#Stella del mattino
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sunflower-gumi · 8 months ago
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Lucifer Morningstar ✨
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colachampagne3 · 1 year ago
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stavo pensando di usare la lepre lunare per una piccolissima storia per qifrey week. tipo la lepre che lo segue durante tutte le fasi lunari tranne quando c'è la luna piena perché deve stare sulla luna e durante la Luna piena ci sono le bimbe e Olruggio con lui. Ma sto ancora pensando.
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marlocandeea · 7 months ago
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someone tell wu ming that rpf is a federal crime (affectionate)
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susieporta · 2 months ago
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SPERANZA / ARMONIA / AUTENTICITÀ / FIDUCIA / GENEROSITÀ
Una giovane donna, dai lineamenti delicati, versa nello stagno ai suoi piedi del liquido che esce da due anfore. Sul suo capo otto Stelle di cui una è più grande e rappresenta la "Stella del mattino", quella che annuncia la Luce.
La Stella incarna una realtà superiore che prende l'apparenza dell'umano, rivela la fede nell'uguaglianza delle cose: "come sopra, come sotto". Le stelle non fanno differenze quando brillano, e le preghiere che a loro rivolgiamo si riassumono nel desiderio di ognuna di svegliarsi più felice, di provarci ancora, di ritornare a un luogo iscritto in noi stesse come a quel destino ancora da compiersi di cui intravediamo la forma. Il destino futuro infatti non è l'emancipazione o la fuga dal luogo dove siamo, ma la pacificazione con esso; ovunque decidiamo di risiedere e sperare, l'Arcano esprime la ricongiunzione del mondo personale con l'universale. Con la sua luce illumina la via per l'abitabile. Come la Stella scende anche noi possiamo salire a lei: dobbiamo salire fino a lei per ricordare chi siamo.
QUAL È IL MIO POSTO NEL MONDO?
CHE COSA DEVO COLTIVARE?
IN QUALI ATTIVITÀ DEVO IMPIEGARE LE MIE ENERGIE?
COME POSSO CREARE ARMONIA DENTRO E FUORI DI ME?
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viendiletto · 9 months ago
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Quel garofano rosso infilato nell’occhiello
Nel maggio del 1945, quando nel mondo intero, nelle strade e nelle piazze di tutte le città liberate, si festeggiava la fine della guerra e si esultava per la Liberazione, ho vissuto i momenti più tragici e dolorosi della mia adolescenza. Avevo 14 anni.
Una cappa di terrore e di angoscia era calata sulla mia italianissima città e sulla sua italianissima gente. Ho visto colonne di finanzieri, carabinieri, soldati di tutte le armi, uomini e donne, transitare laceri, sporchi, affamati e assetati, avviati verso chissà quale destino. Erano scortati da soldataglia rozza e ignorante, con la stella rossa sul berretto e armata fino ai denti che sbraitava urlando in una lingua che non conoscevo, ma sapevo essere slava. Erano le avanguardie dell’esercito di Tito che, a marce forzate, avevano raggiunto Fiume combattendo. Tito aveva spinto le sue truppe a occupare il più presto possibile quanto più territorio italiano possibile, in quanto le sue mire espansionistiche ipotizzavano il confine tra l’Italia e la sua Jugoslavia, sull’Isonzo. Voleva Trieste, Udine, Gorizia e tutta quella parte di Venezia Giulia che lui definiva impropriamente “Slavia veneta”.
Ho saputo di “giudici popolari” semi-analfabeti che decidevano, a guerra finita, della vita e della morte di persone il cui unico delitto, molto spesso, era solo quello d’essere italiani. Condannati da tribunali del popolo costituiti in fretta e furia e composti da gente qualsiasi, purché di provata fede comunista.
I primi giorni dopo l’occupazione della mia città (il 2 maggio del 1945) con le liste di proscrizione già preparate, iniziava il calvario degli italiani. Arresti, deportazioni, infoibamenti. Anche nella mia famiglia si piange uno scomparso, prelevato la mattina del 4 maggio da casa e di cui non si è saputo più nulla. Probabilmente, come tanti altri infelici, avrà vissuto gli ultimi istanti della sua vita soffocato dall’angoscia sull’orlo di una foiba.
