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🏗️ Casale Monferrato: all’asta un terreno edificabile commerciale in località San Bernardino
La Città di Casale Monferrato ha annunciato un’importante asta pubblica per l’alienazione di un terreno edificabile commerciale situato in località San Bernardino, tra Via Madre Teresa di Calcutta e Via Giovanni Paolo II.
La Città di Casale Monferrato ha annunciato un’importante asta pubblica per l’alienazione di un terreno edificabile commerciale situato in località San Bernardino, tra Via Madre Teresa di Calcutta e Via Giovanni Paolo II. L’asta si terrà il 2 aprile 2025, con un prezzo base fissato a 1.430.000,00€ per un lotto unico di 12.076 metri quadrati. 📅 Termine per le offerte: 1 aprile 2025 Per…
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Interessante provocazione, che umilmente raccolgo e rilancio con un semplice interrogativo, ovvero ma perché mai vendere un’opera d’arte per finanziare proprio uno stadio? Possibile che non vi siano opere pubbliche ben più utili e necessarie, e quindi degne di tale sacrificio? Che ne so, ospedali, centri di ricerca, opere di difesa e prevenzione dei dissesti, scuole, infrastrutture energetiche e ambientali. No, proprio uno stadio, cioè quelle cattedrali nel deserto che di solito nel resto dell’Europa vengono realizzate dalle squadre di calcio a loro spese, e per una singolare aberrazione in Italia si crede che debbano essere pagate con i soldi pubblici. Nessuna indignazione per un’asta pubblica di alienazione del Klimt, ma auspicherei miglior uso del prezzo.
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Civilization, in mostra a Londra le foto che parlano del nostro mondo
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Di Daniele Pace @ItalyinLDN @ICCIUK @ItalyinUk @inigoinLND Alla Saatchi Gallery di Chelsea è ancora possibile, fino al 17 settembre, ammirare Civilization, mostra storica che ripercorre i fili visivi della vita straordinariamente complessa e in continua evoluzione dell'umanità in tutto il mondo, attraverso gli occhi di 150 tra i fotografi migliori del globo. Civilization: le foto che parlano del nostro mondo Alla Saatchi Gallery di Chelsea a Londra è ancora possibile, per altri 5 giorni, ammirare Civilization, mostra storica che ripercorre i fili visivi della vita straordinariamente complessa e in continua evoluzione dell'umanità in tutto il mondo, attraverso gli occhi di 150 tra i fotografi migliori del globo. Caratterizzato da molte immagini inedite, Civilization riconosce le diverse culture materiali e spirituali che compongono le società globali di oggi, in Europa, Asia, Australia, Africa e Americhe. Esplorando una vasta gamma di argomenti, dai nostri grandi successi uniti ai nostri fallimenti collettivi, Civilization: The Way We Live Now evidenzia la complessità e le contraddizioni della civiltà contemporanea. La mostra è concepita come un viaggio attraverso otto capitoli tematici che descrivono il nostro mondo, dove siamo arrivati oggi e pone gli interrogativi per il futuro, che vede la globalizzazione distruggere le culture, ma anche la tecnologia come speranza per il miglioramento delle condizioni umane: Si parte con il capitolo 1, HIVE: dove viviamo. Per descriverci come siamo oggi per passare poi al capitolo 2, ALONE TOGETHER: come ci relazioniamo gli uni con gli altri, in una serie di fotografie che descrivono la solitudine del nostro tempo super connesso da media e dispositivi. Poi c’è FLOW: il capitolo 3 su come muoviamo i nostri corpi e i nostri beni, seguito da PERSUASION: il potere di influenza descritto attraverso le fotografie, sui mass media e sul potere istituzionale e finanziario. Al capitolo 5 c’è ESCAPE: come ci rilassiamo, una descrizione del tempo libero occidentale, fatto di spiagge popolate come città, alienazione della natura e ricezione della vita quotidiana di un mondo affollato, senza pause. Il capitolo 6, CONTROL: è dedicato al mantenimento dell'ordine e della disciplina, attraverso i reportage fotografici sui tutori dell’ordine dei poveri, controllori della disciplina in un mondo di proteste contro l’ingiustizia. Al capitolo 7 ROPTURE: rottura e disordine del sistema, con foto di tecnologie da demolire e rottamare. ... Continua a leggere su www.
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Laurie Anderson
https://www.unadonnalgiorno.it/laurie-anderson/
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Laurie Anderson, che ama definirsi una narratrice di storie, è una musicista, cantante, performer e autrice di suggestivi show multimediali.
La sua carriera è stata caratterizzata da una infinità di progetti comprendenti spoken poetry, performance, installazioni, collaborazioni a balletti, opere teatrali e, ovviamente, dischi.
Artista visiva, compositrice, poeta, fotografa, regista, ventriloqua, maga dell’elettronica, ha coniugato la sperimentazione con un linguaggio accessibile al grande pubblico.
Nata a Chicago il 5 giugno 1947, ha iniziato a suonare il violino a cinque anni, le sue prime esibizioni sono state nella Chicago Youth Symphony.
Nel 1966 si è trasferita a New York, dove ha frequentato il Barnard College e si è laureata in scultura alla Columbia University nel 1972, anno in cui ha iniziato a dedicarsi alle performance per strada.
La prima è stata Automotive, concerto per automobili in cui ha orchestrato i suoni dei clacson.In Duets on Icesuonava un violino che, grazie a un registratore nascosto all’interno, produceva dei loop di suoni che duettavano con la musica che ella stessa eseguiva. Indossava un paio di pattini le cui lame erano immerse in due blocchi di ghiaccio. Quando il ghiaccio si è sciolto ha smesso di suonare perché non era più in grado di reggersi in piedi.Il violino è stato spesso protagonista nelle sue esibizioni.Per mantenersi, all’inizio della sua carriera, lavorava come intervistatrice freelance e critica d’arte. In quegli anni è entrata in contatto con musicisti decisivi per la sua maturazione artistica, da Philip Glass a Brian Eno, da John Cage al compagno della sia vita, Lou Reed.
La sua prima opera musicale importante è stata United States del 1980. Presentato per la prima volta alla Brooklyn Academy of Music nel 1983, è durato più di sei ore e conteneva più di 1.200 foto, cartoni animati e video. Un’ideale opera teatrale d’avanguardia con una spiccata coscienza politica, con momenti pungenti, umoristici, desolanti in una visione della realtà occidentale, fatta di robot antropomorfizzati e uomini-automi, alienazione e inquietudine latenti.
Con O Superman si è imposta alla ribalta internazionale conquistando critica e pubblico, il disco è arrivato secondo nelle classifiche britanniche.
Il suo è un linguaggio universale, fatto di trovate spettacolari, come l’uso in scena di un violino digitale, e di una ricerca incessante sulla voce, che è il suo strumento musicale per eccellenza.Nel 1994 ha pubblicato un libro del suo lavoro intitolato Stories from the Nerve Bible: A Retrospective, 1972-92 con cui ha intrapreso un tour multimediale in cui univa performance di lettura, musica, recitazione, danza, video, canzoni e la simulazione di un tornado.Nel 1995 ha prodotto, Puppet Motel, CD interattivo della durata di circa 12 ore.Nel 2003 è diventata la prima artista ufficiale della NASA dalla cui residenza è nato lo spettacolo The End of the Moon.L’anno successivo ha suonato alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Atene.Il 12 aprile 2008 si è sposata con Lou Reed, suo compagno da una vita che il 27 ottobre 2013 è morto. Lo ha commemorato in una toccante lettera diffusa dai principali organi di stampa.Nel 2018 la sua collaborazione con il Kronos Quartet per Landfall, ispirato all’uragano Sandy in cui ha perso la casa e tanti beni, ha vinto un Grammy Award per la migliore performance di musica da camera/piccolo ensemble. Come pittrice, ha tenuto varie mostre personali in tutto il mondo.Negli anni, Laurie Anderson ha realizzato anche diversi video e film, e composto colonne sonore per film di Wim Wenders e per vari balletti. Ha scritto brani per la National Public Radio, la BBC e l’Esposizione di Siviglia, nonché diversi pezzi da orchestra.La sua carriera si può leggere anche come un percorso a ritroso, dall’uso della tecnologia alla riscoperta degli strumenti tradizionali.In una delle sue ultime performance ha indossato la divisa di cassiera per servire i clienti di un McDonald’s newyorkese, “per vivere dentro la globalizzazione e provare cosa significa far parte di questo processo massificato“.Eclettica, curiosa, intraprendente, intelligente e contemporanea, Laurie Anderson non smetterà mai di ricercare nuove forme espressive, variare nelle sue molteplici attitudini artistiche e portare la sua voce e il suo grande contributo alla narrazione contemporanea.È un’artista paragonabile a nessun’altra, raffinata, ricercata ma anche carnale e dissacrante.Una vera regina della scena culturale degli ultimi cinquant’anni.
