#Toscanelli
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Per chi abita in… Via Toscanella tra il Pozzo Toscanelli e la Madonna del Puzzo
Via Toscanella è una stretta via che parte dallo Sdrucciolo De' Pitti e con un andamento leggermente curvilineo termina, diventando un vicoletto, in Borgo San Jacopo. In passato la via era frammentata in più vie con denominazione diversa. Da Borgo San Jacopo a Via dello Sprone, la parte più stretta della via, si chiamava Chiasso de' Marsili che poi diventò via del Forno. Qui la via si apre sulla famosa Piazza della Passera. Il tratto successivo da Via dello Sprone a Via de' Vellutini assumeva il nome di Via del Canto a' quattro Pagoni. Il tratto seguente da Via de' Vellutini a Via de' Velluti prima assumeva il nome di Canto a' quattro Leoni e poi Via Pagni. Lo spezzone successivo da Via de' Velluti fino allo Sdrucciolo de' Pitti si chiamava prima Via della Cella de' Fantoni e poi via Toscanella.
Il nome via Toscanella dell'ultimo tratto, che poi diventa nome dell'intera via, derivava dal fatto che la via costeggiava posteriormente il Palazzo Dal Pozzo Toscanelli (con la facciata sulla Piazza de' Pitti). La famiglia Toscanelli, antichissima famiglia fiorentina, era detta anche “dal Pozzo” perché in vicinanza della casa si trovava un pozzo pubblico denominato Pozzo Toscanelli. Addirittura il pozzo compariva nel loro stemma familiare.
Pozzo Toscanelli disegno S. Valentini La falda acquifera che alimentava il pozzo proveniva quasi certamente da una sorgente presente sulla collina di Boboli, e l'abbondanza d'acqua faceva si che la cisterna del pozzo fosse sempre piena tanto da superare il livello massimo e riversarsi, grazie alla pendenza, in Via Sguazza che magari assumeva questo nome proprio per le pozze generate dall'acqua che la percorreva.
Il pozzo era andato perduto nelle successive edificazioni, probabilmente nella costruzione del palazzo della famiglia Ridolfi di Piazza costruito circa nel Trecento, in via Maggio. Estendendosi con il giardino sino a via Toscanella hanno probabilmente chiuso il famoso pozzo. Dopo anni di ricerche recentemente è stato individuato grazie a Marco Conti e al proprietario del ristorante "Toscanella Osteria" Fabrizio Roberto Gori. Durante i lavori di realizzazione del ristorante hanno riportato alla luce il perduto Pozzo Toscanelli e con lungimiranza l'hanno restaurato ed è oggi visibile.
Proiettandosi dall'altra parte di Via Toscanella, dove si restringe in un caratteristico vicolo, appena prima di aprirsi su Via San Jacopo si nota una rappresentazione in terracotta della Madonna. Questa rappresentazione è del 1984 ed è stata commissionata a Mario Mariotti e posizionata ad opera degli abitanti della via in segno di protesta. Tra spazzatura abbandonata e ricorrenti minzioni sui muri la via si caratterizzava per un fetido odore. La madonna è infatti rappresentata in un atteggiamento conseguente e ha preso il nome di Madonna del Puzzo. La via nasceva quindi come "retro" di palazzi signorili con le facciate in vie e piazze di più rinomata fama, ma nel corso del tempo il suo lastricato si è impregnato di storia ospitando anche le abitazioni di uomini illustri come Giovanni Boccaccio o Ottone Rosai. Oggi, grazie a piazza della Passera, è diventata un angolo di aggregazione.
Jacopo Cioni Read the full article
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Paolo dal Pozzo Toscanelli was an Italian mathematician, astronomer, and cosmographer.
