette il corpo. L'abito come segno di potere, di ricchezza, di riconoscimento, di protesta. Cifra distintiva di uno stato sociale o identificativa di una generazione. La moda come opera e comportamento. L'arte come racconto e come sentimento del tempo. Dal Settecento a oggi, la mostra ricostruisce e racconta un inedito e affascinante viaggio tra due arti sorelle. Nel Settecento la moda diventa moderna e diffusa tra classi sociali diverse. L'abito come oggetto di consumo modifica lentamente l'organizzazione della distribuzione, sempre più caratterizzata, soprattutto nelle città, da luoghi fissi. Nascono i negozi. La ricerca dei materiali rivoluziona il mondo produttivo e quello commerciale fino alle attuali soluzioni tecnologiche. Dalla fine dell'Ottocento il rapporto tra arte e moda va incrementandosi in un gioco delle parti che porterà la moda stessa a diventare un'arte, a essere uno sguardo sulle cose del mondo come la filosofia, la letteratura, il cinema. Nel Novecento le vicende della moda si sono confuse con i temi della politica, del cambiamento sociale.
Opere di Reynolds, Batoni, Hayez, Canova, Molteni, Sala, Boldini, Lega, Signorini, Borrani, Caillebotte, Tissot, Sargent, De Nittis, Zandomeneghi, Corcos, Bonzagni, Boccioni, Balla, Severini, Bucci, Casorati, Martini, de Chirico, Melotti, Fontana, Campigli, Mondrian, Picasso, Matisse, Delaunay. Abiti e accessori di Maison Collot, Lanza, Sartoria Ventura, #Poiret, #Fortuny, #Balla, #Depero, #Chanel,# Lanvin, #Worth, Monaci Gallenga, #Dior, #Ferré, #Valentino, #Ferragamo, #Capucci, #Schon, Marucelli,#SaintLaurent #Yamamoto, Balestra.
19/05/23
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#Arte della Moda#fashion exhibition catalogue#Musei San Domenico Forlì 2023#moda e artisti#1789-1968#fashion books#fashionbooksmilano
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Da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO SECONDO - di Gianpiero Menniti
IL DISAGIO DEL NON-FINITO
L'opera d'arte non è sempre espressione di un frammento di storia. Spesso gli artisti vedono segni nascosti ai più e intuiscono quei passaggi d'epoca che annunciano percorsi accidentati, fasi di decadenza, rotture traumatiche nei fragili equilibri delle società. Così, raccontano il disfacimento coi soli mezzi che possiedono: la tela e la materia da plasmare. Le pennellate acquistano consistenza materica nel tracciare figure che oscillano tra corporeità e dissoluzione. Lo scalpello sbozza senza cesellare. Ecco comparire il non-finito come espressione di un interiore, profondo disagio. Come rivelazione brutale. Come grido soffocato. Come descrizione violenta. Come appello disperato. Come trasfigurazione del reale nell’astratto di forme che si dissolvono. Descrivendo una parabola che in realtà è molto più affollata, mi sovvengono alcuni esempi. Il primo fu Donatello, che comprese prima d'altri le albe incompiute dell'Umanesimo. Poi fu l'amarezza per una visione distorta del potere spirituale ad attingere Michelangelo. Tiziano intuì il dramma dell'Europa incendiata da conflitti sanguinosi tra le nascenti nazioni. Rembrandt sentiva la fine del secolo d'oro olandese nello sfilacciarsi dei valori originari. Goya avvertì lo smarrimento di fronte agli effetti di lungo periodo delle rivoluzioni di fine Settecento. Fino a culminare con il '900 di Francis Bacon.
- Donatello (1386-1466): “Pulpito della Passione, Sepoltura” (1456-1466)
- Michelangelo Buonarroti (1475-1564): “I Prigioni”: lo schiavo giovane; lo schiavo che si desta; lo schiavo barbuto; Atlante (1519-1534)
- Tiziano (1488-1576): “Il supplizio di Marsia” (1570-76); “Pietà” (1576)
- Rembrandt (1606-1669): “La congiura di Giulio Civile” (1661-62)
- Francisco Goya (1746-1828): “Saturno che divora uno dei suoi figli (1821-23)
- Francis Bacon (1909-92): “Studio dal ritratto di Innocenzo X di Velasquéz” (1953)
- In copertina: Maria Casalanguida, "Bottiglie e cubetto", 1975, collezione privata
#thegianpieromennitipolis#arte#arte medievale#arte moderna#arte contemporanea#donatello#michelangelo#tiziano vecellio#rembrandt#goya#francis bacon#maria casalanguida
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LA CADUTA DEGLI ANGELI RIBELLI. FRANCESCO BERTOS
Gallerie d’Italia – Vicenza, museo di Intesa Sanpaolo Dall’11 ottobre 2024 al 9 febbraio 2025
Mostra a cura di Monica De Vincenti e Fernando Mazzocca
Nel venticinquesimo anniversario delle Gallerie d’Italia di Vicenza, il primo museo della banca, Intesa Sanpaolo apre al pubblico dall’ 11 ottobre 2024 al 9 febbraio 2025 nella sede vicentina delle Gallerie d’Italia la mostra La caduta degli angeli ribelli. Francesco Bertos, a cura di Monica De Vincenti e Fernando Mazzocca.
L’esposizione è la prima dedicata a Francesco Bertos, uno degli artisti più singolari, ricercati e celebrati nella Serenissima della prima metà del Settecento. https://www.fashionluxury.info/it/
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Villa Carlotta e i suoi tesori
Ma più per la clemenza e la maraviglia de’ luoghi ed ogni leggiadro ornamento, la villa Sommariva da tutte le ville del lago spicca pei lavori delle arti statuaria e pittorica ch’essa contiene. E questi lavori vi sono ora radunati in tanta copia e con isplendidezza sì grande, che basterebbero soli a trarre sulle rive del Lario qualsivoglia colto viaggiatori. (da I Giardini d’Italia – 1835).Ci troviamo a Tremezzina, uno dei borghi più estesi e affascinanti della sponda occidentale del Lago di Como. Nato dalla fusione dei comuni Ossuccio, Lenno, Mezzegna e Tremezzo, il borgo è contraddistinto da un ricco patrimonio storico artistico, e vanta alcuni degli scorci più suggestivi d’Italia: l’Isola Comacina, il promontorio del Dosso del Lavedo, il Sacro Monte di Ossuccio (entrato a far parte del Patrimonio UNESCO), il Monte San Primo e le vette Grigna e Grignetta. Non solo, Tremezzina è famosa anche per la presenza di Villa Carlotta, una dimora storica costruita nel Seicento che custodisce la collezione d’arte di Giovanni Battista Sommariva, ricco imprenditore, abile politico e braccio destro di Napoleone a Milano alla fine del Settecento. Giovanni Battista Sommariva, riuscì ad accumulare una raccolta di opere d’arte straordinaria, realizzata grazie alle sue enormi ricchezze ma non solo. È stato, infatti, un mecenate raffinato in grado di stabilire dei rapporti unici con gli artisti della sua epoca.
Insieme alla residenza di Parigi, Villa Carlotta è stata il palcoscenico della sua instancabile passione. Sommariva non era solo abile nell’accumulare tesori, sapeva anche essere un grande promotore della sua attività.
