#abito da passeggio
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GUARDAROBA STORICO – abito composè da passeggio Abiti e Accessori primi sec. 900 • 𝓒𝓸𝓵𝓵𝓮𝔃𝓲𝓸𝓷𝓮 • abito composè da passeggio autentico primi secolo 900, gonna in taffettas di seta colore "grigio fumo" con passamaneria a greca ornamentale e camicetta in tulle ricamo macramè ~ Per mostre su manichino / allestimenti e percorsi sulla moda del 900 ~ 📧 Info: [email protected]
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La mia solitudine ha un nome.
Si chiama Libertà.
Dove abito ora, in un piccolo posto davanti al mare, mi hanno soprannominato “il solo”. Passeggio per il paese da solo, vado sulla spiaggia da solo. Qualche volta ceno al ristorante da solo. Logico che mi chiamano “il solo”.
Ma la mia solitudine ha un valore, è una scelta dovuta dalla stanchezza.
Il programma era diverso, ma sono arrivato tardi. Meglio così, chi non ti aspetta non ti merita. Da deluso ho fatto una scelta, appropriarmi della mia vita.
Fanculo tutto e tutti, escluse le persone a cui voglio bene.
Per loro ci sarò sempre.
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Le maschere della commedia dell’arte
LA BAUTA
(Da un quadro di Uwe Thurnau) Questo costume, costituito da una mantellina nera con cappuccio su cui si portava il tricorno mentre il volto veniva coperto da una caratteristica mascherina bianca o rena, divenne comunissimo nel sec. XVIII, fino a divinire un abito da passeggio in tutti i periodi dell’anno.
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The masks of the commedia dell’arte
LA BAUTA
(From a painting by Uwe Thurnau) This costume, consisting of a black cape with hood on which the tricorn was worn while the face was covered by a characteristic white or sand mask, became very common in the 18th Century, to the point of defining a walking dress in all periods of the year.
#12 of 12#La Bauta#Uwe Thurnau#Le maschere della commedia dell’arte#The masks of the commedia dell’arte#commedia dell’arte#maschere#masks#in the collection of#zeehasablog#16th century#17th Century#18th Century#postcard#traditional#italia#italy#theatre#theater
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Questa foro raga mi fa bestemmiare. Ma come cazzo ragionate?
Lo voglio spiegare.
Ciò che la ragazza indossa è una copertura tradizionale che non ha un forte connotato religioso sebbene sia comune in ambienti dell’Africa orientale dove è diffusa la fede islamica. Si chiama jilbab.
“Non è un abito religioso ma chiaramente è indossato da donne islamiche”, spiega Freddie del Curatolo, direttore di malindikenya.net. “È un abito più da passeggio. Lo usano molto le tribù al confine tra Kenya e Somalia come gli Orma e i Bravani“, ha aggiunto il giornalista da 15 anni nel Paese africano.
L’abito è verde, colore che solo in maniera controversa simboleggia l’Islam apparendo ad esempio sulle bandiere di Arabia Saudita, Algeria, Pakistan e della stessa Lega araba. Il colore del Profeta era infatti il nero, come mutuato da Daesh (l’Isis) e il verde è solo un fatto culturale che indica quello che gli arabi del deserto non avevano: la verzura (nel Corano si parla del Paradiso come, verde anzi verdissimo).
Concludo dicendo che bisogna smetterla di giudicare a prima vista le persone, sicuramente si è vestita come ha potuto. Diamogli tempo, ne ha bisogno. Vedremo se continuerà così o troverà abiti più consoni al fatto di essere sì musulmana ma anche italiana. Lasciatela stare, ciò che state facendo è bullismo, i politici e Salvini in particolare l'ha definita "neoterorista". È assurdo. Solo per un abito.
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L’arte può essere tante cose insieme. Tanti anni fa c’erano le shopper pitturare a mano, una per una, poi più recentemente le mascherine da passeggio, ora le cover…non solo come accessorio ma come “accessorio d’arte” o, ancora meglio, un ART A PORTER (che viene da PRET A PORTER cioè un abito da donna confezionato in serie, in taglie standard). Un’arte pronta da indossare e a disposizione di tutti. Ti piace particolarmente qualcuno dei miei quadri (qualsiasi), delle mie scritte, delle frasi che pubblico? Oppure, ancora meglio, vuoi una cover personalizzata con il tuo volto? Puoi ordinarmela, per qualsiasi tipologia di telefonino (anche per quelli “anzianotti”) e ti arriverà a casa oppure, se sei in zona, puoi passarla a ritirare da @mycase_terni. Che ne dite di questo nuovo progetto? #postochevaicoverchetrovi (presso In Qualsiasi Parte Del Mondo) https://www.instagram.com/p/CdpY3MJMP1_/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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Moda donna: ecco i modelli di calzature con cui valorizzare ogni look
Una calzatura da donna non rappresenta solo un elemento che completa l'abbigliamento, quanto piuttosto un simbolo indiscusso di stile e fascino, in grado di esaltare al meglio la femminilità in ogni occasione d'uso. Dalle sneakers ai sandali e dalle décolleté alle ballerine, le possibilità da sfoggiare oggigiorno per essere sempre glamour ed eleganti sono davvero numerose. A prescindere dalle preferenze personali, in ogni caso, grande attenzione in fase di scelta andrebbe riposta anche sulla qualità di ogni singola scarpa, orientandosi su proposte in grado di assicurare al tempo stesso un’estetica accattivante e grande durevolezza. Un esempio in tal senso è rappresentato dalle calzature da donna di Fabi, realtà di riferimento nel settore calzaturiero Made in Italy che offre creazioni artigianali, realizzate in modo da donare leggerezza e comfort a chi le indossa.
