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micro961 · 2 years ago
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Giovanni Sarpietro - “Se qualcuno ci sente poi”
Il nuovo progetto del cantautore umbro-siculo
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Un brano in cui coesistono passato e presente, sonorità acustiche e digitali e la dolce malinconia dell’autunno. Una canzone nata l’autunno di circa un anno fa che racconta proprio di un autunno. Settimane fredde, fatte di viaggi a Londra, di foto con gli occhi chiusi, di sbronze, di cancelli scavalcati e di lontananza, orgoglio e incomprensioni. Un rapporto irrequieto che lascia progressivamente posto ad una complicità autentica e a quella intimità che solo una coppia può vivere. «E se qualcuno ci sente poi?»
Gli archi scaldano le atmosfere autunnali, cercando di conciliare le diverse anime sonore del cantautorato italiano.
«SE QUALCUNO CI SENTE POI è il primo singolo di un progetto più ampio che culminerà con l’uscita di un disco "troppo" romantico. Le sonorità del progetto sono il frutto di un matrimonio, a volte turbolento, tra suoni acustici e digitali, tra legno e plastica, tra modernità e tradizione, cercando un equilibrio che ha accompagnato la stesura di questo album e la mia stessa formazione musicale dal conservatorio ai club, dai violini alla stratocaster.» Giovanni Sarpietro
Giovanni Sarpietro vive a Perugia ed ha origini umbro-sicule. Classe 1990, viene da una formazione classica, frequenta in giovane età il Conservatorio Morlacchi di Perugia, per poi dedicarsi agli ambiti musicali più disparati. Collabora con la compagnia “Arebur” di Liv Ferracchiati per la composizione e arrangiamento di musiche per il teatro e partecipa alla realizzazione di opere musicali appartenenti a diversi generi (Rock Brigade, Decostruttori Postmodernisti). Nel 2018, dopo aver vissuto in Inghilterra, vive una fase di forte esterofilia e inaugura il progetto elettro-pop “In Wave”, con il quale ha all’attivo un omonimo LP (In Wave, 2022), registrato a Torino presso il Punto V di Luca Vicini. Nel 2020, durante il periodo di lockdown, inizia a collezionare i testi e i brani che formeranno poi il cuore della sua produzione cantautoriale. Cominciano quindi a delinearsi i margini di un prodotto artistico di cui fa parte “SE QUALCUNO CI SENTE POI”, primo singolo del nuovo album.
La produzione del brano e del disco è stata seguita da Salvatore Addeo presso gli Aemme Recording Studios.
 Contatti e social:
https://linktr.ee/giovannisarpietro
 l’altoparlante – comunicazione musicale
www.laltoparlante.it
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aneddoticamagazinestuff · 3 years ago
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Salvini, l'Infosfera e l'Intelligenza Artificiale
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Salvini, l'Infosfera e l'Intelligenza Artificiale
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Le mascherine “strane” ed il doppio naso si sono viralizzati; ma che dire dei futuri conflitti tra Intelligenza Artificiale e salute dell’Infosfera?
Si è scritto che un noto politico avesse quattro narici, e che i suoi colleghi indossassero mascherine photoshoppate.
Ma non è vero; questo è stato provato da analisi tecniche, così ben riassunte da Paolo Attivissimo in questo suo podcast che non vale la pena ripeterle qui.
A grandi linee cosa è successo?
Una foto pubblicata in rete, con un gruppo di persone note e meno note, sembrava “strana”, e qualcuno aveva espresso, a voce molto alta, il dubbio, prontamente amplificato a dismisura dai media, che le persone nella foto originale non indossassero le mascherine, e che in un secondo tempo gli fossero state “incollate” sul volto usando un programma di fotoritocco, al fine di poter pubblicare la foto.
Così non è. La foto è stata semplicemente trattata con filtri automatici per “migliorarla”, come quelli che aumentano la nitidezza, migliorano i colori o cancellano gli “occhi rossi”.
Si tratta di un’operazione ormai normale per tutte le immagini pubblicate, sia su carta che in rete; ed operazioni di “miglioramento” sono sempre più spesso eseguite anche automaticamente dai cellulari, all’insaputa dei loro utilizzatori.
Ma se questi “filtri”, in passato, si basavano su formule matematiche astruse, ma i cui effetti erano prevedibili, quelli più moderni, come quello incriminato, si basano su tecniche di Intelligenza Artificiale, e riescono ad ottenere risultati impensabili fino a pochi anni fa, anche senza nessuna necessità di intervento da parte di chi questi filtri usa.
Questo filtro doveva “migliorare” le facce, ed ha fatto quello che doveva come poteva, anche sui lineamenti appena accennati sotto ad una mascherina, anche su un viso inquadrato di tre quarti. Fine della notizia di cronaca.
In questo caso infatti il problema che angustia Cassandra, e le fa pronunciare fosche profezie, è legato non al futuro prossimo, ma ad uno appena più lontano, ma sempre assai vicino; prendiamo quindi la sfera di cristallo ed esaminiamo meglio questo “cavallo di legno”.
Il filtro fotografico dotato di IA usato nella foto suddetta deve “migliorare” l’immagine, e per far questo applica tecniche di riconoscimento di oggetti, in primis facce, e su queste applica algoritmi di “miglioramento”.
Abbiamo quindi un problema; cosa vuol dire, in realtà, “migliorare” una foto?
La foto è una rappresentazione il più possibile fedele di una certa realtà, in un certo istante, da un certo punto di vista, con i limiti dello strumento che viene utilizzato per riprenderla.
Quello che si ottiene, con le sue sfocature, occhi rossi o chiusi, mascherine o sfondi indesiderati, è la “realtà” più vera, o meglio la migliore approssimazione di essa ottenibile con lo strumento utilizzato.
Quando si lavora sulla foto, anche con i semplici comandi di contrasto e luminosità, la realtà comincia ad essere alterata, ma va bene così.
Se ritagliamo l’inquadratura, una parte della realtà si perde, ma può andar bene così. Se togliamo gli occhi rossi, che erano davvero rossi, l’immagine per quel particolare non rappresenta più la realtà, ma è poca cosa, e va bene così.
Se ritagliamo ed eliminiamo un’automobile dallo sfondo, perché con il soggetto principale della foto non c’entra, forse “miglioriamo” la foto, ma essa comincia anche a “mentire”, perché c’era una cosa ed ora non c’è più.
Se ritagliamo ed eliminiamo un intruso da un gruppo di persone la foto forse “migliorerà” da un certo punto di vista, ma “mentirà” in modo evidente da tutti gli altri, anche se in un album del matrimonio potrebbe andar bene così.
Nel suddetto album magari sarebbe ammissibile anche applicare un filtro che faccia sorridere tutti, anche le persone annoiate o contrariate dal matrimonio. Un Don Rodrigo contento al matrimonio di Renzo e Lucia.
Ma stiamo percorrendo una strada pericolosissima.
Ci sono versioni diverse di importanti foto, notissime quelle “politiche” del ‘900 in Unione Sovietica, che vedevano sparire uno ad uno personaggi diventati “sgraditi”, perché l’aderenza alla “verità del momento” lo richiedeva. Non va affatto bene così, ed il nocciolo del problema comincia a venir fuori.
Ma i 24 informatissimi lettori potrebbero dire che in quel caso di “propaganda” si tratta, non di “informazione”; il recupero da altre fonti delle immagini originali consente di ristabilire, almeno in questo caso, la verità.
E’ con l’Intelligenza Artificiale che la questione si complica fino a diventare un incubo. L’uso indiscriminato di IA nella produzione di immagini permette oggi di “inventare” una realtà completamente diversa da quella “vera”.
Permetterà domani di produrre informazioni “inventate” di qualsiasi tipo ed in grande quantità, informazioni che saranno difficilmente distinguibili da quelle “vere”.
E quello che le piccole intelligenze artificiali di oggi fanno, spesso malamente come nella nostra foto, domani potranno farlo le grandi IA, con estrema esattezza per trasformare il vero in falso, creare o distruggere storia e conoscenza, “inquinando” un domani permanentemente l’Infosfera come stiamo facendo oggi con l’ecologia del nostro pianeta.
Ecco che nella foto “migliorata” di un gruppo di persone potrebbero ad esempio apparire solo quelle iscritte, o non iscritte, ad un certo partito, perché l’IA della macchina fotografica, opportunamente istruita, accederà in tempo reale ai dati del tesseramento nel cloud ed “inventerà” la realtà, senza che un “originale” sia mai stato “scattato”.