Dopo la morte del mecenate, la villa perse molte delle sue opere. Grazie a prestiti eccezionali, provenienti da collezioni pubbliche e private, Villa Carlotta torna agli antichi splendori con la mostra: L’Olimpo sul lago aperta al pubblico fino al 30 settembre 2024. L’esposizione è organizzata dall’Ente Villa Carlotta a cura di Fernando Mazzocca, Maria Angela Previtera ed Elena Lissoni. I visitatori potranno ammirare i capolavori della Collezione Sommariva anche grazie al riallestimento di alcune sale realizzato per quest’occasione. L’ultima sezione della mostra è l’immagine moltiplicata dei capolavori: pietre incise, miniature, stampe, costituisce infatti il suo “museo portatile”: Sommariva fece realizzare diverse miniature smaltate che raffiguravano in scala ridotta tutto il suo straordinario patrimonio. Grazie anche alla circolazione di stampe e opuscoli la sua immensa raccolta divenne celebre in tutti gli ambienti culturali europei. Rilevata dai marchesi Clerici nel 1801, la villa si arricchì di capolavori, soprattutto di scultura, tra questi le opere di Antonio Canova e della sua scuola e di Bertel Thorvaldsen. Altro punto di grande interesse della villa sono i giardini: ancora oggi si possono ammirare, sia l’impianto all’italiana di epoca settecentesca, sia quello creato da Sommariva seguendo il gusto romantico. Il grande fascino del parco di Villa Carlotta è dato proprio da questa convivenza armonica di giardini diversi, fra questi il Giardino Botanico. I tesori della Collezione Sommariva e gli splendidi giardini della villa vi aspettano per essere visitati tutto l'anno! L’obiettivo principale di Vortici.it, è quello di avervi fatto conoscere un altro tesoro del nostro patrimonio culturale, Villa Carlotta, provando a stuzzicare il desiderio del bello al di là della mostra in corso, che noi consideriamo: “la ciliegina sulla torta”. Scoprite anche la nostra rubrica Arte Immagine di copertina: https://www.villacarlotta.it/it/ Read the full article
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Per chi abita in… Via delle Lame
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Un tempo, prima che la Repubblica Fiorentina facesse eseguire i lavori di arginatura e le opere difensive lungo la riva del fiume, l’Arno dilagava nella campagna, si divideva formando due rami, tra i quali restava una lingua di terra, una specie di piccola isola, che prese il nome di Bisarno, che ha il significato di doppio Arno (bis-Arno). Nel terreno paludoso, l’acqua che ristagna forma pozze che sotto il sole appaiono lucenti come lame d’acciaio, ed ecco l’origine del nome Via delle Lame, che attraversa tutto il piano del Bisarno. La strada ha una storia antica, lungo il suo corso vi sono delle ville ed un Borgo esistenti fin dal Quattrocento. Diverse illustri famiglie fiorentine avevano case e terreni in questa zona, ad esempio i Cavalcanti, i Barducci, i Bardi, gli Alberti.
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In Via delle Lame, all’angolo col Viuzzo che porta lo stesso nome, delle Lame, si trova una villa, che ho scoperto di recente, in quel poco tempo che il maltempo ha concesso ad una passeggiata. Sulla facciata si trova una targa, che riporta il nome “Villa Barberina”, ma in passato si chiamava l’Arnino o Villa Arnina. Mi ci è cascato l’occhio perché, sull’alto muro di cinta, si trovano a decorazione tre statue in terracotta, ed un busto.
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In origine sembra si chiamasse “Il Limbo”, forse in contrasto con alcune zone limitrofe, conosciute come Inferno e Paradiso. La costruzione è di inizio Quattrocento, ed apparteneva ai Del Cappa, che avevano case in Firenze nella via che prendeva il nome dall’Albergo del Guanto; in seguito passò ai Nasi, quando nel 1491 Lionarda, vedova di Ser Niccolò del Cappa decise di vendere a Battista di Giovanni Nasi, famiglia che nella pianura di Ripoli aveva importanti possedimenti. Giusto per la cronaca, alla famiglia Nasi appartenne Bartolomea, una delle amanti di Lorenzo il Magnifico, che per lei aveva una discreta passione, nonostante non si trattasse di una donna particolarmente avvenente. Ne parleremo più diffusamente in un altro momento.
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Successivamente, la proprietà della Villa passò ai Pergolini, dopo la confisca dei beni operata su un discendente della famiglia Nasi, poi ai Gherardini e, ad inizio Settecento, agli Altoviti che la ricevettero in pagamento di crediti vantati nei confronti dei Gherardini. A metà dell’Ottocento fu acquistata dallo svizzero Enrico Stupan, il titolare del Caffè Elvetico, in Mercato Vecchio, nel quale artisti di ogni genere amavano ritrovarsi: “...orefici, cesellatori, gioiellieri, gettatori di metalli, lavoratori di brillanti, scultori, modellatori, pittori sbozzatori, tutti tipi schiettamente fiorentini, tutta gente allegra, spensierata, italianissima, pronta di lingua e, capitando il bisogno, anche di mano.
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Da questo caffè uscivano per il solito quei motti arguti, quegli epigrammi a due tagli e quelle satire corte e affilate, come rasoi, che passando di bocca in bocca, facevano il giro di tutte le case, di tutti i crocchi o di tutte le brigate, senza che nessuno arrivasse mai a poterne indicare con precisione il nome dell’autore: lampi spontanei e collettivi dell’antico spirito fiorentino.” (Carlo Collodi, Occhi e nasi). Il cortile della villa è rinascimentale, una volta con un portico a tre arcate, su un solo lato, che oggi risulta murato. L’alto muro su cui si trovano le statue in terracotta, delimita un giardino pensile, che mi sarebbe proprio piaciuto riuscire a vedere, ma… era troppo in alto! Bisogna accontentarsi di una veduta satellitare, anche se certo non rende l’idea… Purtroppo, l’addensarsi di nere nuvole promettenti un’altra bomba d’acqua, mi ha impedito di continuare la mia passeggiata, per ora… ma non può piovere sempre!
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Gabriella Bazzani Madonna delle Cerimonie Read the full article
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Turner, Paesaggi della Mitologia a Venaria Reale
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Fino al 28 gennaio 2024 la Reggia di Venaria propone la mostra Turner. Paesaggi della Mitologia, a cura della storica dell’arte inglese Anne Lyles, continuando così la prestigiosa collaborazione con la Tate UK dopo la mostra che si è tenuta nel 2022 dedicata a John Constable. L’esposizione si trova al primo piano delle Sale delle Arti e presenta una selezione di una quarantina di opere provenienti dalla prestigiosa istituzione britannica, nelle quali Turner esprime non solo la sua passione per la pittura di paesaggio, ma anche quella per temi legati alla mitologia classica greca e romana. Nelle dieci sale della mostra i visitatori trovano sia i grandi dipinti a olio su tela, realizzati da Turner per essere esposti alla Royal Academy di Londra, sia gli acquerelli e gli schizzi in cui l’artista manifestò con libertà e spontaneità la sua visione romantica della Natura e del Mito. Tra gli artisti britannici più noti e amati, William Turner fu celebre per i suoi paesaggi, dove la Natura è concepita nell’ambito di una estetica del Sublime, con fitte nebbie, tempeste di mare e fenomeni naturali che incutono timore all’uomo e al contempo attraggono. Ma Turner si affermò a livello internazionale all’inizio dell’Ottocento dipingendo grandi quadri per le grandi rassegne ufficiali, con scene tratte dalla Bibbia, dalla letteratura classica e dalla mitologia ancora influenzati dallo stile dei suoi predecessori francesi, come Nicolas Poussin e Claude Lorrain, oltre ai personaggi che popolano il mondo della mitologia, dopo che ebbe studiato da vicino alla National Gallery di Londra i dipinti degli Old Masters. Inoltre, durante i primi anni da studente della Royal Academy, l’artista imparò a riprodurre fedelmente, a matita o a gessetto, i calchi delle più celebri statue del mondo classico, come l’Apollo del Belvedere. A influenzare ulteriormente i quadri di mitologia classica di Turner contribuì Richard Wilson, che nella seconda metà del Settecento visse per un lungo periodo nel sud Italia, tra Roma e Napoli, dove le sue tele erano popolate da figure della classicità o mitologiche, in paesaggi idealizzati, ma influenzati da luoghi reali che aveva visitato. Il desiderio di Turner di conoscere i paesaggi italiani di Wilson si realizzò nel 1819, per le difficoltà che comportava un viaggio in Europa durante le guerre napoleoniche. In Italia Turner tornò poi nel 1828 per un soggiorno più lungo e da allora usò proprio i paesaggi italiani come sfondo per i soggetti mitologici. Alcune opere della mostra, come The Bay of Baiae with Apollo and the Sibyl (1823), documentano come il soggetto mitologico fosse trattato da Turner con sempre più dettaglio e consapevolezza storica. Lo sfondo di rovine romane e la figura della Sibilla Cumana simboleggiano i temi che l’artista aveva più a cuore tra bellezza e decadenza, gloria e declino, fragilità della vita e caduta degli imperi. Read the full article