Sneakers e ballerine
Le sneakers, in generale, hanno sempre la peculiarità di una suola abbastanza spessa e con scanalature atte a garantire una buona presa su ogni terreno: oltre alla stessa tomaia, poi, anche la suola inferiore ha spesso colori a contrasto, magari brillanti o fluo, che conferiscono vivacità e dinamicità alla calzatura. Le forme dritte oppure più affusolate faranno la differenza tra una sneaker da passeggio o da corsa, coadiuvando comunque la camminata con la giusta ammortizzazione. Le ballerine sono sempre un evergreen, in ogni colorazione e foggia e si dividono generalmente tra modelli ultra-flessibili e proposte più rigide: entrambi i modelli, in ogni caso, sono caratterizzate da un’eleganza fine e lineare, adatta a ogni occasione, dall'ufficio al tempo libero. Naturalmente, ci sono poi le rivisitazioni dei modelli più classici, dove c’è spazio per inserti brillanti o piccoli fiocchi anteriori e un tacco appena accennato.
Sandali e décolleté
Must della stagione primavera-estate, i sandali consentono di scegliere tra modelli bassi oppure caratterizzati da tacchi a spillo e squadrati, passando per gli eleganti sandali-gioiello per le occasioni speciali. Alcune versioni possono essere caratterizzate dalla mancanza di cinghie di chiusura, ma con mascherine anteriori rifinite e trendy, in classico cuoio o persino in pelle scamosciata. Con decorazioni diverse si presentano anche i sandali, che conferiscono qualche centimetro in più e che, necessariamente, si allacciano tramite fibbie più o meno sottili e regolabili per aderire meglio al piede. La presenza di un plateau per i sandali dal tacco più alto assicurerà al tempo stesso comodità e slancio alla figura, mentre in alcune versioni in corda si ricorre persino alla zeppa. La pelle, lucidata o meno, rappresenta un altro materiale molto utilizzato nei sandali. Con la loro linea essenziale ma elegante, le décolleté sono un altro degli evergreen che non dovrebbero mai mancare nell'armadio di una donna: lucidate o persino rivestite di raso, rappresentano una calzatura fine ma anche facile da portare, che può presentarsi con un tacco più o meno alto e con la punta anteriore accentuata o arrotondata, in base ai gusti e alle tendenze del momento.
Come abbinare le scarpe all'outfit
Le scarpe aperte come i sandali e le décolleté di sicuro sono perfette per un abito elegante o una gonna ma una chiave più moderna gioca anche sui contrasti e non vanno disdegnati un paio di pantaloni dal taglio classico o persino dei contemporanei jeans. Al contrario, sneakers e ballerine possono essere abbinate sotto a una gonna in denim o dal taglio moderno, magari in abbinamento a pratici leggings, a tinta unita o colorati. L'importante sarà creare una visione d'insieme che risulti armoniosa e trendy in ogni caso. Read the full article
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Pioggia
Mi guardo intorno mentre passeggio per questa città. Il traffico frenetico dei taxi gialli, il vento gelido che soffia dal mare, i traghetti che affannosi viaggiano tra le onde per giungere alla libertà. Tutto mi incuriosisce. Il cielo è grigio, minaccia pioggia. Mi appoggio alla ringhiera e guardo il mare sotto di me sbattere sugli scogli. Quest'isola è piena di gente, ma oggi mi sento sola, più del solito. Chiudo gli occhi e inspiro l'odore salmastro che satura l'aria. Quando li riapro una goccia cade sul mio naso. La gente in un attimo si dirada, chi verso la stazione della metro, chi apre un ombrello ed affretta il passo. Non ho un ombrello e non ho voglia di prendere la metro. Il mio cappotto inizia ad inzupparsi sempre di più mentre il flusso liquido che cade dal cielo sgorga maggiormente. Non ci faccio caso. Cammino, sul marciapiede quasi sgombro verso il ponte di Brooklyn. Un fuoristrada con i vetri oscurati accosta poco più avanti di me. La portiera del passeggero si apre, Ben in felpa scende dalla macchina, sulla testa il solito cappellino. "Lib diluvia cosa ci fai in giro senza ombrello?" è a pochi passi da me, mi guarda, non mi prendo nemmeno a briga di scostare i capelli ormai incollati al mio volto. " Hai mai passeggiato sotto la pioggia Ben? È rilassante e puoi liberare i pensieri" "ti ammalerai" alzo le spalle, non mi interessa, mi avvio, abito dall'altra parte del ponte e ho intenzione di andare a casa a piedi " lib ti prego sali" "nessuno mi farà del male Ben, vai a casa" sbuffa, torna alla macchina dice qualcosa a Mark e chiude la portiera. Mi affianca " hai vinto Lib, tu vinci sempre" sorrido mentre si incammina al mio fianco. Quando arriviamo di fronte al mio palazzo rompe il silenzio che ci ha accompagnato per più di un'ora. "Posso salire?" Sorrido alla sua stupida richiesta "quando mai non sei salito?" Sento il suo sorriso alle mie spalle ed infradiciando il montacarichi arriviamo a casa. Infreddoliti, bagnati ma liberi dai pensieri scomodi.
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La Bambola Rosa
“LEI CONTINUAVA A TACERE E A GUARDARLO PERCHE’ LUI ERA STATO, PER TANTO TEMPO, IMMENSAMENTE IRRAGGIUNGIBILE, E ORA ERA LI’, BELLO COME IL SOLE, COI PANTALONI CHIARI E LA MAGLIETTA AZZURRA E QUEL CIUFFO SULLA FRONTE, E PREVA CHE IL TEMPO FOSSE TORNATO INDIETRO E CHE LUI AVESSE SEDICI O DICIOTTO ANNI, E LEI FOSSE UNA BAMBINA PIENA DI TIMIDEZZA.”
