#Teatro della Memoria 2017
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lucianarodriguezdiaz · 7 months ago
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Esta obra teatral está inspirada en el histórico juicio que tuvo lugar en Italia en 2015, en el que se enjuiciaron a los represores implicados en la infame Operación Cóndor. Tras su exitoso estreno en Italia en 2017, la obra fue aclamada y posteriormente reestrenada en Chile en 2023. Ahora, con el apoyo de Crysol y las madres y familiares de detenidos desaparecidos, la obra llega a Uruguay en el mes de mayo, coincidiendo con el Mes de la Memoria. Idea original: Liliana García Sosa Dramaturgia: Daniella Lillo Traverso Sala: Atahualpa 2 Únicas Funciones: JUEVES 16 Y VIERNES 17 DE MAYO 20:30hs. Sinopsis: “El 9 de julio del 2021, el Tribunal de Casación italiano emitió una sentencia definitiva en la que condenaba a 14 represores latinoamericanos como responsables de la muerte y desaparición de ciudadanos italianos.  Los condenados formaban parte del Plan Operación Cóndor, puesto en marcha en los años 70 y 80 por las dictaduras de Argentina, Chile, Uruguay, Brasil, Bolivia, Paraguay y Perú. El objetivo de este plan de terror era silenciar a quienes se oponían a estos regímenes. La sentencia de condena dictada por la justicia italiana por homicidio voluntario pluri – agravado constituye un importante hito internacional en el ámbito de la justicia. Con esta sentencia, Italia ha dado un importante ejemplo de justicia hacia América Latina, donde en varios países aún no se ha atendido la petición de las víctimas y sus familiares, que llevan años luchando por verdad, justicia, memoria, reparación y garantías de no repetición: por el “Nunca más”. La importancia internacional de esta sentencia de la justicia italiana nos motiva a reponer el espectáculo “Operación Cóndor: El vuelo de Laura”, estrenado en el Teatro Marcello de Roma en 2017, y luego en el Festival Quartieri dell’Arte de la ciudad de Vitorchiano (VT) y en gira internacional en el Festival Teatro a Mil (FITAM) de Santiago de Chile y en el Teatro El Galpón de Montevideo/Uruguay en enero de 2018. La inspiración del espectáculo fue el juicio que tuvo lugar en 2015 y 2016 en Roma contra estos criminales culpables de crímenes contra la humanidad, muchos de los cuales estaban en libertad. La obra está basada en hechos históricos acaecidos bajo las alas del terror de la así llamada Operación Cóndor, que involucró entre otros, ciudadanos ítalo-latinoamericanos. La investigación fue llevada a cabo durante unos quince años por el Ministerio Público italiano, a raíz de las denuncias de los familiares de las víctimas y de los sobrevivientes. El trágico resultado del Plan Cóndor, es de alrededor de 50.000 personas asesinadas, 30.000 prisioneros desaparecidos y 400.000 detenidos. Según las denuncias de las “Madres y Abuelas de Plaza de Mayo”, muchos de los niños raptados estarían en Italia, como botín de guerra y bajo mentiras camufladas.“ Liliana García Sosa: “La obra está inspirada en el juicio “Processo Condor” (2015/2016) al cual asistí por razones personales encargando la dramaturgia en Chile a Daniella Lillo. La obra se  estrenó en Italia en 2017 con equipo artístico y técnico italiano y con el financiamiento del “Ministero Della Cultura” de Italia y de la Alcaldía de “Roma Capitale”. Juicio que en Europa fue considerado un Núremberg del siglo XXI con respecto a América Latina y los crímenes cometidos contra civiles en toda la región bajo las alas de la “Operación Cóndor”. En el 2023 en el marco de la conmemoración de los 50 años del Golpe Civil_Militar, se presenta en el Centro Cultural Gabriela Mistral (GAM) con equipo artístico y técnico chileno y en coproducción con el “Ministerio de las Culturas, Artes y Patrimonio” (MINCAP), el “Istituto Italiano di Cultura Santiago” (IIC) y la “Universidad Tecnológica Metropolitana” (UTEM).” Elenco: Liliana García Sosa – directora y actriz Daniela Lillo Traverso – dramaturga Shlomit Baytelman – actriz Agustin Moya – actor Ingrid Isensee – actriz Mercedes Garcia Navas – diseña...
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lamilanomagazine · 9 months ago
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Dal 18 febbraio, le 'Settimane Rossiniane' di Pesaro 2024
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 Dal 18 febbraio, le 'Settimane Rossiniane' di Pesaro 2024. Presentata la proposta 2024 per il Compleanno del compositore nato il 29 febbraio 1792: oltre 30 eventi tra concerti, mostre, incontri, danza, laboratori per i piccoli, visite guidate e inaugurazioni 'speciali' come quella del nuovo Auditorium Scavolini. Per Vimini, il miglior avvio per l'anno da Capitale. E' un febbraio speciale quello del 2024: perché accade nell'anno di Pesaro Capitale italiana della cultura 2024 e perché ci restituisce (grazie all'anno bisestile) il giorno del Compleanno di Rossini: 29 febbraio. E allora da domenica 18 febbraio, al via le 'Settimane Rossiniane' che fino al 6 marzo offrono un ricco calendario per celebrare vita e opere di un genio assoluto. Bello ricordare che quella del 2024 è l'ottava edizione del Buon Compleanno Rossini, progetto partito nel 2017, quindi proprio nell'anno in cui Pesaro ha ricevuto il riconoscimento di Città Creativa UNESCO della Musica. Decisamente variegato - e con un occhio attento anche al pubblico junior -, il cartellone è promosso da ben 18 soggetti: Comune di Pesaro, AMAT, Regione Marche, Ministero della Cultura, Fondazione Pescheria-Centro Arti Visive/Pesaro Musei, Fondazione Rossini, Conservatorio Statale di Musica G. Rossini, Rossini Opera Festival, Museo Nazionale Rossini/Sistema Museo, Ente Concerti, Orchestra Sinfonica G. Rossini, Filarmonica Gioachino Rossini, Circolo Amici della Lirica 'G. Rossini', Ente Olivieri - Biblioteca e Musei Oliveriani, Liceo Scientifico, Musicale e Coreutico G. Marconi, CIMP Concorso Internazionale Musicale Città di Pesaro, Museo Officine Benelli, Cooperativa Teatro Skenè. Alla conferenza stampa erano presenti, Daniele Vimini, vicesindaco e assessore alla Bellezza del Comune di Pesaro, e Gilberto Santini direttore AMAT. Oggi sono molte le ragioni di soddisfazione: ha aperto così Gilberto Santini. Una perché questo progetto di ricordo di Rossini giunto alla sua 8° edizione attorno al suo Compleanno - quest'anno abbiamo il giorno esatto – nato perché tutta la città si potesse unire con il Comune di Pesaro per creare una bellissima festa nel nome di Rossini attraversandone la memoria, il presente e il futuro in una congerie di appuntamenti davvero incredibile, procede e si consolida. L'edizione di quest'anno di Pesaro Capitale è particolarmente ricca con 30 proposte. Ma accanto alla gioia di un progetto che cresce e si reitera, c'è un elemento per me entusiasmante e cioè che ci sia una sinergia esatta tra soggetti che operano nel territorio dando vita ad un programma altrimenti impossibile. Mi sembra che oggi si respiri lo spirito del 2018 celebrazioni del 150esimo della morte di Rossini, di orgoglio e gratitudine a partire da Rossini: così ha concluso Daniele Vimini. Senza la credibilità e il prestigio assoluto della figura di Rossini neppure la candidatura a Pesaro 2024 avrebbe fatto strada. Per questo, a livello di promozione anche con i media partner di Pesaro 2024, nel mese di febbraio le iniziative rossiniane saranno proprio il mainstream del racconto della Capitale, per partire nella maniera più forte. Anche la presenza delle Marche alla BIT di Milano sarà connotata nel segno di Rossini e di Rossini Gourmet. Siamo una 'città orchestra' e non è un'immagine a caso quella usata per la nostra candidatura perché è rarissimo trovare tante istituzioni di quel livello come quelle presenti oggi che uniscono i propri sforzi, e questa è una grande forza di Pesaro. Tra le date del calendario, ricordo il tema della Galleria Rossini, sede espositiva aperta con grande successo la scorsa estate e che adesso si vede arricchita di un nuovo spazio ripristinato che completa quello donato dalla famiglia Gabucci Perlini, dove verrà collocato un pianoforte donato dalla famiglia di Fiorella Lugli; quindi la Galleria diventa anche spazio per piccoli concerti magari anche per giovani musicisti. Non è in calendario, ma il 23 o 24 febbraio ci sarà anche l'inaugurazione della Biosfera, icona di Pesaro 2024 che prenderà vita e si accenderà nelle Settimane Rossiniane diffondendo anche musiche del compositore. E poi il francobollo per Pesaro 2024 dopo quello del 2018 dedicato a Rossini, che prevederà anche una mostra a cura del Circolo Filatelico di Pesaro a P. Il 29 febbraio sarà una giornata 'folle', in cui accadranno molte cose, tra cui nel pomeriggio anche una torta per i più piccoli in via Rossini per festeggiare nel modo classico il compleanno di Rossini. La torta è un anticipo al grande evento delle 18.30: l'apertura dell'Auditorium Scavolini che per l'occasione accoglierà diverse performance. Quindi ci sembra il miglior modo per l'avvio dell'anno da Capitale fatto non di fuochi d'artificio ma di cose di sostanza con un grande legame con il territorio. 30 Gli appuntamenti previsti con ben 10 concerti – tra cui il grandissimo Paolo Fresu per la Stagione dell' Ente Concerti sul palco del Rossini il 20 febbraio e il ritorno degli amatissimi concerti dal balcone di Casa Rossini-, conferenze, una proposta di danza, lo spettacolo della rassegna 'Andar per fiabe', laboratori per i più piccoli, passeggiate nel Teatro Rossini 'segreto' e visite guidate per tutti nei luoghi rossiniani. E poi tante chicche preziose come la Galleria Rossini che si arricchisce del pianoforte donato dalla famiglia di Fiorella Lugli, la presentazione del francobollo dedicato a Pesaro 2024, una scenografica installazione dall'Adina del ROF 2018 nella corte di Palazzo Mazzolari Mosca, 'Rossini in moto' per le vie del centro storico con le moto storiche del Museo Officine Benelli. Per il 29 febbraio vale la pena ricordare un evento molto atteso dalla città: l'inaugurazione dell'Auditorium Scavolini che sarà la nuova 'casa della musica' di Pesaro 2024. Insomma, le occasioni sono tante grazie alla partecipazione attiva delle istituzioni e delle realtà - musicali e non solo - del territorio, orgogliosamente unite nel nome di Rossini. Anche i musei festeggiano il Compleanno di Rossini nel giorno di nascita del compositore. Giovedì 29 febbraio, ingresso gratuito a Casa Rossini con orario 10-13/15.30.18.30 e in più omaggio ai visitatori e piccolo angolo di laboratorio per bambine e bambini; anche il Museo Nazionale Rossini di Palazzo Montani Antaldi si visita gratuitamente con orario 10-13, 15-18.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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agrpress-blog · 10 months ago
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Dopo il successo all’estero, in Austria ed Ungheria, torna in Italia l’acclamato spettacolo, diretto e scritto da Maurizio Colombi, che debuttò nel 2017, nel quarantennale della scomparsa di Elvis Presley - avvenuta il 16 agosto 1977 -  e che ha immediatamente conquistato tanto i fan più accaniti del “Re del Rock”, quanto gli appassionati di musical e teatro. La regia e l’ideazione dello spettacolo, che debutterà giovedì 11 gennaio 2024 alle ore 20.45 al Teatro Brancaccio, sono di Maurizio Colombi, regista di grandi successi come Peter Pan, Rapunzel, La Regina di Ghiaccio. La direzione musicale è di Davide Magnabosco e le coreografie sono di Rita Pivano. Elvis Presley (1935-1977) è la figura della musica moderna che ha segnato più profondamente arte, musica e stile di ogni epoca successiva. Non esiste un cantante fra tutte le star della musica dagli anni Cinquanta in avanti che non si sia ispirato o sia stato indirettamente condizionato da quello che viene universalmente riconosciuto come “The King of Rock’n’Roll”. In scena, la storia di Presley sarà portata avanti da tre figure, Elvis bambino (Teresa  Morici, già Rapunzel bambina), Manuel Di Santo (come Elvis giovane), e l’artista dopo il ’68, l’ultimo Elvis, interpretato da Ivan De Carlo, la nuova straordinaria scoperta di M. Colombi. Il cast si compone di ventuno artisti, compresa una band di quattro elementi. In poco meno di due ore, il tribute-musical ripercorre la biografia di Elvis, attraverso un periodo storico di oltre quattro generazioni dagli anni Cinquanta fino ai Settanta, con brani immortali come Jailhouse Rock, It’s now or never, Suspicious Mind, My Way, That’s all right mama, Always on my mind e molti altri sempre attuali e vivi nella memoria comune, tra foto e video originali dell’epoca. M. Colombi si dichiara molto soddisfatto della ripresa dello spettacolo: «Dopo la chiusura della pandemia, è importante tornare a teatro, anche con spettacoli come questi, che riuniscono diverse generazioni e fanno ballare il pubblico in sala. Il successo del film appena uscito nelle sale ne è una chiara testimonianza». Elvis the Musical è uno spettacolo incalzante e ritmato, all’insegna degli indimenticabili successi di Presley a partire dagli anni Cinquanta fino al ’77, quando la leggenda scomparve prematuramente. Lo spettacolo, attraverso le canzoni di Elvis e il racconto di vari personaggi che hanno vissuto intorno a lui, svela i retroscena di una vita consacrata alla musica e nello stesso tempo sacrificata allo show- business. Se lo spettacolo si snoda attraverso un periodo storico di oltre quattro generazioni fino agli anni Settanta, i più significativi per la musica, alla fine dello show il pubblico, in tutti i teatri in cui lo spettacolo è andato in scena, si alza sempre in piedi per ballare al ritmo della ricostruzione sulla scena del TV Special del ’68. La forza della musica dal vivo è trascinante e trasforma il musical in un vero concerto, che trasporterà la platea direttamente alla fine dei “meravigliosi anni Sessanta”. La scenografia, di Alessandro Chiti, immersiva e materica, è arricchita da video che permettono al pubblico di ripercorrere, come fosse attuale, l’esperienza unica della tragedia umana e del successo incontenibile vissuti della più grande star di tutti i tempi, the King of Rock’n’Roll Elvis Presley. Elvis il Musical, infatti, racconta la fiaba di un ragazzo che diventa re, anche se si tratta di una fiaba con un finale triste, forse perché testimonia una vita reale seppur incredibile. Una storia che si fa tragedia, per diventare mito e rivivere ogni sera a teatro. Elvis The musical - An amazing rock’n’roll show - regia: Maurizio Colombi; interpreti e personaggi: Ivan De Carlo (Elvis adulto), Manuel Di Santo  (Elvis giovane), Teresa  Morici  (Elvis bambino), Eleonora Facchini  (Priscilla), Elisa Filace (Gladys), Paolo Barillari (Colonello Parker), Edoardo Tagliaferri (Vernon), Matteo Sala(Joe Esposito/Sam Philips), Raffaella
Spina(Maryon- Ensemble), ensemble: Valentina Messina, Silvia Olianas,  Emma Baldin, Jessica Baccino, Jesus Bucarano, Fabio Moscarella, Valeria  Corvino, Benedetta Piloto; band musicale: Alessandro Bazzoli (batteria), Matteo Tucci (basso), Luca Gambino (tastiera), Stefano Melchiorre (chitarra), Paolo Barillari (chitarra acustica); regia associata: Giancarlo Capito; assistente alla regiae di produzione: Erika Zanoncelli; direttore musicale: Davide Magnabosco; direzione vocale/cori: Alberto Schirò; coreografie: Rita Pivano; assistente scenografo: Francesco Spizzirri; datore luci: Amilcare Canalis; responsabile generale della tecnica audio e luci: Fabio Leardini; datore audio mixer: Salvatore Sabatino; trucco e parrucco: Paolo Pinna; costumi: Nunzia Aceto, Claudia Frigatti; direzione di scena: Pierfrancesco Martinotti; Associazioni Elvis Friends Fan Club Italia; produzione: Sold Out Srl - rimarrà in scena al Teatro Brancaccio fino a domenica 14 gennaio 2024 (orario: da giovedì 11 a sabato 13, ore 20.45; domenica 14, ore 17.00).
