#Steven Parlato
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Formwela 8 by Esperanza Spalding from the album SONGWRIGHTS APOTHECARY LAB
#music#esperanza spalding#leo genovese#francisco mela#fernando lodeiro#luke titus#kyle hoffmann#gretchen parlato#phoelix#michael neil#michael edward neil#shamell bell#matthew stevens#matthew thomas stevens#aaron burnett#jazz#Bandcamp
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Nuovo tentativo di attentato a Trump
Due mesi dopo il tentato omicidio al comizio, l’America e Donald Trump rivivono l’incubo di un attentato. La scena è il lussuoso Trump International Golf Course di West Palm Beach, 15 minuti di macchina da Mar-a-Lago. Il tycoon è sul campo – fra la buca 5 e la sei – con l’amico inseparabile Steve Witkoff. Non c’è lo staff politico, a riposo dopo la tre giorni fra Nevada, Arizona e Utah. C’è il secret service che lo scorta come sempre. Non sono ancora le 13,30 quando gli agenti avanzati, quelli che si muovono per “pulire” il terreno e sgomberarlo da pericoli potenziali, notano la canna di un fucile spuntare da dietro una fila di alberi. C’è un uomo appostato fuori dal perimetro del campo, al di là della recinzione. Partono diversi colpi da parte degli agenti, mentre subito scatta l’operazione per mettere in sicurezza il tycoon. È portato su una golf cart e in un luogo sicuro. Il convoglio che lo condurrà nella residenza di Mar a Lago lascerà il campo solo dopo qualche ora. Nel frattempo, per sicurezza, vengono chiusi gli uffici della campagna elettorale del tycoon. L’uomo si trova fra i 365 e i 460 metri da Donald Trump. Ha un fucile Ak-47 con il mirino e gli esperti di balistica subito disputano sulla nota diffusa nel primo pomeriggio da Steven Cheung, portavoce di Trump e primo a parlare di una sparatoria nei pressi del golf club, sostenendo chel’ex presidente non è mai stato in pericolo. L’aggressore ha schivato i colpi e si è dileguato lasciando appesi alla recinzione due zaini. Gli agenti hanno trovato una camera Go-Pro e appunto il fucile. Un testimone lo ha visto balzare fuori dal bosco e infilarsi su un Suv nero della Nissan. Avendo sentito pochi istanti prima i colpi, ha avuto la prontezza di prendere la targa, fotografare la macchina e osservare le fattezze dell’individuo. Dalla sua testimonianza sono partite le ricerche, la zona attorno al campo da golf è stata sigillata: chiuse strade e accessi a West Palm Beach. Meno di un’ora più tardi una pattuglia ha intercettato la Nissan sulla Interstate 95 nella contea di Martin. L’auto è stata perquisita, non sono stati trovati segni di esplosivo. L’uomo è stato fermato e condotto alla stazione di polizia dove l’FBI, che ha mobilitato risorse e dispiegato uomini sul campo, ha preso il controllo delle indagini. Gli inquirenti non hanno diffuso l’identità del sospetto, ma tre fonti investigative hanno detto all’Ap che l’attentatore si chiama Ryan Wesley Routh. William Snyder, sceriffo di Palm Beach, ha detto che l’uomo in detenzione era tranquillo, non ha rilasciato alcuna dichiarazione. «Sono al sicuro, sto bene. Niente mi fermerà, non mi arrenderò mai», ha reagito invece una volta al sicuro Trump inviando un messaggio via e-mail ai sostenitori. Immediatamente sono stati informati dell’accaduto anche il presidente Biden e la vicepresidente e candidata alla Casa Bianca Kamala Harris. Si sono detti «sollevati nel sapere che è al sicuro». In un post su X Harris ha aggiunto che «non c’è posto per la violenza in America». l primo a parlare con Trump è stato il senatore Lindsey Graham, JD Vance gli ha parlato prima che la notizia della sparatoria diventasse di dominio pubblico: «L’ho trovato su di morale». «Sono felice di essere vivo», ha detto Trump parlando con la NBC. L’episodio arriva a due mesi dall’attentato di Butler, in Pennsylvania dove Trump stava tenendo un comizio. Fu colpito di striscio all’orecchio destro e lo sparatore, il 20enne Thomas Crooks, appostato su un tetto nelle vicinanze escluso dal perimetro di sicurezza, venne ucciso dagli agenti del Secret service. Nella sparatoria rimase ucciso Corey Comperatore, 50enne ex vigile del fuoco. In seguito all’attentato la direttrice del Secret Service, Kimberly Cheatle si è dimessa su pressioni bipartisan del Congresso. Ieri in Florida la presenza del Secret Service era limitata. Lo sceriffo della contea di Palm Beach Ric Bradshaw ha spiegato che il campo da golf sarebbe stato ulteriormente protetto se Trump fosse il presidente in carica. Il riferimento è proprio alla zona di cespugli e piante che circonda il percorso e che di fatto era fuori dal perimetro di sicurezza. Alcuni deputati repubblicani hanno già chiesto che i responsabili del Secret Service si presentino in Congresso per spiegare cosa è accaduto. Ieri l’agenda di Trump era sgombra da impegni ufficiali, dopo i due giorni trascorsi nell’Ovest fra Nevada, Arizona e conclusi con un evento di raccolta fondi nello Utah. Il candidato repubblicano però aveva in mattinata rinunciato a gettarsi nell’arena dei social. In un post su Truth ha scritto «Io odio Taylor Swift». La cantante martedì sera ha pubblicamente appoggiato Kamala Harris. Un sondaggio diffuso ieri dalla ABC ha rivelato che il suo impatto ad oggi è residuale. Il sondaggio evidenzia pure che il 56% degli americani ritenga Harris vincitrice del dibattito. Non c’è stato nessun spostamento di potenziali voti. La corsa resta in bilico e serrata soprattutto nei sette stati chiave. E ora il nuovo attentato a Trump ennesima “Surprise” di una campagna sempre più dai contorni storici. Read the full article
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Papyrus 2 - SNL
In realtà ho sussultato quando mi sono reso conto che il titolo di Avatar 2 era scritto in Papyrus ma questa volta in grassetto. Immagino che Avatar 3 sarà invece scritto in corsivo.
- Tu padre era John Wingdings? - Si, mio padre era così difficile da leggere (font Wingdings)
Ryan Gosling ha appena consegnato casualmente una recitazione degna di Oscar su uno sketch SNL. Le prestazioni di Gosling sono sempre di alto livello. Il dramma è perfetto. In attesa del film completo.
Grazie Ryan Gosling per aver parlato a favore dei grafici di tutto il mondo
I caratteri sui cartelli che si trasformano in Papyrus sono davvero un grande tocco creativo.
Papyrus scritto in Comic Sans (l'unico altro font più odiato nell'industria del design più del Papyrus) alla fine del corto è solo la ciliegina sulla torta!
Se qualcuno fosse curioso, i Wingdings nell'intertitolo finale si traducono in "The Way Of Steven"
Il modo in cui Papyrus è apparso nella sezione "Caratteri utilizzati di recente" :)
(via Papyrus 2 - SNL - YouTube)
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Review: The Precious Dreadful: A Novel
Quick Disclaimer: I was not in any form or shape paid for this review/compensated for it. I bought the book on my own initiative and out of my own pocket. No strings attached whatsoever. Also Spoiler Warning!
The Data Part
Name of the book: The Precious Dreadful: A novel Author: Steven Parlato Publishing House: Simon Pulse Pages: 353 Formats available: EBook, Hardcover ISBN:1507202776 Price: 10.75/15.99 €, 18.99$, 8.99/9.45 £ (as of writing)
Description (Amazon, Goodreads, etc.)
Combining romance and humor with elements of the paranormal, this is a profound novel about one teenage girl’s decision to redefine her life in the wake of supernatural events. Teddi Alder is just trying to figure out her life. When she joins SUMMERTEENS, a library writing group, she’s only looking to keep herself busy, not go digging around in her subconscious. But as she writes, disturbing memories of her lost childhood friend Corey bubble to the surface, and Teddi begins to question everything: her friendship with her BFF Willa, how much her mom really knows, and even her own memories. Teddi fears she’s losing her grip on reality—as evidenced by that mysterious ghost-girl who emerges from the park pool one night, the one who won’t leave Teddi alone. To top it all off, she finds herself juggling two guys with potential, a quirky new boy named Joy and her handsome barista crush Aidan, who has some issues of his own. As the summer unfolds, Teddi is determined to get to the bottom of everything—her feelings, the mysterious ghost-girl, and the memories of Corey that refuse to be ignored.
The Author
Steven Parlato, novelist and poet, is also associate professor of English at Naugatuck Valley Community College, where he serves as faculty advisor to award-winning student newspaper, The Tamarack. Parlato has played roles ranging from the Scarecrow to Macbeth, and his poetry appears in journals including Freshwater, MARGIE, Borderlands, CT River Review, Pirene’s Fountain, and Peregrine. Steven’s manuscript, JUNIOR, YA winner of the 2011 CT Shoreline Arts Alliance Tassy Walden Award, was acquired by Jackie Mitchard of Merit Press. Upon its 2013 release as The Namesake, Publishers Weekly called Parlato “a name to watch.” Most recently represented by Victoria Marini of GSLA/ICM, Parlato has led writing workshops for teens and adults at several CT libraries. Also an illustrator, he is husband to Janet and proud father of two amazing teens. Follow Steven online at StevenParlato.com and on Twitter @ParlatoWrites.
Also, now is the last time to turn back if you are not interested in spoilers! Read on at your own risk!
Cover art (Yes, I judge a book by its cover): 5/5 It’s kept in violet and reddish shade, very atmospheric for the supernatural part of the story. I think the silhouette represents Teddi. I thought while reading the book that Teddi had a more tomboyish look to her in the beginning for some reason, but this does not distract from the cover. The title is written in chalk, maybe representing the writing class. Overall, very fitting.
Readability: 3/5 First POV, and Present Tense. Two pet peeves right out of the gate. Since Teddi is the narrator I didn’t enjoy it. Maybe I’m too old but she was an obnoxious, stupid brat. I could go on and on but I’ll leave it at that… Until I get to the Characters. But, and this is the saving grace, it was easy to read and Mr. Parlato tried to keep it close to what a teenager might talk like.
Fun: 2/5 A few lines had me snickering, I admit that. It was fun, for some parts, but I was mostly shouting at Teddi when she made stupid decisions. Teenagers… Also it was pretty sad at some points. The whole backstory with Corey was nothing short of heartbreaking and I shed some tears, believe me. Hard to make me cry at a book, so kudos to Steven Parlato. I mentioned screaming at Teddi (which explains the bad score here). Mainly I did it because I didn’t quite agree with her choice of a boyfriend. Which leads to the next point.
