#Via degli Strozzi
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Ciao Bella Firenze
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GIAN LORENZO BERNINI: NETTUNO E TRITONE
Il cardinale Alessandro Damasceni Peretti Montalto, pronipote di Sisto V, era un uomo magnanimo e gioviale, un munifico committente tanto benvoluto che, alla sua morte, il pittore Giovanni Bricci (padre di Plautilla, futuro architetto) licenziò un libello molto apprezzato nel quale si tessevano le lodi di quello che, se non fosse mancato prematuramente – per una congestione – a poco più di cinquant’anni, avrebbe potuto diventare papa nel conclave del 1623, che vide poi invece eletto Maffeo Barberini.
Il cardinale Montalto, come tutti lo chiamavano, era figlio della nipote Sisto V e, ad appena quattordici anni, fu adottato dal prozio che lo creò così giovanissimo cardinale. La nonna di Alessandro, Camilla, era la sorella di Sisto V, colei per la quale fu coniato il modo di dire “Camilla, tutti la vònno, nessuno pija…”, nonché proprietaria del terreno che avrebbe poi ospitato la favolosa villa che, con lui, sarebbe divenuta la villa privata più estesa di Roma. Un posto che, a giudicare dalle incisioni e da alcune foto di fine Ottocento, doveva essere incantevole e che il cardinale, raffinato collezionista, arricchì con tante opere d’arte.
La peschiera Montalto era la più grande “piscina” di Roma e si trovava a due passi dalla casa paterna di Bernini (Via Liberiana), sua prima casa romana. A pianta ovale con diametri di mt 36,50x24,50 essa, secondo la descrizione di Giuseppe Bianchini a commento della tav. 194 del X Libro delle Magnificenze di Roma di Giuseppe Vasi, 1761: “Nasce dal clivo del colle Viminale […] a destra si alza, quasi custode della delizia, un Ercole colla mazza, e a sinistra un Fauno con una zampogna, come se volesse accrescere il delizioso mormorio delle acque. Gira attorno alla peschiera una balaustra con di marmo con dodici statue sopra, e fra una e l’altra tante tazze dalle quali si drizzano altrettanti zampilli di viva acqua verso il centro della peschiera. Nel sito più alto, ove spiccano più copiose le acque, si alza la statua di nettuno col suo tridente in atto di domare quell’elemento e ai lati in sito più basso le statue di Orfeo e di Mercurio…”. (In realtà le statue a decorazione erano sedici, tutte raffiguranti dèi pagani e imperatori dell’Antica Roma).
La peschiera, che fu ancora per l’Ottocento un acquario molto vario, aveva anche uno “scherzo”, uno di quei trucchi tanto apprezzati nel Seicento: uno scalino calpestabile che correva tutt’intorno alla vasca sotto il pelo dell’acqua così che, nel calpestarlo, bagnava le caviglie degli ospiti, e fu descritto come: “Uno scalino falso che inaqua un poco le gambe”.
La fontana-laghetto creata da Domenico e Giovanni Fontana ai tempi di Sisto V – le cui insegne ricorrevano sotto le statue della balaustra – fu “coronata” dal Nettunoberniniano per volontà del cardinale Alessandro, con un basamento che recava le proprie insegne: al momento della commissione, attorno al 1619, Bernini aveva appena 20 anni. Per Leone Strozzi, che aveva la propria villa vicina a quella di Monalto, suo padre Pietro aveva già licenziato alcune statue (e lo stesso Gian Lorenzo gli venderà, sebbene l’avesse scolpito per sé stesso, il San Lorenzo sulla graticola oggi coll. Contini Bonacossi presso Uffizi, Firenze) per le quali aveva in parte coinvolto anche il giovane figlio. Potrebbe esser stato dunque un “passaparola” tra ricchi mecenati a far sì che Montalto affidasse al giovane Lorenzo un gruppo da porre in piena vista nel suo fantastico giardino. Che il giovane avesse talento per i gruppi, il cardinale lo sapeva comunque avendo visto senz’altro il gruppo di Enea, Anchise e Ascanio (o Fuga da Troia) licenziato nel 1619 per il cardinale Scipione Borghese.
A Gian Lorenzo Bernini Montalto avrebbe commissionato tre opere in tutto: il Nettuno, il busto ritratto oggi ad Amburgo (1622) e il David oggi alla Galleria Borghese (1621-3).
Alcune incisioni mostrano come il gruppo del Nettuno e Tritone fosse posto a coronamento della peschiera che si ergeva all’estremità della proprietà, smembrata a fine ‘800 per far posto alla stazione Termini, nella parte più rialzata (l’unico edificio rimasto della villa, cmq modificato, è l’attuale Palazzo Massimo alle Terme): da lì si aveva una vista sopraelevata dell’abside di Santa Maria Maggiore, dov’era sepolto il prozio del cardinale, Sisto V, e dove Montalto stesso sarebbe stato prematuramente sepolto (sebbene il suo cuore si trovi in Sant’Andrea della Valle, i cui lavori di realizzazione aveva profusamente finanziato).
Il Nettuno ha una resa aspra, quasi ruvida, coerente con la destinazione all’aperto e l’esposizione alle intemperie: troneggia sulla vasca a gambe divaricate su una conchiglia, barba e baffi arruffati, quasi imbrinati di salsedine, e punta il tridente in basso con piglio deciso in un avvitamento turbinoso come il mare in tempesta che gli spazza il viso mentre il panneggio gli lambisce i fianchi come fosse al centro di un ciclonico mulinello.
Tra le gambe del dio spunta un tritone che con la sx si aggrappa al suo polpaccio sx, mentre con la dx tiene una buccina della quale pare ancora di udire il richiamo. Sotto al gruppo, l’acqua fluiva nel bacino sottostante formando una cascata su tre gradini.
Si è a lungo supposto che la fonte iconografica fosse da individuare in Virgilio, EneideI, 132 e segg., ma è più probabile che la fonte sia da ricercarsi in Ovidio, MetamorfosiI, 330-48:
“Cessò l’ira del mare, il dio delle acque depose l’asta tricuspide, chiamò il ceruleo tritone che sovrastava il pelago profondo con le spalle coperte di natie conchiglie e gli comandò di dar fiato alla conca fragorosa, per fare ormai, con quel segnale, rientrare i flutti e le correnti. Quegli prese la cava buccina tortuosa che va dal principio allargandosi in ampia spirale, la buccina che, quando in alto mare si empie d’aria, introna del suo suono i lidi che si stendono dall’oriente all’occaso. E anche allora, appena ebbe toccato la bocca del dio dalla barba stillante, e gonfia annunziò l’ordine della ritirata, fu udita da tutte l’acque della terra e del mare, e tutte le onde che l’udirono raffrenò e respinse. Il mare ebbe ancora le sue rive, i letti contennero i fiumi rigonfi, si abbassarono le correnti, si videro i colli riapparire fuori, sorse la terra, si ingrandirono le cose col decrescere delle acque e, dopo lunghi giorni, le selve mostrarono le loro cime, spogliate, e avevano ancora su le fronde il limo lasciato dai flutti. Il mondo era rinato.”
Rispetto al testo ovidiano, che Gian Lorenzo avrebbe letto a fondo di lì a breve anche per Apollo e Dafne, il suo Nettuno non ha ancora posato il tridente e sembra ancora piuttosto contrariato: Bernini lo rappresenta nell’acme dell’azione. Il tritone invece è stato reso abbastanza calzante al testo, e in esso vediamo un concetto che tornerà in tutte le sue fontane successive: l’acqua che emerge alla luce da un essere umano, mitologico o animale.
L’episodio ovidiano, che narra del mito di Pirra e Deucalione, trova corrispettivo nel racconto biblico del diluvio universale; la clemenza di Nettuno che, di concerto col fratello Giove, permette alla coppia di sopravvivere e rigenerare il genere umano, corrisponde al passo di Genesi: 8,1: “Or Iddio si ricordò di Noè, di tutti gli animali e di tutto il bestiame che era con lui nell’arca, e Dio fece passare un vento sulla terra, e le acque si calmarono.”
La pietasdivina che dopo il caos ristabilisce la quiete era allusione alla munificenza del cardinale Montalto, mentre il senso del contrasto tra l’agitazione di Nettuno e lo specchio piatto dell’acqua nella peschiera era chiaro: Nettuno aveva appena placato una tempesta per permettere che gli ospiti di Montalto potessero ammirare con calma i pesci che la popolavano e, in generale, il suo elemento.
Chi poteva aver suggerito un collegamento pagano-cristiano così sottile? Se è vero che il cardinale faceva segretamente parte dell’Accademia degli Intronati con lo pseudonimo di Profundus, è stato suggerito anche tuttavia il nome dell’allora cardinale Maffeo Barberini, da sempre appassionato di poesia, ma il quesito rimane senza risposta.
Nettunolasciò Roma parecchio tempo prima della demolizione di villa Montalto ormai Negroni: nel 1784 il ricco commerciante Giuseppe Staderini comprò la villa dai Negroni (che l’avevano acquistata a loro volta nel 1696) e iniziò una vendita sistematica di tutto ciò che essa conteneva, alberi compresi.
Tuttavia, da una lettera scritta da Raphael Mengs da Madrid nel 1767 al cav. D’Azara, deduciamo che forse i Negroni avevano già tentato di piazzare il gruppo berniniano: “Desidererei sapere quanto costerebbe il gruppo del nettuno del Bernini”. Non se ne fece evidentemente nulla se nel 1777 il viaggiatore De la Roque, in visita alla villa, affermò che Nettuno si trovava in una rimessa annessa alla peschiera, dunque già “smontato” in vista di un trasloco ma ancora a Roma. Dopo un periodo in custodia presso Villa Borghese, infine, nel 1786, il gruppo fu acquistato da sir Joshua Reynolds e venduto, dopo la sua morte, a Lord Yarborough nella cui famiglia è rimasto fino al 1950.
L’idea del Nettuno sarà ripresa da Bernini per il mai realizzato progetto della Fontana di Trevi al quale aveva dato principio sotto Urbano VIII Barberini poi abbandonato per mancanza di fondi, stornati sulla guerra di Castro: la prima idea prevedeva un complicato gioco architettonico e scultoreo dove sarebbe apparsa la Virgo della leggenda (colei che aveva permesso ad Agrippa e ai suoi soldati di trovare la fonte dell’Acqua Virgo che serve la fontana) mentre la seconda, se la prima non fosse piaciuta al papa, contemplava appunto la figura del dio marino.
Sotto Innocenzo X Pamphili Bernini rispolverò l’idea di una fontana sormontata da un Nettuno per la “terza” fontana di piazza Navona, dopo la Fontana dei Quattro Fiumi e il Moro: anch’essa rimase però irrealizzata per la sopraggiunta morte di papa Pamphili e quella che anche oggi non a caso ritrae il dio del mare (opera di Antonio della Bitta) mostra come l’idea di Bernini per essa fosse nota e tenuta in considerazione. Infine, l’idea del Nettuno fu ripresa da Salvi nella figura di Oceano che oggi vediamo proprio in trionfo nella fontana di Trevi.
di Claudia Renzi ©
In foto: Gian Lorenzo Bernini, Nettuno e tritone (Londra, Victoria and Albert Museum).
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Tutte le location di "Amici Miei Atto I": 2° tempo
Primo tempo Inizio Secondo Tempo Per i fiorentini DOC il film "Amici Miei" rappresenta un tassellino di cuore, non solo perché è girato a Firenze, ma anche perché vi si ritrova quello spirito, e quella malinconia, che il fiorentinaccio sente propria. Devo mettere subito in evidenza che il lavoro di trovare queste location non è tutto mio, ma per talune mi sono rifatto ad un blog che per quanto riguarda il cinema è davvero portentoso. Si tratta de il davinotti, un sito web che vi consiglio di andare a guardare e sfogliare. Chi è appassionato di cinema non può non leggerlo. In questo articolo sfrutto molto del loro lavoro e unisco a questo immagini e tecnologia. Attraverso Maps si possono raggiungere le varie location e vederle per come si presentano oggi e confrontarle per come erano allora. Ovviamente cliccate sul link in colore rosso. Proseguiamo... Eravamo arrivati all'ufficio del Prof. Fanfani dove il Melandri si lascia mollare tutto il blocco familiare.
Location 17 e 18: La prima location subito dopo è dove Melandri va a prendere a scuola i figli del Sassaroli e la seconda è un'altra tragica passeggiata con Birillo. Nel primo caso ci troviamo in via del Curtatone e la scuola è Villa Favart (Grazie a Gianni Degl'Innocenti Balsicci). Il treno Birillo invece strattona il Melandri ancora in Piazza Gulielmo Oberdan che ritroviamo come sede delle riprese per la seconda volta nel film. Se il blog il davinotti vuol aggiungere le due location si senta libero di farlo.
Location 19 e 20: Dopo un pranzo disastroso a casa del Melandri, fatto di sottocoppe di peltro, sformati sformati e bambine sottopeso i cinque amici, su diagnosi del Sassaroli, si dirigono a Santa Maria Novella dove a suon di schiaffoni ritrovano l'allegria. Una scena mitica che ogni buon fiorentino ha sognato di poter emulare almeno una volta nella vita. Nella scena successiva c'è di nuovo la Clinica del Sassaroli a Pescia, che è sempre la villa alla fine del viale Agusto Righi. Villa che adesso ospita splendidi appartamenti. Ovvio che il Sassaroli rimandi in corsia l'operando dato che ha un caso molto più urgente. Il caso urgente? Una zingarata no?!
Location 21: Partiti per la zingarata dalla Clinica del Sassaroli si ritrovano a Calcata Vecchia in provincia di Viterbo dove con esilarante ferocia abbattono il paesino per colpa dell'Ente Regione che vuol far passare proprio da li la nuova Autostrada delle Ginestre con annesso svincolo per la tangenziale Est. La scena si svolge in piazza Umberto I nel centro del paese. Esilarante il parroco che suonando le campane raccoglie i fedeli per parlare dell'imminente disastro. Lo si potrebbe definire un poco "farfallino", ma con il "politic corect" si è ridotto molto l'uso del linguaggio libero.