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gregor-samsung · 2 years ago
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“ Il 9 ottobre 1963, circa 300 milioni di metri cubi di roccia precipitarono nella riserva d’acqua della Valle del Vajont, provocando un’onda gigantesca che superò gli argini della diga e distrusse la cittadina di Longarone, uccidendo circa 2000 persone. Il disastro del Vajont è tra gli eventi piú tragici della storia del secondo dopoguerra in Italia; ciò nonostante, fu rimosso dalla memoria collettiva nazionale. A parte i lavori di pochi storici (Reberschak e Mattozzi 2009; Reberschak 2013), non ve ne sono tracce nella narrazione ufficiale del cosiddetto miracolo economico degli anni Sessanta. È stato grazie al lavoro di Marco Paolini, attore e autore di teatro, che alla fine degli anni Novanta la vicenda del Vajont è entrata a far parte della memoria collettiva del Paese, grazie a un monologo di due ore trasmesso dalla televisione pubblica. Evidentemente, la storia del modo in cui la modernità e la crescita economica si erano materializzate in una valle remota del Nord Italia grazie all’arroganza di una potente azienda idroelettrica e alla complicità dello Stato non erano adatte alla narrazione generale di un’Italia che finalmente diventava una società ricca e moderna. La storia del disastro del Vajont è un esempio da manuale della logica del Wasteocene. Nel nome del progresso e di un superiore «bene comune» (Roy 1999), alcuni luoghi ed esistenze vengono sacrificati, letteralmente messi al lavoro per il benessere di altri. Le wasting relationships che trasformarono una valle remota in una macchina idroelettrica non soltanto produssero vite di scarto – l’immenso cimitero di Longarone –, ma scartarono anche saperi e memorie. Saperi, sí, perché gli abitanti del posto tentarono piú volte di allertare le autorità riguardo ai prevedibili rischi che sarebbero derivati dalla diga, ma vennero ignorati o ridicolizzati. Fu una battaglia tra competenza scientifica ed esperti professionisti da una parte e la gente comune di una valle alpina dall’altra. La partita era persa fin dall’inizio.
Rifiutare la memoria del Vajont significò cancellare quella tragedia dalla narrazione storica dominante, ma anche addomesticarla. Mentre l’invisibilizzazione cancella ogni traccia di che cosa / chi è stato scartato, l’addomesticamento della memoria è forse una strategia piú sofisticata per continuare a riprodurre wasting relationships. Nei casi come quello del Vajont, addomesticare la memoria significa organizzare una certa versione della storia che non rivela le ingiustizie né lascia spazio alla rabbia sociale: piangere la perdita di vite umane può essere accettabile, ma lo si deve fare senza alcuna implicazione politica. Perciò il disastro del Vajont fu rappresentato semplicemente come uno sfortunato incidente, e il suo ricordo avrebbe dovuto portare pace e coesione, non rabbia e conflitto. Ricordando la propria esperienza, Carolina, sopravvissuta alla tragedia, ha spiegato questo processo di addomesticamento della memoria: Le istituzioni hanno fatto e fanno di tutto per dividere i buoni dai cattivi superstiti. I buoni sono quelli che raccontano del dolore, quelli che commuovono chi li ascolta, ma poi sanno fermarsi lí, sanno stare zitti e lasciare alle istituzioni il compito di raccontare i fatti e rendere cosí la memoria innocua in modo che non disturbi i poteri economici che ancora mettono al primo posto il profitto rispetto alla vita umana. I cattivi sono quelli che cercano giustizia e che lottano affinché i loro morti siano un monito ai vivi per non dimenticare mai di cosa sia capace l’uomo in difesa del profitto. I cattivi sono quelli che puntano il dito contro il sistema che privilegia i soldi alla vita umana (Vastano 2017). La giornalista Lucia Vastano (2008) ha raccontato la storia del cimitero delle vittime del Vajont in un modo che mi pare confermi meravigliosamente la mia idea dell’addomesticamento della memoria quale wasting relation istituita con mezzi diversi. Nel 2003, l’amministrazione comunale di Longarone decise di trasformare il vecchio cimitero di Fortogna, dove erano sepolte le vittime, in un monumento ufficiale alla memoria. Il vecchio cimitero venne raso al suolo, cancellando ancora una volta i ricordi e i simboli riuniti lí dai sopravvissuti, compresa la lapide della famiglia Paiola (sette morti, di cui tre bambini) sulla quale era inciso: Barbaramente e vilmente trucidati per leggerezza e cupidigia umana attendono invano giustizia per l’infame colpa. Eccidio premeditato (Vastano 2008, p. 157). Nel nuovo cimitero, il ricordo delle vittime fu organizzato in geometrici blocchi di marmo con la sola incisione dei nomi dei defunti: il lutto deve essere addomesticato, la logica del Wasteocene non può essere messa in questione. Se un episodio tragico rende lo scarto di vite umane troppo evidente per poter essere nascosto, va visto come un incidente e non come l’epifania del Wasteocene, la prova del fatto che il sistema si fonda sullo scarto di umani e non-umani, delle loro vite, del loro sapere e anche delle loro storie. “
Marco Armiero, L’era degli scarti. Cronache dal Wasteocene, la discarica globale, traduzione di Maria Lorenza Chiesara, Einaudi (collana Passaggi), 2021. [Libro elettronico] [Edizione originale: Wasteocene. Stories from the global dump, Cambridge University Press, 2021]
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artistadvisor · 4 years ago
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Anna Ghetti
Genere musicale: Jazz
Città: Forlì
Classe: 1998
Spontanea, empatica, resiliente
INTRO
Anna Ghetti è una cantante Jazz classe 1998, residente a Forlì. Nella sua produzione musicale si è cimentata anche col genere patchanka.
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BREVE BIO
Anna Ghetti è figlia del famoso contrabbassista Jazz Paolo Ghetti. Scopre la sua passione per il canto e la musica in generale, quando, all'età di quattordici anni, comincia a prendere lezioni di canto.
Al Conservatorio G. B. Martini di Bologna studia canto Jazz con l'insegnante Diana Torto. Nel 2021 frequenta ormai il terzo anno di canto jazz Al Conservatorio Statale di Musica Antonio Buzzolla di Adria (RO).
Nel corso degli anni ha occasione di partecipare ad alcuni Festival Jazz della sua zona, come il Forlì Jazz Festival (dedicato al celebre trombettista Chet Baker) e il JazzaForlì (una rassegna all'interno dell'Artusi Jazz Festival). Anna ha peraltro aperto un concerto del sassofonista americano Greg Osby.
Diversi sono gli artisti con cui ha modo di esibirsi. In particolare canta con Massimo Manzi, Fabio Petretti, Stefano Paolini, Massimo Morganti, Paolo Ghetti, e condivide il palco con celebrità del calibro di Fabrizio Frizzi, Rita Pavone, Peppino Di Capri, Bobby Solo.
Anna si aggiudica anche il Premio Gianni Ravera, un evento unico in omaggio del famoso cantante marchigiano. Il premio le consente poi di partecipare al programma televisivo "InCantaTu" andato in onda su Rai3, tenutosi sul red carpet del 67° festival di Sanremo.
Degna di memoria è anche la sua partecipazione come ospite nel 2019 al disco “Three Generations” della Aldemaro Moltedo Jazz Band, registrato allo Z-BEST MUSIC di Meldola.
Anna Ghetti è membro del gruppo marchigiano Desaritmia, sorto nell'ottobre del 2016. Lo stile musicale del gruppo è piuttosto eclettico: i testi, rigorosamente in italiano, incontrano stili e generi differenti, che vanno dallo ska e raggae delle origini fino a ritmi propri della musica cubana e brasiliana. Il loro esordio risale al 2017 quando pubblicano il primo singolo "Palazzo di fiori", brano che accompagna il loro primo tour, il quale presenta anche con tappe anche fuori regione. Nel corso degli anni i Desaritmia prendono parte a diversi concerti in tutta italia e partecipano a festival di spicco della musica indipendente.
Nel Novembre del 2019 si sono aggiudicati il secondo posto al Tour Music Fest (uno dei festival internazionali più importanti di Musica Emergente).
Vantano persino uno posto tra gli otto finalisti della 33^a edizione di Sanremo Rock all'Ariston di Sanremo.
Con i Desaritmia ha pubblicato i due singoli "Soltanto te" nel 2019 e
"Bastardo" nel 2020. Al 2021 risalgono invece gli altri due singoli "Mi Guardi Ancora" e "Cenerentola", realizzati con la collaborazione di Leonardo Ghetti.
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QUESTA È ANNA GHETTI
Anna Ghetti afferma che artisti come Bjork, Mel Tormè, Janis Joplin sono stati particolarmente influenti sul suo stile musicale.
Vanta una grande esperienza sul palco, avendo avuto modo di prendere parte a diversi festival. Ha peraltro cantato al Teatro Verdi di Cesena, del Teatro Rossini di Pesaro, al Teatro Apollo di Forlì, al Vidia Club di Cesena, al Teatro Sanzio di Urbino, al Teatro Angelo Mariani di Sant'Agata Feltria, e al Naima Club Forlì. È quindi ben disposta ad esibirsi, qualora se ne offrisse l'occasione.
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Link e contatti di Anna Ghetti:
Spotify:
YouTube:
Instagram:
https://instagram.com/_annaghetti_?igshid=ri0snx61m0wh
Tiktok:
Facebook:
Twitter:
La redazione di Artist_Advisor.
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yeslaencina · 4 years ago
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Ma il sogno è
il mondo mio
tu sai che oggi lascerei la mia realtà.