Characters: 2/5 Frankly, I disliked most of the more prominent characters. I already mentioned not liking Teddi as the narrator - she had a distinctive voice, I admit that at least. She was an obnoxious, stupid teenager and I honestly have no time for that kind of shit anymore. Next point, her “boyfriend” Aiden. He was a shithead. I don’t give a fuck about his sob-backstory. He was an asshole from the beginning. He was borderline abusive and Teddi notices it - but she still went back to being with him. Let’s just say I wanted to smash both of their heads together more than once. This shouldn’t be the reaction to the main character and her, for the most of the book, boyfriend/love interest. Luckily, they don’t get together in the end even though it looked like it for a huge part of the novel. Thank God for that. Which brings me to the next point. Ed (or Joy as he is first introduced) is a punk. The obvious bad boy (except he isn’t) and the one Teddi ends up with. They have some tender moments, but after the last scene with Aiden when Teddi gave Aiden CPR we have a time skip and then they end up together. Nothing more. Like I said, a bit sudden and Ed had a lot less screentime than the other two. Also, he is a bit too much the clichéd bad boy with a heart of gold. Willa was Teddi’s BFF. I’m kinda… neutral about her. She seemed like a good friend (far better than Teddi was to her). Otherwise… that’s it. But, for all my criticism, I do have characters I liked. Mostly Adaluz and Eleonore who both have far too few page time. Both are wonderfully eccentric, supportive characters. Both tie in with the supernatural plot which might also be why I like them so much. I was really sad to see them not having the scene time I would have loved them to have. Teddi’s mom, Brenda, was one of the more sympathetic characters to me. She had an honest, tragic backstory and tried to look out for Teddi who didn’t make it easy on her.
Predictability: 2/5 The second the two boys were introduced I knew that those two were the Love Interests. I also pegged it correctly that Teddi would end up with Ed (or I at least hoped it). I didn’t know that the romantic plot would be so heavily featured - I preferred the supernatural way more. Also I thought that Corey was the girl who haunted Teddi until I realized that it was Teddi's childhood friend's name. My second thought about the apparition was Fawn, the other friend but she didn’t figure in in the end. Or not much, at least. I thought that Eli would feature in as a major antagonist, maybe even as a Aiden’s dealer or something. Sadly, that didn’t happen and he instead was killed in a fire, away from anything happening during the novel, almost as an afterthought to tie up loose ends.
Overall impression: 2.8/5 Yeah, not happy with the book. I originally thought the supernatural plot would figure more which it didn’t and I didn’t like the romantic plot. I didn’t like Love Interest 1 (Aidan) and found Ed a bit too cliché punk with a heart of gold. If you’re more into romance, this might be a book for you. I’m more of a fantasy type. But, the supernatural plot was heartwrenching, sad and beautiful. I shed tears, and grieved with Teddi in the end. I felt with her because her loss was nothing short of heartwrenching.
In short: If you like love triangles and heartwrenching tales of loss mixed in with a paranormal plot in a writer’s group, this is a book for you.
Favourite quotes
“More like an anomaly. I’m the one mistake my mother didn’t make repeatedly.” (Teddi to Ed about her mother)
“Alder, the Goddess Tree […] But qualities of the alder: Strength. Resilence. These are aspects to explore in your writing. Absolutely. Did you have any idea, for example, when submerged in water, alder wood hardens to the toughness of stone?” “Can’t say I did.” “Names are significant, Miss Alder. They shape - to some degree they even dictate - the people we become.” (Eleanor talking about Teddi’s names.)
Eleanor says, “Crazy? Hardly. There are three more likely possibilities.” “Three. Really?” Voice a whisper, she says, “Yes. You’re either - one: lying in some woeful bid for attention.” “Nope.” “Thought not. Option two: there’s a feral child loose, and she’s imprinted on you.” “That’s unlikely, isn’t it?” “Afraid so.” “Then… what’s option three?” Eleanor thrums the edge of her folder. Biting her lip, she regards me seriously. “I fear, Miss Alder, this may be a haunting.” (On Teddi’s recent experiences)
#writerblr#booklr#Book Recommendations#book review#blog#Steven Parlato#The Precious Dreadful#Paranormal Romance
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Kneebody - Live at le Crescent - one more prog/jazz fusion album for today
A brand new live recording from firebrand US-based collective Kneebody - one of the most adventurous and exciting bands of their generation, known for their sheer virtuosity and musicianship. In October 2019, Kneebody (featuring cornerstones of the New York jazz scene Ben Wendel, Nate Wood, Shane Endsley and Adam Benjamin) released their debut album on Edition Records, "Chapters." The all-encompassing and powerhouse record that mixes deep grooves and deft melodies was adventurous, exuberant and above all, powerful; music for a new generation from a band with a committed and distinctive sound alongside an all-star guest-list of collaborators including Gretchen Parlato, Josh Dion, Becca Stevens, Gerald Clayton and Michael Mayo. Following the success of Chapters and whilst on tour in Europe, the group played to a sold-out audience at Le Crescent in France. Performing music from their last album and firm favourites from their back catalogue, 'Kneebody: Live at Le Crescent' is vibrant and commands your attention with surprises at every turn. Everything about their musical signature is on display: displaced beats, infectious riffs and haunting unison horns blended with affecting solos and an unmatched confidence. Playing live is what makes Kneebody, Kneebody. Some of their earliest albums were recorded on lo-fi equipment from the back of club rooms, but ‘Live at Le Crescent’ brings fans up-to-date with a new instalment for 2022 and reminds us that this is a group that does not stand still. Ben Wendel - Saxophone, effects Shane Endsley - Trumpet, effects Adam Benjamin - Keyboards Nate Wood - Drums and Bass
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Storia Di Musica #177 - Lauryn Hill, The Miseducation Of Lauryn Hill, 1998
Tra i candidati a finire il mese delle storie musicali dei dischi unici, intesi come prova unica dei loro creatori, c’erano numerosi capolavori: dal meraviglioso disco dei The La’s (omonimo, del 1990, il disco con cui nasce il brit pop) al caustico e sconvolgente disco dei Sex Pistols (Never Mind The Bollocks, Here’s The Sex Pistols anno di grazia 1977), a qualche gemma minore, come l’album dei The Young Marble Giant (deliziosa band scozzese, Colossal Youth del 1980) o al disco dei Germs. Ma la scelta non poteva che cadere su questo disco, uno dei più importanti degli ultimi 30 anni: The Miseducation Of Lauryn Hill. Uscito nel 1998, dopo una travagliata gestazione, il primo e unico disco solista di Lauryn Hill, dopo lo scioglimento dei Fugees, segna la storia della musica contemporanea. Con quella band, insieme a Wycleaf Jean e Pras Michel aveva già sbancato con il disco The Score (1996) grazie ad un sound e tematiche che aprivano la cultura hip hop al mondo, abbandonando l’atteggiamento gangsta, con testi meno aggressivi e misogini e soprattutto una spruzzata di soul (la leggendaria cover di Killing Me Softly With His Song, brano di Roberta Flack fatto conoscere in tutto il mondo). In precedenza, nel 1993, era stata tra i protagonisti de il film Sister Act 2 con Whoopi Goldberg, dopo lo scioglimento dei Fugees è produttrice di Aretha Franklin e dello stesso Wyclef Jean. Tra i motivi che portarono alla rottura dei Fugees ci fu la storia d’amore spezzata tra Wycleaf e la Hill, che durante il tour di The Score ha una relazione con Rohan Marley, uno dei figli di Bob Marley, con cui avrà un figlio, Zion. Proprio durante la gravidanza la Hill inizia a scrivere e pensare il suo album solista. E lo fa seguendo la grande tradizione della musica afroamericana: una produzione sontuosa, il meglio degli ingegneri, arrangiatori e sessionisti e soprattutto un controllo totale da parte dell’artista su ogni componente artistico-musicale, in questo in pieno stile Stevie Wonder o Prince, dato che la Hill presenzia ad ogni sessione strumentale oltre che vocale. Registrato tra New York e i leggendari Tuff Gong Recording Studio di Kingston, in Jamaica, appartenuti a Bob Marley, The Miseducation of Lauryn Hill nei suoi 14 brani (più 2 hidden tracks) ridefinisce la musica rap, hip hop e soul inaugurando così la strada del nu-soul al dominio globale (parzialmente di vendite, ma soprattutto stilistico ed estetico) del genere sulla musica mondiale. Insieme alla Hill ci sono gli Ark (Vada Nobles, Rasheem Pugh, Tejumold Newton e Johari Newton), la chitarra di Carlos Santana nella meravigliosa To Zion, dedicata al figlio, la voce inconfondibile di Mary J. Blige in I Used To Love Him e il genio di D’Angelo in Nothing Else Matters, tra gli altri collaboratori ci sono Stuart Zender, che sarà con il suo basso nei Jamiroquai, James Poyser, che poi sarà uno dei pilastri dei The Roots, e al piano un giovane ragazzo, John R. Stevens, che qualche anno dopo diventerà famoso come John Legend. Nel disco c’è tutto un mondo, personale soprattutto, ma che non ha paura di denunciare e combattere, come nell’apertura di Lost Ones, prorompente e impetuosa, sul mondo dell’industria musicale e dei suoi tranelli; Ex-Factor, probabilmente indirizzata a Wyclef Jean, sa del soul di Marvin Gaye. Doo Wop (That Thing), singolo da milioni di copie e numerosi record, ha in campionamento Together Let's Find Love dei The 5th Dimension. Superstar omaggia Light My Fire dei Doors, riprendendone leggermente la melodia; Final Hour addirittura campiona Prince in un ideale passaggio di consegne creativo, When It Hurts So Bad, probabilmente autobiografica, è un brano dolente e appassionante. Non può mancare un accenno al reggae in Forgive Them Father, omaggi al maestro Wonder con Every Ghetto, Every City. Everything Is Everything, altro singolo di successo, con uno sconosciuto (all’epoca) John Legend al piano, è il brano più politico. Manco la cover è sbagliata, nella bellissima reinterpretazione di Can't Take My Eyes Off Of You scritta da Bob Crewe e Bob Gaudio per Frankie Valli. Tutta questa meraviglia non passa certamente inosservata: 19 milioni di copie vendute nel mondo, nel 1999 10 candidature ai Grammy Awards, con ben 5 premi vinti, tra cui tutti i più importanti. Doo Wop (That Thing) prima canzone di un’artista femminile ad esordire direttamente al numero uno della classifica Billboard. Eppure non tutto filò liscio: la Hill fu per tutto il tempo di registrazioni e produzione ai ferri corti con la Columbia per mantenere l’assoluta libertà creativa dato che la casa editrice le suggerì di farsi aiutare da RZA del Wu-Tang Clan, gli Ark in seguito le fecero causa per mancati crediti sulle canzoni (diatriba finita anni dopo con una transazione milionaria), la Hill decise di sua spontanea volontà di andare in Jamaica a registrare in un ambiente “senza vibrazioni negative”. Tra le varie tracce sono chiaramente udibili degli stralci parlati, del maestro e poeta Ras Baraka che parla a un gruppo di bambini nel salotto della casa di Lauryn Hill nel New Jersey. La Hill decise dopo questo capolavoro di ritirarsi a vita privata con Rohan Marley: ogni tanto ha pubblicato dei singoli estemporanei, ha tentato senza successo la reunion dei Fugees, ha avuto processi per evasione fiscale, accusa per la quale è stata anche in carcere. Si è parlato anche di sopravvenuti problemi psicologici, ma non importa, perché con questo disco, che nel 2020 è stato nominato il più grande disco del rap dalla rivista Rolling Stone, Lauryn Hill dà prova di una classe unica e fondamentale per tutta la generazione successiva a questo capolavoro.
