#Vittoria Sella
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“Kanchinjinga”, silver gelatin print mounted on card, 1899.
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La guerra civile in Israele
Il mondo è impotente davanti al genocidio e l’implosione di Israele potrebbe essere la svolta. Netanyahu ha trascinato il suo paese sull’orlo del baratro e per salvarsi licenzia il suo ministro della difesa Gallant nel pieno di una guerra su più fronti. A Gaza ormai bombardano a caso macerie anche umane, in Libano sono bloccati al confine e passano il tempo a celebrare funerali nelle retrovie, la Galilea è in fumo sotto i colpi di Hezbollah e perfino l’attacco all’Iran è stato un fallimento clamoroso. La terza risposta missilistica che l’Iran starebbe per lanciare, ha proprio lo scopo di confermare una volta per tutte questo cambio nei rapporti di forza nella regione. Altro che Grande Israele, è già tanto se sopravvive quello piccolo. Ma torniamo a Tel Aviv dove la gente si è riservata in strada alla notizia del licenziamento di Gallant, non certo una colomba ma considerato perlomeno non uno psicopatico. I suoi rapporti con Netanyahu erano tesi da tempo, da quando Gallant ha condiviso i maldipancia dei generali dell’esercito per l’assenza di strategia e lo stallo a Gaza e in Libano. Apriti cielo, non c’è come la verità per mandare in bestia le vittime di deliri ideologici. Storia del secolo scorso, psicologia di sempre. Solo lo schianto li risveglia, ma quando è troppo tardi. Ed è quella la direzione in cui Netanyahu e i suoi ministri coloni stanno trascinando un paese sempre più diviso e sofferente a causa di questa guerra infinita e senza vie d’uscita. Nelle ultime settimane sono state arrestate presunte spie in tutto il paese e sono finiti dietro alle sbarre perfino membri dello staff di Netanyahu. L’accusa è quella di aver passato alla stampa documenti top-secret da cui emerge come pur di far saltare ogni trattativa con Hamas, Netanyahu ha mentito spudoratamente. Si è trattata di una congiura contro Netanyahu da parte suo stesso staff e che ha confermato quello che ripetono da mesi tutti tranne il giornalismo propagandistico: è stato Netanyahu e non Hamas a far fallire tutte le trattative per il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi e questo anche mentendo spudoratamente ai propri cittadini, alle famiglie degli ostaggi e al mondo intero. Uno scandalo che potrebbe portare alla fine politica anticipata di Netanyahu e l’inizio del suo calvario giudiziario. Al punto che il licenziamo del suo ministro Gallant a molti appare come un disperato tentativo per sviare l’attenzione pubblica e restare in sella. E non ci sono dubbi che Netanyahu proverà con tutti i mezzi leciti ed illeciti a mantenere le redini, sa che lo attende anche a livello internazionale un destino da criminale di guerra oltre che la vergogna eterna al posto della gloria. Quella di Netanyahu è una fuga che sta portando Israele verso l’autodistruzione, una deriva talmente pericolosa da aver fatto emergere due anime contrapposte. Entrambe sioniste ma una a livello psicopatico e l’altra più ragionevole. Gallant ed i capi dell’esercito appartengono a quella più ragionevole, mentre Netanyahu e i suoi ministri coloni a quella psicopatica e se dovessero macchinare oltremisura per restare al potere, si potrebbe arrivare ad un colpo di stato. Netanyahu ha molti oppositori politici anche di peso e l’esercito è stremato e senza una rotta, da mesi registra crescenti diserzioni e un numero di vittime anche mentali senza precedenti.
I generali sono poi consapevoli delle reali forze in campo e dell’assurdità di combattere su sette fronti senza nessuna possibilità di vittoria strategica. Ma il sionismo psicopatico si sveglierà solo schiantandosi e se non si arrivasse ad un pacifico trasferimento di poteri, non è da escludere neanche una guerra civile. Pur di salvare un paese sull’orlo del baratro, i sionisti ragionevoli dovranno infatti ricominciare a scendere a patti e negoziare e potrebbero essere addirittura costretti anche dalle pressioni internazionali a tornare ai confini del 1967 smantellando gli insediamenti come richiesto dall’ONU, a qual punto i sionisti psicopatici daranno i numeri scatenando una guerra civile che potrebbe sancire la fine di Israele come l’abbiamo conosciuta.
Tommaso Merlo
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09/11/1989)
Non è una data casuale, ma, per la Sinistra Italiana, la caduta del muro di Berlino rappresenta l’inizio della crisi di identità.
Con la successiva “discesa in campo di SilviodaArcore” (26/01/1994), sono appena trascorsi cinque anni, ma, nel frattempo, la nomenclatura dell’intera Sinistra (comunista, riformista, socialista, cattolica), ancora stordita dall’evento epocale in terra Germanica, resta basita davanti allo scorrere degli eventi che, come un fiume in piena la travolgerà.
L’illusoria vittoria dell’Ulivo e, la sua prematura scomparsa, sono la prova provata ed evidente, di una Sinistra ancora 800centesca, avulsa dalla realtà e in preda ad una crisi di nervi.
Non mi dilungo sui fallimenti e sul cannibalismo endogeno dei segretari del PD, lo stesso vale anche per le restanti forze politiche che sono ancor più a Sinistra del PD, ma, sulle difficoltà che vive la Sinistra in Italia.
Ho citato le due date (Berlino e “discesa in campo”), perché, ritengo, che siano la cartina al tornasole delle nostre difficoltà.
La caduta del muro, segnerebbe le fine delle ideologie (qualsiasi insieme di idee e valori sufficientemente coerente al suo interno e finalizzato a orientare i comportamenti sociali, economici o politici degli individui)- la “discesa in campo”, l’inizio di una nuova idealità (perfetto, ottimo, eccellente, desiderabile, migliore in assoluto, adeguato).
Se il muro è il male assoluto, la nuova idealità è lo strumento per nuovi italici valori. Poi, che in vent’anni di berlusconismo, la politica italiana si sia barcamenata tra processi, festini e puttane, poco importa. Il nuovo linguaggio politico è adeguato al contesto.
Sempre nel frattempo, tra antropofagia e onanismo della Sinistra italiana, mentre cantavamo Contessa e Bandiera Rossa, ci siamo trovati “leggermente” spiazzati di fronte al 30% del fascismo del terzo millennio, comodamente in sella a Palazzo Chigi.