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di NICOLA R. PORRO ♦
Il mondo globale e le felpe di Salvini
La maggior parte degli studiosi collega le insorgenze populiste – tanto quelle di destra (sovranismo ed etnonazionalismo) quanto quelle ispirate al qualunquismo digitale – con confusi bisogni di identità e di comunità, che rappresenterebbero una reazione allo spaesamento indotto dalla globalizzazione e più specificamente dai movimenti migratori. Questi processi epocali, sviluppatisi in un arco temporale relativamente breve, avrebbero generato timori in buona misura irrazionali: “diventare stranieri a casa nostra”, subire il racket dell’immigrazione clandestina, pagare con l’impoverimento la concorrenza delle potenze commerciali emergenti ecc. Un’ansia diffusa e una sorta di paranoia latente avrebbero percorso l’opinione pubblica europea, facendo da carburante a campagne populistiche che, come in un circolo vizioso, amplificavano l’allarme sociale per lucrarne benefici elettorali. Il Brexit, l’ondata sovranista coronata dal Patto di Visegrad in Europa orientale e da ultimo il voto italiano del marzo 2018 suonerebbero a conferma della tesi.
Le felpe geolocalizzate ostentate da Salvini in campagna elettorale andrebbero dunque rivalutate come una sagace intuizione propagandistica. Il leader leghista viaggiava con un baule di felpe al seguito (si era ancora in inverno: per le elezioni in periodo estivo ci sono le t-shirt), ognuna delle quali portava impresso il nome di una delle località che avrebbero ospitato i comizi del giorno. Il look geocafonal del leader leghista, ostentato in tutti i tg e le reti locali, è stato il prevedibile bersaglio dell’ironia della sinistra bramina e dei commentatori politici più dotati di senso dell’umorismo. Eppure il messaggio latente veicolato dalle felpe salviniane era tutt’altro che innocuo. A modo suo riconduceva infatti al tema reazionario delle piccole patrie, all’esaltazione dei localismi, al rassicurante richiamo dell’appartenenza contro le minacce della globalizzazione. “Prima gli italiani” e, già che ci siamo, prima ancora degli italiani i cittadini di Induno Olona e di Marostica, di Mondovì e di Lugo di Romagna. E sempre più giù, nella nuova versione nazional-sovranista della Lega, anche di Fossombrone e di Termoli e magari di Nocera Inferiore, di Bagnara Calabra, di Marsala e di Abbasanta. L’universo delle piccole patrie restituito da una felpa all’onor del mondo.
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Ma che cosa conferisce efficacia a strategie di allarme sociale anche in assenza di ragioni oggettive che le sostengano? Come mai le campagne giocate sul moral panic si diffondono in Europa soprattutto in aree territoriali e socio-culturali (i Paesi ex socialisti) meno esposte agli effetti dell’immigrazione e della concorrenza commerciale con i competitori extraeuropei? Perché in tutti i grandi Paesi occidentali cresce una sensazione diffusa di insicurezza quando nessun indicatore statistico segnala un’espansione significativa della criminalità, mentre le offensive terroristiche dovrebbero spingere semmai a una sempre più stretta cooperazione fra gli Stati? Le risposte fornite sono articolate e talvolta dissonanti. Tutte convergono però nell’associare l’avanzata populistica alla capacità dei leader di eccitare l’emotività di massa. Argomento da prendere molto sul serio: la storia dei grandi totalitarismi del Novecento insegna come l’impiego di nuove tecnologie comunicative risulti tanto più efficace quando più sono rozzi e primitivi i messaggi che intendono veicolare. Dietro le innocue felpe geocafonal o le mitiche piattaforme telematiche i nuovi populismi replicano la stessa funzione di quelli che li hanno preceduti. Non rappresentano un’ideologia o un sistema coerente di pensiero-azione, bensì l’abito che indossa l’antipolitica quando una società entra in un circuito di tendenziale “anomia” (questione che riprenderemo più avanti). Ciò rappresenta certamente un vantaggio di posizione nella competizione elettorale.
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La nostalgia delle piccole patrie o il vagheggiamento di un’anacronistica comunità di destini (magari inscritta “nel sangue e nel suolo”) non rappresentano dunque un mero prodotto di marketing elettorale. Né possiamo accontentarci di addebitare alla manipolazione mediatica, alla post-verità o all’uso diffusivo delle fake news i successi del qualunquismo digitale. Il voto di marzo ha disegnato una morsa che stringe e comprime lo spazio politico della vita democratica italiana. Da un lato il territorio delle piccole patrie, degli umori localistici, delle felpe e della rappresentazione fobica dei processi di globalizzazione, presidiato dalla Lega a trazione salviniana. Dall’altro, lo spazio immateriale della rete, che tutto sa, giudica, condanna e decide tramite apposita piattaforma telematica. Un sistema leninista (il vincolo di mandati per gli eletti? Ma vogliamo scherzare…) costruito dalla Casaleggio & Associati a misura del solipsismo digitale e in funzione delle esigenze elettorali del M5s. In mezzo lingue di territorio dove la sinistra in ritirata difende un residuo spazio di sopravvivenza. Ciò che resta della vecchia politica, peraltro, così vecchio non è: Pd e FI hanno rappresentato sino a pochi mesi fa le forze egemoni della Seconda Repubblica. A cambiare, infatti, sono anche i tempi della politica, sottratti al placido galleggiare della balena bianca, al passo pesante e sicuro dell’elefante comunista e ora anche ai giochi circensi del Caimano. È il tempo scandito dai cinguettii di Twitter, misurato dalle esternazioni di giovanotti di pochi studi saldamente convinti di “fare la Storia”, compresso a misura di un titolo da urlare in apertura del prossimo tg.
Francesco Ronchi ha il merito di consegnare all’analisi una riflessione originale. È la questione della solitudine. Ci ricorda, ad esempio, come dalla fine degli anni Ottanta a oggi, in Italia come negli altri Paesi europei, sia quasi raddoppiato il numero di cittadini che vivono completamente soli. La curva dei divorzi e delle separazioni è di nuovo in forte crescita. Il consumo di psicofarmaci ha conosciuto un aumento esponenziale nell’ultimo decennio. Zygmunt Bauman, teorico della società liquida, aveva intuito già nei primi anni del nuovo secolo la rilevanza sociologica del combinato disposto di crescenti aspettative di vita, che aumentano il peso demografico delle età anziane, e di emarginazione dei più giovani dal mercato del lavoro. Un insieme di fattori correlati che generano bisogni sociali inediti e difficili da soddisfare. La società postindustriale si ammala di solitudine e smarrisce quella cultura della socialità che aveva fatto da incubatrice alla vita politica da metà Ottocento alle ultime decadi del Novecento.
La fabbrica, le scuole e le università, le reti famigliari e di vicinato, la frequentazione di parrocchie, circoli di lavoro o club di élite, persino il servizio militare o la passione sportiva, davano vita a reticoli sociali che orientavano visioni del mondo destinate a incontrare prima o poi la politica, i partiti, i sindacati, la Chiesa e la costellazione delle organizzazioni di massa. Esperienze che producevano significato nella sfera esistenziale degli individui. E che potevano tanto colorarsi di idealità e valori condivisi (la militanza) quanto favorire logiche di convenienza e di scambio (il clientelismo politico), non di rado mescolando gli uni e le altre.
L’idealtipo esemplare di un’élite politica non censitaria è stato a lungo rappresentato dalla classe operaia: il proletariato “evoluto e cosciente” della retorica marxista. Il suo protagonismo, oltre i confini dell’antagonismo costruito nella sfera del pensiero filosofico, si manifestò soprattutto fra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento. Anni di piena occupazione nel sistema industriale – non ancora automatizzato -, con piccole sacche di precariato e una diffusa percezione del valore sociale del lavoro. La bandiera rossa rappresentava ancora un simbolo di emancipazione: era il colore di chi ti rappresentava e ti difendeva, di chi si prendeva cura della tua dignità e ti chiedeva di lottare per princìpi di uguaglianza. Enunciati che possono apparire oggi obsoleti ed enfatici, ma che corrispondevano al tempo a un vissuto concretissimo. La classe lavoratrice appariva “classe generale” anche agli occhi del ceto intellettuale di estrazione borghese, come gli studenti e i pensatori italiani o francesi nel tempo del ciclo di protesta. Non si trattava soltanto di una fascinazione operaistica, maturata in una sorta di complesso di colpa collettiva, o di una snobistica concessione all’ideologia. Il riscatto della condizione operaia – si pensi ancora a vertenze simboliche come le 150 ore o al ruolo assegnato ai consigli e ai delegati di fabbrica nell’autunno caldo italiano – rappresentava una risposta tangibile alla solitudine dei singoli e alla stessa incipiente “alienazione operaia”, già intravista dalla letteratura sociologica sul post-fordismo. Non per caso fu la stagione intellettuale della riscoperta di Gramsci e quella civica delle amministrazioni locali governate dalla sinistra. Le quali costruivano scuole e ospedali, garantivano una discreta qualità dell’assistenza pubblica e maggiore equità nell’allocazione delle risorse. Era la cultura della sinistra che alzava la bandiera dei beni comuni, che smantellava i manicomi, che ispirava la creazione dei sistemi sanitari pubblici e l’estensione per tutti dei cicli educativi. Sinistra e democrazia marciarono insieme in quei decenni cruciali. Lo fecero, a parere di Ronchi, proprio coniugando e declinando nel lessico della democrazia comunità e identità. Quella dei nuovi populismi costituisce perciò una sorta di appropriazione indebita di queste parole chiave.