In questo modo le altre persone non saranno “rimosse” dalla foto, come facevano i fotografi di Stalin, e neppure dalla cronaca e dalla storia, come faceva Winston Smith in “1984”, ma semplicemente non saranno mai esistite. Non avranno mai fatto parte della realtà.
E se questo non basta, le tecniche di intelligenza artificiale non sono limitate alle foto, e nemmeno ai video, come i deep-fake così popolari qualche mese fa.
Per una IA il mondo è una sequenza di bit, e su questa impara ad operare, a seconda di come viene costruita od addestrata.
Per cui una IA, debitamente istruita, potrebbe far sparire donna Prassede dai Promessi Sposi, aggiustando la trama e tutto il romanzo automaticamente.
Potrebbe creare una versione dei Promessi Sposi dove Lucia fugge con l’Innominato, ed in cui la peste a Milano viene rimpiazzata con il Covid-19 a Wuhan o con la Morte Rossa nel castello del principe Prospero.
Come distinguerli poi dall’originale in questa nuova Biblioteca di Babele dell’IA?
Ma un’intelligenza artificiale può già adesso generare informazione testuale “credibile”, e migliorerà certamente nel prossimo futuro; debitamente istruita produrrà foto, testi, filmati, romanzi, dati “scientifici”, che saranno “realistici”, ancorché non rappresentino affatto la realtà.
E potranno fare questo a comando, per attuare scopi su cui non voglio fare ipotesi perché mi spaventano troppo.
Cosa succederà dell’Infosfera tra qualche decennio?
L’Infosfera, l’insieme di tutte le conoscenze umane, sarà permanentemente inquinata da “quasi-verità”, da verità “false ma credibili”, da pura fantasia resa indistinguibile dalla realtà, da informazioni generate come atti non di una Cyberguerra ma di una Guerra Informativa.
Che ne sarà della conoscenza, il più prezioso patrimonio dell’umanità, quando verrà inquinata aldilà di ogni possibilità di recupero?
Prima che un cambiamento “catastrofico” dell’infosfera ci travolga e ci cancelli, travolga e cancelli la parte migliore di noi, forse dovremmo cominciare a riflettere ed a prendere provvedimenti. Subito, anche se forse è già tardi, come forse lo è per il cambiamento climatico.
Ve lo (pre)dice Cassandra.
Scrivere a Cassandra – @calamarim
Le profezie di Cassandra: @XingCassandra
Videorubrica “Quattro chiacchiere con Cassandra”
Lo Slog (Static Blog) di Cassandra
L’archivio di Cassandra: scuola, formazione e pensiero
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giancarlonicoli · 4 years ago
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13 mar 2021 11:14 DONNE, MACCHINE E POTERE: TUTTE LE VITE DI GIANNI AGNELLI - I DUE CEFFONI PRESI DAVANTI AL DUCA D'AOSTA, LA RELAZIONE CON CURZIO MALAPARTE DI SUA MADRE VIRGINIA, A CUI VENNE TOLTA LA PATRIA POTESTÀ - I BALLETTI NUDO DI FRONTE AD ALTRI SOLDATI SUL FRONTE RUSSO - L’INCIDENTE D’AUTO IN SPIDER IN COSTA AZZURRA, CON A FIANCO UNA DICIASSETTENNE FRANCESE, CHE LO COSTRINSE A ZOPPICARE TUTTA LA VITA (CON UNA GAMBA DI LEGNO) - IL SUICIDIO DEL FRATELLO GIORGIO E LA MORTE MISTERIOSA DEL FIGLIO EDOARDO…
Tony Damascelli per “il Giornale”
Se ne parla, ancora. Se ne scrive, ancora. Non soltanto per i cento anni che avrebbe compiuto. Se ne parla ancora perché Giovanni Agnelli, detto Gianni, avrebbe alcune cose da dire sulla ditta che a lui, con il solito tono snob, garbava pronunciare, non con l' acronimo, ma per intero, Fabbrica Italiana Automobili Torino, quasi una sottile cantilena per spiegare mille cose, dunque l' azienda, dunque il Paese, dunque il prodotto, dunque la città.
Quattro situazioni che sono il riassunto di un' epoca non soltanto di costa Azzurra e di belle donne. D' accordo, è stata anche quella per l' ultimo monarca repubblicano che, per lunghissimo tempo, ha rappresentato, non ufficialmente, il nostro Paese nel mondo, non certamente nelle funzioni previste dalla diplomazia e dalla politica ma per la capacità, l' astuzia, la vanità, l' eleganza e la facilità di presentarsi, dovunque, come simbolo di impresa, di fascino, di lingua e linguaggio universale, non riverito ma rispettato.
Posso prevedere l' arringa dei vari piemme del giornalismo, e non, sui vizi privati e pubblici dell' Avvocato, sulla sua imperizia o latitanza imprenditoriale, sulle protezioni mediatiche, governative, statali di cui lui e la sua azienda hanno usufruito a spese dei cittadini. È un classico di questa nostra terra che sa iniettarsi veleno anche quando prende il sole e si concede una passeggiata in campagna.
I cento anni di Gianni Agnelli sono una storia a prescindere ed è interessante farla conoscere per davvero, non soltanto in senso agiografico e celebrativo. Basta ritrovare quella pagina nella quale suo padre gli affibbiò non uno (quello era stato riservato alla sorella Susanna per un sei in pagella) ma due manrovesci, davanti all' austera figura del Duca d' Aosta, perché il ragazzino, aveva dieci anni, fermo lungo la pensilina della stazione ferroviaria di Torino, si era fatto prendere dall' eccitazione e dunque s' era distratto, come incantato, per l' apparizione di Federico Munerati, detto «Mune» ma soprattutto «Ricciolo» per l' ondame dei capelli, nerissimi e unti di brillantina.
Munerati era l'ala destra della Juventus, per il gagnu di casa Agnelli, rappresentava la prima di cento, mille figurine e capricci della sua passione per il football. Le gote imporporate per le sberle vennero smaltite dai soliti riti di famiglia, il ragazzino era di testa fresca e allegra, non diligente al massimo a scuola, venne anche rimandato a settembre per cattiva condotta, anche maramaldo quando c' era da tirare scherzi ai compagni di studi, magari lanciando da un balcone la cartella con i libri, i quaderni e i portapenne, sparsi sul tetto di una filovia.
Venne pure rimandato a settembre per il voto in condotta. Un amarcord torinese, mentre il tifo per il football prendeva sempre più il giovane Gianni al quale piaceva un tipo come Renato Cesarini, titolare di un tabarin nel quale si esibiva, suonando il violino, un altro bianconero, Mumo Orsi, docente di tango e di dribbling.
Quello era il tempo dei cinque scudetti consecutivi vinti da suo padre presidente del club, gli italiani abbisognavano di qualcosa che li tenesse non sempre con la testa al regime e alle noie quotidiane. La Juventus, e non la fabbrica, era il giocattolo di Gianni la cui vita, e non soltanto la sua, subì una svolta quando, aveva quattordici anni, suo padre Edoardo, morì tragicamente in un incidente sull' idrovolante che lo riportava a casa.
La famiglia fu fortemente scossa dall'accaduto ma a inquietarla ulteriormente contribuì la storia dell' amore prima clandestino, poi ambiguo con l' apparizione dell' imprevedibile e bizzarro Curzio Malaparte, la cui relazione con donna Virginia, vedova, provocò le ire del nonno Giovanni, la tresca non era dignitosa, a Virginia venne tolta la patria potestà, i figli si ritrovarono smarriti, Gianni non condivideva le decisioni forti del nonno e non gradiva Malaparte, la famiglia venne spedita a Roma, poi in Costa Azzurra e una strana e mai chiarita corsa in auto portò via la madre a Gianni e, dopo, anche il nonno. Fotogrammi che inquadrano storie non sempre allegre e spavalde.
Nel periodo della guerra il panorama non cambiò per gli Agnelli, villa a Beaulieu, vita dolce e dolce vita per lui avanguardista a cavallo, le lezioni di Franco Antonicelli, il precettore scelto dal nonno per educarlo a una esistenza meno frivola e più seria sugli argomenti sociali. Antonicelli era uso frequentare la dimora del giovin signore come se andasse a un matrimonio, il tight e il fiore all' occhiello fino al giorno in cui ritardò la lezione, essendo finito al gabbio, ovviamente per le idee antiregime.