Capisci me,
si, tu lo sai,
che solo per me il sogno è il mondo mio.
Un destino è un campo di grano
povero triste dolore profano
tutto tra noi è, ma non è per me, lo sai.
Il sogno mio
è vero ormai
e mi dà il senso, oramai, e tu lo sai
Un amico, sai cosa te ne fai
inutile, fuggevole,
tutto bravo è, ma non è per me, lo sai.
Il sogno mio
è vero ormai
e mi da il senso, oramai, tu lo sai.
Il sogno è
il mondo mio
tu sai che oggi lascerei la mia realtà.
Capisci me,
si, tu lo sai...
* * *
Chanson de Bianca / 2
Giuditta del Vecchio
Testo:
Un amico, sai cosa te ne fai
inutile, fuggevole, tutto bravo è
ma non è per me e tu lo sai.
Ma il sogno è
il mondo mio
tu sai che oggi morirei per onestà.
Ascolti me,
si, tu lo sai,
che solo il sogno è per me la realtà.
Un amico, sai cosa te ne fai
inutile, fuggevole,
tutto bravo è, ma non è per me, lo sai.
Il sogno mio
è vero ormai
e sveglia il tempo e sveglia il canto e tu lo sai...
* * *
Immagino non sia sfuggito a nessuno di voi che la Chanson de Bianca altro non è in realtà se non una bizzarra, sebbene suggestiva, rivisitazione di Pensieri e Parole di Battisti e Mogol.
Eppure, ed ecco il primo mistero, ancora nei credits del film non si fa alcun cenno a nessuno dei due nomi. Come autore della musica figura invece François Dompierre, prolifico autore canadese di colonne sonore, mentre autore del testo sarebbe tale Jersy Kowal, di cui non ho trovato traccia altrove al di fuori dei confini di questo film.
Premesso che l'arrangiamento musicale del pezzo è indubbiamente pregevole (mentre il testo mi appare, nella sua stesura, piuttosto caotico), la domanda che in me sorge spontanea a questo punto è: com'è possibile che non sia apparentemente insorto, in una situazione del genere, nessun problema di violazione di copyright o nessuna accusa di plagio?
L'altro enigma riguarda poi i presunti interpreti della Chanson: Sylvie Legault e Federico Troiani. Anche qui la situazione è tutt'altro che chiara.
Per quanto riguarda il primo dei due nomi - e premesso che il brano sembra sia stato in realtà cantato effettivamente da Giuditta del Vecchio - Sylvie Legault è un'attrice di cinema e di teatro d'improvvisazione canadese tuttora vivente, e sembra non entrarci niente (almeno secondo Wikipedia e IMDB) con Léolo.
Federico Troiani risulta essere invece un musicista e cantautore italiano attivo tra gli inizi degli anni '70 e i primi anni '80. Ma anche nel suo caso, nessuna delle pagine che lo riguardano e che ho consultato, cita una sua eventuale partecipazione al film come interprete di questa canzone.
Voi ci capite qualcosa? Io, per il momento, mi arrendo.
* * *
Note e crediti
Le informazioni biografiche sui vari personaggi citati sono tratte da Wikipedia.
La lista dei titoli della soundtrack di Léolo proviene dal blog World of soundtrack
Commenti
MikiMoz7 marzo 2014 16:04
Sei andato a pescare un film assurdissimo, a tratti surreale... !
Sì, lei è in Snack Bar Budapest e in effetti non si trovano molte notizie su questa attrice. Inoltre sembra essere sparita da molto tempo...
A me Battisti non piace per nulla, ma è curiosa questa cosa qui che riporti... Guarda, per risolvere qualche mistero del genere, puoi rivolgerti a Nocturno (rivista o forum) ;)
Moz-
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Ivano Landi7 marzo 2014 16:36
Io invece adoro Battisti, Miki, ma solo l'ultimo periodo, quello con Pasquale Panella al posto di Mogol. Considero i 5 dischi (più l'inedito "Gabbianone") della coppia Battisti/Panella il vertice assoluto della musica leggera italiana.
Venendo al film, il tuo suggerimento su Nocturno è buono, ma ti confesso che a me più che risolverli nei misteri piace sguazzarci ;) Sono però contento quando nelle mie peregrinazioni mi imbatto in un indizio, anche minimo, che va ad accumularsi agli altri in mio possesso :)
MikiMoz7 marzo 2014 23:52
Sì, ti capisco perfettamente.
Anche io ho qualche mistero legato a ricordi... spesso ne ho parlato sul blog e tra un po' ne riparlerò, sperando che possiate aiutarmi!
In ogni caso, mi ero perso la tua risposta al post precedente, ho letto ora :)
Moz-
Ivano Landi8 marzo 2014 07:37
Uhmm... sembra interessante. Aspetto i post e spero di poterti essere utile, se sono cose pertinenti ai miei campi d'indagine :) Per me i ricordi sono fondamentali e uno dei miei motti è il milleriano (nel senso di Henry Miller): "Ricordati di ricordare".
Marco Lazzara12 marzo 2014 22:49
No, questo film non lo conoscevo proprio.
Ci sarà un secondo post in cui cercherai di svelare il mistero dietro la colonna sonora?
RISPONDI
Ivano Landi13 marzo 2014 10:15
Pare che oltre ai grandi misteri classici - UFO, Loch Ness ecc. - esista tutta una selva di mini-misteri ugualmente senza apparente soluzione.
Con Chanson de Bianca anche setacciando internet non si arriva da nessuna parte. Proprio come era successo per Come little children nel mio post precedente.
Forse bisognerebbe adottare per entrambe i casi la soluzione proposta da MikiMoz, cioè chiedere a Nocturno. Ma almeno per il momento preferisco dedicare il mio tempo a occuparmi di nuovi argomenti.
Chuck16 aprile 2015 19:28
Congratulazioni per un buon articolo simile. Solo una piccola osservazione: la canzone 6 ha il nome sbagliato. Il suo nome è "Sabahiya", ed è eseguita da Banga (Tanta-Suaag). Saluti! Fonte: http://en.wikipedia.org/wiki/Passion_–_Sources
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Ivano Landi17 aprile 2015 07:52
Grazie delle congratulazioni e benvenuto nel mio blog. E anche della precisazione. Avevo preso la lista pubblicata in questo post da un sito specializzato in colonne sonore e può darsi ci siano anche altri errori... chissà.
Un saluto e ancora grazie!
Kuku30 novembre 2018 15:08
I misteri legato a questo film sono piuttosto impenetrabili!
E' veramente strano che della Del Vecchio sia sparita ogni traccia, com'è possibile?
Il nome Leolo mi sembra davvero evocativo. Ma è un diminutivo siciliano? Anche se non c'entra per nulla, il suono mi fa venire in mente Mr. Trololo!
RISPONDI
Ivano Landi30 novembre 2018 19:52
Davvero pazzesca la situazione di questo film, Kukuviza... tutte le strade che intrapresi all'epoca per cercare di venirne a capo finivano in un vicolo cieco. Chissà se oggi, a quasi cinque anni di distanza, qualcosa è cambiato.
Sul nome Léolo, non ricordo se è chiaramente specificato nel film, ma credo che il giovane protagonista lo ritenga appunto un nome siciliano.
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Si sentiva un'aria di cambiamento, gli anni '70 stavano rinnovando miti e liturgie anche nel nostro cinema, dopo che per anni non era venuto fuori niente di nuovo. Era un processo lento, ricordo che non ci sentivamo capiti, che critici e registi parlavano ancora un linguaggio da vecchi. Mentre noi andavamo allo sbaraglio, felici della nostra sincerità, che spesso sembrava solo sprovvedutezza. Ecco, questo era il nostro mondo, di Alessandro e mio. Eleonora Giorgi Alessandro Momo non morì subito. Se i dati della stampa in questo caso sono esatti, l’incidente avvenne alle 14,35 (ora in cui l’orologio da polso di Momo cessò di correre) sul lungotevere Cadorna, all’altezza dell’ostello della gioventù, e lui morì alle 23,05, dopo un inutile, estremo tentativo dei medici di strapparlo alla morte. Ebbe se non altro il tempo di scambiare alcune frasi con il padre prima di essere portato in sala operatoria. A caldo i giornali furono densi di dettagli sull’incidente e
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10 serie a fumetti che hanno scandito i miei anni '70
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bongianimuseum · 4 years ago
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RETROSPETTIVA di MAURO  MOLINARI “TEXTURES - Racconti e trame per un immaginario gentile”
Comunicato stampa
SPAZIO OPHEN VIRTUAL ART GALLERY
RETROSPETTIVA di MAURO  MOLINARI
“TEXTURES - Racconti e trame per un immaginario gentile”
Ciclo di opere ispirate ai motivi tessili con opere del 1994 - 2007
a cura di Sandro Bongiani
Preview:  4 dicembre 2020
dal  5 dicembre 2020  al 14 marzo 2021
L’evento partecipa alla giornata del contemporaneo
promossa da AMACI
Associazione dei Musei d'Arte Contemporanea Italiani
#GiornataDelContemporaneo
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  S’inaugura sabato  5 dicembre 2020, alle ore 18.00, la mostra Retrospettiva “TEXTURES - Racconti e trame per un immaginario gentile”, dedicata a Mauro Molinari, con 72 opere dal 1994-2007, che cerca di fare il punto sulle proposte tessili e immaginative dell’artista romano. In questa retrospettiva l’autore ci introduce nel mondo del linguaggio simbolico, nei racconti e tra le trame di un immaginario gentile dove ogni cosa sottesa racchiuse un senso, anche se possiamo percepirlo soltanto come una suggestione “appena trascritta” con il procedimento antico dei tessuti e carte utilizzate, rievocando lontani richiami per divenire suggestioni poetiche di una realtà sempre più evocativa e immaginaria.
Il percorso di Mauro Molinari, in circa un cinquantennio di lavoro, è contrassegnato da cicli diversi, come quelli dedicati all’informale, alla poesia visiva, ai libri d’artista, alla reinterpretazione degli antichi motivi tessili e nell’ultimo quindicennio al racconto della realtà urbana. Una lunga e appassionata ricerca contrassegnata da momenti diversi, tra filo, trama, intreccio e contrappunto, con un’attenzione assidua sulla presenza  che apre un varco nel tempo e sul vuoto spaziale in un intreccio di momenti e tempi diversi alla ricerca della relazione e dell’equilibrio per manifestarsi. Alla fine, l’intreccio diviene filo conduttore di storie e di significati che si dipanano in un viaggio carico di suggestioni e vibrazioni poetiche suggerite per frammenti di senso.  
A partire dagli anni 90, i motivi tessili rielaborati come segni, frammenti e presenze simboliche di forme naturali, vegetali e persino araldiche prendono forma fantastica su carte e tele, su preziosi libri d’artista, teatrini, abiti di carta, scarpe, cravatte e anche paramenti liturgiche, paliotti e pianete.
Sandro Bongiani nella presentazione in catalogo scrive: “Un universo assai complesso dettato da una specifica motivazione alla ricerca dell’invenzione creativa e dell’interpretazione fantastica. Il tutto avviene in circa 15 anni di lavoro con una pittura lieve e insostanziale che si deposita sulla pelle velata e fragile della carta per divenire sfuggente apparizione.
Libri teatro di  carta dipinta su tessuto, libri oggetto, libri giocattolo, libri a rilievo da aprire e libri  d’artista non sfogliabili che purtroppo non possiamo mai aprire, nelle sue mani tutto diventa favola e racconto ordito tra filamenti e trame di apparizioni che si stabilizzano nello spazio provvisorio della pittura, in un tempo sospeso e precario in cui l’immaginazione s’incarna alla ricerca dell’invenzione. Da questo incanto nascono presenze assorte nate tra le trame e i vagiti di remoti tessuti per divenire delicati racconti poetici di una realtà  tutta contemporanea.
Una lunga  e proficua stagione creativa “tessile” in cui l’artista è intento a indagare in modo assiduo un possibile recupero della memoria e a svelare le simbologie e i grovigli della vita con una verve visionaria in cui le coordinate del tempo e dello spazio si dilatano e perdono le loro abituali caratteristiche logiche in vista di nuove associazioni e traiettorie. La traccia di un suggerimento di memoria può ora finalmente distendersi tra la fragile carta e i brani di tessuto reale e divenire “ordito gentile”, trama e frammento di racconto che si libera dalle costrizioni in una narrazione a più livelli di lettura che s’intersecano e convivono. Solo in questo modo i frammenti del passato possono prendere forma e divenire materia lirica in rapporto alla vita, in un succedersi cadenzato e assorto di accadimenti e di intrecci allusivi che emergono da un tempo remoto per divenire contemporaneità  e soprattutto  essenza concreta di assoluto”.    