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Steven Brian Pennell, conosciuto anche come il killer di Route 40, è stato condannato per gli omicidi di due donne della contea di New Castle, nel Delaware. Inoltre è sospettato di aver ucciso altre tre donne. La maggior parte delle sue vittime sono state rapite nella Route 40, vicino a Bear.
La prima vittima è stata la 23enne Shirley Anna Ellis, un’infermiera. Il 29 novembre 1987, la ragazza lasciò il Wilmington Hospital intorno alle 18:00, dove stava aiutando un malato di AIDS, e decise di chiedere un passaggio sulla Route 40 ad uno sconosciuto.
Il suo corpo fu successivamente trovato sul ciglio della strada da due giovani ragazzi. Era parzialmente nuda, con le gambe divaricate, mani e piedi legati con del nastro adesivo. Non c’erano segni di violenza sessuale, ma non c’erano dubbi sul fatto che fosse stata gravemente abusata. Il suo assassino le aveva legato i capelli con del nastro adesivo e successivamente colpita con dei colpi di martello alla testa.
La seconda vittima è stata la prostituta divorziata di 31 anni Catherine DiMauro. Il 28 giugno 1988, circa sette mesi dopo il primo omicidio, intorno alle 23:30, fu vista camminare lungo la Route 40, ma non era chiaro se si stesse prostituendo. Alle 6:25 del mattino seguente, alcuni operai edili hanno trovato il suo corpo nudo in un cantiere. Non sono stati trovati segni di violenza sessuale. Come Ellis, anche lei è stata uccisa da colpi di martello e strangolamento, inoltre il suo corpo era ricoperto da lividi.
Dopo il secondo omicidio, le forze speciali di polizia e l’FBI hanno capito che un serial killer stava operando nelle immediate vicinanze della Route 40. Per questa ragione si decise di attuare un piano: ricoprire la zona di finte prostitute per attirare il killer. Il piano, però, non ebbe il successo sperato.
Nell’agosto del 1988 un’altra donna sparì, la 27enne Margaret Lynn Finner anche lei una prostituta. Qualche mese dopo il suo corpo fu ritrovato da un cacciatore vicino al canale navale di Chesapeake-Delaware. Il suo corpo era così gravemente decomposto che non fu possibile determinare la causa precisa della morte, sul suo corpo in ogni modo furono evidenti i segni di una terribile tortura. Fu identificata grazie alla impronti dentali.
Susseguirono anche altre due vittime: Michele Gordon e Kathleen Mayer, di quest’ultima il corpo però non fu mai trovato.
Il 14 settembre 1988, però, si arrivò alla prima svolta: una agente di polizia sotto copertura si finse una prostituta e nel giro di pochi minuti notò una Ford blu più volte lungo la Route 40. Si avvicinò e alla guida c’era un uomo che tentò di farla salire, l’agente con una scusa non salì nella macchina ma notò alcuni dettagli nell’uomo che la fecero insospettire. Dall’analisi della targa si scoprì che il veicolo apparteneva a Stephen Brian Pennell, un elettricista di 31 anni, sposato e padre di due figli, senza precedenti penali.
Nel novembre del 1988, dopo una perquisizione nell’auto dell’uomo in cui furono trovate tracce di sangue e capelli di donne, Pennel è stato arrestato per aver ucciso almeno tre donne: Ellis, DiMauro e Gordon. L’uomo optò per il silenzio e non rispose mai alle domande.
Dopo due processi, nei quali la difesa dell’uomo ha parlato di un’infermità mentale, Pennel è stato condannato alla pena di morte. Nel dettaglio, il 14 marzo 1992 alle 21:49, Pennell fu giustiziato con un’iniezione che gli provocò il decesso, diventando la prima persona giustiziata nel Delaware in 46 anni. Inoltre fu la 165esima persona in tutti gli USA a ”subire” tale condanna da quando la pena di morte fu ripristinata nel 1976.
#Steven Brian Pennell#Route 40#serial killer#New Castle#Delaware#Bear#Shirley Anna Ellis#Wilmington Hospital#Catherine DiMauro#FBI#Margaret Lynn Finner#Chesapeake Delaware#Michele Gordon#Kathleen Mayer
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Il talentuoso Vice Deck si allea con un giovane ma talentuoso Detective Baxter per catturare un serial killer. Deck è famoso per la sua capacità di prestare attenzione alle piccole cose che contano per le indagini, ma la sua riluttanza a seguire le regole lascia Baxter con una scelta difficile. Allo stesso tempo, Deku deve affrontare gli oscuri segreti del suo passato.
In tutti questi passaggi, l'uscita del 29 gennaio di Hancock The Little Things, un fantastico thriller di ritorno al passato con tre spettacoli da non perdere. La Warner Bros continua a negoziare nel tentativo di placare Denzel Washington, Rami Malek e Jared Leto, il trio di vincitori di Oscar che sono rimasti colti di sorpresa dopo aver concluso il film. Lo studio ha bisogno di loro per promuovere il successo della sua prima versione ibrida HBO Max / teatrale. Qui, Hancock spiega perché ci è voluto così tanto tempo per realizzare questo agghiacciante mistero di omicidio, e come sta riconciliando il colpo della WarnerMedia come l'ultima sfida in un viaggio di tre decadi che si è riunito con il miglior cast che avrebbe potuto immaginare. Washington e Malek recitano nei panni di poliziotti eccessivamente ossessionati che danno la caccia a un sospetto in una serie di brutali omicidi seriali, concentrandosi su un sospetto che ama giocare con i suoi inseguitori. Tutto questo accade nel 1990, prima che i progressi tecnologici come il DNA, i computer collegati a Internet e persino i telefoni cellulari cambiassero la natura del lavoro di polizia. DEADLINE: Quanto tempo ci è voluto per portare questo thriller serial killer The Little Things al suo status di primo film della Warner Bros del 2021 che sarà presentato in anteprima su HBO Max non appena uscirà nelle sale americane? JOHN LEE HANCOCK: L'ho scritto prima di Se7en. L'altro giorno mi sono imbattuto in una bozza che diceva che era stata registrata per la prima volta presso la Writers Guild nella primavera del 1993. L'ho scritta subito dopo A Perfect World. DEADLINE: Per te da dirigere? HANCOCK: No. Un mondo perfetto era uscito, con Clint Eastwood. Non stavo ancora dirigendo. Avevo un contratto per tre film alla Warner Bros basato su A Perfect World e uno di questi era un contratto per film ciechi con Steven Spielberg. A quel tempo, Steven era attaccato per un po 'e poi ha sentito che era troppo buio per lui. Aveva appena fatto Schindler's List e voleva fare qualcos'altro. Clint è stato attaccato per un po ', ho discusso molte cose con Warren Beatty, poi Danny DeVito quando dirigeva molto. Ho iniziato a dirigere seriamente con The Rookie intorno al 2002. Mark Johnson era sempre stato il produttore, e veniva da me ogni due anni circa quando qualcuno era interessato. Avrebbe chiesto, vuoi dirigerlo? All'epoca avevo bambini piccoli e non ero sicuro di voler vivere in quel posto buio per due anni. Poi ho avuto conversazioni con due amici, Scott Frank e Brian Helgeland, entrambi grandi fan della sceneggiatura, e mi hanno incoraggiato a dirigerla. Hanno adorato la sceneggiatura. Così sono tornato indietro e l'ho letto. Non sapevo se la Warner Bros sarebbe stata necessariamente interessata a realizzarlo. Ma lo possedevano e non c'era materiale sottostante. Era qualcosa che avevo inventato e, allora, non mi pagavano molto per scriverlo. Quindi non c'erano molti soldi contro. Avevo appena fatto un film per Netflix e ho pensato che se la Warner Bros non vuole farlo, Netflix potrebbe, e la Warner Bros potrebbe lasciarmi andare da lì. Poi, la Warner Bros lo lesse; Courtenay Valenti era l'unico che era ancora in giro da allora a leggerlo prima. Ha detto, prima ancora di considerare di regalarlo a turno, dobbiamo leggerlo tutti. Due settimane dopo, Courtenay tornò e disse: Ho cattive notizie e buone notizie. Tutti hanno adorato la sceneggiatura, ma se non ce la faranno, non sono sicuro che la lasceranno uscire dalle mura. Poi ha avuto una vita propria dopo 30 anni, e la prossima cosa che sai che stavamo facendo. SCADENZA: Cosa significa "una vita propria"? HANCOCK: Beh, nessuno l'ha letto da molto tempo. La prima tappa è stata Denzel. Avevo una relazione perché avevo riscritto su Magnificent Seven e inoltre ero stato in Sud Africa con Denzel, facendo riscritture su Safe House. Abbiamo avuto un rispetto reciproco e abbiamo passato molto tempo in una stanza insieme a parlare di storie. Quando la Warner Bros ha chiesto a Mark Johnson e io: "Chi ti piacerebbe interpretare Joe Deacon?" - ne abbiamo parlato e abbiamo detto: "Denzel sarebbe fantastico." Ha letto la sceneggiatura, ne abbiamo parlato e ha detto: "Facciamolo". Era troppo bello per essere vero. Il passo successivo è stato chi interpreterà Jim Baxter, e Denzel e io abbiamo pensato che Rami Malek sarebbe stata una scelta interessante. Rami ha detto di sì. Ho avuto una piccola relazione con Jared Leto, che era un fan di un film che avevo diretto, The Founder ... DEADLINE: Il dramma in cui Michael Keaton ha interpretato il pioniere d'acciaio di McDonald's Ray Kroc. Il modo in cui quel film fantastico non ha tenuto conto della corsa agli Oscar l'anno in cui è uscito è un enigma, anche se si diceva che Harvey Weinstein non avesse i soldi per spingerlo adeguatamente ... HANCOCK: Quel film è una tragedia separata con Harvey Weinstein. Tutti dicevano, è al verde, è al verde, e hanno continuato a spostarlo e spostarlo, e poi abbiamo scoperto in seguito perché era al verde. Ma Jared era un grande fan e aveva detto: "Sono più interessato a fare la mia musica ora, ma se hai qualcosa ..." Cappello in mano, sono andato da Jared e gli ho detto: "Non è il protagonista, ma un parte importante." L'ha letto e ha detto di sì. La prossima cosa che sai, abbiamo tre vincitori di Academy Award, abbiamo fissato una data di produzione e siamo andati in preparazione.