A Gianni fecero capire che meglio sarebbe stato partire per le Americhe, così fece a diciotto anni, dopo la maturità scolastica. Il viaggio fu una specie di luna park, il ritorno a casa significò, dopo le luci e i grattacieli di New York, come vivere in un borgo, c' era però la guerra e un altro tipo di partenza, nonostante il nonno avesse impedito, nei modi che si possono immaginare, che il ventenne dovesse andar soldato.
E invece Gianni parti, in Russia, in seconda linea, in verità se la spassò pure nelle isbe, narravano che ballasse ignudo di fronte a ad altri militi attoniti, poi fu trasferito sul fronte in Tunisia mentre il nonno provava ad alzare la voce con ministri e autorità militari. Gianni resistette, gli piaceva l' azzardo, gli piaceva stare dovunque ma Torino e la Fiat lo chiamavano su un' altra trincea: entrò a far parte del consiglio di amministrazione dell' azienda. Altri asterichi di cronaca: la vita è bella e Gianni, accompagnato da Susanna, se ne va a Roma, a bordo di una Topolino.
L' incidente, a Laterina, dalle parti di Arezzo, è scomparso dagli archivi come altri avvenimenti drammatici della famiglia (il suicidio del fratello Giorgio, su tutti, l'altro suicidio misterioso del figlio Edoardo). Gianni esce dalla piccola vettura e ha una caviglia distrutta. Ma è un altro incidente automobilistico, a cambiare il futuro: il ventidue agosto del Cinquantadue, mentre e a bordo di una Fiat spider con a fianco una diciassettenne francese, Anne-Marie d' Eistainville, all' uscita del tunnel di Cap Roux, va a sbattere contro un furgone Lancia, «irrobustito» da quattro macellai che andavano al lavoro mattutino.
Erano le 4 e 10, terribile l' impatto tra le due vetture, due morti nel furgone, i giornali riportarono la notizia senza citare il nome degli occupanti la Fiat, gravi le conseguenze dello scontro, rischio di amputazione di una gamba, lunga convalescenza, Gianni Agnelli si sposò appoggiato a due nobili bastoni, volle evitare le proletarie stampelle, diventerà anche questo un simbolo, quasi un segno distintivo, nella postura e nell' andatura, della sua eleganza.
Il matrimonio con Marella non lo distolse dai piaceri, inutile sfogliare l' album di conquiste, perduti i genitori e il nonno, Agnelli lasciò a Valletta la guida della Fiat, l' alibi gli servì per dedicarsi a quello che venne definito il jet set. Anche in questo caso fotografie e filmati lo ritraggono tra personaggi illustri del mondo internazionale della politica, della finanza, dell' arte, dello spettacolo. Donne, soprattutto donne. L' età matura non cambiò affatto le sue abitudini, potevi immaginare ma poi venivi a sapere che, all' alba in elicottero, avesse raggiunto Capri per un bagno nella Grotta azzurra, quindi trasferirsi al Sestriere per una discesa sugli sci, per passare dallo stadio Comunale di Torino, assistere a una partita della Juventus, quindi volare a Parigi per una serata vivace di cibo e champagne.
Mai avrebbe immaginato, ma di sicuro avrebbe goduto, dei nove scudetti consecutivi e dell' arrivo di Cristiano Ronaldo, non altrettanto delle malinconie di coppa e del bilancio contabile pesante. Per Gianni Agnelli la Juventus era passione, piacere e «qualcosa per la domenica». Aveva voglia di fare tutto e di farlo dovunque e comunque, una bulimia esistenziale che gli era consentita dal patrimonio illimitato e dai privilegi quasi esclusivi rispetto ai suoi parenti, molti dei quali invece oggetto di scandali e derisione, di indagini e denunce.
Vasto è il repertorio di frasi e aforismi, parole con le quali si divertiva assai, già sapendo di essere citato per queste, la vanità era il suo abito su misura, s' atteggiava serioso nelle fotografie, anche quelle bellissime scattate da Priscilla Rattazzi. La morte di Edoardo, il suicidio dal ponte di Fossano, fu l' ultimo passo drammatico della sua esistenza divertita. Bianchissimo nel volto come nei capelli, appoggiato al bastone e al questore di Torino, volle scendere sul greto del torrente per riconoscere un corpo e una vita finita.
La storia della Fiat era intanto cambiata, lentamente, inesorabilmente. Quella che era «la feroce» il nome dato dai lavoratori alla fabbrica, quello che era risula come veniva dagli stessi chiamato l' Avvocato e così il suo giornale ribattezzato la bisiarda (la bugiarda), erano ormai memorie datate.
Venuto meno Valletta, gli altri dirigenti, da Gaudenzio Bono a Umberto Agnelli, da Tufarelli a Romiti, da De Benedetti a Cantarella, a Galateri, a Barberis, a Morchio, a Fresco, tutti hanno dovuto fare comunque i conti con l' ombra del patriarca che mai ha imposto la cultura del padrone e del possessore proprietario, semmai quello di conservare la tradizione, nonostante i tempi fossero cambiati drammaticamente per il mondo dell' automobile e la Fabbrica Italiana Automobili Torino non avesse più un impero alle proprie dipendenze e offrisse un prodotto nemmeno di altissimo censo.
Sergio Marchionne, indicato dal fratello Umberto, è stato il primo a diventare il capo senza aver conosciuto e frequentato l' Avvocato che la malattia aveva reso quasi cieco del tutto ma comunque lucido e desideroso di dare consigli, idee. Eppure sarebbe stato questo incontro, tra uomini non soltanto di impresa, ad incuriosire Gianni Agnelli: la presidenza di John Elkann, da lui stesso indicato, dopo la scomparsa tragica di Giovanni Alberto, la nascita di Fca, quella di Stellantis, insegne nuovissime e diverse, dietro le quali si nascondono realtà finanziarie lontanissime dall' altra epoca.
Paradossalmente si portano appresso quello stesso nome, la stessa storia, il vuoto storico lasciato da un uomo che ha segnato un' epoca irripetibile, per la sua famiglia, per la sua azienda, per il nostro Paese, un secolo che, al di là delle celebrazioni, non è stato raccontato e svelato davvero. Mai.
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chefadriano · 8 years ago
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Gattò di patate
INGREDIENTI: 1 kg di patate , 80 gr di burro , 100 gr di parmig-grattug- 3 rossi d'uova e 2 chiare d' uova , 80 gr di salame , poco prezzemolo trito ,sale ,pepe , poco pangrattato , sugna per ungere [ oggi settembre 2009 , potete ungere con olio d'oliva ] 250 gr in totale per provola e mozzarella .
FATE COSI>
Lessate le patate , poi sbucciatele e passatele ,in modo da ottenere un composto omogeneo più o meno una crema , poi a questo ,aggiungete il burro , il parmigiano grattuggiato , i rossi e chiare d'uova , il salame tagliato a dadini , prezzemolo ,sale e pepe , poi lavorate bene l'impasto in modo che s'incorpi perfettamente con l'impasto ( patate ) , poi ungete un tegame e lo spolverizzate con il pan-grattato e mettete tra due strati della crema di patate , la provola e la mozzarella a pezzi , con un mestolo di legno distendete la superfiocie , aggiungete ancora il pan-grattato in superficie e poca sugna , infornate il ruoto a fuoco caldo e toglietelo quando la superficie apparirà imbiondita , prima di servire il gattò lasciatelo riposare e raffreddare ____
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Crostata di mandorle & albicocche Ingredienti per 6 persone: per la pasta: 160 gr di farina, 30 gr di mandorle in polvere, 100 gr di zucchero a velo, 120 gr di burro freddo, 1 uovo piccolo, sale. Per guarnire: 70 gr di zucchero semolato, 40 gr di burro, 40 gr di mandorle in polvere, 1 albume, 400 gr di albicocche, zucchero a velo.
