#Zendegi va digar hich
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randomrichards · 2 years ago
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AND LIFE GOES ON:
Director and son
Drives to village he filmed in
Destroyed by earthquake
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whileiamdying · 2 years ago
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Immaginare la Vita
— Dario CECCHI
Immaginare la vita: questo potrebbe essere preso come il programma implicito di tutta la filmografia di Kiarostami. Ci sono i cortometraggi patrocinati dal Kanun, che mettono al centro luoghi (la campagna in trasformazione, la periferia povera di una capitale in rapida espansione) e persone (i bambini, i vecchi, le donne): questi soggetti chiedono che le loro vite non siano solo documentate, ma anche in una certa misura narrate a causa della loro marginalità. Ci sono poi i film, come nel caso della trilogia di Koker o di Ta'm e guilass (1997; Il sapore della ciliegia), in cui a essere raccontato non è nemmeno una storia in quanto tale, quanto l'incontro tra il cinema e una vicenda umana: qui il film non testimonia tanto una vita, quanto l'incontro tra il cinema e la vita. Si vede bene, allora, che l'apporto immaginativo si fa più forte, perché ciò che è chiamato vita non si fa più comprendere solo come quella vita. La vita, così come emerge dai film di Kiarostami, è riferita allo stesso tempo alla singola vicenda individuale e a tutto quello che si affaccia oltre ciò che della vita le immagini lasciano vedere e che tuttavia il film lascia immaginare. È solo il cinema - grazie a un montaggio usato spesso per far letteralmente sentire la presenza del fuori campo nell'immagine, come nel finale di Nema-ye Nazdik (1990; Close-Up), di Zendegi va digar hich (1992; E la vita continua), o del Sapore della ciliegia - a poter mettere in comunicazione una vita con tutto ciò che nel mondo le darà occasione di proseguire, in breve con la vita.
Immaginare la vita non significa, di conseguenza, fantasticare un'altra vita. Immaginazione e vita designano due cose affatto differenti da fantasia e realtà. La fantasia è il potere di "fingersi" una realtà diversa da quella che è offerta dai puri dati di fatto. All'immaginazione non manca la capacità di attivare una modalità di pensare le cose altrimenti da come sono, o meglio da come appaiono immediatamente. Non si tratta però di essere trasportati in un "altro mondo": questo pensare altrimenti non si applica a mondi possibili, ma alle forme di questo mondo. Dico le forme perché, se il cinema di Kiarostami esercita un potere sulle cose, è proprio quello di far emergere le loro forme. E per forma si può intendere niente altro che questo: i punti di apertura nelle cose, in cui queste lasciano intravedere dove si dirigono, dove porteranno la vita. Così nel finale di Zire darakhatan zeyton (1994; Sotto gli ulivi) possiamo chiederci dove l'amore, una delle forme più potenti che la vita può assumere, condurrà le esistenze di Hossein e Tahereh e fino a che punto lo sguardo del cinema potrà accompagnare i due (possibili) amanti. Le forme stanno perciò tra i dati di fatto attuali e visibili e quelli futuri e possibili. È dandole forma attraverso le immagini che il cinema può testimoniare la vita. Dall'ottica di Kiarostami, in fondo, la vita non si trova - o non si trova eminentemente - che nell'intervallo tra le immagini; e con essa in questo "*tra" si trovano anchel cinema e l'immaginazione.
In questo senso si possono intendere le parole pronunciate da Kiarostami durante un'intervista: «quando la poesia raggiunge il massimo, e quindi ottiene un potere, in quel momento inizia la sua menzogna»[1]. Il regista riporta qui un pensiero del poeta e filosofo persiano Nezami, che considera, in linea con la tradizione del suo Paese, un maestro di saggezza. Questo concetto va però ricondotto a un preciso contesto culturale - Nezami appartiene al periodo "classico" della letteratura persiana, essendo vissuto tra il xu e il xI secolo - e a un genere artistico ben definito, la poesia; altrimenti si sarebbe indotti a opporre la realtà (vera) all'opera (bella, ma menzognera) dell'arte e si sarebbe così portati a interpretare quello di Kiarostami come un cinema "di fantasia". Nel confronto con la poesia il cinema sconta un "di meno", ma mostra anche un "di più". Il cinema è meno della poesia, perché solo attraverso le immagini della poesia, che sono fatte di parole, è possibile confrontare il lavoro dell'immaginazione con il linguaggio attraverso cui normalmente esprimiamo i nostri pensieri e ci riferiamo a stati di cose. È a proposito della poesia che si può stabilire in senso stretto una distinzione tra verità e menzogna. Il cinema è però in vantaggio sulla poesia, perché le sue immagini visive, il cui senso dipende dal montaggio e non dal linguaggio, permettono di riferirsi alle cose sospendendo momentaneamente la questione della verità o della menzogna della realtà narrata. Il cinema induce anzi lo spettatore a esplorare fino a che punto la realtà è tale nella misura in cui sono gli uomini a immaginarla, cioè a darle forma.