Link: Paolo dal Pozzo Toscanelli
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El descubrimiento de América. Colón, marinero genovés en realidad no es tan importante, lo importante en esa proesa fue el proyecto geopolítico de los Reyes Católicos. La nación política de la República de Italia no existía en esa época, Colón no era italiano sino de La República Católica de Génova que era básicamente un estado autónomo al servicio de los intereses de la Corona de Aragón desde el siglo XII. (falta revisión de éste último dato) Y por otro lado, aunque Colón tiene su lugar en la historia podemos prescindir de él, la tarea se habría realizado con otro marinero, los reyes Católicos ya sabían que la Tierra era redonda por Toscanelli; y existía la necesidad de rodear el cerco que tenía impuesto el Imperio Otomano sobre los Reinos Cristianos que estaban en una situación muy marginal, muy atrasados materialmente hablando. Siempre se reduce el descubrimiento de América a la casualidad, en el intento de encontrar una ruta comercial nueva con oriente (las islas de las especias, las islas Molucas en la actual Indonesia). Pero no se puede reducir a un mero deseo comercial, en realidad era una necesidad, los reinos cristianos estaban siendo ahorcados por el enorme Imperio Otomano y era cuestión de vida o muerte; por orden papal se manda a Portugal rodear por África, España asume la tarea más difícil, ir por el océano terrorífico, con el principal objetivo de encontrar la ruta para atacar por la retaguardia al infiel (al Otomano). Tres figuras fundamentales en el proceso del Descubrimiento de América, que no es un hecho puntual, sino un proceso que abarca al menos los primeros 200 años del Imperio: Alfonso X el Sabio. Isabel la Católica. Fernando el Católico. Son ellos los que desde antes de saber lo que habían hecho, a través de Leyes terminan configurando el estatuto que configuró y aún lo configura, América. Texto basado en las clases magistrales del Maestro Ismael Carvallo.
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A map illustrating Christopher Columbus’s image of the world before his first voyage in 1492. It was based on a map by the Italian scholar Paolo dal Pozzo Toscanelli, which depicted the Earth as about 25% smaller than it actually is, exaggerated the reach of Asia to the east, and ignored the (correct) measurements of Eratosthenes from some 1700 years earlier. Columbus compounded these errors with...
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Festa dei sardi di ostia (all'ex colonia marina vittorio emanuele III, lungomare paolo toscanelli, se magna e sebeve)
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Avanti! this night rightly right again.. now another edition from another country and similar publicities too... just it was hard to Duce adversaries to find supports... but some Milano publicity quite odd - if not tolerated by Fascism - and here too Turchi and Toscanelli in Paris-Zurich... bye... joe...
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Ostia, arrestato 29enne sudamericano accusato di maltrattamenti aggravati ed interruzione di gravidanza non consensuale
Ostia, arrestato 29enne sudamericano accusato di maltrattamenti aggravati ed interruzione di gravidanza non consensuale. Nei giorni scorsi, gli agenti della Polizia di Stato del X Distretto Lido di Roma, hanno eseguito un'ordinanza applicativa della misura cautelare in carcere nei confronti di un 29enne, di origini sudamericane, gravemente indiziato del reato di maltrattamenti aggravati e di interruzione di gravidanza non consensuale. Nello specifico, i poliziotti, nella mattinata dello scorso 22 febbraio, durante il servizio di controllo del territorio, su disposizione della Sala Operativa, sono intervenuti sul Lungomare Paolo Toscanelli per una segnalazione di una donna che scappava dal fidanzato che la stava picchiando. Gli operatori, giunti sul luogo della segnalazione, hanno identificato la vittima ancora nelle vicinanze, la quale ha raccontato che era fuggita dalle violenze del suo fidanzato; in quel frangente gli agenti hanno allertato personale del 118 per accompagnare la donna presso il più vicino nosocomio per le cure del caso ed hanno, altresì, accertato che il fidanzato l'aveva colpita ripetutamente in diverse parti del corpo, nonché con un calcio all'addome, nonostante fosse a conoscenza che la stessa era in stato interessante da circa 3 mesi. La donna, italiana di 23 anni, ha dichiarato ai poliziotti che l'uomo aveva già avuto in altre occasioni questo tipo di atteggiamento, maltrattandola sia verbalmente che fisicamente, tanto da indurla in uno stato d'ansia notevole provocando così un cambio di abitudini nel suo normale stile di vita. Infine, dopo gli accertamenti sanitari effettuati, si è appurato che la 23enne, in seguito a quest'ultima aggressione, aveva subito anche un'interruzione della gravidanza. Il 29 marzo, grazie alle serrate indagini svolte da parte degli uomini del X Distretto, l'uomo è stato rintracciato e condotto presso il carcere di Regina Coeli in esecuzione di un'ordinanza applicativa della misura cautelare in carcere emessa dal G.I.P. del Tribunale di Roma il 18 marzo scorso.