FATE COSI>>
Mettete nella coppa di un robot da cucina la farina con lo zucchero a velo e le mandorle e frullate rapidamente per mescolare il tutto. Unite il burro freddo a dadini e frullate nuovamente. Unite infine un pizzico di sale e l'uovo intero e frullate a bassa velocità: la pasta si dovrebbe raccogliere a palla: potrà essere necessario aggiungere un cucchiaio di acqua fredda. Avvolgetela in un foglio di pellicola trasparente e riponete in frigo per 1 ora. Trascorso questo tempo, mettete la pasta sul fondo di uno stampo non troppo grande (quadrato di circa 18 cm di lato o tondo di 20/22 cm di diametro) e stendetela con il dorso di un cucchiaio inumidito (la pasta è troppo morbida per stenderla con il mattarello). Cuocete nel forno già caldo a 180 gradi per circa 15 minuti o fino a quando i bordi iniziano a dorare, quindi togliete dal forno e lasciate intiepidire senza spegnere il forNO Mescolate 40 gr di zucchero con il burro e le mandorle e unite l'albume leggermente sbattuto. Coprite il guscio di pasta e distribuitevi le albicocche tagliate in 8 pezzi. Cospargete con lo zucchero rimasto e rimettete nel forno per circa 20 minuti. Servite cosparso con zucchero a velo. **********VERY IMPORTANT : è un dolce veramente squisito, di grande delicatezza, con quel matrimonio perfetto che offrono le albicocche rese leggermente acidule dalla cottura e le mandorle lievemente amarognole. Il tutto su la base dolce e morbida della pasta frolla preparata con zucchero a velo. ++++++++++++++++ Flan au crabe avec FLANsauce ciboulette Ingrédients (pour 4 personnes) : > 4 oeufs entiers ,  1 bouquet de ciboulette , 1 gros pot de crème épaisse ,  1 boîte de crabe (chair blanche) 1 citron ,  sel et poivre >
( FATE COSI )
Préchauffer le four à 220°. Mettre dans un saladier les oeufs, la moitié du bouquet de ciboulette coupée, 4 grosses cuillères à soupe de crème, la boîte de crabe bien égouttée,le jus du citron, sel, poivre. Mélanger le tout jusqu'à obtenir une crème. Partager dans 4 ramequins individuels beurrés. Les mettre dans un plats avec un peu d'eau pour les faire cuire au bain-marie dans le four pendant 30 min. Pendant ce temps, préparer la sauce : dans une casserole, mettre le reste de crème, le jus de citron, la ciboulette coupée en morceaux, sel, poivre. Chauffer jusqu'à obtenir quelques bouillons. Servir le flan nappé de sauce et accompagner de salade verte.
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antoniolamalfa21 · 7 years ago
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Finito il matrimonio, rimane la selezione, la post-produzione delle foto e la stampa. La creazione dell’ album fotografico di matrimonio è il completamento di tutta la lavorazione iniziata il giorno del matrimonio. Ad esso va data la massima attenzione, dalla scelta dei materiali per la copertina a l’utilizzo dei supporti fotografici per la stampa. Il vostro album di nozze per me è molto importante. Proprio per questo curo tutto nei minimi dettagli dando la possibilità agli sposi di personalizzarlo come preferiscono, così che ogni lavoro si differenzi dall’altro. Lavoro con le migliori ditte italiane che da sempre si contraddistinguono per la qualità e il gusto nella scelta dei materiali.
Album fotografico di matrimonio – Antonio La Malfa Finito il matrimonio, rimane la selezione, la post-produzione delle foto e la stampa. La creazione dell' album fotografico di matrimonio è il completamento di tutta la lavorazione iniziata il giorno del matrimonio.
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pangeanews · 5 years ago
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“Volevo studiare gli oceani, ma scrivere è un modo diverso di andare sott’acqua”. Ascoltiamo Joan Didion
In principio fu il viso – il numero, invece, è il 325. Ammetto, a volte vale la regola rabdomantica. La usava anche Iosif Brodskij, per altro. L’opera di uno scrittore è incisa nel suo volto. E quel volto. Mio dio. Occhi tratti dal bosco e conficcati in una donna in vetro – sembra uno spago di ferro, tenuta in piedi con qualche laccio, pronta a esplodere. Joan Didion sembra una formula magica – o una maledizione, è uguale – sullo squarcio delle labbra. Mi pareva bellissima – anni Sessanta, la Corvette, il New Journalism, che abita con devota ferocia, l’incontro con John Gregory Dunne, giornalista di fama, sceneggiatore di film importanti come Panico a Needle Park (1971; con Al Pacino) e L’assoluzione (1981; con Robert De Niro e Robert Duvall). Continuai a guardare le fotografie – l’esordio nel 1963, sulla scia dei trent’anni, con Run, River, poi quel libro mirabile, Slouching Towards Bethlehem, diceva di fondere la concisione di Hemingway allo sguardo di Henry James, alla basilica narrativa di George Eliot. Ora l’hanno mutata in icona. Accade così, negli States – i sopravvissuti diventano idoli. L’anno scorso, al numero 325, la consacrazione. La Library of America comincia a pubblicare la sua opera, 980 pagine, da Run, River a The White Album sotto la sigla “The 1960s & 70s”. In Italia è sommamente pubblicata da il Saggiatore; tra poco assaggeremo il suo ennesimo libro, Political Fictions – come Finzioni politiche, in origine uscito nel 2001 – che raccoglie, dal 1988 al 2000, i testi di Joan sulle elezioni (in particolare: Bill Clinton impantanato nel caso Lewinsky, George Bush, e poi Bush figlio vs. Al Gore). Mi pare bellissima, qualcosa che viene a torturarti – bisogna sempre dubitare di ciò che appare fragile perché, è facile, ti ferirà con millenaria minuzia.
*
Lo dice lei, per altro, in Why I Write (1976): “Per molti versi scrivere è il gesto di dire Io, di imporsi agli altri, di dire, ascoltami, guarda ciò che vedo, cambia idea, seguimi. È un gesto aggressivo – perfino ostile. Puoi mascherare gli aggettivi, raffinare le congiunzioni, adottare ellissi, evasioni – e accennare più che pretendere, alludere più che affermare – ma mettere parole su carta resta la tattica del bullo segreto, un’invasione, l’imposizione della legge dello scrittore nello spazio più intimo del lettore”.
*
Ma la violenza può voltarsi in pratica sadica. “Scrivo sola. Certo, commetto un atto aggressivo nei miei confronti, sono ostile a me stessa” (1978, alla “Paris Review”). Elusione ed eleganza: il moto del cobra, prima del tocco. Ostilità verso di sé: scrivere come estrarre spine.  “La voce. Quella ti viene addosso. Non avevo mai sentito prima una voce narrativa simile. Equilibrio tra distanza e impegno, occhio acuto dell’osservatore, ma anche la percezione di guardare tutto dall’esterno. E poi, la congiunzione tra il materiale personale, confessato, e la storia comune. E poi, l’idea che la narrazione sia aperta, che si stia ancora svolgendo, una volta terminata la lettura. Ha aperto delle possibilità finora inaudite”, dichiara David L. Ulin, che cura l’opera di Joan Didion per la Library of America.
*
Estratta a se stessa, Joan Didion sembra incarnare la divinità della letteratura. L’efficacia della spada si misura da levigatezza e disciplina: addestramento che coincide con un destino. Non è mai facile scrivere, si scrive come si costruisce una sedia, di cui il lettore valuterà il censo. Qui si traduce una intervista a Joan Didion, a cura di Sheila Heti per “The Believer”, era il 2012. La scrittura è ciò che porti in superficie dopo un lungo inabissamento; le parole, in effetti, sono di legno. (d.b.)
***
Da bambina voleva fare l’attrice.
Vero.
D’altronde anche la scrittura è performance: interpreti un personaggio.
Non proprio. Costruisci uno spettacolo intero. Ma, è vero, la scrittura mi è sempre sembrata una sorta di performance.
Qual è la natura di questa performance?
A volte un attore interpreta un personaggio, a volte si esibisce e basta. Con la scrittura non reciti un personaggio. Lo crei. Lo doni al pubblico. Non interpreti nessuno, ostenti le tue idee. “Guardami, eccomi”: dici questo.
Ma questo “io” è stabile o instabile, che distanza c’è, intendo, tra il ruolo dello scrittore e…
…e la persona reale. Non lo so. La persona reale diventa il ruolo che hai scelto di darle.
Si esibisce per sé o per gli altri?
Per me. Ma anche, è ovvio, per chi sceglie di essere coinvolto. Voglio dire, il lettore è il pubblico.
Quanto del suo lavoro è stato creato in risposta o in collaborazione con il pubblico?
Molto. Ho creato uno spettacolo su L’anno del pensiero magico e sono rimasta sorpresa dal modo in cui il pubblico è diventato parte dello spettacolo. Penso che ciò accada anche quando si scrive.
Nel caso della scrittura è diverso, però.
Certo. Ma non riesco a immaginare di scrivere senza l’idea di un lettore. Non più di quanto un attore penserebbe di recitare in assenza di pubblico. Non esiste il vuoto, quando scrivi. Se non hai la percezione di un lettore, nuoti nel vuoto.
