#ai fiera
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Le elezioni USA che vedevano candidati "scemo e piu' scemo" ha visto vincere "piu' scemo".
Certo, la differenza tra i due non era propriamente stratosferica, entrambi avrebbero sparato al ladruncolo che gli entrava in casa, entrambi favorevoli alla sparizione dei palestinesi, entrambi grandi amici di finanzieri e di wallstreet. Rocky-Trump s'e' dimostrato piu' convinto, piu' battagliero nel dire le sue "strampalature" ai quattro venti. Mogio-Kamala-Mogio, praticamente, in tre mesi non ha detto niente, si e' comportata come una Schlein qualunque... Non e' riuscita a scaldare il cuore nemmeno ai babbuini degli zoo americani. I Democratici fanno "gli studiati" ma poi non capiscono cosa serve ai propri cittadini per essere una nazione unita e fiera e si lasciano travolgere da populisti che faranno danni seri, un po' come il PD nel nostro Paese, partito che parla solo di campoextralarge perche' si deve vincere e mai di cosa farebbero per cambiare totalmente questo Paese, tanto da rendere giganti gente come Salvini o Vannacci o i molti parenti sistemati dai potenti.. @ilpianistasultetto
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Ti hanno spezzata... Profanata, rubato i sorrisi più belli... Ci hai messo una vita a impare a difenderti... Ergendo i tuoi muri, con cancelli, lucchetti e facendo crescere le tue spine. Ma adesso indossi fiera e con vanto la tua armatura... Proveranno di nuovo a distruggerti e piegarti ai loro piedi... Umiliarti... Frustarti e penetrarti nel più atroce dei dolori... Ora non sanno chi sei... Ma lo sai tu... Sei fatta di sogni e adamantio... Oggi la regina sei tu 🖤
~ Virginia ~
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La storia della Musica!!!!
Tre giorni di pace e musica. Tre giorni che hanno fatto la storia. Si celebra oggi il 51esimo anniversario del più grande evento di libertà, umanità e lotta pacifica: il Festival di Woodstock. Più che un concerto un pellegrinaggio, una fiera di arte e musica, una comunità, un modo di vivere che ha cambiato per sempre il concetto di libertà. Sul palco, a Bethel (una piccola città rurale nello stato di New York) si sono alternati per tre giornate alcuni tra i più grandi musicisti della storia. Musicisti che provenivano da influenze, scuole musicali e storie differenti ma che avevano in comune ciò che più contava in quei favolosi anni ’60: la controcultura.
Si passava dal rock psichedelico di Jimi Hendrix (che, pur di essere l’ultimo a esibirsi, salì sul palco alle 9 di lunedì mattina per un concerto di due ore, culminato nella provocatoria versione distorta dell’inno nazionale statunitense) e dei Grateful Dead ai suoni latini dei Santana (che regalarono un memorabile set, impreziosito dallo storico assolo di batteria del più giovane musicista in scena: Michael Shrieve) passando per il rock britannico di Joe Cocker (che regalò in scaletta le splendide cover di Just Like a Woman di Dylan e With a Little Help from my Friends dei Beatles) e degli Who all’apice della loro carriera (celebre l’invasione di palco dell’attivista Habbie Hoffman, durante il loro concerto, quasi quanto il lungo assolo di Pete Townshend durante My Generation, con lancio di chitarra finale).
C’era poi il folk, con una splendida Joan Baez su tutti, che suonò nonostante fosse al sesto mese di gravidanza, genere tipicamente statunitense che si alternava a suoni più esotici e orientali, come il sitar di Ravi Shankar. Impossibile dimenticare infine l’intensa performance della regina del soul Janis Joplin, la doppia esibizione (acustica ed elettrica) di Crosby, Stills, Nash e del “fantasma” di Neil Young, che rifiutò di farsi riprendere dalle telecamere e il divertente show dei Creedence Clearwater Revival.
1969, il ‘Moon day’ in musica..
Concerti che rimarranno nella memoria di chiunque ami la musica come simbolo di cambiamento, pace e libertà. D’impatto i presenti come pesanti furono le assenze di John Lennon, che si rifiutò di esibirsi per il mancato invito di Yoko Ono, Bob Dylan, padrone di casa (lui che all’epoca viveva proprio a Woodstock) assente per la malattia del figlio, i Rolling Stones, ancora scossi per la morte di Brian Jones e i Doors, alle prese con una serie infinita di problemi legali.