La guerra era finita, ma vivevamo ancora nella ristrettezza e nel terrore: parlare, lamentarsi era pericoloso, criticare il regime poteva costare la vita o la deportazione. Essere italiano era una colpa e molti, anche da me conosciuti, amici di mio padre, vicini di casa, ex questurini, impiegati pubblici, professionisti, insegnanti, vigili urbani, dipendenti comunali ecc., erano considerati èlite e quindi fascisti e nemici del popolo.
Il 1.mo maggio del 1948 mio padre decise di scendere al bar sotto casa, per trascorrere qualche momento di svago. Fu avvicinato da un individuo, palesemente ubriaco e conosciuto da tutti come uno sbandato, che gli infilò un garofano rosso nell’occhiello. Mio padre (che non volle mai iscriversi al partito fascista) non gradì il gesto di quell’individuo che fino a pochi giorni prima aveva scondinzolato dietro ai tedeschi, raccattando i loro avanzi e facendo il buffone, qual’era. Si tolse, quasi di nascosto il garofano e lo appoggiò sul tavolo. Questo gesto gli costò una denuncia e un mese di lavori forzati (denominati “lavoro rieducativo”) che scontò nel carcere cittadino, segando legna da ardere in coppia con un altro detenuto, muniti di un segaccio da boscaiolo di grandi dimensioni per dieci ore al giorno. Seppe dopo, da un vicino di casa, ufficiale della milizia popolare in quanto studente di scuola superiore, che il tribunale lo aveva accusato di “scarsa simpatia per il partito”. Se l’accusa fosse stata “nemico del popolo” avrebbe corso il rischio di finire in una foiba.
A settembre riaprirono le scuole. Avevo finito in modo fortunoso la terza d’avviamento commerciale e non potevo continuare la scuola in lingua croata. L’autorità cittadina escogitò, per noi italiani, una forma insolita: al mattino a scuola, al pomeriggio in fabbrica a lavorare. Fui mandato al Siluruficio Witheead, (vanto della mia città e del mio paese) al reparto meccanici, aggiustaggio, revisione motori, fonderia e torneria. Alla fine dell’anno 1947/48, non ebbi documento ufficiale. Solo un libro il cui retro di copertina riportava una semplice dichiarazione di frequenza.
Nevio Milinovich, esule da Fiume
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smokingago · 12 days ago
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Esisto dal principio del mondo.
Sono il negativo assoluto, l'incarnazione del niente.
Quello che si desidera e non si può ottenere,
quello che si sogna perché non può esistere.
Sono l'oblio di tutti i doveri, l'esitazione di tutte le intenzioni.
I tristi e gli stanchi della vita, una volta distaccatisi da quell'illusione,
levano gli occhi verso di me, perché anch'io, e a mio modo,
sono la Stella Lucente del Mattino.
Vedere la tenebra è possedere la sua luce.
Solo nell'illusione della libertà
la libertà esiste.
Fernando Pessoa - da “ L'ora del Diavolo”
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libero-de-mente · 9 months ago
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Un sabato sera dai minuti contati questo.
Raggiunta casa di mia madre, entro in silenzio e come immaginavo lei è già a letto. Le chiudo la porta della camera per non disturbarla, mentre sistemo la spesa che le ho fatto, controllo nel frigorifero le confezioni di alimenti scadute. Le rimuovo buttando il contenuto negli organici.
Lei puntigliosa su queste cose, ora non le riesce più di controllarle.
Un rapido riassetto alla casa, ma non le metto a posto tutto. So quanto ci tenga a dimostrare di saperci ancora fare con le pulizie, diciamo che pulisco dove c'è da spostare o alzare qualcosa di pesante.
Mi giunge la telefonata di figlio 2 "Papà ci sono le pizze da infornare, sai che dopo devo uscire".
Mi avvio a casa, dopo aver avuto cura di sistemare le medicine dentro il porta pillole settimanale, in modo che mia madre non sbagli.
La frase di mio figlio "...sai che dopo devo uscire" era incompleta.
La verità è che lo dovrò accompagnare io. In auto raccogliendo tre suoi amici.