La Bambola Rosa. Elisa Trapani.
I libri mi hanno sempre affascinata fin da bambina.
Me ne sono innamorata nel momento in cui, all’età di 10 anni, ho messo piede alla Fiera del Libro accompagnata in una gita scolastica.
Vedere quell’infinita quantità di libri, mi faceva desiderare di leggerli tutti.
Ogni libro era diverso, ogni storia era unica e ogni pagina avrebbe potuto regalarmi emozioni diverse.
La Bambola Rosa è un libro che, in particolare, mi ha sempre affascinata.
Non l’ho acquistato ma l’ho ereditato. Si trovava tra gli scaffali di mia nonna da quando non avevo ancora la passione per la lettura. Non ho mai scoperto a chi fosse appartenuto, prima di essere proprietà di mia madre. Si tratta di un libro senza trama, tascabile, pubblicato nella metà degli anni 70′, ma sopratutto, molto vissuto. Le pagine sono macchiate, colorate o addirittura tagliate in alcuni punti (per fortuna non vitali), tutto questo non fa altro che aumentare la curiosità di un lettore.
Dopo anni e anni di curiosità mi sono decisa a leggerlo. La storia poteva essere di qualunque genere, non avendo una trama scritta, per questo ho lasciato ancora più spazio alla mia immaginazione.
Le pagine scorrevano in fretta grazie alla storia interessante e ricca di colpi di scena.
Tutti i personaggi che hanno fatto parte della storia erano italiani, una novità per me, siccome prediligo libri di autori stranieri, con protagonisti stranieri e ambientazioni straniere.
Sono rimasta piacevolmente colpita dalla storia interessante di Raffaella, una ragazza del sud Italia, che come tante ragazze al giorno d’oggi, si trasferisce dalla zia a Milano per studiare. Nelle sue avventure incontra tanti nuovi amici e impara tanto dalla vita trascorrendo svariate vicende. La parte più interessante avviene nel momento in cui la zia di Raffaella, le propone di fabbricare un vestito per una bellissima bambola da esporre nel negozio di giocattoli per cui lavora. Grazie al meraviglioso abito da sposa color rosa antico, creato da Raffaella, la bambola diventa un pezzo unico desiderato da molti clienti. Proprio grazie alla bambola, la protagonista incontra un eventuale compratore, che scopre presto essere il suo primo amore, quando era solo una bambina. Quel ragazzo, ormai diventato uomo, confonde i suoi progetti di vita dando al libro un tocco romantico che lascia il lettore sorpreso sul finale della storia.
Non esistono più molte copie in commercio ma se desiderate leggere questo libro, lascio il link per l’acquisto.
https://www.ebay.it/itm/KITTY-n-44-TRAPANI-LA-BAMBOLA-ROSA-Mondadori-1975-Libro-da-passeggio/163147204486?hash=item25fc54c786:g:FYsAAOSwAspbSF6D
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Non per cambiare,
ho preso casa nel tuo cuore,
non per spostare ciò che c'è,
abito la tua anima,
non per cancellare,
passeggio nella tua mente,
ma per curare,
da dentro,
per sempre.
Karassiopoulos - Abito la tua anima
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Scraps and remnants of texts, compositions, images, and other material not better identified by mario margani ---------------------------------------------- Links at the end of this page ----------------------------------------------
La notte più lunga
di Mario Margani
Passeggiata notturna.
I lampioni illuminano di giallo le basole. Qualche gatto incrocia fugacemente il mio cammino. Sono le due di notte e qualche minuto. Ultima domenica d’ottobre. Poco fa erano le tre. È la notte più lunga dell’anno, credendo all’orologio. Una leggera nebbia arancio autunno circonda gli alberi e i palazzi, le chiese e le campane.
Sotto questa luce diverse figure, che appaiono dall’incarnato rosa arancio quasi salmone, si avvicinano. Vestite quasi interamente in nero. Una mi racconta delle olive già raccolte, un’altra della cotognata appena fatta. C’è anche chi continua a lavorare di notte, altri mi osservano incuriositi, a volte altezzosi, in altri casi intimoriti. Chi suona il tamburo, orgogliosamente portato in giro come il segno distintivo di una vita. Non li conosco in realtà. Hanno volti diversi dai soliti, freschi di fatica appena faticata, ma vecchi come le pietre che hanno abitato. C’è qualche nobile, ma tanti popolani.
Mi dicono che stanno cercando le loro cose, le loro strade. Sembra che alcuni abbiano perso l’orientamento e i loro punti di ritrovo. Taluni non trovano la casa. Cominciano allora a snocciolare una serie di nomi a me sconosciuti.
Non so, dico tra me e me e poi ad alta voce, sarà che non abito qua in maniera permanente da un po’ e me li sarò persi. C’è chi ha aperto e chiuso di tutto negli ultimi anni e per me questi non sono mai esistiti, così come io resto uno sconosciuto per loro.
Le figure insistono e giurano che non è possibile. Si tratta di luoghi dove tutti vanno a prendere un caffè, a chiacchierare, a farsi vedere, a cantare e suonare. Non si può non conoscerli.
Mi spiace, gli ripeto. Non ne so nulla. Ma gli confesso con una stramba leggerezza che in fondo loro mi ricordano qualcosa, forse un mio nonno o una bisnonna mai conosciuta, o anche la prozia e lo zio prete.
- Ah si certo, Padre M.! - ribatte una piccola signora coperta dalla sua scialle nero che sbatte al vento umido.