Il vero protagonista dell’evento fu però il pubblico, la “vera star” secondo l’organizzatore Michael Lang, eterogeneo quasi quanto i generi musicali. Da tutta America arrivarono studenti liceali e universitari, hippie, veterani del Vietnam, filosofi, operai e impiegati. Nessuna differenziazione di razza, etnia o colore della pelle: tutti uniti dalla voglia di stare insieme in libertà con il fango a livellare ogni diversità e i capelli lunghi come simbolo di ribellione. Un sogno che oggi sembra lontano anni luce, nelle ideologie come nell'organizzazione.
Da quel 1969 si è provato a più riprese a riproporre Woodstock, con scarsi risultati culminati nell'annullamento del concerto in programma per questo cinquantesimo anniversario, organizzato proprio da Lang e non andato in porto tra una defezione e l’altra, forse perché indigesto ai grandi organizzatori di eventi musicali mondiali. Forse, a conti fatti, meglio così: quell'atmosfera irripetibile era frutto di una spontaneità organizzativa di altri tempi, una magia fuori da ogni schema il cui risultato sensazionale, iconico e significativo fu chiaro solo anni dopo anche agli stessi partecipanti.
Vanni Paleari
PhWoodstock, 1969
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nulla ieri siamo andati a questa fiera di animaletti e c'erano tantissimi serpentini, topini, cavie, gattini, tantissimi altri animaletti e io avevo gli occhi lucidi per metà del tempo, fino ai furetti e lì niente non sono riuscito a trattenermi 🥺💗
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Come un albero di fico in inverno
Ci sono giorni dove la stanchezza prende il sopravvento. Lo so che l'impazienza è frutto delle pressioni sociali, che ciascuno ha i propri tempi e che anche i momenti apparentemente statici preparano in realtà la strada per quelli più dinamici. Ne sono consapevole, soprattutto perché lo sto anche sperimentando nella mia interiorità, imparando ad affidarmi di più a Dio in ciò che trascende il mio controllo. Volendo usare una similitudine evangelica, mi sento come quell'albero di fico in inverno, che ad una visione generale e superficiale sembra sempre rinsecchito, emaciato, fragile, quando in verità, man mano che si avvicina la primavera, sviluppa tanti piccoli germogli, così minuscoli che si possono scorgere solo mediante un'osservazione ravvicinata e attenta ai dettagli. Eppure, a volte vorrei solo non stare più in pena per il mio prossimo futuro lavorativo, non vagare più nella totale incertezza e scorgere qualche progetto concreto a cui aggrapparmi tra pochi mesi. Vorrei anche ricordarmi che cosa si provi ad essere desiderata sinceramente da un uomo, sentire il tepore accogliente di un abbraccio, il contatto con altre membra palpitanti, quel sacro fuoco in grado di riscaldare le gelide mura marmoree del mio tempio abbandonato, quel soffio vitale capace di dare vita ad una statua travolta dall'edera. È come se un'assenza così prolungata negli anni mi avesse fatto precipitare in una sorta di insicurezza, tale da non farmi sentire più bella fisicamente, né femminile, né attraente; tuttavia, nel frattempo sono diventata profondamente fiera della mia identità e come una fiera vengo vista dagli occhi maschili, perché dolce, gentile, ma potentemente capace di penetrare i loro pensieri con uno sguardo, squarciare i veli della finzione, rivelare verità scomode, chiedere la loro anima in cambio della mia. Ciò mi fa sorridere amaramente, perché quando ero fragile, mi volevano possedere e dominare; ora che sono libera, mi vogliono sedare o evitare. Tuttavia, anelo ancora a quell'amore mai provato completamente, così reale e al contempo divino; so che esiste, il mio diletto sposo; così lo reclamo nel vento che ulula tra gli scogli durante una tempesta, lo cerco come un falco che perlustra le praterie, e lo attendo pazientemente, come un albero di fico in inverno.
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Ciò che ho amato di lei
La trovai qualche anno fa, senza neppure cercarla. In panetteria. Come capita con tutte le cose veramente importanti delle nostre vite: scelgono loro dove trovarti e quando, perché semplicemente ti devono arrivare. Fu, la nostra, una storia qualsiasi. Tra due anime a caso su sette miliardi. In questo emisfero terrestre, nello stesso quartiere. Si sviluppò da subito una fortissima e magnetica attrazione, tra noi. Ne apprezzavo la discrezione e i sorrisi imbarazzati, sottintesi.