Non è un caso se, nel film in cui omaggia il "maestro" Nezami, Shirin (2008; Id.), le parole del poeta, messe in scena in forma teatrale, diventano un fuori campo - lo spettatore ascolta, ma non vede l'azione sulla scena che attraverso le battute recitate dagli interpreti -, mentre la macchina da presa si concentra sulle spettatrici presenti a teatro, sui loro volti attoniti, attenti, rapiti, commossi dalla storia. Il film non indaga la "menzogna" poetica del racconto mitico della principessa che l'amore porterà all'amarezza e al dolore, ma si interessa alla realtà viva e mobile delle emozioni delle donne che seguono la vicenda. Si può allora ben dire - e capire in che senso - il cinema di Kiarostami è un cinema in cui l'immaginazione è forza della vita. Non è casuale se il cinema del regista iraniano abbia fatto spesso riferimento - nei suoi esiti migliori - proprio al suo Paese: se il suo compito è indagare la vita attraverso l'immaginazione, è naturale che abbia cominciato "guardandosi intorno", cercando proprio nelle immagini più usuali, più immediate e reali il "sostrato immaginativo" presente nella vita.
Vorrei in primo luogo esprimere la mia gratitudine al mio maestro, Pietro Montani, per avermi insegnato quanto si può apprendere dal cinema. Ringrazio gli amici Luca Venzi, per la possibilità offertami, Alessia Cervini e Alessio Scarlato, per i consigli e il sostegno. Vorrei inoltre ricordare la mia famiglia per avermi trasmesso una certa "sensibilità persiana". Un grazie sentito va a Chiara Supplizi: nomen omen ma in senso contrario e uno (di lungo corso) va anche a Catia della Libreria Fahrenheit e al suo harem. Vorrei ringraziare infine, last but not least, Edda Marazia, che ha a cuore la mia creatività.
[1] J-L. Nancy, L'évidence du film. Abbas Kiarostami, Yves Gevaert, Bruxelles, 2001; tr. it. a cura di Alfonso Cariolato, Abbas Kiarostami. L'evidenza del film, Donzelli, Roma 2004, p. 120.
Works Cited:
Cecci, D. (2013). Abbas Kiarostami: Immaginare la vità. Roma, Lazio, Italia: Edizione Fondazione Ente dello Spettacolo.
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masumcetin · 5 years ago
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kelimeler, mazlumların yaralarını serinleten merhemlere benzer..
Ercan Kesal, Velhasıl s.38 Fotoğraf: Abbas Kiarostami’nin 1992 yapımı, “Zendegi va digar hich” (Ve Yaşam Sürüyor) filminden. 
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artfilmfan · 6 years ago
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Life, and Nothing More... (Abbas Kiarostami, 1992)
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gregor-samsung · 7 years ago
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Life, and Nothing More... (Persian: زندگی و دیگر هیچ‎‎ Zendegi va digar hich)
[Abbas Kiarostami - 1992]
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gachetinthegarden · 5 years ago
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Zendegi va digar hich (1992)
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gael-garcia · 8 years ago
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زندگی و دیگر هیچ And Life Goes On / Life, and Nothing More (1992)
directed by Abbas Kiarostami
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ztopya · 5 years ago
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cirusk · 5 years ago
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Ne zaman bu üçlü ağaç sahnelerini görsem, Kiarostami'nin "İşin kaçta kaçını estetik, kaçta kaçını konsept oluşturur emin değilim. Ama elbette ki yalnız bir ağaç, birkaç tane ağaçtan daha ağaçtır. " cümleleri aklıma geliyor...
🎬 Jungfrukällan, Ingmar Bergman, 1960.
🎬 Offret, Andrei Tarkovsky, 1986.
🎬 Zendegi va digar hich, Abbas Kiarostami, 1992.