- Si esatto, era un mio prozio, questo lo posso confermare - faccio io rinfrancato, sentendomi più a mio agio, come se questi estranei avessero riconosciuto me invece che il prozio.
- Certo ci siamo visti di recente, sorride mostrandomi una dentatura lucente ma sgarrupata - mio figlio aveva studiato latino con Padre M.
- Ma non può essere - la fermo subito - è morto quasi trenta anni fa.
- Si lo sappiamo - si affretta a rispondermi con tono annoiato - sono morta anch’io poco dopo. Sono certa che le mie parole le suoneranno strane. Ma dovrebbe sapere che i morti non sono morti, se erano vivi quando vivevano.
Cerco di decifrare le sue parole, ma resto per un attimo stordito e mentre penso a cosa poter dire dalle mie labbra escono delle sillabe che le danno ragione. I piedi cominciano a camminare senza che lo abbia scelto, come se avessero deciso autonomamente di tirarmi fuori da quella situazione surreale e incomprensibile.
Quando torno a prendere il controllo del mio corpo, comincio a chiedermi che ci facesse una signora anziana a passeggio alle due di notte a Enna, alle due e venti per l’esattezza. Che poi fino a poco prima sarebbero state le tre e venti. E avrei anche dovuto riconoscerla se conosceva il mio prozio. Però ero piccolo quando morì. Che non me la ricordi è anche normale.
Ah, ma che pensieri mi saltano in mente, certo che non è morta! Per un attimo mi ero accomodato sulle sue parole come se fossero vere. Voleva semplicemente prendermi in giro. I morti non sono morti, se erano vivi quando vivevano. Non capisco che volesse dire, forse voleva solo confondermi. Poi qua abbiamo il cimitero in centro città. La morte nel cuore dell’area urbana. Inglobato con il tempo, oggi il cimitero è tra noi, quasi tra le case. Forse la signora si riferiva al cimitero così vicino da confondersi con le case abitate, per un occhio non avvezzo a quella vista.
Sono arrivato da quelle parti passeggiando e a quest’ora della notte non c’è una gran differenza effettivamente, dimensioni a parte, tra un palazzo di Corso Sicilia e il cimitero. Buio, nessuno si affaccia. Vedo più luci tra le cappelle del cimitero che tra le abitazioni. Forse sto esagerando, penso. C’è chi dorme per una notte, e chi dorme per sempre.
Una bambina sui cinque anni, vestita da ballerina, si avvicina a me danzando, sembra una danza classica, non che ne capisca. Le chiedo cosa ci faccia in giro a quest’ora. Lei non mi risponde e continua a fare le sue piroette eleganti e a saltellare. Strani incontri oggi, alle due e mezza di notte, che poi erano le tre e mezza. Di solito da queste parti non c’è proprio nessuno. Continuo a camminare con un insolito languore che mi porta verso il panificio di Via Roma dopo San Tommaso. L’ho trovato spesso aperto di notte, rifugio per affamati notturni e per chi non vuole passare amare notti e cerca conforto nel cibo.
Certo, mi dice un signore baffuto di mezz’età, anche lui impeccabilmente vestito con il suo cappello a tesa larga dello stesso colore della cravatta. La sua postura rassomiglia più a quella per una fotografia ufficiale, una foto da ricordare, di quelle che si facevano solo quando ne valeva la pena, sapendo che probabilmente qualcuno l’avrebbe usata come ritratto sulla tua lapide. Mi imbatto in quest’uomo poco prima di arrivare al forno.
- Certo - quasi mi sbeffeggia - se le potessi fare assaggiare i fichi d’India che raccoglievo io di questi tempi non avrebbe bisogno di andare a prendersi un cornetto vecchio e rinsecchito.
- Ma io - rispondo - tutto sommato anche con un vecchio cornetto sono contento, e poi non c’è altro a quest’ora qua.
- Mah, faccia lei! - mi dice, e si allontana.
Siamo ormai verso le tre, che poi sarebbero le quattro. Torno verso casa.
Ho passato l’ora che non esiste nella notte più lunga dell’anno in giro e ho incontrato molte facce a me nuove. Sembravano facce antiche però, dicevano di conoscere me o i miei familiari. Io non solo non li ho riconosciuti, li ho anche tenuti distanti, un po’ preoccupato e straniato da così tanto calore umano a un’ora così tarda.
Ripassando dagli stessi luoghi vedo che la donna con la veste, la bambina, l’uomo baffuto con cui mi ero intrattenuto restano li a fissarmi ma non si avvicinano più. Come incollati alle pareti. Sembrano quasi foto d’epoca, in bianco e nero. Forse la luce giallo-arancio mi aveva beffato prima, erano in bianco e nero anche quando parlavano con me. Alcune figure sembrano quasi ammiccare, altri sono più seriosi e compiti. Sembrano delle fotografie senza sfondo. Sulle pareti attuali risaltano nella loro umanità e dignità, orgoglio e umiltà allo stesso tempo.
Rientro a casa mentre quelle parole continuano a risuonarmi nelle orecchie: i morti non sono morti, se erano vivi quando vivevano. Me lo ripeto e mi assopisco.
La notte successiva riprendo il mio giro notturno, ma questa volta le figure restano alle pareti con le stesse espressioni tra il simpatico e il serioso. Probabilmente devono avere abitato da queste parti e adesso stanno li, fisse alle pareti, come degli spiriti che restano nelle vicinanze delle mura che hanno abitato. Deve essere un rito strano di alcune famiglie, un modo per comunicare con gli antenati. Ripenso alla serata precedente, quasi non credendo ai miei ricordi. Non si può parlare e passeggiare con dei poster, devo aver sognato o forse ero ubriaco.
