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#Walter Tobagi
forumelettrico · 5 months
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La Colonnina Route220 da 22 kW situata a Villimpenta MN: nel parcheggio pubblico fra il campo sportivo e la scuola media, molto vicino anche al municipio ed al centro storico https://www.forumelettrico.it/forum/colonnina-route220-22-kw-villimpenta-mn-piazza-walter-tobagi-t37258.html #Route220 #Villimpenta #Mantova
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retelabuso · 7 months
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La Confessione - Come la Chiesa italiana insabbia gli abusi
CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE Lunedì 11 marzo ore 15 sala Walter Tobagi della Federazione Nazionale della Stampa Italiana via delle Botteghe Oscure 54, Roma Per connettersi da remoto usare questo LINK Perché soltanto in Italia non è ancora scoppiato il caso degli abusi nella Chiesa cattolica? Perché il sistema di copertura degli abusatori è ancora in piedi ed efficace, coinvolge decine e…
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lamilanomagazine · 9 months
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Roma, Onorato:"musica, cabaret e divertimento"
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Roma, Onorato:"musica, cabaret e divertimento" "Sarà un Natale di festa, musica, divertimento e grandi eventi in tutta Roma. Dopo un anno di lavoro e impegni, difficile per molti, è giusto che le feste di fine anno rappresentino una pausa di allegria. E questo ovviamente non può riguardare solo chi vive nelle zone più centrali. Porteremo il clima di festa in quattro piazze popolari di altrettanti quadranti fondamentali della vita della nostra città: il 22 dicembre a piazza San Giovanni Bosco a Cinecittà; il 23 dicembre nell'area tra via Walter Tobagi e via dell'Usignolo a Torre Maura; il 29 dicembre nell'area mercato rionale di Casal De Pazzi e il 30 dicembre in piazza Anco Marzio a Ostia. Da qui ci daremo appuntamento per il concertone di Capodanno al Circo Massimo con Lazza, Blanco e Michielin. Quattro piazze per feste imperdibili e totalmente gratuite per cui abbiamo coinvolto sia la mitica Orchestraccia di Marco Conidi che il dj Edo ma anche i cabarettisti Antonio Giuliani e Andrea Perroni. Quattro piazze per un unico grande abbraccio alle romane e ai romani, a cui faremo così i nostri auguri di fine anno". Lo afferma Alessandro Onorato assessore di Roma Capitale ai grandi eventi, turismo, moda e sport. IL PROGRAMMA 22 dicembre 2023: - ore 20 dj set Dj Edo - ore 20:30 cabaret Antonio Giuliani - ore 21:35 Orchestraccia - ore 22:45 dj set Dj Edo 23 dicembre 2023: - ore 20 dj set Dj Edo - ore 20:30 cabaret Andrea Perroni - ore 21:35 Orchestraccia - ore 22:45 dj set Dj Edo 29 dicembre 2023: - ore 20 dj set Dj Edo - ore 20:30 cabaret Antonio Giuliani - ore 21:35 Orchestraccia - ore 22:45 dj set Dj Edo 30 dicembre 2023: - ore 20 dj set Dj Edo - ore 20:30 cabaret Andrea Perroni - ore 21:35 Orchestraccia - ore 22:45 dj set Dj Edo... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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In Biblioteca puoi scoprire autori e opere che non conoscevi o di cui avevi sentito parlare ma che ancora non avevi avuto modo di leggere. Ed è per questo che abbiamo deciso di dedicare un angolo alla scoperta di questi "tesori nascosti".
Oggi l'opera prescelta è “La valigia di Adou" di Zita Dazzi.
Adou e Oreste hanno molte cose in comune: hanno tutti e due dieci anni, amano il calcio, non capiscono il mondo dei grandi. E poi, tutti e due aspettano qualcosa: Adou non vede l'ora di arrivare in Italia, Oreste aspetta la nascita della sorellina. Ma il sogno dell'Italia per Adou comincia nel modo più drammatico: da solo, dentro una valigia. La stessa valigia che riserverà a Oreste la più grande sorpresa della sua vita. Adou e Oreste ci raccontano la storia che li ha portati a conoscersi e a diventare amici, in barba a qualunque ostacolo. I legami più forti, a volte, nascono nei modi più inaspettati.
La valigia di Adou é ispirata a un vero fatto di cronaca che ci permette di conoscere maggiormente (e in maniera semplice ma diretta) un problema attualissimo, che non vede ancora una soluzione valida: cosa significa essere migranti. Per questo motivo il libro è sostenuto da Amnesty International Italia che da sempre combatte per i diritti umani.