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Cross-Contaminating the Anthropocene, Donna J. Haraway’s ‘Staying With the Trouble: Making Kin in the Chthulucene’ (2016)
“The only thing that makes life possible is permanent, intolerable uncertainty: not knowing what comes next.” ― Ursula K. Le Guin, The Left Hand of Darkness
Before being named after Edmond Halley, who in his Synopsis Astronomia Cometicae (1705) successfully predicted its return in 1758, what we now know as Halley’s Comet was observed by Italian mathematician and astrologer-come-cosmologist, Paolo dal Pozzo Toscanelli. Already renowned for his skill in spotting celestial bodies, Toscanelli would record this event only as ‘the comet of 1456’, reportedly stating that its head was “as large as the eye of an ox” and with a tail “fan-shaped like that of a peacock”. Later in his life, Toscanelli would make a similarly overlooked—though in its impact, drastically more profound—contribution to the interweaving flux of human thought/behaviour when a map he’d constructed in 1474 plotting a westerly course to the recently impenetrable Indies was sent to Italian explorer Cristoforo Colombo (Christopher Columbus). In miscalculating the length of the Asian continent by some 5,000 miles, Toscanelli’s map drove Columbus on a course which, along with the Explorer’s underestimation of the Earth’s circumference by roughly a quarter, brought him to what is now known as the Bahaman Islands in the year 1492. These combined errors would result in one of the most unwittingly prescient discoveries to shape the centuries to come, with direct implications both on the current state of geopolitical relations and the geological shape of the globe today.
Does it matter that Toscanelli’s formulas were driven by an intelligence cultivated to slake mercantile and political appetites for the acquisition of new lands and the associated wealth of such conquests? Or that one of Toscanelli’s chief influences, Marco Polo—the famed Venetian merchant who boasted of his overseas investments, “I have not told the half of what I saw”—gained his notoriety from similarly prosperous expeditions into the spice trades of Asia? How did these capital ventures, which effectively grew from the intellectual and cultural developments of The Renaissance, lead human thought through European Imperialism and the logocentric relations of The Enlightenment during the 18th Century and beyond? How did these combined global trends in human thought/behaviour wrestle the understanding of fate and personal agency from the domain of a traditional, anthropocentric God towards an equally arbitrary—if not asymmetrically regimented—object/subject relation manifest in the individual and social outlines of states, political organisations, capital markets and eventually corporations?
It would be naïve to think of these cultural movements as inherently positive or negative. Many arguments could be made, for instance, pointing towards the benefits of markets as a substitute for direct, outright warfare in the determination of border disputes and capital relations. To an extent, periods of intense change such as the Industrial Revolution (starting from around 1760), the United States declaration of Independence (1776) and the ensuing French Revolution (1789) can all be attributed in some ways to the emergent ideas formed through the slow revealing and untangling of human free will in relation to personal fate explored during the Enlightenment-era. These events radically altered the lives of countless people, freeing them from anachronistic and arbitrarily determined social structures, and paving the way for further advances in the proliferation of liberty. But to imagine that such movements entirely resolved the problems of inequality and exploitation would be just as misguided as denying their existence in the first place. So, does it matter what stories drove the calculations and discoveries of Marco Polo, Paolo dal Pozzo Toscanelli, Cristoforo Colombo and any number of other names throughout the Enlightenment and Renaissance eras?