Ed ancora oggi, mentre rivendichiamo l’assoluto antifascismo della Carta Costituzionale, incompatibile con i disvalori del predappiese, i soloni della Sinistra Italiana non hanno compreso il reale pericolo della revisione della medesima Carta, che, appena andrà in porto, non potrà più pregiarsi dell’appellativo di “antifascista”, vista la genesi della proposta di spiccata matrice Meloniana.
A ciò si aggiunga anche la spartizione degli incarichi della televisione di Stato, che trasformerà il servizio pubblico in teleMeloni, utile e necessario per la narrazione della Sinistra come parte fastidiosa della società, quindi un corpo estraneo di cui disfarsene, Orban docet.
Nel prossino futuro, dimessosi Mattarella, il nuovo garante della Carta Costituzionale - ex antifascista, sarà da cercare nelle volontà e nei valori del popolo sovrano, che, nell’ultimo trentennio di vita politica è rimasto silente e compiacente di fronte ai misfatti in quel di Arcore, così come nelle aule dei tribunali, o dinanzi a trentennali latitanze.
Ed allora giunge come un epitaffio l’intervento del P.M. De Lucia a Casa Memoria Impastato: «Le relazioni che esistono tra il mondo dello Stato e quello delle mafie sono complesse da sempre».
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Non si fa una tregua smettendo di combattere, tantomeno una pace, potrà sembrare paradossale ad alcune anime belle, ma le cose stanno così, devi esercitare tutta la tua pressione sul nemico per spingerlo a trattare, e chi molla per primo ha perso.
Donald Trump ha sbagliato tutto smettendo unilateralmente di armare l’Ucraina, in tal modo l’ha sguarnita, e Putin se la mangia facilmente, da questa posizione è difficile trattare, perché Putin dovrebbe voler contrattare con qualcuno per qualcosa che sta prendendosi da solo?
È molto meglio non iniziarla una guerra, ma dal momento che l’hai iniziata, e si spera che tu l’abbia fatto perché non avevi alternative, la devi portare fino in fondo: l’Ucraina non l’avrebbe mai iniziata questa guerra con le sue sole forze, se l’ha fatto è perché gli è stato garantito l’appoggio degli USA e dell’UE, altrimenti si sarebbe limitato ad atti terroristici e di sabotaggio.
Fin dal suo primo mandato Barack Obama si trovò costretto a continuare la guerra in Iraq e in Afghanistan ereditata dai Bush, perché un’uscita repentina avrebbe destabilizzato tutto il Medio Oriente.
Donald Trump, invece, durante il suo primo mandato ritirò le truppe dall’Afghanistan, “regalando” l’intera zona ai talebani e tradendo tutti coloro (donne e persone che credono nella democrazia) che si erano tolti dal collo il giogo del fondamentalismo musulmano.
Sguarnire il Medio Oriente dopo averlo messo a ferro e fuoco è stato un errore madornale, Putin ne trasse le conseguenze che gli USA erano in ritirata, non si sarebbero più impicciati degli affari altrui, e ne fecero la prova in Siria, dove le truppe russe spadroneggiarono cercando di rimettere in sella Bashar al-Asad, che sarebbe stato un fantoccio della Russia.
Avendo agito indisturbato in quella zona, Putin ne trasse la convinzione che gli USA non sarebbero intervenuti nemmeno in Ucraina o altrove, ma non fece i conti col cambiamento di passo in America, con la vittoria di Biden.
Forse sarebbe stato sufficiente per Putin minacciare un intervento americano diretto in caso di invasione russa, ma così non è stato, Putin ha voluto saggiare il nuovo arrivato ed è entrato in Ucraina.
Trump avrebbe potuto intervenire più efficacemente come paciere se avesse fornito ad entrambi i contraenti garanzie per una vittoria di immagine: a Putin la gloria di aver vinto una guerra ed aver conquistato dei territori che lui ritiene russi; a Zelensky la gloria di non aver ceduto e di aver dimostrato il valore in campo degli ucraini, ma soprattutto la garanzia che non succederanno nuovi attacchi futuri e che la pace sarà duratura.
L’aver ceduto subito tagliando la fornitura di armamenti ha fatto credere a Putin che poteva prendere di più, traccheggiare sui trattati di pace, e intanto prendere quanto più territorio possibile, in modo da poter dire che tutto ciò che è controllato dall’esercito russo è suo.
Questo non starà certo bene a Zelensky e agli ucraini, che saranno sempre più riottosi a capitolare a condizioni umilianti, soprattutto dopo tre anni di guerra, dopo aver combattuto valorosamente contro un colosso, migliaia di morti e di feriti, enormi disagi patiti, per portare a casa che cosa, che metà Ucraina è in mano russa?
Gli europei di Bruxelles questo lo capiscono, non tutti è vero, c’è chi ha i suoi interessi altrove che qui da noi, chi si è già fatto satellite e maggiordomo di un altro potere, però non so davvero cosa potranno fare per sostenere l’Ucraina.
Non ho molta fiducia nel complesso nell’operato di Trump, il primo buco nell’acqua l’ha fatto con la telefonata recente fra lui e Putin, ne farà altri: forse avrebbe dovuto fare l’ingegnere idraulico, e non il presidente degli Stati Uniti.
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PESARO NON SBAGLIA LA SELLA SI ARRENDE - 20.02.2025 - La Benedetto, dopo la vittoria esterna di domenica scorsa contro Vigevano, torna a difendere le mura di casa della Baltur Arena, affrontando un avversario di... 🏀 https://www.twinssebastiani.it/dettaglio.php?id=13035
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Car of the Year 2024 è Renault Scenic E-tech electric
Ancora un’auto elettrica sul gradino più alto del prestigioso premio Car Of The Year. Dopo la vittoria della Jeep Avenger nel 2023 e di Kia EV 6 nel 2022, è ora la volta della Renault Scenic che nella cerimonia di questa mattina al Salone Internazionale dell’Automobile a Ginevra ha ottenuto 329 voti contro i 308 sella seconda classificata, la Bmw Serie 5. Al terzo posto l’unico modello di…
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Ma la Norvegia lo sa?!