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sata11 · 4 years ago
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Favorite movies I’ve seen this year (june 1 - december 31)
1.Moartea domnului Lãzãrescu (2005) - Dir. Cristi Puiu 2.Politist, adjectiv (2009) - Dir. Corneliu Porumboiu 3.Zendegi va digar hich (1992) - Dir. Abbas Kiarostami 4.Marseille (2004) - Dir. Angela Schanelec 5.Roman Holiday (1953) - Dir. William Wyler 6.Vive L'Amour (1994) - Dir. Tasi Ming-Liang 7.Die Antigone des Sophokles nach der Hölderlinschen Übertragung für die Bühne bearbeitet von Brecht 1948 (Suhrkamp Verlag) (1992) - Dir. Jean-Marie Straub, Danielle Huillet 8.Maborosi (1995) - Dir. Hirokazu Koreeda 9.Dobro pozhalovat, ili Postoronnim vkhod vospreshchen (1964) Dir. Elem Klimov 10.Las vacances de Monsieur Hulot (1953) - Dir. Jacques Tati
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ferretfyre · 5 years ago
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thevividgreenmoss · 6 years ago
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Zendegi va digar hich / Life, And Nothing More ... (1992), dir. Abbas Kiarostami
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agneskollarfilm · 7 years ago
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And Life Goes On... (1992)
...eller heter den Life, and Nothing More...? Det verkar variera. I vilket fall så heter filmen Zendegi va Digar Hich på originalspråket. 
Hösten är här och en hel sommar har gått. Min filmtittande har varit delvis igång, men mitt uppdaterande här på bloggen har legat i vila. Men jag har trots allt några få filmer kvar som jag gärna vill skriva om innan jag ger mig. Förhoppningsvis kommer jag att ha tid att ta mig igenom dem denna höst. Nåväl, åter till filmen i fråga:
handling: En filmregissör och hans son åker till ett jordbävningsdrabbat område för att hitta skådespelare som var med i filmen "Var är min väns hus?".
Detta är den andra filmen i Abbas Kiarostamis filmsvit, den så kallade koker-trilogin i metastil om livet på den iranska landsbygden, med filmen Var är min väns hus? (1987) i kärnan. Här spelar huvudrollsinnehavaren alltså regissören Kiarostami själv, som i sin jakt efter pojken som han följde i filmen från -87 upptäckte något intressant som han sedan bestämde sig för att försöka fånga i denna semi-fiktiva, semi-återskapande film om denna resa. Iranska filmer som utforskar metafilm och fiction-dokumentär har jag berört tidigare, exempelvis så såg jag ju Samira Makhmalbafs film The Apple (1998) för inte så länge sedan. Men om jag förstått saken rätt så är The Apple snarare en film där regissören spänt upp, liksom riggat scener där icke-skådespelarna, som “icke-spelar” sig själva får spela ut sin verkliga historia med filmkameran som filter. I Kiarostamis trilogi (eller i alla fall i de två sista filmerna) återskapas snarare redan skedda händelser, där på något vis fiktion och icke-fiktion smälter samman.
I filmen möts man framförallt av människor som efter denna fruktansvärda jordbävning mist allt de har, eller åtminstone stora delar av sitt tidigare liv: familjemedlemmar, hem och vänner. Men det är här tydligt att solidariteten och samarbetsviljan lyser starkt, folk hjälper varandra på ett ganska självklart och odramatiskt vis och känslan av community är stark. Filmen har många naturromantiska bilder som ackompanjerades av vacker klassisk musik emellanåt, vilket ger den en stämningsfull och hoppfull klang. Den känns trots detta inte sentimental eller romantiserad, vilket tyder på en mycket säker regissör.
Jag försöker sätta fingret på vad det är som fängslar mig när jag ser dessa filmer. sega, händelselösa men ändå alldeles trollbindande. en användare på filmtipset skriver: En mycket vacker existentialistisk betraktelse av Kiarostami. Iranska landsbygden försöker återhämta sig efter att den söndertrasats av en jordbävning. Regissören blandar dokumentär, metafilm, barnskildring och drama på sitt säregna men hyperhumana vis.
Filmen går fram i ett ganska lugnt tempo, med bilen som utgångspunkt - de flesta scener utspelar sig faktiskt däri, likt Kiarostamis andra film Taste of Cherry (1997). Och jag kan förstå varför han verkas dras till att göra on the road-filmer. Det finns något otroligt meditativt och tillfredsställande med bilar som bara tuggar på, rulla fram i det torra, karga landskapet. And life goes on...