In her 2016 book Staying With the Trouble: Making Kin in the Chthulucene, Professor Donna Haraway argues that it does matter what ideas we use to build and rebuild our bases of knowledge. Haraway takes these dangers surrounding the development of human understanding as self-evident, and suggests what she calls an ‘Extended Evolutionary Synthesis’ in an attempt to reframe and reimagine the outlines of the various tensions brought about through what is now widely designated as the ‘Anthropocene’. The ideas behind this term, coined by Soviet scientists in the 1960s and recently popularised by works such as Ashley Dawson’s Extinction: A Radical History (2016) and Timothy Morton’s Dark Ecology (2016) delineate a geological epoch much like the preceding Pleistocene and Holocene periods, but which is posited to have been shaped chiefly by species: Anthropos. In spite of the recent prevalence of this terminology, Haraway instead proposes the ‘Capitalocene’ as a term to encapsulate the age of human-influenced destruction that has seemingly been pushing us towards a mass extinction event, arguing that the underlying precepts of capital relations have superseded human agency in their respective effects on the shape of the globe. Without denying the impact of human civilisation in and of itself, Staying With the Trouble urges us to eschew the fatalist paradigms of an anthropocentric world-view with its “abstract futurism and its affects of sublime despair and its politics of sublime indifference”, in order to chart a different course through the depths of biological diversity, which she says promote “possibilities of partial recuperation and getting on together.” To this end, Haraway encourages us to formulate the outlines of a new era as a guide out of capitalistic thinking towards more embodied, conscious choice.
Haraway terms this proposed new age the ‘Chthulucene’, stipulating that her use of the term has nothing to do with 19th Century Horror author H.P. Lovecraft’s highly anthropomorphised (and, we might note, innately xenophobic) nightmare-projections of apocalyptic doom. In what seems to be a natural progression from her prior work in the Manifesto For Cyborgs (1984) and the much later Companion Species Manifesto (2003) Staying with the Trouble aims to explore the boundaries of the categorical human through recourse to that which we consider to be humanity’s ‘other’—whether that be animal, vegetable, or cluster of abstract ontological complexities—invoking her prior use of the term ‘companions species’ in a way which she hopes will refute “human exceptionalism without invoking posthumanism.” This latter point accentuates a resounding distrust for the modern faith in technology as an infallible cure for our various ailments, emergent in Haraway’s prior works. The Chthulucene, she posits, asks us to reimagine our current predicament in terms far less—or, not to be hierarchical about it, simply other—than human, without resigning ourselves to the void of an abstract technological determinism imagined to render obsolete our fleshy bodies, and power of will.
In this way, Haraway’s Text takes extensive pains to remain in a kind of proactive ambiguity of ‘un-knowing’ to promote the urgency and immediacy of building/growing/learning with others of all kinds. It is important for her thesis that we don’t dismiss the impacts of Anthropos, nor ignore the social benefits that have developed through the refiguration of human relations according to capital in place of an anthropomorphised Old Testament God, but instead asks us to reconsider the primacy of either in our projected futures. In eschewing this good/bad false-binary, Haraway’s attempts to stay with the trouble encourage active play “in generative joy, terror, and collective thinking” through a convergence of disciplines and social customs as a concerted attempt to respectfully encounter and cross-pollinate with perspectives that lie outside of the traditions of standardised quantitative and capitalistic strands of Western thought. Such an effort challenges us to reconsider our thought processes and to reexamine assumptions that have become unconscious, automatic and, she argues, autopoetic.
The result is a text which traverses the rigid delineators of academic discourse. In her quest Haraway finds unexpected allies in pigeons, octopodes, chthulic arachnids (hence the generative title of her proposed epoch), coral reefs, and indigenous cultures along with crocheters, animal handlers and all manner of thought-practitioners to create new ways of framing our world and its ongoing, unravelling existential situation—to create an ethos of “living and dying together on a damaged earth.” “It matters what stories we use to tell stories” she writes, citing Marilyn Strathern, an ‘ethnographer of thinking practices’ who herself writes “[i]t matters what ideas we use to think other ideas.” In the same way that it might matter that Toscanelli’s hybrid mathematical/entrepreneurial brilliance emblazoned a path towards colonisation of the Americas, an active response to our current path of ongoing exploitation, extermination and mass extinction might find its ultimate expression through an amalgamation of the joys and terrors of resistance; of building-together nexus points of ontological/epistemological refuge while reimagining separate species and individuals ‘as ecosystems’; and weaving together narratives which encourage a dialect of intra-species survival at all costs.
