#Valle dei Pittori
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L’arte di Luca Ripamonti al Metropolitan di New York: Una Lectio Magistralis
Il Metropolitan Museum di New York City si prepara ad accogliere un’opera straordinaria, frutto del genio dell’artista contemporaneo italiano Luca Ripamonti. Sabato 25 maggio, nella suggestiva cornice della sala Bonnie Sacerdote, sarà presentato al pubblico l’opera intitolata “Riflessi”, un momento unico che segna l’entrata dell’artista nella storia dell’arte mondiale. L’Anticipazione…
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Provo la Benelli TRK 502X
Da diversi giorni il tempo è instabile, ripetuti rovesci si susseguono su Genova. E’ pomeriggio inoltrato quando guardando il mare, se verso Ponente il grigio del cielo sempre più scuro prevale, a Levante è tornato il sereno.
Pochi minuti per scegliere una meta da raggiungere in moto, seppur vicina – Sori.
Giro la chiave di accensione della Benelli TRK 502 X la “Benellona”, sì avete capito bene, così in molti la chiamano, strutture imponenti, sguardo da grande e motore alla portata di tutti, un mix di un Brand ricco di storia che ha fatto di questa moto negli ultimi anni, un enduro stradale votata al turismo, una scalatrice di classifiche vendite fino ad accaparrarsi il primo posto.
Bel risultato Benelli, ma su di te tornerò dopo!
Decido di costeggiare il mare fino a Nervi, con lo sguardo che incrocia uno dopo l’altro gli stabilimenti balneari e le zone di spiaggia pronte all’avvio della stagione estiva, laggiù, più lontano, la meta rimane fissa sotto un cielo che sembra voglia concederci il tempo di una tregua.
La Strada Statale 1 Via Aurelia che ci permette di costeggiare il litorale, ogni volta che la si sceglie, curva dopo curva, grazie ai suoi panorami ai suoi colori primaverili, ai piccoli centri abitati che si susseguono uno dopo l’altro come quadri degni dei migliori pittori, mostra a chi la percorre lo spettacolo della Riviera di Levante.
La moto di oggi, la Benelli TRK 502 X si mostra fin da subito un mezzo ideale per assaporare appieno il susseguirsi di curve in un misto stradale ad andatura turistica.
Comoda per il guidatore, tanto da non stancare neppure dopo ore e ore di guidato, offre un’importante porzione di sella anche per il passeggero che seppur rialzato potrà farvi compagnia così come per i semplici trasferimenti quotidiani, anche per il lungo viaggio.
Con un peso in ordine di marcia di 235 Kg e altezza sella da terra 860 mm questa versione X con lo scarico rialzato e sospensioni sostenute, strizza l’occhio al fuoristrada seppur leggero.
E’ un piacere lungo la strada statale panoramica utilizzare il cambio a sei marce dai rapporti corti e innesti precisi assecondato da una frizione morbida e modulabile.
Il motore, un bicilindrico frontemarcia da 500 cc per 47,6 CV a 8.500 giri/min e 46 Nm a 6.000 giri/min pur con la sua cavalleria ridotta, gira sempre rotondo, pronto ad ogni richiamo dell’acceleratore, assicurando un buon ritmo di marcia a fronte di consumi carburante ottimi.
La ciclistica, telaio a traliccio con piastre in acciaio, una forcella a steli rovesciati da ben 50 mm con una escursione da 140 mm, non regolabile ma ben tarata e sostenuta e un mono posteriore dall’escursione di 62 mm regolabile nell’idraulica in estensione, compressione e nel precarico molla, così come assicura stabilità nei tragitti extraurbani, mostra agilità insospettabile in ambito urbano.
L’impianto frenante con ABS costituito all’anteriore da dischi da 320 mm con pinza flottante a due pistoncini e disco al posteriore da 260 mm assicura sempre spazi di arresto sicuri e modulabili, con l’anteriore dalla frenata decisa anche se a fronte di uno sforzo alla mano marcato e un posteriore più che dall’attacco mordente, di accompagnamento alla decelerazione.
E’ così che curva dopo curva giungo presso Il borgo di Sori che si affaccia sul mare del Golfo Paradiso, a est di Genova, nella Riviera di Levante, un territorio, quello comunale che si protende nell'entroterra lungo la valle dell'omonimo torrente fino a raggiungere lo spartiacque con l'alta Val Fontanabuona.
Con la moto arrivo il più vicino possibile al mare, percorro il ponte, e su di esso mi soffermo un attimo ad ammirare lo scorcio che mi appare, subito dopo, parcheggio per una breve passeggiata sulla spiaggia.
Le piccole barche una dietro l’altra nel vicolo vicino, rapiscono il mio sguardo e la mia curiosità, la spiaggia deserta facilita l’ascolto delle onde che si infrangono sulla battigia mentre il piccolo parco per bambini li accoglie con i suoi giochi.
Riparto, e prima di indirizzare la moto verso Genova mi dirigo verso la stazione per una vista dall’alto, da qui, il punto panoramico, il piccolo Borgo incastonato appare ancora più bello.
Grazie Benelli TRK!
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Autunno 2023 con il Treno del Foliage tra Italia e Svizzera
Dal 14 ottobre al 11 novembre a bordo dei treni della Ferrovia Vigezzina-Centovalli, tra il Lago Maggiore e la Val d'Ossola, torna una delle esperienze turistiche autunnali più amate tra Italia e Svizzera per i passeggeri che ogni anno, grazie al biglietto speciale Treno del Foliage, salgono a bordo dei convogli della Ferrovia Vigezzina-Centovalli per riempirsi gli occhi degli incantevoli scenari autunnali che i treni attraversano dal 1923. Sono cento anni di storia per questa ferrovia alpina che unisce la Svizzera all'Italia grazie a 52 km di binari, inserita dalla Lonely Planet tra le dieci linee più spettacolari d'Europa e proprio nell'anno del centenario, festeggiato da SSIF e FART, le due società che gestiscono la tratta ferroviaria, il Treno del Foliage si conferma dunque tra le proposte della stagione più variopinta dell'anno. Lungo le curve dell'autunno il tragitto sarà una tavolozza di colori e sfumature nella tratta italiana, con partenza da Domodossola, sale fino alla valle dei pittori, la Valle Vigezzo, con il suo punto più alto nel borgo di Santa Maria Maggiore, poi i treni proseguono fino al confine e superato il valico, iniziano a scendere lentamente attraverso le Centovalli fino a raggiungere Locarno e la romantica sponda elvetica del Lago Maggiore. Tra ottobre e novembre i boschi attraversati dai treni bianchi e blu si infiammano di calde tonalità e rassicuranti sfumature, in un susseguirsi di gole profonde e incantevoli pianori di media montagna, incorniciati dalle cime imbiancate. In questo spettacolo naturale c’è il segreto del successo della proposta, nata nel 2016, che ha portato alla ribalta internazionale la Ferrovia Vigezzina-Centovalli, dove si sfila davanti allo spettacolo delle colline punteggiate di filari di vite giallo oro, ci si addentra nei boschi popolati da betulle e castagni, fino a raggiungere le faggete, alle quote più alte, dove la visione sui fianchi multicolori delle montagne riempie gli occhi di quella meraviglia naturale di un periodo limitatissimo dell'anno. Sarà possibile acquistare online – a partire da lunedì 18 settembre, il biglietto speciale, valido uno o due giorni, per salire a bordo del Treno del Foliage dal 14 ottobre al 11 novembre, con la possibilità di effettuare una sola sosta intermedia per scoprire una delle località toccate dal tragitto ferroviario. Il viaggio potrà iniziare, a libera scelta, dalla piemontese Domodossola o la ticinese Locarno. Domodossola conserva nel suo centro storico gioielli architettonici e perle culturali nascoste tra le viuzze del cuore antico, come la splendida Piazza Mercato e i meravigliosi palazzi storici. Da non perdere la visita a Palazzo San Francesco, sede delle ricche dei Musei Civici, che ospita fino al 7 gennaio 2024 la mostra “l gran teatro della luce. Tra Tiziano e Renoir. Locarno è la stazione di arrivo per chi parte dall'Italia, affacciata sul Lago Maggiore, con un incantevole lungolago, ma anche un nucleo storico ricco di scorci, a due passi dalla rinomata Piazza Grande, simbolo stesso della città e sede del Festival del Cinema. A pochi chilometri da Locarno c’è Ascona, perla dal fascino mediterraneo sul Lago Maggiore e raggiungibile da Locarno in bus. Da segnalare alcuni eventi in programma da Locarno, dove gli amanti dei sapori tipici non potranno perdersi la 24a edizione dell’Autunno Gastronomico del Lago Maggiore e Valli, in calendario fino al 24 ottobre. Nella tratta italiana, Santa Maria Maggiore organizza il 14 e 15 ottobre Fuori di Zucca, apprezzata manifestazione per scoprire il borgo Bandiera Arancione del TCI con decine di eventi autunnali e un gustoso mercatino a km0., oltre una visita alla rinnovata Scuola di Belle Arti Rossetti Valentini, che ospita la mostra Enrico Cavalli (1849-1919) Tra la Francia di Monticelli e la Val Vigezzo di Fornara e Ciolina e l'esposizione temporanea Residenze d'artista. Per l iniziative volute per festeggiare i primi 100 anni della Ferrovia, spicca a Toceno, paese della valle dei pittori raggiungibile anche da Santa Maria Maggiore, lungo il percorso outdoor I paesaggi di Giovanni Battista Ciolina, la mostra Andrea Testore e Francesco Balli. Dall'idea al binario: come è nata la ferrovia dedicata alla nascita, nel 1923, della Vigezzina-Centovalli e a Malesco, nelle sale dell'ex Ospedale Trabucchi, oggi centro culturale, c’è la mostra fotografica VigezzinaCentoanni. La ferrovia ha numerose fermate tra Italia e Svizzera e il biglietto del Treno del Foliage prevede una sosta lungo il percorso di andata o ritorno, utile per visitare il Santuario della Madonna del Sangue di Re o i meravigliosi borghi di Malesco e Santa Maria Maggiore e, nella zona svizzera del percorso, le località di Intragna, con il campanile più alto del Ticino e il Museo regionale, e Verdasio, da cui partono due funivie per raggiungere comodamente le alte quote e ammirare i colori del foliage da un punto di osservazione privilegiato. I biglietti del Treno del Foliage saranno acquistabili su www.vigezzinacentovalli.com/foliage Read the full article
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Tradizione e senso del sacro, la pittura di Pietro Gaudenzi
(Luciano Fioramonti) Pietro Gaudenzi e Anticoli Corrado. Nel destino dell’ artista genovese, che all’ alba del secolo scorso si era trasferito a Roma, il borgo della Valle dell’ Aniene occupò un ruolo centrale. Qui, dove pittori e scultori italiani e stranieri dalla metà dell’ Ottocento avevano trovato una sorta di Arcadia aprendo studi o andando a vivere attratti dalla bellezza classica dei…
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Enrico Cavalli (1849-1919) - Tra la Francia di Monticelli e la Val Vigezzo di Fornara e Ciolina, inserita nel progetto “Val Vigezzo.La valle dei pittori”, realizzato con il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo nell’ambito del bando in “Luce – Valorizzare e raccontare le identità culturali dei territori”: della Missione Creare attrattività dell’Obiettivo Cultura, che mira alla valorizzazione culturale e creativa dei territori di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta rendendoli più fruibili e attrattivi per le persone che li abitano e per i turisti, in una prospettiva di sviluppo sostenibile sia sociale sia economico.
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L'impatto culturale del drago Tarantasio sul terziario italiano
(un sentito ringraziamento al buon Enrico per avermi fatto precipitare in questo buco nero)
Fra il letto dei fiumi Adda e Serio ci sono tante cose, ma non c'è un lago. Anzi, "datazioni geologiche permettono di rilevare che già 5000 anni fa la valle dell'Adda era già formata, e si presentava così com'è ora.". Da dove viene questa citazione? Dalla pagina di wikipedia del Lago Gerundo. Che non c'è. E non c'era, se ti fidi delle fonti storiche e della geologia. Dice che è "conosciuto più per la tradizione orale". La mia ipotesi è che qualche ganzo in pantacalze medioevali abbia portato una sera la sua sfitinzia a parcheggiarsi imboscati col carretto, e davanti ad alcune rimostranze estetico-paesaggistiche "ma mi hai portato in un ghiaione" ella sia stata turlupinata vilmente tipo "sì ma qui una volta c'era un lago, immagina, puoi" e la storia si sia poi diffusa.
Comunque: abbiamo una zona di strati di ghiaia, ricoperti da mediamente 45 cm di torba, che è tale da 5000 anni ed è nota come Lago Gerundo. Non avevo un mal di testa così dalla descrizione degli occhiali-non-occhiali di lapo che non sono occhiali ma è un concetto.
Ma prendiamolo come lago assiomatico. Nelle sue acque-non-acque pare vivesse un drago (forse la prima storia su questi animali nella quale la loro esistenza è la parte più plausibile): il terribile drago Tarantasio.
Si riteneva che divorasse i bambini, che fracassasse le barche ed il suo fiato pestilenziale ammorbava l'aria e causava una strana malattia denominata febbre gialla.
Non me ne voglia la Tradizione Orale™ ma quando ti ritrovi una bestia che si ciba di cristiani, distrugge i barchini e soffre di alitosi tossica magari si sarebbe potuto scegliere un nome più temibile di Tarantasio, che suona un po' come "il serial killer Sbirulino".
Comunque qualcuno ad un certo punto arrivò, accoppò il drago e già che c'era bonificò il lago (credo fosse l'equivalente del XII secolo delle garanzie aggiuntive che ti offrono nelle catene di elettrodomestici "per diciannove ducati e novanta oltre alla disinfestazione draghi vi prosciughiamo anche il lago, se torna entro cinque anni vi mandiamo un altro cavaliere"). Sull'autore dell'impresa ci sono più ipotesi: san Cristoforo, Federico Barbarossa ma quella che ci piace di più è Umberto Visconti, che dopo l'impresa usò il drago per lo stemma della casata.