Location 22: Finito di distruggere Calcata Vecchia vuoi non ti venga appetito? I cinque si ritrovano allo "zoo" a vedere le donne come fossero animali, per poi decidere di andare a mangiare "dal Ramaiolo"; come sappiamo il Mascetti, pieno d'orgoglio, digiunerà. Il luogo dove è stata girata questa scena è stato trovato da Zender, l'Archivista del blog il davinotti. Zender si è recato addirittura sul posto per fare delle foto e per confermare la location. Si tratta di Sant'Ellero, nel comune di Pelago. Certo oggi il posto è cambiato, e non poco, ma sotto c'è ancora una fabbrica che Zender, oggi, attribuisce alla cartiera Carlo Brandigi. Chi sa se c'è ancora la "cicognona" con la coda di cavallo.
Location 23: In una nuova retrospettiva il Mascetti si dimostra geloso della Titti, convinto che abbia un altro uomo. In questa scena la Titti percorre via Monalda, provenendo da piazza degli Strozzi, e dallo sporto subito dopo il civico 4 sbuca il Mascetti che la pedina. La Titti raggiunge la sua meta che è l’albergo Porta Rossa, in Via Porta Rossa 19, subito in fondo a via Monalda. Si accorgerà il Mascetti che non è becco d'un uomo, ma di una donna, ed anche meglio della Titti.
Location 24 e 25: Il film fa una retrospettiva anche su come il Mascetti ha trovato il suo famoso scantinato. Si torna quindi nella zona dell'Isolotto in viale delle Magnolie all'angolo con viale dei Pini. Nella scena successiva, il Mascetti, schifato da quel groviglio di tette, culi e cosce, si è deciso a lasciare la Titti e a dedicarsi alla famiglia. Nella realtà, la notte stessa, si alza e se ne esce per trovare un telefono e chiamare la Titti. Lo si vede arrivare con la sua scoppiettante Oldsmobile da via Romana per fermarsi in Piazza San Felice al civico 4. Qui c'è (c'era) la famosa farmacia Pitti dove si svolge la scenetta del "tubetto di compresse di cefalo" (di cefalo, non contro la cefalea). Questa antica farmacia è purtroppo andata perduta recentemente come racconto in questo articolo, scritto quando ancora si cecava di salvarla.
Location 26: La casa dove il Mascetti si reca dopo la telefonata è quella della Titti, dove la ragazza vive con il vecchio genitore, il Colonnello Ambrosio, armato di doppietta. Anche per questa location va ringraziato il blog il davinotti, in particolare Sammo che ha scoperto che in realtà la casa della Titti è a Roma. Si tratta di Via Fulcieri Paulucci de Calboli. Il colonnello lo ritroveremo allo scantinato del Mascetti a comunicare alla povera moglie le malefatte del marito.
Location 27: La passeggiata "seria" con la Titti. Il Mascetti dopo ciò che è successo, la fucilata, il Colonnello che parla alla moglie e Alice che tenta di asfissiare tutta la famiglia con il gas, decide che deve interrompere la relazione con la minorenne Titti. Si fa prestare un vestito di Lucianino dal Perozzi e con un piglio degno di un funerale va alla scuola della Titti e con lei passeggia spiegandogli perché la relazione deve finire. La scuola della Titti è il Museo archeologico di via della Colonna, a Firenze, e il Mascetti è in attesa al numero 35 sempre di via della Colonna.
Location 28 e 29: Da qui parte la passeggiata che vede il "parlante" Mascetti e la muta e biascicante Titti in più scorci fiorentini. Read the full article
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A Perfect Day in Florence - An Itinerary!
Getting the opportunity to study abroad in Florence, Italy in the spring of 2023 was nothing short of a dream come true. Each day held a new adventure and there was always something to do. Whether it was exploring one of their many historic museums or churches, trying out a new restaurant for lunch, or shopping around the center of the city, there was never a dull moment. Since I was there for four months, I would definitely say I mastered the art of having a perfect day in Florence. I was there from January to May, and in March my family had the opportunity to come visit me for a week. They had never been to Italy or even Europe before, so I was determined to make their visit the best possible experience. I made an itinerary before they arrived and we had what I consider to be some of the most perfect days in Florence.
Hotel
In order to have the best experience in Florence, where you stay is an integral part of that. Florence is a very walkable city, however it is larger and if you were to stay outside the city, you would have more of a commute than one would want. Because of this, I urged my parents to find a hotel that was in the center of the city. They were able to find just that. They stayed at Hotel Pendini right in the heart of Florence. Located at Via degli Strozzi, 2, we were near all of the best shopping, many restaurants, and only about a ten minute walk from some of the historic sites. My family stayed here for the entirety of their trip and loved everything about the hotel. They had a complimentary breakfast every morning, a tea hour in the afternoon, and the staff was incredibly friendly and helpful if we had any questions. We would definitely recommend this hotel to anyone planning on going to Florence.
Itinerary
9:00 AM: Time to wake up! Because Florence is such a walkable city, you do not have to worry about cramming a bunch of activities into one day, you can still sleep in and have a jam packed fun day full of exploring this amazing city.
9:30 AM: Whether you want to take advantage of the breakfast at your hotel or walk to a cafe and grab a cappuccino and a croissant, the opportunities are endless. For us, we walked down to the hotel’s complimentary breakfast buffet and had a great breakfast there.
10:00 AM: After enjoying a delicious breakfast, we headed out and embarked on our journey for the perfect day in Florence. This began with a walk along the Arno River where you can see the many historic jewelry stores along the Ponte Vecchio, a famous bridge that goes over the river. As we make our way down, we stop at Rivarno Cafe and grab their famous lavender lattes as we continue on our journey to our next destination. Photo of the Ponte Vecchio over the Arno*
10:30 AM: After a beautiful walk, we arrive at the Accademia Gallery, where we plan to see the famous statue of David sculpted by Michelangelo. We specifically planned this to be done on a Sunday since we heard this was the least busy day of the week to go, and that was definitely true. The line only lasted about 15 minutes and then we were in. Obviously the David is the main attraction here at the Gallery, but there are also many amazing paintings and other sculptures from various different artists. We spent about an hour here just looking around at everything and were truly in awe.
11:30 AM: After going to the Accademia Gallery, we decided we wanted to do some shopping around the city. My mom and sister both really wanted to go to the Leather District in Florence, which has an excessive amount of leather goods, anyone can find something here. My mom was on the hunt for a leather jacket and my sister a belt. We spent about an hour looking around, haggling with the buyers, and they both ended up getting what they wanted. The smell of the leather filled the air and on our way out, we rubbed the nose of the pig statue, an omen meaning you will one day return to Florence.
12:30 PM: At this point, we were getting very hungry and needed to find somewhere for lunch. My family had some friends who had visited Florence, and they highly recommended the sandwich shop All’ Antico Vinaio. During my time in Florence, I had heard amazing things about this place and had seen the lines down the street, but I never actually tried it so I was very excited to see what all the hype was about. The streets were filled with people waiting to get into one of their four storefronts all on the same street. Thankfully the line moved very quickly and we were able to get our food in just under thirty minutes. We each got a “panino”, as they call them in Italy and they were all equally delicious. After our bellies were filled, we were on our way.
1:00 PM : Now that we were full and satisfied, we continued on our journey. My parents are very big into wine, so we decided to book a wine tasting tour for this day. Thankfully, the location of the bus to bring us to the tour was not far at all from our hotel so we were able to walk there. We loaded up on a bus and headed into the region of Tuscany to an amazing wine tasting site. It was a very private tour, only about 10 people including our instructor so we had a really great time getting to know all about the wines, taste some meats and cheeses to go along with it, and see all different parts of the Tuscany region of Italy. Our favorite wine ended up being the Chianti Classico and my parents bought three bottles to ship home for friends and family. This was a really cool and educational experience.
5:00 PM: By the time the tour was over and we arrived back at the bus stop, it was about 5:00. We walked back to our hotel and decided to have a little afternoon nap before dinner. Eating dinner occurs a lot later in the night than in the United States, so we had a good 2 hours before we had to be up and ready for our dinner reservation at 8:00.
7:45 PM: After a nice cat nap, we got ready and headed back out on the town to walk to our dinner spot for the night. We were having dinner at Osteria Filetto d’Oro at 8:00 and it was about a ten minute walk from the hotel.
8:00 PM: We arrived at our dinner destination for the evening and were greeted by the kindest people at the front of the restaurant. They brought us to our table, gave us complimentary bread, and brought us some of their finest wine. We each ordered a delicious meal which we enjoyed as we talked and laughed. At the end of the dinner, our waiter brought us a surprise… limoncello shots. This was definitely an acquired taste, but we drank them alongside our waiter who drank one as well. This was such a fun dinner and our meals were absolutely fantastic, as well as the service.
9:30 PM: Even though we were completely stuffed from our dinner, we knew we had a little bit of room left for dessert and there just so happened to be a gelateria right across the street from the restaurant. We stopped in and ended our night with incredible gelato and enjoyed it on our walk back to the hotel.
10:00 PM: We arrived back at the hotel around 10:00, after a very long jam-packed day and we were all stuffed from our meals and exhausted from the day. We got in bed early and got a great night’s sleep in anticipation of another perfect day in Florence ahead.
Not every day in Florence will be this jam packed, but trust me when I say there really is always something to see, eat, explore, in Florence and this is just one of the many "perfect" kinds of days you can have.
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Livorno: prorogata fino al 17 marzo la mostra "Pietro Annigoni. Pittore di magnifico intelletto"
Livorno: prorogata fino al 17 marzo la mostra "Pietro Annigoni. Pittore di magnifico intelletto". La mostra "Pietro Annigoni. Pittore di magnifico intelletto" in corso ai Granai di Villa Mimbelli e al piano terra del Museo Fattori è stata prorogata fino a domenica 17 marzo. Curata da Emanuele Barletti è la più ampia mostra antologica dedicata a Pietro Annigoni negli ultimi vent'anni, sulla scia della grande iniziativa monografica realizzata a Palazzo Strozzi a Firenze nel 2000 per celebrare l'artista dopo la scomparsa avvenuta nel 1988. Approfondimenti e scoperte inattese contribuiscono ad arricchire profili già noti ma pur sempre complessi e articolati. Anche questo appuntamento di Livorno si rivela un'occasione per proporre ulteriori analisi e riflessioni. Nei decenni centrali del Novecento, infatti, Annigoni, frequentava volentieri la città labronica dei vecchi e nuovi quartieri inscindibilmente legati al mare. Accanto a questa passione per il mare vissuta privatamente, nella mostra livornese emerge anche una dimensione pubblica che ha reso popolare l'artista. Annigoni era il pittore dei ritratti e anche degli autoritratti, banchi di prova delle proprie capacità tecniche ed espressive in gioventù e specchi dell'anima durante tutta la sua carriera. Celeberrimo è il ritratto che lo fece conoscere in tutto il mondo: quello fatto alla Regina Elisabetta II. L'esposizione è promossa da Comune di Livorno e Fondazione Livorno, con il patrocinio di Regione Toscana, la collaborazione di Fondazione CR Firenze e il contributo di Castagneto Banca 1910. ORARI venerdì, sabato e domenica: 10.00-13.00 / 16.00-19.00 INFO Museo Civico Giovanni Fattori Via San Jacopo in Acquaviva 65 57127 Livorno TEL. 0586 824602 - 0586 824607... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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"Giunti Odeon"
La nuova proposta culturale della Giunti Editore, inaugurata sabato 4 novembre 2023, è uno spazio di 1.500 metri quadrati dove libri, cinema, musica, arte e teatro, diventano una realtà integrata, armoniosa, spaziosa e bella.
Il concept 'Giunti Odeon' è stato realizzato all'interno dello storica sala cinematografica Odeon, in Via Degli Anselmi, Piazza degli Strozzi a Firenze.
L'innovativa, interessante e coinvolgente proposta culturale ospita una sala cinematografica con due schermi per le proiezioni, uno per la visione serale dei film, l'altro un led-wall per l'intrattenimento diurno e naturalmente una spaziosa libreria ricavata negli spazi della platea.
Un ampio spettro di proposte culturali renderanno attrattiva l'offerta che spazierà dalle presentazioni di libri agli incontri con ospiti italiani e internazionali, dalle mostre d'arte ai concerti, dalle letture ad alta voce, fino ai laboratori di lettura per i bambini.
Il cinema che ha na capienza di 198 posti a sedere, proporrà ogni sera spettacoli in lingua originale sottotitolati.
L'innovativo e interessante concept prevede anche uno spazio dedicato allo studio e alla lettura,
un cafè ristorante, preesistente già prima del passaggio a Giunti Odeon, rimasto negli stessi.
Il restauro e il rinnovamento del Palazzo dello Strozzino promosso dalla famiglia Germani, che gestisce il cinema dal 1936, è stato possibile in collaborazione con Giunti Editore.
Una eccellente iniziativa che fa della innovazione, la conservazione e la valorizzazioni di beni che sono patrimonio della Città.
Riccardo Rescio per I&f Arte Cultura Attualità
Giunti Odeon
Ministero della Cultura Città di Firenze Cultura Feel Florence
https://www.capcut.com/t/ZmFVx2AEU/
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"VOCI POSSIBILI" Laboratorio sulla vocalità contemporanea a cura di Monica Benvenuti & NicoNote Firenze, 20 > 22 settembre 2019 Nell’ambito del Tempo Reale Festival 2019, Y
VOCI POSSIBILI è un percorso di studio e di ricerca rivolto a cantanti, performer, compositori a cura di Monica Benvenuti & NicoNote alias Nicoletta Magalotti
➡ Per accedere al corso non sono richiesti pre-requisiti, non c’è selezione tuttavia è gradita una breve presentazione. Verranno accettate tutte le iscrizioni fino al numero massimo di partecipanti.
VOCI POSSIBILI | Laboratorio sulla vocalità contemporanea II
Nell’ambito del Tempo Reale Festival, Y e di Suoni e musica di ricerca – Formazione 2019
20 > 22 settembre 2019, Villa Strozzi VOCI POSSIBILI | Laboratorio sulla vocalità contemporanea II Un percorso di studio e di ricerca rivolto a cantanti, performer, compositori a cura di NicoNote e Monica Benvenuti Nell’ambito del Tempo Reale Festival, Y e di Suoni e musica di ricerca – Formazione 2019
Ecco un nuovo appuntamento di VOCI POSSIBILI, il percorso di studio sulla vocalità contemporanea iniziato a gennaio di quest’anno, ideato e curato da NicoNote e Monica Benvenuti in collaborazione con Tempo Reale. Rivolto ad allievi di provenienze culturali differenti, si propone di indagare la vocalità contemporanea servendosi di un approccio trasversale. La traiettoria d’indagine di questo corso di studi, vuole essere inclusiva della formazione sia accademica, sia empirica. Il percorso formativo è articolato in appuntamenti di workshop seminariali: il prossimo è previsto per il 20/21/22 settembre 2019, e un terzo appuntamento sarà programmato l’inverno prossimo. Ogni appuntamento di VOCI POSSIBILI è un momento di approfondimento e di studio nuovo ed indipendente, e non è necessario aver frequentato i workshop precedenti. VOCI POSSIBILI vuole essere un momento di studio e di riflessione, di indagine e approfondimento sulla vocalità contemporanea in maniera aperta, sensibile a contributi molteplici, focalizzati su temi che vengono individuati e proposti di volta in volta. Come in un arazzo ogni Voce è un filo che racconta una storia, porta in sé mondi e ne evoca altri. Andremo ad indagare queste vocalità molteplici, nel solco di quelle che si definiscono “extended vocal techniques”.