Le pizze sono uscite molto buone questa sera, forse la pioggia che insiste me le farebbe gustare meglio se Gabriele non uscisse. Se ancora per un sabato sera fosse il mio scricciolo a casa. Ma non sarebbe giusto per lui.
Appuntamento sotto lo stadio cittadino, poi seconda stella a destra, questo è il cammino, e poi dritto fino al mattino, poi la strada la trovi da te, porta a una pensilina dove c'è un altro amico per voi tre. Anzi quattro, maledetta rima.
Li ascolto parlare, mi fanno sorridere e anche ridere. Non hanno nulla che non vada bene. Sono ventenni con la voglia di vivere e divertirsi. Lo ero anche io. Forse non sentendomi mai amico al pari degli altri.
Tipo strano "il Rino", sempre assorto e spesso assente.
Li lascio alla pensilina concordata dove il quinto amico li aspetta, e si fanno i nomi di altri che arriveranno più tardi. Forse.
Li saluto, Gabriele inaspettatamente mi saluta baciandomi. "Non ti preoccupare pa' sarò bravo e starò attento, come vuoi tu".
Non ho nulla da obiettare, riparto. Alla prima rotatoria inverto il senso di marcia, un'ultima occhiata a qui sorrisi, a quella complicità di amici che legano le proprie vite in un patto di sangue, di quelli indissolubili che se ben curate, come relazioni, potrebbero durare davvero a lungo.
Nel mio ritorno solitario penso alle mie amicizie perse, al fatto che mi sento solo ed estraneo anche in mezzo ad altre persone.
Ho sempre pensato che la mia vita non avesse un senso, ma un senso l'ho trovato. Sono i sorrisi dei miei figli, la gioia dei loro successi, gli occhi innamorati di chi sceglieranno come persone con cui condividere la vita.
Questo non me lo voglio perdere. Mi madre e mio padre queste cose non le hanno mai viste. Mai. Io le voglio assaporare.
E mentre alla radio passa il brano "I love my life" di Robbie Williams, le sue parole:
I love my life
I am wonderful
I am magical
I am me
I love my life
Mi squarciano il cuore, e la pioggia è come se battesse direttamente sui miei occhi, e non sul parabrezza.
Sono solo, ovvero mi sento solo, ma dovrò aspettare. Aspetterò i successi e le gioie dei miei figli, prima di mollare.
Piove, vedo centinaia di ragazzi che si avviano alla discoteca.
Poco dopo incontro le ragazze sfruttate per dare del sesso a pagamento sui bordi delle strade.
Vorrei fermarmi, dare loro una coperta che le ripari, qualcosa di caldo da bere e la possibilità di dire loro: vai, sei libera. Puoi fare altro nella tua vita, perché hai forza di volontà da vendere.
Solo durante questi pensieri mi accorgo che in radio passa Sweet Disposition un pezzo che trovo meraviglioso dei The Temper Trap
A moment, a love
A dream, aloud
A kiss, a cry
Our rights, our wrongs
A moment, a love
A dream, aloud
A moment, a love
A dream, aloud
Stay there
'Cause I'll be coming over
And while our blood's still young
It's so young, it runs
Won't stop 'til it's over
Won't stop to surrender
Avere la forza, di superare, di aspettare chi è un passo indietro.
Mi sento maledettamente solo, anche se non lo sono. Sto male.
Ma in questo sabato sera i miei figli, chi in un modo e chi nell'altro, si divertiranno. Questo conta. Ne basta uno anomalo in famiglia. E quello sono io.
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me-soltanto-me · 2 months ago
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Di notte
mentre dormo
o tento di dormire
con le mie mani calde
io tocco le lenzuola
e vorrei una presenza
che mi colmasse il cuore.
Invece è solo buio
e ho paura del giorno
e invece è solo sera
e tremo del mattino.
Ma di notte ti vedo
genuflesso al mio lato
e hai l’incandescenza
della stella cometa.
Alda Merini
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misscamomilla · 4 months ago
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Ho programmato le px ferie ancora a gennaio, a settembre mi recherò con mia figlia in un paesino delle Marche, Montelupone.
Dalla finestra dove alloggio si respira l'aria salmastra anche se il mare dista 8 km.
Il panorama che da lì mi avvolge, mi lascia a bocca aperta, il silenzio del mattino mi invita a guardare l'orizzonte....