Long time readers of Haraway’s ‘SF’ ‘science fabulation’/‘speculative fiction’/’string figures’ will mark the continuation of her habit of unabashedly rephrasing the outlines of the academic discourses she explores, effectively embodying the kind of ‘sympoetic’ play she outlines without taking herself too seriously, or expecting her theses to be too set in stone. “Poeisis is symchthonic, sympoetic,” she writes, “always partnered all the way down, with no starting and subsequently interacting ‘units.’” In such a way, Haraway’s texts seem to operate more on the level of an always-emerging heuristic rather than orthodoxy, though one that finds its expression in an embodied praxis grounded in human sentiment and science as a blue-print for further becomings-of thought/behaviour. The series of essays employed in this text evince a cross-species epistemological orgy of ‘knowing-with’ and ‘becoming-with’ these unexpected and oft-ignored ‘others’—the unseen critters, holobionts and cyborgs that permeate contemporary life—towards an understanding of humanity as a kind of amalgamate compost (she suggests the ‘hummusities’ in place of the humanities), both in our individual and social spheres. One of her main questions lies in asking “what it means to hold open space for another”, utilizing her interwoven expertise in primatology, biology, feminist critical thought, and science practices as a space for encouraging other social/cultural/academic disciplines to participate in this enacted ‘being-together’ beyond the constraints of rigid algorithmic investigation.
Despite its emphasis on free play and interspecies a-teleological, thinking, Staying with the Trouble does encourage an end-point in its deliberations in subverting and reimagining the representational and performative effects of the term ‘Anthropocene’. Integral to its interweaving heuristic are practices for thinking outside the precepts of capitalism without making it an incurable enemy, while challenging extremely trenchant ideals regarding the value of individual capital in contrast to shared global goods such as natural resources and socialist relations that subvert or rethink traditional forms of power. Along with diagnosing the ideological cul de sacs of capitalistic object/subject, manager/worker interrelations which grew from the once fertile soil laid down by pioneers of thought/behaviour like Toscanelli and countless other names from our shared history, the tentacular forms of thought encapsulated in Staying with the Trouble stimulate an active and playful stance with which to accomplish an ideational shift towards more fluid, less self-obsessed practices of thought/behaviour.
At the heart of Staying With the Trouble lies Haraway’s deep knowledge of the transformative effects of biological science which places the trans-individual ‘hummustic’ holobiont human as a direct agent over its own fate, and as such, an actor in the course of the human story. While there are points at which her overarching thesis feels caught up in a singular question of semantics, Haraway’s unflinchingly imaginative approach to rethinking the precepts of anthropocentric world-views makes the reading of her text a delight, regardless of where you might end-up in relation to her contestation of the orthodoxy of particular terminology. The stories we utilise to tell other stories do matter, she argues, and it’s within our power to redefine and re-tell them in a way that might allow us to live alongside other forms of life in a more reflective manner. This argument is more important to her text, I feel, than whether one might settle on the term ‘Anthropocene’ or ‘Capitalocene’, or ‘Chthulucene’. The point is to hold the door open for new modes of thought no matter where we choose to lay the foundations for our collective metaphor(s). And maybe, such a refashioning of our capacities for understanding and representation might be one of the integral functions of scientific discovery, storytelling and other, similarly attuned forms of sympoetic thought/behaviour. If we might wish that Toscanelli or Columbus, or all the other discoverers, explorers and thinkers throughout history may have chosen a different end-route for their actions, then perhaps at least it’s within our power to choose one for ourselves. However we might want to define the process of our collective experience on this planet, “[l]iving-with and dying-with each other potently” Haraway assures us, “can be a fierce reply to the dictates of both Anthropos and Capital.”