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Sabato 11 novembre 2023 alle ore 17.30, alla Libreria Minerva - piazza Fiume, 57 -, Gianpietro Olivetto presenterà Andrea Palladio, la famiglia, l’opera, il suo tempo, (Itinera Progetti). Interverrà l’autore tv e giornalista Riccardo Marra. Andrea di Pietro della Gondola, detto Palladio (Padova, 1508 - Maser, 1580), è il più importante e imitato architetto dell’età moderna, l’unico nella Storia ad aver dato il nome a uno stile, il palladianesimo. Ideava stupendi palazzi e ville, ma abitò sempre in affitto o ospite di amici e non ebbe mai una casa propria. Era sottopagato, almeno nella prima parte della sua vita professionale, e non divenne mai ricco. Condusse una vita travagliata, segnata da successi e gioie, ma anche da grandi dolori, come la perdita prematura di un nipote e di due fra i suoi cinque figli (uno accusato di omicidio, l’altro sospettato di eresia). Povero ed orfano di entrambi i genitori, iniziò a lavorare, neanche tredicenne, come scalpellino e divenne architetto da autodidatta, lavorando nei cantieri, frequentando le biblioteche delle famiglie nobili, studiando su libri e antichi resti. Andò cinque volte a Roma (nel 1541, 1545, 1546/47, 1549, 1554), dove incontrò i grandi artisti dell’epoca, fra i quali Michelangelo. Nella Città Eterna solo una sua opera: Il ciborio o altare palladiano, che si trova alle Corsie Sistine, sotto l’alto tiburio ottagonale che collega le due gallerie del quattrocentesco arcispedale di Santo Spirito in Sassia. Palladio - nei cui edifici ispirati al mondo classico, dominano bellezza, armonia e proporzionalità - ha lasciato un’eredità immensa; un testo, I Quattro Libri, che ancor oggi è il libro d’architettura più venduto al mondo; circa quattrocento disegni, un centinaio di progetti operativi, una settantina di opere esistenti, fra ville, palazzi, ponti, monumenti, facciate, chiese. E ben quarantasette di queste opere (ventisei a Vicenza e dintorni, ventuno in altre zone del Veneto) sono patrimonio dell’umanità, iscritte nella World Heritage List. Palladio ha segnato profondamente l’architettura nordamericana ed europea, e ha contribuito allo sviluppo della cosiddetta “civiltà di villa”, quel fenomeno che ha visto la realizzazione, in Veneto e in Friuli tra il Quattrocento e la fine del Settecento, di oltre quattromila ville, molte neopalladiane. Il libro ricostruisce la storia privata e professionale di Palladio. Racconta l’uomo, il marito e il padre, e cerca di svelare i misteri che ancora avvolgono la figura dell’architetto (il suo vero volto, il giallo della sepoltura). Racconta il contesto in cui ha operato il grande progettista: la Vicenza, la Repubblica Serenissima e l’Italia del Cinquecento. Un secolo caratterizzato dal fiorire delle arti, ma anche dalle guerre, dai processi per eresia e dalle epidemie di peste. Andrea Palladio, la famiglia, l’opera, il suo tempo di Gianpietro Olivetto - edizione: Itinera Progetti - Bassano del Grappa (VI) -; collana: Il leone alato; pp. 192, con foto e documenti d’epoca - è disponibile in libreria da novembre 2022.
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Nuovo post su Atom Heart Magazine
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Music For Change – Fase finale: Giovanni Truppi e Eman ospiti
Music For Change – Dal 3 al 14 ottobre, un fitto programma di incontri, esibizioni e panel tematici
Dal 3 al 14 ottobre si terrà la fase finale della 14ma edizione di Music For Change, tra i più prestigiosi premi musicali italiani e europei interamente focalizzato sulle tematiche civili e organizzato dall’Associazione Musica contro le mafie. Il direttore artistico Gennaro de Rosa, ha annunciato il programma completo di “Music for Change -14th Award”. Manifestazione che gode del supporto del Ministero delle Cultura, rientrando tra i progetti speciali scelti direttamente dal Ministro: “L’idea è quella di unire momenti di spettacolo e di riflessione, avendo tempi in linea con la velocità delle nuove generazioni, utilizzando un linguaggio più veloce e diretto con l’ausilio della musica”.
Music for Change punta ad essere uno degli eventi più attuali del panorama nazionale, pronto a costruire e rigenerarsi attraverso un perfetto equilibrio tra reale e virtuale, due mondi ormai inscindibili e destinati ad accompagnare la quotidianità per il prossimo futuro. Il programma generale si caratterizza per la partecipazione di personaggi illustri del mondo del giornalismo e della letteratura, affermati produttori discografici e di eventi, esperti in comunicazione musicale e artisti nazionali.
MUSIC FOR CHANGE 2023 – LA GARA
A Cosenza dal 3 al 14 ottobre 2023, 8 artisti – su 904 iscritti – parteciperanno alle fasi live della manifestazione che è denominata “Sound Bocs”. Sono Babele (Messina), Calliope (Livorno), Dionaea (Casamassima – BA), Lula (Roma), Malvax (Pavullo nel Frignano – MO), Montegro(Roma), Plastic Haze (Roma) e Zärat (Napoli). Che saranno accompagnati e seguiti dai 4 coach (Dinastia, Cecilia Cesario, Stefano Amato e Rosario Canale. ) e dai 4 Conductor (Luk, Sugar, KyotoLp, Olivia XX) e dalla Coaching Coordinator Cance (Giulia Cancella) insieme ai due daily Coach Giuseppe Anastasi e Taketo Gohara.
Nella giornata di domenica 8 ottobre, 4 degli 8 Finalisti saranno sfidati da A Smile From Godzilla (Napoli), Lanobile (Roma), Sbazzee (San Martino di Lupari – PD) e Wasabi (Roma). Qui cercheranno di prendere il posto nel percorso verso la finale del 13 ottobre presso il teatro Rendano. Saranno giudici di questa importante fase: Francesco Vaccaro (Direttore di TuttoRock), Doriana Tozzi (Giornalista, critica musicale e scrittrice, giurata Targhe Tenco) e il dj, producer e manager, punto di riferimento del mondo Indie Italiano, Fabio Nirta.
Il lavoro di produzione dei finalisti, ma anche tutta la programmazione di incontri, esibizioni e panel tematici si concentrerà su 8 temi cardine: “Resistenze E Democrazia”, “Ambiente Ed Ecologia”, “Cittadinanza Digitale E Cyber-Risk”, “Parità Di Genere E Diritti Lgbtq+”, “Lavoro E Dignità”, “Migrazione E Popoli”, “Disuguaglianze E Marginalità Sociale”, “Rigenerazione E Futuro”.
LA FINALE
La finale di venerdì 13 ottobre sarà presentata da Diletta Parlangeli, giornalista, conduttrice radio (Rai Radio 2) e TV (RaiPlay). Questa fase vedrà gli 8 artisti esibirsi e presentare a pubblico e giudici gli 8 brani realizzati nella fase “Sound Bocs”. Gli Artist Decider di questa edizione sono il rapper e produttore Piotta (cantante, musicista e produttore attivo sin dagli Anni ’90, con all’attivo nove album e più di una colonna sonora), il cantante e autore di numerosi artisti italiani Zibba (cantautore, producer e produttore artistico, collabora con diverse etichette del mondo indipendente, dal 2017 è direttore artistico del Premio Bindi e pubblica biografie di artisti dello spettacolo per le maggiori editrici) e la cantautrice Erica Mou (cantautrice pugliese, classe 1990 che ha già all’attivo oltre settecento concerti in Italia e all’estero e ha pubblicato sei album in studio.