Chiedo per strada a un gruppo di amici, e anche loro mi raccontano di aver avuto incontri simili ai miei la notte prima. Soltanto quella notte. Altrimenti, mi confermano, quelle figure sono lì da un po’, a volte scompaiono e poi ricompaiono. Se ne vede una stracciata ogni tanto. Mi domando se a volte avvenga una specie di lotta tra le figure e chi non le vuole più vedere. Come una lotta tra i morti che ritornano e i vivi che non vogliono morire e che ancor meno desiderano il ritorno dei loro vecchi zii, delle nonne. E poi deve essere spaventoso ritrovarsi a parlare con un signore in bianco e nero, senza testa o senza un braccio magari perso in qualche lotta impari, che si avvicina e comincia a raccontare del lavoro della campagna, delle zappe e dei suoi cani, del suo albero di sorbo, dei pomodori e delle fave. Senza un braccio.
Mi do dell’idiota mentre continuo a fantasticare, ma queste visioni mi fanno tornare in mente la frase della signora con lo scialle nero: i morti non sono morti, se erano vivi quando vivevano. Forse comincio a capire.
La sera torno a fare un giro in piazza. Tante case sono vuote. Sono tutti al cimitero? Incontro per caso un amico e un conoscente. Io vado via domani, mi dice uno, io voglio andare via ma non so dove, dice l’altro.
- Bisogna scappare da qui - ripetono all’unisono. Qua ci sono solo i morti. Non si può fare una vita se sei attorniato da morti.
Inizialmente pensavo si riferissero alle figure alle pareti.
- No - controbattono - ci riferiamo ai morti viventi, quelli che ogni giorno stanno attorno a noi, si cibano di ogni ben di Dio e una volta espletato il loro unico atto degno di nota della giornata, e la digestione che ne consegue, si accoccolano tra le coperte.
-Io non ne avevo mai sentito parlare - gli rispondo.
- No certo, tu sei troppo spesso via, sei mezzo tedesco. Devi sapere che si dice abbiano visto addirittura uno di questi morti viventi lottare con una figura di carta in bianco e nero, di quelle che sono spuntate un po’ ovunque da qualche anno in paese. Il morto vivente diceva alla figura in bianco e nero di andare via, di lasciarlo finalmente in pace e alla fine lo strattonava fino a strappargli via tutt’un braccio. Poi armeggiava velocemente con il proprio smart phone e poco dopo la figura tornava alla parete, immobile come prima, e tutto finì li. Si dice poi che i morti viventi non riescano mai a dormire realmente. Popolano pizzerie e ristoranti, bar e chiese, ma sono come immortali e per questo motivo tristi, non hanno una prospettiva, né aspettative né futuro, e neanche passato.
- Ma quanti sono? come si fa a distinguerli? Possiamo aiutarli in qualche modo? - chiedo a loro e anche a me stesso.
E i due ragazzi mi dicono che no, si è provato in tanti modi e loro adesso no, hanno mollato e preferiscono cambiare aria, alla ricerca di esseri mortali e quindi più motivati a vivere quel che c’è da vivere.
Mi dicono poi che io ho fatto bene a stare altrove, dove la vita è vita, la morte è morte, e non ci sono le mezze misure ne le serate noiose.
- Chi resta a vivere qui sono solo pochi resistenti - continua uno dei due - e per il resto sono solo morti viventi. Sono tantissimi. Prima si pensava fosse una forma d’invecchiamento, l’avvicinarsi della morte che cominciava a influenzare la vita con la sua immobilità fisica e psichica. Ma no, oramai si è capito che non c’entra un bel niente. Ci sono tanti di questi morti viventi che sono nati così! Non si sa come fare, gli stessi genitori sono disperati. E poi sembra un problema regionale o anche nazionale.
- Ma forse è un problema planetario - rispondo io, ridacchiando.
- Sarà - dicono loro tristi - ma almeno per un po’ ce ne dimentichiamo e facciamo la nostra vita ripartendo da zero, altrove.
- E cosa ne pensano i vostri genitori e amici?
- Ci appoggiano tutti, più o meno. Sai, anche in famiglia ci sono dei morti viventi, però per loro fa uguale. Non c’eravamo prima per loro, e non ci siamo ora. Si potesse far risorgere i morti, buttare giù i brutti palazzi, ricostruire i vecchi, trasformare le strade in mulattiere ed eliminare i ponti, vivere nei pagliai in campagna mentre si lavora per dei proprietari terrieri sfruttatori, o passare venti ore in qualche miniera, resterei con maggior piacere. Adesso non vediamo prospettive, né buone né cattive. Forse stiamo diventando morti viventi anche noi e allora, prima che sia impossibile tornare indietro, togliamo il disturbo.
Dopo questo incontro depressivo, comincio a pensare che qualcosa di strano stia avvenendo da queste parti.
Tra morti viventi, morti per davvero che riappaiono sulle mura per strada, chi scappa in cerca di vita e chi resta aggrappato alla propria vita, c’è un gran bel traffico e confusione: passato, presente e futuro si accavallano. E dire che pensavo qua non succedesse più niente.
Una settimana dopo esco di casa, ma mi dicono di tornare presto, perché oltre un certo orario non si può stare in giro. Ci sarebbe tra l’altro, dicono, il pericolo di incontrare i morti viventi che vagano in giro di notte e, un poco come degli zombie, cercano da mangiare a notte tarda da qualche paninaro, panificio o tavola calda. E non trovando niente di aperto potrebbero crearsi situazioni pericolose ed equivoche.
