#Wisława Szymborska biografia
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pier-carlo-universe · 2 months ago
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"La vita" di Wisława Szymborska. Un'ode alla semplicità e alla meraviglia dell'esistenza: una riflessione poetica sulla vita e le sue sfumature. Recensione di Alessandria today
La poesia "La vita" di Wisława Szymborska è una celebrazione della quotidianità, delle piccole cose che spesso passano inosservate ma che rendono l'esistenza umana straordinaria
La poesia “La vita” di Wisława Szymborska è una celebrazione della quotidianità, delle piccole cose che spesso passano inosservate ma che rendono l’esistenza umana straordinaria. Attraverso una serie di immagini poetiche delicate e potenti, Szymborska esplora l’essenza della vita, catturando momenti fugaci e apparentemente banali che, tuttavia, definiscono l’esperienza umana. Recensione La…
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pangeanews · 4 years ago
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“Ero una ragazza ignorante, una ragazza timida… ero troppo timida per dire ti amo”. Sconveniente, pigra, vagabonda Jean Rhys
Viviamo in un’epoca che rivaluta e rimodella le istanze femministe, che tenta di dare assoluzioni a chi si autodenuncia a favore delle donne e si leggono i lamenti di chi vorrebbe una premiazione agli Oscar più eterogenea, più femminile e meno bianca. Quando tutto diventa una distinzione tra generi, riprendere o iniziare a leggere per la prima volta Jean Rhys è una boccata d’aria fresca. Nata e cresciuta fino all’età di diciassette anni nelle isole dei Caraibi, migra in Inghilterra per studiare e diventare attrice fino poi ad arrivare a Parigi. Il suo è uno pseudonimo, all’anagrafe è Ella Gwendolen Ress Williams, e il vero successo arriverà con Il grande mare dei Sargassi, romanzo pubblicato nel 1966 che rivisita la storia di Jane Eye scritta da Charlotte Brontë. Adelphi ha ripubblicato di recente Buongiorno, mezzanotte, romanzo di una giovane donna trapiantata nella capitale parigina.
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La misura in cui la scrittrice si inserisce nelle pagine del romanzo si nota grazie alla sua autobiografia incompiuta Smile please in cui racconta in un capitolo le sue vicende nella città europea da squattrinata. Come la protagonista Sasha, anche Jean Rhys si trova a calcolare i soldi per pagare la stanza in cui vive, per uscire ogni giorno e andare a pranzo in qualche ristorante vegetariano e incontrare uomini e donne che capiscano la sua estraneità verso Parigi, per poi lasciarsi ammansire da artisti conosciuti per caso che la rendono allegra e sbronza. Perché in fondo, che sia nel romanzo o nella vita, quella disperazione tutta femminile che la sommerge e la soffoca viene poi trasformata in un brio artificioso grazie ai bicchieri di cherry bevuti a Montparnasse. La protagonista si svela e si mostra ironica, di un’ironia acuta e sagace senza dimenticare le giornate passate ad annoiarsi, a provare cappelli piumati e originali che non indosserà mai. Jean Rhys riceverà dal primo amore un assegno che le permetterà di stare a Parigi, anche se la sua dignità all’inizio non glielo consentirà e si rifiuterà di accettare fino a quando la necessità vincerà sull’ideale.
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“Quando il mio primo amore finì, scrissi questa poesia:
Non lo sapevo
Non lo sapevo
Non lo sapevo
Poi mi disposi ad entrare in uno stato di depressione acuta”. E in più il suo primo amante era ricco, a differenza sua, e così sarà sempre nella sua vita errante, nervosa, alla ricerca affannosa e instancabile di una pienezza che non c’è, che si modula forse grazie alla scrittura. Conclude matrimoni e la sua vita di ballerina e attrice e rinasce tante altre volte senza perdere mai quella voce che emerge chiara nei romanzi. “Ero una ragazza ignorante, una ragazza timida. E quando leggo romanzi che descrivono come si fa l’amore oggi, penso di essere stata anche passiva e monotona. Anche se quando mi toccava non riuscivo a controllare il battito assordante del cuore, ero troppo timida per dire “ti amo”. Sarebbe stato troppo, una cosa troppo importante. E non potevo pretendere tanto”.
Così si descrive nella biografia e così si riafferma nel romanzo dove le domande su di sé e su come sia diventata, sulla faccia gonfia per via dell’alcol, su come gli altri la vedano e come forse non la osservino davvero siano punti di contatto, siano la mappatura ideale per capirla.