Poi i pittori di stemmi di casate di draghi ne han visti pochini quindi venne stilizzato un serpentone con le scaglie e probabilmente fu Umberto stesso a dirgli "cristosanto mettigli un essere umano in bocca o sembra una biscia del boschetto qui dietro". In realtà sullo stemma dei Visconti le ipotesi sono svariate, potrebbe citare il Nehustan scolpito nella basilica di sant’Ambrogio a cui poi è stato aggiunto un saraceno a caso in bocca in tempi di salvin crociate. Ma questo blog dice NO ai rettili forestieri, e riteniamo più plausibile come ispirazione l'italico vigore del drago Tarantasio.
Nel tempo, la sovraesposizione a secoli di stemmi viscontei in castelli, duomi, mausolei e stazioni dei treni ha condizionato le docili menti dell'imprenditoria industriale italiana che ne ha abusato in loghi assortiti fra Alfa Romeo, Eni, Milano 2, canale 5 e fininvest in generale che però ha optato per una versione soft col biscione che ogni tanto mangia un fiore perché l'appalto sul cibarsi di bambini è poi stabilmente passato nelle mani dei comunisti.
E ora ogni volta che vedo uno di quei loghi lì non posso fare a meno di pensare al terribile drago Tarantasio e all’omarino medioevale in pantacalze che ciurmava la sua bella con storie di laghi rinsecchiti.
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Donatello Mancusi, ”Percezioni”: intuire storie, tempi, situazioni, ritmi.
di Gustavo Millozzi
-- "Fotografia capovolta" ovvero il primato dell'osservatore. –
Ogni fotografo che realizza street photography testimonia il suo tempo rappresentando ciò che lo circonda quando "esce di casa" con lo scopo di cogliere ogni aspetto della vita, dell’anima, in sintesi, l’essenza stessa della sua società. A mio avviso questa è l'interpretazione che ne dà magistralmente anche Donatello Mancusi nella sua mostra Percezioni, declinandola in quattro diversi temi.
È fotografia di strada, traccia del tempo presente, quella che nasce nel momento in cui ognuno riprende con una reflex, una compatta, un telefonino o un qualsiasi tipo di fotocamera, una situazione in un luogo pubblico, sia all’esterno che all'interno, in cui il soggetto principale sia la presenza umana, diretta o indiretta, ossia anche attraverso oggetti che ne evochino soltanto la presenza.
Con un passaggio in più Mancusi ribalta la prospettiva: il punto di vista privilegiato non è più quello del fotografo, ma diventa quello dell'osservatore che è chiamato ad interrogarsi su chi sia il personaggio ritratto (Privato), su cosa stia accadendo in una determinata situazione (Piccole storie), di che cosa sia rappresentato (Carta da parati) fino ad indagare il senso stesso dell'immagine (Icona).
© Donatello Mancusi, da Percezioni (Privato)
Partendo dal primo nucleo, Privato, Mancusi raccoglie immagini fotografiche che si avvicinano al genere del ritratto, della figura ambientata, colte da un angolo di ripresa non convenzionale in quanto l’intera serie è costituita da personaggi anonimi visti da dietro.
Nelle scienze delle arti visive questo è un elemento dal significato simbolico: il dorso della figura riprodotto in due dimensioni consente allo spettatore di prendere il posto del soggetto della foto e vedere ciò che la persona raffigurata vede. È tradizionalmente un modo molto efficace per aumentare l’illusione di entrare nell'immagine, aiutando a penetrare lo spazio pittorico/fotografico, attirando lo sguardo dell'osservatore nella profondità del lavoro stesso.
La figura umana occupa praticamente tutto lo spazio, impedendo all'osservatore di decodificare l'immagine avendo la vista bloccata da un retro solo apparentemente anonimo con vestiti e abiti che poco raccontano della persona e della sua vita. Il soggetto sembra negarsi al fotografo e, dove prima si tentava di decifrare l'espressione facciale del ritrattato per conoscerlo, qui la comunicazione si sposta sulla schiena, sulla postura, sui pochi indizi che l'osservatore è chiamato ad indagare. Questo cambiamento di prospettiva, che potrebbe essere letto come disinteresse o rifiuto, appare invece come un messaggio diretto ed efficace che, aiutato da un’ambientazione quasi inesistente, diventa un appello all’osservatore. È chiaramente un’impostazione “anti selfie” e pertanto anche una negazione della tradizionale “foto ricordo”, più concentrata su cosa, enigmaticamente, il soggetto vede e - sul suo profondo pensare con lo sguardo verso l’indefinito - che alla rappresentazione del soggetto stesso. Un atteggiamento spontaneo, non importa se in posa, che nella nostra mente non associamo ad un artefatto, in cui il soggetto appare chiuso in sé stesso.
Si consideri inoltre come questo messaggio visivo possa assumere un altro importante significato dove lo studio sistematico di Mancusi interpreta una tipologia classificata dalla sociologia contemporanea di Gottfried Keller. Questi sarebbe stato sorpreso nel vedere il suo Kleider machen Leute (Gli abiti fanno le persone) reinterpretato nelle immagini del nostro autore: “la ricerca dell'identità diventa una filosofia che si fonde con l'ideologia e alla fine viene indossata sul proprio corpo”.
© Donatello Mancusi, da Percezioni (Piccole storie)
Ciò che Mancusi ci presenta poi in Piccole storie è un'evoluzione, per certi versi, del lavoro precedente. Aspetti della realtà in cui immagini di diverso contenuto, che non hanno alcun rapporto tra loro, si trovano assieme per semplice coincidenza, come in tutte le coincidenze della vita, combinando persone e luoghi reali, ma non necessariamente persone e luoghi naturalmente vicini. L’autore non ci spiega in alcun modo quanto avviene nelle scene del teatro della vita che ha scelto di "bloccare" con personaggi che recitano ruoli che lascia a noi interpretare. E ciò può avvenire in diverse maniere, senza darci alcun indizio, come fossero parole di frasi che non hanno né principio né fine: possono esser da noi composte e lette come espressione di sentimenti diversi - dolore, indifferenza, gioia, solitudine... - secondo lo spirito ed il particolare momento che stiamo vivendo.
Sono fotografie di forte potenzialità narrativa, scattate in strade, ambienti e situazioni che chiunque di noi ha certamente già potuto vedere, ma sulle quali non si è mai soffermato non avendo neppure mai pensato di coglierne il significato profondo.
Mancusi, come succede per le immagini di Philip Lorca di Corcia sceglie gli eventi quotidiani togliendoli dal regno della banalità, cercando di ispirare nell’osservatore una consapevolezza della psicologia e delle emozioni contenute nelle situazioni della vita reale; ci invita a soffermarci su di esse ed a scoprire particolari ed atteggiamenti per risolvere il loro mistero che, come tutte le immagini della street photography, è quello del quotidiano, come la pittura di Hopper ci ha ben insegnato, che velocemente fugge con noi e, come noi, fugge verso una mèta indefinita.
© Donatello Mancusi, da Percezioni (Carta da parati)
Il terzo lavoro ci riserva uno studio delle superfici, dei colori e della materia. Nel nostro mondo di ogni giorno ci imbattiamo in vetrine, banchi, bacheche ed altri mezzi da esposizione dove veniamo colpiti da oggetti, forme e colori che, in fondo, rappresentano l’uomo e il trascorrere della sua esistenza, segnandone, evidenziandone e sollecitandone i consumi, le vanità e i desideri. E’ un ulteriore aspetto della street photography che Mancusi con Carta da parati ha saputo efficacemente cogliere e presentare in una raffinata esecuzione, impreziosita dal particolare supporto cartaceo.
Ognuna di queste immagini porta in sé la sua personale interpretazione di una porzione scelta della realtà, racchiusa nell'inquadratura: non c’è bisogno di una voce narrante che descriva o di un testo allegato che spieghi in quanto la forma di comunicazione è puramente visiva. Per esprimere la loro funzione e raccontare la loro storia sono sufficienti gli elementi rappresentati e le loro relazioni che svolgono un ruolo ben preciso per veicolare al meglio il messaggio che l’autore ha voluto trasmetterci.
Nell’osservare questa serie nel suo complesso mi è tornata alla mente la Teoria della Gestalt (La Legge della Vicinanza) constatando come le immagini, vicine tra loro, abbiano la capacità di essere percepite come appartenenti ad un unicum divenendo non più, per chi le guarda, scindibili l’una dall’altra e facendo capire come il fotografo abbia organizzato la loro combinazione in funzione di un risultato ben chiaro nella sua mente.
© Donatello Mancusi, da Percezioni (Icona)
Infine Icona. Cosa è per noi un manifesto? È una presenza continua nella nostra vita che troviamo spesso e ovunque: alle fermate dei bus, sui muri delle strade, sui tabelloni pubblicitari, nei luoghi pubblici, spesso in forme e contenuti semplici, di facile comprensione, oppure in soggetti complessi, sempre comunque con la sola funzione di richiamare la nostra attenzione. Ma quanto durano, se non vengono, come il più spesso accade, rimossi o ricoperti da altri? Spesso vengono strappati mostrando, sotto tali ferite, strati di precedenti loro simili. In tali condizioni sono stati spesso oggetto di particolare interesse da parte di pittori - Mimmo Rotella, Jacques Villéglé e Raimond Hains - che ne hanno tratto opere in cui gli accostamenti cromatici, più che le forme, sono l’elemento principale. Ma anche i fotografi ne hanno trovato ispirazione come Paolo Monti che negli anni Cinquanta dà avvio alla serie Manifesti strappati nell’ambito di una più ampia sperimentazione sulla fotografia astratta.
Talvolta, ed è quanto ha voluto sottolineare Mancusi, questi prodotti pubblicitari terminano la loro vita invecchiando, dissolvendosi naturalmente sino alla scomparsa della loro identità per azione degli agenti atmosferici, per cause naturali, in relazione alla caducità della loro materia, cosa che noi possiamo avvertire e seguire come succede per i graffiti e i murales. L’immagine iconica di Moira Orfei segue parallelamente il declino fisico dell’artista circense, come se la sua stessa immagine sui muri invecchiasse con lei per poi scomparire e morire. All'opposto la medesima immagine, in quanto icona, resta sempre in vita, eterna, sempre uguale a sé stessa. Come un multiplo di Andy Warhol che si trovasse a mutare, col mutare del tempo, o un ritratto di Dorian Gray "capovolto".
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Una versione di questo scritto è riportata nel catalogo di:
Percezioni: Mostra fotografica di Donatello Mancusi a cura di Gustavo Millozzi
Padova, Palazzo Angeli - Stanze della Fotografia, Prato della Valle 1/a
dal 7 giugno al 28 luglio 2019, orario: 10.00 – 18.00, chiuso il martedì - Ingresso libero
Comune di Padova - Assessorato alla Cultura
#Donatello Mancusi#Street Photography#Gottfried Keller#Philip Lorca di Corcia#Teoria della Gestalt#Mimmo Rotella#Jacques Villéglé#Raimond Hains#Paolo Monti#Moira Orfei#Andy Warhol#Dorian Gray#Oscar Wilde#Gustavo Millozzi.
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Consigli per una gita fuori porta: Tivoli
Un posto tranquillo, connesso alla natura ed allo stesso tempo vivace, con tanti abitanti e bambini che giocano per strada – un weekend a Tivoli.
La passeggiata che vi propongo inizia con la visita ad una splendida abitazione di un cardinale, dalle cui finestre si gode una vista spettacolare.
Uno spettacolo che non ho mai visto prima nella mia vita: Villa D'Este.
La stanza della Gloria (realizzata da Federico Zuccari tra 1540-1609) rappresenta le quattro Virtù Cardinali: Giustizia, Fortezza, Prudenza e Temperanza.
Nella Sala della caccia sono raffigurate diverse scene di caccia subacquea e terrestre negli ampi riquadri, con diversi trofei come lepri e cinghiali.
A quanto pare la prima pittura fu realizzata da un pittore sconosciuto della prima metà del Seicento.
Si trova perfino rappresentato un incendio che, insieme a immagini raffiguranti acqua, aria e terra, completa il racconto dei 4 elementi.
Anche i dipinti esposti sono straordinari. Molti di questi sono stati recuperati dai Carabinieri a seguito di alcuni furti.
Le origini di questa meravigliosa Villa risalgono all’anno 1550, quando il Cardinale Ippolito d'Este la fa costruire. Il pittore e architetto Pietro Ligorio la progetta e Alberto Galvani la realizza.
Nel 1572 erano pronte quasi tutte le sale costruite come le vediamo oggi (anche con i dipinti sui muri).
Già nel 1605, su richiesta del Cardinale Alessandro d'Este, cominciano i lavori all’esterno: nel giardino, un miglioramento delle Fontane e una nuova struttura.
Nel XVIII (18) secolo la villa attraversa un periodo di decadenza, che peggiora fin quando diventa proprietà del distretto austriaco Asburgo.
Dopo la prima guerra mondiale Villa d’Este torna ad essere proprietà italiana (1920-30) e inizia una nuova fase di restaurazione per aprire le sale al pubblico.
I bombardamenti della seconda guerra mondiale però colpiscono tutta Tivoli e così capita che, dopo una ristrutturazione radicale ed un altro periodo di restauri, la villa risorga come un edificio rinascimentale, con il bellissimo giardino nello stile manierista, che sfrutta anche una collina naturale. Proprio qui sono state esposte opere come la fontana dell'organo e il "canto degli uccelli".
Scendendo le scale, si arriva allo spazio all’aperto... da togliere il fiato per quanto è bello!
Un parco incredibilmente grande e un paesaggio straordinario, in cui ci si perde se non hai la mappa in mano, tra piccoli vicoli e una zona che assomiglia ad un labirinto. Statue grandi, come quella di Madre Natura – forse la più importante e più conosciuta - quella di Nettuno o i giochi d’acqua, grazie all'adduzione delle acque con un acquedotto e un traforo sotto la città che rievocano la sapienza ingegneristica degli antichi romani.
Ovviamente questo spettacolo è inserito nella lista UNESCO del patrimonio mondiale.
Uscendo dal Portone del Giardino si accede alle scale della piccola piazza accanto. Il sole piano piano spariva, come le ultime persone che uscivano dal parco e tutto era tranquillo da un momento all'altro.
I gatti conquistavano la piazzetta, arrivavano da tutti i lati andando incontro agli avventori. E così accade che un uomo si mette seduto davanti al parco e tutti loro (parliamo di una ventina) si mettono intorno a lui. Una scena come non avevo mai visto prima, un gatto diverso all’altro.