 BIOGRAFIA
Mauro Molinari Nato a Roma, vive a Velletri (RM). La sua ricerca artistica si è svolta per cicli che vanno dai registri informali degli anni ’60 alla pittura scritta e alle geometrie modulari del ventennio successivo. Nel 1974 personale alla galleria d’Arte Internazionale di Roma, pres. S. Giannattasio. Nel 1975 le sue opere sono presenti alla X Quadriennale di Roma. Dal 1974 all’81 partecipa alle rassegne internazionali sul disegno della Fundació Joan Miró di Barcellona. Nel 1979 personale alla galleria Il Grifo di Roma , pres. D. Micacchi. Nel 1982 personale alla galleria Il Luogo di Roma, pres. M. Lunetta e C. Paternostro. Nel 1983 e 1985 partecipa all’International Drawing Biennale di Cleveland. Nel 1987 personale alla galleria Incontro d’Arte di Roma, pres. I. Mussa. Negli anni ’90 si dedica alla rielaborazione pittorica dei motivi tessili avviando un ciclo che dura più di 15 anni. Nel 1995 nasce la collana di Orditi & Trame, di cataloghi editi in proprio. Il primo illustra la mostra itinerante promossa dalla Tessitura di Rovezzano e presentata a Roma alla galleria Pulchrum, pres. L. de Sanctis. Nel 1998 personale allo Spazio de la Paix e alla Biblioteca Cantonale di Lugano, pres. A. Veca. Dal 2000 al 2014 partecipa ai Rencontres Internationales di Marsiglia. Dal 2000 al 2008 collabora con la rassegna internazionale Miniartextil che si tiene a Como ogni anno. Nel 1999-2000 crea il ciclo Stellae Errantes sculture dipinte ispirate ai tessuti sacri, che è stato ospitato in numerosi musei italiani in occasione del Giubileo. Nel 2001 personali alla galleria Il Salotto di Como e al Museo Didattico della Seta di Como, pres. M. De Stasio. Nel 2001 personale al Museo dell’Infiorata di Genzano, pres. C. F. Carli. Nel 2002 personale al Museo S. Maria di Cerrate Lecce, pres. L. Caramel. Nel 2003 sala personale al Musèe de l’Impression sur Ètoffes di Mulhouse, pres. L. Caramel. Nel 2004 personale a Oman Caffè di Como, pres. L. Caramel. Nel 2005 esposizione allo Spazio Mantero di Como e al Salons de l’Hôtel de Ville di Montrouge, pres. L. Caramel. Nel 2006 Salone d’Arte Moderna di Forlì, pres. F. Gallo, e sala personale al Museo di Palazzo Mocenigo di Venezia, pres. L. Caramel. Nel 2007 personale alla Fondazione Venanzo Crocetti di Roma, pres. C. F. Carli e C. Paternostro. Nel 2008 sala personale alla VI Triennale Internazionale di Tournai, e personale alla Biblioteca Angelica di Roma, pres. E. Di Raddo. Dal 2008 sviluppa un ciclo pittorico dove è centrale la figurazione, che si pone come naturale evoluzione del suo percorso creativo. Nel 2009 personale alla galleria Renzo Cortina di Milano, pres. A. Veca. Nel 2010 personale al Museo Carlo Bilotti di Roma, pres. A. Arconti e L. Canova. Dal 2011 al 2016 e 2019 partecipa al Festival del Libro d’Artista di Barcellona, pres. E. Pellacani. Nel 2012 e 2015 Galleria Gallerati Roma primo e secondo progetto mixed media. Nel 2013 due personali alla galleria Baccina Techne di Roma, pres. G. Evangelista e personale allo Spazio Ophen Virtual Art Gallery di Salerno, pres. G. Bonanno. Nel 2014 personale allo Spazio COMEL di Latina, pres. M. Cozzuto e a Roma presso il Municipio Roma III, Aula Consiliare, pres. G. Evangelista. Nel 2016 Dante e i Papi nella Divina Commedia Fondazione Pescabruzzo a cura di Giorgio Di Genova, donazione delle opere. Dal 2014 al 2019 Artisti per Nuvolari Casa Museo Sartori Castel d’Ario (MN). Nel 2017 Museo Jean Lurçat Angers Francia, donazione bozzetto originale. Personale Spazio Medina e AF CasaDesign pres. F. Farachi. Antologica 1990/2006 Museo Diocesano e Sala Angelucci Velletri, pres. Sara Bruno e Claudia Zaccagnini, donazione di sei sculture. Nel 2018 donazione di un’opera al costituendo museo di arte contemporanea SAmac di Benevento, Antologica 2007/2017 Tibaldi Arte Contemporanea Roma a cura di Carlo Fabrizio Carli. Nel 2019 il Museo Comunale di Praia a Mare ha acquisito l’opera “White and Brown. Nel 2020 Retrospettiva “Textures - Racconti e trame per un immaginario gentile” , Ciclo di opere ispirate ai motivi tessili con opere del 1994 - 2007 - Spazio Ophen Virtual Art Gallery di Salerno a cura di Sandro Bongiani
 Studio: Interno 5, via Paolina 25, 00049 Velletri (RM) Italia, info: cell. 328 6947561 www.facebook.com/mauro.molinari.73 e-mail: [email protected] web: www.mauromolinari.it sito web storico: www.caldarelli.it/molinari.htm
 SPAZIO OPHEN VIRTUAL ART GALLERY - SALERNO
COLLEZIONE BONGIANI ART MUSEUM
http://www.collezionebongianiartmuseum.it 
Orario continuato tutti i giorni dalle 00.00 alle 24.00
http://www.collezionebongianiartmuseum.it/sala.php?id=14
http://www.collezionebongianiartmuseum.it/sala.php?id=89
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sguardimora · 5 years ago
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Inaugura domenica 16 giugno la nuova mostra nel foyer del teatro. sarà possibile visitarla fino alla fine di agosto.
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D.E.A. #2
[…] sotterrando, de-costruendo e sotilizzando le strutture naturali, i loro ordini algebrici e sinuosi, le loro simmetrie come le loro discrepanze, l’artista ci consegna quasi una “geografia del profondo”, dove l’elemento paesaggistico ed elemento fisico/chimico, in una incomprensibile e perpetuosa specularità, finiscono per disegnare quello che è il profilo più remoto del mondo. 
Roberta Bertozzi
COGLIERE E RESTITUIRE  (cartografie dal mondo vegetale)
Cogliere e restituire non è solo il titolo della mia ultima serie di tavole ma è per me una filosofia e un atteggiamento che accompagna quotidianamente il mio esistere e di conseguenza il mio lavoro come artista. Costantemente immersa in ambienti naturali raccolgo, fisicamente e visivamente, gli indizi lasciati dalla terra, dalle piante, dalla roccia, dall’acqua. Colleziono informazioni nascoste tra i ritmi ripetuti da ogni elemento, tra i disegni metodici all’interno di ogni seme, germoglio, fiore… mi perdo tra le texture di ogni roccia che incontro, mi lascio ipnotizzare dai mantra millenari delle comunità di fili d’erba. Colgo tutto questo con la piena coscienza di un disegno enorme e ordinato e con lo smarrimento di un essere umano che ha perso parti di memoria e che tenta di assemblare i pezzi, guidato dall’entusiasmo dello scienziato e un agire prevalentemente intuitivo. Quindi cogliere e raccogliere per poi osservare, interiorizzare e restituire per immagini che non vogliono avere la pretesa di spiegare qualcosa ma solo sottolineare e ricordare una parte precisa tra i tanti appunti, con la speranza un giorno di poterli unire tutti e trovare non tanto una risposta quanto più una domanda precisa. Con il forte desiderio di indagare passo per passo tutti gli elementi naturali che hanno un forte legame, nonché ascendente, sul nostro esistere, parto con questa nuova seria dedicata al mondo dei vegetali, rivolgendo un’attenzione particolare alle specie autoctone primitive ancora esistenti sul territorio italiano e che hanno una memoria molto antica. Questo guardare lo scorrere del tempo attraverso tutti gli elementi appartenenti alla natura per rivelare (spesso in maniera incomprensibile all’uomo) le memorie più antiche di questo pianeta ci mantiene connessi con le nostre origini.  Le piante hanno da sempre avuto un ruolo importantissimo nella storia dei popoli, sono state per noi nutrimento, fonte di ispirazione creativa, cura e spesso hanno decodificato la simbologia sacra. Non potevo che dedicare una serie di lavori a quelle piante “superstiti” che da centinaia di anni abitano il territorio in cui vivo. Esse arrivano direttamente dal mare e si sono abilmente adattate alla vita di superfice trasformando lentamente la loro anatomia e mutando il comportamento e il sistema di circolazione del nutrimento. Hanno in loro la forza e una straordinaria bellezza. Vivono inevitabilmente le zone più umide dei boschi a contatto con la penombra e i terreni soffici e scuri, sono strettamente legate all’acqua che è simbolo di femminilità e fertilità. Costruiscono gli scenari più affascinanti e misteriosi dei boschi Italiani, luoghi da me prediletti e tutti i giorni parlano del mare che è stato e ne restituiscono la memoria attraverso il suo profumo una volta morte. Colgo indizi e informazioni tra le zone umide e verdi dei luoghi che attraverso e restituisco brandelli di mappe da ricomporre cercando di orientarmi, cercando di ricordare e di conservare la memoria. Faccio luce su una storia già scritta da tempo e che è solo da rileggere. Focalizzo lo sguardo sui piccoli processi, sui dettagli, sulle manifestazioni nel micro, perché li nasce tutto ciò che vediamo allontanando lo sguardo.           
Veronica Azzinari
Bio
Veronica Azzinari nasce a Milano nel 1986.Si diploma presso la Scuola del Libro ad Urbino nella sezione di Cinema di Animazione e nel 2010 inizia una personale ricerca nel mondo dell’incisione grazie all’incontro con Opificio della Rosa, studio e stamperia dedicato alla grafica originale. Sin dall’adolescenza sente il forte desiderio di interrogarsi sulle origini, desiderio che diventa ben presto ricerca umana/individuale ed artistica. Comprende ben presto che è necessario partire dalla comprensione della natura circostante per porsi domande giuste rispetto alla nostra esistenza. Camminare come unica pratica utile al “ridimensionamento”, quasi un metodo per riportarci in asse con la linea del tempo e connetterci con lo spazio e con i perpetui messaggi antichissimi portati dal vento, dalle piante, dall’acqua. Dalle camminate, dalle esplorazioni, dallo studio e dai preziosi incontri con professionisti e scienziati nasce Cogliere e restituire-cartografie dell’origine, una serie lunga tutta la vita e che parte a cavallo del 2017/2018 facendo luce sui vegetali considerati preistorici ancora esistenti sul territorio Italiano. Piante preziosissime, impressionantemente forti e affascinanti ma allo stesso tempo, poco considerate che vivono le zone più umide dei nostri boschi e portano in loro la memoria del mare. Tutte le carte che compongono la serie sono stampate in calcografia su carta di cotone fatta a mano presso il laboratorio del mastro cartaio Lorenzo Santoni di Fabriano.