È però incontestabile, come scrive Daniele Marini (Fuori classe, Il Mulino 2018), che a distanza di quattro decenni il panorama sociale disegnato dall’industrializzazione è irriconoscibile. Gli operai ci sono ancora, ma è scomparso quell’attore collettivo che chiamavamo, con la dovuta deferenza, classe operaia. Il voto operaio si indirizza in maggioranza ai partiti populisti, il potere ordinativo dell’identità di classe è venuto meno da tempo. Nessuna realistica possibilità di ripristinare quel paradigma culturale e sociale così come si rappresentava alle prime generazioni postbelliche. Guai però a indugiare in astratte mitologie. Ma guai anche a perseguire una parimenti astratta e acritica difesa della globalizzazione. Fra la sfera del locale e quella del globale si producono, non da oggi, tensioni e persino conflitti. Ma assolutizzare l’opposizione fra locale e globale significa congelarne la necessaria dialettica e regalare alla demagogia populista il monopolio di valori e significati ancora vivi, sebbene bisognosi di una coraggiosa rivisitazione.
Il tema della solitudine come fatto intrinsecamente politico suggerisce considerazioni ulteriori. Il demografo francese Hervé Le Bras, in particolare, ha istituito una correlazione stringente fra voto al Fronte Nazionale ed erosione delle reti sociali tradizionali nelle campagne del suo Paese. Nel ballottaggio presidenziale del 2017 i piccoli borghi e i minuscoli paesi delle aree rurali, caratterizzati per secoli da robuste relazioni di vicinato e sentimenti di appartenenza densi, rinforzati da interessi condivisi, amicizie, mutualità e legami di parentela e di lavoro, hanno tributato un plebiscito alla candidata populista Marine Le Pen. La ricerca disegna la mappa di comunità dove nell’arco di un decennio sono via via scomparsi i piccoli empori di villaggio, si è diffuso il pendolarismo, sono quasi sparite le osterie e le sale parrocchiali, si sono svuotati luoghi di ritrovo e sezioni di partito. Il tessuto sociale si è fatto insomma più fragile, come in buona parte delle nostre antiche regioni rosse. Ciò si è tradotto in una crescente permeabilità alla propaganda populista, abile nell’individuare falsi nemici (gli immigrati, le oligarchie finanziarie, l’Europa, la casta) cui addebitare lo sgretolamento dei legami comunitari. Anche dove la cultura civica affonda radici profonde e l’impatto migratorio presenta effetti ridotti, dilaga così la suggestione xenofoba e populistica, mentre il voto alla sinistra – in Francia come in Italia – emigra nei quartieri di ceto medio urbano intercettando fasce di elettorato acculturato e socialmente garantito.
Secondo Le Bras e Ronchi, insomma, non sarebbe qualche nostalgia identitaria o qualche misteriosa regressione al comunitarismo rurale a generare il consenso al populismo. È piuttosto lo strabismo delle sinistre, incapace di riconoscere i segnali di un disagio autenticamente popolare prima che si trasformi in consenso populista e persino di analizzare la ambigua domanda di protezione che proviene dalle urne, a spiegare la deriva politica in atto. Identità e comunità potrebbero invece, secondo questa lettura, rappresentare risorse democratiche, come fu in momenti cruciali della storia europea. A scrivere la Resistenza italiana e il Maquis francese fu il sostegno generoso e talvolta eroico delle comunità contadine e montanare nei mesi della guerra partigiana. La stessa geografia elettorale dell’Italia postbellica nei primi decenni della Repubblica ci segnala uno radicamento del voto al Pci assai più significativo nelle comunità rurali, che avevano conosciuto in anni lontani il regime della mezzadria e più tardi la Guerra di Liberazione, che non nelle maggiori città industriali. Ispirate alla tutela delle comunità locali furono anche, qualche decennio più tardi, le mobilitazioni civiche a difesa dell’ambiente, per i beni comuni o contro la criminalità organizzata. Estendendo il ragionamento, si può aggiungere che anche le tematiche dell’identità sono state sin dagli anni Settanta elaborate o rivisitate in chiave democratica da movimenti di azione civica, massicciamente orientati a sinistra, che promuovevano i diritti delle donne, delle minoranze, degli omosessuali.
La sinistra contemporanea ha dunque l’obbligo di un esame di coscienza. Nella Grecia al collasso erano i presìdi dei fascisti xenofobi di Alba Dorata a organizzare ambulatori da campo e mense per gli abitanti dei quartieri disagiati di Atene e di Salonicco. Il Front National francese o il movimento dei Veri Finlandesi gestiscono estese reti di mutualità e di assistenza gratuita a beneficio dei “compatrioti abbandonati”. Persino il miliardario populista Trump ha trovato ascolto fra i dimenticati della modernizzazione (i “forgotten men”). La Lega, protagonista nel marzo 2018 di una spettacolare avanzata nelle regioni rosse, vi aveva costruito propri avamposti già una ventina di anni or sono cavalcando la protesta contro l’accorpamento nelle ASL dei piccoli centri sanitari territoriali. In qualche modo si era così accreditata come una forza vicina alle comunità e fieramente antagonistica rispetto alle “tecnocrazie rosse”, che pure avevano dato il più delle volte prova di una gestione efficace delle risorse pubbliche. Sono dati di contesto che possono utilmente introdurre una riflessione di profilo sociologico che coniughi riferimenti ai classici e dovuti aggiornamenti.
NICOLA R. PORRO
POPULISMO E POPULISTI (IX) di NICOLA R. PORRO ♦ Il mondo globale e le felpe di Salvini La maggior parte degli studiosi collega le insorgenze populiste - tanto quelle di destra (sovranismo ed etnonazionalismo) quanto quelle ispirate al qualunquismo digitale - con confusi bisogni di
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Divide et Impera in Omnibus, parat Mundi in Tempore belli.
Quindi nel momento in cui si astrae ricchezza “materiale” alle famiglie non esiste più ricchezza “nominale” e quindi quella relativa protezione sociale.. percui si da FIDUCIA agli altri.
Gli individui organizzati divengono forti di un monopolio autolegittimato ..(piramidale dove ognuno conosce il proprio ruolo) se sottomettono quegli individui che nel pieno dei loro diritti nel frattempo si trovano in una condizione di alienazione, d’indifendibilità o precarietà (espropriati, sequestrati, trucidati, carcerati o traumatizzati) di quelle garanzie nell’esercizio di quell’autodeterminazione che semplicemente finisce quando si riducono quei cittadini o cittadine da persone a oggetti, numeri, pedine di un gioco ideologico, omertoso nel silenzio degli assassini che in un regime o in un autogoverno opportunamente suscitano, suggeriscono, acclamano, suggestionano paure o istinti di rinuncia e non osano mettersi in discussione nei confronti di chi il controllo l’ha voluto così insediato giustificato ammiccato e quasi sempre spalleggiato autorizzato a qualsiasi costo e a dispetto di non esserne mai stato investito di nomina, carica, e legittimazione: percome in situazioni eccezionali si presenta il modo il mezzo e il movente di un colpo di mano e diventano minoranza quelli che perdono tutto, venendo defraudati di questi stessi diritti, e delle libertà fondamentali soprattutto, risultano adesso più vulnerabili e incapaci di difendersi da una guerra “globale” che non li risparmia neppure agli antipodi nel caso di un “conflitto mondiale” dove ogni nazione è d’accordo su cosa è storia.. e cosa è negazionismo.. e in ogni luogo dove i meri beni materiali si trasformano da baluardi ad abissi di ingiustizie in forme disintegrate di espropriazione indebita e in un potere costituito quasi assoluto di veto su ogni redistribuzione del benessere e del vantaggio.
Favori che permettono a una classe di mediocri di emergere e a coloro i quali divengono soggetti privilegiati d’innanzi agli indifesi oggi, di dettare le regole del gioco poiché hanno l’arroganza di arrivare alla violenza quando, quanto e perché là nei soprusi hanno metodo nell’infliggere il massimo danno al minimo sforzo, ragione nei tempi e nei mezzi per contare e farsi sentire, e sanno come sgretolare gli uomini (e le donne) senza sentirsi in colpa neppure davanti alle istituzioni che legittimano; si assiste allo sfaldamento dei valori nominali e alla ristrutturazione demografica secondo una dimensione misurabile in danni a lungo termine e controdivulgazione dei fatti reali.