I modi controllati e assolutamente raffinati. Pian piano, l’aiutai a liberare in lei la sua versione più istintuale, soffocata e ingabbiata. Dai pregiudizi e dal bisogno di essere accettata dai suoi genitori, dai suoi modelli di vita. A Lucia ho insegnato che non deve nulla a nessuno, tranne che forse alla sua vera natura e ai suoi desideri. Che tutte le voglie sono lecite, sacrosante e vanno soddisfatte, a meno che non siano dannose per qualcuno.
E quindi giù domande:
-e allora l’amore? Se poi improvvisamente amo qualcun altro e poi tu soffri?
-fallo: lasciami. Capirò.
-ma che dici, scemo… e la lealtà, la coerenza, il rispetto…
-tutte cazzate messe su carta da chi non ha mai amato. L’amore è l’unica variabile caleidoscopica, imprevedibile e spietata nelle nostre vite. Nessuno che se ne sia mai lamentato, però…
-la gratitudine?
-certo: la gratitudine deve essere ovvia, ma non può trasformarsi in una invisibile ma pesante catena che ti condizioni nelle scelte, nei gusti; qualcosa che ti impedisca di vivere da donna libera, che ti faccia sentire vincolata a chi ti ha fatto del bene. Aiutare, fare del bene significano infatti semplicemente rendere libero qualcuno; nel corpo e nella mente. Solo questo. Altrimenti non è fare del bene: è mettere delle ipoteche sul cuore e sulla vita di quella persona. Pretendendo poi di riscuotere di continuo dei dividendi. Potremmo chiamarlo strozzinaggio dell’anima, direi. Ecco, si! Quindi, anche se si tratta di forzare la tua natura gentile, alla fine se proprio devi, per tagliare i legami tossici della mente sentiti pure libera di alzare il dito medio a chi ti ha ingabbiata nella sua rete di follia mentale. Credendo magari di farlo “per il tuo bene” e addirittura in buona fede.
Mi ascoltava e beveva le mie parole. “Un uomo è già mezzo innamorato di una donna che lo ascolti.” Certo: è proprio vero, giuro. E io quindi l’amavo ogni giorno di più. Crebbe anche sessualmente. Moltissimo. Sapeva fare cose che neanche una contorsionista innamorata... Lasciai il mio monolocale e mi trasferii da lei, nel suo appartamento più grande del mio, per vivere insieme. Iniziai a sentirmi sempre meno il maestro e ogni giorno di più l’allievo.
Era divenuta esperta nella stimolazione erotica: visiva e sensoriale in genere. Mi insegnava cose incredibili. Mi faceva godere da matti. Si dice che ogni uomo cerchi solo una donna bella e che voglia fare tanto sesso, fino a quando… non la trova! Comunque, posso dire che ci siamo amati senza barriere, limiti, pregiudizi o gelosie. Non volevo che lei.
Non cercavo che il suo corpo. Non amavo altre cose che non fossero il suo odore, le sue forme. Il suo seno poi era per me una vera fissazione. Lucia lo sapeva e ogni tanto, a tradimento e con la scusa di dover prendere qualcosa, mi sfiorava coi capezzoli turgidi il petto, il viso o la schiena. Questo dava regolarmente inizio a una mia incontenibile eccitazione. Non c’era pomeriggio in cui non finissimo a letto per amarci prima di cena. Anche quando avevamo avuto di che discutere. Anzi: quello dava più sapore all’amore.
Quella donna era un raro compendio di grazia, bellezza, forza e infine fiera, conscia sottomissione. La donna perfetta. Per me che sono pieno di difetti, fisse e debolezze atroci che mi mangiano da dentro. Durò fino a quando due anni fa per l’università non venne a vivere con noi Elena, sua sorella minore. Fui stoico: resistetti fino a che mi fu possibile. Ma quella ragazza era attraente nell'anima, oltre che nel corpo; mi prese il cuore da subito e pian piano me lo accartocciò.
Con un semplice sguardo mi passava da parte a parte. E lo sapeva, la piccola maliziosa. Mi fece a pezzi i ventricoli, dopo avermeli virtualmente leccati a lungo. Ogni tanto, se eravamo soli, si scopriva il seno, poi apriva la bocca e cacciava tutta la lingua fuori, nella posizione di ricevimento del seme per dieci secondi. E mi guardava fisso negli occhi. Oppure mi faceva vedere le sue grazie in trasparenza. Una dolce tortura. Restavo senza fiato e lei si divertiva. 'Ma io scherzavo', diceva. Per me lei invece costituiva un'inversione dei poli dell’asse terrestre.