La sera del 14 ottobre nella serata di WORDS&AWARDS saliranno sul palco, insieme ai premiati tra gli 8 finalisti, Margherita Vicario, insignita dello speciale premio Music for Change 2023 perché continua a dimostrare con le sue produzioni, come l’arte possa essere uno strumento potente per promuovere il cambiamento positivo nella società.
NUOVI SUPER OSPITI ANNUNCIATI MUSIC FOR CHANGE
Dopo l’annuncio degli otto artisti ammessi alla fase live “Sound Bocs” e dei due ospiti Margherita Vicario e Pif. vengono annunciati altri due artisti che riceveranno il Premio Speciale “Music for Change”: Giovanni Truppi ed Eman.
Il cantautore Giovanni Truppi, una delle personalità più eclettiche della musica indipendente italiana, sarà premiato per l’album “Infinite Possibilità per Esseri Finiti”. Nell’opera i temi cari a Music for Change sono trattati attraverso una visione complessa e profonda: temi ambientali, della precarietà del lavoro, delle disuguaglianze e delle marginalità presenti nel contesto contemporaneo. Il tema cardine di “Music for Change”, “Rigenerazione e Futuro”, si appalesa nella ricerca di un senso che coinvolga l’intera umanità, incoraggiando il dialogo, lo studio, l’organizzazione e l’azione collettiva come mezzi per creare una nuova mentalità e una società basata sulla comunità che punti al cambiamento.
Sarà premiato Eman per il brano “Distratto”. La canzone affronta la dualità tra aspirazioni personali e realtà pratiche, riflettendo su come navigare tra l’amore, i sogni, il lavoro e le sfide della vita quotidiana. Il cantautore, con la sua versatilità compositiva rappresenta una novità all’interno della scena musicale italiana. Il suo repertorio, difficilmente etichettabile, esplora mondi musicali spesso opposti tra musica d’autore contemporanea e ispirazione internazionale.
LE PARTNERSHIP
Altro importante momento di formazione e confronto sarà il 9 e il 10 ottobre, quando grazie all’ormai consolidata partnership con il Premio Tenco, il direttivo del Club Tenco ascolterà gli 8 finalisti per assegnare la “Menzione Speciale”, in due sessioni del Tenco Ascolta con due artisti ospiti speciali, i Riva di Napoli già protagonisti di X Factor 2021 e vincitori della menzione speciale del Club Tenco a Music for Change 13ma edizione e il vincitore di Botteghe D’Autore 2023 (tra i festival partner di Music for Change) Lorenzo Lepore.
Rilevanza anche alla parte virtuale e social che vedrà Music for Change impegnato su 3 format creati appositamente per la finestra sul mondo virtuale dei social network. Change Answer in collaborazione con IndieVision: “Come ti ha cambiato la musica?”, botta e risposta con ospiti su come e quando la musica ha cambiato loro la vita. Unplugg(b)ed, lo showcase musicale per nottambuli, a cura di Music for Change e Sei tutto l’indie di cui ho bisogno.
Il programma prevede inoltre 4 incontri dedicati allo sviluppo e alla costruzione di Artisti Consapevoli con Alessandro Angrisano (Presidente ACEP); Alice Sorrenti (Head of Distribuito di Believe Italia); Demetrio Chiappa (Presidente di Doc Servizi e Rete Doc); L’Avv. Emanuela Teodora Russo (Comitato Audio di Nuovo Imaie).
Altra novità di quest’edizione delle finali del Premio è la joint venture con il festival letterario “Culture for Change”, capace di dialogare in modo originale con i luoghi che lo ospiteranno attraverso la realizzazione di installazioni immersive e dal forte impatto emotivo. Culture for Change porterà gli utenti all’interno dei libri, con i format “Viaggio nel Libro” e “Artisti in Vetrina”: un viaggio in bilico tra virtuale e reale con l’intento di offrire uno sguardo nuovo attraverso gli occhi e l’immaginazione di chi, per propria vocazione, indaga e cerca tracce originali per guardare al futuro.
I PANEL TEMATICI DI MUSIC FOR CHANGE 2023
Dal 5 al 12 ottobre gli otto Panel tematici di Music for Change che vedranno tra gli ospiti:
Il regista, giornalista e autore Pif (Pierfrancesco Diliberto);
Tina Montinaro (Moglie del caposcorta di Giovanni Falcone) nel panel dal titolo ““Eroi… esattamente come Noi”;
Simone Ficicchia (Attivista “Ultima Generazione”) incontra due figure del mondo della politica nel panel “Grisi Globale vs Ultima Generazione“;
Luciano Scalettari (Giornalista e presidente di RESQ – People Saving People) ospite del panel dal titolo “Il Mare che ci unisce“;
Paolo Picchio (papà di Carolina, prima vittima acclarata di cyber bullismo);
Ivano Zoppi (Presidente di Pepita Onlus e Direttore di Fondazione Carolina) in “Grazie per il vostro bullismo. La Storia di Carolina“ ;
Fabio Cantelli Anibaldi (Filosofo, scrittore) in “Dipendenze: rimozioni sociali e collettive”;
Marcello Ravveduto (Docente ed esperto di Public History) e Antonio Nicaso (uno dei maggiori esperti di criminalità organizzata la mondo) ospiti del panel “Le mafie nell’era digitale: da Wikipedia ai social media“;
Leonardo Palmisano (Sociologo e scrittore) e Stefano Maiolica (Un Terrone a Milano) si confronteranno sul tema “Il Lavoro al tempo dei fuorisede“.
I Panel si concluderanno con un incontro dal titolo “Il femminile controcorrente e la gender education“ con Erica Mou (Cantautrice), Irene Tiberi (Fondatrice di Equaly) e Concita De Gregorio (Giornalista e Scrittrice).
LE PRESENTAZIONI DEI LIBRI
Sono previste presentazioni dei libri di: Michele Monina (Tutti vogliono un fenomeno. La storia di Fabri Fibra); Duccio Pasqua (Storie di straordinaria fonia. Dagli studi RCA alle grandi produzioni Live); Massimo Bubola (Sognai Talmente Forte); Luca De Gennaro (POP LIFE – 1982-1986. I cinque anni d’oro della Musica) e poi ancora per il tema parità di genere e diritti lgbtq+ il nuovo libro di Francesco Lepore (Il delitto di Giarre. 1980: un «caso insoluto» e le battaglie del movimento LGBT+ in Italia); per Rigenerazione e Futuro il libro di Mattia Tombolini (Cambiare il mondo con i libri) e per Ambiente ed Ecologia il libro della creator Silvia Moroni (Parla sostenibile. Poche (tante) parole per diffondere il verbo green).
È prevista inoltre la proiezione del film documentario “I ragazzi delle scorte” (documentario RAI dedicato alle vittime della Strage di Capaci prodotto da 42° Parallelo).
Durante tutta la fase finale, presso il Museo delle Arti e dei Mestieri, sarà in esposizione una mostra personale di fotografia di Kristel Pisani Massamormile. Qui “rigenerazione” diventa una parola d’ordine per un futuro sostenibile: “We were born so innocent” e “In ritardo”.
L’airplay della manifestazione punta a un pubblico in presenza ma anche e soprattutto si rivolge a “chi non c’è e non può esserci”. Nascerà quindi una vera e propria serie costruita appositamente per TIK TOK. Una finestra costante e quotidiana su ciò che accade, i protagonisti, gli ospiti, la vita nei bocs e tanto altro. Sarà visibile ogni giorno sul profilo Tik Tok di Musica contro le mafie.
Scopri il programma dettagliato a QUESTO LINK.