L'autrice, giornalista de La Repubblica (si occupa di sociale), scrive così a voci alternate, di due ragazzini - Oreste e Adou - che raccontano il loro incontro, ciascuno dal suo punto di vista. Lieve come una fiaba per i toni che usa, eppure profondissima per i temi che tratta ("Mi sento un bambino venuto dal nulla e con nulla davanti, come se non fossi nessuno, senza passato e senza futuro"), Zita Dazzi, insomma, ci regala due personaggi indimenticabili.
 
Due personaggi in grado di far riflettere non solo i piccoli, dal cuore già tenero e sensibile, ma anche i più grandi, a cui a volte bisogna solo ricordare che un cuore bisogna averlo.
 
Zita Dazzi (1965) è una giornalista e scrittrice italiana, cronista di la Repubblica. Milanese di nascita, vive a Roma fino ai 14 anni. Frequenta il liceo Parini a Milano, per poi laurearsi in Scienze Politiche a New York. Dopo aver lavorato per la RAI, l'Espresso e Radio Popolare, nel 1989 inizia a lavorare per la Repubblica alla redazione di Milano, occupandosi principalmente di cronaca politica e temi sociali. Nel 2008 pubblica il suo primo libro, “La Banda dei gelsomini”, continuando a pubblicare negli anni successivi altri venti libri per ragazzi e adulti con le principali case editrici italiane. Ha vinto diversi premi giornalistici e letterari. Menzione speciale nel 2020 al Premio Matteotti istituito dalla Camera dei Deputati per il romanzo "Con l'anima di Traverso", storia della partigiana Laura Wronowski. Insegna al master della Scuola di Giornalismo Walter Tobagi dell'Università Statale di Milano.
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gregor-samsung · 3 years
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“ L'agguato [del 16/XI/1977] contro il vicedirettore della Stampa, Carlo Casalegno, apre uno squarcio. L'opinione pubblica percepisce allora, per la prima volta, che gli operai non scioperano volentieri per questi attentati. «Se gli hanno sparato una ragione ci sarà, a noi operai non spara nessuno», sono gli sfoghi raccolti ai cancelli di Mirafiori. Non sono tanto parole di filobrigatisti: denunciano, piuttosto, l'indifferenza di chi deve fare i conti coi problemi dello stipendio magro e dell'inflazione in salita e non si cura dei giochi di potere che grondano sangue. A distanza di anni i sindacalisti di mestiere confideranno addirittura che lo sciopero in fabbrica per Casalegno fu tra i meglio riusciti: era la prima volta che si notava una discreta reazione, che non si avvertiva una simpatia nascosta dietro il sorrisetto ironico. Ha raccontato un lavoratore Fiat a Stefano Bonilli del Manifesto: «Parliamo delle reazioni che noi delegati coglievamo nei reparti quando sparavano a un capo. Agli operai non dispiaceva. Le Br venivano viste come giustizieri e, poi, dopo lo sparo vedevi che i capi erano più gentili, più morbidi e allora l'operaio non poteva non pensare che quelle pallottole qualche risultato lo avevano pure ottenuto. Questo clima si è spezzato con la morte di Casalegno. Se proviamo a storicizzare, se torniamo a sfogliare i taccuini di quegli anni, scopriamo l'errore tremendo, d'ipocrisia o di paura, che il sindacato commette. E lo sconta nelle grandi fabbriche, dalla Sit-Siemens alla Fiat, dall'Alfa alla Magneti Marelli, dall'Ansaldo all'Italsider. Quella violenza solletica il consenso delle "avanguardie di lotta", come si chiamavano allora, che mal si adattano alle scelte ragionevoli e responsabili del sindacato. Le indagini sui gruppi armati dimostrano che fin dal 1972-73 Renato Curcio e gli altri protobrigatisti scelgono di puntare su Torino, sulla Fiat, per dare un nucleo operaio e operaista alle nascenti formazioni clandestine. È l'epoca in cui, all'interno delle Br, convivono due anime: quelli che mirano a colpire le persone, gli uomini-simbolo del potere padronale e politico; quelli che preferiscono appiccare incendi. E quando, aprile '76, fanno esplodere l'officina 81 di Mirafiori con cinque bombe al fosforo, l'anonimo brigatista telefonerà all'Ansa: «Qui Brigate rosse, abbiamo colpito un po' di profitto della multinazionale di Agnelli. Seguirà volantino». Il sindacato ufficiale reagisce con comunicati colmi di sdegno e con qualche sciopero di scarso successo. Viene esaltato il coraggio di quegli operai che sono corsi a spegnere le fiamme. Con la retorica del passato si ricorda che già nei mesi della repubblica di Salò i lavoratori avevano dovuto difendere gli impianti. Per il resto non si va oltre qualche analisi di buone intenzioni. «L'azione di quei gruppi che predicano e attuano la violenza rientra in una logica nemica del sindacato», dichiara il segretario