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uno scrittore geniale che non avremo mai più.
Nella primavera del 1999 mandai una cugina siculo-canadese esperta di pop svenevole e di mondanità in una libreria di Barnes & Noble a Montréal a caccia dell'autografo di uno scrittore. Il mio scrittore vivente preferito presentava una ristampa del suo primo successo editoriale, e anche se abitavo letteralmente dall’altra parte del mondo, mi sono accorto che volevo comunque un autografo vero e proprio su un suo libro vero e proprio da poter mettere su un mio ripiano vero e proprio. Dato che in quel momento guadagnavo una miseria (non che ora io guadagni chissachè, ma non poco quanto allora) non potevo andare di certo di persona alla presentazione, e mi vergognavo anche un po’ d’essere tra i pochi a farne nome in un periodo in cui i miei compagni del liceo, mi ricordo, stravedevano per autori come Isabella Santacroce o Alessandro Baricco. Mia cugina, invece, a prezzo di un certo sacrificio ha vuotato l'amaro calice di non poter proporre ai suoi amici la presentazione di un nuovo libro di Wilbur Smith, primo nelle vendite già allora, e ha accettato di andar al mio posto. La Ragazza dai Capelli Strani (Girl with Curious Hair, in orginale suona anche meglio) era stata, nel 1989, la prima memorabile raccolta di suoi racconti. La messa in fila di una decina di perle. Da quella volta, quel libro, verrà ristampato in almeno altre cinque o sei occasioni soltanto in Italia - sempre dalla Minumum Fax. Il giorno dopo l’appuntamento era a un’ora improbabile su MSN (per qualcuno di voi come dire l’Alto Mesozioico). Le ho chiesto un resoconto della serata: “Il posto era pieno che non ci si poteva muovere… e poi è arrivato lui“ “Com’ era vestito?” “Mmmh.. aveva una specie di camicia da matematico? Anzi, aveva una camicia da prof di matematica, hai presente, con le maniche corte?“ “Ma aveva pure le penne nel taschino?“ “No, niente penne!”. “😛” “😁” “E poi che altro? Che mi dici? Portava la bandana?“ “Sì una grande bandana… si sta facendo crescere i capelli ha detto. Sudava un casino. Sembra la versione intellettuale del cantante dei Blind Melon” “Shannon Hoon?” “Si” “Ma Shannon Hoon mica porta la bandana!” “Se è per questo è pure più figo” “😄” “😝”. “Ma vi ha letto qualche cosa?” “Si, per circa mezz’ora…” “Ed è stato molto terrificante? Voglio dire, tu c’hai capito qualosa?” “Guarda che è stato grandioso… ma nella parte delle domande e risposte è stato più divertente. E’ serio ma è un tipo in gamba davvero“. “Perché? Cos'è successo?”. “Okey, allora, per esempio, uhm… c'era un ragazzo… e gli fa questa bella domanda su “che effetto fa sapere che fra i tuoi coetanei e per un sacco di lettori più giovani, tu sei un po’ un mito, e se ne sei consapevole, e che effetto fa esserne consapevole se lo sei eccetera”, e tra il pubblico c'è stato un mormorio come dire: Giusto, bella domanda, e allora lui, David, ha detto una cosa del tipo: “Non lo so se ne sono consapevole, ma sono un po’ scettico su tutta questa concezione… e poi ha parlato di DeLillo e Thom Pynchon e di come c'era questa specie di amore-odio totale per loro quando la sua generazione faceva l’ università, e delle inimicizie tra i fan di Capote e quelli di Kerouac prima… e di come queste situazioni siano un po’ rock, almeno nella misura dell’inutile rivalità tra gli Stones e i Beatles… è stato divertente, davvero, bella testa!”. “E il libro te lo sei fatto firmare?” “Ah, no, scusa… c'era una fila e non finiva più… avevo un impegno e quindi sono andata via… e in ogni caso sarebbe stato troppo strano… cioè, andavo lì e gli dicevo? Ciao sono la cugina di un ragazzo italiano che non è potuto venire, non ho mai letto nulla di tuo ma per piacere mi firmi questo… mi sono sentita un’imbrogliona, una crocerossina fuori luogo, mi sono vergognata insomma… ma ti ho preso una copia eh…”. “Ma che me ne faccio ora di una copia in originale senza autografo quando già posseggo la versione in italiano senza autografo?” me lo tenni per me. Ci sono altre cose insolite in questa storia, però: 1) Un lettore italiano di poco più di 2O anni che vuole per sé l'autografo di uno scrittore vivente scoperto quasi per un puro caso tra un disco degli AFI e uno dei Type O Negative 2) Un gran numero di persone che si va a suppare un tizio americano che presenta una ristampa dopo una manciata di libri dai titoli volutamente antipatici (Una Cosa Divertente Che Non Farò Mai Più, Brevi Interviste Con Uomini Schifosi, Il Rap Spiegato Ai Bianchi) e un monolite di oltre 13OO pagine fatto di trame, sottotrame e note a piè di pagina chiamato Infinite Jest che qualcuno ha definito il suo capolavoro. 3) Un gran numero di canadesi, che nella mia testa immagino freddini e austeri come Leonard Cohen, che emette mormorii di approvazione quando qualcuno lascia intendere che uno solo fra loro è straordinariamente intelligente, pieno di talento e spiritoso 4) Una cugina lasciata con un CD di Natalie Imbruglia che, in mezzo a questo pubblico, si trova a pensare al cantante dei Blind Melon e fare a sua volta mormorii d’approvazione. 5) Un gruppetto di intellettuali che, assai propabilmente nascosti tra i presenti nell’aspetto di altri scrittori e aspiranti tali, tollera qualcuno con una bandana in pubblico senza che sia Little Steven. La spiegazione delle suddette stranezze è che David Foster Wallace godeva di un grande e insolito affetto da parte di molti fra coloro che costituiscono quella che viene chiamata educatamente “la cricca dei lettori”. Come spiegarlo? Non è solo il fatto che Wallace producesse della buona narrativa - ovvio è così, ma in un certo senso questo è un aspetto marginale. E non è nemmeno il fatto che fosse divertente e innovativo e geniale nel riuscire a rendere attraente diverse cose notoriamente stracciapalle come i numeri o la noia (leggetevi il bellissimo Il Re Pallido) e dotato in maniera leggendaria dei vari strumenti di cui bisogna un romanziere per fare il proprio lavoro (empatia, intuito, perspicacia, abilità di connessione, aver-letto-tutto-quel-che-esiste-sulla-faccia-della-terra). Non ha poi molta importanza cosa facesse - se scrivesse un reportage sulla campagna elettorale di un senatore, oppure un libro sull’idea d’infinito nella matematica, o un articolo sulle navi da crociera, o sull'uso del linguaggio al giorno d’oggi, o sul tennis, o le storie di molta gente che non esiste affatto, e che fa cose che non sono successe davvero. La narrativa era una delle varie cose che David Foster Wallace faceva con il cervello, senza timore di mescolare quello che gli americani chiamano highbrow e lowbrow, la cultura alta e quella popolare, o di essere divertentissimo e serissimo nel giro di due pagine, ma i suoi fan hanno imparato da subito a tenere d'occhio attentamente tutto quello che produceva - che fosse un saggio, un'introduzione, metà conferenza o perfino un'intervista in radio, proprio come di solito si fa con le “rockstar”. Perché quando una voce è tanto voluminosa, la si vuole sentire in qualsiasi forma. David Foster Wallace era un'intelligenza generosa - ed è a questo che volevo arrivare in fondo. E su di me fa un effetto che Capote non è mai riuscito a fare. Né DeLillo. Mentre David mi fornisce tutte le informazioni di cui ho bisogno, con tutta la precisione che mi serve per capire come stanno le cose, di cosa è fatta la nostra modernità e, nel mentre, riesce comunque ad aver una risonanza tale da ricondurmi a me stesso. Ricondurmi alla mia vita vissuta, alle mie esperienze affettive più autentiche, alle mie paure, e al mio singolare (ma, senza ombre di dubbio, condiviso) destino. E d'altra parte, ciascuno troverà o ha già trovato un proprio modo di leggerlo, non c'è dubbio. E’ in questo senso che Wallace è a tutti gli effetti uno scrittore di culto, come Erlend Loe o Azar Nafisi, oppure Wers Anderson e David Lynch nel cinema: sembra che stia parlando soltanto a voi. Se ve ne ho parlato attraverso un aneddoto è perché, se in parte è difficile scindere le persone che non ci sono più dai ricordi che ce li hanno fermati nella memoria, se devo esser onesto, è anche perché Wallace è il genere di scrittore di cui si preferisce non parlare o scrivere; in questo senso mi ricorda Charms. Quando si cerca di dire qualcosa di più riguardo a Charms mi pare sempre di vedere da qualche parte, con l'occhio della mente, Daniil stesso che fa smorfie. Wallace era un grande produttore di smorfie e in modo particolare i suoi saggi ne sono ancora pieni: verso la crudeltà, la vanità, la prepotenza emotiva e, più di ogni altra cosa, della volgarità intellettuale degli uomini. Forse è poi per tutto questo che, dietro la timidezza dello sguardo, la spiccata rapidità nell’incontro dialettico (”Una spiegazione lunghissima per una domanda innocua”, ironizzava in un’intervista) o la lettura illuminante di ogni fottuto avvenimento, provava un dolore al quale non ha saputo resistere. David Foster Wallace si è tolto la vita impiccandosi nella sua casa di Claremont, in California, dieci anni fa, il 12 settembre del 2OO8. Aveva compiuto 46 anni, e specie negli ultimi tempi, aveva dato a tutti l'impressione di essersi liberato dai demoni che lo tormentavano fino da quando era bambino, e di avere trovato la serenità, se non addirittura la felicità con la moglie, che era solito chiamare con nome e cognome: Karen Green. Non per vezzo, ma come elemento rivelatorio di sé, del suo carattere e anche del suo sguardo sull'esistenza: in quel modo di rivolgersi per esteso alla donna amata, c'era di certo un misto di ironia e affetto, ma anche, soprattutto, l'esigenza di comprendere e definire con minima precisione ogni elemento dell'esistenza, anche il più intimo. Non una Karen a caso, Karen Green. Quando venne ospite delle Conversazioni Letterarie, nel 2OO6, a Capri, la sera catturò un'enorme cavalletta che aveva fatto fuggire gli altri scrittori inorriditi e gliela regalò. Come si fa a non voler bene a uno così?