In questo secondo appuntamento si tornerà a lavorare su brani di John Cage, Kurt Weill, Luciano Berio, Sylvano Bussotti, e su altri che verranno indicati in progress. Si indagheranno partiture che richiamano molte voci, da mondi e fonetiche differenti e richiedono approcci vocali e territori espressivi diversi. Le insegnanti lavoreranno empiricamente nello spazio attraversando fisicamente frammenti di improvvisazione. Dall’analisi della partitura il vocalista giungerà a intercettare innanzitutto una propria aderenza quasi drammaturgica alla partitura, fino alle voci necessarie alla esecuzione. Una ricerca che soggiace allo strumento vocale.
Gli incontri si svolgeranno presso lo Studio B di Tempo Reale, via Pisana 77, Firenze. 20 settembre pomeriggio: ore 14-19 21 settembre mattina: ore 11-13 pomeriggio: ore 14-19 22 settembre mattina: ore 11-14
Costo: 140€
Per iscriversi è necessario inviare entro il 10 SETTEMBRE il modulo di iscrizione opportunamente compilato all’indirizzo: [email protected] accedere al Corso non c’è selezione. Tuttavia è gradito un breve cv. I posti sono limitati a un numero massimo di 20 partecipanti e a un numero minimo di 7. Il workshop non prevede la partecipazione di uditori. L’iscrizione si intende confermata solo se perfezionata dalla compilazione del modulo di partecipazione e dal pagamento anticipato della quota di iscrizione. Ove non si raggiungesse il numero minimo di partecipanti il Corso non avrà luogo e la quota di iscrizione verrà rimborsata integralmente.
+ info : www.temporeale.it
[programma] [modulo iscrizione]
– Note biografiche:
NicoNote e Monica Benvenuti sono due vocaliste, colleghe nel campo dello spettacolo vivente.
Entrambe si occupano di ricerca del suono e della voce da molti anni con percorsi artistici originali e peculiari. Si sono incontrate dieci anni fa al Teatro dell’Elfo a Milano ospiti del festival “Cantami, o Diva”, originale rassegna sulla vocalità contemporanea.
Monica Benvenuti cantante fiorentina, laureata in lettere e filosofia, nei primi anni della sua carriera si è dedicata prevalentemente al repertorio barocco e classico; in seguito ha sviluppato un interesse specifico per la musica del Novecento e contemporanea, che l’ha portata a esplorare le potenzialità della voce umana in rapporto ai diversi linguaggi, dalla recitazione al canto lirico, attraverso molteplici livelli espressivi.Ha tenuto concerti in Germania, Francia, Spagna, Belgio, Repubblica Ceca, Ungheria, Svezia, Giappone (Tokio, Suntory Hall), Brasile, Stati Uniti, spesso interpretando musiche a lei dedicate. Nel 2004 e’ invitata da Sylvano Bussotti come protagonista de La Passion selon Sade presso il Teatro de la Zarzuela di Madrid, con la direzione di Arturo Tamayo. Sempre di Bussotti interpreta ancora: nel 2007 l’ opera Silvano-Sylvano, presso l’Accademia di S. Cecilia, in un ruolo scritto per Lei, nel 2008 la prima esecuzione assoluta delle musiche per Rara Film, nel 2013 Furioso di Amneris, Ulrica, Eboli, Azucena e delle streghe, per voce e orchestra, nella Stagione dei Pomeriggi Musicali di Milano, replicato a Lugano nel 2016. Ha cantato all’Opera di Roma nel balletto con la regia di Beppe Menegatti, Georg Trakl e la sorella Grete, rivelazione e declino, come cantante e attrice, a fianco di Roberto Herlitzka. Nel 2007 è protagonista della prima assoluta di Beards del drammaturgo belga Stefan Oertli, eseguita, tra l’altro, al Theatre de la Place di Liegi e al Bozar di Bruxelles.Dopo varie esperienze di teatro musicale, debutta come attrice nel monologo “Non io” di Samuel Beckett, con la regia di Giancarlo Cauteruccio (premio dei critici italiani 2006). Negli ultimi anni ha interpretato Acustica, Pas de Cinq e Der Turm zu Babel di Mauricio Kagel, Como una ola de fuerza y luz di Luigi Nono, diverse edizioni del Pierrot Lunaire di Arnold Schoenberg, nonché moltissime opere vocali di John Cage e Le Marteau sans maître di Pierre Boulez. Ha inciso per Arts, Materiali Sonori, Nuova Era, Sam Classical, ARC Edition, Ema Records, Sheva Collection.(www.monicabenvenuti.com)
NicoNote progetto artistico e alias creato nel 1996 da Nicoletta Magalotti, italiana-austriaca con base nella felliniana Rimini, cantante, performer, compositrice. Artista trasversale, non definibile nella sua unicità produce una cifra personalissima nelle sonorità e nei formati. La sua formazione passa attraverso maestri come Yoshi Oida, Akademia Ruchu, Roy Hart Theatre, Gabriella Bartolomei. Agisce in territori molteplici legati alla musica, al teatro, alle installazioni, al clubbing. Ha all’attivo tour musicali e teatrali in Italia e in tutta Europa, Canada, Argentina, Brasile. A metà degli anni 80 è stata la voce della band Violet Eves, protagonista della new wave italiana con l’etichetta indipendente IRA records di Firenze, insieme a Litfiba, Diaframma, Moda, Underground Life. Negli anni 90 insieme al dj David Love Calò cura un privèe/installazione (all’interno della roboante disco Cocoricò) il Morphine, luogo di radicali sperimentazioni musicali e performative.Nel suo peculiare percorso trasversale è stata diretta più volte da registi quali Romeo Castellucci / Socìetas Raffaello Sanzio, Francesco Micheli, Patricia Allio, Maurizio Fiume, Fabrizio Arcuri e altri, ha collaborato con musicisti di estrazione molto diverse da Patrizio Fariselli degli Area a Mauro Pagani, dai producer house Mas Collective a Teresa De Sio, da Dj Rocca a Piero Pelù e Andrea Chimenti a Ghigo Renzulli, da Roberto Bartoli (Tommaso Lama, Steve Grossman) a Stefano Pilia da Bart Sailer (Wang Inc) a Luca Bergia (Marlene Kuntz) e Davide Arneodo (Perdurabo, Marlene Kuntz), da Enrico Gabrielli a Elisabeth Harnik (Joëlle Léandre) e altri. Una discreta discografia attraversa il suo percorso dal 1985 ad oggi, con varie sigle Violet Eves, Nicoletta Magalotti, AND, Dippy Site, Slick Station e svariati Featurings. A firma NicoNote gli album Alphabe Dream (Cinedelic 2013) poi Emotional Cabaret (Doc Live 2017), l’album “segreto” interamente dedicato a riletture dei Violet Eves, dal titolo Deja V. (Mat Factory 2018). Recentemente ha debuttato a WeReading Festival Itinerante con una lettura sonora dedicata ad Amelia Rosselli. In uscita CHAOS VARIATION V a firma NicoNote & Obsolete Capitalism Sound System (Rizosfera/ RoughTrade 2019) un progetto tra elettronica e filosofia con dediche ad Artaud, Bussotti, Deleuze-Guattari.(www.niconote.net
+INFO:
https://temporeale.it/formazione/voci-possibili-laboratorio-sulla-vocalita-contemporanea-ii/?fbclid=IwAR1F8ySWGI7KICxqMlsjQLneEmzX55nFJvmgsmEbq9DliSNj_j9cjGjvsns
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Saremo in piazza per respingere Salvini e la sua propaganda fascista", era scritto in una nota degli organizzatori firmata Iam - Iniziativa antagonista metropolitana, Cua, Collettivo universitario autonomo e Cas, Collettivo antagonista studentesco e e Collettivo femministe Spine nel fianco. ...
a Firenze dove si sono radunate oltre 2000 persone per protestare contro la presenza del vicepremier e ministro dell'Interno Matteo Salvini che ha tenuto un comizio in piazza Strozzi. . Già molto prima che Salvini arrivasse sul palco circa trecento giovani hanno cercato di sfondare il cordone della polizia sotto l'arco che da piazza della Repubblica porta in via Strozzi, a un centinaio di metri dal palco della Lega, dove insieme al vicepremier c'era il candidato a sindaco per il centrodestra Ubaldo Bocci. I primi due tentativi sono stati respinti con cariche di alleggerimento, poi quando i manifestanti si sono fatti più minacciosi, gli agenti hanno iniziato a caricare con più decisione per respingerli. Alla fine sono state sei/sette le cariche con qualche poliziotto contuso così come qualche contuso si è registrato tra i manifestanti. . In realtà la stragrande maggioranza dei manifestanti, portavano cartelli e striscioni anche ironici, mentre in testa ai manifestanti uno striscione esplicativo: 'Dopo il Matteo di Rignano, cacciamo il Matteo Padano. Firenze non si Lega', e qualche foto di Salvini a testa in giù. Non pochi anche coloro che sono arrivati in piazza con la maschera di Zorro sul volto. I più agitati, mentre piazza della Repubblica si stava svuotando, alla fine del comizio del vicepremier e leader della Lega, sono partiti in corteo, cercando poi di tornare verso piazza Strozzi, dove Salvini è rimasto a lungo per fare i selfie con i militanti per poi tornare in piazza della Repubblica dove hanno organizzato un presidio.
Sempre alta la tensione a Firenze per la manifestazione organizzata in piazza della Repubblica, nel centro storico della città, contro la presenza di Matteo Salvini che sta tenendo un comizio nella vicinissima piazza Strozzi. C'è stata una sesta carica della polizia per impedire che un gruppo di alcune decine di manifestanti riuscisse a raggiungere il luogo dove stava parlando il leader della Lega.
C'è stato anche un lancio di bottiglie e lattine. La manifestazione di protesta era stata annunciata nei giorni scorsi da alcune sigle della sinistra e dei collettivi: 'Firenze non si Lega!' lo slogan scelto. «Saremo in piazza per respingere Salvini e la sua propaganda fascista», era scritto in una nota degli organizzatori firmata Iam - Iniziativa antagonista metropolitana, Cua, Collettivo universitario autonomo e Cas, Collettivo antagonista studentesco e e Collettivo femministe Spine nel fianco. Stasera, tra le bandiere in piazza Repubblica, anche quella europea sventola da cinque-sei manifestanti. Tanti gli slogan, anche ironici e più di una manifestante ha la maschera di Zorro.
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Facciata del Palazzo del Signor Luigi Centurione marchese de morsascho (Palazzo Podestá o Nicolosio Lomellini) [Palazzi di Genova, Pietro Paolo Rubens, Palazzi Moderni di Genova raccolti e designati da Pietro Paolo Rubens, ed. Anversa 1652] Visto il successo incontrato dall'edizione del 1622, ne fu poi pubblicata una seconda: ai dodici palazzi illustrati in precedenza ne vennero fatti seguire altri diciannove, documentati solo da piante e facciata, ma non da sezioni. Completano questo secondo volume i rilievi di quattro delle più importanti chiese cittadine tra cui, non a caso, quella dei Gesuiti. Il palazzo qui raffigurato prospetta sull'odierna via Garibaldi, l'antica Strada Nuova: costruito tra il 1563 e il 1569 per Nicolosio Lomellino, fratello di Bartolomeo, venne acquistato nel 1609 da Luigi Centurione, che fu committente degli affreschi a Bernardo Strozzi. #architettura #architecture #archilovers #barocco #baroque #rubens #palazzideirolli #genova #genovamorethanthis #rollidays #italy #ig_genova #viagaribaldi #rolli #art #beniculturali30 #genovagram #museidistradanuova #igersliguria #travel #lamialiguria #palace #ilsecoloxix #italia #superbarocco #PieterPaulRubens #ScuderieQuirinale #ScuderiedelQuirinale #roma #rome (presso Scuderie del Quirinale) https://www.instagram.com/p/CfMVJ1ColdF/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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Palazzo Strozzi, Florence, Italy.
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14) Il sorriso di Monna Lisa
FIRENZE, estate 1944
Lisetta faceva la fornaia in via degli Speziali, quasi all’angolo con via de’ Calzaiuoli. La chiamavano Lisetta da quando era bambina, ma aveva passato la trentina e, anche se nell’aspetto non li dimostrava, le vicissitudini familiari e gli anni di guerra l’avevano segnata profondamente. Suo padre non era più tornato dal fronte durante la Grande Guerra, ufficialmente disperso insieme a tanti altri; Lisetta era una bimba ancora attaccata alle sottane della mamma e a stento ricordava quell’uomo buono e smilzo che le faceva fare “vola vola” e le permetteva di giocare imprimendo le impronte delle manine sulla farina, soffice come una candida nuvola. Solo queste cose ricordava, poi non c’era stato quasi più nulla di bello da ricordare: la mamma non aveva avuto più tempo di prenderla in braccio, perché da quando suo padre era partito soldato si era occupata a tempo pieno del forno, aiutata da Luciano, il suo fratellone, che al tempo era solo un ragazzino di tredici anni. Così Lisetta era cresciuta praticamente in bottega, tra i sacchi di farina e le dormite nella brandina scomoda dello stanzino sul retro, quando la mamma preparava l’impasto e poi dopo si stendeva accanto a lei per riposare qualche ora, in attesa che si compisse la magia della lievitazione naturale. Allora, in silenzio, ben prima che l’alba salutasse il nuovo giorno, la mamma si alzava dal giaciglio e, insieme a Luciano, infornavano le pagnotte. Lisetta ormai era abituata e si svegliava con il profumo buono del pane appena sfornato, caldo e invitante come l’abbraccio della mamma. Anche quello, l’abbraccio della mamma, le era mancato troppo presto: aveva solo dieci anni quando, nel 1920, la febbre spagnola se la portò via in pochi giorni: il fisico, già debilitato dal lavoro e dai dispiaceri, cadde come un tenero giunco sotto la falce della grande mietitrice. Lisetta era una bimba forte, così le dissero tutti, vedendo come affrontò il lutto con grande compostezza, senza versare neanche una lacrima e riprendendo subito ad andare a scuola e ad aiutare Luciano in bottega. Ormai erano rimasti solo loro due, non c’era tempo neanche di fermarsi a piangere; la vita doveva andare avanti, nonostante tutto.