Quando ha iniziato a scrivere?
Da bambina. Avevo quattro o cinque anni, mia madre mi dà una grossa lavagna nera, perché mi lamentavo, mi annoiavo. “Scrivi qualcosa, poi me lo leggi”, mi disse. Avevo appena imparato a leggere. Fu un momento emozionante. Scrivere qualcosa per leggerlo!
Le piaceva leggere ciò che scriveva?
Negli anni, sì. Non sempre.
Non sempre…
Il mio primo romanzo. Non mi ha coinvolto perché, molto banalmente, non sono riuscita a fare ciò che avevo in mente. Volevo confinare la cronologia didascalica, volevo confondere i piani. Non avevo esperienza, ho seguito i suggerimenti del mio editor, e ho scritto un libro convenzionale. E questa non è una bella cosa.
Pubblicare non è facile: devi avere fiducia nel tuo pensiero, nel tuo sguardo sulla realtà.
Si impara lavorando, la fiducia. Devi essere certo di ciò che fai, anche se pare ridicolo. Il mio personale punto di fiducia credo di averlo conquistato con Prendila così. Il mio terzo libro. Mio marito mi diceva, ricordo, “Questo libro non ce la farà, non ce la farà, non ce la farà”. La pensavo come lui. Ma ce l’ho fatta. Da quel momento, ho avuto fiducia.
Perché pensavate di non farcela?
Perché era il mio terzo libro. Voglio dire: non credi immediatamente di farcela. Pensi di avere un talento stabile, che si farà ascoltare nel tempo. Se non comunichi subito con un pubblico non sai quando questo potrà accadere.
Qual è stato il primo segnale che la ha convinta di avercela fatta?
Non ricordo esattamente. Ricordo che all’improvviso si parlava del mio libro. La gente ne parlava. Era una cosa che non avevo mai sperimentato prima.
Il successo ha cambiato la sua relazione con quel libro?
Ero felice. Mi ha fatto sentire più in sintonia con quel libro. Ero molto triste mentre lo scrivevo perché era un libro difficile da scrivere per me, soltanto dopo ho realizzato quanto scriverlo mi abbia prostrato. Poi l’ho finito, e improvvisamente è come se un peso si fosse tolto dalla testa. Ero felice.
Forse è difficile trovare un libro ‘facile’ da scrivere.
Già. I libri ti portano sempre dove non vorresti andare.
Negli anni Settanta lei scrive un brillante articolo sui film di Woody Allen – tra cui “Io e Annie” e “Manhattan” – pubblicato dalla “New York Review of Books” dove la parola “relazioni” è sempre messa tra virgolette…
Non mi pareva abbastanza onesto il modo in cui Woody Allen ragionava di relazioni. Film dove gente parla delle proprie relazioni e questa è la sola cosa che capita. Per me non funzionava.
In “The White Album” lei scrive: “Sono entrata nella vita adulta dotata di un’etica essenzialmente romantica; credevo che la salvezza si trovasse negli oneri estremi, nelle vite segnate”. Riguardo a matrimonio e maternità…
Oneri estremi e vite segnate, appunto. Non parlo per esperienza vissuta, ma per ciò che ho visto. Matrimonio e maternità sono una specie di condanna – e una salvezza.
Salvezza da cosa?
Dalla solitudine, dalle estremità della solitudine.
Perché la relazione è intima o per il matrimonio in sé?
Il solo fatto di avere un’altra persona – di rispondere a un’altra persona. Per me è stato molto. Era una specie di romanzo, qualcosa che nel tempo si è rivelato grande.
Penso a “Blue Nights” e a “Verso Betlemme” e mi chiedo se si diventi davvero più frammentati, atomizzati quando si è lontani dalla propria famiglia, senza punti di riferimento.
È così. Poi, bisogna imparare a gestire le proprie rovine. Quei libri sono personali non tanto perché parlano della mia personalità o di ciò che mi è accaduto, ma perché narrano il mio smarrimento, l’incapacità di trovare un filo narrativo.
Scrivere qualcosa di frammentario anziché narrativo invoca un altro tipo di pensiero…
Un modo assolutamente diverso di pensare, sì. Di solito cerchi il tono narrativo, un orientamento. Per molti anni la ricerca della narrazione è stata il mio compito. Poi ho cambiato. Blue Nights nasce dall’idea che la narrativa non sia importante, che narrare non sia il punto fondamentale.
È questa una verità più profonda del narrare?
Così mi si è rivelata. Scrivere, per me, è sempre un modo per giungere a una comprensione che altrimenti resterebbe irraggiungibile. La scrittura ti costringe a pensare. Ti costringe a risolvere dei problemi. Niente viene a noi con facilità. Quindi, se vuoi capire cosa stai pensando devi in qualche modo elaborarlo. E per me scrivere è la sola forma di elaborazione che conosco.
Quando scrive, di solito?
Quando trovo il ritmo del libro.
Ci sono momenti in cui scrive e vorrebbe evitarlo?
Accade. Devono esserci dei momenti in cui scrivi anche se non vorresti.
Che natura ha questa evasione, questo evitare la scrittura?
Non pensare. Non penare pensando.
Se non fosse diventata una scrittrice…
Volevo diventare un oceanografo. Quando vivevo a New York e lavoravo per una rivista, la mia intenzione era diventare oceanografo. Non potevo. Mi sono informata presso la Scripps Institution of Oceanography. Mi hanno detto che mi mancavano dei corsi di scienze. Non avevo seguito quei corsi che mi avrebbero permesso di seguirne altri e di seguirne altri ancora. Quindi, ho abbandonato l’idea di diventare un oceanografo.
Le sarebbe piaciuto…
Scrivere è un modo diverso di andare sott’acqua.
  L'articolo “Volevo studiare gli oceani, ma scrivere è un modo diverso di andare sott’acqua”. Ascoltiamo Joan Didion proviene da Pangea.
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songdae-hyun · 7 years ago
Photo
Tumblr media
[24 aprile; Seul.]
Quella foto. Quel piccolo pezzo di carta unito alle spiegazioni che la madre di Haneul avevano contribuito a fornire un nuovo e meraviglioso punto di vista alla ragazza. La posizione dei due bambini, i piccoli aneddoti che la madre le aveva narrato, ogni cosa aveva trovato un riscontro nel rapporto che, attualmente, la ragazza aveva con il marito. Le chiacchiere fastidiose di lei, la pazienza infinita che il ragazzo aveva solo con lei. Ciò che era accaduto anni addietro trovava riscontro in quella che era la loro vita ora. Doveva dirlo a Dae-Hyun doveva mostrargli quella foto e raccontargli ciò che aveva appena scoperto. Si conoscevano da bambini, avevano passato tempo insieme, erano cresciuti insieme ed ora erano sposati. Lui non aveva memoria dei tempi passati, lei era troppo piccola per ricordare. Staccò delicatamente la foto dall'album e la infilò in borsa; avrebbe chiesto scusa alla mamma per quel furto in seguito. Un bacio veloce sulla guancia, la fretta di raggiungere casa era palese nei modi della ragazza.
Da quando erano sposati mai si era permessa di bussare alla porta dell'ufficio del marito, nemmeno quando la fame si faceva sentire e lui non accennava a scendere. Titubante sollevò il braccio, il pugno chiuso pronto a bussare. Rimase ferma così qualche secondo, secondi che sembrarono anni. La mano libera strinse la foto, mentre il suo cervello cercava di convincersi che il ragazzo all'interno non l'avrebbe cacciata in malo modo visto il messaggio che portava. Un ultimo, profondo respiro, prima di picchiare due volte il pugno conto la porta spessa dell'ufficio del marito.
«Dae, puoi uscire? Devo assolutamente mostrarti una cosa. So che non devo disturbarti, e mi dispiace, ma devi davvero vedere quello che ho trovato.»
  Mai una volta il pugno della ragazza aveva toccato il legno massiccio della porta dell'ufficio. Eppure, ora lo stava facendo. Il primo moto che scosse il corpo del ragazzo era composto da ira, rabbia pura e gratuita. Cosa voleva? Perché ora stava persino disturbando il suo lavoro? Cosa poteva essere così importate? Subito dopo, però, fu la preoccupazione a farlo alzare. Se in due mesi, mai una volta Haneul aveva bussato alla sua porta, qualcosa ora doveva essere. Soprattutto quando disse di “aver trovato qualcosa”. Il primo pensiero riguardó la donna. Quella assurda donna, quella che doveva essere l'assassina di suo padre, quella che non faceva altro che mentirgli e coprire le proprie convincenti bugie. Che si fosse fatta viva? Che le avesse lasciato un indizio? Che l'avesse contattata?