L'erede al trono é un Franckenstein
Fosse solo questo! L'erede al trono di Norvegia é un Franckenstein, come lo era anche l'Imperatrice Vittoria del Regno Unito, ma é soprattutto il figlio del mio vicino di casa, l'Alessi, si, proprio quello che da 20 anni continua a spararmi addosso i suoi taser elettromagnetici, alcuni dei quali fortemente cancerogeni perché contengono uranio Insomma, finalmente si è capito perché sta cercando di ammazzarmi: per sedere sul trono suo figlio, Haakon Magnus di Norvegia ("magnus" perché magna tanto o perché è cannibale?!) Questi nobili decaduti o che si sono messi nei guai per aver aderito al nazismo o, come nel caso dei Franckenstein, per averlo creato e sostenuto, sono equiparabili ai rami inferiori delle famiglie monarchiche: sono obbligati a fare la gavetta per rimettersi in sella! Nel caso specifico l'Alessi (nome che nasconde la vera identità, sarebbe simpatico se scopriste chi gli fornisce la copertura), in accordo con la chiesa ariana di sant'Agata, deve martirizzare dei santi per poter arrivare, insieme al figlio, a possedere nuovamente un trono Mi chiedo se i norvegesi sanno che il loro attuale principe ereditario è un nazista e salirà sul trono perché ha ucciso una santa e perché ne ucciderà altri
AUGURI !!!...

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ADESSO ASCOLTA
Hai passato anni a dirti cosa fare, quando farla, come farla e perché.
Hai passato giorni a pensare quale fosse il momento giusto, a dubitare delle tue capacità e dei tuoi ideali.
Non ti sei mai proposto per quello che sei veramente e non hai certamente pensato che la tua potesse essere una giusta causa.
La tua lotta è finita da un pezzo. La battaglia è giunta al termine e il tuo ego è fallito.
La vittoria sta a te prenderla, scegliere di vincere, scegliere di assicurarsi quella medaglia, quel premio, quella gloria, quel riconoscimento che tanto speri di ottenere, ma a cui non hai voluto attingere per paura.
Paura che qualcuno ti rifiutasse, ti giudicasse, ti parlasse dietro alle spalle...
Non importa.
Tutto questo non ha piú importanza
È piú importante che ora scegli di assecondare te stesso, di montare su quella sella e cavalcare il tuo nobile cavallo fino a quella benedettissima vetta.
Oh e non credere di non meritare la vittoria, di aver ingannato tutti per ottenerla e di aver sabotato gli altri per far si che questo accadesse.
Ognuno è responsabile della propria
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Palio di Siena 2023

Sono Tartuca, Chiocciola e Giraffa le tre contrade che a Siena saranno in prima fila per il Palio dell'Assunta del 16 agosto, che vanno ad aggiungersi alle sette, Aquila, Bruco, Drago, Istrice, Oca, Pantera e Torre, che correranno di diritto non avendo partecipato al Palio del 2 luglio. Come sempre le bandiere delle contrade estratte sono state collocate alle trifore del primo piano di Palazzo Pubblico a fianco di quelle che partecipano di diritto alla carriera, mentre le bandiere delle sette contrade non estratte o che devono scontare una squalifica si trovano alle finestre del secondo piano. Nel palio dell’Assunta saranno tre le coppie di rivali cioè Torre vs Oca; Pantera vs Aquila e Tartuca vs Chiocciola. Delle altre quattro solo l’Istrice non avrà la nemica in piazza, la Lupa, mentre Drago, Bruco e Giraffa non hanno inimicizie particolari, anche se tra queste ultime due la pace è stata firmata nel 1995, prima della vittoria di Barbicone l’anno dopo e dell’ultimo cappotto del secolo scorso, cioè quello della Giraffa del 1997. Anche stavolta la nonna del Palio d’agosto resta l’Aquila che non vince da 31 anni, seguita dalla Chioccola, anch’essa ferma dopo il 1999 e il Nicchio, che ha vinto l’ultima volta nel 1998 non sarà della partita. Il Palio è una grande manifestazione organizzata dal Comune di Siena, dove dieci Contrade su 17 corrono il Palio del 2 luglio, che sono le sette che non hanno corso il Palio del luglio dell’anno precedente a cui se ne aggiungono tre sorteggiate tra le dieci che lo corsero. L’estrazione avviene l’ultima domenica di maggio e, analogamente per il Palio del 16 agosto, l’ estrazione delle tre si tiene nella prima domenica dopo il Palio di luglio. Le 10 Contrade partecipano alla corsa del Palio con un cavallo che gli vene assegnato per estrazione a sorte da una rosa di cavalli selezionati tra quelli fisicamente idonei, mentre le prove di idoneità e l’assegnazione dei cavalli avvengono 3 giorni prima del Palio, la mattina del 29 giugno e del 13 agosto rispettivamente per i due palii, e prima del Palio si svolgono 6 corse di prova, una la mattina ed una il pomeriggio, durante le quali il fantino, scelto dalla Contrada, prende dimestichezza con il cavallo. Si può assistere alle corse di prova ed al Palio accedendo a pagamento alle tribune che sono stati sistemati attorno alla Piazza o alle finestre e balconi che vi si affacciano, oppure gratuitamente dall’interno della Piazza. La corsa del Palio è preceduta da un corteo, noto come Passeggiata Storica, a cui prendono parte oltre 600 figuranti in rappresentanza delle 17 Contrade e di istituzioni della antica Repubblica di Siena, che parte dalla Piazza del Duomo nelle prime ore del pomeriggio, e si snoda per alcune vie del centro cittadino prima di arrivare nella Piazza del Campo. Il Palio vero e proprio consiste nel percorrere per tre volte il giro della Piazza del Campo, opportunamente sistemata e attrezzata allo scopo, montando a pelo, cioè senza sella, il cavallo e il vincitore si aggiudicherà il Drappellone, simbolo dell’evento. Read the full article
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9 giu 2023 17:17
C’E’ PROFUMO DI SINISTRA - LA VICINANZA DI ALESSANDRO PROFUMO AL PD DIVENNE CHIARA NEL 2007 QUANDO ANDO’ A VOTARE ALLE PRIMARIE DEM IN COMPAGNIA DELLA MOGLIE SABINA RATTI, CHE ERA CANDIDATA NELLA LISTA “NOI CON ROSY BINDI” - CEMENTA UN RAPPORTO CON IL PD (NEL 2011 CIRCOLO’ ADDIRITTURA IL SUO NOME PER LA SEGRETERIA) CHE GLI PERMETTE DI “SOPRAVVIVERE” ANCHE DOPO LA CACCIATA DA UNICREDIT, DOVE ACCETTA DI DIMETTERSI CON BUONUSCITA DA 40 MILIONI DI EURO - POI VIENE SPEDITO A “SALVARE” MPS (E’ A PROCESSO PER FALSO IN BILANCIO) E POI A LEONARDO - I RAPPORTI CON D’ALEMA SUL COLOMBIA-GATE -
Estratto dell’articolo di Luca Fazzo per “il Giornale”
Il partito degli affari e gli affari di partito […] Così per capire il senso di quanto sta emergendo sul patto […] tra l’ex comunista Massimo D’Alema e l’ex banchiere Alessandro Profumo […] sulla vendita di armi di Stato alla Colombia bisogna tornare indietro al 1999, quando D’Alema - primo uomo di Botteghe Oscure approdato ai vertici delle istituzioni stava a Palazzo Chigi.