Passeggiando per i vicoli, le strade, le piazze, mi sento rilassata, si prova una grande quiete. I vestiti lavati stesi fuori le finestre, le piccole piante, la gente che sta con la famiglia: Tivoli è un posto meraviglioso e pieno di vita.
Era la migliore scelta da fare come primo viaggio dopo il lockdown...e la compagnia del mio amore ha reso tutto più bello. Ma questa cittadina ve la posso consigliare come piccolo viaggio per scappare dalla metropoli!
Abbiamo fatto una piccola passeggiata nel centro dove, a differenza del pomeriggio in cui non c’era molta gente, la sera piano piano si riempiva di vita. Bambini che giocavano, gente che faceva l’aperitivo. I piccoli vicoli, ancora tranquilli, con i vestiti fuori dalle finestre per farli asciugare, e le piccole piante che rendevano tutto più carino.
Tra le strade di Tivoli, ci si muove la sera, la gente esce e si diverte. Ci sono gelaterie, bar, pub, locali, ristoranti e tanti abitanti in giro. In questa cittadina ci si sente subito accolti.
Ci siamo fermati in uno di questi vicoli, nascosto, per fare un aperitivo, ma a quanto pare si trattava di un posto conosciuto tra i giovani abitanti tiburtini.
Anche la cucina di Tivoli è molto buona. Ci sono posti sofisticati, come per esempio “Il Borghetto”, con un’offerta di menù molto popolare: arrosticini non-stop, ma anche antipasti e cucina romana.
Tra le strade di Tivoli ci si muove la sera, la gente esce e si diverte. Ci sono gelaterie, bar, pub, locali, ristoranti, e tanti abitanti in giro. In questa cittadina ci si sente integrati e subito accolti.
Un altro posto conosciuto di Tivoli è la Villa Gregoriana. La passeggiata era bellissima: si tratta di un percorso più naturale, un luogo straordinario e estremamente complesso, che non ha subito molte variazioni nel tempo.
Nella Valle dell'inferno, anticamente, l'Aniene formava un piccolo lago, in seguito denominato come il Pelago, di cui oggi rimane solo una traccia. Da questa radura ci si gettava con un salto verso la campagna romana. Le acque si inabissarono in un nuovo passaggio sotterraneo (la grotta delle Sirene) creando un ponte naturale che si chiama Radura di Ponte Lupo.
Inizialmente si può camminare verso la Valle dell'Aliene e durante tutta la giornata il mio pensiero è stato… “WOW!”. Abbiamo continuato la gita e visto fontane naturali, piccole cascate, mole e grotte, come la grotta di Nettuno, che era veramente grandissima ma purtroppo poco accessibile a causa di alcune scale da salire.
Uno dei primi interventi (realizzato sotto il governo francese) era il “Cunicolo del Miollis”, un tunnel nella roccia viva, con un traforo finestrato. I lavori iniziali risalgono ai primi decenni dell’800, nel sito dove i visitatori potevano percorrere – proprio come oggi – la grotta di Sibilla Albunca, il Pelago, e la grotta di Nettuno.
Grazie a Papa Gregorio XVI Villa Gregoriana prospera, vengono portate a termine le opere di ripristino del tempio di Tiburno, che restituiscono all'acropoli le sembianze tardo imperiali, completando l'ideale paesaggio archeologico e romantico.
Numerose sono pure le testimonianze lasciate da pittori o scrittori famosi come Goethe, con grande valore artistico.
Dopo un abbandono nella seconda metà del 900 segue la chiusura al pubblico e la natura prende il sopravvento. Si verifica una crescita spontanea e incontrollata della vegetazione, ma grazie al FAI (Fondo per l'Ambiente Italiano) – che dal 1975 opera per la difesa e la valorizzazione del patrimonio d'arte, natura e paesaggio italiano – è stata curata e ripulita.
Spero di aver stimolato la vostra curiosità condividendo la mia piacevole esperienza a Tivoli, dove tutto è un po’ più tranquillo, ci si trova a contatto con la natura e la gente è accogliente. Ci sono attività da fare per ogni tipo di short-holiday e mi sono trovata molto bene. Insomma, un luogo ideale per amici, coppie e famiglie, dove riprendersi dopo i mesi passati in lockdown.
- Elisabeth Bianchi
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Un piccolo borghetto, alle spalle di Imperia, dove abitano al massimo 40 persone. È questa Valloria, minuscola frazione di Prelà, in Liguria, arroccata su una collinetta verde, circondata da ulivi e totalmente immersa in uno scenario da sogno. Il suo nome deriva da Vallis Aurea, ovvero la valle d’oro, per via del legame con la coltivazione delle olive e della produzione del prestigioso olio. Davvero un posto incantevole reso ancora più magico dal fatto che Valloria è legata all’arte. Il suo centro, infatti, conta oltre 150 porte decorate a mano, ognuna da un diverso artista, cosa che l’ha resa famosa in tutta Italia come il ‘paese delle porte dipinte’. Valloria, dove l’arte è di casa Ritratti di donna, paesaggi, scene sacre o quotidiane, ballerine, pescatori, poeti e musicisti. Sono questi alcuni dei soggetti che si possono ammirare in questo piccolo gioiellino, a pochi minuti al centro di Imperia, che si va ad aggiungere tra i borghi più belli della Liguria. Si tratta di dipinti creati a mano realizzati con diverse tecniche da noti artisti e giovani pittori non ancora conosciuti che, ogni anno, in estate, si ritrovano qui per abbellire le porte delle case, delle stalle, ma anche dei magazzini che trovano spazio nel centro storico. Sono un vero tocco di colore che spicca sull’antica pietra medievale e che rende ancora più incantevole questo luogo. Per trovarli non c’è una mappa: basta non avere fretta, camminare su e giù per i vicoli del centro e perdersi tra i carruggi, senza tralasciare nessun angolo. Una tradizione, quella legata ai dipinti delle porte, nata per gioco negli anni Novanta e che ora porta qui almeno tre artisti diversi ogni anno che creano in diretta le nuove porte e poi si vanno a riposare all’ombra degli ulivi, gustando i piatti tipici della gastronomia locale. Un’idea davvero creativa che ha permesso a Valloria di entrare a pieno titolo nell’Associazione Italiana dei Paesi Dipinti. Fonte: 123rf Il museo delle cose dimenticate Valloria non è nota solo per essere il paese delle porte dipinte, ma anche per ospitare un curiosissimo museo, dedicato alle cose dimenticate. Un luogo dove si possono trovare, custoditi dagli addetti della struttura, antichi oggetti legati al passato e alla tradizione contadina, ma anche di uso domestico che, con l’avvento della tecnologia e della modernità, hanno perso piano piano il loro classico uso. Qui si possono ammirare utensili utilizzati per la coltivazione degli ulivi e la produzione dell’olio, ma anche aratri, strumenti musicali, lumi ad olio (di oliva), oltre a accessori per tostare il caffè o macinare il grano. Tutti oggetti appartenuti ai nonni di Valloria ed oggi racchiusi in una sola struttura che trova sede nell’oratorio cinquecentesco di Santa Croce. Tesori nascosti da scoprire, cosa fare a Valloria È piccolo il borgo Valloria, ma con tantissimi tesori da scoprire. Non solo le porte e il particolarissimo museo: questo gioiellino va ammirato in tutto il suo splendore. Rimanendo in centro ci sono le tre antiche fontane e l’enorme murale dell’artista Mario Carattoli dedicato alla tradizione contadina. Appena fuori dal centro, invece, si può optare per una passeggiata. Un primo itinerario porta alla chiesa di San Giuseppe, da cui si può ammirare un panorama spettacolare sulla valle e, quando le giornate lo permettono, si racconta che si può scorgere persino il profilo della Corsica. Un’altra passeggiata, invece, porta agli ulivi. Ideale per una gita a tutto relax, dopo aver fatto il pieno d’arte in paese. Fonte: iStock, 123rf https://ift.tt/2SsYpF7 Valloria, il paese delle porte dipinte nell’entroterra ligure Un piccolo borghetto, alle spalle di Imperia, dove abitano al massimo 40 persone. È questa Valloria, minuscola frazione di Prelà, in Liguria, arroccata su una collinetta verde, circondata da ulivi e totalmente immersa in uno scenario da sogno. Il suo nome deriva da Vallis Aurea, ovvero la valle d’oro, per via del legame con la coltivazione delle olive e della produzione del prestigioso olio. Davvero un posto incantevole reso ancora più magico dal fatto che Valloria è legata all’arte. Il suo centro, infatti, conta oltre 150 porte decorate a mano, ognuna da un diverso artista, cosa che l’ha resa famosa in tutta Italia come il ‘paese delle porte dipinte’. Valloria, dove l’arte è di casa Ritratti di donna, paesaggi, scene sacre o quotidiane, ballerine, pescatori, poeti e musicisti. Sono questi alcuni dei soggetti che si possono ammirare in questo piccolo gioiellino, a pochi minuti al centro di Imperia, che si va ad aggiungere tra i borghi più belli della Liguria. Si tratta di dipinti creati a mano realizzati con diverse tecniche da noti artisti e giovani pittori non ancora conosciuti che, ogni anno, in estate, si ritrovano qui per abbellire le porte delle case, delle stalle, ma anche dei magazzini che trovano spazio nel centro storico. Sono un vero tocco di colore che spicca sull’antica pietra medievale e che rende ancora più incantevole questo luogo. Per trovarli non c’è una mappa: basta non avere fretta, camminare su e giù per i vicoli del centro e perdersi tra i carruggi, senza tralasciare nessun angolo. Una tradizione, quella legata ai dipinti delle porte, nata per gioco negli anni Novanta e che ora porta qui almeno tre artisti diversi ogni anno che creano in diretta le nuove porte e poi si vanno a riposare all’ombra degli ulivi, gustando i piatti tipici della gastronomia locale. Un’idea davvero creativa che ha permesso a Valloria di entrare a pieno titolo nell’Associazione Italiana dei Paesi Dipinti. Fonte: 123rf Il museo delle cose dimenticate Valloria non è nota solo per essere il paese delle porte dipinte, ma anche per ospitare un curiosissimo museo, dedicato alle cose dimenticate. Un luogo dove si possono trovare, custoditi dagli addetti della struttura, antichi oggetti legati al passato e alla tradizione contadina, ma anche di uso domestico che, con l’avvento della tecnologia e della modernità, hanno perso piano piano il loro classico uso. Qui si possono ammirare utensili utilizzati per la coltivazione degli ulivi e la produzione dell’olio, ma anche aratri, strumenti musicali, lumi ad olio (di oliva), oltre a accessori per tostare il caffè o macinare il grano. Tutti oggetti appartenuti ai nonni di Valloria ed oggi racchiusi in una sola struttura che trova sede nell’oratorio cinquecentesco di Santa Croce. Tesori nascosti da scoprire, cosa fare a Valloria È piccolo il borgo Valloria, ma con tantissimi tesori da scoprire. Non solo le porte e il particolarissimo museo: questo gioiellino va ammirato in tutto il suo splendore. Rimanendo in centro ci sono le tre antiche fontane e l’enorme murale dell’artista Mario Carattoli dedicato alla tradizione contadina. Appena fuori dal centro, invece, si può optare per una passeggiata. Un primo itinerario porta alla chiesa di San Giuseppe, da cui si può ammirare un panorama spettacolare sulla valle e, quando le giornate lo permettono, si racconta che si può scorgere persino il profilo della Corsica. Un’altra passeggiata, invece, porta agli ulivi. Ideale per una gita a tutto relax, dopo aver fatto il pieno d’arte in paese. Fonte: iStock, 123rf Il borgo di Valloria è noto come il ‘paese delle porte dipinte’. Un vero museo a cielo aperto, dove le porte di case, negozi e magazzini raccontano storie, grazie ai disegni degli artis…
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L'arte che sfida il tempo. Egitto, Mesopotamia, Creta
L'arte che sfida il tempo
Egitto, Mesopotamia, Creta
Non c'è una tradizione diretta che unisca queste remote origini ai nostri giorni, ma c'è una tradizione diretta, tramandata dal maestro all'allievo e dall'allievo all'ammiratore o al copista, che ricollega l'arte dei nostri giorni, qualsiasi cosa o cartellone pubblicitari dei nostri tempi, all'arte fiorita nella valle del Nilo circa cinquemila anni fa. I maestri greci andarono alla scuola degli egizi, e noi tutti siamo allievi dei greci.
La piramide di Giza, 2613-2563 a.C. ca
Tutti sanno che l'Egitto è il Paese delle piramidi, quelle montagne di pietra che flagellate dalle intemperie si ergono come pietre militari sul lontano orizzonte della storia. Esse, ci parlano di un Paese così perfettamente organizzato da rendere impossibile l'erezione di quelle gigantesche masse nel lasso di tempo della vita di un re, e ci parlano di re così ricchi e potenti da poter costringere migliaia e migliaia di operai e di schiavi a lavorare duramente per anni a estrarre pietre, a trasportarle sul luogo della costruzione, a spostarle con i mezzi più primitivi finché la tomba fosse pronta per ricever il re. Agli occhi dei re e dei loro sudditi le piramidi avevano una funzione pratica. Il re era considerato un essere divino che spadroneggiava sui sudditi, e che, staccandosi da questa terra, sarebbe risalito tra le divinità da cui proveniva. Le piramidi, innalzandosi verso il cielo, lo avrebbero probabilmente agevolato alla sua ascesa. In ogni caso avrebbero preservato il suo sacro corpo dalla corruzione, giacché gli egizi credevano che il corpo dovesse essere conservato affinché l'anima continuasse a vivere nell'aldilà. Mediante un complicato metodo di imbalsamazione e avvolgendolo in bende, evitando che si corrompesse. E' per la mummia del re che la piramide veniva innalzata, e il suo cadavere veniva deposto proprio al centro dell'enorme montagna di pietra, in una bara anch'essa di pietra. Tutt'intorno alle pareti della camera mortuaria si tracciavano formule magiche e propiziatorie per agevolare il sovrano nel viaggio ultraterreno. Per gli egizi non era sufficiente la conservazione del corpo. Anche le sembianze esteriori del re dovevano venire conservate, e allora sarebbe stato doppiamente certo che la sua esistenza sarebbe durata in eterno. Così ordinavano agli scultori di cesellare il ritratto del re in un duro granito incorruttibile, e lo ponevano nella tomba dove nessuno poteva vederlo affinché operasse il suo incanto, aiutando l'anima a continuare a vivere nell'immagine e grazie a essa. Sinonimo della parola scultore era allora "colui che mantiene in vita". Dapprima simili riti erano riservati ai re, ma ben presto i nobili della corte ebbero le loro tombe, più piccole, elegantemente disposte tutt'intorno alla piramide reale; e, a poco a poco, ogni persona di una certa importanza dovette prendere le misure per l'aldilà e ordinare una sontuosa tomba in cui l'anima poteva soggiornare, ricevere i cibi e le bevande offerti ai morti, e in cui fossero accolte la sua mummia e le sue fattezze. Alcuni di questi antichi ritratti dell'epoca delle piramidi, la quarta "dinastia" dell'"Antico Egitto", sono annoverati tra le più splendide opere dell'arte egizia.