Fu rapido nell'abbandonare i documenti relativi ai casi di cui si stava occupando sul tavolo, alzarsi in piedi e aprire la porta, rivelandosi alla ragazza nella propria figura austera. Squadrò la figura della moglie, confuso. Individuó tra le sue mano una fotografia la cui immagine gli era, ancora, nascosta.
«Cosa hai trovato?»
La ragazza deglutí a vuoto due volte prima di sollevare le braccia e voltare la foto di modo che fosse davanti al viso del ragazzo. Era chiaramente agitata, gli occhi passavano nervosamente dalla foto che teneva in mano al viso del marito, le mani sembravano tremare leggermente. Si schiarí la gola prima di dare il via ad un fiume di parole.
«Sono andata a casa di mamma oggi, mi ha mostrato gli album di quando ero piccola ed ho trovato questa foto. Le ho chiesto chi fosse il bambino raffigurato e perché avessi perso i contatti con lui visto il tipo di rapporto stretto che sembravamo avere. Tu sai chi è il bambino raffigurato, Dae? Lo conosci. »
  L'avvocato Song non aveva alcun ricordo della propria infanzia, mai aveva desiderato conoscere qualcosa a riguardo. Non aveva mai visto una foto, non aveva mai chiesto informazioni riguardo a sua madre, non aveva mai voluto ascoltare gli aneddoti di suo padre. Trovarsi davanti quella foto fu, per lui, la prima volta in cui si guardava. Prese tra le dita la sottile fotografia, portandosela davanti agli occhi. La osservó per diverso tempo. Le parole di quella donna temibile gli tornarono alla mente: “Credeva davvero che il suo ma trimonio fosse stato casuale, avvocato?”. Come aveva potuto essere stato così stupido? Come aveva potuto non capire prima?
«Qualcosa non quadra.» sussurró appena, le labbra si sfiorarono nel pronunciare le parole, come se temessero un contatto l'una con l'altra. Gli occhi, severi, dietro gli occhiali, si puntarono in quelli della ragazza. Non credeva nel Destino, credeva nel profitto. Kang MinKi era invischiato nella Yakuza sin da quando lui era bambino, prima che la ACC esistesse. Haneul e Dae-Hyun avevano giocato insieme, avevano vissuto momenti della propria infanzia insieme. Guardó la foto. Lui non sembrava avere più di cinque anni, quindi Haneul ne doveva avere tre. Era forse troppo piccola per ricordare. Perché, poi, non avevano più sentito l'uno il nome dell'altra? Cos'era successo a quegli affari? E perché i rapporti erano stati tanto improvvisamente riallacciati? Non poteva dirlo ad Haneul. Dirlo significava ammettere il segreto che avrebbe rovinato il loro matrimonio, quello che lui stava nascondendo alla moglie con impegno.
«Questo significa che io e te eravamo amici di infanzia. Divertente che né l'uno né l'altra ne abbia memoria; altrettanto divertente è il fatto che nessuno dei due abbia visto l'altro per oltre vent'anni. Credo che questo sia stato un semplice matrimonio combinato: le famiglie erano unite per affari e per affari si sono riconciliate; ne stiamo vedendo i frutti in questo momento con il patto tra me e tuo padre per portare i vaccini oltre il confine.»
Si interruppe un attimo, guardando la foto ancora per un momento. Un leggero sorriso sfuggí dalle sue labbra.
«Vorrei chiederti un favore. Chiedi a MinJun se ne ha una copia. Sono certo che sia negli album di famiglia. Fammela avere.»
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La Capannina di Franceschi, discoteca a Forte dei Marmi: La Capannina di Franceschi Forte dei Marmi: Sabato 11 Marzo
Da http://www.discotecafortedeimarmi.com/la-capannina-di-franceschi-forte-dei-marmi-11-marzo/
La Capannina di Franceschi Forte dei Marmi: Sabato 11 Marzo
Il Sabato Classic de La Capannina di Franceschi Forte dei Marmi
Ristorazione superiore, grande musica e divertimento esclusivo, sono questi gli ingredienti del Sabato sera firmato La Capannina.
Sabato 11 Marzo nella regina delle discoteche in Versilia.
La serata di Sabato a La Capannina di Franceschi Forte dei Marmi, la discoteca per eccellenza, è alle porte, Ma solo a leggere gli ingredienti di questo grande Sabato serata in Versilia la voglia di divertimento sale:
Dalle 21, ristorante La Capannina di Franceschi Forte dei Marmi
Easy dinner a buffet 20 euro
Buffet privati 35 euro a persona (per minimo 20 persone)
Menu terra (antipasto, primo, secondo, dolce caffè, acqua, una bottiglia di vino ogni 3 persone) 40 euro
Menu mare (antipasto, primo, secondo, dolce caffè, acqua, una bottiglia di vino ogni 3 persone) 50 euro
Menu Premium(antipasto, primo, secondo, dolce caffè, acqua, una bottiglia di vino ogni 3 persone) 80 euro
Da mezzanotte, discoteca La Capannina di Franceschi Forte dei Marmi.
Nicolò Cavalchini live show
Davide Mazzara dj Nik Versilia Voice
Stefano Natali dj
Pianobar Guido Barinci
Tavoli in pista a partire da 500 euro comprese bottiglie e ingresso, tavoli in altre posizioni a partire dal costo dell’ingresso.
Prenota ora la tua serata a La Capannina di Franceschi Forte dei Marmi:
invia un SMS, contatta via WhatsApp o chiama ora il 347.477.477.2 o, se non puoi farlo subito, salva il numero come “Luca Capannina” è il tuo contatto 24/7 anche via SMS o WhatsApp;
scrivi adesso a [email protected] per informazioni, prenotazioni e assistenza via email;
Solo prenotando puoi evitare code e file all’ingresso de La Capannina Forte dei Marmi. Prenota e scopri perché, oltre 30 mila utenti, hanno messo “Mi piace” sulla pagina Facebook collegata al servizio offerto da questo sito e sulle altre derivazioni social…
Segui @DiscoVersilia Visita il profilo di Discoteche Versilia su Pinterest.
 La Capannina di Franceschi Forte dei Marmi.
La Capannina di Franceschi Forte dei Marmi è il locale storico della Versilia, emblema della sua vita notturna da oltre settanta anni, conosciuto in tutto il mondo per il prestigio dei suoi spettacoli e l’esclusività della sua clientela. Rappresenta uno dei vanti principali del nostro comprensorio turistico ed è ancora oggi conservato nelle sue caratteristiche originarie che ne hanno consacrato il successo.
L’immobile, ideato e realizzato nel 1929 da Achille Franceschi – indimenticato personaggio della Versilia degli anni ruggenti – e ricostruito nella sua forma attuale nel 1939 dopo un incendio che lo aveva distrutto, ha un fascino ineguagliato che il pubblico di ogni età continua ad apprezzare e che ne fa un locale unico nel suo genere.
La storia de La Capannina di Franceschi Forte dei Mrmi
La Capannina di Franceschi Forte dei Marmi nasce nel 1929, per idea e volontà di Achille Franceschi, personaggio di spicco ed ex sindaco del Comune di Forte dei Marmi, che intendeva costituire un insolito ritrovo, su una spiaggia allora deserta, per i villeggianti e frequentatori abituali della nascente stazione balneare fortemarmina. Si trattava, all’epoca, di una capanna costruita in legno e frasche, rivestita di tela ed arredata con pochi tavoli e sedie e dotata di un bar realizzato in modo artigianale e pittoresco. Il tutto ricavato da una vecchia baracca che da anni veniva utilizzata come ricovero di attrezzi per i pescatori della zona.
L’idea si rivelò fortunata ed il locale fu in breve frequentato da una clientela particolarmente qualificata che ne consacrò la fama estendendola fino alle grandi metropoli industriali. L’improvviso successo indusse il proprietario, alla fine della prima stagione, a demolire l’originaria capanna per costruirne una più grande ed efficiente. Nacque così un locale più organizzato, ampliato e dotato anche di una cucina regolarmente attrezzata.
Nel secondo anno di vita La Capannina di Franceschi Forte dei Marmi fece quindi il primo salto di qualità, moltiplicando la sua clientela, sempre più esclusiva e blasonata, e creando i primi miti che hanno caratterizzato la Versilia degli anni più famosi. Negli anni immediatamente successivi Achille Franceschi, abbandonato anche il vecchio originario grammofono e scritturato un complesso musicale esotico, si trovò a gestire il primo vero ritrovo estivo di prestigio la cui fama era equiparabile a quella dei  grandi locali internazionali.