Allora torno a casa in orario, ma dalla finestra vedo una scena orrenda: un presunto morto vivente comincia a parlare con il muro. Dal muro prende forma una di quelle figure piatte bianche e nere che avevo visto qualche notte prima. Cominciano a discutere con animosità. E allora il morto vivente tira fuori il suo smart phone e fotografa con il flash la figura in bianco e nero che gesticolava esageratamente. Un attimo dopo la figura torna sulla sua parete, bidimensionale e immobile, come incollata.
Ormai convinto di voler andare in fondo alla faccenda, scendo anche io per strada, non curante delle parole degli amici, del divieto di andare in giro. Vado a chiedere al presunto signor morto vivente cosa sia successo e cosa avesse fatto con il flash.
- Niente, niente - si affretta a rassicurarmi- ho appena visto questa bella stampa alla parete che ricorda mio zio e allora l’ho fotografata.
- Ma scusi - dico io - ho visto che lei discuteva vivacemente con la figura. La figura camminava.
E per risposta lui, sentendosi scoperto in flagrante, tira fuori il suo smart phone per l’ennesima volta e mi scatta una foto con il flash.
Mi sembra quasi di svenire, ma poi mi accorgo di essere finito anche io attaccato al muro. Non sento più il mio corpo, né tutte le sensazioni che da esso derivano.
Come se avessi perso il senso della gravità e della fatica resto li appiattito alla parete.
L’uomo va via.
Ah, penso, questa deve essere la sensazione che provano tutte queste figure in bianco e nero. Sembra quasi di essere in un sogno in cui non puoi muoverti ne parlare. Puoi solo osservare cosa succede intorno a te. Ecco perché poi non appena si riacquista la forma e il movimento, sembrano tutte così euforiche quelle figure, come se si sentissero liberate da un bavaglio o da una camicia di forza.
Passo una notte così. Una pattuglia della polizia passa in auto e non si accorge di me, mi scambia per un poster come gli altri e non so se reputarmi fortunato o l’ultima ruota del carro.
Per fortuna dopo alcune ore l’effetto termina, crollo per terra appena la gravità torna ad avere il suo effetto su di me. Inizialmente riesco a stento a gattonare, con un corpo stordito e assopito. Dopo qualche minuto riesco a tirarmi su e sbattendomi via la polvere dalla giacca, procedo a grandi e veloci falcate verso casa, sperando di evitare occhi indiscreti.
Sempre più risoluto nella ricerca della verità su questa storia, la sera successiva racconto tutto a un gruppetto di amici facendo l’aperitivo online, visto che non si può stare più fuori a fare certe cose a un certo orario. Anche loro raccontano che, appena si può, non vedono l’ora di andare via. Ascoltano la mia storia e mi rubano le parole di bocca. L’hanno già sentita così spesso, che mi anticipano e confermano che si, sembrerebbe che i morti viventi usino i loro smart phone per difendersi dalla realtà, dalle domande, dai pericoli. È una nuova app. Fotografano tutto e così svanisce ogni pericolo, dubbio, domanda, paura.
- Quindi non parlano più con nessuno? - chiedo a conferma di aver capito bene.
- Si esatto, non parlano con nessuno che non la pensi come loro. Parlano solo con le persone che confermano ciò che dicono, poi parlano con gli schermi, come stiamo facendo noi in questo momento. Lì si divertono molto. La loro più grande paura è invece causata dalla possibilità che le immagini del passato tornino a raccontare, a testimoniare la loro verità su tutto ciò che è stato, su tutti gli errori e le scelte dissennate, sul poco rispetto e la necessità di cambiare tutto perché nulla cambi. Il senso di colpa e impotenza schiaccerebbero i morti viventi. Per questo motivo qualcuno in California ha sviluppato questa nuova app, un sistema di difesa chiamato FROST24. Per un massimo ventiquattro ore ciò che viene fotografato attraverso l’applicazione si blocca, come congelato, e si appiattisce sulla parete più vicina, come una stampa o una proiezione. Così i morti viventi possono allontanarsi indisturbati e senza impelagarsi in problematiche discussioni.
- Allora - intervengo interrompendo la descrizione - tutte le figure in bianco e nero alle pareti sono li per questo motivo? Ma anche i nostri smart phone possono funzionare con quella app?
- No - risponde l’amico dalla sua cucina - bisogna avere sempre l’ultimo modello e portarlo in un’officina specializzata dove possono installare una modifica. Lì però non puoi andare se prima non ti sei iscritto a un albo comunale. Un notaio deve certificare la tua appartenenza ai morti viventi e con quel documento puoi registrarti all’albo. Francamente non sappiamo come si faccia. Non basta far finta di essere dei morti viventi nell’atteggiamento quando ti presenti dal notaio. Bisogna anche avere un determinato reddito, proprietà varie, e soprattutto l’ultimissimo modello di smart phone. E quindi né io, né tu possiamo farlo.
Svelato parzialmente l’arcano, mentre passeggio per andare a fare la spesa comincio a osservare le figure in bianco e nero con un occhio diverso. Vedo sempre più spesso colluttazioni notturne tra queste figure e i morti viventi che finiscono con un braccio stracciato e la figura compressa sulla parete. Era una storia risaputa in paese da un paio d’anni, ma io l’avevo saputa da poco. La frase della signora risuonava adesso chiara e cristallina: i morti non sono morti, se erano vivi quando vivevano. Diversamente dai morti viventi, gli altri sono effettivamente morti, ma la loro assenza li mantiene così vivi nel ricordo, da avere ancora un grande effetto pure sui vivi, e quindi, sembrerebbe che non siano mai morti, mai scomparsi. I morti viventi al contrario, gonfi d’invidia per i loro antenati che riuscivano a morire dopo aver vissuto pienamente, restano bloccati per sempre nel loro stato. Non possono morire ne dormire profondamente, tantomeno sognare.