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cinquecolonnemagazine · 3 years ago
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Poeti in Campania: intervista a Mario Fresa
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Il poeta campano che andiamo ad intervistare è Mario Fresa (Salerno, 1973). Ha compiuto gli studi classici e musicali e si è laureato in Letteratura italiana. Sue poesie sono state pubblicate su riviste italiane, francesi e internazionali: «Paragone», «Caffè Michelangiolo», «Nuovi Argomenti», «Almanacco dello Specchio», «Recours au Poème», «L’area di Broca», «Gradiva» «Quadernario», «Palazzo Sanvitale», «La clessidra», «Semicerchio», «Portique». È presente in varie antologie, pubblicate sia in Italia sia all'estero, da Nuovissima poesia italiana (Mondadori, 2004) alla recente Veintidós poetas para un nuevo milenio, numero monografico della rivista spagnola «Zibaldone. Estudios italianos» (Università di Valencia, 2017). È del 2002 il prosimetro Liaison, con la prefazione di Maurizio Cucchi (edizioni Plectica; Premio Giuseppe Giusti Opera Prima, Terna Premio Internazionale Gatto); seguono, tra le altre pubblicazioni di poesia, il trittico Costellazione urbana (Mondadori, «Almanacco dello Specchio», n. 4, 2008); Luci provvisorie (una triade di poemetti apparsa nel n. 45 di «Nuovi Argomenti», Mondadori, 2009); Uno stupore quieto (Stampa2009, a cura di Maurizio Cucchi, 2012; menzione speciale al Premio Internazionale di Letteratura Città di Como); La tortura per mezzo delle rose (nel sedicesimo volume di «Smerilliana», 2014, con un’analisi critica di Valeria Di Felice); Teoria della seduzione (Accademia di Belle Arti di Urbino, con disegni di Mattia Caruso, 2015); Svenimenti a distanza (prefazione di Eugenio Lucrezi; Il Melangolo, 2018).Tra i suoi libri di saggistica, Il grido del vetraio (Nuova Frontiera, 2005); Le tentazioni di Marsia (Nuova Frontiera, 2006) e La poesia e la carne (La Vita Felice, 2008): tre volumi scritti in collaborazione con il filosofo Tiziano Salari; Come da un’altra riva. Un’interpretazione del Don Juan aux enfers di Baudelaire (Marco Saya, 2014); Le parole viventi. Modelli di ricerca nella poesia italiana contemporanea (La Recherche, 2017); Alfabeto Baudelaire (saggio e scelta di traduzioni, EDB, 2017). Mario Fresa ha dedicato una specifica  attenzione all’attività traslatoria, in particolare nell’ambito poetico, traducendo dal greco moderno (Sarandaris), dal latino classico e medievale (Catullo, Marziale, Seneca, Bernardo di Chiaravalle) e dal francese (Baudelaire, Rimbaud, Musset, Desnos, Apollinaire, Frénaud, Char, Cendrars, Queneau, Duprey). Ha ricevuto, tra gli altri, il Premio Franco Fortini per la saggistica (2011) e, ad honorem, nel 2017, il Premio Internazionale Prata per la critica letteraria. Come ti sei avvicinato alla poesia? Nel periodo dei miei studi musicali, a vent’anni, traducevo i testi dei maggiori liederisti e di alcuni libretti del teatro d’opera (m’interessavano, soprattutto, i principali Singspiele del Sette-Ottocento: quelli scritti da Schikaneder/Giesecke, Kind, Treitschke…); di questi ultimi approntavo anche ingegnose traduzioni isometriche. Continuai a coltivare l’arte della traduzione e passai alla poesia francese dell’Otto-Novecento. Poi, a poco a poco, grazie a questo magnifico, quasi quotidiano contatto a corpo a corpo con la musica e con la poesia, iniziai a scrivere versi in modo autonomo. Nel gennaio del 1999 pubblicai la mia prima poesia, intitolata La sabbia e gli angeli. Era un omaggio a mio padre. Maurizio Cucchi la fece uscire sul settimanale «Specchio della Stampa». C’è stato qualcuno che devi ringraziare per averti dato, che so, dei consigli di come muoverti nel tuo percorso artistico? I consigli più importanti li ho ricevuti dalla lettura e dallo studio diretto dei poeti, in ispecie del secondo Novecento. Che cosa cerchi attraverso la poesia? Qual è il tuo intento? L’ambizione è quella di dare vita, per il tramite di un piccolo inferno linguistico, a uno spazio difficile, impercorribile (diresti: a un buco nero) che conduca a una sorta di interdizione dell’utilitilarismo economicistico della parola. L’intento è quello di creare la proiezione di un abbandono provvisorio che permetta, infine, l’emersione, più oggettiva che soggettiva (e perturbante, più che ricompositiva) di quella dimensione psichica sepolta che il pensiero junghiano definisce ombra. Ma lo scopo è anche un altro; ed è di natura anarchica, perché fondata su di una salutare disobbedienza luciferina che sempre io desidero attribuire alla parola. In tale prospettiva disturbante e ribelle, lo stesso linguaggio impara finalmente a combattere e a corrodere i propri interni e subdoli scopi mercificanti. Così, le nuove immagini proposte, sempre alterate/alteranti, minano la sicurezza reazionaria della comunicazione tradizionale e opportunistica, in modo da offrire un messaggio di trasvalutazione dei valori espressivi “comuni” e di costante opposizione nei riguardi della rassicurante comunicabilità dell’uomo “filisteo” (asservito ai poteri e alle ipocrisie del linguaggio sociale). La tua scrittura segue delle linee o delle correnti culturali specifiche? Lo studio del saggio Totem Art di Wolfgang Robert Paalen mi ha molto influenzato e ispirato. Quali programmi hai in cantiere? Ho finito da pochi mesi (dopo sette anni di lavoro!) di curare un Dizionario della poesia italiana del secondo Novecento (dal 1945 a oggi), la cui pubblicazione è imminente. Sto lavorando anche ad altri quattro o cinque libri che forse, se Arimane vuole, saranno presto pubblicati. Come vivi la cultura, la poesia, nella tua città, nella tua vita? Trovi difficoltà e quali? Ho organizzato, nei tempi passati, molti incontri letterari nella mia città. Adesso sono stufo. Intanto, mancano gli spazi. Qualche anno fa, a Salerno, c’erano decine di librerie. Ora si contano sulle dita di una sola mano. Si moltiplicano i ristoranti, però. Lo sappiamo bene: riempire la pancia è meno faticoso di pensare. Hai mai partecipato a premi letterari? Che opinione hai di essi? Ho molti bei ricordi dei Premi che mi sono stati assegnati. Cito il più caro: nel 2004 ricevetti il Premio Capoverso organizzato da Carlo Cipparrone e dal giovane editore Antonio Alimena. In quell’occasione felice, conobbi il filosofo e poeta Tiziano Salari. Diventammo, a distanza, due “amici stellari”, come dice Nietzsche. Scrivemmo tre libri insieme e fondammo anche una collana editoriale di ispirazione hölderliniana, “Il vulcano e la rosa”. Oggi, con la crisi dell’editoria, pubblicare un volume non è semplice: le grandi case editrici non ti filano se non sei legato politicamente o a risorse economiche, e le piccole ti chiedono contributi economici, spesso esosi. Per non parlare poi della poesia che, seppur prolificante, è rinchiusa in “cripte” elitarie. Hai riscontrato difficoltà editoriali durante il tuo percorso, e se sì, per quali motivi? Non ho mai avuto alcuna difficoltà nel pubblicare. Il prossimo libro di poesie, in uscita quest’anno, è nato in occasione di un invito che mi è stato rivolto da un editor di rara competenza. Certo, la poesia e gli stessi poeti sono rinchiusi in “cripte”, come tu dici. Il termine, tristemente funebre, è opportuno. Se chiedi a una persona di media cultura di citare il nome di un poeta italiano contemporaneo, sta’ sicuro che la risposta sarà il silenzio assoluto. Se dovessi paragonare la tua poesia ad un poeta famoso, a chi la paragoneresti? Quale affinità elettive ci trovi con la tua poesia? Ma no, non è possibile. Mi ripeto continuamente, insieme con Gozzano: «Ed io non voglio più essere io». Però non voglio essere nemmeno un altro al quale paragonarmi. Avere un io è già una piccola sciagura. L’attività dell’avere la lascio ai commercianti. Meglio essere che avere. Meglio ancora non essere che essere. La soddisfazione maggiore – se c’è stata – che hai raccolto nel mondo letterario? Soddisfazioni? Quelle le ho soltanto quando dormo un sonno senza sogni. Cosa pensi dei libri digitali? Possono competere con l’editoria tradizionale, cioè con quella cartacea e perché? I libri digitali? Sono utili. Ma non necessari. Qual è il tuo rapporto con la politica? Prego Arimane o Farfarello o Malacoda che mi facciano stare lontano le mille miglia dal fetore etico ed estetico dei nostri governanti. La realtà politica dei tempi correnti è davvero orrenda. Ma la data di origine del disastro è lontana: mi riferisco al 1861, anno di nascita di quella che si soprannominò, in modo più che giusto, Terza Italia o Italietta. Questa Italia fintamente unita fu consegnata con la massima violenza agli orribili Savoia e, da allora, non si è mai più ripresa; ché la sua catabasi – lo si vede con molta chiarezza – è inarrestabile. Siamo passati, in questi anni, dalla volgarità furfantesca del berlusconismo al suicidio annunciato della sinistra, scesa sempre più in basso. Ora è la volta (ahinoi) dei leghisti, dei fascisti e dei risorgenti supercattolici difensori dei “valori” (?) della famiglia (ah, se avessero letto o riletto con attenzione i Tragici greci, o Sigmund Freud, essi avrebbero capito che la famiglia è il luogo di origine di ogni tragedia!). La cultura e la scuola sono state affossate. I nostri governanti sono anti-estetici, illetterati e del tutto incapaci di distinguere un Goya da un Velázquez, o una sonata di Haydn da una sonata di Scarlatti, o un verso di Foscolo da un verso di Leopardi. Ricordo ancora, con orrore, i disastri grammaticali di quella signora con i capelli rosso semaforo che fu nominata, alcuni anni fa, Ministro della Pubblica Istruzione. Ora questo Ministero è stato affidato a un ex allenatore di una squadra di basket. E io che mi lamentavo di Francesco De Sanctis o di Giovanni Gentile. Come vivi la quotidianità? Lavoro; scrivo; amo; veglio. Per fortuna, dimentico tutto con molta facilità: nomi, volti, situazioni. Ma ciò che è essenziale non lo cancello dalla memoria: posso ricordare decine e decine di versi di Baudelaire o l’intera partitura di un concerto mozartiano, dalla prima all’ultima nota. Lo spirituale è nell’arte, non nella vita. Oltre alla poesia, di cosa ti occupi? Musica, disegno, pittura. Se potessi cambiare lo stato comatoso in cui vive oggi la nostra società, quali sarebbero le tue soluzioni, le proposte? Il coma di cui parli è dovuto a una scelta precisa di suicidio. La società capitalistica ha trasformato gli uomini in consumatori-consumati. La cultura è stata disarmata e trasformata in merce o in un continuo e deprimente spettacolo di evasione e di distrazione. Sono contrario a qualsiasi ipotesi cristiana di salvazione o di redenzione, per me e per gli altri; perciò, non propongo nessuna ipotesi di soluzione. Se l’Italietta ha scelto l’eutanasia, si accomodi pure. Io, per me, ambisco a ritirarmi nel bosco, siccome il protagonista del bellissimo libro di Ernst Jünger, Der Waldgang. Qual è la tua ultima fatica editoriale? Puoi parlarcene brevemente? L’ultimo libro è Svenimenti a distanza, edito da il melangolo nel 2018. Sberleffo al perbenismo logico e rassicurante del linguaggio borghese, calcolatore, ipocrita, cattolico, tradotto nella forma di un incubo ininterrotto, felicemente (e innocentemente) crudele. Read the full article
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lamilanomagazine · 1 year ago
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"Stelle in blues per Rudy Rotta": giovedì sera il concerto al Camploy
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"Stelle in blues per Rudy Rotta": giovedì sera il concerto al Camploy. Verona. Una serata speciale voluta fortemente da un amico speciale. Verona omaggia Rudy Rotta, musicista veronese che con la sua voce e la sua chitarra è stato uno dei maggiori esponenti della musica blues a livello internazionale. Giovedì 26 ottobre, alle 20.45, al teatro Camploy si terrà “Stelle in blues per Rudy Rotta”, un concerto che vuole ricordare il chitarrista veronese a sei anni dalla sua morte, avvenuta il 3 luglio 2017. L’evento è organizzato da Teatro Modus-Spazio Cultura con il sostegno del Comune di Verona, Assessorato alla Cultura, Slang Music, Box Office live, Università degli Studi di Verona, Leo Ramponi di Trattoria Il Bersagliere ed è patrocinato dal Comune di Verona. Quella di giovedì sarà una serata speciale, dal momento che è stata promossa dalla Commissione per la Popular Music dell’Università di Verona, istituita da Claudio “Bifo” Bassi, consigliere comunale e musicista recentemente scomparso, con Giampaolo Rizzetto e insieme a Enrico de Angelis, Sergio Noto e Nicola Pasqualicchio. Al musicista veronese, ma prima di tutto grande amico, Claudio Bassi aveva dedicato la canzone “I Musicanti”, che verrà letta in anteprima durante la serata e inserita nel prossimo Cd della Bifo Combo, band di ‘Bifo’ Bassi. La lettura sarà dell’attrice Elisabetta Fadini, presentatrice, voce recitante e narrante dell’evento. Il programma prevede una prima parte nella quale si esibiranno quattro band con le quali Rudy Rotta ha suonato e collaborato nel corso della sua carriera, Condors, Real Live, Willy Mazzer & The Headhnters e The Last Dove. Nella seconda parte saliranno sul palco tre ospiti di levatura nazionale e internazionale: il chitarrista Tolo Marton con il tastierista Tony Pagliuca delle ex Orme e la chitarrista blues-woman e cantante di origine serba Ana Popovic. Durante la serata inoltre sarà allestita nel foyer del teatro una piccola mostra di fotografie, manifesti, riviste, articoli, Cd e dischi, gentilmente concessi dalla famiglia e curata dal fotografo Luca Sguazzardo con prestiti personali di Paolo Antoniazzi, Aida Brenzoni , Enrico de Angelis, Carlo Degani, Fabio Pasquali, Leo Ramponi, Giampaolo Rizzetto, Giancarlo Trenti, Renzo Udali. Sarà presente l’Associazione Rudy Rotta, istituita dalla famiglia e dagli amici nel 2018 in memoria dell’artista scomparso per dare vita e continuità ai suoi progetti musicali e artistici. Il biglietto di ingresso è di 15 euro con prevendita da Verona Box Office Live, via Pallone 16, e online su www.boxofficelive.it Per informazioni 045 8011154.   L’evento è stato presentato questa mattina in sala Arazzi. Sono intervenuti l’assessora alla Cultura Marta Ugolini, la figlia di Rudy Giulia Rotta, Giampaolo Rizzetto, che ha curato progetto e direzione artistica, l’organizzatore Andrea Castelletti, Enrico de Angelis della Commissione per la Popular Music dell’Università di Verona, Elisabetta Fadini, e lo sponsor Leo Ramponi. “Sarà una serata speciale, unica e abbastanza irripetibile. – ha detto l’assessora alla Cultura Marta Ugolini -. Rudy Rotta è stato un artista, un chitarrista e cantante di fama non solo locale, ma internazionale, portando alto il nome di Verona nel mondo. La musica travalica la morte riportandoci le persone che non ci sono più, e quella sera Rudy Rotta e Claudio Bassi saranno con noi. La serata è stata organizzata da esperti di musica, artisti, amici e dalla famiglia di Rudy, a dimostrazione dello sforzo di connessione che c’è stato, proponendo un programma artistico molto ricco. Ringrazio Popular Music e Giampaolo Rizzetto che mettono tutta la loro competenza per organizzare questi progetti artistici”. “Sono felice di poter vivere una serata insieme agli amici musicisti di Rudy – dice emozionata Giulia Rotta – per ricordare quello che lui è stato, e dove è partita la sua storia artistica per poi andare molto lontano”. “Fin da ragazzo – ricorda Andrea Castelletti - Rudy Rotta è stato per me una figura mitica, amante dell’arte, della musica e del territorio veronese, motivo per cui partecipo con entusiasmo all’organizzazione di questa serata”. “Questo evento è un’idea nata all’interno di un progetto curato dalla nuova Commissione per la Popular Music istituita dall’Università, che è stata fortemente voluta da Claudio Bifo Bassi – spiega Enrico De Angelis –. Ringraziamo l’Assessorato alla Cultura che sostiene tutte le nostre iniziative”. “Rudy Rotta ha sempre ‘mangiato’ la chitarra – ha aggiunto Giampaolo Rizzetto – lavorando sempre su accordature e arrangiamenti armonici in maniera straordinaria”. “Erano anni che aspettavamo questa serata – sottolinea Elisabetta Fadini – e spero che si possa raccontare la passione di Rudy, una persona buona e intensa che sapeva trasferire tutto questo in musica”. “È giusto rendere omaggio a Rudy Rotta – dice Leo Ramponi – che purtroppo non è mai stato ricordato come invece meriterebbe. Sicuramente, visti gli artisti che parteciperanno, sarà una bellissima serata”. Gli artisti presenti sul palco. Condors: Carlo Degani, voce; Paolo Antoniazzi, batteria; Federico Fuggini, tastiere; Ivano Avesani, basso; Paolo Impellizzeri, chitarra Real Live: David Cremoni, chitarra; Paolo Antoniazzi, batteria; Gianni Sabbioni, basso; Federico Fuggini, tastiere. Willymazzer & The Headhunters: Willy Mazzer, voce e armonica; Carlo de Bei, chitarra; Cristiano Sciabello, chitarra; Dario Sgobaro, basso; Paolo Callegaro, batteria. The Last Dove: Deborah Kooperman, voce e chitarra; Federico Fuggini, tastiere Tolo Marton & Toni Pagliuca: Tolo Marton, chitarra; Tony Pagliuca, tastiere Ana Popovic Quartet: Ana Popovic, voce e chitarra; Marco Papadia, tastiere; Corey LaDell Burns, batteria; Dorian Eleazer Burns, basso.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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castellanzanelcuore · 4 years ago
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ARCHIVI SVELATI. L’IMMAGINE RIVELA E CELEBRA IL TEMPO
Rassegna Fotografica 
4 ottobre – 1 novembre 2020 – Villa Pomini – Castellanza (VA) 
L’ Archivio Fotografico Italiano, con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Castellanza (Va), organizza nelle sale della storica Villa Pomini l’iniziativa dal titolo: ARCHIVI SVELATI L’immagine rivela e celebra il tempo 
Quello degli archivi è per l’Afi un impegno durevole che nel suo evolversi ha permesso di conoscere patrimoni spesso celati, ricercando elementi di studio da promuovere mediante incontri, dibattiti, laboratori, progetti editoriali e percorsi formativi, in un incessante confronto tra i differenti stili e linguaggi. 