della camera del lavoro milanese, Lucio De Carlini. E Antonio Zilli, un sindacalista di Torino che conosce bene i sotterranei di Mirafiori, lancia un'ipotesi che non farà molta strada: «Il sindacato deve pensare a creare una sua capacità autonoma di controllo in fabbrica per impedire il ripetersi di simili provocazioni». Basta andare ai cancelli dell'Alfa Romeo per intuire quel che ribolle sotto la crosta. Violenza? Risponde un giovanottone, baffi alla Stalin e distintivo di Lenin sul maglione giallo, che parla tranquillamente in mezzo a un crocchio di operai: «Qui non possiamo far finta di dimenticarci la violenza che fa la direzione dell'azienda, quando spedisce agli operai lettere di trasferimento e gliele manda a casa perché le vedano anche le mogli e scoppino liti in famiglia». E poi: «Non è vero che la violenza sia nera e basta, bisogna capire quando serve l'uso politico della violenza. Nel '69 picchiare un dirigente era un fatto folcloristico. Chi lo fa adesso si muove secondo una scelta politica precisa». E un altro operaio: «I dirigenti sindacali hanno sbagliato a non affrontare in modo dialettico il problema della violenza. Non si può dire 'sono provocatori' e accontentarsi della scomunica. Per esempio: quando rapirono Mincuzzi molti operai dicevano che le Brigate rosse avevano fatto bene: era lui che aveva tagliato i tempi per farli lavorare di più». Ci fu chi appese in fabbrica la foto dell'ingegner Mincuzzi pubblicata dai giornali: faccia spaventata, pistola alla tempia, il drappo delle Brigate rosse con la scritta: «Mincuzzi Michele, dirigente fascista dell'Alfa Romeo, processato dalle Brigate rosse. Niente resterà impunito; colpiscine uno per educarne cento; tutto il potere al popolo armato; per il comunismo». “
Walter Tobagi, Che cosa contano i sindacati. Costituiscono il nuovo potere: quali sono i loro problemi e le loro debolezze?, Rizzoli, giugno 1980¹ (postumo); pp. 143-45.
NOTA: Questo testo fu pubblicato poche settimane dopo l’uccisione di Walter Tobagi, avvenuta a Milano la sera del 28 maggio 1980.
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albytremo · 4 years
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«era un giornalista libero che indagava la realtà oltre gli stereotipi e pregiudizi, e i terroristi non tolleravano narrazioni diverse da quelle del loro schematismo ideologico»
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unplaces · 3 years
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Via Walter Tobagi, Rome.
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superfuji · 3 years
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Il vuoto sotto il governo Draghi
di Marco Damilano
Partiti, sindacati, associazioni sembrano muti e inerti. E l’impegno dal basso di volontari, amministratori, imprenditori e insegnanti non basta a risvegliare una società anestetizzata
07 SETTEMBRE 2021
Scorro su Telegram i messaggi della chat Basta dittatura, faccio un viaggio virtuale tra fotomontaggi del dottor Matteo Bassetti appeso per i piedi come il Duce in piazzale Loreto, ancora lui tra i colleghi sui banchi di Norimberga, gli indirizzi di giornalisti, i numeri di telefono, le minacce, gli insulti, i proclami («Manca solo la nostra vittoria per concludere»). Supero il disgusto e la voglia di ripetere ancora quanto è stato detto in questi giorni, che si tratta di pochi ideologizzati, come si fa come quando allo stadio ci sono gli scontri tra i tifosi, che i No Vax sono una bolla mediatica alimentata anche dal solo parlarne.
Non si può ignorare l’orrore perché da quella bolla è uscita l’aggressione fisica e verbale contro il videomaker di Repubblica e di Gedi Francesco Giovannetti e Antonella Alba di Raiwes 24, senza considerare le intimidazioni quotidiane che stanno piovendo in queste ultime settimane. Ma soprattutto perché i No Vax rappresentano, a parti capovolte, lo stato del dibattito pubblico italiano, la qualità dei contenuti e degli argomenti, misurano la temperatura della democrazia italiana, come succede quando un virus aggredisce un corpo indebolito e privo di anticorpi.
L’Italia è un corpo che ha saputo reagire alla sfida della pandemia, come dimostra l’impressionante più 17,3 per cento del Pil nel secondo trimestre del 2021 rispetto allo stesso periodo del 2020. E la campagna di vaccinazione ha funzionato, nonostante lentezze, ritardi, contraddizioni. Nei cinema, nei bar, nei ristoranti e ora sui mezzi pubblici e nelle scuole il controllo del green pass è un adempimento che viene eseguito in maniera ordinata, il certificato fa parte della vita di ogni giorno per milioni di italiani.