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Debutterà martedì 7 novembre 2023 alle ore 21.00 al Teatro Anfitrione - via San Saba, 24 (a quattrocento metri dalla metro Piramide) - Sogno di una notte di mezza estate di William Shakespeare, regia di Gianfranco Teodoro. «Se noi ombre vi siamo dispiaciuti, / immaginate come se veduti/ ci aveste in sogno…» Queste le parole con cui Puck, il folletto protagonista del Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, conclude le tante vicende di uno degli spettacoli più conosciuti e belli della storia del teatro. Il Sogno è un invito a “fantasticare”, “immaginare”, “vivere andando oltre”, superando spazio e tempo, considerando il viaggio che sta per concludersi come un momento di gioia, magia, emozione, arricchimento unico. In un momento storico in cui - a causa di difficoltà mondiali politiche, sociali, economiche - sembra vietato “sognare”, proporre “Arte”, in tutte le sue declinazioni ed espressioni (Teatro, Musica, Danza, Cinema, ma anche Scultura, Pittura, Fotografia), ecco… Puck. E con lui, tutti i personaggi di un capolavoro che va oltre il tempo, l’uomo, la storia, le sue vicissitudini: Titania e Oberon, Ermia e Lisandro, Elena e Demetrio, e ancora Cotogna, Bottone, Flauto e Conforto, e infine il Duca Teseo, Egeo, Ippolita. Tutti personaggi che giocano con l’arte, mostrando allo stesso tempo leggerezza e profondità, gioie e dolori, passione e disprezzo. Come in una favola. Questo Sogno non vuole esser solo un semplice spettacolo, bensì ha l’obiettivo di rappresentare un “contenitore” di molti linguaggi artistici, con coreografie e musiche eseguite dal vivo impreziosendo l’allestimento e coinvolgendo sempre più il pubblico. La Compagnia Una Compagnia di quasi venti artisti fra attori, musicisti e ballerine. La versatilità del nostro Sogno Le caratteristiche del Sogno shakespeariano fanno in modo che l’evento ben si adatti a qualunque location e possa così essere realizzato in diverse occasioni: al chiuso, all’interno di un teatro o adattandosi a qualsiasi spazio chiuso; oppure all’aperto - come detto anche in versione “itinerante” - con l’intento di valorizzare uno spazio definito (come può essere un parco, uno spazio aperto, un contesto ben preciso esaltandone importanza e caratteristiche). Lo spettacolo è l’ideale per quella che può esser l’inaugurazione di uno spazio verde, per far conoscere un parco o un luogo delimitato; o ancora per presentare nuove prospettive ai residenti di un territorio, facendo loro “vivere” - o meglio ri-vivere - uno spazio a loro vicino in modo nuovo, diverso, ricco di Arte e Creatività. O ancora presso il giardino di una villa privata; o fra i vicoli di un paese; o ancora all’interno di un quartiere cittadino. Sogno di una notte di mezza estate di William Shakespeare - regia: Gianfranco Teodoro; aiuto regia: Loredana Luzi; interpreti e personaggi: Alice Cappella/Francesca Pierante (Puck), Veronica Toscanelli/Francesca Di Meglio (Ippolita), Diego Guerrieri (Egeo), Francesca De Marchi (Ermia), Giuseppe Acampora/Cristiano Migali (Lisandro), Alberto Ferretti (Flauto), Ivan Di Bello/G. Teodoro (Conforto), Alessandro De Filippis/Alessio Curzi (Demetrio), Manuel Ricco (Oberon), , Claudio Piano/Vasco Meddi (Cotogna), Massimiliano Ferretti/ Vasco Meddi (Bottone), Flavia Rizza/Martina Menichini (Elena), G. Teodoro/Andrea Venditti (Teseo), Giulio Schifi, Mattia Tassi, Michele Albini, Marina Benetti, Caterina Boccardi, Diego Colaiori, Damiano Di Tizio, Mario Gioè, Matteo Maria Mascetta; coreografie: Francesca Piersante, Flavia Fiorini; scene e costumi: Elena Cilenti, Patrizia Moretti, Giorgia Zafarana, Alessandra Mattioli; musiche originali: Giuseppe Di Pilla, Elmo Zaccardelli eseguite dal vivo insieme a Flavio Fortuna; coordinamento organizzativo: Claudio Piano; foto: Riccardo D’Achille; produzione: Gocce d’Arte - rimarrà in scena al Teatro Anfitrione fino a lunedì 13 novembre 2023 (orario: tutte le sere ore 21.00; sabato 11, ore 18.00); nella stessa settimana sono previste
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Veneza -> Pádua - 23 de Novembro de Ano 2 - Quarta - Crítica - 26 anos
06:00 - Acordo e corro:
07:00 - Volto, tomo banho e me arrumo. 07:40 - Tomo café no hotel:
08:20 - Pego o trem: Stazione di Venezia Santa Lucia
09:00 - Chego em Pádua. 09:10 - Hotel: Hotel Majestic Toscanelli Padua
Subo e fico trabalhando no quarto.