La collaborazione con importanti realtà del territorio lombardo e nazionali, il lavoro quotidiano di catalogazione e conservazione e il confronto con esperti del settore, identificano questo evento annuale per l’offerta culturale, proponendo autori non necessariamente noti, ma di talento, inseriti nella collezione Afi grazie a donazioni specifiche. Un patrimonio sempre più preponderante di famiglie che affidano all’Afi le proprie memorie, un progetto strutturato di acquisizione e catalogazione, ma soprattutto di conservazione e diffusione. 
Il bianco e nero è il protagonista indiscusso della rassegna, delegando alle sfumature di grigio, ai contrasti netti e alle spigolature dello sguardo, la sintesi del progetto. 
LE MOSTRE: 
ITALIA VINTAGE 
Virgilio Carnisio 
Il patrimonio iconografico di Carnisio non ha nulla da inviare ai più celebrati fondi, in quanto è organizzato metodicamente per nuclei cronologici che ne facilitano la consultazione. 
L’odore della chimica si sente ancora, esala dalle tante scatole dove sono conservate centinaia di stampe analogiche, realizzate con cura e sapientemente contrastate, come piace all’autore, che nel tempo hanno conservato volti e luoghi che oggi ci guardano e ci interrogano, spronandoci a cogliere l’importanza della fotografia come espressione figurata dell’esistenza umana. 
Virgilio nel suo girovagare ha saputo celebrare il rapporto tra l’uomo e l’ambiente con una vivacità d’intenti non comune che lo ha condotto a scoprire il Belpaese nei meandri più intimi per arricchire il proprio profilo umanistico, abbeverandosi di vita quotidiana e non di luoghi più aristocratici. 
Le sue immagini ci restituiscono una visione del mondo antico, inglobato nell’era moderna, seguendo una tradizione culturale che trova nella fotografia il mezzo espressivo più congeniale per rafforzare il concetto di documentazione con la convinzione che i cambiamenti vacillanti possano connettere passato e presente, rafforzando uno stile di scrittura visiva che da sempre lo identifica. 
Indaga gli spazi con discreta curiosità e con una poetica visiva scarna ma nel contempo dotta, avvalorata dall’incivilimento culturale che il tempo, lo studio e la lettura gli hanno accordato, nel perenne desiderio di tradurre la vita reale in un teatro della storia, alla ricerca di equivalenti visivi che scindono il pensiero che contrappone percepito e concepito. 
Non mostra mai, per scelta, le esistenze anguste poiché predilige la dignità come bene universale. 
Ma è anche il concetto dell’attesa ad emergere dalle fotografie di Virgilio, dove si assapora il piacere della lentezza che lascia spazio all’immaginazione, al vociare delle borgate, alla spensieratezza del gioco, agli amoreggiamenti, alla bellezza di un paesaggio sognante, dove lo sguardo di due innamorati si perde tenendosi per mano. 
Una sorta di sospensione transitoria che è sinonimo di libertà, dove pare che le persone siano compiacenti e felici di aver posato contribuendo alle scene, di cui oggi possiamo godere, composte magistralmente e annesse a monumenti, borgate, mercati, piazze, negozi dalle insegne antiche e spiagge, dove tutto si amalgama, giovani e anziani, suore e preti, lavoratori e cittadini, nelle varie stagioni, da nord a sud, con una densità di valori che riflettono una mondo intriso di valori, oggi latente. 
Una bella e continua scoperta in quelle scatole ingiallite e zeppe di esistenze, vagliate con mitigata impressione, frapponendo tra i silenzi ovattati della stanza i sussulti fluttuanti della scoperta. 
Poi la luce, quella strana seduzione che richiama fotografi e artisti, che Virgilio ha saputo comprendere dando forma alle sue composizioni dalle delicate nuance ai grafismi accentuati, alle ombre corrose dalle stagioni, a volte nitide e vibranti altre volte impalpabili e suggestive. 
Questa è la luce che ama Virgilio, una sinfonia di sfumature che il bianco e nero sintetizza, come cura dell’anima e della passione per la vita. 
L’intero Archivio Carnisio fa parte della collezione Afi. 
LA SOCIETA’ AMERICANA 1912 - 1943 
da una Collezione privata 
Questa esposizione è finalizzata a ripercorre, attraverso scatti singoli e istantanee, alcune vicende della società americana, senza la pretesa di rappresentare l’intero periodo storico ma piuttosto di offrire una rappresentazione visiva del tempo nei vari contesti sociali. 
La storia abbinata all'immagine ha l'aspirazione di accrescere la conoscenza, di stimolare confronti, di comprendere le evoluzioni sociali, di dare il giusto valore alla fotografia come medium primario nel documentare i fatti, spesso in chiave giornalistica, a volte su incarico istituzionale, altre più liberamente con un linguaggio interpretativo che lascia spazio allo stile e all’inventiva dell’autore 
Il paesaggio urbano si ravviva con la presenza dell’uomo, scene di lavoro si fondono con gli ambienti, le attrezzature e gli indumenti, famiglie ai margini in viaggio verso un futuro migliore, scene di vita quotidiana e casalinga tra architetture e ambienti, ma anche la bella vita, la moda, qualche personaggio pubblico. 
Ogni fotografia diviene narrazione, fascino, emblema del tempo, che la memoria elabora e l’archivio conserva. 
Principi sostanziali del ricordo che riconducono alla rinvenimento di uno principio collettivo, a quel senso di appartenenza che pare smarrito nei tempi moderni, dalla frenesia comunicativa dei mezzi e delle voci che cantano in solitaria e non più all’unisono. 
GEOMETRIE DEL PAESAGGIO 
Maurizio Colombo 
Maurizio Colombo nasce a Busto Arsizio nel 1958 e sin da ragazzo si appassiona alla fotografia. I primi scatti sono in prevalenza figure femminili.
Predilige il bianco e nero e impara a stampare nella mansarda di casa.
Nel corso degli anni si appassiona all'osservazione degli spazi, raggiunti con frequenti viaggi esplorando le forme e la bellezza dei luoghi.
Ha frequentato il Circolo Fotografico Il Sestantedi Gallarate partecipando a diverse mostre collettive e vincendo diversi concorsi fotografici.
Negli ultimi anni ha collaborato nel campo della moda.
“Cercare di scrivere qualcosa sulle mie fotografie è meno facile che parlarne, forse perché parlandone riesco meglio a togliere dalle immagini tutto ciò che di istintivo vi è racchiuso. 
Tuttavia anche scrivendo posso provare a lasciar correre la penna e a lasciarle dire spontaneamente ciò che vi sento. 
Ho provato a fermare tanti elementi che mi scorrevano davanti, alcuni a prima vista freddi, come certe composizioni grafiche nell’architettura, in cui ho voluto cogliere l’importanza delle ombre, di tutto ciò che non è detto, che non si vede, ma c’è; poi ho unito al tutto una presenza femminile. 
Una donna che non sorride mai, tra le ombre, che cerca l’orizzonte o il sole e che talvolta è parte di queste ombre; lascia però anche spazio al pensiero per correre a ciò che di più vero è una donna…tenerezza, sensibilità, femminilità. 
Ho tentato di aggiungere “colore” alle mie ombre essenziali, con questa presenza e con quella di un bambino che contribuisce a rendere i neri meno cupi, come metafora del dono della donna alla vita, che è già luce, ma che ancora ne cerca in cima a una scala”. 
Tra le centinaia di immagini donate dalla famiglia, che seguiranno il percorso previsto di selezione, catalogazione e inserimento nel sito e nella raccolta nazionale Afi, abbiamo scelto una serie di stampe vintage che ben rappresentato la sperimentazione dell’autore, risalenti agli anni ’90 e stampate dallo stesso con la finalità di far emergere vedute grafiche e bagliori che ci interrogano sull’essenze, attraverso i silenzi. 
Si spegne a Novara nel 2017, lasciando una traccia visiva che sa emozionare di particolare impatto creativo. 
Le immagini fanno parte della collezione Afi. 
4 OTTOBRE 2020 – ore 17 
Presentazione del libro: CENTO E PIU’ IMMAGINI D’ITALIA 
di Virgilio Carnisio – Collana editoriale Afi / 2020 
Book signing / visita con l’autore alla mostra 
Per partecipare alle conferenze è obbligatoria la prenotazione, scrivendo alla e-mail: 
[email protected] o Whatsapp 333.3718539 
INFORMAZIONI SULLA RASSEGNA: 
Luogo: 
Villa Pomini –Via Don Luigi Testori, 14 – Castellanza (Va) 
Periodo espositivo: 
4 ottobre – 1 novembre 2020 
Orari di visita: 
Il 4 ottobre 2020 apertura alle ore 17 in concomitanza alla presentazione 
venerdì e sabato 15/19 – domenica 10/12 – 15/19 - Ingresso libero 
Segreteria organizzativa: 
e-mail: [email protected] / Sito web: www.archiviofotografico.org 
Informazioni/curatore: 
Claudio Argentiero T.347 5902640 / e-mail: [email protected]
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silviascorcella · 4 years ago
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Ricostru a/i 2017: una nuova voce di stile, la sensualità rivelata del silenzio
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Ci sono collezioni che nascono come un impasto di sensazioni agganciate ad un’ispirazione personalissima, un immaginario apparecchiato dalla mente mentre assapora il gusto di predilezioni un filo discostate dal sentiero battuto delle classiche sorgenti di idee dedicate alla moda: ma, forse proprio per questo, gli abiti e accessori che poi prendono forma s’impregnano di fascino alternativo. 