Da lì intravedo tutta la costa, Sirolo, il mare di Numana, la spiaggia di Potenza Picena e Porto Recanati.
Da lì riesco a respirare il fresco della notte che va a dormire, il cielo che cambia colore e qualche stella che lascia il posto ad una nuova alba.
MissCamomilla (C.G.)
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marquise-justine-de-sade · 1 year ago
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L'Angelo caduto di Alexandre Cabanel, è un dipinto del 1868, che sconvolge l'osservatore attento. L'Angelo caduto non è uno qualsiasi, è il bellissimo Lucifero, “portatore di luce”, le cui ali conservano ancora i riflessi iridati di quando era ancora creatura celeste. Il fulcro del quadro non è il giovane corpo anatomicamente perfetto, rispondente al canone classico, e colto nel momento esatto della caduta, ma lo sguardo che emerge come una rivelazione, dal braccio destro piegato ancora, con le mani intrecciate, in una ultima e inascoltata preghiera. È uno sguardo che, nella sua avvolgenza, rivela un caleidoscopio di emozioni. É rivolto dritto davanti a sé, in contrapposizione con lo sguardo rivolto in alto, di divina indifferenza, degli angeli fedeli, raffigurati mentre ascendono al Cielo, casa a lui ormai preclusa. Molti vedono in questo sguardo rabbia e desiderio di rivalsa. Personalmente, in questo sguardo, torbido come una pozza palustre, che trattiene il riverbero della chioma fulva come una foglia autunnale caduta, leggo molto di più: amarezza, delusione per un mancato perdono, solitudine, rimpianto e frustrazione. Cabanel si dichiarò lontano dal Naturalismo, ma, a mio avviso, questo occhio pieno di emotività è quanto di più vicino al Naturalismo ci possa essere, perché è uno sguardo profondamente umano.
E il particolare sconvolgente è proprio questo: lo sguardo del reietto Lucifero è lo specchio dello sguardo di ognuno di noi, perché in ognuno di noi alberga il tormento di un angelo caduto, la nostalgia indefinibile di un luogo lontano, di un'isola che non c’è, che sentiamo appartenerci e, al contempo, sfuggirci. Lucifero, "stella del mattino", stigmatizzato come Lilith, per il suo desiderio di conoscenza e indipendenza, per la sua aspirazione non legittima a farsi uguale al Padre Uno sguardo che potrebbe essere quello di Adamo, bandito dall' Eden, creatura ribelle anch'ella al suo Creatore e da questi ripudiata. Una rivalsa dell’individualità personale verso l’autorità genitoriale, che tanto ricorda le dinamiche d'azione nel rapporto padre figlio nel periodo adolescenziale. Negli occhi di Lucifero brilla una lacrima in cui si cristallizza il suo destino, un destino di cui si è fatto egli stesso artefice, forse neanche pensando davvero alle conseguenze. In quella lacrima c'è l'evoluzione terribile dal Bene al Male, dall' Amore all' Odio, da prediletto a reietto. Molto di Lucifero è in noi, contraddittorio impasto di fango e Cielo, capace di grandi bontà e immani atrocità, presi da un delirio di onnipotenza che ci fa dimenticare di essere non padroni ma semplici ospiti del mondo.
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armandoandrea2 · 8 months ago
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Di notte.. mentre dormo o tento di dormire.....
con le mie mani calde.. io tocco le lenzuola.. e vorrei una presenza che mi colmasse il cuore..
Invece è solo buio.. e ho paura del giorno.. e invece è solo sera.. e tremo del mattino..
Ma di notte ti vedo.. genuflesso al mio lato.. e hai l'incandescenza della stella cometa ...
Alda Merini
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art-emide · 9 months ago
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Revisione de "The Fallen Angel" di Alexander Cabanel.
Pittura in acrilico su tela.
_______________
L’angelo viene ripudiato e cacciato dal Paradiso, nel luogo delle tenebre, nella profondità del Tartaro, negli Inferi. Lucifero, stella del mattino, nella narrazione antica rappresentava infatti l’angelo più bello e saggio creato da Dio, il serafino più importante che per tradizione viene definito come carico d’amore. Un amore che si capovolge e si trasforma e che vediamo esternarsi in quel pianto, come se quella lacrima fosse l’ultimo residuo di bontà, l’ultima goccia che lascia spazio ad una totalità infinita di odio.