Testa in calcare. 2551-2528 a.C. ac
C'è in essi una solennità e una semplicità che non si dimenticano facilmente. C'è in essi una solennità e una semplicità che non si dimenticano facilmente. Si vede che lo scultore non tentava di adulare il modello, o di fissare un'espressione fuggevole. Soltanto l'essenziale lo interessava e ogni particolare secondario veniva tralasciato. Giacché, nonostante la loro rigidezza quasi geometrica, non sono primitivi come le maschere indigene. Osservazione della natura ed euritmia si equilibrano in modo così perfetto che il loro realismo ci colpisce quanto il loro carattere remoto ed eterno. Questa fusione di geometria euritmia e di acuta osservazione della natura è caratteristica di tutta l'arte egizia. Il verbo "adornare", veramente, poco si addice a un'arte che non doveva essere vista da nessuno se non dall'anima del morto, e difatti queste opere non erano concepite per essere ammirate. Anch'esse avevano lo scopo di "mantenere in vita". Un tempo, in un lontano, feroce passato, quando un uomo potente moriva c'era l'usanza di farlo accompagnare nella tomba dai suoi famigli e dai suoi schiavi, uccisi perché, arrivando nell'aldilà, egli avesse una scoperta appropriata. Più tardi, queste consuetudini vennero ritenute troppo crudeli e troppo costose, e si ricorse all'arte. Invece di veri servi il corteggio dei grandi della terra era costituito da pitture ed effigi varie, il cui scopo era quello di fornire alle anime compagni capaci di aiutarle nell'altro mondo: una credenza riscontrata in molte altre culture antiche. I pittori avevano un modo molto diverso dal nostro di rappresentare la vita reale, probabilmente connesso alla diversa finalità della loro arte. La cosa più importante non è la leggiadria, ma la precisione. Compito dell'artista era di conservare ogni cosa nel modo più chiaro e durevole. Così, non si mettevano a copiare la natura da un angolo visivo scelto a caso, ma attingevano alla memoria, secondo quei rigidi canoni per cui tutto ciò che si voleva dipingere doveva trarre la sua espressione di chiarezza assoluta.
Il giardino di Nebamun 1400 a.C. ca
Lo dimostra con un semplice esempio la figura, che rappresenta un giardino con uno stagno. Se dovessimo disegnare un soggetto simile, ci domanderemo da che angolo visivo affrontarlo. La forma e le caratteristiche degli alberi potrebbero essere colte bene solo ai lati, mentre i contorni dello stagno sarebbero visibili solo dall'alto. Gli egizi non si preoccupavano troppo del problema. Disegnavano semplicemente lo stagno visto dall'alto e gli alberi visti di lato. Pesci e uccelli, d'altra parte, sarebbero stati difficilmente riconoscibili visti dall'alto, e allora erano ritratti di profilo.
Ritratto di Hesire, da una porta lignea della tomba di Hesire, 2778-2723 a.C.
Tutto doveva essere presentato dal punto di vista più caratteristico. La figura mostra l'applicazione di questo metodo alla figura umana. Poiché la testa si vede meglio di profilo, la disegnavano da un lato. Ma l'occhio umano lo si immagina di fronte. Ed ecco allora inserito nel viso di profilo, un occhio piano. La parte superiore del corpo, spalle e petto, è meglio coglierla di fronte perché in tal modo si vede come le braccia sono attaccate al corpo. Ma il movimento delle braccia e delle gambe a sua volta è molto più evidente se visto da un lato. Sono queste le ragioni per cui in queste figure gli egizi appaiono così piatti e contorti. Inoltre, gli artisti egizi trovano difficile rappresentare i piedi visti dall'esterno. Preferivano disegnarli decisamente di profilo dall'alluce in su. Così, ambedue i piedi sono visti dall'interno, e l'uomo del rilievo sembra avere due piedi sinistri. Essi non facevano che seguire una regola, grazie alla quale poteva essere incluso tutto quanto ritenevano importante della figura umana. Forse, a questa rigida fedeltà alla regola non era del tutto estranea una preoccupazione d'ordine magico. Come avrebbe infatti potuto portare o ricevere le offerte d'uso per il defunto un uomo con il braccio scorciato dalla prospettiva o addirittura con "un braccio solo"? L'arte egizia non si basava su ciò che l'artista poteva vedere in un dato momento, quanto piuttosto su ciò che egli sapeva appartenere a una determinata persona o a un determinato luogo. Egli ricavava le sue figure da modelli che gli erano stati insegnati e che conosceva, più o meno come è l'artista primitivo costruiva le sue figure con le forme di cui aveva padronanza. Ma, mentre esprime nel quadro la bravura formale, l'artista tiene anche presente il significato del soggetto. Noi diciamo talvolta che un uomo è un "pezzo grosso". L'egizio lo disegnava più grosso dei servi o di sua moglie.
Pittura murale della tomba di Chnemhotep. 1900 a. C. ca
La figura ci dà un'idea esauriente di come, perlopiù, fossero sistemate le pareti nella tomba di un alto dignitario egizio del cosiddetto "Regno Medio", qualcosa come 1900 anni prima della nostra éra. I geroglifici ci dicono esattamente chi era e quali titoli avesse raccolto in vita. Il suo nome, leggiamo, era Chnemhotep, amministratore del deserto orientale, principe di Menat Chufu, amico intimo del re, legato alla corte, sovrintendente al culto, sacerdote di Horus, sacerdote di Anubi, capo di tutti i divini segreti e - ciò che più colpisce - Maestro di tutte le tuniche. Lo vediamo, sul lato sinistro a caccia di selvaggina, armato di una specie di boomerang e accompagnato dalla moglie Cheti, dalla concubina Jat e da uno dei figli, il quale, benché sia minuscolo nella pittura, deteneva il titolo di sovrintendente alle frontiere. Più in basso, vediamo alcuni pescatori sotto il loro sovrintendente Mentuhotep, che trascinano una grossa preda. In alto, ecco di nuovo Chnemhotep intento, questa volta, a catturare con una rete uccelli acquatici. L'uccellatore sedeva al riparo di un canneto tenendo una corda collegata alla rete aperta (vista dall'alto). Una volta posatisi gli uccelli sull'esca, egli tirava a sé la corda e la rete si chiudeva imprigionandoli. Dietro Chnemhotep vediamo il suo primogenito Nacht e il sovrintendente al tesoro, responsabile altresì della disposzione della tomba. Sul lato destro Chnemhotep, chiamato "grande pescatore, ricco di selvaggina, devoto alla dea della caccia", è colto mentre arpiona i pesci. L'iscrizione dice: "Percorrendo in canoa letti di papiri, stagni di selvaggina, paludi e ruscelli, con l'arpione bidente trafigge trenta pesci: com'è appassionante il giorno della caccia all'ippopotamo. In basso c'è un divertente episodio: uno degli uomini è caduto in acqua e i compagni lo ripescano. L'iscrizione intorno alla porta ricorda i giorni in cui devono essere recate offerte ai defunti, e include preghiere per gli dèi. Niente di queste pitture dà l'impressione di essere casuale, niente potrebbe essere diverso da com'è. L'artista egizio cominciava il suo lavoro disegnando sul muro una rete di linee diritte lungo le quali distribuiva con gran cura le figure. Tutto questo geometrico senso d'ordine non gli impediva tuttavia di osservare i particolari della natura con sorprendente esattezza. Ogni uccello o pesce è disegnato con una tela fedeltà che gli zoologi possono ancora riconoscerne la specie. Un simile particolare, sono gli uccelli sull'albero accanto alla rete di Chnemhotep. Qui non è stata soltanto una grande perizia a guidare l'artista ma anche un occhio eccezionalmente sensibile al colore e alla linea. Uno dei massimi pregi dell'arte egizia è che ogni statua, ogni pittura o forma architettonica sembra inserirsi nello spazio come al richiamo di un'unica legge. Tale legge, alla quale sembrano obbedire tutte le creazioni di un popolo, noi la chiamiamo "stile". Le regole che governano tutta l'arte egizia conferiscono a ogni opera individuale un effetto di equilibrio e di austera armonia. Lo stile egizio era un complesso di rigorosissime leggi che ogni artista doveva apprendere fin dall'adolescenza. Le statue sedute dovevano appoggiare le mani sulle ginocchia; gli uomini dovevano essere dipinti con la pelle più scura delle donne. L'aspetto di ogni egizio era rigidamente prestabilito: Horus, il dio del sole, doveva essere rappresentato come un falco o con la testa di falco; Anubi, dio dei morti, come uno sciacallo o con la testa di sciacallo.
Il dio dei morti Anubi con la testa di sciacallo sovrintende la pesata di un cuore umano, mentre il dio-messaggero Thoth con la testa d'ibis ne registra il risultato. 1285 a.C. ca
Ogni artista doveva anche imparare l'arte ideografica e doveva saper incidere nella pietra le immagini e i simboli geroglifici con chiarezza e precisione. Una volta imparate tutte queste regole, egli aveva però finito il suo noviziato. Veniva probabilmente considerato ottimo artista colui che con maggiore approssimazione si fosse avvicinato agli ammirati monumenti del passato. Fu così che nello spazio i tremila o più anni l'arte egizia mutò pochissimo. Tutto quanto era considerato buono e bello al tempo delle piramidi venne ugualmente ritenuto ottimo un migliaio di anni più tardi. E vero che nuove mode si fecero strada e che agli artisti si richiesero nuovi soggetti, ma il modo in cui l'uomo e la natura venivano rappresentati restò essenzialmente il medesimo. Soltanto un uomo riuscì a eludere i rigidi schemi dello stile egizio. Fu un re della diciottesima dinastia, conosciuta anche come "Nuovo Regno", sorta dopo una catastrofica invasione dell'Egitto. Questo re, Amenofi IV, era un eretico. Eliminò molte consuetudini consacrate da un'antica tradizione, e non volle rendere omaggio alle numerose divinità del suo popolo, così bizzarramente raffigurate. Soltanto un dio era sommo, Aton, e lo adorò e lo fece rappresentare in forma di sole che fa spiovere i suoi raggi, ognuno terminante con una mano. Dal nome del dio volle chiamarsi Ekhnaton e trasferì la corte, per sottrarla all'influenza dei sacerdoti degli altri déi, nell'odierna Tell el-Amarna. Nei dipinti che egli ordinò, non sopravvenne nulla della solenne e rigida dignità dei precedenti faraoni. Si era fatto raffigurare con sua moglie Nefertiti, nell'atto di accarezzare i figli sotto un benefico sole.
Amenofi IV (Ekhnaton)
Amenofi IV e la moglie Nefertiti con i figli. 1345 a.C. ca
Alcuni ritratti ce lo mostrano brutto: forse voleva che gli artisti lo riproducessero in tutta la sua umana fragilità oppure era così convinto della sua eccezionale importanza come profeta che riteneva essenziale attenersi alla somiglianza. Il successore di Ekhnaton fu Tutankhamon, la cui tomba con tutti i suoi tesori fu scoperta nel 1922. Alcune delle opere in essa contenute sono ancora improntate al moderno stile della religione di Aton, particolarmente la spalliera del trono reale, che mostra il re e la regina in atteggiamento familiare e affettuoso.
Tutankhamon con la moglie, 1330 a. C. ca
Il re è seduto sul suo seggio in una posa che deve avere scandalizzato il rigido conservatorismo egizio, che l'avrà giudicato addirittura scomposto nel suo abbandono. Sua moglie non è più piccola di lui, e gli appoggia graziosamente la mano sulla spalla mentre il dio del sole, rappresentato come un globo d'oro, stende propizio le mani dall'alto.
Pugnale miceneo 1600 a. C. ca
In un'isola d'oltremare, Creta, c'era una popolazione intelligente i cui artisti si dilettavano nel riprodurre la rapidità del movimento. Quando alla fine dell'Ottocento venne il luce il palazzo del re a Cnosso, sembrò impossibile che uno stile così libero e armonioso potesse essersi sviluppato nel secondo millennio a. C. Opere del medesimo stile furono anche trovate nel retroterra greco; un pugnale miceneo, denota un senso del movimento e una scioltezza di linea che devono aver influito su ogni artista egizio al quale si fosse permesso di eludere i consacrati canoni stilistici. MA quest'apertura dell'arte egizia non durò a lungo. Già durante il regno di Tutankhamon le vecchie credenze furono restaurate, e la finestra che si era spalancata sul mondo esterno fu di nuovo chiusa. Lo stile egizio continuò a esistere per mille anni e più. Molte delle opere egizie ospitate nei nostri musei risalgono a questo periodo più tardo, e così pure quasi tutte le costruzioni egizie, templi e palazzi. Temi nuovi furono introdotti e nuove iniziative furono attuate, ma nulla di veramente rivoluzionario si verificò nel campo artistico. Tutti noi sappiamo dalla Bibbia che la piccola Palestina giaceva tra il regno egizio del Nilo e gli imperi di Assiria e Babilonia, sorti nella vallata di due fiumi, il Tigri e l'Eufrate. L'arte della Mesopotamia (così era chiamata in greco la vallata tra i due fiumi) la conosciamo meno bene dell'arte egizia, e ciò, almeno in parte, per un caso. In quelle vallate non c'erano cave di pietra, e le costruzioni erano prevalentemente in mattone cotto, il quale, col passare del tempo, cedette alle intemperie e andò in polvere. Anche la scultura in pietra era, in proporzione, rara. La ragione principale è probabilmente un'altra: questi popoli non condividevano le credenze religiose degli egizi, secondo le quali il corpo umano e le sue fattezze dovevano venir conservati affinché l'anima sopravvivesse.