Permanenza breve, un anno e mezzo, ma sufficiente a lanciare la più disastrosa delle privatizzazioni italiane, la cessione di Telecom ai «capitani coraggiosi» guidati da Roberto Colaninno. Di quell’affare D’Alema fu l’artefice, con modalità tali da indurre uno che la sapeva lunga come Guido Rossi a un giudizio fulminante: «Palazzo Chigi è l’unica merchant bank dove non si parla inglese».
Da allora è stato un continuo […] arrembaggio […] della finanza privata e soprattutto pubblica. […] adesso a finire nei pasticci insieme a D’Alema […] è uno degli uomini che più hanno incarnato la nuova alleanza tra capitalismo (il solito capitalismo italiano, familistico e pasticcione) e post-comunisti: ovvero Alessandro Profumo, quattro quarti di know bocconiano e tessera del Pd in tasca.
Che Profumo fosse uno dei «loro», D’Alema e compagni lo avevano intuito già ai tempi in cui il manager stava alla testa del Credito Italiano e poi di Unicredit. Il primo outing ufficiale lo fece per interposta moglie, presentandosi nel 2007 a votare alle primarie del Pd in compagnia della moglie Sabina Ratti, che era candidata nella lista «Noi con Rosy Bindi».
Le aspirazioni della Bindi vengono travolte dalla vittoria di Walter Veltroni; Profumo si ricolloca in fretta, diventando l’interlocutore privilegiato della segreteria Pd nel mondo della finanza. È in quegli anni che si cementa un rapporto che permette a Profumo di sopravvivere professionalmente anche dopo la cacciata da Unicredit, dove gli azionisti chiedono la sua testa e lui accetta di dimettersi con una buonuscita da quaranta milioni di euro. Due milioni, annuncia lady Profumo in sella alla sua Ducati rossa, andranno alla Caritas.
[…] Il suo legame col Pd è così forte che nel 2011 circola il suo nome per la segreteria del partito, lui declina […] A marzo entra nel board di Srebank, banca di Stato russa, ma incombe la svolta vera: c’è da salvare la più antica banca italiana, il Monte dei Paschi di Siena, portata sull’orlo del fallimento dalla gestione del piddino Giuseppe Mussari. Per cambiare rotta il governo a guida Pd manda un altro del Pd: Alessandro Profumo. […] anche Profumo, dopo Mussari, si ritrova rinviato a giudizio per falso in bilancio.
Resta lì quattro anni, poi a salvarlo dalla pensione interviene un altro governo a guida Pd, che nel 2017 lo manda a amministrare Finmeccanica […] che […] cambia nome e diventa Leonardo. E lì, tornano utili i rapporti col vecchio compagno di partito Massimo D’Alema: con l’incarico «informale» di mediare l’appalto […] col governo colombiano. […]
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Afghanistan addio. E l’Italia non ha scuse di Enrico Calamai * Sono arrivato all’ambasciata a Kabul ai primi di settembre del 1987. Il blocco occidentale non riconosceva il governo fantoccio messo su dall’invasore sovietico a partire dal 1979, e a me erano state assegnate funzioni di Incaricato d’Affari a.i.. (...) Subito dopo l’invasione sovietica nel ’79, la resistenza afghana era stata organizzata da parte degli Usa, che la finanziavano, armavano e addestravano insieme a Pakistan e Arabia Saudita. La svolta sarebbe arrivata con la dotazione ai Mujaheedin del missile terra-aria Stinger, che era facilmente trasportabile, aveva una gittata di 5mila metri e aveva reso del tutto impraticabili le operazioni antiguerriglia condotte dai corpi speciali dall’Armata rossa a mezzo di elicotteri. I GRUPPI ARMATI ERANO 7, tra cui il più fanatico era quello finanziato dall’Arabia Saudita, che non faceva prigionieri: li decapitava sul posto. Vi faceva il suo apprendistato bellico un giovane e brillante Bin Laden. Gli europei facevano peraltro affidamento su Massoud, il Leone del Panshir, che pur essendo a sua volta un signore della guerra e quindi operando colle stesse regole degli altri gruppi armati, aveva studiato alla scuola francese di Kabul e sembrava meno fondamentalista degli altri. I Mujahiddeen erano ormai appostati nelle montagne tutto intorno a Kabul e ogni tanto sparavano colpi di mortaio contro postazioni sovietiche cui immancabilmente si rispondeva con i temibili Scud al cui boato si accompagnava l’improvviso, convulso ondeggiare del pavimento della nostra ambasciata. (...) La mattina dopo all’aeroporto era il si salvi chi può, colla folla che assediava gli sportelli. La destabilizzazione, perseguita da parte americana e occidentale, funzionava come un congegno di precisione. Lasciavo una Kabul in preda al terrore. ARRIVATO A ROMA, mi recai dal segretario senerale della Farnesina, cui comunicai la mia convinzione che il governo sarebbe presto crollato, richiamando quanto profetizzato da Najib, vale a dire che non era nell’interesse occidentale che l’Afghanistan cadesse in preda ai fondamentalisti. Mi venne risposto che risultava che il governo afghano godesse di ottima salute e mantenesse la presa sul territorio. Analoga risposta, sorprendentemente, ricevetti dall’allora ministro degli Esteri del governo ombra del Pci, on. Giorgio Napolitano, che mi spiegò con pazienza che la guerra civile era ormai finita e il governo afghano restava saldamente in sella. Il resto è noto. Dopo due anni i gruppi Mujahideen entrano a Kabul senza tuttavia riuscire ad impossessarsene. Ogni volta che uno di essi arriva al centro, gli altri 6 gli si coalizzano contro. Accade che un ministero spari contro l’altro. Najib può rifugiarsi nella rappresentanza delle Nazioni unite e continuare a lavorare per la sua mission impossible della riconciliazione nazionale. CI PENSA L’INGORDIGIA del mondo occidentale a porre rimedio al vuoto politico scientemente creato a Kabul. Con grande orchestrazione mediatica internazionale, entrano in scena i Talebani, minoranza fino a quel momento conosciuta per il fondamentalismo religioso e l’arretratezza