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whileiamdying · 3 years ago
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La trilogía de Koker: el desmontaje de la realidad en el cine de Abbas Kiarostami
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Ahmed, el pequeño héroe de "¿Dónde está la casa de mi amigo?" (1987)
Nico Nicolli Domingo, 5 de diciembre de 2021 10:00 hs
El director iraní ganó fama en Occidente a partir de estas historias entrelazadas en la aldea remota de Koker, como parte de un ejercicio de metacine que reconfigura los límites entre la ficción y el documental.
Limitarlo a director, guionista y fotógrafo sería injusto. Abbas Kiarostami fue un poeta del cine. Cuando partió en 2016, se perdió para siempre un alquimista de la aventura, que creaba mundos entre la ficción y el documental y demostraba las posibilidades en el universo infinito de lo cotidiano. Un autor genuino, calmo y sensible, en cuyas historias universales se encuentra el potencial del poderío humano.
La trilogía de Koker (1987-1994), como popularmente se la conoce pese al desacuerdo de su hacedor, lanzó a Kiarostami a la vanguardia de la escena mundial. Más allá de algunos rostros familiares, las tres películas apenas comparten el escenario de Koker, una aldea rural iraní en medio de la nada, mientras su estructura narrativa va in crescendo en cada entrega hasta controlar las reglas -¿las hay?- del metacine. El director dialoga constantemente sobre su propia obra sin pecar de narcisista: presenta un discurso reflexivo sobre su propia construcción relatora.
Kiarostami había trabajado desde los años 70 las problemáticas de la infancia en su rol de realizador cinematográfico en el Instituto para el Desarrollo Intelectual de Niños y Jóvenes Adultos de Teherán. Su primer corto “El pan y la calle” (The Bread and Alley o Nān o Kūcheh, 1970) y largometrajes iniciales como “La experiencia” (The Experience o Tadjrebeh, 1973) y “El pasajero” (The Traveler o Mossafer, 1974) examinaron el comportamiento humano y convirtieron lo que parece superfluo (un perro peligroso, el amor adolescente, un partido de fútbol) en un manifiesto de las nuevas generaciones frente al juicio inquisidor de los adultos.
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"¿Dónde está la casa de mi amigo?" (1987) de Abbas Kiarostami
Años más tarde, la búsqueda de Kiarostami se corrió de lo pedagógico y viró a la rebeldía pura en “¿Dónde está la casa de mi amigo?” (Where Is the Friend’s Home? o Khane-ye doust kodjast, 1987), la primera pieza en la trilogía de Koker. Aquí, el realizador reivindica que aquella inocencia de la niñez funciona como el dispositivo de ruptura contra la disciplina persa, encarnada en los mayores.
Ahmed (Babek Ahmed Poor) es un nene de ocho años urgido por devolverle a su amigo el cuaderno de las tareas que se llevó por error. De no dárselo antes de la clase, su compañero de banco quedará expulsado de la escuela. Nuestro pequeño héroe es incomprendido por su mamá, su abuelo y cada adulto que se cruza en el camino, por lo que su viaje -de manual, simple y tradicional, al estilo que acostumbra Kiarostami- con destino al pueblito Poshteh pone a prueba sus propias ideas sobre la vida.
La mayoría de las tomas se establecen desde los ojos del protagonista, que reflejan la valentía y la sensibilidad, mientras los adultos terminan a veces recortados, alejados y/o marginados en el encuadre. La comunidad de Koker y alrededores es apática por naturaleza. Sin embargo, el director evita la condena; más bien, desarrolla la conciencia moral de una cultura arrastrada por siglos, por ejemplo, con un abuelo que exterioriza los castigos recibidos para su disciplinamiento o una madre que queda atrapada entre las tareas domésticas.
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La recompensa de Ahmed en "¿Dónde está la casa de mi amigo?" (1987)
Es célebre la postal del camino zigzagueante que recorre Ahmed en busca de su compañero de clase, que muta a un terreno desgarrado en “Y la vida continúa” (And Life Goes On o Zendegi va digar hich, 1992), segunda parte del tríptico y filmada en el Koker arrasado tras el terremoto de Manjil-Rudbar en 1990.