There's no time for us
There's no place for us
What is this thing that builds our dreams, yet slips away from us.
Who wants to live forever
Who want to live forever
There's no chance for us
It's all decided for us
This world has only one sweet moment set aside for us
Who wants to live forever
Who wants to live forever
Forever is our today
Who waits forever anyway?
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La mia solitudine ha un nome.
Si chiama Libertà.
Dove abito ora, in un piccolo posto davanti al mare, mi hanno soprannominato “il solo”. Passeggio per il paese da solo, vado sulla spiaggia da solo. Qualche volta ceno al ristorante da solo. Logico che mi chiamano “il solo”.
Ma la mia solitudine ha un valore, è una scelta dovuta dalla stanchezza.
Il programma era diverso, ma sono arrivato tardi. Meglio così, chi non ti aspetta non ti merita. Da deluso ho fatto una scelta, appropriarmi della mia vita.
Fanculo tutto e tutti, escluse le persone a cui voglio bene.
Per loro ci sarò sempre.
(cit.)
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#5
Fashion Plate from Le Moniteur de la Mode, 1885
Two women in a field; a lake beyond. One, right, with a palette and brushes at an easel.
Drawings, Prints, and Graphic Design Department Cooper Hewitt, Smithsonian Design Museum
13 notes • Posted 2021-02-18 18:56:35 GMT
#4
Fashion Plate from Journal des Demoiselles, ca. 1860
Drawings, Prints, and Graphic Design Department Cooper Hewitt, Smithsonian Design Museum
15 notes • Posted 2021-03-03 15:16:31 GMT
#3
Le maschere della commedia dell’arte
LA BAUTA
(Da un quadro di Uwe Thurnau) Questo costume, costituito da una mantellina nera con cappuccio su cui si portava il tricorno mentre il volto veniva coperto da una caratteristica mascherina bianca o rena, divenne comunissimo nel sec. XVIII, fino a divinire un abito da passeggio in tutti i periodi dell’anno.
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The masks of the commedia dell’arte
LA BAUTA
(From a painting by Uwe Thurnau) This costume, consisting of a black cape with hood on which the tricorn was worn while the face was covered by a characteristic white or sand mask, became very common in the 18th Century, to the point of defining a walking dress in all periods of the year.
21 notes • Posted 2021-05-03 04:00:36 GMT
#2
Le maschere della commedia dell’arte
IL MEDICO DELLA PESTE Le epidemie di peste, nelle tragiche e più o meno frequenti ricorrenze, mietevano vittime a migliaia. Questo curioso abbigliamento, prima ancora che maschera, era considerato dai medici un’indispensabile precauzione. Durante il dissacrante e cinico carnevale veneziano finiva per avere la funzione di esorcizzare, con il riso, dolore e morte.
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The masks of the commedia dell’arte
THE PLAGUE DOCTOR
The plague epidemic, in the tragic and more or less frequent recurrences, claimed victims by the thousands. This curious clothing, even before it was a mask, was considered by doctors to be an indispensable precaution. During the irreverent and cynical Venetian carnival, it ended up having the function of exorcising pain and death with laughter.
53 notes • Posted 2021-05-02 12:00:19 GMT
#1
Fashion Plate from Le Monde Elégant, 1871
Three women indoors. Left, in brown skirt and blue and black jacket. Center, in black with white lace. Right, in violet with crimson piping.
Drawings, Prints, and Graphic Design Department Cooper Hewitt, Smithsonian Design Museum
101 notes • Posted 2021-02-20 22:04:29 GMT
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#my 2021 tumblr year in review#I wasn't going to post this#but decided to do it#I don't make my own posts much....
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Siam pronti alla morte L’Italia chiamò! Bella sta cosa dell’inno nazionale sui balconi, della musica ogni giorno alle 18, ma cosa significa davvero per voi essere pronti alla morte? E cosa quell’Italia chiamò? Perché io pronto alla morte ci sono da 15 anni quasi, ma sopravvivere tac, dopo tac al cancro per farmi fottere dal coronavirus proprio non ne ho voglia. A maggior ragione quando a diffonderlo è la stupidità delle persone. Io abito in un paese della provincia di Milano, Lombardia, zona rossa da un bel pezzo. La mia casa è in campagna, non isolata, ma una zona tranquilla e residenziale alla Wisteria Lane. Prima uscivo a portare le mie cagnoline e non incontravo più di un paio di persone a qualsiasi ora del giorno, ma da che è cominciata la quarantena le campagne dietro casa mia sono diventate un’autostrada. Persone con o senza cane, gente che corre, gruppi a passeggio, genitori che portano i figli a fare giri in bici. Oggi, ero nel mio studio a bere un tè e in quella sola mezz’ora fuori dalla finestra ho visto passare 10 persone. Ma lo capite che dovete stare a casa? È questo ciò che vi chiede l’Italia che voi cantate a squarciagola in questo momento. Restare a casa. È così difficile? Io e altre persone malate lo facciamo da una vita. Non credevo che fosse questo a fare di me il supereroe che dite che sono. Io continuerò a restare in piedi, come il mio amato tenace soldatino di stagno. Resisterò ancora al cancro, alla pandemia, alla paura, ma voi smettetela di prendere sottogamba le indicazioni dello Stato. Perché pur rimanendo in casa in questi giorni non mi sento al sicuro: là fuori siete ancora troppi, siete sempre di più. Rimarrò in piedi, lo faccio sempre, ma ho paura. Allora, vi prego fate ciò che l’Italia vi ha chiamato a fare oppure smettetela di cantare perché non avete amor di patria e inizio a credere che non meritiate nemmeno la salute che credete così scontata e che molti di noi si devono conquistare col sangue. #coronavirus #italia #salute #cancro #paura #iorestoacasa #stateacasa #fiabe #piccolefiabepergrandiguerrieri #libri #fairitales #insiemesipuò (presso Milan, Italy) https://www.instagram.com/p/B9zhgDOgVfY/?igshid=giwebwpoa0hf