dei costumi. Valga a titolo di esempio quanto segue: usi a camminare scalzi, si vantavano del numero di chiodi che riuscivano a piantarsi nel callo sotto i piedi: quanti più chiodi, più macho. Radicalmente omofobi, consideravano la donna buona soltanto per la riproduzione e i giovanetti preferibili per il piacere. I loro notabili si mostravano spesso in pubblico (difficile che non continuino a farlo) con un ragazzo rapito o comprato alla famiglia, la cui sorte nel diventare adulto era segnata: respinti dalla famiglia, emarginati dalla società erano (probabilmente lo sono ancora) condannati alla prostituzione o a morire d’inedia. Quanto sopra per dire che era materialmente impossibile che nel giro di pochi mesi da tale stato di arretratezza culturale i talebani fossero arrivati a pilotare gli aerei e a guidare i carriarmati con cui si espandevano a macchia d’olio, fino a impadronirsi del Paese. Più probabile che fossero i Pasthun dell’Isi (Inter-Services Intelligence) pakistano a provvedere alla bisogna, con accordo Usa e finanziamento saudita. IL VERO BAGNO DI SANGUE iniziò a quel punto e ne divenne emblematica la tragica uccisione di Najib, prelevato dalla sede delle Nazioni Unite contro il diritto internazionale, straziato e linciato pubblicamente, non tanto, si badi bene, per il suo passato prosovietico, quanto per la credibilità di moderato mediatore politico che aveva saputo costruirsi. E in Italia, ci fu chi pensò al riconoscimento del nuovo regime! Oggi, la storia si ripete con Usa e mondo occidentale, Italia compresa, nella parte che fu degli invasori sovietici, un governo fantoccio che ancora una volta si scioglierà come neve al sole, una nuova resa dei conti e un nuovo bagno di sangue, a meno che i talebani, con 20 anni di guerra sulle spalle, non abbiano imparato quella particolare regola del gioco, per cui ci si esprime pubblicamente da fondamentalisti e sottobanco ci si prodiga in nome del business. A pagare il prezzo, ancora una volta sarà il popolo afghano, le donne costrette, se vogliono sperare di sopravvivere, a tornare a chiudersi nel pregiudizio, i bambini che potranno imparare solo l’uso delle armi e il Corano. È DA SPERARE CHE L’OCCIDENTE – che dopo vent’anni e chissà quante migliaia di morti, si ritira quasi fosse una vittoria, gonfiando il petto con mielosi ammainabandiera – possa almeno non chiudere la porta in faccia ai disperati che noi stessi abbiamo costretto alla fuga per la vita. Per quanto riguarda l’Italia, non sarebbe poi male fare autocritica per aver violato l’art. 11 della Costituzione e chiedere perdono all’incolpevole popolo afghano per aver partecipato ai disastri di un’inutile invasione. * (Enrico Calamai (Roma, 1945), diplomatico italiano nominato ambasciatore a Kabul nel 1987, è noto soprattutto per aver salvato la vita, da vice-console in Argentina negli anni 70, a oltre 300 perseguitati dalla dittatura militare. Da allora è celebre anche come «lo Schindler di Buenos Aires»)
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26 dicembre 2020
È arrivato il momento di fermarsi un attimo e tirare un po’ di somme.
Non parto mai con idee precise di quello che voglio scrivere. A volte durante la giornata mi vengono in mente alcune cose ma non ho mai la prontezza di annotarle e tanto meno la capacità di ricordarle.
È passato il Natale, credo il più bello di sempre. Per molti è stato strano, triste, diverso dal solito, ma io ho avuto la fortuna di avere vicino tutto ciò che mi faceva stare bene.
Abbiamo pranzato a casa con i miei, poi sono scesi Giulia e Piero, siamo andati tutti e quattro a salutare le nonne e poi abbiamo passato una serata con tutti i miei amici, cosa posso chiedere di più di questo?
Ho visto i miei genitore sereni, la mia amata nonna contenta e sopratutto ho avuto accanto te che mi rendi così felice e mi fai sentire amata ogni in ogni singolo giorno e in ogni singolo istante.
Abbiamo raggiunto il nostro equilibrio e mi sento davvero libera di provare le emozioni che mi salgono da dentro.
Ieri prima di uscire a fumare una cicca ti sono saltata in braccio, in maniera così spontanea, mi hai detto che ti ha fatto molto piacere perché hai potuto notare quanto io fossi felice e hai appurato che stai riuscendo nel tuo intento nel farlo.
Siamo così simili in così tante cose, nel nostro modo di essere, nel modo di affrontare le cose, nel nostro attaccamento alle nostre fantastiche nonne, nel nostro modo di essere con le persone che amiamo, per l’impegno e l’amore che ci mettiamo in qualsiasi cosa facciamo. Per tutte le nostre coincidenze, dal neo sul piede, alla stessa ferita fatta nello stesso giorno nello stesso punto della mano, dai tatuaggi che abbiamo per le nonne alla quantità di cicche che fumiamo al giorno 😂
Questa mattina ci siamo svegliati abbiamo fatto una doccia, siamo usciti in terrazza e abbiamo guardato mio papà pulire la macchina, stava cantando sereno senza sapere di essere osservato, abbiamo riso tanto nel sentilo “intonare” quegli acuti imbarazzanti, ho avuto per un attimo gli occhi lucidi, non so se per le risate, per aver visto mio papà così contento o se perché in quel momento ci fossi tu accanto a me a goderci un momento del genere.
Mi dici sempre che se non ti avessi raccontato di cosa successe ormai 6 anni fa, tu non avresti mai pensato che mio papà andò via di casa.
Anche noi abbiamo ritrovato il nostro equilibro, sia lui e mia mamma, sia io e lui e io sono veramente felice di questo.
Ho abbassato la guardia anche con lui perché credo che se lo meriti, a modo suo sta dimostrando quanto ci tenga.
Poi ho avuto l’idea della bici, via in sella, abbiamo raggiunto il cimitero, ti ho fatto fare il percorso che faccio di solito io, un saluto a Enri, una cicca da Vani e poi dai nonni. Che personaggi.