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Los caminos en la trilogía de Koker (Abbas Kiarostami, 1987-1994)
Esta vez, la cámara de Kiarostami abandona el ritmo de la carrera del niño. Entre planos piadosos y travellings a bordo de un auto destartalado, “Y la vida continúa” es una road movie capaz de rescatar la belleza aun en los eventos más devastadores, a través del viaje de un director (Farhad Kheradmand, alter egode Kiarostami) y su hijo Pouya (Buba Bayour) en busca de los chicos que aparecieron en “¿Dónde está la casa de mi amigo?”.
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"Y la vida continúa" (1992) presenta un alter ego de Abbas Kiarostami, en busca de los actores de la primera película
El cineasta iraní revierte el planteo clásico de la imagen simbólica que va de lo particular a lo universal. Mientras en el primer filme invitaba a compartir la urgencia de un acto relativamente trivial (la devolución del cuaderno) para expandirse a la cultura de todo un pueblo, en la secuela parte desde una tragedia colosal para focalizarse en los testimonios pequeños, tapados por el adobe deshecho, las colinas repobladas y los bosques simuladores del hogar perdido.
La del director y su hijo es una peregrinación culposa en busca de esperanza. El altruismo que encarnaba Ahmed ha desaparecido; incluso, pese a ser el disparador inicial, a él nunca lo vemos en el metraje. Solo quedan caras extraviadas frente al fantasma de la muerte, al que Kiarostami decidirá enfrentarse de lleno en “El sabor de las cerezas” (Taste of Cherry o Ta’m-e gilâs, 1997). No es casualidad que el cineasta prefiriera la inclusión de esta película en su tríptico cinematográfico.
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"Y la vida continúa" (1992) de Abbas Kiarostami
Si en “¿Dónde está la casa de mi amigo?” la ficción se imponía a la realidad, en “Y la vida continúa” el trucaje queda expuesto deliberadamente, ya sea en su base narrativa alineada a los parámetros de André Bazin o en los guiños/easter eggs en pantalla. Lo observamos en el afiche del filme que hizo famosa a la aldea, en la celebración de la Copa del Mundo (nada menos que Argentina-Brasil) o en el anciano que señala a su “casa para el cine” porque la verdadera está hecha polvo.
No obstante, es “A través de los olivos” (Through the Olive Trees o Zīr-e Derakhtān-e Zeytūn, 1994) la película de Kiarostami que logra reconocerse a sí misma como película. Como si fuera una superación del juego tras bambalinas de François Truffaut en “La noche americana” (La nuit américaine, 1973), recuperamos al joven/actor (Hossein Rezai) que le propuso matrimonio a su novia en una escena de “Y la vida continúa” desde la óptica de una tercera manifestación del director, en la piel de Mohamad Ali Keshavarz.
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"A través de los olivos" (1994) de Abbas Kiarostami 
Ya emancipado de lo formal, Kiarostami ajusta la narrativa con secuencias aisladas entre sí, pero unidas mediante su característica poesía. Apenas en segundos se explica el enigma de Ahmed, sin que afecte al director en su decisión de avanzar sobre sus inquietudes como el amor no correspondido y el clasismo. Al respecto, el propio Hossein propone en un momento que “si la gente leída se casara con los analfabetos y los que no tienen casa con los terratenientes, todos podríamos ayudarnos”.
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"A través de los olivos" (1994) de Abbas Kiarostami
Las películas de la trilogía de Koker comparten un patrón de defensa del -castigado- don de la humanidad. En el final de “¿Dónde está la casa de mi amigo?”, Ahmed descubre una flor en su cuaderno que agasaja su altruismo; en “Y la vida continúa”, el director y Pouya son auxiliados por un lugareño para retomar su andanza más allá del zigzag; y en “A través de los olivos”, Hossein abandona su caminar pausado y cruza el prado detrás de su amada. La esperanza, el germen del movimiento.
Abbas Kiarostami era un firme creyente de un cine que brinde más posibilidades, experimentación y tiempo. Hablaba de uno a medio fabricar, como plasmó en su trilogía al desmontar la realidad. De patrones formales, pero inacabado. Solo es posible completarlo con el espíritu creativo de los espectadores.
”¿Dónde está la casa de mi amigo?” y “A través de los olivos” están disponibles para ver en la plataforma MUBI.
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gregor-samsung · 8 years ago
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Life, and Nothing More... (Persian: زندگی و دیگر هیچ‎‎ Zendegi va digar hich)
[Abbas Kiarostami - 1992]
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nawgnuskrap · 4 years ago
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zendegi va digar hich, 1992. dir. abbas kiarostami
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