Elena era fidanzata, al paesello. In città perciò si sentiva più libera. In breve, divenni segretamente cotto di lei. Be’, tra noi in ogni caso ci fu solo un bacio; languido e dolcissimo. Me lo diede lei a tradimento, in un pomeriggio in cui probabilmente sentiva un po’ più di trasporto verso di me. Io non riuscii a fare nulla per impedirlo. Non che l’avrei voluto, devo dire. Poi sorrise e come se avesse semplicemente bevuto un bicchier d’acqua se ne andò al cinema con gli amici. Io rimasi con un incendio nella mente e nell’anima. S’era prodotta una crepa, nel cemento armato che sino a quel momento mi univa a Lucia, la mia donna.
Cercavo di nasconderla. Maldestramente. Lei però se ne accorse immediatamente. Le confessai che amavo quella giovane Venere, che quella cerbiatta incosciente mi teneva in pugno senza forse neanche immaginare che uragano aveva scatenato in me. Un amore improbabile, disperato e impossibile. Destinato a squagliarsi, alla fine: te lo giuro! Ma lei niente.
Mi si negò da subito. Iniziò a darsi piacere da sola, per farmi morire di passione. Lo faceva piangendo, nel nostro letto. La sentivo, gemeva ma non mi consentiva neanche di toccarla. Per me era una vera tortura guardarla spogliarsi, averla vicina ogni sera più bella della precedente, calda e non poterla neppure sfiorare. Sentivo il suo odore trovare le mie narici e arrivare al centro esatto del mio desiderio.
Sentivo l’aroma meraviglioso della sua pelle di seta e dormendo spesso me la sognavo. Soffrimmo entrambi da cani. Il calvario durò solo sei giorni e poi tra me e la sorella infine Lucia non ebbe esitazioni: scelse quest’ultima. Mi buttò fuori senza tanti complimenti. Pur non avendo io fatto nulla di concreto. L’amore esce fuori dai tuoi pori.
Se ne accorgono tutti. Più è impossibile, scorretto e proibito, più ti cresce dentro. I limiti, le imposizioni e i divieti sono proprio ciò che lo fa lievitare maggiormente. Amare è il vero pane quotidiano degli esseri umani. A volte è un pane amaro ed è protetto da una spessa vetrina di convenzioni. O da un chiaro “non ti voglio più.” E allora sono guai.
RDA
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TOGLIETE I CARRI ARMATI DALLA FIERA! Oggi sono stato alla Fiera del Levante, mi ha innervosito molto la novità di quest'anno. La novità è stata la presenza dell'esercito con i carri armati. Se la sinistra fosse sinistra e non partiti liberisti e accomodanti di governo. Se il sindacato fosse di lotta e non concertativo. Se l' A.N.P.I. fosse quella dei partigiani e non di personaggi alla ricerca di visibilità. Se i pacifisti fossero contro la guerra e non dei quaquarqua. Se i militanti fossero militanti e non scribacchini su Facebook come me. La città di Bari si sarebbe ribellata e al minimo avrebbe fatto un volantinaggio ai cancelli della Fiera del Levante per chiedere la rimozione dei Carri Armati, propaganda dello strumento di guerra.
Tonino Mosaico, Facebook
#mala_tempora #cultura_della_violenza #guerra_ovunque #prima_i_soldi_poi_la_vita
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sono particolare, si. storta come la torre di Pisa, segnata da rabbia, odio, ansia e depressione.
quell’odio ce l’ho scritto sulla pelle. il mio corpo è da sempre l’unico posto in cui riesco a scaricare rabbia e sofferenza.
ho perso il conto delle volte in cui mi sono sentita giudicata per tutte le cicatrici che porto addosso. d’altronde non mi aspetto che tutti capiscano, ma sono state le mie esperienze a farmi smettere di giudicare gli altri, perché ho capito che non posso capire tutto e tutti, ed è proprio perché non capisco che non mi permetto di giudicare.