Non dei vaccini ci parlano i No Vax, dunque, ma di un vuoto nella società. È come se tra il presidente del Consiglio Mario Draghi, il dominus politico incontrastato di questa stagione, e le piazze che raggruppano i soliti fascistoidi in cerca di visibilità, non ci sia nulla: non i partiti, non i sindacati, né altre associazioni, nessun corpo intermedio. Al di là della contabilità sul numero dei manifestanti e delle personalità coinvolte, è una dialettica pericolosa per la democrazia, che invece si nutre di partecipazione, confronto, critica, conflitto a viso aperto, non mascherato e non tra cripto-militanti.
Non è una novità per la storia italiana. Una prima stagione di governi di unità nazionale, nel cuore del cinquantennio della Prima Repubblica, tra il 1976 e il 1979, con il monocolore democristiano presieduto da Giulio Andreotti, sostenuto anche dal Pci di Enrico Berlinguer, coincise con il picco della violenza politica: non solo il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro, ma anche gli scontri in piazza, il terrorismo rosso e nero. La caccia ai giornalisti, dalla gambizzazione nel 1977 di Indro Montanelli a Milano, del vice-direttore del Secolo XIX Vittorio Bruno a Genova e a Roma del primo direttore della storia del Tg1 Emilio Rossi, un cattolico che andava in redazione in autobus, era appena sceso e stava leggendo “Massa e potere” di Pietro Ingrao quando Adriana Faranda gli sparò fracassandogli le due gambe per il resto della vita, mi è capitato tante volte di incontrarlo in seguito, ancora sull’autobus, saliva a fatica con il bastone, quasi si scusava di creare disturbo agli altri passeggeri. Fino ad arrivare all’omicidio a Torino del vice-direttore della Stampa Carlo Casalegno, e di Walter Tobagi, inviato del Corriere della Sera, ucciso nel 1980 sotto la sua abitazione a Milano da un gruppo di borghesi che giocavano con la rivoluzione. Faccio questo elenco solo per dire cosa dovrebbe smuovere nella memoria profonda del Paese la notizia di un gruppo che incita a pedinare i giornalisti e andarli a cercare sotto casa pubblicando i loro indirizzi.
In quella stagione i partiti erano ancora radicati, combatterono una battaglia per fare da diga alla violenza, pagando un prezzo di sangue (l’operaio iscritto al Pci Guido Rossa, sulla sua storia è in uscita la biografia di Sergio Luzzatto “Giù in mezzo agli uomini” per i nuovi Struzzi di Einaudi curati da Ernesto Franco) e elettorale: il Pci perse un milione e mezzo di voti. E reggeva il dibattito sui giornali, tra gli intellettuali, sui luoghi di lavoro, nelle università, in mezzo al popolo.
La seconda stagione di unità nazionale, il governo di Mario Monti nel 2011-2012, appoggiato da tutti i partiti ma senza ministri politici come sono invece oggi quelli presenti nel governo Draghi (forse perché in quel caso c’era da tagliare risorse e in questo da distribuire), scatenò una reazione democratica. La nascita di un partito, il Movimento 5 Stelle, che all’inizio del governo tecnico aveva zero consensi e che alle elezioni del 2013 conquistò otto milioni di voti, diventando il partito più votato d’Italia e la presenza stabile nella politica italiana che è oggi. I partiti si erano indeboliti e vennero giù nei consensi, il dibattito civile era stato sostituito dalla rete e dai talk televisivi, la personalizzazione della politica era al punto più alto, dopo venti anni di berlusconismo. Il vuoto avanzava, si immaginava che fosse colmato dai leader e dall’anti-politica, che invece era destinata ad allargare il vuoto.
Oggi la nuova unità nazionale consegna un panorama polarizzato. Da una parte Draghi, il suo governo, la sua leadership, l’esercizio del potere, la prospettiva di inserire l’Italia nel riassetto internazionale che sta accompagnando lo scossone mondiale dell’Afghanistan, venti anni dopo l’attentato dell’11 settembre. Dall’altra, una platea di esclusi, di non rappresentati, infiammati poi dai professionisti della piazza, il solito pugno di «vecchi generali e giovani neo-fascisti», come li definiva Pier Paolo Pasolini già nel 1974. In mezzo, il vuoto.
Non è il nulla, naturalmente, il sincero impegno che tanti candidati e candidate stanno mettendo nei comuni che vanno al voto tra un mese, il 3 ottobre. O chi affolla le feste dell’Unità, i festival di politica come quello di Mestre che riprende la settimana prossima, dedicato alle donne, gli appuntamenti culturali su e giù per la penisola. Non sono il nulla gli amministratori, i sindacalisti, i preti, gli insegnanti, l’associazionismo e il volontariato di chi accoglie anche in queste ore i profughi afghani. Sono coloro che fanno da manutenzione alla società italiana, insieme agli imprenditori che non fuggono dalla responsabilità, che colgono questa stagione come un’occasione di crescita e non di depredamento.