Solleticano la curiosità fino a vincere anche l’applauso degli esperti blasé del settore. 
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In questo nostro caso, tale attitude densa d’individualità è condensata nel mondo creativo di un nome che viene da assai lontano, secondo la distanza geografica della terra d’origine asiatica, ma che si allaccia con vicinanza aggraziata e risoluta al gusto nostro occidentale, stiloso nell’apparenza e assai ricercato nella sostanza.  Or dunque, che si sveli il nome: Ricostru!
Per tutte e tutti coloro che al brand rivelato sentono la memoria fashionista attraversata da un pensiero rapido e recente che deposita un suggerimento che dice all’incirca così: questo nome suona nuovo, eppur familiare, come se avesse già preso il suo posto nella nostra settimana della moda milanese; ebbene è esatto!
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Ricostru è il brand, ma ancor meglio il mondo di stile la cui mente fondatrice e anima creativa appartengono a Riko Manchit Au: giovane fashion designer cinese di origine e milanese di formazione alla moda, che lo scorso settembre è stata avvolta dall’ala protettrice di Giorgio Armani che le ha riservato il suo Teatro come palcoscenico di debutto, e al contempo come riconoscimento alla mischia di minimalismo della forma e lusso contemporaneo nella ricerca che rende la sua identità di stile già peculiare, nonché meritevole del successo crescente che sta già godendo. E che l’ha ricondotta a Milano per la presentazione della nuova collezione a/i 2017-18, andata in scena al Museo della Scienza e Tecnologia.
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Un’ispirazione personalissima, si accennava nell’intro a questo racconto, ha mosso le fila dei pensieri divenuti poi creazioni da indossare: la suggestione è tutta racchiusa nel titolo, “Silence is sexy”, lo stesso del brano rock preferito dalla designer. 
Ed ora, immaginate: la stanza è immersa in un buio avvolgente, una fiamma si accende, balugina tremolante e poi si spegne con un sibilo che fende l’aria e fa spazio ad una voce calda, sensuale. Il silenzio diventa morbido, ospita le note profonde che intonano “Silence is sexy / Silence is sexy / So sexy / So silence / Silence is sexy”, intanto la chitarra elettrica si fonde nella nota sintetica industriale: uno sfondo che è un mix potente, psichedelico ed esplosivo, fatto di calma e arroganza, di ribellione e rigore. 
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Di allure sexy e linguaggio di stile minimale: questa è la formula segreta che mette in equilibrio i contrasti e li assembla in capi dove l’eco stilosa retró richiama le rock band degli 80s, le scruta nei completi eleganti e nei pantaloni da uomo, nell’azzardo seducente della pelle che diventa materia d’eleganza per cappe geometriche,  pantaloni e giubbotti che si allungano in tante frange, e nelle scollature che accarezzano il desiderio come le velature che sfiorano la pelle mentre le strutture dei capispalla si fanno imponenti ma sempre femminili. I volumi si costruiscono nei colli che avvolgono il volto, si scolpiscono nei materiali innovativi realizzati a mano, si espandono nelle spalle over che piombano a terra lungo le maniche extra-long: poi, la provocazione esce dal nero misterioso e entra nella luce, s’ingentilisce nelle tinte chiare e nei riflessi metallici, s’illumina nelle stoffe cangianti, nei giochi di strati e leggerezze impalpabili, negli accessori essenziali. In un adagio di scomposizione e ricomposizione delle forme che diventa identità iconica, mentre la voce continua ad intonare “Silence is sexy / So sexy / So sexy / Silence is not sexy at all / L’amusement / Solitude…”
Silvia Scorcella
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tempi-dispari · 4 years ago
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Ezio Bosso, dal 23 giugno una collana con il meglio delle sue opere
Sony Classical rende omaggio a Ezio Bosso con la pubblicazione in edicola di una collezione di quattro opere fondamentali del grande artista, sia quelle come compositore e camerista, che quelle in veste di direttore d’orchestra, per riscoprire e rivivere le emozioni che ci ha trasmesso. Una selezione delle sue migliori opere per ricordare il compositore, pianista e direttore d’orchestra torinese prematuramente scomparso, che con il suo talento e la sua carica umana fuori dall’ordinario ha emozionato l’Italia e non solo. La pubblicazione, tra l’altro, coincide con la Festa della Musica, che, negli stessi giorni, sarà dedicata alla sua memoria.
A dare il via il 23 giugno a questa straordinaria collana che viene pubblicata in formato Digipack, in edicola a cadenza settimanale, sarà “And the Things That Remain”.  Raccolte in un doppio cd le interpretazioni più significative dei brani registrati dal Maestro nell’arco di 12 anni, tra il 2004 e il 2016. Questa antologia ha il pregio di condensare i vari aspetti della variegata carriera di Bosso: in orchestra, in quartetto, come direttore organista e naturalmente anche come pianista.  Ezio Bosso esecutore e direttore quindi, con composizioni e interpretazioni che spaziano dal pianoforte solo alla grande orchestra.
La seconda uscita è “The 12th Room”, il suo primo album da solista, il suo debutto come compositore per piano. Pubblicato nel 2015, contiene anche “Following, a Bird”, la composizione che Bosso ha eseguito nell’indimenticabile esibizione del 2016 al Festival di Sanremo e che l’ha fatto conoscere al grande pubblico. La pubblicazione, in doppio cd, sarà in edicola il 30 giugno.
“The Venice Concert”, è la terza uscita e verrà pubblicata in cd e dvd il 7 luglio. Qui c’è la quintessenza della musica di Bosso, ogni sfumatura della magia di quello che significava “fare musica” per il grande artista. Registrato dal vivo alla Fenice di Venezia, Bosso dirige l’Orchestra Filarmonica del Teatro, in un anno (il 2016) completamente dedicato alla direzione d’Orchestra, sia nel prestigioso ruolo di Direttore Principale Ospite del Teatro Comunale di Bologna sia sul podio delle migliori orchestre italiane, dall’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia all’Orchestra del Teatro San Carlo di Napoli. Questo concerto aveva un significato molto particolare per Bosso, che lo considerava come una vera e propria rinascita.  È una fotografia perfetta di un passaggio chiave nella carriera e nel percorso esistenziale dell’artista. Un album magico dedicato alla musica, che ha il potere di far rinascere qualcosa ogni volta che viene suonata, e non a caso questa rinascita è avvenuta alla Fenice.
Infine “Music for Weather Elements”, l’album con sei composizioni firmate da Bosso usciti nel 2017 solo in digitale e che il 14 luglio verrà pubblicato per la prima volta in cd, con una nuova veste grafica. 
Artista di primo piano nella musica classica mondiale, compositore pluripremiato ed eseguito in tutto il mondo da prestigiose istituzioni, Ezio Bosso è stato l’unico direttore d’orchestra in grado di portare il grande pubblico all’ascolto del repertorio classico nelle sale da concerto. Ha fondato l’Europa Philharmonic Orchestra, di cui è stato anche direttore artistico. La ricerca filologica nel senso più alto del rispetto sacrale della partitura, dell’autore e del suo contesto, la tensione per ottenere la purezza estrema del suono e della tensione narrativa sono stati i primi obiettivi della compagine del Maestro, e hanno in breve tempo portato la Europa Philarmonic Orchestra all’attenzione della critica e ad un inedito affetto e grande seguito del pubblico.
Questo il piano delle uscite: And the Things That Remain (23 giugno); The 12th Room (30 giugno); The Venice Concert (7 luglio); Music for Weather Elements (14 luglio).
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terredacquanews · 7 years ago
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TERRE D'ACQUA – GIORNATA DELLA MEMORIA, ECCO TUTTI GLI APPUNTAMENTI NEI COMUNI DELL'UNIONE
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Sono molte le iniziative dei vari comuni dell'Unione Terre d'acqua per non dimenticare una delle pagine più nere della storia che ha segnato la coscienza collettiva. Nel giorno della memoria si ricorderanno infatti le vittime dell'Olocausto e ciò che ha significato affinché non si debbano ripetere mai più simili tragedie.
A SAN GIOVANNI IN PERSICETO le commemorazioni inizieranno martedì 23 e mercoledì 24 gennaio, alle 21 al cinema Giada (circonvallazione Dante, 54), con la proiezione, nell’ambito della rassegna Film&Film, di “La Signora dello Zoo di Varsavia” di Niki Caro (Stati Uniti, 2017). Sul finire del 1939, le truppe naziste bombardano la capitale polacca, riducendo il famoso zoo a un cumulo di macerie. Il direttore della struttura e sua moglie assistono impotenti all’occupazione del paese e alla costruzione del ghetto ebraico. Costo di ingresso: 5,50 euro.
Sabato 27 gennaio, alle 17 nella sala proiezioni di palazzo SS. Salvatore, in piazza Garibaldi, 7 si terrà “Pezzi di memoria. Un mosaico da ricostruire”, un incontro pubblico promosso da Anpi sezione di Persiceto sul sostegno che i cittadini persicetani diedero, il 25 settembre 1943, ad un gruppo di deportati che transitava alla stazione ferroviaria di Persiceto. 
Lunedì 29 gennaio, alle 10, al teatro Fanin (piazza Garibaldi, 3/c), la fondazione Villa Emma propone “No, Storia di un Rifiuto”, spettacolo di Giacomo Vallozza del Teatro del Paradosso, rivolto alle classi terze delle scuole secondarie di primo grado e alle scuole secondarie di secondo grado. Il ritrovamento del diario di prigionia di un padre diviene pretesto per riflettere sul passato di un genitore (fino a quel momento sconosciuto) e su una guerra ingiusta e sbagliata, che lo ha coinvolto e travolto. 
Lunedì 29 gennaio, al Teatro comunale (corso Italia, 72), alle 10 per le classi di scuola secondaria superiore e alle 21 per la cittadinanza gli studenti dell’Istituto Archimede portano in scena “La Brigata Bolero alla battaglia di Casteldebole” da un testo di Maurizio Garuti. Da un episodio poco noto della Resistenza bolognese, un testo teatrale dove i giovani di oggi, disincantati e delusi, si confrontano con i giovani di allora, bloccati davanti alla barriera del Reno. 
Giovedì 1 febbraio dalle 9 alle 12 nella sala Balducci della Bocciofila persicetana (via Castelfranco, 16), proiezione di film per scuole primarie “L’isola in via degli Uccelli” di Soren Kragh-Jacobsen (Gran Bretagna, 1997), tratto dall’omonimo romanzo di Uri Orlev, che narra la storia di un bambino rimasto solo nel ghetto di una città polacca dopo lo sgombero operato dai tedeschi.
Venerdì 2 febbraio, dalle 9 alle 12, al Centro civico di San Matteo della Decima (via Cento, 158/a) seguirà la proiezione di film per scuole primarie “I Ragazzi di Villa Emma - giovani ebrei in fuga”, di Aldo Zappalà (Italia, 2008). La vicenda dei 73 ragazzi ebrei arrivati a Nonantola nel 1942-43. La popolazione del paese prima li accoglie e poi li salva, quando i tedeschi occupano l’Italia. Una storia di amicizia e solidarietà veicolata dalla voce dei testimoni e da tante immagini d’epoca. 
Lunedì 5 febbraio, alle 16.30 nella sala consiliare del municipio (corso Italia, 70) si terrà “Infanzia e Storia: i conflitti del ‘900 e l’insegnamento della Shoah”, un incontro di formazione rivolto ai docenti delle scuole primarie e secondarie di primo grado, introdotto dall’assessore alla Scuola, cultura e politiche giovanili. Seguono interventi di: Bruno Maida, dell'università di Torino, autore di “L’infanzia e le guerre del Novecento” (Einaudi, Torino 2017), Donatella Giulietti, insegnante e formatrice, autrice di “Eri sul treno per Auschwitz? Strumenti per raccontare la Shoah ai bambini” (Iscop Pesaro, Fulmino editore 2013), Fausto Ciuffi, direttore Fondazione Villa Emma.
Infine, per ricordare la ricorrenza del Giorno del Ricordo (che viene celebrato il 10 febbraio), sabato 24 febbraio, dalle 9 alle 13 al teatro comunale (corso Italia, 72), si terrà "Letture, canti e testimonianze dell’esodo giuliano-dalmata", spettacolo teatrale a cura degli studenti dell’istituto scolastico superiore Archimede in collaborazione con l’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia - Comitato di Bologna.
Ad ANZOLA DELL'EMILIA venerdì 9 febbraio alle 20.30 nella sala polivalente della biblioteca ci sarà la proiezione di “Al riparo degli alberi – Memorie di giusti tra le nazioni” per la regia di Valentina Arena: si tratta di un documentario prodotto da “Insolita” e dall'Istituto storico di Modena.
Saranno presenti oltre alla regista anche la presidente Anpi di Anzola, Lisa Franco il compositore e musicista, Sergio Altamura.