Frammento ligneo dorato e intarsiato di arpa 2600 a.C. ca
Nei primissimi tempi, quando il popolo dei sumeri aveva il dominio sula città di Ur, i re venivano ancora seppelliti con l'intera famiglia, schiavi e vari, in modo che nell'aldilà non dovevano trovarsi privi di seguito. In una tomba vi era, per esempio, un'arpa decorata con animali favolosi, piuttosto simili ai nostri animali araldici, non solo nell'aspetto generico, ma anche nella disposizione, giacché i sumeri avevano il senso della simmetria e della precisione. Sono figure mitologiche di quegli antichi tempi, ricche di un significato profondamente serio e solenne anche se a noi ricordano le pagine dei libri per bambini. Fin dai tempi più remoti, i re della Mesopotamia per celebrare le loro vittorie belliche usavano ordinare monumenti, testimoni delle tribù sconfitte e del bottino conquistato.
Monumento al re Naramsin. 2270 a.C. ca
La figura mostra un rilievo con il re vittorioso che calpesta il corpo dell'avversario ucciso, mentre gli altri nemici implorano pietà. Forse l'idea ispiratrice non era solo l'intento di conservare viva la memoria delle vittorie. Nei primi tempi, almeno, l'antica fede nel potere delle immagini doveva forse ancora influenzare chi le ordinava, probabilmente convinto che fin quando fosse esistita l'immagine del re con un piede sul collo del nemico abbattuto, la tribù soggiogata non sarebbe potuta risorgere. Successivamente tali monumenti si svilupparono fino a diventare una completa cronaca figurata della campagna militare del re. La meglio conservata di queste cronache (oggi al British Museum) risale a un periodo relativamente tardo, al regno di Assurnazirpal II d'Assiria, che visse nel IX secolo prima di Cristo, poco dopo il biblico regno di Salomone.
Esercito assiro all'assedio di una fortezza, 883-859 a.C. ca
In essa sfilano tutti gli episodi di una organizzatissima campagna, vediamo gli accampamenti, l'esercito che attraversa fiumi e assale fortezze, assistiamo ai pasti dei soldati. Sembra di assistere alla proiezione di un documentario cinematografico di duemila anni fa, tanto esse sono reali e convincenti. Ma se guardiamo più attentamente, scopriamo un fatto curioso: in quelle guerre spaventose molti sono i morti e i feriti, però nemmeno uno è assiro. In tutti questi monumenti che esaltano i guerrieri del passato, la guerra non è poi un grosso guaio: basta apparire e il nemico viene spazzato via come una pagliuzza dal vento.
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Fiabe rivisitate in romanzo
La mia lista di romance storici ispirati a fiabe classiche ha colpito la curiosità di alcuni lettori e ho ricevuto una nuova richiesta per un’altra lista di libri, sempre ispirati a favole, ma più contemporanei o almeno non romance storici.
Il problema con questa richiesta non è stato trovare titoli da proporvi, ma non proporvene centomila, poichè invece di restringermi il campo me lo ha allargato....perciò ho dovuto essere io ad auto limitarmi.
Per prima cosa, mi sono focalizzata su titoli disponibili in italiano, poi ho limitato gli young adult, poichè altrimenti rischiava di essere una lista solo di YA visto che moltissimi sono storytelling, perciò non meravigliatevi se vedrete che non cito degli young adult ispirati a favole strafamosi anche in Italia (tipo quello su Alice nel paese delle meraviglie), è stata una mia scelta.
Come una mia scelta è stata anche il fatto di darvi una varietà di generi in questa piccola lista, rosa, romantici, dark, drammatici, rivisitazioni o addiritura capovolgimenti di fiabe....di tutto un po’ per tutti i gusti.
Ecco la lista:
- Gli occhi del cuore, Susan Wilson (Retelling di La bella e la bestia)
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Alix appartiene a una famiglia di pittori incaricata di ritrarre l’aristocratico Crompton, scrittore di successo rimasto sfigurato in un incidente…
- La più bella del reame, Jennifer Faye (Biancaneve)
Link: https://amzn.to/39K9r0r
C'era una volta un regno in cui vivevano una matrigna cattiva e una splendida fanciulla con la pelle candida come la neve e le labbra rosse come il sangue... Oggi a Los Angeles vive una giovane donna determinata e di successo, mentre nella Grande Mela abita la matrigna che l'ha privata del regno lasciatole dal padre. Sage White ha ricominciato da zero e ha faticato per raggiungere la posizione che ricopre. I sentimenti verso il suo affascinate assistente Trey la rendono vulnerabile, mettendola in allarme. Lavorare fianco a fianco li avvicina sempre di più, fin quando Sage scopre che l'uomo di cui è innamorata in realtà è Quentin Rousseau, settimo erede dell'impero editoriale in cui lavora e suo capo. La strada verso il lieto fine di questa Biancaneve e del suo principe, però, è ancora molto lunga...
- Il giardino delle rose, Jennifer Faye (La bella e la bestia)
Link: https://amzn.to/35U18Oy
C'era una volta un castello dentro cui abitava la Bestia, e c'era una fanciulla, Bella, che seppe rompere l'incantesimo... Oggi c'è una villa a Malibu, con un giardino di rose di ogni colore, dove vive ritirato Deacon Santoro, il quale porta su di sé le cicatrici di un brutto incidente che ne ha infangato il nome e distrutto la carriera.Quando nella villa arriva Gabrielle Dupré, la vita di Deacon viene sconvolta. La giovane si accorge in fretta che sotto i capelli lunghi, la barba incolta e il carattere rude c'è un uomo ferito ma sensibile, e vuole aiutarlo a riabilitarsi. I sentimenti, però, si fanno sempre più profondi, anche se la Bestia non è ancora pronta a riconoscere l'amore per la sua Bella...
- Cuore Oscuro, Naomi Novik (La bella e la bestia, Barbablù)
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Agnieszka è una contadina diciassettenne goffa e sgraziata che vive insieme alla famiglia in un piccolo villaggio del regno di Polnya. Su tutti loro incombe la presenza maligna del Bosco, che sta progressivamente divorando l'intera regione. Per mantenere al sicuro se stessi e i loro villaggi dalle minacciose creature del Bosco e dai sortilegi mortali che lì si compiono, tutti gli abitanti della valle si affidano a un misterioso e solitario mago noto con il nome di Drago. Quest'ultimo sembra l'unico, infatti, in grado di controllare con la sua magia il potere imperscrutabile e oscuro del Bosco. In cambio della sua protezione, però, l'uomo pretende un tributo: ogni dieci anni avrà la possibilità di scegliere una ragazza tra le diciassettenni della valle e di portarla con sé nella sua torre. Un destino a detta di tutti terribile quasi quanto finire nelle grinfie del Bosco. Con l'avvicinarsi del giorno della scelta, Agnieszka ha sempre più paura. Come tutti dà infatti per scontato che il Drago non potrà che scegliere Kasia, la più bella e coraggiosa delle “candidate” nonché sua migliore amica. Ma quando il Drago comunica la sua decisione, lo sgomento è generale.
- Cinder. Cronache lunari, Marissa Meyer (Cenerentola)
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Cinder è abituata alle occhiate sprezzanti che la sua matrigna e la gente riservano ai cyborg come lei, e non importa quanto sia brava come meccanico al mercato settimanale di Nuova Pechino o quanto cerchi di adeguarsi alle regole. Proprio per questo lo sguardo attento del Principe Kai, il primo sguardo gentile e senza accuse, la getta nello sconcerto. Può un cyborg innamorarsi di un principe? E se Kai sapesse cosa Cinder è veramente, le dedicherebbe ancora tante attenzioni? Il destino dei due si intreccerà fin troppo presto con i piani della splendida e malvagia Regina della Luna, in una corsa per salvare il mondo dall'orribile epidemia che lo devasta. Cinder, Cenerentola del futuro, sarà combattuta tra il desiderio per una storia impossibile e la necessità di conquistare una vita migliore. Fino a un'inevitabile quanto dolorosa resa dei conti con il proprio oscuro passato.
- L' orso e l'usignolo, Katherine Arden (fiabe russe)
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In uno sperduto villaggio ai confini della tundra russa, l'inverno dura la maggior parte dell'anno e i cumuli di neve crescono più alti delle case. Ma a Vasilisa e ai suoi fratelli Kolja e Alëša tutto questo piace, perché adorano stare riuniti accanto al fuoco ascoltando le fiabe della balia Dunja. Vasja ama soprattutto la storia del re dell'inverno, il demone dagli occhi blu che tutti temono ma che a lei non fa alcuna paura. Vasilisa, infatti, non è una bambina come le altre, può "vedere" e comunicare con gli spiriti della casa e della natura. Il suo, però, è un dono pericoloso che si guarda bene dal rivelare, finché la sua matrigna e un prete da poco giunto nel villaggio, proibendo i culti tradizionali, compromettono gli equilibri dell'intera comunità: le colture non danno più frutti, il freddo si fa insopportabile, le persone vengono attaccate da strane creature e la vita di tutti è in pericolo. Vasilisa è l'unica che può salvare il villaggio dal Male, ma per farlo deve entrare nel mondo degli antichi racconti, inoltrarsi nel bosco e affrontare la più grande minaccia di sempre: l'Orso, lo spaventoso dio che si nutre della paura degli uomini.
- La moglie del califfo, Renée Ahdieh (Le mille e una notte)
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Al calar del sole sul regno di Khalid, spietato califfo diciottenne del Khorasan, la morte fa visita a una famiglia della zona. Ogni notte, infatti, il giovane tiranno si unisce in matrimonio con una ragazza del luogo e poi la fa uccidere dopo aver consumato le nozze, prima che arrivi il nuovo giorno. Ecco perché tutti restano sorpresi quando la sedicenne Shahrzad si offre volontaria per andare in sposa a Khalid. In realtà, ha un astuto piano per spezzare quest'angosciosa catena di terrore, restando in vita e vendicando la morte della sua migliore amica e di tante altre fanciulle sacrificate ai capricci del califfo. La sua intelligenza e forza di volontà la porteranno a superare la notte, ma pian piano anche lei cadrà in trappola: finirà per innamorarsi proprio di Khalid, che in realtà è molto diverso da come appare ai suoi sudditi. E Shahrzad scoprirà anche che la tragica sorte delle ragazze non è stata voluta dal principe.
- Il trono della luna crescente, di Saladin Ahmed (fiabe di Le mille e una notte)
I Regni della Luna Crescente, territori in cui dimorano santi guerrieri ed eretici, cortigiani e assassini, assoggettati al potere di un feroce Califfo, sono messi a ferro e fuoco da un misterioso furfante che si fa chiamare "il Principe Falco". Mentre la rivolta incalza, una serie di brutali omicidi che sembrano guidati da una forza sovrannaturale colpisce la città di Dhamsawaat. Adoulla Makhslood, l'ultimo dei cacciatori di ghul, creature fatte d'ombra e dalla pelle di sciacallo, vorrebbe ritirarsi, ma capisce che non è ancora il momento giusto. Insieme al suo giovane assistente Raseed, coraggioso e fiero, e all'affascinante Zamia, capace di risvegliare un'arcana magia, si ritroverà coinvolto nella ricerca della verità su queste morti. In poco tempo i tre diventeranno eroi loro malgrado di una battaglia ben più crudele e spaventosa: non solo sulla città, ma sull'intera umanità, incombe la minaccia di una fine sanguinosa che solo loro possono sventare.
- La bambina di neve, Eowyn Ivey (fiabe nordiche)
Alaska, 1920. Un luogo incontaminato e brutale. Specie per Jack e Mabel, giunti in questo territorio selvaggio da lande molto meno aspre. La coppia, un po' avanti negli anni, e senza figli, ha una vita dura, col lavoro atroce alla fattoria. Mabel, in particolare, oppressa dal rammarico di non avere figli, è sull'orlo della disperazione. La prima notte d'inverno Mabel e Jack tornano per un momento ragazzi e, tirandosi palle di neve, finiscono per costruire un pupazzo. Che prende la forma di una incantevole bambina di neve. Ma al mattino non c'è più nulla. E, in lontananza, una bimba bionda corre via tra gli alberi. La piccola, che dice di chiamarsi Pruina, torna più volte da loro. Pare una creatura dei boschi. Va a caccia di animali con a fianco una volpe, del tutto a proprio agio nelle lande innevate, è in grado di sopravvivere nell'asprezza dell'Alaska. Ma quale che sia la vera natura di Pruina, la bimba sembra destinata a cambiare per sempre la vita di Mabel e Jack.
- Boy, snow, bird di Helen Oyeyemi (Biancaneve)
È una notte d’inverno del 1953 quando Boy Novak – lunghi capelli biondo ghiaccio e lineamenti delicati – scappa di casa lasciandosi alle spalle il padre violento di professione acchiapparatti. Da New York il caso la porta a Flax Hill, una cittadina del Massachusetts. Qui conosce Arturo Whitman, un gioielliere rimasto vedovo: è antipatia a prima vista e infatti, dopo poco, si sposano. Corollario del matrimonio è il ruolo di madre, prima vicaria e poi naturale. Ma se inizialmente il rapporto con la bellissima ed eterea Snow è magico, nel momento in cui nasce Bird tutto cambia. Arturo e la sua famiglia nascondevano un segreto che la bambina ha svelato e Boy si trasforma, con sua stessa sorpresa, nella crudele matrigna delle fiabe.
- La regina del Nord, Rebecca Ross (fiabe, miti nordici)
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Regno di Valenia, 1566. Sono passati sette anni dall'arrivo di Brianna nella prestigiosa Magnalia, la scuola per giovani prescelte che ambiscono a perfezionare la propria vocazione ed essere adottate da un patrono. Brianna però è l'unica allieva a non aver mai mostrato doti particolari e, se non fosse stato per l'enigmatico maestro Cartier, non avrebbe trovato la sua vocazione tra Arte, Musica, Teatro, Eloquenza e Sapienza. Ma alla cerimonia finale, il peggior timore della ragazza diventa realtà, e Brianna rimane l'unica senza un patrono. Ancora non sa che dietro allo spiacevole imprevisto si cela la sua più grande fortuna. Lo scoprirà solo quando un misterioso nobile - troppo esperto con la spada per essere un semplice protettore - la sceglierà. Brianna si troverà allora dentro un vortice di intrighi e piani segreti per rovesciare il re e ripristinare sul trono l'antica legittima monarchia, tutta femminile. Perché ci fu un tempo in cui sul Nord regnavano le regine. Ed è ora che quel tempo ritorni.