Ma la società italiana riparte dopo un’estate segnata da assessore pistoleri e candidati sindaci che girano armati in ospedale, si ritrova ancora anestetizzata, addormentata, come dopo una lunga operazione, quando il corpo fatica a rimettersi in piedi. Anche il dibattito politico è schiacciato tra due polarità: l’inevitabilità delle soluzioni offerte dal governo Draghi, lo stato di necessità che costringe tutti a non superare il limite, a rischiare di sbagliare per eccesso di difetto, come suggeriva Marco Follini una settimana fa sull’Espresso, e la violenza di chi si sente fuori dal circuito degli inclusi e prova a rompere l’assedio della maggioranza, oggi sui vaccini e sul green pass, domani chissà.
Spezzare una dialettica schiacciata su Draghi e i No Vax signfica riprendere iniziativa, identità, progetto e, perché no, fantasia, immaginazione, la sfera della politica che è libertà. In vista delle prossime scadenze nel calendario istituzionale: le elezioni amministrative, la scelta del nuovo Capo dello Stato. E in vista di un conflitto sociale che riprenderà, che ha bisogno di rigore, di serietà, di rappresentanza vera e non delle pessime caricature di questi giorni. Per uscire dalla bolla di sfiducia e di furore verso quanto sembra arrivare dall’alto, che riassume la bassa qualità del nostro dibattito pubblico. E uscire dall’anestesia, che può far comodo nell’immediato governo dell’emergenza ma che nel profondo abbandona nel sonno la democrazia.
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paoloxl · 4 years
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Nella mattinata di sabato 7 aprile 1979, su ordine della Procura di Padova vengono eseguiti i primi 22 ordini di cattura contro esponenti dell’Autonomia Operaia. Si tratta di professori e assistenti della Facoltà di Scienze Politiche (ma anche di altre facoltà) dell’Università di Padova, di scrittori, giornalisti e poeti. Si va dai redattori della rivista “Autonomia” e di Radio Sherwood a militanti ambientalisti nella lotta contro il nucleare.
La tesi sostenuta dal Pubblico Ministero Pietro Calogero (che passerà alla storia come “Teorema Calogero”) è che l’Autonomia fossa la struttura di vertice decisionale (una sorta di cupola) delle Brigate Rosse e di altre bande armate operanti in Italia in quel periodo.
I reati contestati sono pesantissimi e vanno dall’insurrezione armata contro i poteri dello Stato alla banda armata, dall’associazione sovversiva a una serie di omicidi tra cui quello del giudice Emilio Alessandrini assassinato a Milano nel Gennaio ’79 da Prima Linea e…nientemeno che quello di Aldo Moro, rapito dalla Brigate Rosse (con l’uccisione dei 5 uomini di scorta) a Roma il 16 marzo 1978 e fatto ritrovare morto il 9 maggio dello stesso anno.
L’inchiesta era divisa in due tronconi: uno padovano e uno romano.
Nell’inchiesta romana Toni Negri, intellettuale ed esponente di primo piano prima di Potere Operaio e poi di Autonomia era addirittura accusato di essere l’autore materiale della telefonata in cui le Brigate Rosse annunciavano alla famiglia Moro lo scadere dell’ultimatum e l’imminente esecuzione del politico democristiano, telefonata effettuata da Mario Moretti, ai tempi uno dei dirigenti politici delle BR.
Gli arrestati verranno ben presto trasferiti nelle carceri speciali che a quei tempi erano disseminate lungo la penisola (il famigerato “circuito dei camosci”).
Il 7 aprile sarà solo il primo passaggio di una serie di operazioni repressive che tenterà di spazzare via per sempre Autonomia con centinaia di arresti. La seconda tranche dell’operazione avverrà il 21 dicembre ’79. Nuovi arresti costelleranno tutto il 1980. Altri blitz si susseguiranno senza soluzione di continuità fino a metà anni Ottanta.
Alcuni elementi contraddistinguono il 7 aprile come “laboratorio” repressivo capace di segnare un vero e proprio spartiacque tra due epoche. Li andiamo ad elencare per sommi capi:
-L’utilizzo massiccio dei media per schierare l’opinione pubblica contro gli arrestati designandoli come colpevoli ancora prima dei processi e delle sentenza (la famosa “giustizia mediatica”).
-Il ruolo fondamentale del Partito Comunista Italiano (salvo rarissime e lodevoli eccezioni) nel coadiuvare e difendere a spada tratta l’inchiesta e il teorema giudiziario anche quando questo cominciava a scricchiolare. Il PCI aveva sempre considerato l’Autonomia come un pericoloso avversario alla sua sinistra soprattutto in una fase di sacrifici e ristrutturazione industriale legati alla politica del “compromesso storico” (1976-1979).