È stato un po’ strano all’inizio, non è proprio una cosa così comune da fare, è una cosa che solitamente faccio da sola, ma poi è stato tutto così normale, è stato speciale anche questo, “presentarti” persone che hanno fatto parte della mia vita che purtroppo non ci sono più. È stato normale e speciale perché tu hai la capacità di fare e creare tutto questo, noi due insieme riusciamo a farlo.
Poi siamo andati nel nostro posto, quel magnifico posto, oggi risplendeva con la luce del sole, ho dato da mangiare ad un cigno come faceva il mio nonno poi siamo andati al ponte cercando di riprodurre la nostra prima foto, senza grande successo perché forse siamo così diversi rispetto all’inizio.
Prima mentre guardavamo Pocahontas sono rimasta colpita dal discorso di nonna salice delle increspature dell’acqua, “così piccole all’inizio poi guardate come si ingrandiscono”
Noi siamo così, siamo partiti da un tocco, da un puntino che si trasforma in un piccolo cerchio e ogni cerchio diventa sempre più grande. Noi diventiamo sempre più grandi. I nostri progetti e i nostri obiettivi lo diventeranno. La nostra relazione crescerà sempre di più.
Quel tocco è quel tuo messaggio partito come uno scherzo ma che nascondeva la verità, o forse quella sera, la prima sera dove ci siamo conosciuti. Ha poca importanza da dove siamo partiti, l’importante è ciò che siamo diventati e ciò che saremo in futuro.
Mi hai detto che ti piace la mia famiglia.
E io adoro la tua, la cena della vigilia è stata bellissima, adoro ascoltare i tuoi zii parlare dei loro viaggi, delle loro avventure nel mondo, guardare il loro entusiasmo, la loro complicità “ti ricordi?” quante volte se lo sono ripetuti, sembrava parlassero di un viaggio fatto 5 anni fa, invece era di 20 anni fa.
E io ascoltandoli non riesco a non immaginarci così, per le strade di grandi città a provare cibi mai provati prima, in campagne sperdute con piantagioni di riso in oriente, nelle spiagge bianche delle Maldive, sotto alberi di ciliegio in fiore in Giappone, nella savana circondati da bufali giraffe e leoni e spensierati per mano a camminare sopra le mie adorate piastrelle a fiori per i marciapiedi di Barcellona.
Non vedo l’ora di fare un viaggio con te.
Adoro tua mamma e l’amore che esprime quando parla di voi, adoro come dimostra di credere in voi e nei vostri sogni, rinuncerebbe alla vita per voi.
Amo te, quando mi parli di tua nonna, con tutta quell’emozione e quella fragilità, amo te quando piangi perché ti senti libero di poterlo fare al mio fianco.
Amo provare tutta quell’empatia come prima, mista alla mia immensa paura di perdere la mia nonna, amo anche piangere insieme a te, amo il modo in cui mi parli per farmi calmare dicendo cose fantastiche.
Amo te, i tuoi modi di fare, il modo in cui mi fai sentire, amata e protetta.
La fiducia che ho nei tuoi confronti perché come potrei mai dubitare di un uomo che mi guarda con quegli occhi, pieni di amore e volontà. Non butteresti all’aria tutto questo per una cagata, sei troppo intelligente per farlo.
Sai quanto sia importante per me la fiducia, quanto non siano ammesse le bugie, nessun passo falso, al primo sei fuori e mi pare che tu lo abbia capito.
Non sarò più la persona che ero un tempo, non passerò più sopra a nessun tipo di cosa che mi fa stare male perché io ora mi voglio bene davvero
Ormai è passato più di un anno dal Senegal, quel viaggio che io definisco “il viaggio che mi ha salvato la vita” quanto sono cambiata, quante cose sono cambiate, quante cose sono successe in questo 2020, un anno maledetto alla detta di tutti, un anno di svolta per me, di cambiamenti, anche di sconfitte, ma l’anno della mia vittoria più grande. Tu.
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Entro in enormi stanze vuote, vedo il paziente in lontananza nel suo letto, attraverso metri cubi di niente, gonfiati di follia, dove infiniti mondi coesistono, e, dopo prolungato viaggio nel silenzio, giungo nell’isola della disperazione, mentre il padrone ha già svegliato i cani e sguainato il coltello. Quando arrivo sono stanco e indifeso. Non so più cosa dire, né cosa fare. Mi conviene indietreggiare verso terra sicura, abbandonando questa scialuppa nel mare infinito. _______________ Se non hai mai provato il dolore psichiatrico, non dire che non esiste. Ringrazia il Signore e taci. _______________ Filippo, non trovi le parole per spiegarmi cosa ti succede e mi guardi con rabbia, attesa e rincrescimento, io, non trovo le parole per spiegarmi cosa ti succede, e non trovo le parole per tranquillizzarti. Filippo, sinceramente, tu sei qui, io sono qui, stiamo andando benissimo. _______________ Psichiatria è urla e pianto muto. Una volta nei reparti i pazienti urlavano di continuo, per anni. Ora urlano il primo giorno, il secondo un poco, il terzo tacciono. I farmaci – siano benedetti – hanno calato il silenzio sul mondo. _______________ io guardo l’abisso con gli occhi degli altri. _______________ Per diventare psichiatri basta avere un genitore, un nonno, un po’ matto, anche un pochino, e volergli abbastanza bene. I matti sono nostri fratelli. La differenza tra noi e loro è un tiro di dadi riuscito bene - l'ultimo dopo un milione di uguali - _______________ Penso che vada bene per te, Gina. Tu taci. Più silenziosa della lampada che sfrigola e del termosifone che singhiozza. Mi chiedo se vieni qui da tre mesi solo per il sorriso che hai intravisto la prima volta, quando sei entrata come una lenta folata d’aria, e hai alzato lo sguardo su di me. Non vuoi nulla di più di quel sorriso, Gina? Lo farai bastare per sempre? D’altronde anch’io sono qui solo per il sorriso che ho intravisto, la prima volta, quando sei entrata come una lenta folata d’aria, e hai alzato lo sguardo su di me. Cosa ci siamo detti in quell’istante, cosa ci siamo promessi, che ora ci accontentiamo del silenzio? _______________ I primi anni pensavo che la Vespa si guidasse con le braccia, poi ho imparato, come tutti, che la Vespa si guida col culo. Semplicemente si spinge di lato la sella, in orizzontale, e la Vespa segue istantaneamente il movimento. I primi anni