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roxy206 · 1 year ago
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The gate squeaked as it opened and Trixie shushed Katya as he followed behind. The pool had closed hours ago, but the latch had proved faulty and Trixie was glad that he didn’t have to scale the fence as part of Katya’s hair brain scheme for a midnight dip.
The lights strung along the patio were off, a sign that guests should not be in this area. But the sky was impossibly bright, a shade of blue neither of them had ever seen before, stars speckled so dense across it.
When Trixie had brought up the idea of a trip to Zion, Katya had surely thought it was a hypothetical. Even as they talked about it at length, he assumed it was the same as when Trixie talked about running away to some tropical beach and ditching their phones somewhere along the way. Sure, they were actually going to Utah, but it wasn’t until his assistant was confirming flight details that Katya realized Trixie had been serious.
The four hour drive, just the two of them in the rental car, should have been long enough for the decision to really sink in. Instead the disbelief gave way to utter awe as the landscape unfolded in front of them.
Dropping the towels on a deck chair, Katya turned to Trixie. He had barely made it two steps in, neck craned up to take in the sight. Even with his mouth slightly ajar, Katya could see the relaxation on Trixie’s face. That alone made the whole damn trip worth it.
Katya’s flip flops slapped onto the ground and Trixie turned toward the sound. Trixie watched as Katya pulled the t-shirt over his head, revealing muscle after muscle. With his attention decidedly shifted, Trixie walked toward the pool as Katya slipped in. Quickly Trixie followed suit.
They each made leisurely strokes through the water, unintentionally swimming to opposite ends of the pool. When Katya realized, he called out, “Marco!” A laugh following.
“Shh, someone is going to hear us!” Trixie loudly whispered.
“Then come over here.”
With a sigh, Trixie swam toward Katya.
“You’re not going to get in trouble,” Katya reassured Trixie as he reached Katya’s side.
All of the scenarios Trixie had been playing through his mind were on the tip of his tongue, but he felt the brush of Katya’s hand. Felt Katya’s eyes focused on him. And as he met Katya’s gaze, he let the thoughts drift away.
Treading water, they both fell silent.
The sky beckoned to them, a work of art right in front of their eyes. They had been stunned by beauty all day; the pictures they had seen nothing in comparison to experiencing the national park in person. But there was something so simple, so daunting, so inspiring about the unpolluted night sky.
Both let out a gasp as a shooting star appeared, burning even brighter. Squeezing his eyes shut, Katya held a thought in his mind.
“I wish we had more days like this,” Trixie said. He bumped his should into Katya’s. “What did you wish for?”
“You’re not supposed to say, or it might not come true,” Katya told him.
Trixie felt a laugh rise in his throat and he tried to stop it, at first because he knew it would be too loud. And then because he saw the look in Katya’s eye. Katya wasn’t joking.
They looked at each other for another beat as Trixie felt his heart begin to race. This time it wasn’t because of anxiety. He watched as Katya’s lips parted just slightly, and then his eyes darted back up to the sky.
Two more shooting stars blazed through, one after another. Daring to look at Katya, Trixie saw him close his eyes. Trixie took a deep breath and did the same.
He wished for more chances, even though he knew he had already blown so many. And he wished for the courage to follow through �� soon.
Soon.
+++
fic title list — send me an ask with a letter
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mancino · 1 year ago
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Come sono belle le cose "normali" di ogni giorno: le persone sempre vicine, il sorgere del sole, il regalo della vita, dividere con qualcuno il momento del primo caffè del mattino. Non lasciamocele scappare, le cose "scontate". Perché sono proprio le cose scontate, a contare di più.
(Giorgia Stella)
Buongiornooo ❤️
Buona Domenica!
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mauditparmephistopheles · 6 months ago
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Non abbandonarti, tienti stretto,
e vincerai.
Vedo che la notte se ne va:
coraggio, non aver paura.
Guarda, sul fronte dell'oriente
di tra l'intrico della foresta
si è levata la stella del mattino.
Coraggio, non aver paura.