un tempo mostrare le mie cicatrici mi spaventava, sapevo che tutti (o quasi) mi avrebbero giudicata, in primis la mia famiglia. l’estate era un inferno, dovevo scegliere tra morire di caldo o andare in giro con le braccia scoperte e le cicatrici bene in vista, odiavo il fatto di non poterle nascondere. ad oggi le mostro volontariamente, non perché ne vado fiera, non c’è niente di cui andar fiera. le mostro senza problemi semplicemente perché mi sono rotta il cazzo, non mi importa del giudizio degli altri, anzi, in fin dei conti io le trovo anche “carine”, o almeno mi piace consolarmi pensando che lo siano. mi sono rotta il cazzo di avere paura dell’intimità, di avere paura dei vestiti estivi, di avere paura di farmi vedere. ci devo convivere con queste cicatrici, fanno parte di me, quindi non me ne frega un cazzo. dopo aver scattato queste foto, riguardandole, mi sono odiata più del solito, ho pensato “le ragazze normali possono fare foto del genere e risultare attraenti, mentre io sono solo qualcosa di rotto, per niente attraente”. però poi ho pensato che non fa niente, nella vita non voglio essere attraente, anzi, non vorrei proprio essere in vita. quindi è già tanto che sto resistendo, sono ancora “viva”, per così dire, a chi importa se ho qualche cicatrice addosso? ai miei nonni brillano gli occhi quando mi vedono sorridere, loro sono felici che io sia ancora qui. i miei amici hanno visto ogni singola cicatrice e mi parlano ancora, tengono ancora a me, hanno sofferto quando ho provato a togliermi la vita, ci sono stati male entrambe le volte, loro sono felici che io sia ancora qui. il mio cane mi fa ancora le feste e vuole ancora le mie coccole quotidiane, lui è felice che io sia ancora qui. sono io a non esserne felice, ma voglio provare ad esserlo, voglio darmi ancora una possibilità. tutti gli altri non contano, tanto la gente avrà sempre tante critiche da fare e poche parole gentili.
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Fra' devi arrivare puntuale oggi. Ho un impegno", dico al telefono al mio collega che solitamente arriva in ritardo.
"Tranquilla, sto arrivando" mi risponde, e stavolta mantiene la parola.
Dopo pochi minuti arriva tutto trafelato. Mi squadra dalla testa ai piedi e, sorridendo maliziosamente, mi dice: " Immagino che oggi non pranzeremo insieme". Sorrido, il bacio di congedo e scappo. In strada mi chiedo se si capisca che oggi vedrò il mio Padrone. Mi rispondo: s��. Sempre molto attenta al mio aspetto, indubbiamente quando devo incontrare il mio uomo ho una luce particolare negli occhi, difficile da non cogliere. Raggiungo rapidamente il ristorante cinese dove pranzeremo. Inaspettatamente sono in anticipo e quindi rimango qualche minuto fuori dal locale ad aspettare. Quando lo vedo arrivare mi dico che l' effetto che mi fa è sempre lo stesso: lo ammiro nella sua eleganza e compostezza e mi eccito pensando a come cambierà totalmente in poco tempo. Entriamo nel ristorante e scegliamo, non a caso, un tavolo lontano da occhi indiscreti. Tolgo il cappotto mostrandogli un abitino nero che subito nota e apprezza. "Non hai visto ancora niente, amore" mi dico sorridendogli maliziosa mentre lo ringrazio per i primi complimenti. Non passa molto tempo e lui tira fuori dalla sua elegante giacca un plug blu, fiero delle dimensioni del giocattolo, e mi ordina di andare in bagno e indossarlo. Accetto ben volentieri, lo indosso e tengo in mano il perizoma appena sfilato. Si sa che un regalo deve essere sempre contraccambiato. Torno al tavolo tenendomi il culo: le dimensioni di quel Toy sono infatti modeste per il mio culo e ridendo glielo faccio presente. Sorpreso, mi dice che la prossima volta indosserò quello cattivissimo e subito mi pento della mia spavalderia: il plug in vetro di cui parla, infatti, è una vera e propria arma bianca. Ci raggiunge la titolare del locale che ci domanda in un italiano molto approssimato cosa vogliamo mangiare: lascio decidere a lui, adoro farlo. Rimasti soli, in attesa dei ravioli al vapore, mi bacia. Mi rendo conto che ormai quello che era un azzardo oggi è un bisogno. Gli consegno il perizoma. Il mio messaggio è chiaro e lui lo coglie al volo: inizia a frugare nella mia fica fradicia apprezzandone lo stato. Allungo anch'io le mani: il suo cazzo è meravigliosamente duro e vorrei scivolare sotto il tavolo per succhiarlo ma sono una signora e devo rimanere composta, seppur a gambe aperte e col culo pieno.
"Ma ti sembra una posizione da signora?" mi chiede eccitatissimo mentre gioca con il mio clitoride.