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Gerrard svela i suoi obiettivi con l'Aston Villa -notizie di calcio
Gerrard svela i suoi obiettivi con l’Aston Villa -notizie di calcio
notizie di calcio Steven Gerrard, la leggenda della nazionale inglese ed ex squadra del Liverpool, ha confermato che il suo incarico come allenatore dell’Aston Villa era un’opportunità che non potevo permettermi di perdere. Gerrard ha parlato ai media per la prima volta dalla sua partenza dai campioni della Premier League scozzese Glasgow per prendere il posto dell’Aston Villa, che attualmente è…
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Call me by your name
Andate nel cinema più vicino a voi e guardate questo film, se lo trovate in lingua originale ancora meglio. Non lo dico da snob perché “guardare i film in lingua originale è meglio”, ma questo è un caso particolare: è un film parlato in tre lingue - inglese, italiano e francese - quattro se contiamo anche il dialetto. Ogni lingua è una sfumatura necessaria al contesto in cui è inserita. Guardare il film completamente in italiano, lo appiattisce. Nulla da togliere ai doppiatori italiani, ma poi non venitemi a dire “l’Oscar se lo merita Gary Oldman” se avete tolto a Timothée Chalamet la possibilità di conquistarvi con il suo francese, il suo italiano imparato in un mese e la sua espressività. È un film in cui la cultura fa da sfondo, le quattro lingue sono uno dei tanti specchi in cui questo sfondo si riflette. Un altro è la musica, che spazia tra i generi più svariati: dalla dance anni 80 di Love My Way, a Battiato, fino alla colonna sonora di Sufjan Stevens, che è un artista fenomenale e che mi aveva già fatto piangere nella prima puntata di This Is Us. Sufjan Stevens con Mystery of Love, Visions of Gideon e Futile Devices ti racconta di emozioni e tocca punti di te che non sapevi neanche di avere. Un po’ come Guadagnino con la sua regia e le sue location, James Ivory con la sua sceneggiatura (adattata al libro di André Aciman che sono impaziente di leggere) e Timothée Chalamet con la sua interpretazione mozzafiato a soli 22 anni. Un po’ come questo film, che era in fondo alla mia lista dei film da guardare, perché “che palle un altro film sui gay”, e invece no. Non è un film su una storia d’amore gay, è un film sulla crescita personale, sulla famiglia, sull’importanza di avere il cuore spezzato, è un film sul dolore e sull’amore. Per dirlo con le parole di Timothée Chalamet, l’amore non dovrebbe essere incasellato in omosessuale, etero, bisex o un amore per le pesche, ma dovremmo essere in grado di non etichettare l’amore, di mantenerlo lontano dalle definizioni sotto le quali siamo abituati a vivere, perché solo allora possiamo essere davvero liberi e capaci, come Oliver e Elio, di impegnarci pienamente nell’amore, nel dolore e nella sofferenza, non aggiungendoci sopra uno strato di auto odio per il fatto di soffrire.
E credo proprio di poterlo dire: questo è un film che ti cambia la vita.
#cmbyn#chiamami col tuo nome#timothée chamalet#armie hammer#luca guadagnino#james ivory#andré aciman#sufjan stevens#film#movie#love
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AllMusic Staff Pick: Alan Hampton The Moving Sidewalk
While he made his name as a bass player for artists spanning Sufjan Stevens and Robert Glasper before releasing this solo debut, the sophisticated, yearning melodic and harmonic sensibilities of Hampton's songwriting output reveal a mastery of the treble clef. With a Debussy-like grace, his dreamy chamber songs often seem rooted in the classical world as much as their more-tangible mix of singer/songwriter pop, jazz, and Americana. His voice shouldn't be overlooked either; its warm, reedy tone has since been featured on recordings by Esperanza Spalding, Gretchen Parlato, and others, including a recurring gig as bassist/backup singer for Andrew Bird.
- Marcy Donelson
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26 ago 2020 11:16 PIRLO, “UN COSTO MINORE” - ANDREA AGNELLI GLI HA AFFIDATO LA PANCHINA DELLA JUVENTUS PER RISPARMIARE: I CONTI SONO IN SOFFERENZA - L’EX CENTROCAMPISTA MAL VISTO DALLA TORINO BENE PER LA SUA STORIA CON VALENTINA BALDINI, EX DI RICCARDO GRANDE STEVENS (UNA FAMIGLIA CHE SOTTO LA MOLE PESA PARECCHIO) - IL PROBLEMA INGAGGI, LE SCELTE TECNICHE, LA SQUADRA VECCHIA E LE ASPETTATIVE SU PIRLO GONFIATE DAI GIORNALI PRONI
1 - DAGOREPORT
I quotidiani hanno già intinto la penna nella saliva per incensare la (prematura) epopea di Andrea Pirlo sulla panchina della Juventus. E’ una scommessa, sia chiaro. Anzi una scelta per “costo minore”. Andrea Agnelli ha le casse in sofferenza e l’investitura dell’ex centrocampista è stata una manovra per risparmiare. Una scelta che, però, non è piaciuta ai tifosi bianconeri della Torino bene, quelli che storcono il naso quando la forma non è linda, pinta e ipocritamente rispettata. Pirlo ha una “macchia” nel suo curriculum.
Non calcistico, sia chiaro, ma amoroso. Nel 2013 lasciò la moglie, Debora Roversi, dopo 13 anni di matrimonio e due figli, per la pr Valentina Baldini nota per essere stata fidanzata con Riccardo Grande Stevens, figlio di Franzo Grande Stevens, storico avvocato della famiglia Agnelli e un tempo amico intimo dell’Avvocato.
Non si è mai capito se la biondina abbia iniziato la storia con l'ex calciatore quando ancora stava ufficialmente con Grande Stevens. Corna o non corna?
In un'intervista a "Chi", l'avvocato, tra un dico e non dico, lasciò intendere che la storia d'amore finì - dopo dieci anni - proprio per colpa del calciatore. Anche se alla domanda precisa rispose con un giro di parole: "La storia è finita: punto. Io non do peso alle cose che si sentono raccontare. Ricordate che tutto dipende sempre dalla qualità del chiacchiericcio: per star male, deve valerne la pena". Insomma il mite Pirlo ha “beccato” in un recinto da cui avrebbe dovuto tenersi alla larga. E c'è chi, al di là delle dichiarazioni ufficiali, non dimentica il torto subito...
E poi c’è il lato tecnico. La Juventus è una squadra vecchia, economicamente provata dagli investimenti degli ultimi anni e che non riesce a smaltire gli ingaggi pesantissimi riconosciuti a Cristiano Ronaldo e Higuain (a cui la società ha proposto la rescissione del contratto a costo di una pesante minusvalenza in bilancio). I limiti della gestione bianconera, nella programmazione, sono nuovamente emersi dopo aver visto trionfare Kingsley Coman in Champions league: il francese è stato venduto a 19 anni al Bayern per 28 milioni incassati in tre anni.
Nel frattempo, in vista della prossima stagione, sono stati rinnovati i contratti rinnovati a nonno Buffon (42 anni) e Chiellini (36), mentre si cerca di ingaggiare Dzeko (34). E poi c’è la grana Dybala. Il talento del futuro, che la Juventus è disposta anche a vendere in presenza di offerta congrua, batte cassa per il rinnovo: vuole passare dagli attuali 7,3 milioni a stagione a 15. E’ un’esternalità negativa dell’ingaggio di CR7: strapagare il portoghese 31 milioni all’anno spinge gli altri campioni a chiedere di più.
2 - PIRLO: «PREDESTINATO? DIPENDE DAI RISULTATI»
Paolo Tomaselli per il “Corriere della Sera”
Pensare a un calcio di «possesso palla, dominio del gioco e veloce recupero del pallone» sulla scia di Maurizio Sarri, ma puntando sulla flessibilità, il dialogo, l'empatia. Ovvero l'esatto contrario di quello che la Juventus aveva scelto un anno fa, salvo poi pentirsene, non certo per esclusiva colpa del tecnico dalla gavetta infinita. Il nuovo allenatore dalla gavetta inesistente deve innanzi tutto spazzare i cocci da terra e poi penserà al resto. Perché in casa bianconera c'è da «riportare entusiasmo e voglia di sacrificarsi uno per l'altro per raggiungere gli obiettivi».
Prima dei moduli («a 4 difensori ma anche a 3 quando si attacca»), della permanenza di Dybala («Mai stato sul mercato») o dei nuovi innesti da concordare con la società («Voglio un certo tipo di giocatori»), la missione da non fallire è una soltanto: rimettere spogliatoio e allenatore sulla stessa lunghezza d'onda. Per farlo, bisogna riconquistare Cristiano Ronaldo, mettendogli a disposizione un centravanti più adatto al suo gioco e anche ovviamente a quello del resto della squadra: Dzeko potrebbe essere la soluzione migliore nel rapporto qualità-prezzo.
Scaricare Higuain, anche a costo di fare una minusvalenza di 18 milioni, era il primo passo in questo senso e Pirlo lo ha già fatto: «Con lui ho parlato, è una persona che ammiro tantissimo. Ha fatto un ciclo importante, però i cicli finiscono e abbiamo deciso che le strade si devono separare. Ci siamo guardati negli occhi e abbiamo preso questa decisione». Pirlo è stato annunciato dal club (per bocca del direttore dell'area tecnica Paratici) come un allenatore «predestinato». Un modo per rendere più nobile la pressione enorme che attende il nuovo arrivato.
Ma lui sembra pronto a dribblarla, come quando giocava: «Io un predestinato? Dipenderà dai risultati: mi è stato detto da calciatore e spero possa esserlo ancora. Credo nelle mie possibilità e di poter raggiungere questo obiettivo anche da allenatore. Sono al posto giusto nel momento giusto». Personalità e idee chiare non sembrano mancare. E il dialogo può essere il vero punto di (ri)partenza - e di rottura con Sarri e l'ultimo Allegri -. Non a caso Pirlo vuole «riportare l'entusiasmo che si era un po' perso, lavorare e parlare tanto con i giocatori. Fargli capire situazioni e dinamiche del gioco, renderli partecipi negli allenamenti per fargli entrare in testa ciò che vogliamo effettivamente: un lavoro sul campo, ma anche un lavoro di rapporti umani, parlando di cose tattiche e psicologiche».
Andrea va alla ricerca del tempo perduto nella costruzione del gruppo, sfruttando una parte del lavoro fatto da Sarri sul campo, con l'obiettivo di ricreare l'energia dei primi anni di Conte, l'allenatore che più di tutti ha segnato l'approccio di Pirlo alla nuova professione: «Magari poter raggiungere quella voglia, quella coesione e quello spirito di sacrificio...». Lo spirito di nove anni fa, per il decimo scudetto. Per adesso è più facile a dirsi che a farsi. Ma dentro a un gruppo anche le parole pesano. A seconda di chi le dice. E di come le dice.