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La Lega sventa la vendita di beni strategici del Comune nel consiglio comunale del 16 aprile
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Riccardelli e Di Rocco Un elenco che ha fatto saltare sulla sedia molte persone a Formia, e l'assessore Mazza ha detto che sono beni solamente da valorizzare. Se c'è una prova che questa amministrazione se ne deve andare a casa è proprio quella che è stata offerta in consiglio comunale del 16 aprile, quando lo stesso assessore ha detto che in questo caso bisogna "governare" le persone che vogliono prendere in gestione il bene comunale. L'abbiamo vissuto con il Formia calcio 1905 quest'anno, dove tra dimissionari e affini che son venuti dall'altra sponda del Garigliano, in senso metaforico intendiamo, c'è il probabile rischio che questa gloriosa società faccia la fine di "Sansone con tutti i filistei". Ma ritorniamo all'oggetto di questo scritto. Secondo la versione fornita dal giornalista Saverio Forte in Temporeale, ma basta anche andare a sentire il video Facebook sul Consiglio comunale - a proposito sulla pagina ufficiale del Comune siamo ancora a dicembre 2018, c' è bisogno di una denuncia alle forse di polizia per farlo aggiornare o vogliamo; che si mettono i video su Facebook e poi le trascrizioni ufficiali non ci sono, non serve a niente - i due consiglieri comunali Di Rocco e Riccardelli hanno letteralmente sbottato: "Se qualcuno invoca collaborazione istituzionale da una parte e poi manifesta comportamenti a dir poco opinabili che vanno in una direzione diametralmente opposta al confronto auspicato dalla stessa maggioranza il nostro voto contrario al bilancio di previsione 2020 è il minino che potessimo esprimere”. Bisognava approvare una delibera propedeutica al documento contabile, quella inerente il piano di alienazione nel 2020 degli immobili di proprietà comunale, che dalla bozza dell’atto deliberativo sono spuntate tre schede anziché due. Si trattava di formalizzare la volontà del Comune di Formia di vendere e di sdemanializzare alcuni immobili di proprietà che, abbandonati a se stessi o peggio deprezzati a causa di un’annosa situazione di degrado e incuria, ha l’obiettivo di fare cassa durante l’esercizio finanziario appena iniziato. Tutto nella regola quando il gruppo consiliare del “carroccio” formiano ha trovato nell’elenco ���A” due appartamenti, al primo e al secondo piano, al civico 15 di via dei Provenziali nel quartiere marinaro di Mola di 37 metri quadrati ciascuno, che già nella passata amministrazione si è cercato di vendere ma senza successo, e di tre terreni di 750, 40 e 400 metri quadrati nella frazione di Penitro, in località Santa Maria La Noce ed in via Madonna di Ponza. L’assessorato all’urbanistica ha provveduto anche ad ipotizzare il valore, qualora venissero venduti, di questi cinque beni del comune: poco meno di 109 mila euro e, più precisamente, 108.825mila euro. Inferiore si è rivelata la stima per la cessione dei due beni contenuti nell’elenco da sdemanializzare: 63mila euro e mezzo circa per la “vendita” di due tratti stradali di 200 metri quadrati in via Appia Lato Napoli e di 210 metri quadrati, sempre in via Appia Lato Napoli, laddove un tempo c’era piazza Mercato. La questione che ha letteralemtne preso di contropiede sopratutto Di Rocco, ed ha creato un mix di imbarazzo e di incredulità tra alcuni esponenti della maggioranza civica ha riguardato, invece, l’elenco “C” di cui tutti, ma proprio tutti, ignoravano l’esistenza. Tranne uno: il sempre attento assessore all’urbanistica e al demanio e patrimonio del comune di Formia Paolo Mazza. E sembra anche Gerardo Forte, se si va a leggere al di là delle righe il suo intervento in Consiglio comunale. L’oggetto di questa parte di piano non era più la vendita o la sdemalizzazione di alcuni pezzi dell’argenteria dell’amministrazione Villa ma qualcosa di più enigmatico: la valorizzazione di altri beni comunali. In pieno consiglio comunale Di Rocco e Riccardelli hanno chiesto pubblicamente cosa costituisse concretamente questo elenco “C” che, mai approdato in alcuna commissione consiliare, era pertanto un argomento oscuro per la maggioranza e tanto meno per le minoranze. Incalzato e costretto a “dire quello che sapeva” dal capogruppo Di Rocco, l’assessore Mazza è riuscito a celare il suo imbarazzo solo grazie alla mascherina anti Covid 19 che indossava alla destra del sindaco Paola Villa. Per il delegato all’urbanistica il termine valorizzazione significava “affidare in concessione” beni e strutture che a Formia, in piena emergenza Coronavirus, significherebbe fare la fortuna per qualcuno di natura economica. Nota: non era Mazza che ha stigmatizzato quando Sandro Bartolomeo prima e Michele Forte poi hanno cercato di affidare a società afferenti al senatore formaino ma ormai romano di adozione Raffaele Ranucci la costruzione del "porto di mezzo" che poi di fatto il project financing non è mai andato in porto, per usare un giro di parole. E lo stesso Mazza ha fatto rischiare una caduta della giunta sulla questione del porto che è un progetto molto più ampio rispetto a quello prospettato in comuen qualche tempo fa, sempre con un colpo di mano, poi ritirato? L’elenco fa tramare le vene ai polsi a chiunque: l’ex discoteca Seven Up in via Fosso degli Ulivi a Gianola, l’Auditorium “Vittorio Foa” nell’area mercatale di via Olivastro Spaventola, il centro polifunzionale presso la lottizzazione “Gepi Cirina”, il campo di calcio pluriuso in via Cassio e nientemeno che i due stadi rimasti di proprietà comunale, quello storico di Castellonorato e il nuovo (ancora da ultimare) in località Fontana a Maranola. L’outing dell’assessore Mazza ha fatto arrabbiare e non poco i consiglieri comunali Di Rocco e Ricccardelli nel momento in cui la maggioranza Villa aveva in mente, dopo naturalmente la pubblicazione di altrettanti bandi, di dare in concessione questi beni pubblici per mezzo secolo, cinquant’anni. Quando Di Rocco e Riccardelli hanno cominciato a mostrare i muscoli, l’assessore Mazza ha dovuto stralciare dalla delibera questo famigerato elenco “C” – la richiesta di ritiro della Lega è stata finanche votata dalla stessa maggioranza – che, se fosse stato licenziato, avrebbe autorizzato il giorno dopo la Giunta a privatizzare (di fatto) questi beni approfittando anche della buonafede e dell’ignoranza – nel senso di non sapere – della stessa maggioranza … L'attenta opposizione del duo leghista è stata efficace in questo caso. Read the full article
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Ascoli Piceno, Consiglio Provinciale: integrato il Piano di alienazione dei beni di proprietà dell’Ente Eletti in Piceno Consind come rappresentanti della Provincia i consiglieri Tonelli e Girolami ASCOLI PICENO - Si è svolta ieri pomeriggio nell’aula consiliare di Palazzo San Filippo una seduta del Consiglio Provinciale.
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Alienazione beni immobili
Scade il 12 settembre 2017 alle ore 9.30 la presentazione delle offerte per partecipare all'asta di 14 beni immobili che la Città intende alienare coerentemente con le proprie linee ed indirizzi di bilancio. Maggiori informazioni.
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PESARO – Il Consiglio comunale si è aperto con l’esame delle interrogazioni. La prima, presentata dal consigliere di Prima c’è Pesaro Emanuele Gambini su area verde retrostante campo sportivo Villa San Martino calcio (tra le vie Ponchielli, Togliatti, Paganini).
“L’area appartiene al Comune e la pulizia la stiamo facendo. Esiste un progetto, la proposta viene dal Villa San Martino Calcio intenzionato a sviluppare quell’area – afferma l’assessore all’Operatività Enzo Belloni, chiamato a rispondere su proprietà e eventuale progetto di risistemazione -. L’operazione si è fermata, probabilmente anche a causa del costo. Per quanto riguarda i campi di pallacanestro siamo in contatto con uno sponsor per la sistemazione di due campi cittadini, uno di questo è quello di Villa San Martino”.
Ha come tema l’ambiente la seconda interrogazione di giornata, portata in aula dai consiglieri del Movimento 5 Stelle, che chiedono se il Comune di Pesaro abbia rispettato l’obbligo di porre a dimora un albero per ogni neonato a seguito di registrazione anagrafica (legge 113, 1992). “Il Comune si è già attivato per dare riscontro alla legge – commenta l’assessore alla Mobilità Heidi Morotti – attualmente il registro non risulta agli atti, tuttavia risulta già coperto il numero corrispondente di piantumazione degli alberi (da giugno 2014 a marzo 2019 6260 alberi). Attività seguita in parte con il Servizio Lavori Pubblici e Aspes, volontari coordinati da Stefano Falcioni, nelle aree di proprietà comunale compatibilmente con la destinazione urbanistica del Piano Regolatore Generale”.