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Il brano Greensleeves giunge dal rinascimento inglese (con innegabili influenze musicali italiane) e ci narra del corteggiamento di un gentiluomo molto ricco e di una Lady un po’ ritrosa che lo respinge, nonostante i generosi regali. Arrangiamento di Alice Castle Tamara: voce Sal Russo: chitarra acustica e guitar synth Le immagini sono per lo più tratte dai dipinti di Dante Gabriel Rossetti, uno dei fondatori del movimento artistico dei Preraffaelliti
Lady Greensleeves è un brano rinascimentale inglese (con innegabili influenze musicali italiane) e ci narra del corteggiamento di un gentiluomo molto ricco e di una Lady un po’ ritrosa che lo respinge, nonostante i generosi regali.
La ballata rinascimentale
Era l’anno 1580 che vide un susseguirsi di pubblicazioni di un canto d’amore di un gentiluomo alla sua Lady Greensleeves, [in italiano la Signora dalle Maniche Verdi]; Richard Jones e Edward White si contendevano le stampe di una canzone di gran moda, nel mese di settembre, lo stesso giorno Jones con “A new Northern Dittye of the Lady Greene Sleeves” e White con “A ballad, being the Ladie Greene Sleeves Answere to Donkyn his frende“, poi dopo pochi giorni, ancora White con un’altra versione: “Greene Sleeves and Countenance, in Countenance is Greene Sleeves” e qualche mese dopo Jones con la pubblicazione di “A merry newe Northern Songe of Greene Sleeves“; questa volta la replica venne da William Elderton, che, nel febbraio del 1581, scrisse la “Reprehension against Greene Sleeves” . In ultimo la versione riveduta e ampliata da Richard Jones con il titolo “A New Courtly Sonnet of the Lady Green Sleeves” inclusa nella collezione ‘A Handeful of Pleasant Delites’ del 1584, fu quella che diventò la versione finale, ancora oggi eseguita (almeno per quanto riguarda la melodia e per buona parte del testo con ben 17 strofe).
La melodia per Liuto
La melodia nasce per liuto, lo strumento per eccellenza della musica rinascimentale (e barocca) che ha visto in Inghilterra una pregevole fioritura con autori del calibro di John Jonson e di John Dowland (consiglio l’ascolto del Cd di Sting Labirinth). Come evidenziato nello studio approfondito di Ian Pittaway l’antenato di Greensleeves è il Passamezzo antico. Il coro però di Greensleeves segue l’andamento melodico di una Romanesca che a sua volta è stata una variante del passamezzo.
Verso la fine del XV secolo, gli strumenti a pizzico come il liuto stavano appena iniziando a sviluppare una nuova tecnica da aggiungere al loro repertorio espressivo, suonando corde per accordi piuttosto che suonando le note del periodo medievale. Uno degli accordi che si sviluppò fu il passamezzo antico (c’era anche il passamezzo moderno), che nacque in Italia all’inizio del XVI secolo prima di diffondersi in tutta Europa. Oggi è un po’ come il blues, ci sono una prefissata sequenza di accordi di base sulla quale viene aggiunta una melodia. (tradotto da qui)
Una coreografia della danza la ritroviamo solo in epoca più tarda, nell'”English Dancing Master” di John Playford (sia nell’edizione del 1686 e poi pubblicata a più riprese nel Settecento) come english country dance
LA LEGGENDA TUDOR
La leggenda vuole che sia stato Enrico VIII, nel 1526, a scrivere “Greensleeves” per Anna Bolena, proprio all’inizio della loro relazione, quando lei lo faceva sospirare (e gli anni furono sette prima che i due si sposassero). Un’ipotesi suggestiva in quanto sia la melodia che il testo ben si adattano al personaggio, che di suo ha scritto svariati brani ancora oggi nel repertorio di molti artisti di musica antica; tuttavia la poesia non è stata trascritta in nessun manoscritto dell’epoca e quindi non possiamo essere certi dell’attribuzione. L’equivoco è stato generato da William Chappell che nel suo “Popular Music of the Olden Time” (Londra: Chappell & Co, 1859) attribuisce la melodia al re, mal interpretando una citazione di Edward Guilpin. “Yet like th’ Olde ballad of the Lord of Lorne, Whose last line in King Harries dayes was borne.”(in Skialethia, or a Shadow of Truth, 1598: la ballata “The Lord of Lorne and the False Steward” risale al tempo di Enrico VIII (King Harries) e, secondo Chappell è sempre stata cantata sulla melodia Greensleeves.
Così nella Serie Tv “The Tudors” si segue la leggenda e noi possiamo ammirare Jonathan Rhys Meyers tutto assorto mentre “trova” la melodia sul liuto…
La paternità irlandese?
William Henry Grattan Flood in A History of Irish Music (Dublino: Browne e Nolan, 1905) è stato il primo a presumere (senza addurre prove) l’irlandesità della melodia. “In a manuscript in Trinity College, Dublin … Under date of 1566, there is a manuscript Love Song (without music however), written by Donal, first Earl of Clancarty. A few years previously, an Anglo-Irish Song was written to the tune of Greensleeves.” Da allora l’idea della paternità irlandese ha preso sempre più vigore tant’è che il brano è presente nelle compilations di musica celtica etichettato come irish traditional.
Lirica cortese o uno scherzo pesante?
Il testo ci narra del corteggiamento di un gentiluomo verso una Lady un po’ ritrosa che lo respinge, nonostante i suoi generosi e principeschi regali; più ironicamente, si può interpretare come il lamento di un gentiluomo verso la moglie o l’amante bisbetica! Riccardo Venturi propende per un contesto un po’ più piccante “Già ai tempi di Geoffrey Chaucer e dei Racconti di Canterbury (ricordiamo che Chaucer visse dal 1343 al 1400) l’abito verde era considerato tipico di una “donna leggera”, leggasi di una prostituta. Si tratterebbe quindi di una giovane donna di promiscui costumi; Nevill Coghill, il celebre ed eroico traduttore in inglese moderno dei Canterbury Tales, spiega -in riferimento ad un’interpretazione di un passo chauceriano- che, all’epoca, il colore verde aveva precise connotazioni sessuali, particolarmente nella frase A green gown, una gonna verde. Si trattava, in estrema pratica, delle macchie d’erba sul vestito di una donna che praticava (o subiva) un rapporto sessuale all’esterno, in un prato, “in camporella” come si direbbe oggigiorno. Se di una donna si diceva che aveva “la gonna verde”, in pratica era un pesante ammiccamento e le si dava di leggera se non tout court della puttana. La canzone sarebbe quindi la lamentazione di un amante tradito e abbandonato, o di un cliente respinto; insomma, come dire, qualcosa di tutt’altro che regale (sebbene in ogni epoca i re siano stati generalmente i primi puttanieri del Regno). Un’altra possibile interpretazione è che l’amante tradito, o respinto, si sia voluto come vendicare sulla poveretta indirizzandole una deliziosa canzoncina in cui le dà della puttana mediante la metafora delle “maniche verdi”.” (Riccardo Venturi da qui)
Moltissimi gli interpreti, con versioni in stile antico e moderno (anche Yngwie Malmsteen la suona con la sua chitarra e Leonard Cohen ne propone una riscrittura nel 1974 ) di una melodia antica che non ha mai perso il suo fascino e popolarità.
Lady Greensleeves
Molti gli interpreti, con versioni sia in stile antico che moderno (anche Yngwie Malmsteen con la sua chitarra e Leonard Cohen che ne propone una riscrittura nel 1974 –Leaving Green Sleeves) Oggi il testo viene raramente eseguito e solo per due o quattro strofe, ma è un brano amato dai gruppi corali che lo cantano più estesamente.