-Il periodo lunghissimo di carcerazione preventiva in attesa di processo (si parla di svariati anni) inflitto agli imputati.
-L’utilizzo a piene mani della collaborazione dei pentiti (con relativi sostanziosi sconti di pena garantiti dalla legislazione premiale dei primi anni ’80) per trasformare in una storia criminale una storia sociale e politica. Utilizzo dei pentiti che poi diventerà una costante della giustizia italiana.
-Il ruolo di supplenza esercitato dalla magistratura nei confronti della politica. Un ruolo che crescerà esponenzialmente per tutti gli anni ’80 per poi esplodere con tutta la sua forza distruttiva durante Tangentopoli.
-Il rimodulare le accuse verso gli imputati con il passare degli anni di carcerazione preventiva via via che i vari pezzi del “Teorema Calogero” crollavano sotto i colpi delle dichiarazioni dei pentiti delle formazioni armate.
A quarant’anni dai fatti, guardando le carte, si viene colpiti dalla sciatteria dell’inchiesta con le sue accuse surreali e dalla pressoché totale mancanza di prove. L’inchiesta iniziale verteva infatti sostanzialmente sulla semplici analisi di scritti politico-filosofici e documenti teorici delle formazioni politiche come Potere Operaio e Autonomia.
Ci sembra giusto citare qualche paragrafo degli atti d’accusa per far comprendere la dimensione kafkiana dell’intera vicenda:
(…) Imputati A) del reato p.p dagli artt. 110, 112 n.1, 306 I e II co. in relazione agli articoli 283 e 284 c.p. per avere, in concorso fra loro e con altre persone, essendo in numero non inferiore a cinque, organizzato e diretto una associazione denominata Brigate Rosse.
(…) dalla sussistenza di elementi probatori che portarono a identificare nel Negri il brigatista rosso che telefonò a casa dell’onorevole Moro durante il sequestro di costui (…).
Insomma… Autonomia sarebbe stata la stessa cosa delle Brigate Rosse. Anzi! Le BR si sarebbero fatte dirigere da Autonomia… Una tesi ridicola e grottesca per qualsiasi persona ne sappia una minima dei movimenti politici e rivoluzionari degli anni ’70.
Le inchieste contro Autonomia si allargarono a macchia d’olio su tutto il territorio italiano con indagini e arresti di massa a Milano come a Roma e  altrove.
Un’ulteriore vittima di questi teoremi che ci sembra giusto ricordare fu Walter Maria Pietro Greco detto “Pedro”, militante dell’Autonomia veneta, coinvolto nelle inchieste dell’epoca e assassinato a Trieste il 9 marzo 1985 mentre era ancora latitante, da una squadra composta da agenti Digos e dei servizi.
I procedimenti giudiziari colpirono un movimento in fase di crisi e riflusso già evidente negli ultimi mesi del ’77, ma di fatto posero una forte ipoteca sulle lotte autorganizzate in Italia per molti anni. Fino a metà degli anni ’80 i pochi militanti rimasti a piede libero dovettero infatti spendere quasi tutte le loro energie nel sostegno delle centinaia di detenuti politici in un clima di dilagante desertificazione sociale. Difficile dire che influsso avrebbe potuto avere un’Autonomia non completamente scompaginata dalla repressione nei processi di lotta alla ristrutturazione e controrivoluzione neo-liberale nell’Italia dei primi anni ’80.
A Milano, la lotta dello Stato contro Autonomia vide il suo apice col processo Rosso-Tobagi coi suoi 152 imputati. Un processo in gran parte costruito sulle dichiarazioni dei pentiti, che nell’autunno ’80 avevano portato ad arresti di massa a Milano. Per chi fosse interessato, le vicende di quel periodo sono narrate da Paolo Pozzi in “Trittico milanese” (oltre che nel suo “Insurrezione” pubblicato da DeriveApprodi).
Per concludere giova ricordare che quella generazione di magistrati è la stessa che si è fatta carico, nei decenni successivi, di combattere le varie insorgenze sociali con nuovi teoremi, primo tra tutti quello contro il movimento NoTav in Val di Susa.
Come a dire: sono passati quarant’anni da quel 7 aprile 1979, ma i suoi fantasmi continuano ad agitarsi e provocare danni.