La terza interrogazione, a firma del Movimento 5 Stelle, ha come oggetto la mobilità pubblica in città: in particolare la mancanza di corse durante la domenica e l’orario da estendere nei giorni lavorativi. “Il Comune è molto attivo sulla mobilità sostenibile – spiega ancora Morotti – attualmente, la maggior parte dei trasporti pubblici dei comuni è finanziata dalla Regione Marche, che stanzia un contributo, nel nostro caso, pari a 900mila km circa ai quali il Comune stesso aggiunge i chilometri necessari per il funzionamento delle navette estive e quella del San Decenzio totalmente gratuite per gli utenti. Le uniche linee largamente usate sono le Circolari Destra e Sinistra che proprio per i grandi numeri di passeggeri trasportati ogni giorno, mantengono quasi intatto il loro servizio, avendo corse invariate per il sabato e mantenendo due corse nella mattinata di domenica e a orario pieno la domenica pomeriggio. Ogni servizio può sempre essere migliorato e già si è aperto un confronto con Adriabus su eventuali modifiche e/o variazioni atte a razionalizzare il servizio, ma resta prioritario aprire un dialogo con la Regione”.
DELIBERE
Approvata all’unanimità l’intesa con l’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Centrale su obiettivi strategici per la variazione della destinazione funzionale di parte della nuova darsena del porto di Pesaro a nautica da diporto. Oggetto dell’intesa è la destinazione dell’area nord della nuova darsena, per una superficie pari al 50% dell’intero specchio acqueo alla nautica da diporto, mentre la restante parte (verso sud) verrà mantenuta con destinazione commerciale.
Come si legge nel documento strategico “Pesaro 2030: strategie e progetti sulla città del futuro”, la delibera promossa dall’assise persegue l’obiettivo di potenziare il settore turistico e in particolare il turismo sportivo con destinazione del porto non solo a commerciale. “Nella nuova darsena potranno entrare tutti i tipi di barche (vela e motore) – aggiunge l’assessore all’Urbanistica Andrea Nobili. Per l’assegnazione, come per il resto degli ormeggi, dovrebbe essere assegnata dai circoli che gesti i posti barca. Quello che si approva oggi è un punto di partenza, ma fa piacere che il lavoro dell’Amministrazione sia riconosciuto: abbiamo sempre recepito e cercato di dare risposte ai diportisti, questo è il primo passo per cercare di migliorare le condizioni del porto. A questo proposito vanno fatte crescere e migliorare anche le attività che ci sono”.
L’intervento della consigliera Giulia Marchionni, Prima c’è Pesaro: “Un intervento importante, per anni è stata difesa la destinazione d’uso commerciale uno dei porti a rilevanza internazionali. Ben lieti di leggere e approvare la delibera che rivoluziona un po’ il modo di vedere il nostro porto e va incontro ai tanti diportisti. Ma ci chiediamo qual è il futuro del porto di Pesaro?”. Una buona notizia per i pesaresi, anche per il consigliere Lugli M5S, che aggiunge: “è un porto che non si capisce dove vuole andare, a mio avviso sarebbe meglio puntare su turismo e commercio”. “Non dimentichiamo l’impegno dell’Amministrazione per questo porto strategico – conclude Massimiliano Amadori, capogruppo Pd – tra tutti l’intervento principe, che ha coinvolto il cantiere Rossini, in un’area che era andata quasi persa”.
Approvato all’unanimità anche il progetto Move on Bike, in particolare il progetto di fattibilità tecnica ed economica e delibera di apporre vincolo preordinato all’esproprio, presentato in sinergia con il comune di Montelabbate (ha ottenuto un finanziamento di euro 536.420 ed è stato inserito nel piano delle opere pubbliche 2019-2021, prevedendo la realizzazione della Bicipolitana lungo la valle del fiume Foglia). “Un progetto ricreativo finanziato dalla Regione Marche, che coinvolge il Comune di Pesaro e Montelabbate – spiega l’assessore all’Operatività Enzo Belloni -. Nel dettaglio sono previsti due percorsi ciclo-pedonali: uno sulla sommità arginale del fiume Foglia di collegamento della Torraccia con Villa Fastiggi (che congiungerà l’attuale linea 3 con l’area naturalistica del lago Pensierini per un itinerario totale di 2,6 Km ndr). L’altro a Borgo Santa Maria di collegamento dell’area industriale di via Gabbani con il centro della frazione di 750 metri circa”. Il costo complessivo per il 2019 è di 898.420,00 (fondi ministeriali, proventi da alienazione di immobili, applicazione dell’avanzo).
Approvate all’unanimità le linee di indirizzo per l’aggiornamento del Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione e Trasparenza (2020/22). Tra le modifiche, illustrate da Valter Chiani, responsabile della prevenzione corruzione e trasparenza, la promozione dell’attività di formazione a tutti i livelli della struttura organizzativa, maggiori livelli di trasparenza, incremento delle garanzie e della tutela del ruolo esercitato dal responsabile prevenzione della corruzione, al fine di consentirgli di svolgere la funzione con autonomia ed effettività anche disponendo di eventuali modifiche organizzative finalizzate a potenziare le funzioni e i poteri idonei allo scopo con rafforzamento dei poteri di interlocuzione e di controllo nei confronti di tutta la struttura, sviluppo della “Giornata della Trasparenza” come un momento di conoscenza e trasparenza dell’ente alla cittadinanza nonché come occasione di formazione, promozione della cultura della legalità, promuovendo una maggiore diffusione e conoscenza dei codici di comportamento dei dipendenti pubblici.
In discussione anche l’intervento di adeguamento del ponte di Case Bruciate: “Abbiamo chiesto a Marche Multiservizi e Comune di Tavullia di intervenire – continua Belloni – questo è stato fatto, sono stati fatti espropri per 2500 euro già liquidati. Quando il ponte sarà collaudato da MMS entrerà nei beni del comune”. Delibera approvata all’unanimità.
Approvata all’unanimità la delibera per la variazione al Piano Regolatore della città. Adeguandolo sulla base degli studi di microzonazione sismica, ovvero la valutazione delle zone stabili, quelle suscettibili di amplificazione locale del moto sismico e le zone suscettibili di instabilità, al fine di individuare il grado di pericolosità locale di ciascuna parte del territorio urbanizzato, fissando per le diverse parti del territorio le soglie di criticità ed i limiti e le condizioni per la realizzazione degli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia. “Uno strumento utile -così l’ingegnere Moretti – per professionisti e cittadini, perché in sede di progettazione possono aver chiaro gli effetti del sisma e prendere delle controindicazioni necessaria. Vale per nuove costruzioni o per la ristrutturazione”.
Durante la dichiarazione di voto, gli interventi: “Votiamo favorevolmente – afferma il capogruppo della Lega Giovanni Dallasta -, il vecchio Prg conteneva già indicazioni, ma è positivo questo studio anche perché il nostro territorio ha differenti formazioni geomorfologiche”. ”Un documento lodevole – aggiunge Francesca Frenquellucci M5S -, ritengo importante il piano di evacuazione. A questo proposito chiediamo anche il coinvolgimento di cittadini”.
Passa in Consiglio anche la variante sostanziale al piano del Parco San Bartolo, ai fini della modifica delle previsioni urbanistiche per la Concessione Convenzionata a Santa Marina Alta. “3 voti a favore (gruppo di maggioranza e Movimento 5 Stelle, 9 astenuti Lega, Forza Italia e Prima c’è Pesaro). Tra le altre cose si tratta dell’aumento della capacità edificatoria senza maggiore consumo di suolo. Nella fase attuativa consiste nella concessione gratuita di terreni (un’area pari a circa 4 ettari). Una sola osservazione da parte della proprietà che chiede il cambio da verde pubblico a verde privato d’uso pubblico (con rampa d’accesso agli interrati dell’edificio che deve essere realizzato).
Tra le delibere di urbanistica, sono state approvate le varianti per: l’ampliamento di un edificio abitato ad uffici (proprietà ditta Ubi Leasing spa/ conduttore Acanto immobiliare in strada della Campanara 15), e la ristrutturazione di fabbricato, con relativo accessorio pertinenziale da destinarsi a struttura ricettiva extra-alberghiera, demolizione della parte non storica, spostamento entro il 50% area di sedime delle cubature (zona strada in sala).
Passate anche le regolarizzazioni patrimoniali delle strade d’uso pubblico ricadenti all’interno del Comune di Pesaro (acquisizione gratuita) di via Giolitti e via F.lli Del Prete.
MOZIONI
Tra le mozioni, cinque ad oggetto la raccolta dei rifiuti: “Un settore che vive una dinamicità dei cambiamenti -illustra il firmatario della Lega Andreolli, insieme a Marchionni A., Biagiotti, Dallasta, Totaro -. All’interno dei cittadini si è consolidata la differenziazione dei rifiuti. Consideriamo un problema quello della raccolta porta a porta in centro perché impatta su orari di commercio e turismo. So che in tanti centri storici e moderni hanno creato isole ecologiche interrate dove esercente e cittadino gettano il rifiuto. Proponiamo una sperimentazione o per lo meno una valutazione”, ancora ad oggetto la rete di fontane pubbliche, ripristino porta a porta del servizio verdeoro e la raccolta di plastica. “Su isola ecologica interrata sono strutture che portano disagi per il centro storico.