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Lotta alla povertà: il capitalismo è lo strumento più efficace
Prima dell’alba del capitalismo, circa 200 anni fa, il 90% della popolazione globale viveva in condizioni di povertà estrema. Oggi questa cifra è scesa al di sotto del 10%, grazie soprattutto ai progressi degli ultimi 35 anni. È aumentata l’aspettativa di vita. La stessa Cina dimostra ironicamente che il capitalismo è il miglior sistema economico per ridurre la povertà. Il “miracolo cinese” è avvenuto perché, dopo la morte di Mao, si sono avviate riforme di libero mercato e introdotti diritti alla proprietà privata.
È ormai un luogo comune diffuso, anche nel mondo cattolico, che la globalizzazione del capitalismo abbia condotto, negli ultimi 35 anni, ad un aumento inaccettabile della disuguaglianza. “I ricchi sono sempre più ricchi, i poveri sono sempre più poveri” e per sanare questa ingiustizia vengono proposte soluzioni solo politiche di redistribuzione della ricchezza e cooperazione allo sviluppo. Lo shock economico provocato dall’epidemia di Covid ha ulteriormente rafforzato questa retorica. Rainer Zitelmann, storico e sociologo tedesco (finora noto in Italia solo per la biografia Hitler, edita da Laterza nel 1998), ribalta questa prospettiva. Rainer Zitelmann esce in Italia in questi giorni con La forza del capitalismo. Un viaggio nella storia recente di cinque continenti, edito da Istituto Bruno Leoni. In questo articolo originale, che riassume le tesi del suo lavoro, dimostra, cifre alla mano, come sia la globalizzazione del sistema capitalista il miglior strumento di lotta alla povertà. Un argomento molto solido, da un punto di vista storico ed economico, che un cattolico non dovrebbe ignorare (S. Magni)
***
L’argomento pro-capitalista più importante, che dovremmo insegnare ai giovani, è che il capitalismo è il miglior sistema economico per ridurre la povertà. Prima dell’alba del capitalismo, circa 200 anni fa, il 90% della popolazione globale viveva in condizioni di povertà estrema. Oggi questa cifra è scesa al di sotto del 10%. Ed è particolarmente interessante che metà di questa riduzione sia avvenuta negli ultimi 35 anni, come dimostra Steven Pinker nel suo libro impressionante Enlightenment Now.
E sono esattamente gli stessi 35 anni in cui, secondo l’economista francese di sinistra Thomas Piketty, è aumentata la disuguaglianza nel mondo. Soprattutto, gli anti-capitalisti lamentano che i ricchi stiano diventando ancora più ricchi e che ci sono sempre più miliardari. In effetti, il numero dei miliardari è improvvisamente cresciuto negli ultimi 30 anni. Nel 2000 c’erano solo 470 miliardari nel mondo. Oggi, secondo Forbes, ce ne sono 2.153. Quel che i contestatori del capitalismo non riescono ad ammettere è che l’aumento del numero di miliardari nel mondo e la riduzione del numero di persone che vivono in povertà sono due facce della stessa medaglia: la globalizzazione del capitalismo.
Il progresso negli ultimi decenni è particolarmente evidente in termini di aumento dell’aspettativa di vita. L’aspettativa di vita alla nascita è aumentata nell’ultimo secolo più del doppio di quanto fosse aumentata nel corso dei 200.000 anni precedenti. La probabilità che un bambino, nato oggi, arrivi vivo all’età della pensione, è più alta rispetto a quella che un bambino delle generazioni precedenti avesse di compiere il suo quinto anno di vita. Nel 1900, l’aspettativa di vita media mondiale era di 31 anni, oggi è arrivata a 71 anni. Delle circa 8000 generazioni di Homo Sapiens, sin dall’emergere della nostra specie, circa 200.000 anni fa, solo le ultime quattro hanno vissuto un declino massiccio dei tassi di mortalità.
Negli ultimi 140 anni vi sono state 106 grandi carestie, ognuna delle quali è costata più di 100.000 morti. Il tasso di mortalità è stato particolarmente alto in Paesi socialisti quali l’Unione Sovietica, la Cina, la Cambogia, l’Etiopia e la Corea del Nord, Paesi in cui sono morte decine di milioni di persone a causa del trasferimento forzato dei mezzi di produzione dal privato al pubblico e l’uso della fame come un’arma. Il numero annuo di morti dovuto alle peggiori carestie crolla a 1,4 milioni negli anni Novanta, non da ultimo come risultato del collasso dei sistemi socialisti nel mondo e nella riforma cinese verso il capitalismo. Fino ad almeno il 1947, l’Onu aveva calcolato che la metà della popolazione mondiale fosse denutrita. Nel 1971 questa proporzione si era ridotta al 29%, dieci anni dopo era solo il 19%. Al 2016, la proporzione delle persone che soffrono di malnutrizione nel mondo è scesa all’11%.
Ogni volta che qualcuno mi chiede cosa abbia innescato una svolta così incredibile nella lotta contro la povertà globale, io do una risposta molto semplice: la morte di Mao Zedong, il 9 settembre 1976. Negli anni Cinquanta, 45 milioni di persone morirono a causa dell’esperimento del “Grande Balzo Avanti” di Mao Zedong in Cina. Parlo di questo tema in tutto il mondo e tutte le volte che chiedo al mio pubblico cosa sappia del costo umano della rivoluzione socialista di Mao, vedo che raramente qualcuno ne ha sentito parlare a scuola. I giovani hanno sentito molte cose sui “mali del capitalismo”, ma molto poco sui “mali del socialismo”.
Dopo la morte di Mao, la Cina ha iniziato ad adottare riforme di libero mercato e ha introdotto diritti di proprietà privata. L’imprenditoria privata è emersa e alcuni cinesi sono diventati estremamente ricchi, oggi vi sono più miliardari in Cina che in qualunque altro Paese nel mondo, ad eccezione degli Stati Uniti. Ma, e questo è l’importante, al tempo stesso, mentre aumentava il numero dei miliardari cinesi, più di 800 milioni di cinesi uscivano dalla condizione di povertà estrema.
È sorprendente prendere ad esempio la Cina per dimostrare la superiorità del capitalismo. La Cina è un Paese capitalista? Lo Stato non ha ancora un grande ruolo in tutti i settori della vita in Cina? Naturalmente sì, la Cina è ben lungi dall’essere un Paese capitalista puro. Lo Stato esercita ancora troppo controllo, perché lo si possa definire tale. Ma tutti i progressi che sono stati fatti in Cina negli ultimi 40 anni sono dovuti interamente al fatto che i cinesi abbiano gradualmente introdotto i principi del libero mercato e della proprietà privata, dunque più capitalismo. Visitando la Cina, ho parlato con l’economista Zhang Weiying e non poteva essere più chiaro: il miracolo economico cinese non è avvenuto “grazie allo Stato, ma nonostante lo Stato”.
Il capitalismo non è il problema, è la soluzione, specialmente quando si parla di lotta contro la fame e la povertà nel mondo. Ogni anno, la Heritage Foundation pubblica l’Indice di libertà economica, che classifica tutti i Paesi del mondo per misurare i progressi della libertà economica in tutto il mondo. Anno dopo anno, queste classifiche dimostrano che nessuno muore di fame nei Paesi con la maggior libertà economica. In stridente contrasto, la repressione economica porta alla fame e alla povertà, come abbiamo visto ancora in Venezuela, dove il 10% della popolazione è già emigrato per sfuggire alla fame sotto il regime socialista del Paese.
Rainer Zitelmann
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«Coraggio, quindi cosa c’è esattamente tra te e Ryan? State insieme?»
«Certo che no, lui che ti ha detto?»
«Che è innamorato di te e che sta aspettando che tu ammetta di amarlo a tua volta.»
Amerlee impallidisce, incapace di mascherare la sua espressione sorpresa e, allo stesso tempo, terrorizzata. Josephine, incapace di dire bugie, si lascia sfuggire una piccola risata, facendo riprendere a respirare la sua cara amica.
«Sei diventata brava con queste cose, ci avevo quasi creduto. Andiamo, che ha detto?»
«Perché ti interessa così tanto sapere che cosa mi ha detto? Se ti piace e vuoi fare sul serio con lui diglielo e basta.»
«Non me ne importa un bel niente di quello che pensa Ryan. Era così, per chiedere.»
Ribatte Amerlee seguita da una scrollata di spalle, facendo di tutto per fingere disinteresse. Joey prova a tenerla sulle spine ancora per un po’, ma la sua sete di gossip finisce per avere la meglio.
«Non si sbilancia mai, probabilmente perché immagina che poi finirei per spifferare ogni sua parola a te. Dice che sei strana e che non capisce mai che cosa vuoi.»
«Pff. Senti chi parla…»
«Se pensi lo stesso, perché non ne parlate e la fate finita? Tu piaci a lui, lui piace a te, non c’è niente che vi impedisca di stare insieme!»
«Lui non mi piace, è… È più complicato di così. E tu sta zitta, che flirti con il palestrato sin da quando ne ho ricordo!»
Le guance di Josephine avvampano eppure, contro ogni aspettativa, è decisamente più brava di Aimee a nascondere il suo imbarazzo. Di istinto alza gli occhi al cielo e scuote la testa, trattenendo una risatina nervosa.
«Ian? Sei fuori strada. È soltanto un buon amico.»
«Jo, piccola testa di rapa… Io sono tua amica. Buona amica, la migliore. Il capo palestra è un ragazzo oggettivamente attratto da te, ma per chissà quale motivo non ha ancora provato a portarti a letto.»
«Ma di che parli? Tu non ci hai mai visti insieme, non c’è nessun impulso sessuale. Nessuna cotta segreta, niente di niente.»
«Quindi frequenta qualcun’altra?»
«No, non al momento. Penso che non abbia ancora ancora dimenticato la sua ex.»
«Sul serio? E quando si sono lasciati?»
«Cosa vuoi che ne sappia io? Sei mesi e mezzo, o giù di lì.»
«Piuttosto preciso.»
«Che cosa ti aspettavi? Sono stata io stessa a raccogliere i cocci della sua relazione con Tessie. È stata dura per lui, un po’ come me con Edward.»
«Due cuori tormentati che si guariscono a vicenda. Potrebbe essere la trama di uno dei tuoi romanzi smielati!»
«Com’è che abbiamo smesso di parlare di te e Ryan? Hai intenzione di vederlo prima che parta?»
«Sta partendo? E dove va?»
Domanda Amerlee fingendo disinteresse, mentre controlla con aria disinvolta lo schermo del suo smartphone.
«Va dalla sua famiglia per le feste. Non te l’aveva detto?»
«Non è tenuto a dirmi anche quante volte va al bagno. Può fare quello che gli pare, te l’ho detto.»
«Okay…»
Si limita ad aggiungere Josephine, invitando sé stessa a non insistere ulteriormente. Conosce abbastanza Aimee da sapere che spingerla a parlare di sé e delle sue emozioni è sempre controproducente. Finisce per chiudersi a riccio e la volta successiva è ancora più difficile da decifrare. La strategia migliore è approfittare delle sporadiche occasioni in cui è lei ad introdurre l’argomento e partire da lì.