Nell’estate del 1944 Firenze era quasi una città fantasma: ancora parzialmente occupata dai tedeschi, sventrata dai bombardamenti, i ponti distrutti, quasi tutti gli uomini chiamati alle armi. Luciano era stato ferito in battaglia un anno prima ed era stato congedato, non era più utile all’esercito con una gamba deturpata da una granata, ma era stato contento di tornare a casa e dalla sorella Lisetta. Ufficialmente non era più buono per imbracciare le armi, ed era stata quasi una fortuna: già prima dell’armistizio detestava combattere per quell’esercito che obbediva a ordini e ideali che ormai aborriva. Era tornato a Firenze, dove gli alleati non erano ancora riusciti a sfondare e, nonostante il controllo tedesco, teneva occhi e orecchie attente. Amava la sua patria e in segreto aveva aderito al Comitato di Liberazione Nazionale, principalmente passando informazioni, tramite una rete di passaparola, ai partigiani nascosti subito fuori città.
Lisetta in bottega stava principalmente al banco di vendita: le derrate alimentari scarseggiavano ma i tedeschi, che avevano sequestrato i mulini, facevano in modo che le scorte di farina non mancassero, perché il pane lo consumavano anche loro e lo volevano fresco tutti i giorni, ovviamente per le tavole degli ufficiali. Che la truppa mangiasse pure quello raffermo. Le forniture di farina arrivavano quindi abbastanza regolarmente e il forno di Lisetta, così come le zone limitrofe, era presidiato quasi sempre da alcuni soldati che controllavano le strade, ma Lisetta sapeva come renderli buoni. Donna ormai matura ma non ancora sfiorita, aveva sempre cura di mostrarsi con qualche bottone della veste aperta sul generoso petto; i capelli, spesso raccolti nella cuffia, facevano sfuggire alcune ciocche voluttuose, e gli occhi scuri intelligenti, contornati da lunghe e folte ciglia, osservavano con attenzione. Dispensava sorrisi a tutti, ma soprattutto ai soldati tedeschi, aggiungendo ogni tanto alla fornitura di pane un semplice dolce appena sfornato, come omaggio personale. Questo le aveva permesso di entrare in confidenza con alcuni soldati e, con il passare dei mesi, e l’aiuto di alcuni di loro che conoscevano un rudimentale italiano, aveva imparato un po’ di tedesco. Questo le consentiva di ascoltare, con fare distratto, anche alcune conversazioni “riservate”, che poi riferiva a Luciano. Certo, alcuni avevano preso un po’ troppo alla lettera la sua cordialità, scambiandola per disponibilità, e si erano fatti più disinvolti, allungando le mani più volte in zone proibite. Lei, molto cinicamente, li lasciava fare, tanto ormai non credeva più nell’amore. Non c’era spazio per quel sentimento in periodo di guerra, e anche se in passato aveva donato la sua femminilità ad alcuni giovani, non era mai stata davvero coinvolta sentimentalmente.
Solo ad una persona sembrava che i suoi sorrisi non facessero effetto: il comandante Kesser, con il suo profilo spigoloso e lo sguardo di ghiaccio, sembrava sempre trafiggerla e passarla al setaccio, come se cercasse qualche difetto in quel suo fare disinvolto, nonostante la situazione così seria. Lo vedeva di rado davanti al forno, ma lo incrociava spesso in piazza della Signoria, dove andava a ritirare la farina, e lo trovava intento a dare ordini in tono secco ai suoi uomini. L’ufficiale nazista la salutava rigidamente con un segno del capo e lei, nonostante tutto, provava uno strano turbamento nell’incrociare quegli occhi di un azzurro purissimo. O forse era solo la paura di essere scoperta nelle sue attività a favore dei partigiani. Il suo forno ormai lavorava quasi solo per il contingente tedesco, che aveva occupato Palazzo Strozzi; manteneva costanti le forniture per i nazisti ma ogni tanto riusciva a mandare anche delle piccole scorte di pane, tramite Luciano, ai partigiani nascosti nei boschi tra i colli. Oltre, ovviamente, a informazioni che otteneva dalle conversazioni in tedesco che riusciva a carpire e capire, almeno in parte.
Un giorno la fornitura di farina arrivò che era già buio pesto, perché i convogli con le vettovaglie erano stati attaccati durante il tragitto in un'imboscata da parte degli alleati asserragliati fuori città, e parte delle scorte erano andate perdute. Luciano non c’era: spesso la sera, dopo aver preparato l’impasto, si allontanava furtivamente per incontrarsi in periferia con un gruppo di partigiani. Lisetta prese quindi il camioncino scoperto, si presentò al punto di consegna, due sorrisi ammiccanti ai soldati preposti e i sacchi furono prontamente caricati sul mezzo. Il tragitto era breve ma i sacchi erano grandi. Arrivata davanti al forno si presentò la necessità di scaricarli: lei era in forze, ma pesavano comunque venti chili l’uno. La strada era deserta e poco illuminata, nessuna ronda al momento; peccato, si sarebbe fatta aiutare volentieri dal soldatino di turno. Con pazienza cominciò a scaricare i sacchi di farina, trasportandoli all’interno della bottega. A un tratto sentì un vociare in lontananza, drizzò le orecchie e poi vide sbucare da via dei Calzaiuoli un gruppo di ufficiali nazisti, sicuramente reduci da una cena innaffiata con tanto Chianti in una delle vicine trattorie. Vociavano e cantavano, barcollando. Si, erano mezzi ubriachi. Due di loro sembravano tuttavia impassibili a quelle manifestazioni goliardiche: Kesser camminava impettito, le mani dietro la schiena, chiacchierando con un altro ufficiale, anche lui molto composto. Lisetta, intenta a scaricare i sacchi, drizzò le orecchie, ma il vociare chiassoso degli altri non le faceva capire nulla. Le passarono accanto senza degnarla di uno sguardo. Tutti tranne Kesser, che si fermò e fece un cenno all’ufficiale che gli stava accanto, invitandolo a proseguire con gli altri verso il comando. Dopodiché si avvicinò a Lisetta e, nel suo italiano spigoloso, le disse:
“Permette che la aiuti?”
Lisetta sgranò gli occhi stupita ma, orgogliosa com’era, ribattè “Meglio di no, si sciuperebbe la sua bella uniforme” e si protese per acchiappare un nuovo sacco dal cassone del camioncino.
Ma Kesser non si fece scoraggiare dal rifiuto testardo di Lisetta: si sbottonò velocemente la giacca, la tolse insieme al cappello e li appoggiò malamente sul veicolo, allungando a sua volta le mani verso il sacco che Lisetta, già stanca, tentava di spostare per avvicinarlo al bordo del cassone. Lo afferrò saldamente tra le mani nell’intento di caricarselo sulla spalla, ma Lisetta lo strattonava dall’altra parte, in un cocciuto tira e molla. Per quanto di tela resistente, il sacco doveva essere già difettoso, perché si strappò vistosamente, liberando uno sbuffo di candida farina che investì in pieno i due. Lisetta per la sorpresa fece un salto all’indietro, poi prese coscienza della situazione: aveva il vestito, le braccia e probabilmente parte del viso cosparso di farina e, cosa peggiore, anche Kesser risultava coperto in abbondanza, persino in viso e tra i capelli. Per un attimo un sudore freddo attraversò la schiena della donna, per il timore che questo banale incidente potesse scatenare l’ira del tedesco, con chissà quali pesanti conseguenze. Poi però, vedendo la sua espressione imbarazzata dalla sorpresa per l’accaduto, il modo in cui cercava malamente di liberarsi della farina dalla camicia, dai calzoni, quando ancora dai capelli pioveva polvere bianca, tutto questo le parve così grottesco che le faceva venire voglia di ridere. E, cosa ancor più bizzarra, l’ufficiale la stava fissando, forse tra poco l’avrebbe pure schiaffeggiata, quindi non c’era assolutamente da ridere, anzi. E invece, inaspettatamente, fu proprio Kesser a scoppiare a ridere, fragorosamente, piegandosi sulle ginocchia, senza riuscire a smettere. E allora anche Lisetta non si trattenne più e rise. E rise di cuore e di gola, cercando inutilmente di contenersi, o forse senza contenersi affatto, mentre si avvicinava all’uomo e, con le mani, tentava di rimuovere la farina dai vestiti di lui e dai capelli, continuando a ridere di gusto.
D’un tratto però Kesser smise di ridere e tolse la mano di Lisetta dai suoi capelli, afferrandola saldamente per il polso e inchiodando gli occhi cerulei in quelli di lei. Lisetta quasi si spaventò di questa presa salda, e del fuoco che leggeva negli occhi dell’ufficiale, che le paralizzava ogni movimento. Non aveva idea della prossima reazione dell’uomo, e mai si sarebbe aspettata quello che sarebbe successo l’istante successivo. Kesser si avventò su Lisetta, stringendole ancora fermamente il polso, mentre con l’altra mano cinse il suo collo e, chinato il viso, si gettò sulle sue labbra. Lisetta si sentì come investita da un’esplosione mentre Kesser premeva le labbra contro le sue, con irruenza, costringendola a indietreggiare fino alla porta d’ingresso del forno. Lì la appoggiò, continuando a baciarla, questa volta infilando la lingua a cercare quella di Lisetta. Il terrore si trasformò prima in stupore, ma lo stupore divenne presto calore e desiderio. Lisetta non seppe spiegare perché né come, ma si trovò clamorosamente a ricambiare quel bacio, con un trasporto incontenibile. Appoggiata con la schiena alla porta della bottega ne cercò a tastoni, con la mano libera, la maniglia. Quando la porta si aprì si infilarono dentro continuando a baciarsi, voraci e ansimanti, mentre Kesser armeggiava con i bottoni della veste di Lisetta svelando i seni pieni e generosi, e lei gli accarezzava il petto attraverso il tessuto della camicia, scoprendo un corpo di uomo solido e vigoroso. L’ufficiale la spinse contro il muro accanto alla porta, bloccandola con il suo corpo.
“Dov’è tuo fratello?” chiese l’uomo a bassa voce.
“Di sopra che dorme” mentì Lisetta in un lampo di lucidità, ansimando.
Per il tedesco fu come un segnale di via libera: liberò prima un seno florido dal reggiseno e lo imprigionò in una mano, affondando le dita nella pelle soffice, poi abbassò la testa e catturò il capezzolo fra le labbra, torturandolo con la lingua, mentre Lisetta soffocava a stento i gemiti di piacere. La teneva bloccata al muro premendo con il bacino, facendole sentire il suo sesso gonfio e duro, mentre cominciava a sollevarle la veste, intrufolando poi la mano in mezzo alle sue cosce. Lisetta si sentì invasa da un piacere stupefacente, misto a uno strano di senso di colpa, per non provare alcun tipo di pudore in quel momento; ma fu solo un istante e scacciò anche la minima remora, consentendo a Kesser di esplorare con le dita la sua intimità, facendogli constatare quanto fosse impregnata dei suoi umori. Mai con uomo aveva provato un piacere così carnale, così animalesco e, soprattutto, così naturale. Mentre ancora la toccava in quel modo selvaggiamente intimo, il tedesco le ordinò: “Tiralo fuori” e lei, soggiogata da quell’ordine, seppe cosa doveva fare. Stordita dall’eccitazione armeggiò con la fibbia della cintura dell’uomo, la slacciò, aprì i bottoni del pantalone, e, senza coraggio di guardare, infilò la mano dentro la sua biancheria, toccando la carne calda e palpitante del sesso dell’ufficiale. Kesser ebbe un sussulto a quel tocco ma ripeté, più dolce e persuasivo: “Tiralo fuori”. Lisetta accarezzò il membro turgido e lo aiutò a uscire dal boxer, finalmente lo guardò in tutta la sua fierezza e desiderò ardentemente averlo dentro di sé. Kesser allora le abbassò le mutande, che lei fece scivolare fino alle caviglie e liberandosene; poi le sollevò una gamba, accompagnandola a circondargli un fianco mentre, guardandola fissa negli occhi, la invitò a guidare con la mano il glande verso la sua intimità ormai dischiusa. Un battito di ciglia e il suo membro affondò, e insieme liberarono un gemito strozzato. Uno, due, tre affondi, sempre più forti, urgenti, scivolosi, palpitanti e cadenzati. Ormai danzavano intrisi del loro stesso piacere, mentre le bocche ricominciavano a baciarsi. Poi Kesser lasciò la presa, la girò e la fece chinare appoggiandosi con la pancia sui sacchi di farina accatastati lì all’ingresso. Le sollevò la gonna da dietro, ammirando lo schiudersi del suo fiore di carne, le tirò su il bacino prendendola dai fianchi affinché fosse alla giusta altezza e la penetrò da dietro con decisione, mentre con una mano le stuzzicava il turgido clitoride. Lisetta non aveva mai avuto un’esperienza intima così intensa e devastante, capiva ora che la fugace intimità che aveva assaporato nel passato con sporadici amanti era nulla in confronto al piacere che la stava attraversando in quel momento, e abbandonò ogni freno. Il suo corpo fu attraversato come da una scarica elettrica e una sensazione di piacere intenso la invase mentre raggiunse l’orgasmo, mordendo la stoffa di un sacco per non gridare. Kesser si accorse che lei aveva raggiunto l’apice e proseguì fino a al proprio piacere, riempiendola del suo seme caldo. Ansimò dentro di lei ancora per altre due spinte poi, completamente svuotato, uscì dal suo corpo e si rivestì, mentre la gonna di Lisetta scivolò pudicamente sui fianchi occultando di nuovo la vista delle sue parti intime. A Lisetta a quel punto cedettero le gambe e si accasciò in ginocchio, aggrappandosi ai sacchi di farina, senza coraggio di guardare Kesser in viso. Era stremata e ubriaca dal piacere dell’orgasmo, ma la sua testa cercava di prendere coscienza di quello che era appena successo. Ma cosa era successo, esattamente? Com’era potuto accadere che il suo corpo avesse reagito in quel modo, abbandonandosi al piacere carnale per un uomo che avrebbe solo dovuto odiare con tutta sé stessa?