Occorrono camion ingombranti, che nelle nostre vie strette farebbero difficoltà – replica l’assessore all’Ambiente Heidi Morotti -. Abitiamo in un territorio storico, quindi dove si scava si potrebbero trovare reperti storici. Il percorso dei rifiuti mi ha vista impegnata dal primo giorno di mandato, ho delle proposte pensate dal punto di vista della funzionalità e della bellezza. Per le fontanelle, abbiamo una mappatura, ma le risorse idriche del nostro territorio vanno controllate”. Approvata solo la mozione, modificata dall’emendamento presentato dalla Lega, a tema raccolta porta a porta frazione organica in tutto il territorio comunale.
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Il progetto realizzato con la Fondazione Morra, Fondazione Lac o Le Mon e Cantiere Giovani, vincitore del Bando 2018 “PRENDI PARTE! Agire e pensare creativo” ideato dalla Direzione Generale Arte e Architettura contemporanee e Periferie urbane (DGAAP) del Ministero per i Beni e le Attività Culturali presenta IN SEI ATTI.
IN SEI ATTI sono le forme - del vivere, del conoscere, del fare esperienza – che acquisiscono priorità. Il prodotto dell'esperienza formativa mette inevitabilmente in discussione ogni possibile contenuto, identificando proprio nel "niente" l'argomento intorno a cui - ma anche all'interno di cui – lavorare.
Uno
Estraneazione come azione di disaccordo/rifiuto da ciò che viene imposto, raggiungendo uno stadio di piacere e coesione con l'Io negato dalle strutture sociali. La performance consiste in un torneo di Burraco limitato a quattro soli componenti, i quali in coppia si sfidano per otto ore, mentre il quotidiano continua a svolgersi regolarmente. Affermare il concetto di alienazione con un atteggiamento ludico, è l'intenzione di questo atto, spiegare tramite il suo paradosso (ovvero il gioco) una condizione oppressiva. Entreranno a"giogare" vari fattori già provati in precedenza, quali la competizione, la "guerra alla sopravvivenza", il crearsi un rifugio astratto nel quale estraniarsi e trovare il proprio spazio/luogo.Potrebbe non essere un piacere, anzi, l'obbligo a stare isolati dal contesto sociale potrebbe avere una sola conseguenza, il delirio; quella coesione con l'Io negato non è una negazione positiva bensì in quel gesto di astenersi dalla realtà trovando come escamotage il gioco, che è l'affermazione del Nulla.
Due
è un lavoro che nasce da una riflessione sulla scala come elemento di passaggio e di unione tra due spazi differenti. Le scale in questione uniscono l’ingresso, al piano terra della Fondazione Lac o Le Mon, con le camere da letto al primo piano. La scala diventa così non solo uno spazio di transizione, ma soprattutto di condivisione. Il salire, l’andare avanti ed in alto diventano metafore della creazione di scopo. Una serie di registratori sono stati nascosti tra le scale della Fondazione durante le ore serali e quelle notturne, diventando dispositivi di sorveglianza sonora. Il risultato è la raccolta di una serie di suoni dei passi delle persone, dei bisbiglii, delle confessioni ed degli ultimi saluti prima di andare a dormire. La scala si fa custode di tragitti e segreti. L’installazione raccoglie tutti questi elementi sonori e li ripropone in un altro spazio, quello di Casa Morra, stabilendo un canale relazionale con le sue imponenti scale. Il visitatore si trova così ad esperire una condizione di spaesamento fisico ed allo stesso tempo di partecipazione emotiva alla vita quotidiana della casa.
Tre
“Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere”: è con questa asserzione che Wittgenstein conclude la sua opera più importante, lasciando aperto e propriamente “non-detto” il campo dell’indicibile, dell’impossibile restituzione linguistica di quellacosa , che in questo contesto si manifesta e tenta di delinearsi come niente. Attraverso un approccio paradossale si inscena un discorso dal tono ironico e scientifico, che cerca fallacemente di avvicinarsi all’impossibile traduzione del niente. Il tentativo di esperibilità del nulla avviene attraverso un dialogo informale e un monologo in cima ad una scala apparentemente inutile, su un terrazzo-palcoscenico dove i limiti della parola compongono una dissertazione che non può che essere “Discorso sul niente o dell’impossibile dirsi del nulla ”.
Quattro
Il progetto si inserisce nell’ambito della ricerca su suono e spazio, in una dimensione familiare che tiene conto delle peculiarità dei luoghi vissuti in comune. Quattro (Cavità) nasce dall’esigenza di interrogare l’ambiente lasciato inabitato per alcuni decenni, ponendosi al contempo come ascoltatori e donatori nei confronti di uno spazio ambiguo, inesplorato fino in fondo. La cucina rurale, luogo della comunità per eccellenza, prende cosí vita attraverso il canto delle persone che ne ascoltano silenziosamente la storia. La voce diventa mezzo per riempire i vuoti del forno, centrale, maestoso, come un grande corpo una volta caldo e umano. Un antico corpo spento attende senza peso o sente sovrapporsi la densità del tempo? Attraverso l’azione spontanea e potente evocata dal gruppo si è attivata una forza suggestiva che allo stesso tempo accoglie e abbandona.
Cinque
In Cinque (We are too sad to tell you) ognuno dei partecipanti invita negli spazi di Casa Morra una persona a scelta fra tutte quelle non presenti all’evento. Questo invito avviene mediante un anomalo componimento d’orchestra, dove ogni membro è munito dello stesso strumento musicale: il proprio cellulare. Diciannove telefonate simultanee, indirizzate verso diciannove destinatari differenti, sono amplificate in vivavoce, a vuoto. I cellulari emettono il segnale di chiamata, le persone dall’altro capo rispondono, ma trovano in risposta un silenzio imprevisto e al contempo parlato. Le voci, le parole udite da chi risponde non sono quelle di chi ha avviato la telefonata, ma appartengono a qualcun altro. A chi? Potrebbe capitare che due o più fra gli inconsapevoli partecipanti del rito telefonico inizino una conversazione fra loro, potrebbe invece accadere che nessuno risponda. Ciò non importa, il meccanismo è il seguente: un gruppo di persone è connesso a propria insaputa nel medesimo luogo, per mezzo di una telefonata; in modo indiscriminato, tutto ciò che avviene all’ interno di questo processo entra a far parte di uno spartito cacofonico desiderato.
Sei
Sei (Manifesto del non fatto) “Quello che non si può dire in poche parole non si può dirlo neanche in molte”. [da Semplificare è più difficile, Bruno Munari]
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side projects:
Publication by Fondazione Morra
#art#conceptual art#cesarepietroiusti#fondazionemorra#luisadedonato#contemporaryart#napoli#fondazionelaclemon#lecce#performance#emiliofantin#fondazionelacolemon
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Torino, Palazzo di Città mette all’asta 13 lotti di immobili
In esecuzione del Piano straordinario di alienazione 2018-2021, il Consiglio Comunale di Torino ha deliberato oggi la vendita mediante asta pubblica di 13 lotti di immobili.I beni sono suddivisi in tre sezioni: immobili messi all’asta per la prima volta (per un totale di 10 lotti, del valore di oltre 3,5 milioni di euro: locali commerciali, … Leggi tutto L'articolo Torino, Palazzo di Città... Per il contenuto completo visitate il sito http://bit.ly/1tIiUMZ
da Quotidiano Piemontese - Home Page http://bit.ly/2KkJVUo via Adriano Montanaro - Alessandria
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SARANNO MESSI A BANDO FABBRICATI E TERRENI
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SARANNO MESSI A BANDO FABBRICATI E TERRENI
GIA’ PREDISPOSTO UN UNICO PIANO DI ALIENAZIONE DI CIRCA 7 MILIONI L’IMPORTO CHE SI STIMA DI RECUPERARE
Tutti gli immobili e i terreni non strumentali all’esercizio delle funzioni proprie della Provincia, già raggruppati in un unico piano di alienazione, saranno messi, per la prima volta, a bando.
Lo scopo, secondo la volontà del presidente Sergio Abramo, è quello di incrementare gli investimenti che riguardano il mondo delle scuole, il miglioramento della viabilità e la manutenzione delle strade.
L’importo che la Provincia stima di poter recuperare è di circa 7 milioni di euro.
La redazione del Piano, curata dal settore Gestione amministrativa del Patrimonio diretto da Gregorio De Vinci, è stata preceduta da un’approfondita ricognizione del patrimonio provinciale, che è servita a fare emergere quali immobili fossero da valorizzare e quali fosse opportuno alienare.