Non ho resistito dall’aggiungervi anche alcuni titoli in lingua inglese non disponibili in italiano, perchè troppo interessanti:
- To Kill a Kingdom, Alexandra Christo (La sirenetta)
Princess Lira is siren royalty and the most lethal of them all. With the hearts of seventeen princes in her collection, she is revered across the sea. Until a twist of fate forces her to kill one of her own. To punish her daughter, the Sea Queen transforms Lira into the one thing they loathe most—a human. Robbed of her song, Lira has until the winter solstice to deliver Prince Elian’s heart to the Sea Queen or remain a human forever.
- The ice queen, Alice Hoffman (La regina delle nevi)
Be careful what you wish for. A small town librarian lives a quiet life without much excitement. One day, she mutters an idle wish and, while standing in her house, is struck by lightning. But instead of ending her life, this cataclysmic event sparks it into a new beginning. She goes in search of Lazarus Jones, a fellow survivor who was struck dead, then simply got up and walked away. Perhaps this stranger who has seen death face to face can teach her to live without fear. When she finds him, he is her opposite, a burning man whose breath can boil water and whose touch scorches. As an obsessive love affair begins between them, both are forced to hide their most dangerous secrets—what turned one to ice and the other to fire.
- Gretel and the Dark, Eliza Granville (Hansel and Gretel)
Vienna, 1899. Josef Breuer—celebrated psychoanalyst—is about to encounter his strangest case yet. Found by the lunatic asylum, thin, head shaved, she claims to have no name, no feelings—to be, in fact, not even human. Intrigued, Breuer determines to fathom the roots of her disturbance. Years later, in Germany, we meet Krysta. Krysta’s Papa is busy working in the infirmary with the ‘animal people,’ so little Krysta plays alone, lost in the stories of Hansel and Gretel, the Pied Piper, and more. And when everything changes and the world around her becomes as frightening as any fairy tale, Krysta finds her imagination holds powers beyond what she could have ever guessed. . . .
-The True Story of Hansel and Gretel, Louise Murphy (Hansel and Gretel)
In the last months of the Nazi occupation of Poland, two children are left by their father and stepmother to find safety in a dense forest. Because their real names will reveal their Jewishness, they are renamed “Hansel” and “Gretel.” They wander in the woods until they are taken in by Magda, an eccentric and stubborn old woman called “witch” by the nearby villagers. Magda is determined to save them, even as a German officer arrives in the village with his own plans for the children.
- Bitter Greens, Kate Forsyth (Raperonzolo) French novelist Charlotte-Rose de la Force has been banished from the court of Versailles by the Sun King, Louis XIV, after a series of scandalous love affairs. At the convent, she is comforted by an old nun, Sœur Seraphina, who tells her the tale of a young girl who, a hundred years earlier, is sold by her parents for a handful of bitter greens... After Margherita's father steals parsley from the walled garden of the courtesan Selena Leonelli, he is threatened with having both hands cut off, unless he and his wife relinquish their precious little girl. Selena is the famous red-haired muse of the artist Tiziano, first painted by him in 1512 and still inspiring him at the time of his death. She is at the center of Renaissance life in Venice, a world of beauty and danger, seduction and betrayal, love and superstition. Locked away in a tower, Margherita sings in the hope that someone will hear her. One day, a young man does.
- The Girls at the Kingfisher Club, Genevieve Valentine (Le 12 principesse danzanti
The Roaring Twenties in Manhattan. Jo, the firstborn, "The General" to her eleven sisters, is the only thing the Hamilton girls have in place of a mother. She is the one who taught them how to dance, the one who gives the signal each night, as they slip out of the confines of their father's townhouse to await the cabs that will take them to the speakeasy. Together they elude their distant and controlling father, until the day he decides to marry them all off. The girls, meanwhile, continue to dance, from Salon Renaud to the Swan and, finally, the Kingfisher, the club they come to call home. They dance until one night when they are caught in a raid, separated, and Jo is thrust face-to-face with someone from her past: a bootlegger named Tom whom she hasn't seen in almost ten years. Suddenly Jo must weigh in the balance not only the demands of her father and eleven sisters, but those she must make of herself.
- Everywhere You Want to Be, Christina June (Cappuccetto rosso)
Tilly Castillo thought she lost her chance to be a contemporary dancer, but when a summer job in New York City appears, nothing can stop her from saying yes—not her mother, not the other cutthroat dancers, and not even her fears of the big city.
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La Costa d’Alabastro è il tratto di litorale con affaccio sulla Manica che si estende per 130 chilometri, da Le Tréport a Le Havre e che segna uno lo spettacolare confine tra il mare e la terra. La Cote d’Albatre è caratterizzata dalle maestose falesie naturali di origine calcarea, oltre che dalle alte e bianche scogliere di gesso a picco sulle lunghe e strette spiagge di sassi bianchi, da sempre luoghi di grande ispirazione per gli artisti. La costa, le dune, le distese verdeggianti, lo splendido mare che sfuma in un cielo ammantato di soffici nuvole bianche e quelle incredibili opere (le falesie) naturali di calcare e gesso, in alcuni punti rossastre in altri bianche o addirittura dorate che viste da vicino esprimono tutta la loro fragilità, sono una dimostrazione di quanto straordinaria sia la natura.
In questo articolo voglio suggerirvi quali sono le cittadine e i villaggi lungo la Costa d’Alabastro che non possono mancare durante il vostro viaggio in Normandia. Lungo il tragitto percorrerete una strada incredibile fiancheggiata a tratti da fitta vegetazione, a tratti da campi con mucche al pascolo o cavalli sempre annusando il profumo del mare e di quella splendida costa. I continui crocevia che incontrerete lungo il percorso conducono a paesini caratteristici, c’è l’imbarazzo della scelta su quale strada decidere di imboccare. Sarebbe bello avere molto tempo a disposizione e visitare ogni singola località perché, per un motivo o per l’altro, tutte meritano una visita.
Ma veniamo al dunque e vediamo quali sono le località imperdibile nella Costa d’Alabastro.
Eu e Le Trèport
Sono situate sulla Valle della Bresle, sono le tappe finali della Côte d’Alabâtre, due luoghi dove il profumo della terra abbraccia quello del mare. Eu si trova a ridosso di un magnifico bosco teatro di luci e leggende. Seconda solo a Rouen quanto a patrimonio immobiliare in Normandia, è una città gallo-romana che assunse importanza grazie all’abbazia benedettina e perché fu la frontiera settentrionale dell’antico ducato di Normandia. Le Tréport già luogo di villeggiatura, particolarmente in voga durante il XIX secolo con la moda dei bagni di mare della Belle-Epoque, è costellata da ville multicolore e animata dal porto. Le Tréport deve la sua fama alle sorprendenti falesie e alla funicolare… Già perché l’ingresso in città grazie alla funicolare gratuita è qualcosa di spettacolare. Quindi lasciata l’auto nel parcheggio in cima alla falesia non vi resta che salire a bordo della cabina azzurra e premere discesa. Partire dal culmine della falesia, attraversare la roccia e ritrovarsi sopra i tetti in ardesia è veramente un’esperienza particolare. La vista del caratteristico e suggestivo porto incastonato sulla punta settentrionale della Normandia lascia a bocca aperta. Dal quartiere dei Cordiers – deve il suo nome ai pescatori che abitavano originariamente questo villaggio i quali, troppo poveri per acquistare delle reti da pesca, pescavano con corde munite di amo – incominciate la vostra visita!
Le Treport
Dieppe
Dieppe forse si può anche saltare dato che c’è molto da vedere ma è un ottimo punto di partenza per vedere meravigliosi villaggi marinari della Costa d’Alabastro. Durante il periodo gallo-romano veniva chiamata “Campo di Cesare”, il suo nome attuale le è stato dato dai Normanni attorno al VIII secolo e si deve alla parola inglese deep che significa profondo scelto per la profondità dei fondali che permettevano di accogliere navi d’alto mare. È infatti nota per il suo Porto commerciale e strategico sulla Manica. Durante la seconda guerra mondiale fu bombardata per ben 48 volte, questo ha fatto sì che la cittadina abbia un aspetto abbastanza moderno. D’ogni modo a parte il centro cittadino, che ruota attorno al porto, e la chiesa di St. Jacques del XVI secolo, posta sul cammino per mare di Santiago di Compostela, altra attrattiva che offre Dieppe è il Castello. Nel Castello di Dieppe oltre all’esposizioni di quadri, mobili e reperti archeologici, è allestita una delle più importanti collezioni d’Europa di manufatti d’avorio, che conta 1500 pezzi. Se vi appassionano i castelli a Tourville-sur-Arques (8 chilometri da Dieppe) c’è il Castello di Miromesnil. Il castello oltre a custodire al suo interno boiseries e mobili dei secoli XVI e XVIII, custodisce cimeli e ricordi delle famiglie che lo abitarono, tra le quali quelli della famiglia dello scrittore Guy de Maupassant, che vi nacque il 5 agosto 1850 nel periodo in cui i suoi genitori lo ebbero in affitto (dal 1849 al 1853). Sono, tra l’altro, conservate alcune edizioni originali dei suoi romanzi.
Dieppe
Varengeville-sur-Mer
Un luogo tra i più seducenti della Costa d’Alabastro. Il villaggio colpisce perché ricco di curatissimi giardini che contornano le meravigliose abitazioni ai margini della stradina che conduce alla chiesa. Arrivati alla fine della pittoresca stradina, appare la bellissima chiesetta di Saint-Valéry che, con il suo cimitero marino, sono sospesi sul pendio della falesia, ottanta metri sopra il livello del mare. Uno spettacolo! All’interno della chiesa, alla destra dell’altare, c’è la vetrata realizzata da Georges Braque, la cui luce illumina il coro. Varengeville è il luogo che ha ispirato l’artista espressionista e cubista, e dove riposa; rimase stregato da questo villaggio tanto da costruirci casa e venire a passarci sei mesi l’anno per ben 35 anni.
Saint-Valéry e il suo cimitero marino
Veules-les-Roses
Pittoresco borgo da sempre abitato da pescatori e tessitori, adagiato nell’incavo della scogliera è uno dei più antichi villaggi del Pays de Caux nonché uno dei “più bei villaggi di Francia” e, in effetti, ha un fascino particolare! Molto apprezzato come luogo di villeggiatura nel XIX secolo, anche da artisti come Victor Hugo. Un angolo di Francia che trasuda di romanticismo. La zona nei dintorni del fiume, il più piccolo di Francia, merita una passeggiata mano nella mano e tanti scatti. L’acqua blu cangiante e la sabbia finissima rendono il suo lungo mare un altro luogo ideale dove fare passeggiate romantiche.
Veules-les-Roses
Saint-Valley-en-Caux
Un luogo dove tutto ruota attorno all’incantevole porticciolo e che conserva in pieno il fascino ruvido dei posti di mare. Ed è proprio nei pressi del porto che dovete recarvi e consumare un pasto a base di Moules frites, le cozze alla marinara con patate fritte, che avrete acquistato in uno dei banchetti, e seduti a un tavolo ammirate il via vai delle imbarcazioni che entrano ed escono dal porto.
Saint-Pierre-En-Port
Un minuscolo villaggio di nemmeno mille anime dal fascino inestimabile. Fate una passeggiata sulla spiaggia di ciotoli bianchi, potreste avere la fortuna di trovarla deserta e il contorno sarà natura e vertiginose scogliere.
Saint-Pierre-En-Port
Fécamp
Fino al 1204 Fécamp è stata la residenza dei Duchi di Normandia, oggi è una città d’Arte e di Storia. A Fécamp è d’obbligo attraversare il lungo pontile che conduce al faro, e da qui godere della splendida e privilegiata vista sulle falesie, tra le più alte della Normandia. Meritano una visita anche le caratteristiche case dei pescatori lungo il porto, Fécamp è il primo porto francese per la pesca del merluzzo. Per concludere in bellezza vi consiglio la visita al Palais Bénédictine, dove viene prodotto l’omonimo liquore, il profumo di piante e spezie che servono per il famoso liquore si respira nell’aria.
Fécamp
Yport
Non si può saltare la visita a questo minuscolo villaggio di pescatori che ha accolto numerosi personaggi celebri come Dieterle, Maupassant, Gide, Laurens o Boudin, è stata una nota località di villeggiatura in passato grazie all’architettura balneare eclettica che strizza l’occhio all’Art nouveau e allo stile neo-normanno.