Non ci fu tempo per rispondere a queste domande: Kesser, rivestitosi, si inginocchiò davanti a lei, le scostò una ciocca di capelli dal viso, la guardò serio e le disse, semplicemente: “Domani voglio rivederti”. L’ufficiale uscì dalla bottega, recuperò giacca e cappello e si avviò lungo la strada, per rientrare negli alloggi degli ufficiali del contingente. A quel punto Lisetta si rimise in piedi, ancora barcollante, mentre tra le sue gambe colava il seme di lui che, poco prima, aveva accolto nel suo ventre, scossa dal piacere più intenso che avesse mai provato.
Luciano rincasò furtivamente poco prima dell’alba, trovando il camioncino accostato alla bottega con ancora tre sacchi da scaricare e un gran polverone intorno. Portò dentro gli ultimi sacchi e trovò in bottega Lisetta, alle prese con i ceppi da bruciare, le pagnotte già pronte per essere infornate. A capo basso, non osando guardarlo negli occhi, gli spiegò che un sacco si era rotto mentre cercava di scaricarlo e che poi, stanca, era andata a riposare qualche ora. Dell’episodio con Kesser non le sfuggì neanche una parola.
La mattina, insieme ai soliti giovani preposti al ritiro del pane, si presentò un altro soldato che, alla presenza di Lisetta, fece il saluto militare e le riferì impettito che il Comandante Kesser ordinava la sua presenza presso il contingente nazista alle ore 12 precise. E le porse un biglietto che avrebbe dovuto consegnare come lasciapassare.
Kesser chiedeva, anzi ordinava la sua presenza? Improvvisamente le immagini della notte prima le riaffiorarono alla mente: le mani forti di lui sulla sua pelle, i baci, la lingua, il suo profumo di uomo; ancora le mani di lui appoggiate sui suoi fianchi mentre la penetrava in profondità, il piacere indecente provato e che ora, al solo pensiero, le infiammava le gote e il basso ventre. Ringraziò il soldato con un cenno del capo e cercò di scrollare dalla testa le immagini della sera prima, chiedendosi cosa potesse volere da lei Kesser. Forse si era accorto che aveva detto una bugia sulla presenza di Luciano e voleva interrogarla?
Era il 2 agosto e l’aria era afosa. Indossò un vestito leggero di cotone, i capelli trattenuti da un semplice fermaglio. Con il cuore pieno di dubbi si presentò a Palazzo Strozzi, che il contingente tedesco aveva occupato, presidiato da decine di militari. Fu fermata subito da un soldato che le intimò l’alt in modo risoluto. Il cuore batteva all’impazzata ma cercò di scacciare la paura che le procurava vedere tutti quegli uomini in armi, soprattutto al pensiero della morte e della distruzione che avevano causato. Deglutì e con calma porse il biglietto che aveva in mano. Era scritto in tedesco e riportava la comunicazione che il comandante Kesser attendeva la signorina Lisa Fanti alle ore 12 nel suo alloggio privato. Il soldato lesse, poi squadrò Lisetta da capo a piedi e fece una smorfia: era chiaro che il suo superiore si volesse concedere un po’ di divertimento con una puttanella locale. Fece un richiamo secco a un altro soldato poco distante e, una volta vicino, gli diede probabilmente l’ordine di scortare la giovane dal comandante. Lisetta se ne stava impassibile, ma non le sfuggì la parola “hure” pronunciata con sarcasmo. Seguì docilmente il soldato all’interno del palazzo e si preparò ad affrontare il nemico.
Attraversarono un lungo corridoio al secondo piano, poi il soldato che accompagnava Lisetta si fermò, bussò alla porta e, ottenuto un segnale di consenso, la aprì e si affacciò, comunicando all’occupante l’arrivo dell’ospite. Ricevette risposta in tedesco, dopodiché si scostò per far entrare Lisetta, richiudendo la porta subito dopo. Lisetta rimase immobile, osservando l’ampia stanza, illuminata da tre finestre e arredata con mobili antichi e lussuosi, una zona salotto con due severi divani in pelle, una spaziosa scrivania davanti a una delle finestre e, in fondo alla stanza, un grande letto in legno intagliato. La stanza era insolitamente fresca, considerata la temperatura esterna, non poteva spiegare altrimenti il brivido che la percorse quando incrociò lo sguardo di Kesser, fermo accanto a una delle finestre, intento a fissarla. Non portava la giacca dell’uniforme, anche se la camicia era perfettamente abbottonata fino al collo. Un vivido flash della notte precedente le annebbiò la vista per un secondo, al ricordo delle sue mani che si erano appoggiate al petto e alle spalle dell’ufficiale. Kesser ruppe il silenzio e, avvicinandosi, le diede il benvenuto, porgendole un bicchiere di vino. Solo allora Lisetta si accorse che il tavolo al centro della stanza era apparecchiato con piatti, bicchieri, posate, tutto per due persone: quello di Kesser era un invito a pranzo. Smarrita dalla consapevolezza di questa constatazione prese il bicchiere che l’ufficiale le stava porgendo e lo portò alle labbra, assaporando il gusto forte e caldo del vino rosso. Poi guardò Kesser e non seppe trattenere una domanda: “Perché?”. Non riusciva infatti a spiegarsi la ragione di questo invito. L’ufficiale la guardò intensamente e le rispose “Per i tuoi occhi e il tuo sorriso”
“I miei occhi?” chiese Lisetta, sgranandoli per lo stupore
“Si, i tuoi occhi. Così dolci e tristi, e il sorriso malinconico, hanno così tanto da raccontare. Come quelli della Monnalisa di Leonardo da Vinci. Li ho notati subito e non ho desiderato altro che leggervi dentro, e un po’ ieri sera me lo hai concesso”.
Lisetta avvampò al ricordo e, imbarazzata, restituì il bicchiere all’ufficiale, che però la invitò ad accomodarsi a tavola. La donna obbedì ma era così frastornata da quello che stava accadendo, eppure si sentiva così a suo agio con quest’uomo, che sentiva lei stessa di volerlo conoscere più a fondo. Appena si sedettero entrambi bussarono di nuovo alla porta, e un soldato si presentò con un vassoio dal quale servì ai due della carne di vitello (Lisetta si emozionò, da quando erano in guerra non ne aveva più mangiata) e delle verdure stufate; il pane in tavola era quello del forno di Lisetta. Fu un pranzo veloce e semplice e la ragazza non toccò più vino, voleva essere lucida mentre ascoltava parlare l’ufficiale tedesco. Così venne a sapere che il maggiore Hans Kesser in Germania, prima della guerra, era un professore di letteratura, amava l’Italia e la sua arte, ed era stato richiamato al fronte solo da un anno. Non uscirono mai dalla sua bocca parole di odio verso i popoli contro cui combatteva il suo esercito e, pur senza ammetterlo esplicitamente, si capiva che considerava assurda quella guerra, di cui presagiva comunque il termine in poco tempo. Finito di mangiare l’ufficiale si alzò da tavola e si avvicinò a Lisetta, porgendole una mano per invitarla ad alzarsi a sua volta. Lei accolse l’invito e, allontanando la sedia si mise in piedi. Kesser che ancora la teneva per mano, se la portò alle labbra, guardandola intensamente. Da lì a baciarsi il passo fu molto breve quanto inevitabile, nonostante fu lento e molto, molto prevedibile. Semplicemente le loro labbra non poterono farne a meno, e si ritrovarono morbidamente a contatto, assaporandosi con estrema dolcezza.
L’ufficiale d’un tratto le mise una mano sulla schiena e, chinandosi leggermente, la sollevò e la prese in braccio. Tra un bacio e l’altro la condusse verso il letto, dove l’adagiò con delicatezza. Fecero l’amore con dolce passione tutto il pomeriggio, senza la smania del giorno prima ma con il desiderio di conoscersi in ogni centimetro, mentre parlavano, sussurravano, lui a volte anche in tedesco, dimenticandosi che Lisetta non poteva capire; ma lei il suo linguaggio d’amore già lo capiva benissimo e soprattutto lo ricambiava.
Lisetta rientrò a casa in serata, con i capelli sciolti e le guance ancora imporporate. Appena varca la soglia incrociò Luciano, che la squadrò da capo a piedi. Cercò di evitarlo, avviandosi velocemente verso la scala che, dalla bottega, conduceva alle stanze del piano di sopra ma lui la trattenne per un braccio, e la annusò.
“Allora è vero, sei stata dal tedesco” ma sogghignando continuò “brava sorellina, per avere informazioni abbiamo bisogno di andare alla fonte”. Quindi suo fratello pensava che lei si stesse concedendo per carpire informazioni? Era questo che stava facendo? Si liberò con uno strattone e corse al piano di sopra: che suo fratello pensasse quello che le pareva, lei sentiva tutt’altro.
Rivide Kesser il giorno dopo e quello dopo ancora e ancora; l’ufficiale le faceva sapere quando presentarsi e lei puntuale tornava da lui, dalle sue braccia, dai suoi baci, dalle sue parole, dal suo desiderio di condividere qualcosa di bello in questa vita che stava togliendo loro tutto: ideali, speranza, futuro. E insieme vivevano il presente perché il futuro era troppo difficile anche solo da immaginare, se non impossibile. Ma insieme nel presente, mentre erano abbracciati, mentre si baciavano e i loro occhi ridevano, mentre i loro corpi erano fusi l’uno dentro l’altra, ogni presente era possibile, e non importava altro.
La notte del 13 agosto Luciano si apprestava di nuovo a uscire di nascosto, per un incontro con alcuni partigiani. Nel salutare la sorella aggiunse: “Lisetta, se domattina non dovessi tornare, tu non ti preoccupare. Forse sta per succedere qualcosa di importante e voglio esserci, tu stai tranquilla e cerca di essere prudente, me lo prometti?”.
Lisetta non sapeva cosa pensare, ma nonostante la preoccupazione annuì, non aveva la forza di opporsi a suo fratello: inseguiva i suoi ideali, che lei stessa condivideva, quindi era giusto appoggiarlo, anche se il cuore era stretto in una morsa. In fondo, suo fratello era l’unico membro della famiglia rimastole.
Andò a riposare piena di pensieri foschi, e il suo sonno fu turbato da sogni tinti di rosso sangue. Si svegliò di soprassalto, ansimando, ma non spaventata dal ricordo del sogno appena fatto, bensì perché sentì picchiare alla porta della bottega. Si mise in piedi e scese la scala di corsa: fuori c’era Kesser, alle sue spalle un veicolo militare tedesco. L’ufficiale era agitato.
“Lisetta, tuo fratello è stato catturato insieme a un gruppo di partigiani, tra poco verranno a cercarti, prepara le tue cose velocemente, non c’è tempo da perdere”. Lisetta fu sconvolta da quella notizia: suo fratello catturato? Forse morto? E stavano venendo a cercare anche lei, in quanto sospettata di appoggiare i partigiani? Con il cuore in gola recuperò la lucidità, annuì veloce e si precipitò di sopra, dove radunò pochi panni in una borsa di tela e tornò di sotto pronta per seguire l’uomo. A bordo, Kesser la fece sedere sul sedile posteriore e le disse di coprirsi con una coperta che trovò sul sedile stesso, per non farsi vedere. Lisetta era frastornata, le cose stavano accadendo troppo velocemente perché lei potesse capirle. E dove la stava portando Hans? Intanto albeggiava, e Kesser, passato ponte vecchio, attraversò la città verso porta pisana e poi ancora più verso la periferia. Incrociarono solo un paio di posti di controllo, Kesser le intimò di stare giù mentre lui si faceva riconoscere dai soldati per poi proseguire.
Lisetta a un certo punto non seppe trattenersi: “Hans, dove stiamo andando?” chiese.
“Io ti proteggerò mia Monna Lisa, voglio stare con te” le rispose Kesser chiamandola con il nomignolo che ormai le aveva appiccicato, e cercando la sua mano oltre il sedile. Ma si percepiva netta la preoccupazione nella sua voce. Erano ormai in zona Galluzzo quando cominciarono a sentirsi delle deflagrazioni; Lisetta sollevò la testa e vide in lontananza altri veicoli tedeschi, che stavano raggiungendo, e fumo, e uomini a terra che sparavano e sentiva sempre più colpi di arma da fuoco: era in atto uno scontro e si stavano dirigendo proprio lì, sembrava inevitabile. Sgranò gli occhi e incalzò Kesser. “Hans, Hans, cosa sta succedendo? Dimmelo!”