pensavo anche che la vita si guidasse con la testa. _______________ Il mugugno ha i suoi canoni, è musica popolare. È un blues laico, che parla della fatica dell’uomo ma non cerca nessuna salvezza. È un blues interessato, perché dice: le cose mi vanno male, non posso darti nulla. È un blues bugiardo: quando un genovese si lamenta di qualcosa vuol dire che ha già in tasca la risposta. Lamentarsi è un modo frugale di cantar vittoria. Se un genovese sta veramente male, non si lamenta, tace. Il lamento del depresso è una battuta unica, ripetuta, greve. Dice: tu non c’entri, ma in qualche modo è colpa tua. Il mugugno è liberatorio: siamo uniti contro qualcuno, siamo sulla stessa barca. La musicalità è diversa, si riconosce alla prima sillaba. _______________ Ti hanno vista in una chiesa deserta, la mattina presto, su una panca a guardare in giro. Allora ti chiedo, Lucrezia: tu credi in Dio? Mi guardi sgomenta. Ogni crocifisso per te sanguina davvero, se guardi san Sebastiano senti le frecce entrare nella carne, non puoi pregare perché lo sguardo di Dio è reale e ti atterrisce. Io vorrei dirti: Lucrezia, prima guarisci e poi credi. Ma a te, che non guarisci mai, non resta che tentare di credere, tra il bisogno e la paura. Facile credere per i sani, che non credono a nulla. _______________ Luciano, per essere più forte del dolore, più forte della paura, più forte del rancore, ti sei fatto vento. _______________ Ieri ho sentito un corrispondente di guerra dire che noi europei viviamo in una bomboniera inconsapevoli dei drammi del mondo. Io conosco persone che passano la notte sotto i bombardamenti in vico Untoria, persone che la mattina scendono in trincea in via Venti Settembre, persone chiuse in prigioni senza alcun diritto in salita del Carmine, persone smarrite nel deserto a duecento metri dalla stazione Principe. _______________ Grave è la terra e grave è il tuo corpo, Giuseppina. Non scendi mai dal letto. Dal matrimonio di Piero non apri l’armadio dove dormono nel buio le scarpe buone. Per farti infilare le ciabatte ci vuole mezz’ora, un’altra mezz’ora per farti alzare, poi trascini i piedi, passo passo, e ci metti mezz’ora a circumnavigare il letto. Stai attaccata a quel letto come un naufrago all’isola in mezzo al mare. Davanti al letto sta l’armadio grande. Nella stanza ci sei tu, il letto e l’armadio grande. Nell’armadio dorme l’abito da sposa di tua madre col cappello del rinfresco e il vestito verde, viaggio di nozze sul lago di Como. Nell’armadio dorme la divisa da ferroviere di tuo padre, capostazione a Levanto. Dormono le foto in bianco e nero dei nonni contadini appoggiati alla vigna e le facce da fame dei genitori ai tempi di guerra. Dormono le foto della tua cresima al Lagaccio, cocktail al Righi, un compagno di scuola fa le boccacce. Dorme il tuo diploma di Magistrali e la firma della tua prima supplenza: alla D’Annunzio, parlavi di Pascoli, ricordi? La classe rumoreggiava, volavano aeroplanini, meglio sfuocare. Dorme il bustino con le stecche che un ortopedico maligno voleva farti indossare. Dorme una finta lettera d’amore che ti sei scritta da sola, e quella vera che hai scritto a Piero e non hai mai imbucato. Dorme la bomboniera del matrimonio di Piero, che ha avuto tre figli dalla Giusi. Dalla tua pancia sono usciti dieci figli immaginari che il Serenase non riesce a far rientrare. Sei stanca di queste gravidanze, senza padri, festa e battesimi. Giuseppina, dormi di fronte alla tua vita chiusa nell’armadio. _______________ Essere trascinati fuori dall’isola, alla luce, dopo vent’anni, non è cosa da poco, è un’esperienza terrificante, come essere spellati vivi. Ma c’è qualcosa che alla fine è più forte del terrore: la curiosità. In Reparto 77, finalmente in mezzo ad altre persone, per quanto strane, i Robinson Crusoe, dopo pochi giorni – senza farsene accorgere – spiano, osservano, scrutano, ascoltano. Non lo ammetteranno mai, continueranno ad accusarci di avergli rovinato la vita ma, appena ci allontaniamo, si divertono. Poi un giorno li troviamo a chiacchierare tranquillamente con un altro paziente. Dopo vent’anni. Noi facciamo finta di nulla, e anche loro. _______________ I pavimenti di marmo, i mobili antichi, il pianoforte: la tua mente vacilla ma il mondo intorno a te non si sbriciola, misteriosamente permane a sguardo alto. Pudicizia, pulizia, contegno, rispettabilità. Il decoro borghese, insgretolabile, è la tua salvezza, Lia. _______________ La sala d’attesa è un mondo, ed è già clinica: c’è molto da imparare. Lì l’aggressivo è aggressivo, l’ansioso è ansioso, quella è la realtà: la visita è una rappresentazione. _______________ Odi le donne, forse da giovane qualcuna ti ha respinto, e ora che hai l’eroina migliore della città e loro fanno la fila per soddisfare le tue voglie puoi ben goderti la vendetta. Perché almeno non ti lavi un po’? Più fai schifo, più loro si umiliano e più tu godi. _______________ Ma questa è la cosa bella del nostro mestiere: si passa dalla tauromachia a distendere la mano perché una farfalla in volo vi si posi leggera. _______________ Sulla soglia i miei occhi, senza che io volessi, ti hanno chiesto: chi sei? I tuoi, senza che tu volessi, hanno indicato la pioggia ai vetri. Ci siamo poi presentati l’un l’altra con parole di circostanza. Non servivano. Eravamo già complici, io e la tua tristezza. _______________ Andrea, stai nudo e immobile, senza difesa, alla gogna del lavoro, alla gogna degli altri, per portare alla famiglia i soldi del mangiare. Dov’è finito il tuo amor proprio? e il pudore, la tenerezza e il pianto? Giace in laghi sotterranei, di cui nessuno conosce la strada, in cui talvolta tu, badando di esser solo, scendi piano la sera a bagnarti con movimenti lenti e silenziosi. Non cercherò di conoscere i tuoi sentieri segreti, non cercherò di vedere come rinasce il rapporto con te stesso, ma quanto vorrei conoscere la fonte del sacro da cui sgorga l’acqua che spandendosi fa sacro il bosco e la montagna e il cielo, e ciascuno di noi. _______________ Filippo, tu hai bisogno di confini più che di ossigeno, perché l’identità è un confine. E