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allinfoit · 7 years
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SPOLETO - IL GIORNALISTA MAARTEN VAN AALDEREN (DE TELEGRAAF) RACCONTA IL BELLO DELL'ITALIA
SPOLETO – IL GIORNALISTA MAARTEN VAN AALDEREN (DE TELEGRAAF) RACCONTA IL BELLO DELL’ITALIA
Venerdì 20 Ottobre 2017 alle ore 17 a Spoleto nel salone d’onore di Palazzo Leti Sansi (Via Arco di Druso) il giornalista olandese Maarten van Aalderen presenterà i suoi libri “Il bello dell’Italia” e “Talenti d’Italia”  (Albeggi ed.). (more…)
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umbriasud · 2 years
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Spi-Cgil: a Spoleto come far valere il diritto alla salute
Spi-Cgil: a Spoleto come far valere il diritto alla salute
Si parlerà di “Diritto alla salute” e quindi di sanità pubblica e piano sanitario nell’iniziativa promossa dalla Lega Spi Cgil intercomunale di Spoleto, nell’ambito della festa di Liberetà (il mensile del sindacato pensionati) che si terrà presso la proloco di San Brizio (largo Walter Tobagi, Spoleto), lunedì 12 settembre, alle ore 17. Una tavola rotonda che sarà aperta dai saluti di Anelide…
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paolocentofanti · 3 years
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Canale Fede e Ragione: Draghi ha visitato il Punto Luce di Save the Children a Roma
Canale Fede e Ragione: Draghi ha visitato il Punto Luce di Save the Children a Roma
Il presidente Draghi ha visitato il Punto Luce di Save the Children a Roma. Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi martedì 23 Novembre 2021 ha visitato il Punto Luce di Save the Children Italia Onlus di Torre Maura. La struttura è situata a Roma, in via Walter Tobagi, 150. Pubblichiamo video dell’evento, cortesia Presidenza del Consiglio dei Ministri. Fonte Canale Fede e Ragione: Il…
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tifatait · 3 years
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Master Walter Tobagi a Avellino | www.masterin.it
Master Walter Tobagi a Avellino | www.masterin.it
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giancarlonicoli · 4 years
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30 mag 2020 19:47
“WALTER TOBAGI? I RIFORMISTI NON PIACCIONO A QUESTO PAESE” - IL RICORDO DI CHIARA BERIA DI ARGENTINE: “LA SERA PRIMA DELL’OMICIDIO, AL CIRCOLO DELLA STAMPA, ERANO VOLATI URLA E INSULTI CONTRO TOBAGI. SO BENE CHE CHI SI ESPOSE INSULTANDO QUELLA SERA TOBAGI NON HA NULLA A CHE FARE CON CHI LA MATTINA DOPO SPARÒ. PERÒ MI DOMANDO: POSSIBILE CHE ANCHE DOPO 40 ANNI NESSUNO DEI GIORNALISTI PRESENTI E URLANTI DICA ALMENO CHE QUELLA SERA AVEVA SBAGLIATO?”
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Chiara Beria di Argentine per il “Corriere della Sera”
Caro direttore, nel complimentarmi con tutti voi per il libro dedicato dal Corriere a Walter Tobagi che mi auguro venga diffuso nelle scuole e letto da tanti giovani vorrei, se me lo consenti, aggiungere una riflessione e un ricordo.
28 maggio 1980. All' improvviso nel pomeriggio arrivò a trovarmi mio padre Adolfo. Quarant'anni fa ero a casa in congedo di maternità (il mio secondo figlio Matteo era nato il 6 maggio) dal lavoro di inviato al settimanale Panorama. Erano ore serene (per me) fino a quando non ascoltai cosa voleva dirmi e chiedermi papà. Ricordo quei momenti: fu una delle rarissime volte nella sua vita (è scomparso il 26 luglio 2000) che lo vidi piangere. Dalla tv avevo già appreso l'ennesima, tragica notizia. Questa volta la vittima era un giornalista del Corriere, Walter Tobagi.
Non sapevo però che Tobagi, presidente dell'Associazione lombarda giornalisti e Beria, neopresidente dell'Associazione nazionale magistrati e collaboratore dal 1973 del Corriere stavano lavorando a un progetto comune. Non solo si erano confrontati la sera prima dell'omicidio a un «acceso» dibattito sul segreto istruttorio al Circolo della Stampa (come ricorda Massimo Fini nel capitolo «L'ultima notte» del libro curato da Giangiacomo Schiavi, ndr) ma dovevano rivedersi per creare i comitati «Giustizia e Stampa».
Rewind al tragico 1980. Quando il 23 marzo come leader della corrente Giustizia e Costituzione accetta di assumere l' impegno di presidente dell' Anm, Beria aveva visto uccidere dai terroristi uno dopo l'altro alcuni dei suoi amici e colleghi più cari da Girolamo Tartaglione, direttore Affari Penali del ministero di Giustizia (Roma, 10 ottobre 1978); a Emilio Alessandrini (Milano, 29 gennaio 1979); a Vittorio Bachelet, vicepresidente del Csm (Roma, 12 febbraio 1980); a Girolamo Minervini direttore del Dap (Roma, 18 marzo 1980); a Guido Galli (Milano, 19 marzo 1980).