12:30 - Almoço: Caffè Della Piazzetta
13:40 - Volto e tomo um banho relaxante.
15:00 - Fico trabalhando. 18:30 - Me arrumo para jantar. 19:00 - Janto perto de casa: Ristorante La Sciabola
20:30 - Vou ao teatro: Piccolo Teatro Don Bosco
22:00 - Volto e durmo.
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Il mistero degli affreschi delle cappelle Medici e Pazzi. Risolto?
Il mistero degli affreschi delle cappelle Medici e Pazzi.
Stiamo parlando della Sagrestia Vecchia nella basilica di San Lorenzo a Firenze e della Cappella Pazzi nel primo chiostro della basilica di Santa Croce sempre a Firenze. Ambedue capolavori architettonici di Filippo Brunelleschi.
Cappella Pazzi in Santa Croce
Sagrestia Vecchia in San Lorenzo Le interpretazioni sono state più di una, molti gli studiosi che si sono impegnati per risolvere questo enigma fiorentino; enigma centrato più che nell'arte pittorica nello scopo della rappresentazione scelta. Una prima interpretazione viene da Aby Warburg il quale ipotizzò che l'affresco fosse raffigurante la data corrispondente alla consacrazione dell’altare della basilica di San Lorenzo, cerimonia che si è svolta il 9 luglio 1422. Questa teoria è oggi accantonata ma abbiamo voluto verificarla comunque. Non vi inserisco la mappa stellare, ma decisamente non è corrispondente, la luna non è in Toro e il sole è quasi al davanti del cancro. Venere si pone in gemelli e Giove si è perso chi sa dove. Inoltre che senso avrebbe che i Pazzi riproponessero la duplicazione perfetta di quell'evento? Una nascita nella famiglia Medici? Il mistero deve in qualche maniera coinvolgere le due famiglie, la ragione deve essere super partes. Si suppone in questa ipotesi che l'opera sia da attribuire a Giuliano d’Arrigo detto Pesello (Firenze 1367-1446). Pesello era un esperto nel disegno degli animali e un abile ritrattista ma non aveva la cultura astronomica necessaria per una tale precisione, si crede che fosse stato guidato da un esperto astronomo quale Paolo dal Pozzo Toscanelli (1397-1482). Forti non postula nessuna teoria sul "motivo" dell'affresco ma analizza l'affresco solo da un punto di vista scientifico. Ancora un'ipotesi è che la famiglia Medici volesse celebrare la riunificazione delle Chiese d’Occidente e d’Oriente, evento fortemente voluto da Cosimo il quale fece di tutto per spostare il Concilio da Ferrara a Firenze. Infatti la firma del decreto “Laetentur coeli” avvenne il 6 luglio 1439 a Firenze e si raggiunse la completa riunificazione tra greci e latini. Al concilio parteciparono esponenti di grande prestigio per l'epoca da religiosi ad artisti, da architetti ad astronomi fra cui anche Paolo del Pozzo Toscanelli. Un altro astronomo, sempre di Arcetri, si è misurato con questo mistero aprendo una nuova via interpretativa. Fabrizio Massi analizzando la mappa stellare ha confermato il giorno 4 Luglio del 1442 come giorno rappresentato e per la precisione alle 10:30 del mattino. Masi però esplora una nuova strada. Afferma che la volta rappresentata non è del cielo sopra Firenze ma di un punto d'osservazione diverso e cioè la posizione geografica è da collocare presso Shanhaiguan in Cina. Ci fornisce le coordinate corrispondenti a 40° N 120° E. Queste coordinate, secondo google maps, cadrebbero in acqua, ma poco distante da Shanhaiguan circa a 18,5 km a nord-est. Posizionandosi sulla città di Shanhaiguan le coordinate sono circa 40° N 