Nel 1939 il locale  fu completamente ricostruito a seguito di un incendio, nel tempo record di sessantadue giorni. La ricostruzione avvenne su progetto articolato, con materiali più idonei e con articolazione planivolumetrica concepita per una migliore rispondenza  alle esigenze della clientela del locale. Il prodotto finale fu quello che ancora oggi è possibile ammirare, con la sua singolare architettura ed i particolari decorativi che lo hanno reso ulteriormente famoso in tutto il mondo.
Da allora ad oggi La Capannina di Franceschi Forte dei Marmi ha continuato a caratterizzare le estati versiliesi, contribuendo in modo determinante a mantenere alto il prestigio del comprensorio turistico nel quale si inserisce ed in particolare di Forte dei Marmi.
La Capannina è oggi gestita dalla Famiglia Guidi. che l’ha rilevata nel 1977, e che con opera attenta ed appassionata, ne ha ripristinato l’antico splendore, conformando la struttura all’attuale ritmo di un locale moderno senza peraltro intaccarne l’originario fascino e mantenendone inalterate le peculiari caratteristiche.
Inverno nelle discoteche della Versilia: La Capannina Forte dei Marmi si fa in quattro per te
Per il tuo divertimento, ogni Sabato, La Capannina si fa in 4 per te con 4 situazioni, una più divertente dell’altra.
apericena a buffet, per iniziare la tua serata nel segno del divertimento;
ristorante, in cui iniziare la tua serata con una raffinata cena a menu fisso, con menu degustazione di mare o di terra;
pista principale;
privé over;
Questa soluzione con le piste differenziate per target è l’unica che ti offre la situazione che stai cercando.
Vuoi iniziare la tua serata con una cena? La Capannina di Franceschi Forte dei Marmi ti aspetta nel suo ristorante.
Menu degustazione di mare o terra, menu speciali (da prenotare per tempo) e buffet privati. Il miglior modo di iniziare la tua serata in Versilia. Al momento della prenotazione, indica la zona o il target d’età che cerchi.
Hai meno di 40 anni? La Capannina di Franceschi Forte dei Marmi ti aspetta nella sua pista principale.
Musica commerciale con dj set e orchestre live. Tavoli disposti tra piano terra e piano superiore.
Hai oltre i 40 anni e cerchi musica più matura e un pubblico più adulto? La Capannina di Franceschi Forte dei Marmi ti aspetta nel suo privé.
Dj set ad hoc e piano bar per un’esplosione di divertimento in grado di far scatenare anche i meno giovani.
La tua serata speciale a La Capannina di Franceschi Forte dei Marmi.
Non c’è occasione che non meriti di essere festeggiata con una notte di musica e divertimento in una location da sogno come La Capannina di Franceschi Forte dei Marmi:
compleanno in discoteca,
addio al nubilato,
addio al celibato,
festa di laurea,
anniversario,
matrimonio in Versilia;
E per renderla indimenticabile, questo sito mette a tua disposizione una persona dedicata – Luca – a occauparsi di tutto e che ti seguirà in ogni fase: dalla richiesta informazioni, al preventivo, alla scelta della “formula Capannina di Franceschi Forte dei Marmi” migliore, alla prenotazione, all’assistenza prima, durante e persino dopo la serata.
Accendi la tua notte nella più importante delle discoteche della Versilia con il sito che ha fatto de La Capannina Forte dei Marmi la regina anche della rete.
La notte in Versilia, La Capannina di Franceschi e i suoi eventi, non avranno più segreti grazie a questo sito che ti offre:
il calendario sempre aggiornato con tutta la programmazione,
un esclusivo servizio di info e prenotazioni a tua disposizione 24 ore su 24, 7 giorni su 7,
foto e video per rivivere le tue serate,
tantissime recensioni,
molto molto altro,
Contenuti a cui puoi “abbonarti” con pochissimi click: inserisci la tua mail nella colonna di destra sotto a RICEVI ALBUM & NEWS e clicca “Mi piace” o un “Segui” qui sotto:
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perfettamentechic · 8 years ago
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Lee Alexander McQueen è stato uno stilista inglese. Figlio di un tassista, McQueen lascia la scuola all’età di 16 anni per entrare subito nel mondo del lavoro. Inizia come apprendista per Savile Row, per Gieves&Hawkes e per i celebri costumisti teatrali Angels e Bermans, entrambi maestri nella costruzione tecnica di capi d’abbigliamento. E qui  che Alexander impara 6 metodi di schema di taglio “from the melodramatic 16th Century to the razor sharp tailoring”, divenendo la caratteristica di base dello stile McQueen. A vent’anni  lavora con il designer Koji Tatsuno. L’anno successivo va a Milano e lavora come assistente con Romeo Gigli. Nel 1992 ritorna a Londra per completare la propria formazione presso la prestigiosa Saint Martin’s School of Art. Anno in cui presenta la sua prima collezione ispirandosi alla sua musa e madrina Isabella Blow.In diciotto anni di lavoro, dalla sua collezione per il master nel 1992, Alexander McQueen ha inventato più di quanto altri riescono, talvolta, a fare in una vita intera, trasformando la moda in un’espressione artistica di pura creatività. La sua inventiva senza freno ha reso possibili abiti dalle incrostazioni preziose, fregiati di piume; capi aggressivi in metallo, con dettagli animaleschi e un po’ lugubri; vestiti di georgette, chiffon e organze impalpabili e fluttuanti. Il suo stile, fortemente ispirato anche dalla sua musa e madrina, Isabella Blow, traeva forza e nutrimento dalla provocazione. E proprio quella sua necessità di spingersi oltre, di annullare il confine tra il possibile e l’impossibile, danno a McQueen la giusta carica per completare gli studi alla Saint Martin’s di Londra nel 1994, e faranno decollare, poi, la sua carriera.Nel 1996, l’anno della svolta per McQueen,  viene assunto come direttore creativo di Givenchy al posto di John Galliano, dove rimarrà, fra alti e bassi, fino al 2001, anno in cui abbandonerà la maison definendola costrittiva per la propria creatività. In questo periodo Alexander McQueen fa conoscere il proprio nome nella scena dell’alta moda con sfilate trasgressive e scioccanti, al punto di essere definito hooligan (violento, indisciplinato e ribelle) della moda. Nel 1999, a Londra, ha realizzato una sfilata provocatoria in cui comparivano la modella Aimee Mullins, amputata delle gambe, che a grandi passi ha attraversato la passerella su protesi in legno finemente intagliato, e dei robot per la verniciatura delle auto che spruzzavano su abiti di cotone bianco.Dal 2001 lo stilista è entrato a far parte del gruppo fiorentino Gucci, ed ha espanso la propria produzione aprendo nuove boutique a Londra, Milano e New York, e lanciando sul mercato il profumo Kingdom, creato in collaborazione con il profumiere Jacques Cavallier. Nel 2003 ha collaborato con la Puma per la realizzazione di una linea di scarpe da ginnastica. Nel corso della propria carriera, McQueen ha vinto il riconoscimento di “stilista inglese dell’anno” per quattro volte dal 1996 al 2003, ed ha vinto il premio “stilista dell’anno” dal consiglio Fashion Designer Awards nel 2003. Il 10 ottobre 2003, Alexander McQueen ha collaborato con Michael Clark mettere in scena la collezione primavera del 2004. Il 15 ottobre 2003 Alexander McQueen ha collaborato con Björk al Fashion Rocks , dove la collezione Autunno 2003 viene presentata alla Royal Albert Hall. Nel 2004, Alexander McQueen ha collaborato con Safilo tramite un accordo di licenza per lanciare una gamma di occhiali.  Lo stesso anno, l’azienda ha collaborato con American Express per lanciare una versione in edizione limitata della Centurion Card. Nel 2005, Alexander McQueen ha collaborato con Puma per la produzione di una linea di calzature da uomo e donna e successivamente, anche di abbigliamento: Alexander McQueen PUMA. L’azienda lancia il suo secondo profumo, My Queen, nel 2006.  Nel 2007, McQueen diviene il primo marchio a chiedere la partecipare della MAC Cosmetic per la sua sfilata ispirata a Elizabeth Taylor film Cleopatra; le modelle sfoggiava occhi azzurri, verdi e verde acqua intenso con una forte rivestimento nero esteso in stile egizio.