Una ondata di sangue che spazzò via uomini coraggiosi e integerrimi come testimoniato nel vostro libro sia dall'articolo che scrisse proprio Tobagi in morte di Alessandrini che dalle parole trovate da Luigi Ferrarella nel suo intervento «La solitudine dei magistrati sotto tiro».
Ecco di solitudine vorrei ora parlarvi. Seguito il feretro di Minervini che era stato ucciso dalla Br sul bus che prendeva per andare al ministero (non voleva esporre a pericoli una scorta; oggi a sentire in tv nella trasmissione di Giletti che il posto di capo del Dap «fa gola» mi vengono i crampi, ndr) Beria come disse anche al presidente Pertini credeva che uno dei terreni per dare massima operatività alla lotta al terrorismo fosse quello di costruire un dialogo tra gli operatori dei due settori («..gli pareva che l' informazione peccasse di superficialità o di sensazionalismo...» cit. Franzinelli-Poggio. Storia di un giudice italiano, Rizzoli).
Nel giovane ma già così esperto e lucido Tobagi aveva trovato più che un prezioso interlocutore. Ma i riformisti non piacciono in questo Paese. E quella sera, mi raccontò papà, al Circolo della Stampa erano volati urla e insulti. Angosciato e molto amareggiato mi chiese chi era questo e quel tal collega urlante. Posso solo immaginare la tristezza dell' ultima notte di Tobagi. Ovviamente da cronista che poi ha seguito e intervistato negli anni ben noti brigatisti (dalla Braghetti a Gallinari) so bene che chi si espose insultando quella sera Tobagi non ha nulla a che fare con chi la mattina dopo sparò.
Non solo. Sono la prima ad aver fatto nella mia lunga vita di lavoro molti errori però mi domando: possibile che anche dopo 40 anni nessuno dei giornalisti presenti e urlanti dica almeno che quella sera aveva sbagliato? Amen.
Del resto, in queste ore di anniversari noto anche che tanti togati che dentro e fuori il Csm ostacolarono Giovanni Falcone non hanno mai avuto un minimo, laico ravvedimento.
Aprile 1992. L' ultima volta che parlai con Falcone mi chiese se gli editoriali che scriveva su La Stampa erano oggetto di critica. Sempre solitudine, a un passo dalla morte. Per il resto quei «non sono samurai» sono tutti più o meno a spasso; Benedetta Tobagi ha scritto parole d' oro in questo 40° anniversario; in memoria di quella generazione di uomini - giornalisti, giudici, servitori dello Stato - dell' inchiesta sugli ex vertici dell' Associazione nazionale magistrati con relative intercettazioni mi fa male solo a parlarne.
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gregor-samsung · 5 years
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Roma, 15 dicembre 1922. Alla riunione del Consiglio dei ministri, Mussolini denuncia le "esigue minoranze di politicanti", che non si rassegnano "alla assoluta irrevocabilità del fatto compiuto". Il fatto compiuto è il potere ai fascisti. Mussolini lo dimostra in fretta, a soli due mesi dalla marcia su Roma: si fa autorizzare, dal Consiglio dei ministri, ad agire con tutti i mezzi "contro tutti i promotori di turbamenti". Nella notte, si riunisce per la prima volta il Gran Consiglio del fascismo: un nuovo organismo si sovrappone al governo, ed avrà un ruolo "decisivo per la netta fisionomia che starà per prendere lo Stato fascista". Mussolini chiede ai dirigenti del partito "un determinato numero di uomini sceltissimi, che egli intende immettere come nuove, giovani energie negli organismi dello Stato". Si preannunciava la "fascistizzazione" dell'amministrazione statale. "Quale prospettiva aprisse" scrivono Salvatorelli e Mira nella 'Storia d'Italia nel periodo fascista' "apparve quando verso la fine dell'anno si seppe l'offerta (declinata) di una prefettura importante a Farinacci. Fu in questo primo Gran Consiglio del fascismo che fu determinata la costituzione, con elementi squadristici, della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, alle dipendenze dirette del presidente del Consiglio, e i cui componenti, a differenza di tutti gli altri corpi armati dello Stato, non prestavano giuramento di fedeltà al re: omissione giustificata più tardi (giugno 1923), al Senato, da Mussolini, precisamente col 'carattere spiccatissimo di partito' della Milizia stessa. Si istituiva così una milizia di parte, che il capo del fascismo avrebbe sempre potuto adoperare, all'occorrenza, al di fuori e contro le forze legali".
Walter Tobagi, Gli anni del manganello, (collana Sottoaccusa) F.lli Fabbri editori, 1973¹; pp. 8-9.
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gdsradio7 · 4 years
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Walter Tobagi a 40 anni dall’uccisione Per alcuni di noi giornalisti l'uccisione da parte delle Brigate Rosse del collega del Corriere della Sera, Walter Tobagi avvenuta 40 anni fa, è ancora vivo nella memoria.
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