I beni esclusi dal Piano sono quelli che risultano già portati a reddito o destinatari di scelte orientate, ad esempio, a soddisfare determinati scopi sociali.
I beni alienabili, che saranno messi a bando con procedure a evidenza pubblica, sono sparsi su tutto il territorio provinciale.
L’effettivo avvio delle procedure di vendita è subordinato all’approvazione di un regolamento e all’espletamento di tutti gli adempimenti tecnici e giuridici.
Il piano di alienazione si inserisce nel più generale progetto di razionalizzazione della spesa perseguito dal presidente Abramo, che ha previsto finora azioni quali la dismissione dei fitti passivi superflui, il ripristino di impianti fotovoltaici mai entrati in funzione, il censimento dei mutui e la razionalizzazione del parco auto.
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Resistenza, non quella che usiamo nella doccia!
Questa è la parola chiave per i tempi difficili, sebbene eventi e angustie siano storici. Resisteremo agli insulti di razza e di genere e resisteremo all'alienazione per false notizie!
Alanne Pereira
Da qualche tempo ho trovato testi pubblicati su diversi giornali, evidenziando i recenti attacchi di violenza, legati alla manifestazione dell'odio nei più svariati pregiudizi sociali, come il razzismo e l'omofobia. Ciò che attira l'attenzione in questa storia è la posizione dei giornalisti sull'argomento e il modo in cui mettono in dubbio la veridicità di tali fatti. Gli innumerevoli racconti sono presentati per piantare il seme del dubbio nel lettore e lo costringe a chiedersi se questi casi siano stati effettivamente motivati da fenomeni pregiudizievoli o siano limitati al semplice "dramma, esagerazione e aggravamento" della situazione.
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Sappiamo che, principalmente nello scenario attuale, siamo ostaggi di un regime permanente delle famose "fake news"; e purtroppo, alcune persone si stanno appropriando di temi rilevanti da un dibattito così importante per dare voce a determinati eventi. Come l'episodio dell'aggressione a Daisy Osakue, atleta italiano di origine nigeriana, che è stato colpita da un uovo (sì, un uovo). Il caso è stato segnalato come episodio di insulto razziale; tuttavia, le indagini hanno identificato su incidenti simili nei giorni precedenti e Daisy è stata l'unica vittima nera. Questo, in un certo modo, diminuisce l'importanza di tali movimenti impegnati e pone la popolazione in una posizione di incertezza tutto il tempo, di fronte a tutte queste notizie. Provoca immenso disagio per coloro che difendono e combattono per queste cause, quando, per esempio, una modella/attrice polacca (e bianca) che vive in Italia afferma di essere sicura di una cosa: "non c'è odio razziale in Italia". Dopo tutto, cosa sono i rapporti infiniti di violenza e di innumerevoli progetti di ricerca rispetto all'affermazione di una outsider bianca, non è vero?
Il razzismo storico si è sviluppato da una visione eurocentrica del mondo, considerando che l'inferiorità nera faceva parte dei valori culturali europei, sostenuti da istituzioni religiose e scientifiche; e, successivamente, essere imposto per i popoli delle varie colonie. Hanno schiavizzato gli africani, e questi erano visti come beni commerciali, che esercitavano la loro forza di lavoro nel modo più disumano possibile finché era interessante e poi venduti o scambiati (quando sopravvivevano). Questo ci porta alla conclusione intelligente che la vera forza trainante di un sistema schiavo è l'economia (wow! è il capitalismo). Il denaro aveva un colore ed era nero. Considerando tutte queste premesse, alla luce di quale prospettiva sarebbe un atteggiamento affrettato o "esagerato" per mettere in guardia contro il razzismo in una società piena di pregiudizi radicati?
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In ogni momento, abbiamo accesso ad attacchi di natura estremamente razzista, segnalati da vari mezzi di comunicazione, testimoni di altre persone e categorizzati con un pregiudizio discriminatorio. Come nel caso dell'italiano, di origine indiana, Shanthi; che, in procinto di prendere il suo posto in Frecciarossa - treni italiani, ad alta velocità, operatore di Trenitalia - è di fronte a una signora chiedendogli di mostrare il biglietto che ha permesso sedersi lì e, subito dopo, dichiara di non voler essere intorno una donna di colore. O riportato l'esperienza di qualche anno fa da un cantante brasiliano Seu Jorge, che per andare in Italia svolgere un lavoro, credendo che a causa del rapporto multiculturale tra Brasile e l'Italia sarebbe un paese incredibile per essere tranquillo, subito diversi ostilità e set come "Un paese estremamente razzista", e ha spiegato chiaramente che si trattava di un paese che "non esiste sulla sua mappa del mondo". O la risposta ricevuta da una coppia, che voleva affittare una casa, attraverso un'agenzia: "Mi dispiace, ma io affitto solo a famiglie normali". Oltre a innumerevoli altri rapporti di discriminazione razziale e di genere e violenza, così frequenti nel paese e nel mondo.
Tutto questo "testo esteso" (il genere testuale più utilizzato di recente) ci ricorda che: è essenziale pensare agli antidoti per cercare di combattere il razzismo e, in parallelo, le notizie false in generale. Prima di ogni altro passo, dobbiamo capire che siamo una società carica di problemi strutturali e istituzionali e di quanto siamo integrati in un sistema razzista; questo può aiutarci a ottenere un quadro migliore di ciò che stiamo vivendo giorno per giorno e la serietà di questo. E per "pettegolezzi" infondati, è molto importante cercare quante più risorse possibili e confrontarle, nonché sbarazzarsi di pensieri predeterminati per evitare giudizi distorti che contribuiscono alla nostra alienazione!
Riferimenti bibliografici
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/regime-delle-fake-news-che-rilancia-lallarme-razzismo-1564328.html?mobile_detect=false&fbclid=IwAR3CxXq2PlB6aEGr2dxSpk4kk9tA68dNyy3f9txIMUhUZXrGg1TWo4TvXcE
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/regime-delle-fake-news-che-rilancia-lallarme-razzismo-1564328.html?mobile_detect=false&fbclid=IwAR3CxXq2PlB6aEGr2dxSpk4kk9tA68dNyy3f9txIMUhUZXrGg1TWo4TvXcE
https://www.huffingtonpost.it/2018/11/08/kasia-smutniak-da-straniera-dico-una-cosa-in-italia-non-ce-razzismo-i-problemi-sono-altri_a_23583538/
https://www.huffingtonpost.it/2018/10/23/mia-figlia-questo-non-se-lo-merita-litalia-e-un-paese-pieno-di-persone-civili-piu-forti-del-razzismo_a_23569013/
https://www.huffingtonpost.it/2018/10/22/questa-ragazza-e-mia-figlia-ed-e-stata-vittima-di-razzismo-la-denuncia-della-presidente-ciai_a_23567975/
https://www.geledes.org.br/la-nunca-mais-volto-seu-jorge-sofre-racismo-na-italia-audio/
https://www.ilmattino.it/primopiano/cronaca/affitto_gay_casarano-3897683.html
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"L.H.H.H.Q." (elle a chaud au cul).
Et semper ad maiorem Italiae gloriam.
Forse allora come mercante, quale ha tentato di essere, aprendo gallerie a Milano e a New York (tutte gestite così bene da indurlo a cambiar mestiere).
11 ott 2018 11:11
F.A.I. QUELLO CHE TI PARE - “IL BURRI VENDUTO A NEW YORK DALLA CRESPI È UN BENE PER L’ITALIA”. PHILIPPE DAVERIO ASFALTA TOMASO MONTANARI: "LA TUA CRITICA E’ ETICAMENTE REPELLENTE E MORALMENTE RIDICOLA". ECCO PERCHE’ – LA REPLICA DEL CRITICO: “DAVERIO SCRIVE DA MERCANTE” - E SGARBI: “IL MORALIZZATORE” MONTANARI NON SI POSE IL PROBLEMA QUANDO UN MERCANTE SUO AMICO VENDETTE AL METROPOLITAN MUSEUM DI NEW YORK UN CAPOLAVORO DI ANTONIO CORRADINI…"
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Vittorio Sgarbi per il Giornale
Tomaso Montanari non si pose il problema quando un mercante suo amico vendette al Metropolitan Museum di New York un capolavoro di Antonio Corradini, artista del Settecento, che nel 1967 era ancora in Italia. Oggi invece rimprovera alla innocente Giulia Maria Crespi di voler vendere a Londra un dipinto di Alberto Burri del 1967. Secondo il moralizzatore, «avrebbe potuto (ed, essendo lei, dovuto) rivolgersi a viso aperto (?) al ministero per i Beni culturali, accettando la possibilità di un diniego e lasciando allo Stato la possibilità di acquistarlo». Così accusa la Crespi di colpe inesistenti, a fronte di un diritto certo: «Si è scelta la via dell' alienazione all' estero, per massimizzare il profitto senza alcun scrupolo culturale e morale: l' opera è stata esportata senza dichiarare specificamente il nesso storico con la famiglia Crespi».