Nella versione in ‘A Handful of Pleasant Delites’, 1584, dalla raccolta di Israel G. Young (una ventina di strofe vedi testo qui) ci si dilunga sui regali che il nobiluomo fa alla sua bella per vezzeggiarla: “kerchers to thy head”, “board and bed”, “petticoats of the best”, “jewels to thy chest”, “smock of silk”, “girdle of gold”, “pearls”, “purse”, “guilt knives”, “pin case”, “crimson stockings all of silk”, “pumps as white as was the milk”, “gown of the grassy green” con “sleeves of satin”, che la fanno essere “our harvest queen”, “garters” decorate d’oro e d’argento, “gelding”, e servitori “men clothed all in green”, e non ultimo tante leccornie ( “dainties”).
chorus (1) Greensleeves(2) was all my joy Greensleeves was my delight, Greensleeves my heart of gold And who but my lady Greensleeves. I Alas, my love, you do me wrong, To cast me off discourteously(3). For I have loved you well and long, Delighting in your company. II Your vows you’ve broken, like my heart, Oh, why did you so enrapture me? Now I remain in a world apart But my heart remains in captivity. III I have been ready at your hand, To grant whatever you would crave, I have both wagered life and land, Your love and good-will for to have. IV Thy petticoat of sendle(4) white With gold embroidered gorgeously; Thy petticoat of silk and white And these I bought gladly. V If you intend thus to disdain, It does the more enrapture me, And even so, I still remain A lover in captivity. VI My men were clothed all in green, And they did ever wait on thee; All this was gallant to be seen, And yet thou wouldst not love me. VII Thou couldst desire no earthly thing, but still thou hadst it readily. Thy music still to play and sing; And yet thou wouldst not love me. VIII Well, I will pray to God on high, that thou my constancy mayst see, And that yet once before I die, Thou wilt vouchsafe to love me. IX Ah, Greensleeves, now farewell, adieu, To God I pray to prosper thee, For I am still thy lover true, Come once again and love me
Traduzione italiana coro(1) Greensleeves era la gioia mia Greensleeves era la mia delizia, Greensleeves era il mio cuore d’oro, chi se non la mia Signora dalle Maniche Verdi?(2) I Ahimè amore mio, non mi rendete giustizia, a respingermi con scortesia vi ho amata per tanto tempo deliziandomi della vostra compagnia. II I vostri voti avete spezzato, come il mio cuore. Oh perché così mi avete rapito? Ora resto in un mondo a parte e il mio cuore resta in prigione III Ero pronto al vostro fianco, a concedervi ciò che bramavate e avevo impegnato vita e terre, per restare nelle vostre buone grazie. IV La gonna di zendalo bianco(4) con sfarzosi ricami d’oro, la gonna di seta bianca vi ho comprato con gioia. V Se così intendete disprezzarmi, ancor più m’incantate e anche così, continuo a rimanere un amante in prigionia VI I miei uomini erano tutti di verde vestiti , ed erano al vostro servizio tutto ciò era galante da vedersi e tuttavia voi non vorreste amarmi VII Voi non potreste desiderare cosa terrena senza che l’abbiate prontamente, la vostra musica sempre suonerò e canterò e tuttavia voi non vorreste amarmi VIII Pregherò Iddio lassù che voi possiate accorgervi della mia costanza e che una volta prima che io muoia voi possiate infine amarmi IX Ed ora Greensleeves vi saluto, addio Pregherò Iddio che voi prosperiate sono ancora il vostro fedele amante venite ancora da me ed amatemi
NOTE 1) l’ordine in cui sono cantate le prime due frasi del coro a volte sono invertite e iniziano in senso contrario 2) Nel medioevo il colore verde era il simbolo della rigenerazione e quindi della giovinezza e del vigore fisico, significava “fertilità” ma anche “speranza” e accostato all’oro indicava il piacere. Era il colore della medicina per i suoi poteri rivitalizzanti. Colore dell’amore allo stadio nascente, nel Rinascimento era il colore usato dai giovani specialmente a Maggio; nelle donne era anche il colore della castità. E tale attribuzione mal si accosta all’altro significato più promiscuo di “donnina sempre pronta a rotolarsi nell’erba”. E il fascino della ballata sta proprio nella sua ambiguità! Il verde è anche il colore che nelle fiabe/ballate connota una creatura fatata. Le parole gaeliche “Grian Sliabh” (letteralmente tradotte come “sole montagna” ovvero una “montagna esposta a sud, soleggiata”) si pronunciano Green Sleeve (il brano è peraltro molto popolare in Irlanda soprattutto come slow air). Grian è anche il nome di un fiume che scorre dalle Sliabh Aughty (contea Clare e Galway) 3) le espressioni sono proprie della lirica cortese 4) lo zendalo è un velo di seta
Da non perdere la traduzione di Riccardo Venturi (sommo poeta e traduttore) (qui) del Nouo Sonetto Cortese su la Signora da le Verdi Maniche. Su la noua Melodia di Verdi Maniche. Verdi Maniche era ogni mia Gioja, Verdi Maniche, la mia Delizia. Verdi Maniche, lo mio Cor d’Oro; Chi altra, se non la Signora da le Verdi Maniche?
Nella versione estesa i regali dello spasimante sono molti e costosi assai ed è tutto un lagnarsi di “oh quanto mi costi bella mia!” IV I bought three kerchers to thy head, That were wrought fine and gallantly; I kept them both at board and bed, Which cost my purse well-favour’dly. V I bought thee petticoats of the best, The cloth so fine as fine might be: I gave thee jewels for thy chest; And all this cost I spent on thee. VI Thy smock of silk both fair and white, With gold embroidered gorgeously; Thy petticoat of sendall right; And this I bought thee gladly. VII Thy girdle of gold so red, With pearls bedecked sumptously, The like no other lasses had; And yet you do not love me! VIII Thy purse, and eke thy gay gilt knives, Thy pin-case, gallant to the eye; No better wore the burgess’ wives; And yet thou wouldst not love me! IX Thy gown was of the grassy green, The sleeves of satin hanging by; Which made thee be our harvest queen; And yet thou wouldst not love me! X Thy garters fringed with the gold, And silver aglets hanging by; Which made thee blithe for to behold; And yet thou wouldst not love me! XI My gayest gelding thee I gave, To ride wherever liked thee; No lady ever was so brave; And yet thou wouldst not love me! XII My men were clothed all in green, And they did ever wait on thee; All this was gallant to be seen; And yet thou wouldst not love me! XIII They set thee up, they took thee down, They served thee with humility; Thy foot might not once touch the ground; And yet thou wouldst not love me! XIV For every morning, when thou rose, I sent thee dainties, orderly, To cheer thy stomach from all woes; And yet thou wouldst not love me!
Le proposte per l’ascolto sono veramente tante e fare una cernita è ardua impresa (vedi qui), così mi limiterò a un paio di suggerimenti.
(via https://terreceltiche.altervista.org/greensleeves/ e Greensleeves by Alice Castle live 2005 con traduzione - YouTube)
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Francesco De Mura, rappresentante del barocco napoletano e maggior erede...