* La protagonista soffre la fine di un matrimonio, soffre la mancanza di un ordine ma poi sbanda, ancora e ancora, e forse non esiste neanche una soluzione. Il lato femminile e tragico di Jean Rhys è tanto vero da risultare in realtà corrosivo, non aiuta a spiegare perché lei come la protagonista bevano senza remore, non educa a una vita sentimentale sana e compiacente e duratura, non emula ideali femministi presi per veri e mai ribaltati. Jean Rhys parla di disperazione, di incalcolabile scollamento tra sé e il mondo, di vivere una vita pigra, vagabonda, disillusa e dissoluta e non nasconde le pieghe di ironia, le riflessioni su quello che incontra e che ritiene buffo o estraneo a sé, sulla distanza e sul lieve timore di lasciarsi coinvolgere da uno sconosciuto. Tenta di essere arrendevole ma è pure scaltra, misura le frasi da dire e maschera la sofferenza, la ferita che solo dopo molte pagine si scopre e nel mentre beve in compagnia, beve nella sua stanza d’albergo. Nella totale disillusione e nella tensione che la perseguita non c’è traccia di prevaricazione femminile ma la capacità di essere manchevole e poi caustica subito dopo, di ammettere dentro di sé e nelle sue protagoniste un prisma sfaccettato di sfumature che caratterizzano un essere umano pienamente tridimensionale. Accettare queste oscillazioni caratteriali, lasciare che una vinca sull’altra a seconda delle situazioni, a seconda del mondo che agisce con o contro di lei è un’esigenza prettamente umana e non solo un distinguo femminile per anime delicate. Partendo da una ribellione contro se stessa e da una ricerca di sé pellegrina che è marchiata nella sua storia, si costituisce una persona, si apre alla consapevolezza che i vezzi femminili di incipriarsi e truccarsi le appartengono tanto quanto quella domanda di certezza che sfugge sempre. Non elimina nulla, non censura niente e tenta di abbracciare ogni postura anche quando fa male, anche quando le forze sembrano abbandonarla. Non ha vergogna di essere fragile e allo stesso tempo vive sprezzante ai lati di un mondo che sembra sempre non appartenerle. È una lotta continua, una vertigine, una calamita di tristezze che si rimpastano con una scrittura ironica e divertita perché non cede mai troppo al lusso della malinconia, perché pur ammettendo uno strazio non si lascia definire da esso.
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Le protagoniste di Buongiorno, mezzanotte e di Quartetto si imbarcano in viaggi raffazzonati e inconcludenti, mostrano e nascondono lati, chiedono amore e poi lo tengono a freno, hanno una visione che si spezza a seconda di come la vita procede ma non per questo sono deboli, non per questo smettono di aspirare a una felicità stracolma, a una assoluzione piena che le liberi dal tormento. Come quando Sasha riannoda la sua vita ascoltando le storie di altri, analizza con puntiglio le situazioni mancate o lasciate cadere nel nulla: “Eccoci al punto, dunque. Non è che queste cose succedano o meno, o che uno ci sopravviva o no che rende la vita così strana; ma il fatto che vengano dimenticate. Persino quel momento che si è creduto fosse la propria eternità svanisce piano piano e viene dimenticato e cancellato. Ecco ciò che rende la vita buffa, il modo in cui si dimentica, e ogni giorno è un nuovo giorno, e c’è speranza per tutti, oplà. Sotto a chi tocca…”. È una questione di “incanto e disperazione”, come ha detto Wisława Szymborska in un’intervista seguita alla vittoria del Nobel, nel 1996.
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Sembra che queste donne pendano da una parte, che si lascino trascinare da una corrente che non abbiano deciso eppure hanno la forza di analizzarsi, di aprirsi all’inconveniente e alle mancanze e non eliminano mai l’imperfezione. “E il suo bisogno disperato di gioia, di qualsiasi piacere fu come un’esplosione di follia nel suo cuore. Fu violenta come la sofferenza e lei strinse i denti. Fu come uno splendido animale in gabbia che si agita e lotta per uscire. Fu come un bambino non nato che salta, fa le capriole e tira calci nel suo ventre”: così la scrittrice descrive Marya, protagonista di Quartetto che a ventiquattro anni si rende conto di aver buttato via parti di vita, che l’inconsistenza della sua esistenza è ormai lampante e non può più nasconderla. Riuscire a tenere insieme ogni lembo e raccontarlo senza eroismo femminile è infine il vero affronto, l’autentico grido di chi ammette vittorie e sconfitte senza mai prendersi troppo sul serio e ne beve con risoluto piglio maschile.
Anna Pellizzoni
L'articolo “Ero una ragazza ignorante, una ragazza timida… ero troppo timida per dire ti amo”. Sconveniente, pigra, vagabonda Jean Rhys proviene da Pangea.
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