Non è vero. La proprietà dichiarata è del figlio di Giulia Maria. Con inspiegabile cattiveria, il Montanari, discepolo di Salvatore Settis, amicissimo della Crespi, infierisce. Il dipinto di Burri sarebbe stato «portato a Venezia sperando di eludere gli organi di tutela, com' è puntualmente accaduto» (evidente offesa ai bravissimi funzionari veneziani). Montanari incalza: «È la prassi seguita dai mercanti furbastri che ben sanno come aggirare la legge»; ma dimentica di dire che lo Stato non avrebbe mai acquistato il dipinto, perché ai musei di Città di Castello Burri ne ha lasciati circa trecento, non meno importanti.
“IL BURRI VENDUTO A NY DALLA CRESPI È UN BENE”
Philippe Daverio per il Fatto Quotidiano
L' articolo di Tomaso Montanari apparso sul Fatto Quotidiano circa le vendita in atto del quadro di Burri che Giulia Maria Crespi teneva appeso nell' androne di casa è eticamente repellente e moralmente ridicolo: eticamente perché il giornalista si è fatto fornire da un funzionario del Ministero gli atti relativi ad una esportazione privata legittima in barba ad ogni criterio di privacy (ci si augura che il Ministro provveda), moralmente perché usa parametri di "nazionalità" che non avrebbe digerito neppure il mascellone di Predappio.
Di Giulia Maria Crespi tutto si può dire se non che non sia sempre stata persona che agli interessi dei beni culturali italiani abbia dedicato la vita e spesso il proprio danaro, sia nelle battaglie personali che nell' avere promosso, finanziato e sostenuto il Fondo Ambiente Italiano.
Che abbia poi deciso di vendere, forse per finanziare ulteriormente il suo impegno, un' opera d' arte contemporanea da lei acquistata a poco e oggi di valore alto, non solo è il suo diritto ma pure forse la gioiosa verifica del proprio intuito nell' avere individuato in Alberto Burri un talento emergente quando il resto della borghesia italiana era ottuso e acquistava opere altrettanto opache. Sarebbe bello ci fosse ancora oggi nella classe abbiente emergente italiana la medesima capacità di intuire le arti che saliranno alla gloria del palcoscenico mondiale!
Vendere oggi a milioni di euro, di sterline o di dollari le opere della nostra contemporaneità non depriva il patrimonio nazionale, visto che di Burri c' è un intero museo a Città di Castello, ma contribuisce invece a ristabilire un onore nazionale che viene quotidianamente avvilito dalla stupidità che regna sovrana, purtroppo anche sulla carta stampata.
La conoscenza è sempre più importante del patrimonio. Se gli inglesi del Grand Tour non avessero acquistato le vedute di Canaletto e di Bellotto come souvenir della loro iniziazione europea, mai questi autori avrebbero assunto l' importanza che hanno oggi; pittori altrettanto significativi come Magnasco non hanno avuto medesima fortuna perché rimasti quasi esclusivamente sulla penisola.
Se Leonardo non avesse portato con sé la tavoletta della Monna Lisa, il quadro non sarebbe finito a Fontainebleau, Napoleone non lo avrebbe riscoperto lì trecento anni dopo e non sarebbe stato affidato al barone Vivant Denon che allora stava inventando il museo del Louvre; Marcel Duchamp non avrebbe mai rieditato la sua foto con i baffi e la scritta ironica "L.H.H.H.Q." (elle a chaud au cul). Se l' ultimo erede italiano degli affari commerciali di Herwarth Walden non avesse venduto, dopo avere tentato di venderlo in Italia, per un milione di lire del 1959 La città che sale di Umberto Boccioni al MoMA di New York il futurismo rozzamente tacciato di collusione con il fascismo a casa nostra non sarebbe ancora oggi riconosciuto come uno dei principali movimenti delle avanguardie moderne: d' altronde era lo stesso Marinetti a spingere la loro disseminazione in tutto il continente.
Morandi è noto fuori Bologna perché sin dagli esordi ne acquistò un centinaio l' oscuro signor Morat, il tedesco che fondò il Morat-Institut für Kunst und Kunstwissenschaft di Freiburg im Breisgau. Lucio Fontana e Piero Manzoni sono oggi considerati protagonisti indiscussi dopo che hanno superato il milione alle battute d' asta, fuori Italia ovviamente, poiché a casa nostra, chi compisse un simile acquisto pubblico, verrebbe immediatamente indagato dall' Agenzia delle entrate e quindi si astiene Et semper ad maiorem Italiae gloriam. E quanto hanno contribuito Leonardo, Canaletto, Morandi, Fontana e Manzoni, assieme a Verdi e Toscanini a redimere l' immagine d' un Paese uscito perdente dalla guerra e a promuovere il made in Italy assieme alle sue migliaia di posti di lavoro!
La circolazione libera delle opere d' arte è pari a quella delle idee, dei libri e delle invenzioni che formano il tessuto di coesione delle società moderne e democratiche. La difesa del patrimonio nazionale dovrebbe pensare alla salvaguardia d' una storia sedimentata che vede oggi purtroppo crollare i palazzi e marcire gli affreschi, nella disattenzione d' un ministero che ha appena compiuto lo scempio goffo di Palazzo Citterio a Milano
2. VUOI L'ARTE A FETTE
Tomaso Montanari per il Fatto Quotidiano
In che veste scrive Daverio? Gli insulti con cui mi investe vietano di pensare che lo faccia come portavoce o valvassino della signora Crespi. Forse allora come mercante, quale ha tentato di essere, aprendo gallerie a Milano e a New York (tutte gestite così bene da indurlo a cambiar mestiere). Sì, non c' è dubbio: egli scrive da mercante, giacché le sue argomentazioni (culturalmente risibili) sono quelle tipiche del mantra dei commercianti che, da secoli, vorrebbero le mani libere.
Ma esistono anche i mercanti colti e civili. In pieno Seicento il venalissimo veneziano Marco Boschini riconosceva che, senza il freno posto al mercato dalla pubblica autorità, a Venezia non sarebbe rimasto un solo quadro: "Benedeta sia sempre la prudenza / de chi governa el Stato venezian / Che si no intrava qua la regia man, / Piture addio, Venezia sarìa senza" (1660).
Boschini terminava il suo ragionamento in versi veneti dicendo che le pitture sono luci eterne "che non le smorza doppie né zecchini".
L' arte non è riducibile al denaro, e la proprietà dei privati sulle opere d' arte non è (da noi) mai stata piena. Fin dal 70 a. C.
Cicerone spiegava ai Romani che le raccolte d' arte dei ricchi siciliani "costituivano un vanto non tanto per il padrone, quanto per l' intera città". Questa è la nostra storia: se l' Italia è ancora l' Italia è perché, molto per tempo, abbiamo ritenuto l' arte (anche quella in mani private) un bene comune su cui vegliare.
Già nel 1603, il granduca di Toscana affida a un 'ufficio esportazione' il vaglio dei quadri che le grandi famiglie volevano portare fuori dallo Stato: i nostri vincoli, le nostre leggi sono figli di questa lunga, altissima tradizione.
Casa Crespi è parte del patrimonio culturale italiano: lo stesso Fai lo afferma quando la fa visitare ai cittadini, spiegando, sul suo sito, che "si trova nel centro di Milano e si affaccia su corso Venezia. Questa casa, della fondatrice e Presidente Onorario del Fai Giulia Maria Mozzoni Crespi, merita una visita in quanto si tratta di una delle poche residenze patrizie milanesi tuttora integre e vissute". È dunque un luogo di interesse pubblico: per questo, quando alcuni cittadini mi hanno scritto, sconcertati di vedere il grande Burri all' asta all' estero, ho potuto conoscere gli atti grazie alla legge del 2013 che riconosce il diritto di accesso civico. Mi spiace per l' istinto da secondino di Daverio: ma la legge non sempre protegge solo i ricchi e i potenti.
Il caso è chiaro, nella sua triste evidenza: l' esportazione del Burri, fino a un anno fa, sarebbe stata illegale. Ora è lecita solo grazie a uno strappo grave, che (se il Movimento 5 Stelle sarà coerente con le sue lotte passate) tra breve sarà sanato. Che del varco approfitti una personalità come quella di Giulia Maria Crespi è una notizia clamorosa.
Che le modalità siano quelle furbesche e sleali verso gli organi di tutela, che ho descritto, a me pare gravissimo.
Insomma, bisogna decidersi: non si può voler essere canonizzati in vita per meriti verso il patrimonio, e poi farsi bellamente gli affari propri. O si è davvero per la tutela, o si è per le mani libere su patrimonio e territorio. Perché la tutela non si fa a fette, come spiegava benissimo Giulio Carlo Argan proprio negli anni in cui la signora Crespi fondava il Fai: "La borghesia vuole che i suoi figli seguitino come i padri a inquinare allegramente mari e fiumi, a speculare rapacemente sul suolo delle città e delle campagne, a esportare impunemente capolavori nel baule della fuoriserie".
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