Yport
Étretat
Altra immancabile tappa nella Costa d’Alabasto è la celeberrima e magnifica Étretat, ora luogo turistico a tutti gli effetti sempre molto suggestivo, un tempo meraviglioso villaggio di pescatori, incastonato fra le due falesie più note della costa, alle quali deve la propria fama: la Falaise d’Aval e la Falaise d’Amont. Étretat è uno straordinario esempio di architettura naturale a cielo aperto. Vi affascinerà come ha affascinato Claude Monet. La particolarità delle falesie di Étretat è che sono costituite da un particolare tipo di gesso, il Turoniano, che ha la capacità di resistere in modo notevole ai fenomeni di erosione che altrove sono molto più evidenti. L’ideale sarebbe trascorrere almeno un giorno e una notte ad Étretat, in modo da riuscire a visitare le falesie, sul posto scoprirete che non sempre è possibile visitare la base delle falesie, lo decide la marea, consultando l’apposita tabella capirete se la marea è favorevole, da quanto si è ritirata e tra quante ore dovrebbe risalire. Incamminatevi lungo il sentiero escursionistico che conduce alla Falesia d’Aval. Da questo punto è possibile ammirare l’Arco della Manneporte. La gigantesca volta naturale creatasi da una propaggine della scogliera che fa restare a bocca aperta. Guy de Maupassant la descrisse come un elefante che beve nel mare e Monet l’ha ritratta in un suo celebre dipinto, trascorrendo un intero inverno a immortalarla in ogni condizione atmosferica. Per visitare la Falaise d’Amont bisogna prendere una scalinata che parte dalla battigia. Duecentocinquanta scalini più tardi, raggiungiamo la cima della Falaise d’Amont e da alcune sporgenze rocciose riusciamo ad ammirare il panorama dall’alto e, a parte la sensazione di vertigine, la vista è mozzafiato! Tra gli altri personaggi che furono ospiti di Étretat: gli scrittori Hugo e Flaubert, il compositore Offenbach e i pittori Coubert e Boudin. Anche Maurice Leblanc, l’inventore del famoso ladro gentiluomo Arsène (Arsenio) Lupin, giornalista normanno, nato a Rouen, fece soggiornare il protagonista dei suoi romanzi qui, a Étretat. La nipote dello scrittore ha allestito nella casa di famiglia: le Clos Arsène Lupin, dedicato all’universo enigmatico del nonno. Se siete a Étretat dovete fare visita Les Jardins d’Étretat che si affacciano sulla Falaise d’Aval, voluti da Madame Thébault, attrice degli inizi del XX secolo, amica di Monet e, appunto, iniziatrice del giardino. Il giardino è stato disegnato da Alexandre Grivko che vanta un primato da record per la progettazione di oltre 500 giardini e lo sviluppo di 100 progetti pubblici e privati su larga scala.
Étretat
Le Havre
Visitare la città balneare di Le Havre significa coniugare mare e cultura, in un contesto davvero unico. Dichiarata nel 2005 Patrimonio Unesco per i suoi grandi progetti architettonici, è una città davvero sorprendente, una città d’arte che davvero non ti aspetti. La sua architettura moderna è diventata uno dei simboli dell’urbanistica del XX secolo. Per molto tempo ha investito unicamente il ruolo di città portuale e industriale ma oggi è diventata la Manhattan sul mare della costa della Normandia. Da visitare a Le Havre: la Chiesa di Saint-Joseph, capolavoro di Auguste Perret e dell’artista Marguerite Huré che ha creato le vetrate, il cui campanile che domina la città ed è il punto di riferimento sia per i marinai che per i turisti; l’appartamento tipo degli anni ‘50 il cui design è, oggi, più che mai attuale e di tendenza; il MuMa, Museo d’arte moderna André Malraux, la cui architettura si trova in sintonia con le collezioni esposte: capolavori dell’Impressionismo di: Boudin, Monet, Pissarro, Degas, Derain, Renoir, Sisley, Marquet e molti altri; Le Volcan, il Vulcano uno spazio culturale ad opera dell’architetto brasiliano Oscar Niemeyer, si tratta di una struttura a due volumi raffigurante una vela di cemento dipinta di bianco, dalle forme curve e libere, che cercano di raggiungere una poetica, partendo dal movimento moderno. Uno dei volumi ospita un teatro e una sala cinematografica; l’altro una sala di musica contemporanea. Nonostante la città abbia subito pesanti danneggiamenti durante la seconda guerra mondiale, ha visto risparmiati: la Maison del’Armateur, la Casa dell’Armatore, un particolare edificio del XVIII secolo e l’Hôtel Dubocage de Bléville, risalente al XVII secolo, entrambi divenuti musei, sono un’importante testimonianza della Le Havre di un tempo, quella dei mercanti votata a vita marinara. Un luogo caro ai pittori per la sua splendida posizione è il Forte di Tourneville, un ex forte militare, che domina la città e che offre uno splendido panorama sulla baia di Le Havre e sull’estuario della Senna, è stato trasformato in giardino pensile. Polmone verde della città con altri due parchi, vanta giardini a tema e serre con piante da collezione.
Direi che ora sapete tutto quello che vi serve per organizzare un viaggio e visitare le splendide falesie della Costa d’Alabastro.
Leggi anche:
Normandia: tra arte, scogliere, villaggi di pescatori e tanto altro (diario di viaggio – prima parte)
Normandia: tra arte, scogliere e villaggi di pescatori (diario di viaggio – seconda parte)
Normandia: i più bei villaggi della Costa d’Alabastro La Costa d’Alabastro è il tratto di litorale con affaccio sulla Manica che si estende per 130 chilometri, da Le Tréport a Le Havre e che segna uno lo spettacolare confine tra il mare e la terra.
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Una mostra su Enrico Cavalli a Santa Maria Maggiore
Nel 2023 sono 145 anni dalla fondazione della Scuola di Belle Arti di Santa Maria Maggiore, l’unica ancora in attività sull’arco alpino italiano e, dopo due anni di interventi strutturali, di ampliamento del percorso espositivo e di ristrutturazione delle sale, la Fondazione Rossetti Valentini ha riaperto le porte di questo luogo così speciale, che fu luogo di sperimentazione e confronto con le correnti artistiche europee. In occasione della riapertura della Scuola la mostra Enrico Cavalli (1849-1919) Tra la Francia di Monticelli e la Val Vigezzo di Fornara e Ciolina, organizzata dalla stessa Fondazione Scuola di Belle Arti Rossetti Valentini in collaborazione con il Comune di Santa Maria Maggiore, intende approfondire, fino al 26 novembre, per la prima volta l’attività artistica e didattica, ma anche la dimensione umana di Enrico Cavalli. La Scuola Rossetti Valentini, fondata nel 1868 dal pittore Gian Maria Rossetti Valentini per accogliere i ragazzi della valle all’arte del disegno e della composizione pittorica, ha dato spazio all’estro artistico di diversi importanti protagonisti dell’arte italiana tra Otto e Novecento. Guidati da Enrico Cavalli, molto amato e apprezzato, pittori come Giovanni Battista Ciolina, Carlo Fornara e Gian Maria Rastellini, Maurizio Borgnis e Lorenzo Peretti Junior, hanno ricevuto proprio a Santa Maria Maggiore le basi del disegno di figura e del ritratto. Figlio del pittore Carlo Giuseppe, Enrico Cavalli, visse la giovinezza e parte della maturità in Francia: a Grenoble, a Lione e a Parigi. Con lo scoppio della guerra franco-prussiana Cavalli si trasferì a Marsiglia, dove conobbe Adolphe Monticelli, poi nel 1881 fece ritorno a Santa Maria Maggiore, dove, fino al 1892, insegnò nella locale Scuola d’Arte voluta da Rossetti Valentini. La sua pittura è stata molto valorizzata negli anni Venti – Trenta con riconoscimenti di affermati critici e con acquisti da parte di collezionisti come Alfredo Giannoni, benefattore novarese della locale Galleria d’Arte Moderna, Gustavo Botta, Giacomo Jucker, l’onorevole Giacinto Gallina e altri. Questa esposizione in particolare mette n evidenza da un lato i legami di Cavalli con la Francia di François-Auguste Ravier e di Adolphe Monticelli, i cui insegnamenti in materia di luce e colore furono determinanti per la sua formazione, dall’altro le radici vigezzine, che hanno visto in Fornara e Ciolina due eredi e che hanno trasformato quel piccolo centro di montagna nella famosa Valle dei pittori, ma anche far comprendere come l’attività di Enrico fu sempre in dialogo con gli artisti del suo tempo, in particolare lombardi. Il percorso espositivo si apre con gli anni della formazione, quando agli insegnamenti del padre Carlo Giuseppe si sono aggiunte le suggestioni francesi di Monticelli, che gli hanno fatto scoprire la forza della luce e la bellezza della pennellata sciolta, come dimostrano i numerosi ritratti, il genere più insegnato nella Scuola. Si affronta poi il rapporto di Cavalli con la Scuola e quello, costruttivo e appagante, con gli allievi, a cui seppe trasmettere l’importanza della libertà creativa e la forza di un colore che sa catturare la luce e infine si arriva ai paesaggi marini, realizzati in Liguria e nel sud della Francia, quando Cavalli aveva lasciato l’insegnamento, e con i progetti decorativi e le vedute vigezzini. La mostra è inserita nel progetto Val Vigezzo. La valle dei pittori, realizzato con il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo nell’ambito del bando in Luce – Valorizzare e raccontare le identità culturali dei territori della Missione Creare attrattività dell’Obiettivo Cultura, che mira alla valorizzazione culturale e creativa dei territori di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta rendendoli più fruibili per le persone che li abitano e i turisti, in una prospettiva di sviluppo sostenibile sociale che economico. Read the full article
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Boscolo Tours: un viaggio alla scoperta della nostra bella Italia
Ci credete se vi diciamo che le vacanze non sono ancora finite? Non dovete fare nulla, solo mettervi comodi, al resto pensa Boscolo.
Facciamo le valigie e partiamo alla scoperta del Sud Italia. Tra bellezze architettoniche, natura incontaminata e sapori della tradizione, gli ultimi scampoli di estate saranno davvero indimenticabili.
L’arte dell’accoglienza è protagonista dei Viaggi Boscolo
Quest’anno, complice l’odiato Covid-19 che ci ha costretto a rivedere regole e stili di vita, molti di noi hanno preferito trascorrere le vacanze estive dentro i confini italiani
Nord, Sud, Centro. Ogni angolo del nostro Paese ha qualcosa di magico e meraviglioso da scoprire e gli italiani, per fortuna, sembra l’abbiano riscoperto.
Così, prima di tornare alla classica routine quotidiana, cosa ne dite di un’ultima tappa alla scoperta di alcune regioni dello stivale?
Matera
Napoli
Palermo
Pompei
Ci concentriamo soprattutto nel Sud e partiamo seguendo i consigli di Boscolo, una famiglia che dal 1978 si dedica con passione all’arte del viaggio e dell’accoglienza.
Viaggi di Boscolo si impegna a portare italianità e bellezza nelle valigie dei suoi clienti, qualsiasi sia la destinazione prescelta. Non resta che lasciarsi guidare tra le bellezze architettoniche, la storia e il territorio tipico delle nostre regioni.
I viaggi Boscolo pensano proprio a tutto, soprattutto, visto il periodo complicato che ancora stiamo vivendo, alla nostra sicurezza.
I tour guidati sono aperti a un numero massimo di 30 passeggeri per garantire le norme di distanziamento sociale.
Gli automezzi utilizzati sono sanificati quotidianamente e a bordo sono presenti bocchette di ventilazione per favorire la circolazione dell’aria. Guanti, mascherine, gel disinfettante e ogni altro tipo di sistema di protezione individuale sono garantiti, lo stesso vale per le misure sanitarie previste all’interno delle strutture alberghiere selezionate.
Non solo trulli…in Puglia
Terra ricca di storia e natura, la Puglia non è solo la regione dei trulli, del mare cristallino e delle orecchiette
Isole Tremiti
Il suo fascino si ammira tra vicoli e monumenti delle città che mostrano influenze barocche, romaniche e greche e il paesaggio è ultra variegato. Dalle rocce a picco sul mare alle insenature, fino alle acque limpide e ai prati immensi e rigogliosi.
La prima tappa del viaggio è alle Isole Tremiti, ricche di paesaggi e bellezze naturali. Si continua verso San Giovanni Rotondo, da cui la vista sul Golfo di Manfredonia e sul Tavoliere delle Puglie è qualcosa di incredibile. E con un orizzonte così magnifico come sfondo, sarà ancora più bello perdersi tra le viuzze colorate dai fiori che rallegrano balconi e “mugnali”.
Continuiamo il nostro cammino e arriviamo a Monte Sant’Angelo. Le sue casette in calce bianca e il Castello Aragonese sono un fiore all’occhiello della regione.
E ancora Vieste, con il centro storico di antichissime origini che si snoda tra stradine strette e caratteristiche fino ad arrivare al quartiere della “Ripa”.
Castel del Monte, gioiello dell’architettura del 1200 e patrimonio Unesco. La città vecchia di Bari e la Firenze del Sud (soprannome di Lecce), città d’arte per eccellenza in cui potere ammirare le maestose chiese e l’anfiteatro romano.
Assolutamente irrinunciabile poi una tappa a Otranto, il paese che si trova più a est dell’Italia ed è considerato uno dei borghi più belli dello stivale. Il santuario di Santa Maria di Leuca e l’antica Kalèpolis di Gallipoli.
E come non citare Alberobello, la città dei trulli, dove tutto sembra avvolto da un’aura di magia, anche l’aria che si respira.
www.boscolo.com
Un tuffo nel passato tra i tesori della Basilicata
Tradizioni, sapori e folklore sono le parole perfette per descrivere la Basilicata
Si parte da Matera, città unica nel suo genere perché dislocata fra piani, dirupi e fortificazioni. I famosi sassi, poi, sono un’attrazione turistica amata in tutto il mondo.
Per i più temerari una tappa a Craco, il famoso paese fantasma e set cinematografico di innumerevoli film, è obbligatoria. La sua atmosfera misteriosa e quasi irreale vi farà sentire protagonisti di una pellicola da brividi.
E poi Venosa, uno dei borghi più caratteristici in Italia in cui visitare il castello aragonese.
Visitare l’area archeologica di Paestum, dichiarata patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, è come entrare nella macchina del tempo e tornare all’epoca della Magna Grecia. Il parco archeologico con i suggestivi templi dorici, i musei, le chiese e la costa, tutto è magia in questo luogo.
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In Costiera Amalfitana dove il sole splende sempre
Una delle destinazioni più amate, soprattutto per il periodo estivo, di turisti e italiani è la Costiera Amalfitana
Positano
Ammirata e decantata da artisti di tutto il mondo è capace di lasciarci ogni volta a bocca aperta.
Dal Belvedere di Positano alla bellissima Amalfi, fino ad arrivare alla medievale Ravello, qui tutto è assolutamente unico.
E ancora il Golfo di Napoli, la Penisola Sorrentina e la splendida Capri, isola simbolo di eleganza e dolce vita per eccellenza.
Caserta e la sua famosa Reggia borbonica costruita sul modello di Versailles sono un’altra tappa irrinunciabile di questo viaggio, per non parlare di Napoli, la “città d’o sole” circondata di bellezza: Palazzo Reale, il Maschio Angioino, il Teatro San Carlo e il “gigante addormentato” il Vesuvio.
E come dimenticare Pompei, dove il tempo sembra essersi fermato alla terribile eruzione del 79 d.C.