«A proposito delle feste…»
«Se provi ad infilare Ryan in un altro dei tuoi discorsi giuro che—»
«Niente Ryan, lo giuro.»
Promette Josephine ponendo entrambe le mani in alto.
«Carol si chiedeva se ti avrebbe fatto piacere unirsi a noi per il weekend di Natale…»
Jo introduce l’argomento un po’ incerta, tentando di analizzare scrupolosamente il mutamento di espressione dell’amica, che al momento sembra non esserci stato.
«Quando?»
Si limita a domandare Amerlee, evitando di incrociare lo sguardo con quello di Joey.
«Te l’ho detto, il weekend di Natale. La vigilia cade di venerdì, sarebbe carino trascorrere qualche giorno insieme in memoria dei vecchi tempi.»
«Mi dispiace, dovrei essere in servizio quel weekend…»
«La prossima volta che inventi una scusa, sii più creativa. Hai appena finito di dirmi che da quanto hai fatto fare brutta figura al capo con quel caso, non fa altro che lasciarti in ufficio ad archiviare scartoffie. Non penso che sia indispensabile rimanere in centrale a fargli da segretaria la notte di Natale!»
«Beh… Non faccio io le regole, Coop.»
Esclama Aimee scrollando nuovamente le spalle, per poi riprendere per l’ennesima volta in mano il telefono.
«Le dico che sarà per la prossima volta, allora?»
Domanda speranzosa Josephine, non dandosi per vinta in seguito al primo rifiuto della Stevens. Amerlee rimane in silenzio per diversi secondi, continuando a fissare la schermata della homepage a tempo perso. Dopo aver preso coraggio, alza nuovamente lo sguardo e lo rivolge in direzione dell’amica.
«Jo, sai bene come ci siamo lasciati…»
«Certo che lo so. Loro ti hanno sgridata, tu sei scappata di casa e non ti sei lasciata trovare. Hai preferito il tuo stupido orgoglio alla tua famiglia, a tua sorella, ed è esattamente quello che stai facendo anche ora!»
Esclama Josephine lasciandosi sfuggire un tono di voce colmo di rancore. Quell’ultima frase innesca una sorta di meccanismo nella mente di Aimee, che la spinge a mettersi nuovamente sulla difensiva, esattamente come faceva anni prima quando qualcuno le faceva notare che aveva sbagliato.
«Ah, sì? Ha detto che ti stavo traviando. Ha detto che ti avrei fatta diventare come me e che se non mi fossi data una regolata avrebbe preso dei seri provvedimenti. Sarebbe successo comunque, Alice nel paese delle Meraviglie, io ho soltanto accelerato i tempi.»
«No, invece! “Prendere provvedimenti” significa metterti in punizione per qualche settimane, mica lasciarti a vivere in mezzo alla strada! Dannazione Aimee, pensavo avessi smesso di portare rancore per questa storia!»
«Beh, lo pensavo anche io.»
Si limita a rispondere Amerlee, i cui vecchi demoni evidentemente non hanno ancora smesso di tormentarla.
«Ho parlato tanto di te ad Henry e Carol, dal giorno in cui ti ho rivista…. Mi hanno detto che hanno anche provato a contattarti, ma non hai mai risposto.»
«Non rispondo ai numeri che non ho memorizzati in rubrica.»
«Gli ho dato anche il numero della centrale, Aimee, dicono che ogni volta che chiamano qualcuno gli dice che sei al bagno…»
Confessa la Cooper, che nell’ultimo anno era riuscita a tenere questo piccolo segreto per sé. Ha sempre tentato di non calcare troppo la mano quando si trattava di questo ricongiungimento in particolare, ma questa occasione sembrava così unica e speciale che proprio non se la sentiva di arrendersi senza nemmeno lottare.
Amerlee, in seguito alle parole di Jo, rimane ferma e in silenzio, meditando sulla prossima mossa. Una parte di lei si chiede che cosa ci faccia ancora lì, considerando che tende ad abbandonare le discussioni più scomode in men che non si dica, ma l’altra è ancora lì, con un groppo in gola, desiderosa di affrontare la situazione una volta per tutte.
«Mi sono comportata come una cretina, allora. Loro mi hanno trattata come una figlia ed io li ho ripagati recandogli una simile sofferenza.»
Esordisce la Stevens a cuore aperto, tentando in tutti i modi di mascherare i suoi occhi lucidi.
«E loro hanno sbagliato a dirti tutte quelle cose prima di esserne sicuri. Hanno sbagliato a non cercarti abbastanza. Io ho sbagliato a non cercarti abbastanza!»
Confessa Joey afferrando di istinto la mano di Amerlee e stringendola con fermezza.
«E fidati, cambierei parecchie cose se potessi ma quello non è il solo modo per aggiustarle.»
Le due si scambiano uno sguardo piuttosto intenso e negli occhi di Amerlee, Jo riesce quasi a percepire un barlume di speranza.
«Sarebbe così imbarazzante, Jo… Perdonami ma non me la sento proprio, i ricongiungimenti non fanno per me.»
Esclama Amerlee sperando con tutta sé stessa che possa essere in grado di capirla. In seguito a quella frase, Josephine aggrotta la fronte, per poi assicurarsi di aver capito bene.
«Ah, no?»
«Tu sei una fortunatissima eccezione, ed è tutto merito del bel caratterino che ti ritrovi!»
Esclama Amerlee lasciandosi sfuggire una malinconica risata, per poi spettinare la nuca di Joey con fare giocoso.
«Petulante ed ostinata, chi è che non vorrebbe una sorella così?»
Joey scoppia a ridere a sua volta, alleggerendo in men che non si dica quella scomoda situazione che si era creata. La Cooper lascia passare alcuni secondi e poi decide di rinnovare l’invito un’ultima volta, sperando con tutta sé stessa di aver smosso qualcosa in Amerlee con le parole di poco prima.
«Tu promettimi che ci penserai. Carol muore dalla voglia di farvi assaggiare il suo arrosto. La ricetta è stata perfezionata nel corso degli anni, non hai idea di quanto sia buono! Ed Henry… Beh, conserva ancora la maglia degli Steelers che ti aveva regalato. Sono sicura che muore dalla voglia di restituirtela personalmente e—»
«Ci penserò. Ma non montarti la testa, in teoria devo davvero lavorare quel fine settimana!»
«Grazie, grazie, grazie!»
Esclama la Cooper gettandosi letteralmente tra le braccia dell’amica.
«Hey! Non ho detto sì! Non ho detto sì!»
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La lettrice che partì inseguendo un lieto fine, Katarina Bivald
Scheda del libro
Titolo originale Läsarna i Broken Wheel rekommenderar
Titolo italiano La lettrice che partì inseguendo un lieto fine
Autore Katarina Bivald
1ª ed. originale 21 Agosto 2013
1ª ed. italiana 2 settembre 2014
Editore Sperling & Kupfer
Pagine 408
Genere Narrativa Rosa
Lingua originale Swedish
Sinossi Se la vita fosse un romanzo, quella di Sara non sarebbe certo una storia d'avventura. In ventotto anni non ha mai lasciato la Svezia e nessun incontro del destino le ha scompigliato l'esistenza. Timida e insicura, si sente a suo agio soltanto in compagnia di un buon libro e i suoi migliori amici sono i personaggi nati dalla fantasia degli scrittori, che le fanno vivere indirettamente sogni, viaggi e passioni. Fino al giorno in cui riceve una lettera da una piccola città dal nome bizzarro, sperduta in mezzo all'Iowa: Broken Wheel. A scriverla è una certa Amy, sessantacinquenne americana che le invia – dalla propria vastissima biblioteca personale – un romanzo richiesto da Sara su un sito web. È così che inizia tra loro una corrispondenza affettuosa e sincera, che apre a Sara una finestra sulla vita: Amy le dimostra che è possibile amare la lettura senza per questo isolarsi dal mondo, perché è bello condividere ogni piccolo momento prezioso, anche se si tratta di un romanzo. E dopo un fitto scambio di lettere e libri durato due anni, Sara stessa trova finalmente il coraggio di attraversare l'oceano per incontrare l'amica lettrice. Tuttavia, come in un inatteso capovolgimento di trama, non c'è Amy ad attenderla: il suo finale, purtroppo, è giunto prima del previsto. Ci sono però tutti gli eccentrici abitanti di cui Amy le ha tanto parlato. E mentre loro si prendono cura della spaurita turista (la prima nella storia di Broken Wheel), Sara decide di ricambiare la gentilezza iniziandoli al piacere sconosciuto della lettura. Proprio lei, che ha sempre preferito i libri alle persone, in quella città di poche anime ma dal cuore grande troverà amicizia, amore ed emozioni da vivere sulla pelle: finalmente da vera protagonista della propria vita.
Dettagli
Inizio lettura: 27 Maggio
Fine lettura: 3 Giugno
Tempo di lettura: 11h x 181 p/m
Rating: ★★★★½
I say...
Questo è un libro che ti prende piano piano, che ti cresce addosso. E’ difficile riuscire a criticare un libro così bello.
Più che una storia d’amore tra due persone, è la storia di diversi tipi di amore. L’amore per la propria città, per i libri, per le proprie radici, per sé stessi, per i tuoi amici, per Dio, e perfino per una sconosciuta. L’amore che supera tutti gli ostacoli contro l’amore che ha avuto paura di sbocciare. Mi sono piaciuti tutti i personaggi, cosa assurda, e ho amato ciascuno di loro, con i loro pregi e i loro difetti.
I miei preferiti sono stati Caroline e Josh, e George. Ho adorato la loro storia.
E poi, non è carino che da “Cordiali saluti, Amy Harris” si arriva a “Cordiali saluti, Amy”?
Citazioni
Di nuovo sua madre: «Sara! Perché non rispondi alle nostre chiamate? Amy è una serial killer? So bene come vanno le cose negli Stati Uniti. Cerca di non farti squartare, non te lo perdonerei mai. Se non ti fai sentire immediatamente, telefono alla CIA». La voce del padre borbottò qualcosa in sottofondo. «FBI. Fa lo stesso.»
«La mamma ha tentato di tutto per farsi benvolere. Ci hai mai provato?» Sara ci pensò sopra prima di rispondere. «Non lo so», disse, anche se supponeva che tutti ci avessero provato, prima o poi. «Tanto è inutile», commentò Grace. «Se segui le loro regole, ti battono sempre. Come si dice: mai discutere con un idiota, ti trascina al suo livello e ti batte con l’esperienza. Lo stesso vale per il modo in cui uno decide di vivere la propria vita.» Spense il mozzicone nel posacenere già stracolmo. «Mai vivere la propria vita seguendo le regole fatte dagli idioti. Ti trascinano al loro livello, vincono loro e tu hai vissuto un’esistenza noiosissima.»