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Abiti e Accessori primi sec. 900 • 𝓒𝓸𝓵𝓵𝓮𝔃𝓲𝓸𝓷𝓮 • abito composè da passeggio autentico primi secolo 900, gonna in taffettas di seta colore "grigio fumo" con passamaneria a greca ornamentale e camicetta in tulle ricamo macramè ~ Per mostre su manichino / allestimenti e percorsi sulla moda del 900 ~ 📧 Info: [email protected] 🌐 lacameliacollezioni.wordpress.com #lacameliacollezioni #lacameliavigevano #lacameliacollezionivigevano #moda900 #antiquedress #abitisecolo900 #moda #macramè #taffettas #abitodapasseggio #museo #vestitistorici #modadelpassato #ombrellinoparasole #collezioni #museo #kartika980 #alessandrarestelli #studio5bologna (presso Turin, Italy) https://www.instagram.com/p/B9Wr9LXKy0d/?igshid=1kmu68y9sktap
#lacameliacollezioni#lacameliavigevano#lacameliacollezionivigevano#moda900#antiquedress#abitisecolo900#moda#macramè#taffettas#abitodapasseggio#museo#vestitistorici#modadelpassato#ombrellinoparasole#collezioni#kartika980#alessandrarestelli#studio5bologna
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Moda donna: ecco i modelli di calzature con cui valorizzare ogni look
Una calzatura da donna non rappresenta solo un elemento che completa l'abbigliamento, quanto piuttosto un simbolo indiscusso di stile e fascino, in grado di esaltare al meglio la femminilità in ogni occasione d'uso. Dalle sneakers ai sandali e dalle décolleté alle ballerine, le possibilità da sfoggiare oggigiorno per essere sempre glamour ed eleganti sono davvero numerose. A prescindere dalle preferenze personali, in ogni caso, grande attenzione in fase di scelta andrebbe riposta anche sulla qualità di ogni singola scarpa, orientandosi su proposte in grado di assicurare al tempo stesso un’estetica accattivante e grande durevolezza. Un esempio in tal senso è rappresentato dalle calzature da donna di Fabi, realtà di riferimento nel settore calzaturiero Made in Italy che offre creazioni artigianali, realizzate in modo da donare leggerezza e comfort a chi le indossa.
Sneakers e ballerine
Le sneakers, in generale, hanno sempre la peculiarità di una suola abbastanza spessa e con scanalature atte a garantire una buona presa su ogni terreno: oltre alla stessa tomaia, poi, anche la suola inferiore ha spesso colori a contrasto, magari brillanti o fluo, che conferiscono vivacità e dinamicità alla calzatura. Le forme dritte oppure più affusolate faranno la differenza tra una sneaker da passeggio o da corsa, coadiuvando comunque la camminata con la giusta ammortizzazione. Le ballerine sono sempre un evergreen, in ogni colorazione e foggia e si dividono generalmente tra modelli ultra-flessibili e proposte più rigide: entrambi i modelli, in ogni caso, sono caratterizzate da un’eleganza fine e lineare, adatta a ogni occasione, dall'ufficio al tempo libero. Naturalmente, ci sono poi le rivisitazioni dei modelli più classici, dove c’è spazio per inserti brillanti o piccoli fiocchi anteriori e un tacco appena accennato.
Sandali e décolleté
Must della stagione primavera-estate, i sandali consentono di scegliere tra modelli bassi oppure caratterizzati da tacchi a spillo e squadrati, passando per gli eleganti sandali-gioiello per le occasioni speciali. Alcune versioni possono essere caratterizzate dalla mancanza di cinghie di chiusura, ma con mascherine anteriori rifinite e trendy, in classico cuoio o persino in pelle scamosciata. Con decorazioni diverse si presentano anche i sandali, che conferiscono qualche centimetro in più e che, necessariamente, si allacciano tramite fibbie più o meno sottili e regolabili per aderire meglio al piede. La presenza di un plateau per i sandali dal tacco più alto assicurerà al tempo stesso comodità e slancio alla figura, mentre in alcune versioni in corda si ricorre persino alla zeppa. La pelle, lucidata o meno, rappresenta un altro materiale molto utilizzato nei sandali. Con la loro linea essenziale ma elegante, le décolleté sono un altro degli evergreen che non dovrebbero mai mancare nell'armadio di una donna: lucidate o persino rivestite di raso, rappresentano una calzatura fine ma anche facile da portare, che può presentarsi con un tacco più o meno alto e con la punta anteriore accentuata o arrotondata, in base ai gusti e alle tendenze del momento.
Come abbinare le scarpe all'outfit
Le scarpe aperte come i sandali e le décolleté di sicuro sono perfette per un abito elegante o una gonna ma una chiave più moderna gioca anche sui contrasti e non vanno disdegnati un paio di pantaloni dal taglio classico o persino dei contemporanei jeans. Al contrario, sneakers e ballerine possono essere abbinate sotto a una gonna in denim o dal taglio moderno, magari in abbinamento a pratici leggings, a tinta unita o colorati. L'importante sarà creare una visione d'insieme che risulti armoniosa e trendy in ogni caso. Read the full article
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Abito da passeggio alla parigina #boldinielamoda #palazzodiamantiferrara https://www.instagram.com/p/Bw9p43QH3jM/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=726h54f1m8q0
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