“Lisa” la voce di Kesser era disperata ora “ti ho mentito, tuo fratello non è stato catturato, la verità è che…”
Non fece in tempo a rispondere che una granata esplose proprio davanti al loro veicolo, mandandoli fuori strada. La camionetta sbandò e si rovesciò su un fianco. Stordita dall’impatto, Lisa impiegò alcuni secondi a capire che era ancora viva e intera. Cercò di tirarsi su dalla scomoda posizione dov’era, aprì lo sportello posteriore e si tirò fuori dal veicolo. Cercò al posto di guida ma Kesser non c’era, si guardò intorno e lo vide a terra, fra l’erba, probabilmente sbalzato fuori dall’abitacolo a seguito dell’urto. Si gettò subito su di lui, cercando di capire se fosse ancora vivo. Gli dette alcuni piccoli schiaffi e l’ufficiale si mosse e strizzò gli occhi: grazie a Dio era vivo! Lisa trattenne le lacrime, lo baciò mentre lo chiamava: “Hans, Hans, tirati su per l’amor del cielo”. Kesser riacquistò conoscenza, sorrise pur dolorante e cercò di mettersi in piedi. Ma si era rotto una gamba e aveva bisogno dell’aiuto di Lisetta per tenersi su. Lei lo aiutò, offrendosi come appoggio, e zoppicando lo fece camminare fino al veicolo ribaltato, dove lui si appoggiò esausto. Kesser teneva lo sguardo basso: aveva qualcosa dentro che lo divorava, il pensiero di aver fatto qualcosa di sbagliato, mosso dall’amore sì, ma profondamente egoistico. Nulla che riguardasse Luciano era accaduto quella notte. Semplicemente gli alleati avevano deciso che fosse giunto il momento di liberare Firenze, scacciando via le ultime truppe naziste. Kesser temeva di perdere Lisetta e in un atto disperato quanto stupido aveva solo tentato di portarla con sé nella ritirata delle truppe tedesche. L’ufficiale le spiegò tutto con un filo di voce, mentre le accarezzava il viso e lei liberava le lacrime a lungo trattenute, incapace di provare rancore per quell’uomo che, ora lo sapeva, amava con tutta sé stessa. Hans concluse la sua amara confessione, il cuore finalmente alleggerito, quando d’un tratto si trovarono circondati da militari, non tedeschi, e nemmeno italiani, che puntavano loro contro i fucili. Uno di loro gridò “Hands up! Hands up!” ma entrambi non capivano, anche se le armi puntate contro di loro erano eloquenti. Kesser per primo alzò le braccia ma poi, in un gesto protettivo, si allungò verso Lisetta per stringerla in un abbraccio. La mossa fu disgraziatamente male interpretata come tentativo di farsi scudo con la donna e, dai soldati americani, partì un colpo, e poi un altro, e poi un altro ancora. Lisetta vide tutto come in una scena rallentata del cinema: Kesser che cadeva a terra pesantemente, lei che allungava le braccia inutilmente per non farlo cadere, le sue grida alte e strazianti, la camicia di lui che si tingeva di rosso, gli occhi sbarrati, le urla dei soldati americani che si avvicinavano parlando una lingua a lei incomprensibile. Si accasciò in ginocchio, premendo le mani su quelle ferite dalle quali usciva sangue scarlatto e, insieme al sangue, usciva la vita di Hans Kesser, il soldato dell’esercito nazista che lei aveva amato. Con le mani intrise di sangue gli prese il viso, bagnandolo con le sue calde lacrime e baciandolo ancora una volta. Kesser allora aprì gli occhi, cercò i suoi e in un estremo sforzo sussurrò: “Mia dolce Monna Lisa, sono felice di aver vissuto abbastanza da aver ammirato il tuo sorriso da vicino, averti amata è la cosa migliore che abbia fatto in vita mia”. E richiuse gli occhi per l’ultima volta.
Firenze, 2 giugno 1946
Lisetta uscì dal seggio sospirando: ancora non le sembrava vero di aver espresso per la prima volta il suo voto da cittadina italiana. Si guardò intorno e individuò Luciano, che la aspettava nel piazzale poco distante. Appena lo raggiunse allungò le mani verso di lui, perché le porgesse ciò che teneva tra le braccia. Luciano fu ben lieto di liberarsi di quel fardello, con cui ancora non riusciva ancora a prender la dovuta confidenza. Lisetta lo sgridò bonariamente con gli occhi e prese il fagotto che Luciano le consegnò lesto, per poi salutare e tornare a presidiare il seggio, affinché non si verificassero brogli o altri episodi anomali. Lisetta cominciò a incamminarsi verso casa, il sole era già alto e scaldava la giornata e il suo animo. D’un tratto il fagotto che teneva in braccio dette segni di vita, Lisetta si chinò e scostò il lembo del lenzuolino: Speranza si stava risvegliando. Come ogni volta, quando Lisetta incrociava quegli occhi azzurri trasparenti le veniva una stretta al cuore, perché erano uguali a quelli del padre, morto tra le sue braccia poco più di un anno prima. Sospirò e benedì il ricordo dell’uomo che le aveva donato Speranza, il segno d’amore più grande che avesse mai ricevuto. Posò un bacio sulla gota morbida della figlia e si incamminò verso casa e verso il loro futuro.
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Il fatto di sangue a casa Canacci
Casa de' Canacci. Fatti di sangue a Firenze ne sono successi tanti, ma uno si caratterizza per un epilogo che testimonia l'acredine del mandante che rese il suo gesto indelebile sia per la crudeltà dello stesso sia per averlo programmato esattamente il 1° dell'anno del 1639. Il 70enne Giustino Canacci e la sua seconda moglie Caterina Brogi, oltre ai tre figli adulti avuti delle prime nozze di Giustino, Francesco, Giovanni e Bartolomeo vivevano in via dei Pilastri al n° 4. Via dei Pilastri è un'antica strada che prende il nome da una famiglia perugina trasferitosi a Firenze prima della battaglia di Montespertoli, i Pilastri. Caterina Brogi era davvero una bella donna, una fresca ventenne che riceveva costantemente attenzione dagli uomini che la incrociavano, lo stesso figlioccio Bartolomeo se ne era invaghito. La donna era però impenetrabile a qualsiasi avance, o almeno cosi sembrava. Nella realtà esisteva qualcuno che aveva fatto breccia, si trattava di Jacopo Salviati, I duca di Giuliano.
Veronica Cybo. Jacopo Salviati non solo era ricco e piacente, ma anche un poeta. Nato a Firenze nel 1607 era figlio di Lorenzo Salviati, marchese di Giuliano e di sua moglie, la nobildonna fiorentina Maddalena Strozzi. Nel 1627 si sposò con la principessa di Massa e Carrara Veronica Cybo-Malaspina ed ottenne da papa Urbano VIII, grazie a questo matrimonio, che il suo titolo venisse elevato da marchese a duca. Il matrimonio fu quindi conveniente per Jacopo, ma elevare il suo rango lo costrinse ad una moglie orgogliosa e fredda. Gli incontri segreti tra Jacopo e Caterina si svolgevano proprio in via dei Pilastri al civico 4 e nonostante la prudenza dei due amanti qualcuno si accorse della tresca. Non fu certo il marito di Caterina, il buon Giustino, che come marito sappiamo è sempre l'ultimo a sapere, ma qualcuno che fece arrivare la notizia all'orecchio di Veronica. Fu il respinto figlioccio Bartolomeo, che invece che confidarsi con il padre, il primo suo rivale in amore, lo fece con la moglie dell'amante della matrigna. Poi ci si domanda come nascono le telenovelas. La moglie di Jacopo, a differenza di Giustino, non rimase inerme e organizzò la sua vendetta in maniera non solo da riscattare il suo onore, ma da disonorare permanentemente quello del marito. Si coalizzò con Bartolomeo per conoscere esattamente gli orari degli incontri fedifraghi di casa Canacci e organizzò una sortita di tre sicari provenienti da Massa. I tre assassini aspettarono il 31 dicembre del 1638 per agire, consci che quella notte Caterina era sola con la sua fantesca. Non solo uccisero le due donne, ma fecero a pezzi i loro corpi.
La vendetta di Veronica Cybo Il 1° gennaio a villa al Cionfo Jacopo si svegliava, dopo i bagordi notturni, ignaro di quello che era successo la notte e affrontò la giornata secondo i rituali in uso. Uno di questi era ricevere, presso i suoi appartamenti, il cesto di biancheria pulita che la perfetta organizzazione della moglie gli faceva recapitare settimanalmente. Stavolta però la servitù non trovò solo la biancheria profumata, ma ben avvolta in una camicia ci trovò la testa mozzata della sua amante Caterina. L'epilogo è scontato. Jacopo capì l'antifona, i sicari rientrarono a massa belli tranquilli, Veronica si trasferì a Figline sino a che non fu certa della sua impunibilità e l'unico che pagò lo scotto fu Bartolomeo che fu arrestato e poi impiccato al Bargello. Questo il fatto di sangue di Casa Canacci al n° 4 di via dei Pilastri. Solo dopo aver scritto l'articolo mi sono accorto che già la Madonna delle Cerimonie Gabriella Bazzani ne aveva parlato proprio su queste pagine della Rivista Fiorentina. Insomma, vi siete letti un doppione.
Jacopo Cioni Gran Cerusico Read the full article
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Laureata giovanissima in flauto presso il Conservatorio Statale di Musica ‘Luisa d’Annunzio’ di Pescara, ha seguito corsi di perfezionamento in Italia, in Francia e in Germania con flautisti tra i quali Alain Marion e Conrad Klemm. Dalle prime partecipazioni ai festival musicali estivi (Spoleto, Roma, Bayreuth) si e’ velocemente unita ad alcune orchestre italiane e straniere (Orchestra Sinfonica Schleswig Holstein, Orchestra del Teatro all’Opera di Roma etc.). Ha fatto parte di numerosi Collettivi jazz (o di musica creativa ) tra i quali Da-i-Da Orchestra, Polaroid Orchestra, Associazione Musicisti Riuniti e Modigliani Suite Free Jazz Trio. Attiva nell’ambito dell’interdisciplinarieta’ artistica ha realizzato numerosi lavori di creazione e sonorizzazioni per eventi teatrali (Theatre de Nanterre e Friche de La Belle de Mai a Marseille )spettacoli di danza (Florence Dance Festival al Teatro Romano di Fiesole, Gaia Scuderi alla Limonaia di Villa Strozzi e Teatro Instabile di Firenze) spettacoli di mimo (con Bianca Francioni ) reading musicali (sonorizzazioni live al Caffè Letterario Le Murate di firenze in occasione di presentazione di libri ), perfomance di improvvisazione con visual performers (vernissage d’arte come ‘’studi aperti in via degli artisti’’ e mostre in italia e all’estero) Da febbraio 2014 entra a far parte del collettivo Improvvisatore Involontario.Dal 2015 è membro del Duo Hayet col virtuoso di oud algerino Hafid Moussaoui con cui si esibita in importanti festival rassegne ed è stata ospite di trasmissioni radio ( Terra Mia, Piazza Verdi su Rai Radio 3 , Orchestra Mediterranea ).Nel 2019 ,col Duo Hayet ha composto la colonna sonora della mostra Sguardi globali. Mappe olandesi, spagnole e portoghesi nelle collezioni del granduca Cosimo III de’ Medici”organizzata da Angelo Cattaneo e Sabrina Corbellini e , come solista ha partecipato al Convegno organizzato in occasione della Mostra , interpretando musiche di Bitti , Rousseau e Vivaldi.
Recentemente ha fondato l' Ensemble '' Shababik '' con l'Associazione Good World Citizen con cui è risultata vincitrice di un grant dalla Fondazione Anna Lindh Foundation per il Mediterranean Day che si è tenuto il 28 novembre 2022 a Firenze
Alcuni suoi brani , col Duo Hayet fanno parte della colonna sonora di '' La cinquieme saison'' del grande regista algerino Ahmed Benkalma per il Centro di Cinematografia dell ' Algeria.
L'artista sta proseguendo la sua attività con progetti interculturali, collaborando sia con l' Associazione Good World Citizen che con l'Università degli Studi di Firenze.Ultimamente ha partecipato insieme all' Associazione Good World Citizen ied il prof. Angelo Cattaneo ( Isem Cnr - Unifi ) ad un importante evento su Muhammad Al Idrisdi e il Mediterraneo organizzato dal Dipartimento Sagas - Unifi .Nel mese di maggio ha vinto un bando di concorso per un programma di mobilità della Anna Lindh Foundation con il progetto '' Voix Invisibles ''con una Residenza Artistica in Marocco insieme a Giulia Gallina , sound artist di Lisbona ,.
#cristinaitalianimusic#Lisboa#lisbona#duo#cinema#colonna sonora#voix#Flute#fluteplayer#marocco#annalindhfoundation#algeria#Italia
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"Metti che una sera"
Mentre ti aggiri, nella strade del Centro Storico di Firenze, come sempre estasiato e compiaciuto di vivere nella Città d'Arte per antonomasia, il tuo smartphone ti ricorda che alle 20,30 hai un concerto nella Basilica di Santa Maria Novella che festeggia il VI° centenario della sua consacrazione, così con il tuo solito abbondante anticipo ti avvii verso quella destinazione passando da Via Tornabuoni e proprio sul sagrato della Chiesa dei Santi Michele e Gaetano, in Piazza degli Antinori un gruppo Gospel inchioda la tua attenzione e resti lì incantato ad ascoltarli, erodento la tua solita ora di anticipo che metti su qualsiasi impegno, poi riprendi il tuo percorso e arrivi nella stupenda Basilica di Santa Maria Novella, assisti ad un straordinario concerto per organo, tromba e corno e alla fine soddisfatto, riprendi il tuo percorso verso casa, ma ecco che la musica, quella che da sempre sottolinea il tuo fare e il tuo andare, compie il suo richiamo, proprio sotto Palazzo Strozzi un gruppo di musicisti accompagnano a suon di musica la Pizzica, il ballo tradizionale Pugliese, ballato da alcune ragazze del gruppo e da altrettanti passanti, ma ecco che dopo un po sopraggiunge l'eco gradevolmente martellante un gruppo di percussionisti, che catalizzato con la loro vibrante musica l'attenzione di tutti. Che spettacolo che meraviglia, metti che una sera, questa sera, fossi rimasto a casa, mi sarei perso tutto questo.
Questa sera di cui vi ho raccontato è quella di lunedì 7 settembre 2020 ed io sono Riccardo Rescio.
#comunichiamoalmondolitalia #tuttoilbelloeilbuonochece #cheitalia #bastaunpost #RinasceFirenze
Gruppo Gospel
The Pilgrims Gospel Choir
Solisti del Concerto di Santa Maria Novella
Luca Benucci al Corno
Ruben Simeo alla Troba
Daniele Dori Organo
Gruppo Folcloristico
Danzeassud
Gruppo percussionisti
Da scoprire, ma molto bravi, con strumenti occasionali.