Dopo aver frequentato per circa un anno la bottega di Domenico Viola, a partire dal 1708 entrò a far parte dello studio di Francesco Solimena, dove rimase fino al 1730. L'influenza del Solimena e della sua tecnica pittorica si vede in maniera evidente nei dipinti risalenti al periodo 1720-30, tra le quali è da annoverare il Cristo morto in croce con san Giovanni del 1713 dipinto nella Chiesa di San Girolamo alle Monache. Nell'Immacolata e angeli (1715-1718), dipinta per la Chiesa di Santa Maria Porta Coeli a Napoli (ora nella Sacrestia del Divino Amore), già si vede il suo distacco dallo stile di Mattia Preti (impartitogli da Domenico Viola) verso un graduale schiarimento della sua tavolozza. Nel S. Antonio da Padova della pinacoteca del Pio Monte della Misericordia e nella Madonna col Bambino e s. Domenico del Museo Duca di Martina (Villa Floridiana) si procede verso il Rococò e il metodo di Luca Giordano. Verso il 1723 gli furono commissionate le tre tele per la cappella di S. Paride nella cattedrale di Teano, prima delle sue più grandi commissioni. Nel 1727 sposò Anna d'Ebreù. A partire dal 1728, con i dipinti per la Chiesa di Santa Maria Donnaromita il De Mura iniziò a mostrare un percorso pittorico più personale, forse anche influenzato dalle tematiche arcadiche in voga a Napoli in questo periodo. Dal 1741 al 1743 soggiornò a Torino dove ebbe modo di conoscere il pittore Corrado Giaquinto e l'architetto Benedetto Alfieri. Tornato a Napoli fu accolto da un vasto consenso al punto da essere ricevuto alla corte spagnola e mantenne contatti con diversi artisti attivi soprattutto a Roma, in particolare con il pittore francese Pierre Subleyras. Con la sua tecnica cromatica influenzò i contenuti realistici tipici del classicismo-rococò il Settecento artistico napoletano. La scuola barocca, in particolare dei maestri Francesco Solimena e Luca Giordano, è evidente nelle sue opere laiche - quali gli affreschi dei palazzi reali di Torino e Napoli - ed ecclesiastiche, come l'Epifania nella Nunziatella a Napoli, la decorazione della Chiesa di Santa Chiara a Napoli e la Moltiplicazione dei pani nella cattedrale di Foggia. Alla sua morte lasciò tutte le opere e i bozzetti in suo possesso alla storica istituzione di carità del Pio Monte della Misericordia di Napoli. Nella sua fiorente bottega si formarono quattro protagonisti dell'ultima fase della stagione rococò a Napoli (in quanto molto attivi nella decorazione degli edifici borbonici e degli appartamenti della migliore aristocrazia napoletana): Pietro Bardellino, Fedele Fischetti, Giacinto Diano e Girolamo Starace-Franchis. Altri allievi comunque validi, ma impegnati a soddisfare principalmente "committenze periferiche" furono: Oronzo Tiso, Nicola Peccheneda, Nicola Menzele (1725-1789), Romualdo Formosa, Vincenzo Cannizzaro, Vincenzo De Mita (1751-1828), Francesco Palumbo e Luigi Velpi.
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Natura e artificio nell'Europa del Seicento e Settecento: il libro
“Natura e artificio nell’Europa del Seicento e Settecento. Artisti, conoscitori e scienziati tra osservazione, invenzione e diffusione del sapere”: così è intitolato il nuovo libro pubblicato da Olschki Editore. Curato da Michela di Macco, il libro ci trasporta direttamente nel periodo compreso fra il 1680 e il 1750, quando si palesò un grande desiderio di superare con l’arte le cose della…
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ABMF: Baroque meets Brunello
Il viaggio tra le meraviglie del repertorio musicale barocco
dell’Argiano Baroque Music Festival
torna, per la terza edizione,
nell’incantevole Villa cinquecentesca di Argiano.
Torna, tra gli splendidi panorami naturalistici delle terre di Montalcino e del Senese, celebri terre del Brunello, l’Argiano Baroque Music Festival. L’attesa kermesse musicale internazionale dedicata alla grande musica del repertorio barocco prevede per questa terza edizione cinque date. Si parte con una preview il 21 luglio per poi entrare nel vivo il 18 - 20 - 25 - 27 agosto. Ad ospitare alcuni dei più noti protagonisti del mondo della early music l’incantevole Villa cinquecentesca di Argiano. «Sono particolarmente lieto di presentare questa terza edizione dell’Argiano Baroque Music Festival. Quest’anno abbiamo prestato particolare attenzione, non solo al profilo artistico internazionale degli interpreti, ma ad un programma che presenti un excursus con un focus sugli strumenti: dalla voce femminile, al flauto traversiere, dal clavicembalo, all’ensemble di archi e continuo. Tutti i progetti presentati evidenziano la passione degli artisti nella ricerca di vere e proprie gemme dello sconfinato repertorio del Barocco. Offriamo così al nostro pubblico una "degustazione" - sempre per rimanere nel tema multisensoriale - di una vastissima produzione musicale che è un tesoro ancora tutto da scoprire. Tutto ciò unito alla bellezza del paesaggio toscano e in particolare delle terre del Brunello. L’intimità dell'ascolto che offre il cortile della villa cinquecentesca "Bell'Aria", offrirà ai nostri ospiti l'opportunità di vivere un'esperienza musicale ed estetica che riconcilia con la natura e con i capolavori della musica». Queste le parole con cui il direttore artistico Antonio Artese illustra un festival che, ancora una volta, coniuga un programma fatto di interpreti di prim’ordine della scena internazionale, un ambiente dall’acustica perfetta e un’ospitalità a cinque stelle. Un’occasione di incontro e fusione di arte dei suoni e arte del vino, una sorta di alchimia, di contaminazione reciproca tra udito e gusto.
La programmazione 2023 dell’ABMF punta sulla qualità proponendo nelle sue cinque date protagonisti di assoluta rilevanza del panorama musicale barocco internazionale. Si parte con una preview il 21 luglio, in cui protagonista sarà il duo composto dal celebre clavicembalista francese Jean Rondeau accompagnato da Thomas Dunford alla tiorba e al liuto, in un programma improntato a celebri pagine del repertorio inglese del XVI secolo. Il ricco cartellone prosegue il 18 agosto con l’Ensemble L’Archicembalo descritto come “…un ensemble italiano barocco dallo stile agile e vitale e dalle brillanti performance” nella lettura di celebri pagine di Antonio Vivaldi. Il viaggio tra i tesori dell’early music continua il 20 agosto con “Un’alma innamorata”, selezione di arie di George Frederic Handel di cui saranno interpreti il soprano Francesca Aspromonte, reduce dal debutto al Teatro alla Scala di Milano e al Teatro Real di Madrid, insieme al violinista Boris Begelman e all’ensemble L’arsenale sonoro. E, ancora, il 25 agosto nei suggestivi spazi del cortile della Villa a diffondersi sarà la musica del clavicembalo di Marco Mencoboni. Cembalista, direttore e organista tra i più apprezzati della sua generazione dedito alla riscoperta del repertorio antico di Barocco e Rinascimento. La terza edizione dell’ABMF termina il 27 agosto con una serata dedicata prevalentemente all’opera di Carl Friedrich Abel, virtuoso della viola da gamba ispirazione di generazioni di compositori nell’Europa del tardo Settecento. Ad eseguirne celebri pagine La Tabatière, ensemble tedesco pluripremiato e composto da docenti della Hochschule di Francoforte. I concerti si tengono “al calar della sera” nel cortile della Villa con posti limitati a 100 ospiti così da permettere agli ascoltatori un’ottimale condizione di visione e di ascolto. Precede ogni performance musicale un raffinato aperitivo, momento in cui poter degustare i vini della Tenuta, visitare la Cantina e approfondire la conoscenza della sua pregiata produzione.
Breve storia di Argiano…là dove il Barocco incontra il Brunello
Realtà di grande prestigio e tradizione, la tenuta di Argiano, da più di 400 anni, intreccia la propria storia con quella del territorio di Montalcino. A testimoniarne la rilevanza, Villa Bell’Aria, edificio cinquecentesco che domina la tenuta. Varie sono state, nei secoli, le famiglie nobiliari di origine senese succedutesi come proprietarie della tenuta. Fino ad arrivare, nell’Ottocento, alla conduzione di Ersilia Caetani Lovatelli. Nel 1967, Argiano entra ufficialmente nella storia del vino italiano come azienda fondatrice del Consorzio del Brunello di Montalcino. Dal 2013 la proprietà fa capo alla famiglia del finanziere brasiliano André Esteves che ha affidato la guida dell’azienda a Bernardino Sani. Quest’ultimo, dal 2015, ne firma anche i vini. Alla sua gestione si deve la valorizzazione dei vigneti, la produzione di vini di eccellenza e la creazione di un Wine Relais di lusso dall’ospitalità a cinque stelle.