Alexander McQueen ha collaborato con Samsonite per produrre i bagagli dal formato  particolare, ovvero utilizzando uno stampo di una cassa toracica umana e lo sterno sul fronte e la spina dorsale sulla schiena. Altri pezzi della collezione si applicano modelli animali come coccodrillo per la pelle borse utilizzando la tecnologia di taglio laser.  Con le presentazioni in passerella, Alexander McQueen ha collaborato con Philip Treacy per la produzione di cappelli per la collezione di primavera del 2008 e la collezione autunno 2009.Tra i suoi tanti impegni riesce anche a creare una nuova linea di denim e di capi casual che lui battezza con il nome di MCQ-Alexander McQueen. La nuova linea uomini e donne di ready-to-wear e accessori, è stata realizzata in esclusiva da Lee Alexander McQueen, e distribuito in tutto il mondo da SINV SpA secondo i termini di un accordo di licenza quinquennale con Alexander McQueen. La primavera/estate 2011 è stato l’ultima collaborazione con SINV SpA. Pina Ferlisi viene nominata come direttore creativo per la linea nel giugno 2010 sotto la guida del direttore creativo, di Alexander McQueen, Sarah Burton.Nel 2010 lancia la sua ultima collezione di abiti, diventata nel giro di poco famosa a livello mondiale: Plato’s Atlantis. Ogni défilé che porta il suo nome si conferma uno spettacolo nello spettacolo: le sue modelle, armate di tacchi altissimi e abiti scultorei, hanno sfilato e sfidato per lui stabilità ed equilibrio, camminando tra cubi di vetro, specchi d’acqua e piogge artificiali, in un circo e perfino in una sinagoga sconsacrata. Alexander McQueen ha lanciato un negozio online negli Stati Uniti nel 2008. Questo è stato poi ampliato con un negozio online per il mercato del Regno Unito nel 2010.
Tra il 1996 e il 2001, Alexander McQueen ha collaborato con gioielliere Shaun Leane su alcuni pezzi di gioielleria realizzati in occasione per le presentazioni in passerella.L’11 febbraio 2010, alla solo età di 40 anni, viene trovato morto impiccato. La cantante Lady Gaga, sua grande amica, gli ha dedicato una canzone, Fashion of His Love, contenuta nel suo secondo album in studio Born This Way.
Con lo stile McQueen, oggi affidato alla sensibilità artistica di Sarah Burton, è riuscito a trasportare su un’unica dimensione la sartorialità e le tecniche di costruzione di un abito, apprese in gioventù da Gieves & Hawkes e da Anderson e Sheppard, sarti di Savile Row.
Il 4 maggio 2011, a poco più di un anno dalla sua triste scomparsa, il Metropolitan Museum di New York gli rende omaggio con l’evento Savage Beauty, una mostra che fin dal primo giorno ha segnato record di presenze lasciando tutti a bocca aperta.Il 18 febbraio del 2010, Robert Polet, presidente e amministratore delegato del gruppo Gucci, ha annunciato che l’azienda Alexander McQueen sarebbe andato avanti anche senza il suo fondatore e direttore creativo. Polet ha anche aggiunto che una collezione di McQueen sarebbe stata presentata durante la Paris Fashion Week.
Il 27 maggio 2010, Sarah Burton, la design, mano/braccio destra di McQueen dal 1996, è stata nominata nuovo direttore creativo del marchio Alexander McQueen rilanciando nuove idee, iniziando dalla prima collezione di intimo maschile nel giugno 2010.  La biancheria intima presenta stampe iconiche dall’archivio McQueen e il logo sulla cintura; una percentuale di raccolta lancio della biancheria intima Alexander McQueen è distribuita ai vari enti di beneficenza AIDS in tutto il mondo. Sarah Burton, dopo aver completato un corso di base d’arte al Manchester Polytechnic, decide di seguire la moda nel corso di studi in arte: Print Fashion al Central Saint Martins College di Art e Design a London. Durante il suo terzo anno ha avuto un colloquio per uno stage di un anno nell’azienda Alexander McQueen, su suggerimento del suo tutore Simon Ungless – un amico di McQueen – , e viene presa. Dopo la laurea nel 1997 entra a tempo pieno nell’azienda come assistente personale di McQueen. Nel 2000 Sarah viene nominata Head of Womenswear e in questo periodo realizza abiti per  Michelle Obama , Cate Blanchett , Lady Gaga e Gwyneth Paltrow.
Dopo la morte di McQueen, la Burton diviene creative director di Alexander McQueen e nel settembre del 2010 presenta, a Parigi, la prima collezione donna McQueen interamente realizzato da lei.
Catherine Middleton, per il suo matrimonio con con il principe William, duca di Cambridge Venerdì 29 aprile 2011, ha scelto proprio Sarah Burton per la progettazione e la realizzazione dell’abito nuziale. Realizzato dalla Royal School of Needlework, Sarah Burton ha detto che la creazione l’abito da matrimonio reale è stato l’ “experience of a lifetime”. Anche l’abito da damigella d’onore di Pippa Middleton  è stato disegnato dalla Burton  e l’abito che Kate Middleton ha indossato alla festa serale del matrimonio. La Middleton ha “scoperto” la Burton nel 2005, in occasione del matrimonio di Tom Parker Bowles , figlio della duchessa di Cornovaglia, per il quale McQueen aveva disegnato l’abito della sposa, la giornalista di moda Sara Buys. Burton ha lanciato il suo primo spettacolo maschile Pomp and Circumstance con il marchio McQueen nel giugno 2010 con recensioni positive e il 5 ottobre 2010 a Parigi, con “womens wear”  espone la sua visione per il marchio rendendolo “più leggero”. Lo “spettacolo” è stato un enorme successo,  e lodato per essere  stato uno degli spettacoli più forti alla Paris Fashion Week: “piena di segni e idee McQueen” e di una “sensibilità molto più ottimista” per il futuro della home. 
Il 28 novembre 2011, Sarah Burton ha vinto il Designer of the Year al British Fashion Awards . Nel luglio 2012, Burton riceve una laurea honoris alla Manchester Metropolitan University ottenendo il Doctor of Arts. E sempre nello stesso anno è stata nominata Officer of the Order of the British Empire (OBE), Birthday Honours per i servizi  “to the British fashion industry”.A partire da gennaio 2014, Harley Hughes è il responsabile del design abbigliamento maschile di McQueen Alexander .Nel luglio 2015, la principessa Catherine, Duchessa di Cambridge , ha indossato un abito firmato Alexander McQueen per il battessimo della principessa Charlotte di Cambridge.Oggi, Sarah Burton supervisiona la  creative direction  e lo sviluppo di tutte le  brand’s collections:  linea donna, linea uomo, collezioni ready-to-wear e accessori, così come McQ con le sue linee donna, uomo e accessori.
Burton vive a St Johns Wood con il marito David Burton, fashion photographer. Nel maggio 2016, a UNESCO Headquarters, il marchio Alexander McQueen ha vinto Premio di Versailles per la boutique  rue Saint-Honoré, a Parigi. 
Revisionato il 01/02/2017
Autore: Lynda Di Natale Fonte: alexandermcqueen.com, Wikipedia e web
Alexander McQueen - Sarah Burton #alexandermcqueen #sarahburton #creatoredistile #creatoridimoda #perfettamentechic #felicementechic #lynda Lee Alexander McQueen è stato uno stilista inglese. Figlio di un tassista, McQueen lascia la scuola all'età di 16 anni per entrare subito nel mondo del lavoro.
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antoniolamalfa21 · 7 years ago
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Finito il matrimonio, rimane la selezione, la post-produzione delle foto e la stampa. La creazione dell’ album fotografico di matrimonio è il completamento di tutta la lavorazione iniziata il giorno del matrimonio. Ad esso va data la massima attenzione, dalla scelta dei materiali per la copertina a l’utilizzo dei supporti fotografici per la stampa. Il vostro album di nozze per me è molto importante. Proprio per questo curo tutto nei minimi dettagli dando la possibilità agli sposi di personalizzarlo come preferiscono, così che ogni lavoro si differenzi dall’altro. Lavoro con le migliori ditte italiane che da sempre si contraddistinguono per la qualità e il gusto nella scelta dei materiali.
Album fotografico di matrimonio – Antonio La Malfa Finito il matrimonio, rimane la selezione, la post-produzione delle foto e la stampa. La creazione dell' album fotografico di matrimonio è il completamento di tutta la lavorazione iniziata il giorno del matrimonio.
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