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Il fascino inconfondibile di Genova si definisce tutto nella valutazione metaforica della sua posizione geografica: stretta in un fazzoletto di terra, chiusa verso l’interno dalle montagne, ma aperta verso l’esterno nel richiamo del mare. La vocazione commerciale della città che fu una gloriosa repubblica marinara l’ha resa potente, elegante, ma anche intrinsecamente meticcia, contaminata, colta e fertile nell’incontro delle culture. Nei suoi stretti carruggi, ancora oggi, tra le facciate decadenti dei signorili palazzi colorati e le numerose edicole votive, aleggia l’odore delle spezie e risuonano molte lingue, insieme al suono strascicato e indolente dell’accento genovese. Le ridotte dimensioni della città la rendono la meta ideale per un fine settimana, o persino per una breve fuga in giornata. La storia, l’arte, la visione scintillante del mare e il buon cibo – dalla focaccia street food alla vera ricetta del pesto – ripagheranno certamente il viaggiatore. Il porto Antico di Genova Il cuore di Genova risiede però certamente nel suo porto Antico, raccolto in una forma tondeggiante che racchiude un mare inverosimilmente blu, quasi come se si fosse al largo. Qui passeggiano più turisti che genovesi, affollando i bar con i loro tavolini panoramici e affollati all’aperto. Tuttavia, basta poco per individuare i marinai, genovesi da generazioni o nuovi genovesi con la pelle scura e la stessa inflessibile etica di un lavoro duro, ma al tempo stesso ancora romantico. Al porto si trovano anche alcune delle attrazioni più famose della città, i cui biglietti di ingresso spesso possono essere acquistati in modo combinato. Lanterna di Genova. Simbolo per eccellenza della città di Genova, la storica lanterna de Zena si erge sul lato occidentale del porto, nel quartiere di Sampierdarena, con i suoi 77 m d’altezza dal 1128. Costruita in pietra di Carignano presenta due terrazze di ampiezza differente. Soltanto la prima, dalla quale si può ammirare un’impareggiabile vista della città e del porto di Genova, è aperta al pubblico e la si raggiunge attraversa una scala di 172 gradini. Acquario di Genova. Ospitato nel cinquecentesco porto di Genova, l’acquario è forse la più famosa tra le attrazioni della città, disegnato dal celebre architetto genovese Renzo Piano nel 1992. I visitatori, compresi i bambini, rimarranno incantati davanti alle 39 vasche, di cui 4 a cielo aperto nel padiglione Cetacei, che ospitano circa 15 mila esemplari di 400 specie diverse tra pesci, mammiferi marini, uccelli, rettili anfibi e invertebrati. Esistono anche alcuni percorsi speciali (Avventura Acquario e Acquario Segreto) dedicati ai bambini. Data l’enorme affluenza, si consiglia di prenotare per tempo i biglietti, con ingresso prioritario o con visita guidata. Biosfera di Genova. Conosciuta anche come la Bolla di Renzo Piano, è un luogo molto speciale, il cui ingresso spesso è compreso nel percorso offerto dall’acquario di Genova. La sfera di vetro e acciaio sospesa sul mare nei pressi dell’Acquario, con un diametro di 20 m, ospita una piccola porzione di autentica foresta pluviale con oltre 150 specie tra uccelli, tartarughe, pesci, insetti e grandi felci arboree alte fino a 7 m. Galata, il museo del Mare. Il Galata è il percorso museale più grande dell’area del Mediterraneo dedicato al mare e uno dei più moderni d’Italia. Nelle sue sale è illustrata la storia di Genova, del suo legame indissolubile con il mare e delle mille sfaccettature che questo legame porta con sé: dalle galee agli atlanti e ai globi, dai viaggi come quello di Cristoforo Colombo alla vita dei marinai fino allo sviluppo del porto di Genova dal Medioevo ai giorni nostri. Bigo di Renzo Piano. Costruito da Renzo Piano insieme all’acquario e alla biosfera nel 1992 in occasione dell’Expo di Genova, conosciuto anche come le Colombiadi in quanto quell’anno si celebrava anche il 500° anniversario dalla scoperta dell’america. La suggestiva e scenografica struttura del Bigo non è altro che una gru usata per il carico e lo scarico in ambiente navale, ma al tempo spesso ormai è entrato a far parte dello skyline di Genova. Scoprire Genova: perdersi tra i carruggi del centro storico Pensando a Genova la mente richiama inevitabilmente l’immagine di un dedalo di stradine e strettissimi vicoletti. Sono i famosi carruggi, che si intersecano e si aprono su piazzette raccolte e suggestive, o vengono tagliati da scalinate chiamate crêuze, che connettono i diversi livelli della città che si allunga obliqua verso il mare. In questi vicoli è obbligatorio girare senza meta, seguendo soltanto l’istinto, magari alla ricerca di una bottega, di un caffè storico o di un fornaio per prendere al volo un pezzo di focaccia o di farinata di ceci da mangiare lungo la strada. Il centro storico pullula infatti di locali e trattorie dove gustare i piatti tradizionali della cucina genovese: le trofie al pesto, i pansotti con il sugo di noci, la cima, il minestrone, il cappon magro.. per i più golosi potrebbe essere interessante organizzare un vero e proprio tour alla scoperta dei sapori più autentici di Genova. Le soluzioni possibili sono plurime, basta valutarle. Per chi invece non vuole perdersi nemmeno un angolo del centro storico, si consiglia un tour guidato. In questo girovagare senza meta, comunque, vanno tenuti in mente alcuni riferimenti imperdibili: Cattedrale di San Lorenzo. La costruzione della chiesa più importante di Genova comincia nel 1098 e prosegue per i due secoli successivi, quando assume definitivamente le attuali forme romaniche e la caratteristica facciata gotica a fasce bianche e nere, che in città nel Medioevo erano simbolo di nobiltà. Da segnalare all’interno la rinascimentale cappella di San Giovanni Battista, le magnifiche volte del presbiterio barocco dipinte da Lazzaro Tavarone con il Giudizio Universale e il Martirio di San Lorenzo, quelle della cappella sinistra con l’Assunzione della Vergine di Luca Cambiaso, e infine il museo del Tesoro di San Lorenzo con il sacro Catino, un manufatto in vetro di fattura islamica del IX-X secolo che una leggenda lo vorrebbe corrispondere al sacro Graal. Palazzo Ducale. L’altro monumento simbolo del centro storico di Genova è il neoclassico palazzo Ducale, sede del dogato dell’antica repubblica Marinara e oggi principale sede cittadina di musei e mostre internazionali. La costruzione risale alla fine del XIII secolo per poi subire nei secoli successivi numerose trasformazioni fino al 1777, quando un devastante incendio costrinse la città alla sua ricostruzione nelle forme visibili ancora oggi. Le parti antiche e moderne dell’edificio si fondono l’una con l’altra creando un mix unico e armonioso. Piazza Truogoli di Santa Brigida. In una piazzetta tra via Balbi e la celebre via Pre si trovano i cosiddetti truogoli, ovvero gli antichi lavatoi dove le donne portavano i panni da lavare e alla cui costruzione contribuirono gli stessi nobili Balbi verso il 1656. Il rio Santa Brigida che scorreva nei pressi alimentando i lavatoi forniva acqua anche alla vicina fontana dei Macellari. Via del Campo. Questa via è stata resa immortale dall’omonima canzone del grande Fabrizio De André e rappresenta il punto di congiunzione tra l’antica porta dei Vacca, il lungomare del porto Antico e via di Pré, che termina all’altezza del complesso romanico della commenda di San Giovanni di Pré (1180). Per gli amanti di De André potrebbe essere una buona idea organizzare un tour guidato alla scoperta dei luoghi di Genova legati ai grandi musicisti. Piazza delle Erbe. Adiacente all’imponente palazzo Ducale, la piazza è il cuore della vita notturna genovese, con i suoi locali alla moda frequentatissimi dai giovani della città. Piazza San Donato. Situata nel quartiere Molo, si contraddistingue per la bella chiesa romanica intitolata appunto a San Donato, risalente al XII secolo e al cui interno spicca il trittico dell’Adorazione dei Magi (1515) dell’artista fiammingo Joos van Cleve. Scoprire Genova: passeggiare per la strade Nuove Se nei carruggi medievali aleggia potente l’anima profonda di Genova, quell’orgoglio nobiliare che la fece definire superba dal Petrarca si concretizza nel sistema delle strade Nuove. Si tratta di un insieme di ampie strade sulle quali si affacciano i cosiddetti palazzi dei Rolli, recentemente inseriti nel patrimonio dell’umanità Unesco, ovvero delle dimore nobiliari in stile rinascimentale e barocco, fatte costruire a partire dal XVI secolo dalle nobili famiglie genovesi per magnificare la loro ricchezza e il loro potere. Il nome viene dal fatto che queste dimore erano inserite nei registri cittadini, detti appunto rolli, dai quali venivano scelte le residenze dove poter ospitare eventuali personalità di prestigio in visita di Stato. Per respirare questa atmosfera sfarzosa è obbligatorio percorrere via Balbi, via Cairoli e via Garibaldi. Qui si possono ammirare, tra gli altri: Palazzo Reale (1643-1650). Costruito in puro stile barocco genovese conserva stucchi e affreschi di una bellezza travolgente, come quelli che adornano la galleria degli Specchi. Nella quadreria sono conservate tele dei maggiori artisti genovesi del Seicento come Bernardo Strozzi e il Grechetto insieme ad alcuni capolavori di Tintoretto, Luca Giordano, Van Dyck e del Guercino. Palazzo Rosso (1671-1677). L’edificio, con la sua inconfondibile facciata rossa finemente decorata, ospita la prima delle tre sezioni dei musei di strada Nuova, che comprende anche palazzo Bianco e palazzo Doria-Tursi, dedicato alle collezioni d’arte della famiglia Brignole-Sale, tra cui una splendida quadreria con opere di Anton Van Dyck, Guido Reni, Guercino, Palma il Vecchio e Veronese. Palazzo Bianco (1530-1540). L’elegante balconata che si apre a fianco della sobria facciata nasconde, oltre a un incantevole giardino, una meravigliosa galleria di dipinti cinquecenteschi tra cui tele del Caravaggio, Luca Cambiaso, Filippino Lippi, Rubens, Van Dyck e Giorgio Vasari. Palazzo Doria-Tursi (1565). Il più grande per estensione, nonché il più maestoso tra i palazzi di strada Nuova, con due ampie logge laterali a incorniciare il corpo centrale in marmo bianco di Carrara, pietra rosa di finale e ardesia. Da segnalare gli affreschi e i dipinti che abbelliscono il grande salone di Rappresentanza e le sale che ospitano i musei di strada Nuova, nella quali spiccano la splendida Maddalena Penitente di Antonio Canova e il violino, detto Il Cannone, appartenuto a Niccolò Paganini e costruito dal liutaio italiano Guarneri. Palazzo Podestà (1559-1565). Merita una visita per lo stupendo ciclo di affreschi di Bernardo Strozzi raffigurante La fede cristiana sbarca nel nuovo mondo (1623-1624) che adorna la volta del salone centrale. @Shutterstock https://ift.tt/2BXCLn2 Alla scoperta della città di Genova Il fascino inconfondibile di Genova si definisce tutto nella valutazione metaforica della sua posizione geografica: stretta in un fazzoletto di terra, chiusa verso l’interno dalle montagne, ma aperta verso l’esterno nel richiamo del mare. La vocazione commerciale della città che fu una gloriosa repubblica marinara l’ha resa potente, elegante, ma anche intrinsecamente meticcia, contaminata, colta e fertile nell’incontro delle culture. Nei suoi stretti carruggi, ancora oggi, tra le facciate decadenti dei signorili palazzi colorati e le numerose edicole votive, aleggia l’odore delle spezie e risuonano molte lingue, insieme al suono strascicato e indolente dell’accento genovese. Le ridotte dimensioni della città la rendono la meta ideale per un fine settimana, o persino per una breve fuga in giornata. La storia, l’arte, la visione scintillante del mare e il buon cibo – dalla focaccia street food alla vera ricetta del pesto – ripagheranno certamente il viaggiatore. Il porto Antico di Genova Il cuore di Genova risiede però certamente nel suo porto Antico, raccolto in una forma tondeggiante che racchiude un mare inverosimilmente blu, quasi come se si fosse al largo. Qui passeggiano più turisti che genovesi, affollando i bar con i loro tavolini panoramici e affollati all’aperto. Tuttavia, basta poco per individuare i marinai, genovesi da generazioni o nuovi genovesi con la pelle scura e la stessa inflessibile etica di un lavoro duro, ma al tempo stesso ancora romantico. Al porto si trovano anche alcune delle attrazioni più famose della città, i cui biglietti di ingresso spesso possono essere acquistati in modo combinato. Lanterna di Genova. Simbolo per eccellenza della città di Genova, la storica lanterna de Zena si erge sul lato occidentale del porto, nel quartiere di Sampierdarena, con i suoi 77 m d’altezza dal 1128. Costruita in pietra di Carignano presenta due terrazze di ampiezza differente. Soltanto la prima, dalla quale si può ammirare un’impareggiabile vista della città e del porto di Genova, è aperta al pubblico e la si raggiunge attraversa una scala di 172 gradini. Acquario di Genova. Ospitato nel cinquecentesco porto di Genova, l’acquario è forse la più famosa tra le attrazioni della città, disegnato dal celebre architetto genovese Renzo Piano nel 1992. I visitatori, compresi i bambini, rimarranno incantati davanti alle 39 vasche, di cui 4 a cielo aperto nel padiglione Cetacei, che ospitano circa 15 mila esemplari di 400 specie diverse tra pesci, mammiferi marini, uccelli, rettili anfibi e invertebrati. Esistono anche alcuni percorsi speciali (Avventura Acquario e Acquario Segreto) dedicati ai bambini. Data l’enorme affluenza, si consiglia di prenotare per tempo i biglietti, con ingresso prioritario o con visita guidata. Biosfera di Genova. Conosciuta anche come la Bolla di Renzo Piano, è un luogo molto speciale, il cui ingresso spesso è compreso nel percorso offerto dall’acquario di Genova. La sfera di vetro e acciaio sospesa sul mare nei pressi dell’Acquario, con un diametro di 20 m, ospita una piccola porzione di autentica foresta pluviale con oltre 150 specie tra uccelli, tartarughe, pesci, insetti e grandi felci arboree alte fino a 7 m. Galata, il museo del Mare. Il Galata è il percorso museale più grande dell’area del Mediterraneo dedicato al mare e uno dei più moderni d’Italia. Nelle sue sale è illustrata la storia di Genova, del suo legame indissolubile con il mare e delle mille sfaccettature che questo legame porta con sé: dalle galee agli atlanti e ai globi, dai viaggi come quello di Cristoforo Colombo alla vita dei marinai fino allo sviluppo del porto di Genova dal Medioevo ai giorni nostri. Bigo di Renzo Piano. Costruito da Renzo Piano insieme all’acquario e alla biosfera nel 1992 in occasione dell’Expo di