29" 119° E 46". Cominciamo la verifica. Impostiamo le coordinate fornite da Massi di Shanhaiguan (meglio quelle precise) e poi le due date possibili, quella sostenuta da Massi e quella del concilio. In entrambi i casi si deve adattare la visione verso ovest, non tenere conto dell'orizzonte e per ovviare a questi due problemi cambiare l'orario di osservazione sino ad ottenere corrispondenze migliori in orari notturni. Una teoria compiuta dovrebbe rispettare i parametri di cui disponiamo. L'affresco ha due sicure certezze, Il Sole fra cancro e gemelli e la Luna in Toro, sul muso del toro. L'idea di Francesco Masi di uscire dal concetto che sia il cielo sopra Firenze è interessante e potrebbe aprire a nuove teorie, cioè testimoniare a Firenze un luogo lontano da Firenze, interessante. Magari un luogo che non era ancora possibile raggiungere dati i mezzi disponibili e le conoscenze del tempo. Zheng He è un membro della dinastia dei Ming. Un eunuco compagno di giochi del piccolo principe Zhu Di. Quando Zhu Di divenne imperatore della Cina assumendo il nome di Yongle, ordinò nel 1403 la costruzione di una flotta imperiale sia per scopi mercantili sia come flotta da guerra e scopi diplomatici. L'imperatore nominò ammiraglio Zheng He e lo mise al comando di tutta la flotta. L'imperatore Yongle incaricò Zheng He di effettuare spedizioni navali a carattere diplomatico, scientifico e commerciale nei mari occidentali. Ora poniamo per un secondo che sia vero, una realtà, l'America è stata scoperta per la prima volta da Zheng He e che una delegazione cinese lo avesse fatto presente alla famiglia Medici fornendo la data e le coordinate di dove i cinesi si erano introdotti nel territorio americano. Prendiamo adesso le coordinate fornite da Masi 40°N 120° E e proviamo a mettere 120° Ovest. Impostandole su maps ci ritroviamo qua: https://goo.gl/maps/fd6ksPexQ41jMyGa8 Proviamo a inserire le coordinate nel programma stellarium e a giocare percorrendo le date dal 1421 al 1423 ed esattamente alla data 3 Luglio 1423, esattamente alle 19.30, abbiamo rappresentata questa volta celeste.
Con le coordinate della Sagrestia Vecchia spostate ad ovest, la situazione non cambia, l'immagine è praticamente la stessa. E se le cappelle fossero l'unica testimonianza della vera scoperta dell'America? Ovviamente un'ipotesi, ma... Magari Colombo è arrivato nel 1492 "sapendo" dove andava!
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Arisztotelész után
Toscanelli és Brunelleski /Pádova -Firenze/
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With my friends Wilfried Kaufmann and the artist Ivan Toscanelli at Essen techno classic 2023 THE BEST 👍 — view on Instagram https://ift.tt/u9LgjGy
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The World According to Columbus c. 1490
A map illustrating Christopher Columbus’s image of the world before his first voyage in 1492. It was based on a map by Toscanelli, depicting the planet about 25% smaller than it actually was, and ignored the (correct) measurements of Eratosthenes from some 1700 years earlier, compounded by his own wishful thinking and wrong mathematical assumptions. By Columbus' estimate, Asia was about 2,500 miles west of Spain. He was mistaken by roughly 8,000 miles.
Image by Simeon Netchev
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Toscanelli cigars
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