così io, che sono anarchico per natura, sono costretto a costruire pareti. Prima dentro di te, come stanze in una casa. Poi tra te e fuori di te. E che siano muri spessi, belli alti. La libertà di abbattere i muri, la cerchiamo dopo. _______________ Anna, a colazione apri il frigo e urli: non c’è il latte! Io poi vado in ospedale e non riesco a capire le persone che si vogliono ammazzare, tanto sono turbato dalla tua rabbia perché non sono passato dal lattaio. _______________ Chiara, tu ti senti sola. È agosto, la vallata è tutta in amore. Non serve a nulla chiudere gli occhi, turarti il naso, tapparti le orecchie. Abbagliante è l’estate. Non sai dove andare. La voglia di vita del mondo ti uccide. _______________ A ogni delusione della vita ti ritiri nel tuo giardino segreto, costruito in anni di pena e di attenzioni. Brutta è la vita, mille rose ha il tuo giardino: c’è un frutteto seminato l’anno che ti ha lasciata tuo marito, c’è un orto di aromatiche coltivato la primavera che hai perso il lavoro e c’è un limoneto piantato quando tua sorella è partita, fuori stagione, è venuto bene lo stesso. Del tuo giardino segreto non hai mai detto parola a nessuno. Neanche a me. Ma è lí che vai quando non mi ascolti. Sono sicuro: ne sento il profumo. Come mi piacerebbe entrare e vedere, Chiara. E infatti mi avvicino, ma tu mi tieni fuori dal cancello, mi tiri i sassi. _______________ So tutto di te, Chiara. Ma non so che biscotti mangi la mattina e come ti lavi i denti, non so come russi la notte e come ti muovi nel letto, non so come ti puzza l’alito e come stropicci i piedi, non so cosa dici quando fai l’amore e come morsichi la lingua, non so come cammini sotto la pioggia, come accarezzi i gatti, non so che sguardo hai quando ti fermi davanti alle vetrine. Chiara, di te so solo cose senza importanza. _______________ Svegliami, prima di partire. Non farmi destare dal rumore della porta che si chiude alle tue spalle. Dal rumore dei tuoi passi mentre scendi le scale e dal colpo del portone che si chiude per strada. _______________ Resta una scarpa sul davanzale, una cicca ai piedi della ringhiera, un paio di occhiali sul terrazzino. _______________ Forse non è stato agire, ma cessare di resistere. _______________ Chi è triste esce poco di casa, e spende meno di chi è allegro. L’ideale per la società dei consumi è tutti allegri e nessuno triste. La tristezza è uno stato mentale eversivo. _______________ Temi che le medicine si impossessino della tua mente e per questo le rifiuti. Sbagli, Livia: è la depressione che si impossessa della mente, le medicine restituiscono la chiave al proprietario. _______________ Torno dal Pronto con una ragazza legata alla barella, Giulia la vede, le vengono gli occhi lucidi e protesta: la contenzione è un atto violento, toglie la libertà, va abolita e basta. Giulia, hai ragione. Ma la violenza e la libertà sono tematiche psicologiche, non psichiatriche. Il paziente psichiatrico in acuto non concepisce il significato di violenza e libertà. Per lui è più rilevante la tematica esistere o non esistere. Talvolta ha bisogno di essere contenuto per ricomporsi nella sua unità, percepirsi, vivere. _______________ Se mi chiedete un’immagine simbolica della Psichiatria d’urgenza è proprio il contenere, il riunire frammenti spezzati tra loro, mettere insieme mente e corpo, riunificare la persona, come un gesso rinsalda le ossa. Far di pezzi, uno. _______________ Io ho passato la vita a convincere migliaia di persone del fatto che erano malate ed era meglio che si curassero. Altri colleghi hanno passato la vita a convincere incliti pubblici teatrali del fatto che le malattie mentali non esistono. Facciamo lo stesso mestiere? _______________ Non bisogna dire che siamo tutti uguali, bisogna conoscere le differenze. _______________ Marcello, anche oggi passiamo davanti a Oncologia, guarda la piccola folla di pazienti: ogni giorno si rinnova. Che occhi, e che sguardi di attesa. Perché qui non ci chiamano quasi mai? Perché il male che noi combattiamo non è il dolore, la paura, la speranza che vacilla. Non è perdere la vita, ma perdere se stessi. Chi piange ha chiaro chi è. Solo chi è cieco e mostra gli occhi spersi vede fermarsi il nostro passo: è lui quello presso cui sediamo. _______________ Il desiderio nulla conta di fronte all’umore, è la banderuola sbattuta dal vento. _______________ La ragione non fa che ammantare di spiegazioni razionali ciò che l’umore ha già deciso. _______________ E dopo tanti anni mi ritrovo ancora qui, alle prese col dolore inutile. Dolore che non insegna, non rigenera, non rinnova. Non dolore di crescita ma di prigione. Non dolore di potatura ma di morte. Dolore che non finisce per guarigione, non finisce per necrosi e amputazione: non finisce mai.
Paolo Milone, L’arte di legare le persone
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LA SELLA SBANCA IL PALA ELACHEM - 17.02.2025 - La Benedetto XIV arriva a Vigevano dopo la vittoria di extra lusso contro Cantù, Vigevano, invece, una settimana fa ha perso uno scontro... 🏀 https://www.twinssebastiani.it/dettaglio.php?id=13020
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Può davvero avere un senso la "biodiversità bancaria", nonostante i ripetuti appelli delle autorità di vigilanza a unire le forze davanti alle sfide crescenti della disintermediazione bancaria, della sempre più accentuata competizione sul piano tecnologico (la digitalizzazione impone investimenti enormi) e, da ultimo, della discesa dei tassi di interesse che mangia i margini delle banche? La risposta - positiva - che quasi sfida le leggi di gravità per quanto è solida e da tempo ai vertici di tutte le classifiche per redditività, forza patrimoniale e brillantezza, è il Credito Emiliano. Banca "media", non certamente piccola, ma considerata a ragione l'esempio di quegli istituti di dimensioni ridotte rispetto ai colossi che fanno bene e vanno avanti prevalentemente per crescita interna
Dall’articolo "Credem, Sella & Co, dove resiste la biodiversità delle banche" di Vittoria Puledda
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