A SANT'AGATA BOLOGNESE doppio appuntamento: venerdì 26 gennaio alle 9 in sala consiliare ci sarà un momento di riflessione con insegnanti e ragazzi delle classi terze della scuola di secondaria di primo grado sul messaggio che Anna Frank ha lasciato alle generazioni future, mentre alle 10.30 in località Maggi, l'Amministrazione comunale assieme ai ragazzi delle scuole e ai cittadini intitolerà un parco dedicato sempre alla memoria di Anna Frank. Domenica 28 gennaio, invece, alle 16 nella sala Nilla Pizzi la sezione Udi locale proietterà il film “Monsieur Batignole” (ingresso libero).
A SALA BOLOGNESE giovedì 25 gennaio alle 21 a villa Terracini a Osteria Nuova in via Gramsci, 315 si terrà lo spettacolo a ingresso gratuito “Il magnifico impostore Giorgio Perlasca” con il teatro laboratorio Brescia in collaborazione con la fondazione Perlasca. Sarà raccontata la storia di Perlasca, l'uomo che salvò 5.218 ebrei ungheresi per amore di giustizia, senza considerarsi un eroe e senza chiedere nulla in cambio e che è stato nominato nel 1989 “Giusto tra le nazioni” dall'Ente nazionale per la memoria della Shoah di Israele.
A CREVALCORE mercoledì 24 gennaio alle 21 al Centro musicale Melò in via Candia, 385/A ci sarà la lettura da parte del “Teatrodelvento” de “Presero l'oro e poi tutta la gente”: Lando Francini leggerà brani tratti dai lavori di Giacomo Debenedetti e Anna Foa con testimonianze sul “Sabato nero” vissuto a Roma il 16 ottobre 1943.
A CALDERARA DI RENO martedì 23 gennaio alle 21 al teatro Spazio Reno ci sarà lo spettacolo ad ingresso gratuito “Storie di Zhoran” con la compagnia Archelia di e con Giuseppe Ciciriello e Piero Santoro che con una narrazione musicale proporranno riflessioni tra il serio e il faceto stimolando gli spettatori a chiedersi chi è l'altro, il diverso. Sabato 27 e domenica 28 gennaio, invece, nell'ambito dell'inaugurazione della Casa della cultura, ci sarà “Michel Kichka. La seconda generazione”: una mostra a cura di Vincenza Maugeri e Caterina Quareni in collaborazione con il Museo ebraico di Bologna.
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gabrielesalvaterra · 7 years ago
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Elena Modorati. Comfort zone
with a critical text by Gabriele salvaterra
Torino, Raffaella De Chirico Galleria d’Arte
21st September – 28th October 2017
http://www.dechiricogalleriadarte.com/mostre/elena-modorati-comfort-zone-655
(works by Elena Modorati, below the Italian text)
Elena Modorati. Comfort zone
Tra mostra di sé e nascondimento, il lavoro di Elena Modorati percorre una grande varietà di tecniche e media, dove la coerenza poetica riesce a svilupparsi all’interno di una sempre viva variabilità, quasi una voluta precarietà esistenziale. L’esposizione non è un semplice esibire dei manufatti ma prima di tutto un “esporsi” in cui tracce di vissuto e squarci di personalità prendono corpo negli oggetti e nella materia, facendo dell’intimità privata un campo che si può declinare anche nel pubblico e della propria interiorità qualcosa che emerge dalla relazione con le cose, con i materiali e con il fare artistico.
All’interno di uno sviluppo dei linguaggi artistici che sembra valorizzare soltanto il gioco dello scarto e della discontinuità, diventa quasi rivoluzionario portare avanti un progetto esplicitamente guidato dalle tematiche del comfort e dell’accoglienza. I materiali utilizzati da Modorati, attraverso trasparenze, morbidezze tattili e sfocature sensoriali, fanno sì che occhio e corpo siano portati a un avvicinamento, in un entrare nell’opera che paradossalmente non fa leva sulla grande dimensione o sull’approccio scenografico ma, al contrario, su una dimensione che sa di delicato e diaristico. Da un campo molto distante da quello artistico contemporaneo, vengono in mente alcune espressioni utilizzate dal gruppo indie pop Kings of Convenience negli anni 2000 per titolare i propri album: Quiet is the New Loud, Riot on an Empty Street, Declaration of Dependence. Si passi questo sconfinamento di campo perché questi sottili paradossi e giochi di parole – la tranquillità è il nuovo rumore, rivolta in una strada vuota, dichiarazione di dipendenza – rappresentano bene la forza che Elena Modorati riesce a mettere in gioco attraverso la morbidezza del suo discorso. Il suo muoversi su un confine tra pubblico e privato raggiunge una grande incisività linguistica mostrando un universo personale nel territorio espanso della relazione con l’altro. “Ammissioni di fragilità” che oggi sembrano difficili da sentire nelle parole delle persone ma che potrebbero essere tra le poche sensazioni su cui l’essere umano può sentirsi realmente accomunato al di là della propria cultura, sesso o provenienza sociale.
L’impiego di campane di vetro, mensole, vetrine e della cera come materiale coprente allude a questa esigenza di protezione e archiviazione del vissuto, senza la quale i nostri oggetti così come i nostri ricordi rischiano di perdersi nel fluire del tempo.
Su tutti questi materiali, quasi una costante poetica profonda che come un basso continuo lega la variabilità formale delle diverse espressioni, domina il candore lattiginoso del bianco e della trasparenza offuscata, dove i temi della purezza e dell’origine vengono declinati attraverso la similitudine con il latte materno, alimento che riporta a uno stato di dipendenza estrema ma anche di comfort e protezione assoluta. Nel ricordo di questa età dell’oro irrecuperabile si nasconde già la malinconia della sua perdita e la tragica precognizione della fine ultima se è vero che il bianco nelle culture orientali porta con sé la simbologia del lutto e della morte. Elena Modorati situa l’essenza del suo lavoro in un centro ambiguo tra questi due estremi – origine e fine – entro i quali viene delimitata l’esistenza dell’uomo e la sua capacità di conoscere.
Per questa ragione nelle sue cere – ma il discorso è valido anche per le morandiane nature morte a vetrina o sotto campana di Reliquario e Collezione di farfalle – al processo di protezione del documento sottostante corrisponde anche una più inquietante operazione di imbalsamazione o mummificazione, nella quale la dimensione della cura materna si trova paradossalmente sintetizzata a un’altra, ultima, fatale cura: quella della morte.
A questa complessa sensazione partecipa ancora la natura del bianco, il colore più cristallino e trasparente ma anche quello che, proprio per la sua chiarezza, è più soggetto a sporcarsi e diventare impuro. Tale caratteristica viene esplicitamente sfruttata per allestire un teatro nebuloso in cui la realtà, dandosi e ritirandosi continuamente, crea un parallelo con l’esperienza dell’umano nel mondo, soggetto perso nelle sue fragilità con una limitata capacità di decodificare le situazioni. Per Elena Modorati, infatti,
“Opacità e ambiguità sono il contrassegno dell’esperienza e della muta ritrosia delle cose. Molti lavori si riferiscono alle dinamiche di percezione, conoscenza e memoria: finestre, cannocchiali, archivi, calendari, biblioteche, sono emblemi del tentativo di capire, ordinare e conservare, della reazione ostinata a un limite non eroso.  
Ma il ‘velo’ è ostacolo e insieme membrana che, con la sfumatura dei margini, la morbidezza dei toni, si offre come altro ‘campo’ – di sospensione, di annullamento delle coordinate – dove il limite si declina come intensità pungente dell’effimero, pudica perentorietà di ciò che è trascurabile.”
Attraverso il velo l’osservatore è chiamato in gioco, è invitato a tendersi nello slancio conoscitivo verso una realtà misteriosa che non comprende e che realmente non riesce a padroneggiare. Per questo la delicata rarefazione dei layout allestiti dall’artista nasconde sempre, dietro l’aspetto confortevole e coinvolgente una vera sfida per il fruitore. Così accade, ad esempio, nella recente serie Traiettoria di lacrime, dove la candida pulizia della carta mostra a uno sguardo ravvicinato un delicato ma crudele trattamento per cui viene vergata dai piccoli tagli di cicatrici che evocano una ferita o un piangere. Sono forse miei questi squarci? Non mi appartengono forse anche queste lacrime?
La Comfort zone di Elena Modorati non è quindi solo spazio accogliente e ospitale ma anche luogo di messa in questione del sé e di ricerca, come quando, persi nella nebbia, ci aggiriamo nel vuoto senza meta nella speranza e nel timore di poter, infine, urtare qualcosa.
Gabriele Salvaterra
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eliacuorealpino-blog · 7 years ago
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VERGOGNOSI ADESIVI INFANGANO LA MEMORIA DI ANNA FRANK. 
QUANDO LA MEMORIA INFANGATA E’ QUELLA DI VINCENZO PAPARELLI CHI DICE QUALCOSA?
Da lunedì tutti i media continuano a parlare di alcuni adesivi ritrovati nella Curva Sud dello Stadio Olimpico di Roma. Nei suddetti adesivi vi è raffigurata Anna Frank, la ragazzina uccisa dai nazisti, con indosso la polo della A.S. Roma. Secondo quanto riportano i media, gli adesivi sono stati apposti in Curva Sud dai tifosi della S.S. Lazio che, da tempo immemorabile, sono fedeli alle ideologie politiche di Benito Mussolini.
Ruth Dureghello, Presidente della Comunità Ebraica di Roma, ha subito colto l’occasione per attaccare l’intera tifoseria della S.S. Lazio senza considerare che in Italia ci sono migliaia di tifosi laziali che non solo non avrebbero mai fatto una cosa simile ma che - e io sono uno di quelli - ne prendono fermamente e decisamente le distanze.
Da quanto apprendo dagli organi di stampa - che per inciso sono da sempre contro la S.S. Lazio e la sua tifoseria - al momento gli uomini della Polizia del Commissariato Roma “Prati” avrebbero identificato 16 persone responsabili del gesto e tre di loro sarebbero minorenni. I responsabili, quando e se saranno condannati, rischiano una condanna per istigazione all’odio razziale e il Daspo, cioè il divieto di assistere fisicamente a manifestazioni sportive. 
Secondo voci di corridoio l’idea di affiggere gli adesivi “antisemiti” sarebbe del gruppo Ultras “gli irriducibili” che, sulla Pagina Facebook “CURVA NORD LAZIO”, hanno scritto: “Gli Irriducibili Lazio, a malincuore, si vedono costretti a rinunciare alla trasferta di Bologna per non essere complici di questo "teatro mediatico" a cui stiamo assistendo in queste ultime ore. Il nostro usuale modo di tifare, oggi, potrebbe esser mal interpretato da chi vuole danneggiare ulteriormente la Lazio evidenziando, solo ed esclusivamente, quei sporadici episodi negativi che avvengono in tutti gli stadi del mondo, ma che qui da noi assumono aspetti e proporzioni spropositate cancellando, così, in un attimo, quanto di buono e positivo invece si e' fatto nel tempo e quanto ancora e' nostra intenzione fare. Per questo motivo e visto il momento particolare , invitiamo tutti i tifosi a cercare di non prestare il fianco ad ulteriori strumentalizzazioni ricordando che il bene della lazio e della nostra curva viene prima di tutto. AVANTI LAZIO!”.
La condanna degli adesivi è arrivata da Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica Italiana, Paolo Gentiloni, Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi, Segretario Nazionale del Partito Democratico, e dalla Federcalcio che ha imposto la lettura di stralci de “Il diario di Anna Frank” nel pre-partita.
Claudio Lotito, Presidente della S.S. Lazio, nella giornata di ieri, 24 ottobre 2017, è andato con una delegazione alla Sinagoga di Roma per deporre una corona di fiori e stigmatizzare il comportamento scorretto di chi ha affisso gli adesivi nella Curva Sud. Questa mattina, però, la corona di fiori è stata rinvenuta nel Tevere come segno di rifiuto e sfregio verso la S.S. Lazio.
Da tifoso della S.S. Lazio e da estimatore del grande campione Paolo Di Canio prendo le distanze dal gesto che è stato compiuto nella Curva Sud e spero che mai più abbiano a verificarsi simili e deplorevoli comportamenti perché essere laziale è ben altra cosa.
In conclusione, però, vorrei ricordare che più volte le tifoserie della A.S. Roma hanno affisso adesivi, striscioni e quant’altro per vilipendere la figura del tifoso laziale Vincenzo Paparelli, morto a causa di un razzo lanciatogli nell’occhio dagli Ultras romanisti il 28 ottobre 1979.
Quando il povero Paparelli viene vilipeso e la sua memoria viene infangata come mai i media, il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio, il Segretario Nazionale del Partito Democratico e la Federcalcio non si indignano e non prendono provvedimenti verso chi compie tali deplorevoli atti?
La volgarità di un gesto resta tale anche quando chi ne viene colpito non è Giudeo, Comunista, Partigiano, ... Un gesto schifoso, un atto di mancanza di rispetto, va sempre punito... non solo quando a compierlo è un Ultras della S.S. Lazio.
Con rammarico e indignazione, Elia.
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