Quando ero più giovane, ero convinta che tutti gli anziani avessero alle spalle un’esistenza drammatica. Forse la pensavo così perché sono cresciuta in campagna. Qui ogni famiglia sembra avere dei segreti, gravidanze inspiegabili ed episodi spiacevoli con il trattore o la mietitrebbiatrice.
Gertrude fumava come una turca. E beveva pure. Né questo né la sua cucina (era un’appassionata di alimenti sottaceto, preferibilmente grassi) erano riusciti a ucciderla, con grande disappunto dei suoi due ex mariti. Fino a quando l’alimentazione e il fumo passivo avevano invece ammazzato loro. Era vedova. «Funerale», continuò Gertrude. «È durante un funerale che una cittadina dà il meglio di sé. È sempre bello quando succede qualcosa.»
«Non andavo a vedere la scuola da dieci anni», le rivelò con un sorriso, che lei ricambiò. Era bello aver condiviso insieme quel momento. «Be’», aggiunse continuando con voce allegra, «soprattutto per via del laboratorio di metanfetamine che c’era sul retro. Brutta gente, chi le produceva e chi le comprava.»
Ho patito qualche dolore, certo, ma mai più grande di quanto fossi in grado di tollerare. A volte sono convinta che non sia la dimensione della sofferenza a essere determinante, ma la forza con cui ci attanaglia. Forse ci sono persone più ricettive di altre, ma tutti lo diventiamo a periodi.
Non riconosceva più le costellazioni. Una sensazione liberatoria. Era tragico che la gente fosse così ossessionata dai modelli da cercare di soggiogare persino le stelle. Come il Grande Carro, per esempio: da piccola le sembrava magico, il cocchio trainato da quattro cavalli, scintillante e ricoperto di gioielli come in una fiaba; quando però aveva imparato a distinguerlo, le era parso più un banale carrello della spesa. Sette stelle che si trovavano a milioni di chilometri l’una dall’altra, costrette dagli umani a diventare un carrello della spesa. O una carrozzina a buon mercato.
Sara appoggiò il volume sul tavolino. «Jane Eyre». «Mi ero completamente dimenticata dell’intensità di quest’opera. Quando l’ho letta per la prima volta, sono rimasta sveglia quasi tutta la notte, rannicchiata per terra.» Tom diede un’occhiata alla copertina, che raffigurava una donna anonima, all’antica, di profilo. Grigia e noiosa. «È da sciocchi piangere quando si sa già che tutto andrà a finire bene. Ma è tristissimo quando lei scopre che lui è già sposato e che tiene la moglie segregata in soffitta, e lei si costringe a lasciarlo, e quell’idiota di suo cugino cerca di convincerla a sposarsi con lui, anche se non la ama e sa che lei non è abbastanza forte per lavorare nella missione. E l’argomento usato da quel cristiano ipocrita! Quando è soltanto l’ambizione a spingerlo e a volerla portare con sé in India a convertire la gente.» «L’importante è il lieto fine», commentò Tom senza riuscire a trattenere un sorriso. «Sì», replicò seria Sara. «Per lei, almeno. Il suo grande amore diventa cieco e perde una mano.» Tom si agitò sulla poltrona. «Ma felice», assicurò. «Lui poi ha avuto la sua Jane.» «Oddio», sussurrò Tom.
«Cosa state combinando voi due?» domandò George. Era iperprotettivo quando si trattava di Sara. «Vogliamo vedere per quanto tempo riesce a leggere senza fermarsi», rispose il più grande. «Non ci ha neanche notato», intervenne l’altro. George sbirciò incuriosito dentro il locale. «Da quant’è che siete qui?» «Un’ora.» «E non ha mai alzato gli occhi?» «No.» Il più giovane aggiunse: «Anche se le ho fatto le boccacce». George aggrottò la fronte, poi si allontanò dalla vetrina per paura che Sara lo vedesse proprio in quel momento e pensasse che fosse in combutta con quei due. «Rimarremo qui fino a quando non alzerà la testa», continuò spavaldo il ragazzino. «E cronometriamo il tempo, vero, Steven?»
«Chi cavolo ha voglia di starsene impalato a guardare una che legge?» commentò Grace sulla soglia della tavola calda. Si era accesa una sigaretta come scusa per poter spiare cosa stavano combinando. «E che altro c’è da fare?» replicò Steven. «In effetti…» concordò lei dopo un po’. «Avrete bisogno di cibo. Aiutami a portare fuori il grill. È nel cortile sul retro. Gli hamburger li offro io.»
«Ehi!» esclamò Steven quando Sara fece capolino dal negozio. «Fanno esattamente cinque ore e trentasette minuti.» Scoppiò un applauso generale.
Questo dimostra che forse ho ragione a proposito dei libri e degli esseri umani: i libri sono fantastici e trovano piena giustizia in una capanna in mezzo ai boschi, ma che divertimento si prova a leggere un’opera meravigliosa se non puoi consigliarla ad altri, parlarne e citarla? «La maggior parte di ciò che il mio vicino chiama bene, credo nella mia anima che sia male, e se c’è alcunché di cui mi pento, è molto probabilmente la mia buona condotta. Quale demone mi ha mai posseduto per farmi comportare così bene?» Non è una citazione meravigliosa? Mi piace in particolare l’idea che la buona condotta sia dovuta a qualche demone.
«Io non posso invitarlo a uscire», protestò lei. «Perché no?» «Credo mi ritenga…» «Sì?» disse Jen speranzosa. «Bella? Misteriosa? Interessante?» «Strana.»
«Ti ritengo personalmente responsabile delle conseguenze», disse Carl. «Mi darete parte degli incassi?» «Se prendi il mio posto, avrai metà del regno e il mio primo figlio maschio.» «Sei gay», gli ricordò Sara. «Possiamo adottare.» «Non voglio bambini.» «Il mio regno?» Sara rise. «Sì, chiamatemi regina Sara.»
Decise di leggere un capitolo, soltanto per capire di che cosa si trattasse. Avrebbe potuto giurare che il libro stesse ridendo di lei quando alla fine lo afferrò. «Se gli altri libri sono insolenti come te, non mi sorprende affatto che per secoli vi abbiano messi al rogo», sbottò ad alta voce. Quelle parole fecero ammutolire l’accusato.
Ma come si faceva a diventare una persona che aveva sogni e obiettivi nella vita? Sara temeva di essersi lasciata sfuggire il momento in cui l’esistenza avrebbe dovuto cominciare per davvero. L’aveva percorsa leggendo e, fino a quando tutti erano stati adolescenti, infelici e ridicoli, non c’erano stati problemi; ma di colpo gli altri erano cresciuti, mentre lei… lei aveva continuato a leggere.
«Ci credi a quelle cose lì? A quei romanzetti rosa tutto romanticismo e scemenze del genere?» Oppure: «Perché indossa dei vestiti così stupidi? Saresti mai andata a letto con uno che ha i capelli lunghi e porta una camicia di seta viola? Viola! Di seta! Oltretutto sbottonata!»
Josh lo tranquillizzò: «Posso assicurarti che Caroline non è innamorata di me». «Ah, no?» Andy parve deluso. «No», ripeté Josh. «Mi usa solo per il sesso.»
«Lo so!» sbottò Josh, dimenticandosi per un attimo di mostrarsi pentito. «Ma mi hanno provocato», si giustificò. «Non puoi prenderlo come un complimento?» azzardò. «La donna matura che tiene i giovani in pugno?…» Notando lo sguardo di Caroline, si fermò. «Forse no.» «Forse no», ripeté lei.
Gavin Jones sollevò gli occhi dai suoi appunti. Dall’altra parte del vetro divisorio a specchio, le persone nella sala d’aspetto non potevano vederlo. Non sapeva perché chi aveva costruito quel locale si fosse permesso certe stravaganze, ma quella in particolare gli diede l’opportunità di prendersi del tempo per osservarli. Sembrava un caso semplice, ma lì fuori c’era una folla di potenziali fuori di testa che lo riempivano di orrore. Aveva il forte presentimento che nulla fosse semplice, quando si trattava di Broken Wheel. […] «Da chi iniziamo?» si informò l’agente accanto a lui. «Dal fucile? Il parroco? Il penoso abito da sposa?» Sembrava trovare la faccenda divertente. «Siamo solo amici», rispose subito Caroline, anche se la sua voce tradì un briciolo di tristezza. «Eh no, maledizione!» Caroline si voltò verso Josh. Non era da lui essere così scortese. Le sue mani cominciarono a tremare e lei fu costretta a intrecciarle sul grembo per non darlo a vedere. «Siamo amici, no?…» tentò incerta. «Ti ho detto che ho cambiato idea», sbottò lui. Mi ha detto che ha cambiato idea, pensò lei. Non che non siamo amici. Josh continuò a fissarla e lei distolse lo sguardo. Si costrinse a deglutire e replicò con più calma possibile: «Naturalmente. Forse è meglio così». «Non ho intenzione di andare a Denver e lasciarti in pace solo per facilitarti la vita», riprese lui. «Non è questo il punto dell’amore? Rendere la vita più interessante?» Caroline abbozzò un sorrisetto suo malgrado. «Più interessante, certo», annuì. Josh la guardò irritato. Era molto attraente quando era arrabbiato. «Sarà complicato, sbagliato e strano! Che gli altri ridano pure, se vogliono. Significa solo che stiamo vivendo una vita più intensa della loro.» Caroline tentò di seguire l’evoluzione inaspettata di quel discorso, ma non ci riuscì e rimase in silenzio. «Al mondo esistono due tipi di persone, Caroline: quelle che vivono e quelle che deridono. E, per quanto tu cerchi di fingere di essere triste e noiosa, non lo sei. Devi solo imparare a convivere con l’idea di essere più tenace degli altri. L’unica cosa davvero codarda che ti ho visto fare è lasciarmi.» Il suo sguardo si fece combattivo. «E non ho intenzione di permetterlo. Mi rifiuto.» «Forse», mormorò Caroline con cautela. «Forse?» le fece eco. «Non no?» «Sì.» Caroline sorrise. «Non no.»
«Credo di averti amata sin dalla prima volta che mi hai detto di preferire i libri a me.» Tom ci pensò su. «O forse da quando ti sei offerta di lavare i piatti in cambio di una birra.» «Era una proposta ragionevole!» protestò lei.
E gran parte di quella felicità sembrava provenire dalla consapevolezza di essere riusciti a imbrogliare le autorità. Come ai bei vecchi tempi, aveva detto Grace, e Jen era parsa d’accordo. A essere sinceri, più che d’accordo: il suo sguardo compiaciuto pareva dire che, quando era lei a occuparsi dell’organizzazione, nemmeno una cosuccia da niente come le leggi statunitensi sull’immigrazione poteva mandare a monte i suoi piani.
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