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Che Italia sarebbe senza la Sicilia
“L’Italia senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. E’ in Sicilia che si trova la chiave di tutto […]
Taormina
La purezza dei contorni, la morbidezza di ogni cosa, la cedevole scambievolezza delle tinte, l’unità armonica del cielo col mare e del mare con la terra…chi li ha visti una sola volta, li possederà per tutta la vita”.
Così Goethe, scrittore, poeta e drammaturgo tedesco che durante il suo viaggio in Italia aveva avuto modo di ammirare la Sicilia, descriveva questa meravigliosa isola.
Ricca di bellezze artistiche e archeologiche e della storia millenaria dell’antica Grecia, barocca e neoclassica, la Sicilia è senza dubbio una delle più belle isole del Mediterraneo.
Come rinunciare quindi a un itinerario che parte da Palermo, città ricca di colori, sorrisi e vivacità, come quella che respiriamo all’interno dei suoi mercati.
La magnificenza di Monreale, i silenzi della Valle dei Templi ad Agrigento e i panorami mozzafiato di Taormina, città amata e decantata da poeti e pittori.
E ancora Erice, con le sue mura ciclopiche, Selinunte, Siracusa con il famoso teatro ellenico e Catania, un quadro in cui edifici medioevali e barocchi sono protagonisti.
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Alessandra Borgonovo
Tutte le sfumature del Sud Italia Boscolo Tours: un viaggio alla scoperta della nostra bella Italia Ci credete se vi diciamo che le vacanze non sono ancora finite?
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Sulle orme di Pietro da Talada, un pittore del quattrocento
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Sulle orme di Pietro da Talada, un pittore del quattrocento
Adesso l’Appennino ne segna il confine geografico fra le provincie di Lucca e quella di Reggio Emilia, fra la Garfagnana e la Valle del Secchia e il passo di Pradarena è il suo punto di passaggio, ma al tempo di Pietro da Talada questi territori erano un tutt’uno sotto il dominio estense, ma già nel 1145 queste terre erano legate sotto la famiglia Dalli, potente famiglia feudataria che dalla Garfagnana andò in terra reggiana ottenendo in feudo, Piolo, Busana e proprio Talada, terra natia di Pietro. Ma chi è Pietro da Talada? La domanda che pongo per molti fra storici e esperti d’arte può essere irriverente, ma per altri ancora questo nome può essere sconosciuto, nonostante che dal mio punto di vista sia il più grande pittore che abbia mai praticato nella nostra valle, lasciando in Garfagnana opere di inestimabile bellezza e valore.
Il trittico di Borsigliana
Negli ultimi anni grazie a Dio c’è stata una forte riscoperta di questo artista, alcuni libri come quello dell’amica Normanna Albertini (n.d.r: Pietro da Talada – un pittore del quattrocento in Garfagnana) lo hanno riportato agli onori che gli spettano, ma il suo oblio vero e proprio cessa nel 1963 quando Giuseppe Ardinghi (pittore lucchese) dimostra che è lui l’autore del trittico che ancora oggi si può visitare nella chiesa di Santa Maria di Borsigliana (Piazza al Serchio), opera attribuita fino a quel tempo a Gentile da Fabriano. A fugare ogni dubbio è il ritrovamento di un inventario, dove viene recuperata la precisa descrizione della Madonna del bambino di Rocca Soraggio e per la prima volta compare il suo nome : “Hoc opus f…fieri Joannes Celasbarius de Soragio (n.d.r: committente)1463. Et pictus fuit Petrus de Talata” . Di qui comincia la storia di Pietro da Talada meglio conosciuto come il Maestro di Borsigliana.
Il basamento con la firma dell’artista (foto tratta dal sito news-art.it)
Siamo in quegli anni che il ducato di Ferrara è retto da Ercole I (1471-1505), il duca ne ha perse molte di guerre, ma nonostante tutto la sua fama di mecenate rimane intatta. Già con il duca Niccolò III d’Este la corte estense è fra le più raffinate in Europa, poeti e scrittori di fama si esibiscono nelle reggie del ducato e questo naturalmente non si ripercuote nella sola Ferrara ma anche in tutto il resto del regno, di questo rinascimento artistico ne risentirà anche lo stesso Pietro, pronto a divulgare la sua arte in quell’angolo di reame sperduto che si chiama Garfagnana. Borsigliana, Corfino, Camporgiano, Soraggio, Capraia, qui, in questi luoghi la sua arte trova compimento, in quella civiltà contadina tutta stretta intorno alla propria chiesa, pronta a sacrificare qualche denaro per abbellire questi luoghi di culto. Del Maestro di Borsigliana si sa poco e niente, della sua vita si sa solo il luogo di nascita, quella Talada anch’essa sperduta nell’Appennino reggiano e se si vuole molto simile a quella Garfagnana dove lui operò: terre agresti, fatte da gente semplice dove lo scorrere delle ore è scandito con i tempi della natura. Del resto della sua esistenza rimangono alcuni misteri a cui purtroppo non daremo mai risposta; infatti molti storici dell’arte si domandano com’è stato possibile che un pittore dalle così umili origini abbia creato opere di cotanta bellezza e perfezione, probabilmente era andato a bottega. Non si poteva prescindere da questa regola, non esisteva un artista autodidatta o che potesse lavorare in solitaria.
La bottega di un’artista
La bottega era il luogo dove si apprendeva e dove il maestro insegnava il mestiere, si, il mestiere, in quel tempo la parola artista era una parola vaga, un pittore come Pietro da Talada era considerato un mestierante, un artigiano, alla stregua di un falegname o di un orafo, insomma qui si imparava il lavoro manuale e i primi lavori erano quelli di addottrinarsi a tritare e ridurre in polvere i colori, cuocere le colle, triturare i gessi; il passo successivo dell’allievo sarebbe stato quello di copiare le opere del maestro e accompagnarlo nei luoghi di esecuzione, pensiamo poi che un apprendistato del genere non si svolgeva in poche settimane, ma bensì in anni, poteva durare da tre a sei anni e spesso il giovanotto pagava per lavorare a bottega. Tutto però era organizzato in maniera perfetta e gerarchica: il maestro, gli assistenti e gli apprendisti e siccome in questo campo si maneggiavano i colori, i pittori erano iscritti alla solita arte dei medici e degli speziali.
Lo stile pittorico in cui si specializzò Pietro, era fuori dal tempo, era quel tardo gotico lontano dalla realtà sociale dell’epoca. Eravamo in epoca rinascimentale, le pitture cercavano la corposità degli oggetti, la prospettiva, la proporzione e l’attenzione ai paesaggi naturali, mentre il tardo gotico si caratterizzava per una direzionalità verticale, con figure allungate e diafane e con ricchezza di decorazioni e ornamenti, spesso i temi trattati da questo stile erano prevalentemente religiosi e le più volte il supporto preferito su cui dipingere erano le tavole. Anche il maestro di Borsigliana preferiva dipingere su tavola. Le tavole migliori per dipingere erano di pioppo, di tiglio o di cipresso, assolutamente non il castagno, albero di cui era ricca la Garfagnana, poichè il tannino contenuto avrebbe alterato sicuramente i colori.
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Da queste tavole ecco nascere l’opera per eccellenza di Pietro da Talada: “il trittico di Borsigliana”, un’opera magnifica, unica, al centro protagonista principale è la Madonna che mostra un fiore e il Bambino Gesù con una tunica verde (a quanto pare in origine la tunica era rossa) in piedi sulle ginocchia della madre, ai lati San Prospero (patrono di Reggio Emilia) in abiti sfarzosi e San Nicola. In alto sono raffigurati l’arcangelo Gabriele, Dio Padre in mezzo agli angeli e Maria Annunziata seduta su una costruzione, in basso i dodici apostoli sono ben evidenti. Questo splendore è l’unica delle opere di Pietro che nel corso dei secoli è giunta intatta fino ad oggi. Eppure anche lei aveva rischiato una brutta fine, eccome…
La chiesa di Santa Maria Assunta dove si trova il trittico di Borsigliana
Alla fine del 1800 il capolavoro fu venduto illegalmente da un antiquario romano, fortunatamente fu poi recuperato alla frontiera svizzera e riportato a Roma, da li cominciò un peregrinare infinito di oltre trent’anni tra Firenze e Roma, nel 1921 però ritornò finalmente alla sua parrocchia di origine, ma le sue tribolazioni non finirono, dal momento che alla fine degli anni trenta del ‘900 il trittico fu ritirato dalla sovraintendenza delle Belle Arti di Firenze per un restauro, il tempo che scorreva e i successivi eventi bellici lo fecero definitivamente tornare a casa nel 1947. Se si vuole stessa fortunata sorte non toccò a quello che in origine era un altro trittico e che oggi è conosciuto come la Madonna con bambino (sul quale, come abbiamo letto, si trovò la firma di Pietro).
La Madonna con bambino di Rocca Soraggio oggi a Lucca
Al tempo si trovava nella chiesa di Rocca Soraggio, quando dei delinquenti incalliti la rubarono e ne fecero scempio: dapprima i due “laterali” che rappresentavano San Pietro e San Giovanni Battista furono sezionati dalla stessa tavola centrale, successivamente lo smembramento continuò, furono ulteriormente tagliati altri trenta centimetri, eliminando così la famosa firma e la data di creazione, oggi la tavola si trova al museo nazionale di Villa Guinigi a Lucca. Una curiosità invece spicca in un’altra opera di Pietro da Talada, qui basta andare all’eremo di Capraia (Pieve Fosciana) e guardare il dipinto, si può vedere Maria che insegna a leggere al piccolo Gesù; la Vergine tiene in mano un libro, aperto sulla pagina del Magnificat, mentre il Bambinello unisce vocali e consonanti su una tavola di legno. Le curiosità su questo artista non finiscono però qui, questa è venuta fuori grazie ad una nuova tecnica ultramoderna: l’imaging multispettrale, che non è altro che una radiografia ad intensità luminosa. Ebbene, dopo un indagine approfondita su una tavola raffigurante San Giovanni Battista (conservata alla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca), ecco scorgere un “pentimento” di Pietro, che cambiò idea sulla posizione in cui disegnare la piegatura della veste del santo. Fra l’altro, curiosità nella curiosità, questo San Giovanni Battista non sarebbe altro che un “pezzo” rubato della Madonna di Rocca Soraggio, ricomparso miracolosamente anni dopo sul mercato dell’antiquariato internazionale e acquistato regolarmente dalla Fondazione stessa.
San Giovanni e il pentimento della veste
Una storia misteriosa quella di Pietro da Talada, una storia che si perde nei meandri del tempo e che diventa quasi leggenda, un pittore dallo spirito quasi francescano che dipinge fra i poveri e per i poveri, non nelle grandi città rinascimentali, non fra le grandi signorie del tempo, ma fra la gente umile, abituata alla fatica e che realizza questa opere in chiese solitarie e sperdute. Capolavori per un popolo di boscaioli e pastori, un pugno di opere che ci fanno capire la levatura di un pittore prodigioso che qualcuno ha definito uno dei più grandi artisti del nostro tempo.
Bibliografia: “Pietro da Talada- un pittore del quattrocento in Garfagnana” di Normanna Albertini. Garfagnana editrice 2011
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Dal 13 luglio si terrà a Santa Maria Maggiore una mostra con cinquantaquattro opere organizzata con la collaborazione del Centro di Documentazione alpina Terre alte – Oscellana e dell‘Associazione Culturale Villarte, aperta presso il Centro Culturale Vecchio Municipio fino al 3 novembre.
La fama della pittura vigezzina va oltre i confini locali e Santa Maria Maggiore, capoluogo della valle dei pittori e borgo Bandiera Arancione del Touring Club Italiano, ha sempre valorizzato con esposizioni temporanee ed eventi artistici questa tradizione.
Proprio a Santa Maria Maggiore si trova l’unica Scuola di Belle Arti dell’arco alpino italiano: un unicum nazionale che per i tesori che custodisce e i valori che tramanda si è aggiudicata un finanziamento di 250.000€ da Fondazione Cariplo.
L’esposizione, curata da Aldo Banchini e Paolo Volorio, vedrà una serie di produzioni di maestri vigezzini provenienti da quattro raccolte private per un percorso nella pittura della Val Vigezzo dal XVIII secolo sino agli inizi del Novecento.
Le opere testimoniano ancora una volta l’importanza della pittura vigezzina per il lusinghiero riscontro e l’importanza che gli artisti di questa zona ebbero in Francia e in Svizzera e il legame che maestri originari di questa terra mantennero con essa, pur operando in contesti molto distanti, tra i secoli XVIII e XIX e il suo sviluppo e successo in Francia, con l’opera di Max Ponti, pittore di origine vigezzina discendente dei Rossetti, pressoché ignoto, che ebbe stretti legami nella Parigi di primo Novecento con i movimenti avanguardisti del nuovo secolo, sviluppati dalla pittura di Cézanne, Van Gogh e Gauguin, dei Fauves e dei postimpressionisti.
Collezioni svelate. Valle Vigezzo andata e ritorno proporrà anche il bozzetto originale della più nota opera di Antonio Cotti, il Dante deriso, e due ritratti realizzati a quattro mani da Carlo Fornara e Giovanni Battista Ciolina durante il loro soggiorno a Lione nel 1896.
Il tema del ritratto femminile vigezzino in abito tradizionale sarà rappresentato dalla fine del Settecento fino alla fine del XIX secolo, consentendo di coglierne le trasformazioni e l’evoluzione iconografica e i suoi rapporti con la coeva ritrattistica francese, che è un fondamentale apporto per la ricostruzione della storia della pittura vigezzina.
L’esposizione diventa uno stimolo per la realizzazione di future mostre, finalizzate a svelare il patrimonio troppo spesso celato delle collezioni private, la cui conoscenza e studio diventano fondamentali per la ricostruzione della storia e della civiltà di un ambito culturale.
La mostra sarà aperta fino al 1 settembre da martedì a domenica dalle 10 alle 12 e dalle 16 alle 18.30, mentre il lunedì sarà chiusa e dal 7 settembre al 3 novembre sabato e domenica dalle 10 alle 12 e dalle 16 alle 18.30.
Collezioni svelate. Valle Vigezzo andata e ritorno Dal 13 luglio si terrà a Santa Maria Maggiore una mostra con cinquantaquattro opere organizzata con la collaborazione del…
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