"No, ma io sono la tua Troia e adoro stare a gambe aperte quando sono con te" rispondo io. Ci baciamo ancora una volta, dopo di che assaggia quanto raccolto in mezzo alle mie gambe. Il pranzo è servito, iniziamo a mangiare i ravioli, parliamo tantissimo, ridiamo, ci provochiamo, programmiamo il nostro ormai prossimo incontro in albergo e lui continua a scoparmi la fica con la mano. Dopo un' ora devo andare in bagno per togliere il plug e indossare nuovamente il perizoma. Lo lascio seduto al tavolo in attesa, un' attesa che dura più del previsto, giusto il tempo di un orgasmo: giunta in bagno, infatti, devo assolutamente esplodere, attendo qualche istante un suo eventuale arrivo ma lui, si sa, è in pubblico un uomo tutto d'un pezzo, e allora sfilo il plug dal culo, lo appoggio sul wc e mi impalo fino all' esplosione. Tornata al tavolo mi scuso immediatamente per la prolungata attesa spiegando quello che mi ha trattenuta nel cesso. Mi guarda sorpreso.
"Lo hai fatto davvero?" Mi chiede con tono fermo.
"Ecco, ti sei beccata una bella punizione" mi dico tra me e me mentre annuisco fiera.
Sorride, è eccitato, molto eccitato e promette di devastarmi lunedì prossimo. Ci avviciniamo alla cassa per pagare il conto. La signora ci ringrazia e ci chiede se siamo stati bene.
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Tre metri. Sette passi. Tanto è lungo il corridoio. Il corridoio che separa la mia dalla camera di mio figlio.
Appena sette passi. Così pochi da fare. Così pesanti come macigni, se quello che pensi è contro la natura, contro la morale, contro ogni convenzione.
Quante volte la notte, ho osservato la sua porta chiusa, dalla soglia della mia stanza. Agitata da pensieri immorali. E quei maledetti sette passi, che separavano il mio essere una brava ed amorevole mamma dall’essere una madre snaturata. Una distanza così piccola, una differenza enorme.
Ci sono state notti in cui alcuni di quei passi li ho fatti. Sono arrivata a metà. A volte sono arrivata anche fin dietro la porta. Ho poggiato l’orecchio, ho sentito il suo respiro addormentato. Una notte ho messo anche la mano sulla maniglia. Non l’ho abbassata, è i sette passi li ho fatti a ritroso, tornando nel mio letto.
Letto, dove non riesco a chiudere occhio. Il divorzio da mio marito. La sua fuga con un’altra. Io che resto sola e che giuro che mi dedicherò solo a mio figlio. Lui che diventa rapidamente così bello al miei occhi, così attraente, così sexy, così desiderabile.
E quei tre metri che separano l’amore dal vizio, che mi dico di non percorrere mai, ma nel frattempo mi accarezzo nel mio letto, e raggiungo l’orgasmo, usando uno i quei giochi che già possedevo quando mio marito c’era ancora e la notte mi ignorava.
Sono solo tre metri, ma sono una montagna che sembra impossibile scalare.
Fino a certe letture, certe storie su internet, certe chat con donne sole come me. Non sei la sola a voler fare quei passi.
E alla fine quei sette passi, stanotte, li percorro leggera. Decisa. Mi sono fatta bella, come altre notti in cui poi non ho avuto il coraggio. Ma stanotte ho la voglia e il coraggio. Mi sono fatta arrapante, pronta a sedurlo.
Sette passi percorsi con passo fermo, il tacco che non mi importa che faccia rumore sul parquet.
La maniglia che cigola. Entrare, vedere la luce fioca dell’abat-jour ancora acceso, anche se la notte è alta. Vedere le coperte aggrovigliate ai piedi del letto. Lui nudo, che si masturba.
Non ero la sola a pensare a quei tre metri che ci separavano.
- Mamma….sussurra immobilizzandosi. Le dita della mano si aprono, da essere strette intorno al suo pene vanno a coprirlo a cercare di nasconderlo.
Ma io, che ho fatto quei sette passi, non ho paura di farne ancora due, fino al suo letto. Sdraiarsi accanto a lui, guardarlo negli occhi, fiera per aver percorso quei metri, spostargli la mano, sostituirla con la mia. Averlo, finalmente.
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Yang betul ii berminat nk join grup pm aq hrga termurah yang tk pernah orang bagi RM5 je hehehe.
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