Argiano Baroque Music Festival 2023 - Partner
Piccola Accademia di Montisi: www.piccolaaccademia.org
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Da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO SECONDO - di Gianpiero Menniti
IL DISAGIO DEL NON-FINITO
L'opera d'arte non è sempre espressione di un frammento di storia. Spesso gli artisti vedono segni nascosti ai più e intuiscono quei passaggi d'epoca che annunciano percorsi accidentati, fasi di decadenza, rotture traumatiche nei fragili equilibri delle società. Così, raccontano il disfacimento coi soli mezzi che possiedono: la tela e la materia da plasmare. Le pennellate acquistano consistenza materica nel tracciare figure che oscillano tra corporeità e dissoluzione. Lo scalpello sbozza senza cesellare. Ecco comparire il non-finito come espressione di un interiore, profondo disagio. Come rivelazione brutale. Come grido soffocato. Come descrizione violenta. Come appello disperato. Come trasfigurazione del reale nell’astratto di forme che si dissolvono. Descrivendo una parabola che in realtà è molto più affollata, mi sovvengono alcuni esempi. Il primo fu Donatello, che comprese prima d'altri le albe incompiute dell'Umanesimo. Leonardo lasciò il “non finito” come estrema traccia di una psiche complessa, decrittata e raccontata, quattro secoli dopo, da Sigmund Freud in un celebre saggio. Poi fu l'amarezza per una visione distorta del potere spirituale ad attingere Michelangelo. Tiziano intuì il dramma dell'Europa incendiata da conflitti sanguinosi tra le nascenti nazioni. Rembrandt sentiva la fine del secolo d'oro olandese nello sfilacciarsi dei valori originari. Goya avvertì lo smarrimento di fronte agli effetti di lungo periodo delle rivoluzioni di fine Settecento. Fino a culminare nel confuso '900 di Francis Bacon.
- Donatello (1386-1466): “Pulpito della Passione, Sepoltura”, 1456-1466
- Leonardo da Vinci (1452-1519): “Adorazione dei Magi”, 1481-82
- Michelangelo Buonarroti (1475-1564): “I Prigioni”: lo schiavo giovane; lo schiavo che si desta; lo schiavo barbuto; Atlante, 1519-1534
- Tiziano (1488-1576): “Pietà”, 1576
- Rembrandt (1606-1669): “La congiura di Giulio Civile”, 1661-62
- Francisco Goya (1746-1828): “Saturno che divora uno dei suoi figli”,1821-23
- Francis Bacon (1909-92): “Studio dal ritratto di Innocenzo X di Velasquéz”, 1953
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Gli Uccelli dei Raineri
Arte, natura e decorazione tra Settecento e Ottocento
catalogo a cura di Roberta della Seta, Susanna Massari, Marina Rosa
Electa, Milano 1994, 136 pagine, con 38 ill.b.n. e col. e 169 tavv.col., brossura, 22x24 cm, ISBN 978-8843550142
euro 40,00
email if you want to buy :[email protected]
Mostra a Villa Della Porta-Bozzolo, Casalzuigno, 25 set.-1 nov.1994
Carlo Antonio e Vittorio Raineri si inseriscono nel panorama degli ornatisti che operarono in ambito lombardo e ligure tra Settecento e Ottocento. Collocabili tra i grandi decoratori europei, seguirono il gusto del tempo per l’arredo esotico prendendo spunto dagli artisti francesi e tedeschi, declinandolo secondo la tradizione naturalistica lombarda. In questo la loro particolarità: la capacità di sfrondare dagli eccessi le fantasticherie esotiche per creare uno scenario decorativo nel rispetto della trattazione ornitologica e naturalistica.
26/04/22
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Rosticcerie, venditori ambulanti e caffè a Firenze nel XVIII secolo
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Giuseppe Conti Firenze Vecchia, frontespizio delle’edizione Vallecchi del 1928 Quando, scorrendo nel tempo, le osterie furono abbandonate dai pensatori e dagli artisti e non furono più luogo di conversari e di burle imbastite o vissute, si trasformarono in quelle che sono oggi le nostre trattorie. Siamo a Firenze intorno al XVIII secolo e grazie a Giuseppe Conti e al suo libro intitolato Firenze vecchia scopriamo rinomate trattorie del tempo, come quella della Cervia, sull’angolo di via dei Cardinali oggi via dei Medici, ma soprattutto si resta colpiti dalla presenza in città anche di un nuovo tipo di ristorazione: le rosticcerie e i venditori ambulanti di cibo cotto. Colpisce perché non immagineremmo una presenza, molto simile all’attuale, di luoghi di ristorazione da asporto. Scrive il Conti che la rosticceria più nota era quella della Fila, in via del Corso, la più antica di Firenze perché sembra esistesse già dal XVII secolo. Aggiunge che la sua rinomanza fosse addirittura proverbiale perché in occasione o di solennità o di feste era davvero infinito il numero di polli che vi si arrostivano e poi l’agnello e i fegatelli e il maiale, e il fritto, ma la vitella di latte sembra proprio facesse resuscitare i morti.
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Firenze Palazzo Bombicci in Piazza Signoria angolo via dei Calzaioli Tra gli ambulanti racconta di una figura caratteristica che richiamava tantissima gente e non di giorno, ma ce lo descrive in piazza del Granduca, l’attuale piazza Signoria, dove si piantava vicino alla cantonata di Via Calzaioli, sulla gradinata del palazzetto Bombicci, e non riparava a smerciare i suoi maccheroni”: “tutte le sere verso le ventiquattro arrivava col suo carretto pieno di panieroni da cinque fiaschi, nei quali panieroni metteva uno sull’altro tanti piccoli piatti coperti, dove c’erano dei maccheroni freddi, che andavano via a ruba appena li metteva fuori. Di ogni piatto ne tagliava cinque spicchi; da una scodella piena di cacio di Roma grattato ne pigliava pulitamente con le mani un pizzicotto, li incaciava, e con un bussolotto bucato ci spruzzava il pepe e ne dava via ad un quattrino lo spicchio”. Possiamo ancora oggi immaginare il nostro Martino nei pressi di palazzo Bombicci anche se diverso nella sua attuale struttura: di origine trecentesca, fu uno dei pochi ad essere risparmiato dall’ampliamento di via dei Calzaioli, il lato principale si trova proprio su questa strada angolo via della Condotta e piazza della Signoria. Dai primi anni del Settecento in poi le osterie vennero a perdere il loro ruolo di luoghi di ritrovo per i ceti elevati, artisti, conversazioni o burle alla toscana e lo acquisirono via via i Caffè che si affermarono nell’Ottocento. A conferma abbiamo la testimonianza di un illustre cittadino del tempo, Giovanni Targioni Tozzetti, medico e studioso fiorentino, che scrive in un saggio dedicato al figlio Ottaviano “Io mi ricordo sempre con piacere dei dilettevoli e istruttivi crocchi che si facevano mattina e sera nella bottega di libraio e poi nei caffè di Panone e dello Svizzero dove i galantuomini si adunavano in certe ore e sollevavano l’animo con lieti ed insieme dotti discorsi e si aveva una gran scuola del mondo”. In un altro saggio in cui scrive delle “bevande calde forestiere” diffusesi anche in Firenze ai tempi di Ferdinando II e oggi “familiarissime” a tutti gli strati sociali, il caffè e la cioccolata, che indica come “equivalenti e succedanei” del vino, il primo per gli Arabi e la seconda per gli Americani e aggiunge “ma forse non ugualmente utili per noi che siamo soliti bevere promiscuamente il vino” Aggiunge quindi una notizia curiosa: ”In Firenze la prima Bottega dove si vendesse Caffè fu quella detta del Burma, come ricavo da una Cicalata di Giulio Benedetto Lorenzini” La Bottega detta del Burma è collocata da molti studiosi in via Porta Rossa, come Panone, mentre lo Svizzero in via Calzaioli, ma altri collocano Panone in Via Por Santa Maria. Quel che resta per certo è che il Caffè ha soppiantato nell’Ottocento quello delle vecchie osterie del Quattro/Cinquecento dove abbiamo visto convenire spiriti bizzarri nonché i dotti e i “signori” come Lorenzo il Magnifico. https://tuttatoscana.net/storia-e-microstoria-2/microstoria-in-cucina-rosticcerie-venditori-ambulanti-e-caffe-a-firenze-nel-xviii-secolo/
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