Genova, conosciuto anche come le Colombiadi in quanto quell’anno si celebrava anche il 500° anniversario dalla scoperta dell’america. La suggestiva e scenografica struttura del Bigo non è altro che una gru usata per il carico e lo scarico in ambiente navale, ma al tempo spesso ormai è entrato a far parte dello skyline di Genova. Scoprire Genova: perdersi tra i carruggi del centro storico Pensando a Genova la mente richiama inevitabilmente l’immagine di un dedalo di stradine e strettissimi vicoletti. Sono i famosi carruggi, che si intersecano e si aprono su piazzette raccolte e suggestive, o vengono tagliati da scalinate chiamate crêuze, che connettono i diversi livelli della città che si allunga obliqua verso il mare. In questi vicoli è obbligatorio girare senza meta, seguendo soltanto l’istinto, magari alla ricerca di una bottega, di un caffè storico o di un fornaio per prendere al volo un pezzo di focaccia o di farinata di ceci da mangiare lungo la strada. Il centro storico pullula infatti di locali e trattorie dove gustare i piatti tradizionali della cucina genovese: le trofie al pesto, i pansotti con il sugo di noci, la cima, il minestrone, il cappon magro.. per i più golosi potrebbe essere interessante organizzare un vero e proprio tour alla scoperta dei sapori più autentici di Genova. Le soluzioni possibili sono plurime, basta valutarle. Per chi invece non vuole perdersi nemmeno un angolo del centro storico, si consiglia un tour guidato. In questo girovagare senza meta, comunque, vanno tenuti in mente alcuni riferimenti imperdibili: Cattedrale di San Lorenzo. La costruzione della chiesa più importante di Genova comincia nel 1098 e prosegue per i due secoli successivi, quando assume definitivamente le attuali forme romaniche e la caratteristica facciata gotica a fasce bianche e nere, che in città nel Medioevo erano simbolo di nobiltà. Da segnalare all’interno la rinascimentale cappella di San Giovanni Battista, le magnifiche volte del presbiterio barocco dipinte da Lazzaro Tavarone con il Giudizio Universale e il Martirio di San Lorenzo, quelle della cappella sinistra con l’Assunzione della Vergine di Luca Cambiaso, e infine il museo del Tesoro di San Lorenzo con il sacro Catino, un manufatto in vetro di fattura islamica del IX-X secolo che una leggenda lo vorrebbe corrispondere al sacro Graal. Palazzo Ducale. L’altro monumento simbolo del centro storico di Genova è il neoclassico palazzo Ducale, sede del dogato dell’antica repubblica Marinara e oggi principale sede cittadina di musei e mostre internazionali. La costruzione risale alla fine del XIII secolo per poi subire nei secoli successivi numerose trasformazioni fino al 1777, quando un devastante incendio costrinse la città alla sua ricostruzione nelle forme visibili ancora oggi. Le parti antiche e moderne dell’edificio si fondono l’una con l’altra creando un mix unico e armonioso. Piazza Truogoli di Santa Brigida. In una piazzetta tra via Balbi e la celebre via Pre si trovano i cosiddetti truogoli, ovvero gli antichi lavatoi dove le donne portavano i panni da lavare e alla cui costruzione contribuirono gli stessi nobili Balbi verso il 1656. Il rio Santa Brigida che scorreva nei pressi alimentando i lavatoi forniva acqua anche alla vicina fontana dei Macellari. Via del Campo. Questa via è stata resa immortale dall’omonima canzone del grande Fabrizio De André e rappresenta il punto di congiunzione tra l’antica porta dei Vacca, il lungomare del porto Antico e via di Pré, che termina all’altezza del complesso romanico della commenda di San Giovanni di Pré (1180). Per gli amanti di De André potrebbe essere una buona idea organizzare un tour guidato alla scoperta dei luoghi di Genova legati ai grandi musicisti. Piazza delle Erbe. Adiacente all’imponente palazzo Ducale, la piazza è il cuore della vita notturna genovese, con i suoi locali alla moda frequentatissimi dai giovani della città. Piazza San Donato. Situata nel quartiere Molo, si contraddistingue per la bella chiesa romanica intitolata appunto a San Donato, risalente al XII secolo e al cui interno spicca il trittico dell’Adorazione dei Magi (1515) dell’artista fiammingo Joos van Cleve. Scoprire Genova: passeggiare per la strade Nuove Se nei carruggi medievali aleggia potente l’anima profonda di Genova, quell’orgoglio nobiliare che la fece definire superba dal Petrarca si concretizza nel sistema delle strade Nuove. Si tratta di un insieme di ampie strade sulle quali si affacciano i cosiddetti palazzi dei Rolli, recentemente inseriti nel patrimonio dell’umanità Unesco, ovvero delle dimore nobiliari in stile rinascimentale e barocco, fatte costruire a partire dal XVI secolo dalle nobili famiglie genovesi per magnificare la loro ricchezza e il loro potere. Il nome viene dal fatto che queste dimore erano inserite nei registri cittadini, detti appunto rolli, dai quali venivano scelte le residenze dove poter ospitare eventuali personalità di prestigio in visita di Stato. Per respirare questa atmosfera sfarzosa è obbligatorio percorrere via Balbi, via Cairoli e via Garibaldi. Qui si possono ammirare, tra gli altri: Palazzo Reale (1643-1650). Costruito in puro stile barocco genovese conserva stucchi e affreschi di una bellezza travolgente, come quelli che adornano la galleria degli Specchi. Nella quadreria sono conservate tele dei maggiori artisti genovesi del Seicento come Bernardo Strozzi e il Grechetto insieme ad alcuni capolavori di Tintoretto, Luca Giordano, Van Dyck e del Guercino. Palazzo Rosso (1671-1677). L’edificio, con la sua inconfondibile facciata rossa finemente decorata, ospita la prima delle tre sezioni dei musei di strada Nuova, che comprende anche palazzo Bianco e palazzo Doria-Tursi, dedicato alle collezioni d’arte della famiglia Brignole-Sale, tra cui una splendida quadreria con opere di Anton Van Dyck, Guido Reni, Guercino, Palma il Vecchio e Veronese. Palazzo Bianco (1530-1540). L’elegante balconata che si apre a fianco della sobria facciata nasconde, oltre a un incantevole giardino, una meravigliosa galleria di dipinti cinquecenteschi tra cui tele del Caravaggio, Luca Cambiaso, Filippino Lippi, Rubens, Van Dyck e Giorgio Vasari. Palazzo Doria-Tursi (1565). Il più grande per estensione, nonché il più maestoso tra i palazzi di strada Nuova, con due ampie logge laterali a incorniciare il corpo centrale in marmo bianco di Carrara, pietra rosa di finale e ardesia. Da segnalare gli affreschi e i dipinti che abbelliscono il grande salone di Rappresentanza e le sale che ospitano i musei di strada Nuova, nella quali spiccano la splendida Maddalena Penitente di Antonio Canova e il violino, detto Il Cannone, appartenuto a Niccolò Paganini e costruito dal liutaio italiano Guarneri. Palazzo Podestà (1559-1565). Merita una visita per lo stupendo ciclo di affreschi di Bernardo Strozzi raffigurante La fede cristiana sbarca nel nuovo mondo (1623-1624) che adorna la volta del salone centrale. @Shutterstock Il fascino inconfondibile di Genova si definisce tutto nella valutazione metaforica della sua posizione geografica: stretta in un fazzoletto di terra, chiusa verso l’interno dalle montagne, ma aper…
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Mes, duello a distanza Conte vs Salvini. Ma cos'è il Mes?
Duello a distanza sul Mes, sul fondo salva stati europeo.
«A Salvini se è un uomo d'onore dico questo: vada in Procura a fare l'esposto. Non ho l'immunità perché non sono parlamentare. Lui ce l'ha e ne ha già approfittato per il caso Diciotti. Adesso veda questa volta, perché lo querelerò per calunnia, di non approfittarne più»
«Il signor Conte deve mettersi in fila e prendere il bigliettino, prima viene la signora Carola e la signora Cucchi», ha replicato l'ex ministro dell'Interno notando che «la crescente arroganza dell'avvocato del popolo ricorda una frase del marchese del Grillo: "Io so' io, voi non siete un cazzo". Ha la coscienza sporca dei bambini beccati con le mani nella marmellata».
La resa dei conti lunedì a Montecitorio, quando il presidente del consiglio, Giuseppe Conte riferirà ai parlamentari. Momenti di altissima tensione si sono registrati quando il premier, accusato di essere un bugiardo, ha intimato il leader della Lega, Matteo Salvini di querelarlo per calunnia. Peccato che lunedì Matteo Salvini non potrà replicare in Aula, essendo un senatore, ma affiderà il suo pensiero a uno dei suoi fedelissimi, seduto alla Camera. Giuseppe Conte intende dimostrare che nell'anno di governo la Lega è stata puntualmente informata e che il testo finale non tradisce la risoluzione parlamentare votata il 19 giugno che chiedeva al governo giallo-verde di lavorare nell'interesse dell'Italia. Matteo Salvini ieri sera ha partecipato dalla trasmissione Diritto e Rovescio di Del Debbio ha dichiarato di avere ancora il testo di un messaggio tra lui e il premier Conte dove ribadiva che la firma dell'accordo sul Mes non doveva essere firmato. Giuseppe Conte vuole dimostrare che in uno stato di diritto "i messaggini" non valgono più degli atti parlamentari. Altra questione è la posizione del Movimento che dopo una serrata discussione interna avvenuta ieri ha deciso di soccorrere Conte migliorando il testo esprimendo al tempo stesso massima fiducia nel premier stesso e nel ministro Gualtieri. La linea di Giuseppe Conte sul pacchetto. Così come scrive il Messaggero Conte resta fermo sulla linea del pacchetto più volte enunciata. La riforma del Salva Stati è un elemento importante insieme al bilancio dell'Eurozona e, soprattutto, all'Unione bancaria. Poiché si è cominciato a lavorare su un meccanismo che già esiste, e che se non venisse riformato resterebbe comunque. Occorre scrivere una precisa road map non solo temporale, ma che escluda, per esempio, alcune proposte di Unione bancaria. A cominciare da quella avanzata di recente dal ministro tedesco delle Finanze OlafScholz. Più che sul testo della riforma, a palazzo Chigi come al ministero dell'Economia si lavora quindi su strade parallele: la road map che permetta di inserire la riforma del Mes in un «pacchetto» dai contorni definiti, e l'integrazione o la correzione di alcuni allegati alla riforma che sempre più frequentemente, nella politica comunitaria, integrano e orientano il testo principale. Giorgia Meloni, leader di Fdi, ha detto che non si può confermare l'impegno per un fondo al quale l'Italia, se avesse bisogno di essere salvata, non potrebbe accedere.
Parliamo del Mes
A chiarirci le idee un articolo di Panorama. Il Mes è un'organizzazione intergovernativa dell'Eurozona istituita nel 2012con lo scopo di andare in aiuto dei Paesi in difficoltà economica. Come fosse un enorme fondo cassa dove i ricchi mettono di più e i poveri di meno e quando qualcuno ha problemi si rompe il porcellino. Detta così sembra l'uovo di Colombo che ci salverà tutti, ma le cose sono un po' più complesse. Il MES ha una dotazione di 80 miliardi di euro il 27% dei quali arrivano dalla Germania che, con ogni probabilità, non utilizzerà mai i propri risparmi e quindi detta le regole per gli altri. Il MES, inoltre, emette titoli con la garanzia degli Stati che ne fanno parte e per questo è in grado di raccogliere sui mercati finanziari fino a 700 miliardi di euro.
I parametri per accedere al MES
Il problema è che per gli Stati in difficoltà non basta alzare il ditino e chiedere l'aiuto da casa, ma per attingere a quella che sembra l'oasi nel deserto devono sottoscrivere tutta una serie di condizioni da lacrime e sangue. Il primo luogo devono accettare la sorveglianza della cosiddetta Troika il comitato costituito da Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale che avrà il compito di vigilare sulla realizzazione di una serie di riforme e cambiamenti nazionali imposti giocoforza dall'Europa. Si tratta di misure politicamente impopolari come il taglio della spesa pubblica, l'aumento delle tasse, nuovi leggi sul lavoro nazionalizzazione o privatizzazione di enti, pensioni stipendi pubblici e così via. In pratica è l'Europa che decide la linea politica del paese in crisi. Al momento del MES hanno usufruito Grecia, Cipro, Portogallo e Irlanda.
La riforma del MES
Da tempo si parla di una riforma di questo Meccanismo, una riforma che però va in due direzioni antitetiche. I Paesi ricchi (sostanzialmente quelli del nord Europa) chiedono maggiori garanzie sui prestiti e maglie più strette affinché le nazioni meno forti non prendano alla leggera i propri impegni finanziari sapendo che tanto poi ci pensa il MES, mentre le nazioni potenzialmente in difficoltà (tra cui l'Italia) vorrebbero che la mano dell'Europa stesse lontana dalla sovranità popolare. Da inizio 2018 il braccio di ferro tra "ricchi" e "poveri" (per dirla in soldoni) della zona Euro prosegue senza sosta nel tentativo di arrivare a una riforma equa che non strozzi le nazioni in difficoltà ma che non marci sulle tasche dei paesi più forti. Tra i punti chiave della riforma i meccanismi di accesso al credito. I paesi più indebitati, tra cui l'Italia, chiedevano che le linee di credito precauzionali del MES (che si chiamano in termini tecnici PCCL e ECCL) venissero concesse anche senza bisogno di sottoscrivere un accordo dettagliato di riforme impopolari. Nella versione finale questa richiesta è stata sì accolta, ma a patto che i paesi che hanno bisogno di accedere al MES rispettino i parametri di Maastricht e in realtà su 19 Paesi dell'Eurozona, ben 10 (e cioè i più indebitati e quindi quelli che avrebbero potenzialmente bisogno del MES) questi parametri non li rispettano. Vittoria dei "poveri" invece è stata l'introduzione del cosiddetto backstop per il Fondo di risoluzione unico, un fondo finanziato dalle banche europee ideato per aiutare istituti finanziari in difficoltà. Ora il MES potrà finanziare il Fondo di risoluzione fino a 55 miliardi rendendo le banche più sicure. E poi c'è la terza modifica, quella vinta dai "ricchi" che non solo non piace all'Italia ma preoccupa i più deboli La riforma cerca di rendere più facile ristrutturare il debito pubblico di un paese che chiede aiuto al MES. Questo significa che i privati che hanno prestato denaro alle nazioni in crisi perderanno parte del loro investimento nel momento in cui scatterà un pacchetto di aiuti con un complesso sistema di compravendita di titoli di Stato. Questo determina sì che un paese in difficoltà possa restituire meno di quello che deve ai suoi creditori, ma implica che i creditori, consci del maggior rischio del proprio prestito, finiscano per chiedere interessi proporzionalmente elevati al livello di difficoltà del Paese in oggetto. Read the full article
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