Son figli della notte, che del buio battono le strade
la disperazione, la pigrizia, il dubbio:
sono fuori d'ogni certezza, non son figli
dell'aurora.
Corri, vieni fuori;
guarda, leva lo sguardo in alto,
il cielo s'è fatto chiaro.
Coraggio, non aver più paura.
Tagore
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stellastjamessongs · 2 years ago
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The Job Interview
Aveva impostato la sveglia di buon mattino e l'aveva disattivata al primo trillo, essendo già più che cosciente. Era riuscita a dormire discretamente rispetto alle proprie (pessime) aspettative, sicuramente aiutata dalla serata in compagnia e dalla conversazione spensierata e non troppo concentrata sul colloquio che avrebbe avuto da lì a poche ore. Si era sollevata dal letto e, camminando con passo felpato per non disturbare il ragazzo o Pooka che ancora dormiva nella cuccetta, si era diretta verso la cucina. In verità il rimescolio all'altezza dello stomaco era ben diverso da quello che solitamente precedeva la colazione, ma aveva già optato per qualcosa di leggero che le desse energia ma non rischiasse di appesantirla o, peggio ancora, comportasse effetti collaterali ben poco gradevoli con la prospettiva di un incontro così importante. Aveva quindi sorseggiato una tazza di the e si era costretta a mangiare almeno tre biscotti. All'arrivo di un Pooka scodinzolante e allegro, si era affrettata a versargli acqua e croccantini nelle sue ciotole ed era tornata in camera, chiudendosi l'uscio alle spalle.
Quindi (dopo aver controllato l'orologio e aver constatato che sì, era perfettamente in orario con il programma pre-colloquio), aveva steso il tappetino e indossato un completino elasticizzato che le consentisse agevolmente di seguire la sedicente playlist rilassante di un'insegnante di yoga. Dopo circa un quarto d'ora, dovette arrendersi e ammettere che era difficile stabilire se la donna avesse sopravvalutato il proprio talento, o se avrebbe dovuto rassegnarsi al fatto che il proprio corpo fosse letteralmente incapace di rilassarsi. Non restava che cominciare a prepararsi con calma e con serenità. Aveva già estratto dall'armadio il completo confezionato da Quinn e nella valigetta aveva già inserito tutta la documentazione necessaria, gli spartiti e il MacBook.
Dopo la doccia si era spalmata la crema per il corpo e, attenta a non sgualcirlo, aveva indossato il tailleur: una camicetta di un rosa antico, sotto una giacca di una sfumatura più accentuata e abbinata ai pantaloni che ne fasciavano perfettamente le gambe. Aveva indossato le scarpe eleganti ma assai scomode il cui tacco avrebbe dovuto slanciarla (se non si fosse presa una storta prima, mandando all'aria il colloquio stesso) e si era applicata un trucco leggero, prima di dedicarsi ai capelli che erano modellati in una lieve ondulatura. Aveva quindi indossato orecchini abbinati, un orologio da polso più elegante di quello quotidiano e un bracciale. Studiò il proprio riflesso un'ultima volta, lisciando la camicia da pieghe invisibili e traendo un profondo respiro, prima di accennare a un sorriso. “Buongiorno,” cinguettò a voce bassa, “mi chiamo Stella St. James, ho sempre sognato di incidere le mie canzoni e...” si interruppe, scuotendo la testa e dovendo resistere dall'impulso di passarsi le mani tra i capelli. Inspirò ed espirò profondamente, prima di schiudere gli occhi e ricominciare. “Mi chiamo Stella St. James e... credo che darò di stomaco da un momento all'altro,” gemette con voce più stridula, accomodandosi sul bordo della vasca da bagno.
Si interruppe al suono del cellulare la cui suoneria personalizzata le segnalò che si trattava della madre, come prevedibile. Seppur avesse il timore che avrebbe rischiato di vomitare se avesse parlato a lungo e prima del colloquio stesso, si costrinse a ritornare nella camera da letto per rispondere. Ma, dopotutto, la madre aveva la straordinaria capacità di condurre quasi da sola un'intera conversazione, ragion per cui dovette limitarsi a dei mormorii che le dessero prova che stesse ascoltando e fosse d'accordo. Riuscì persino a ridere della minaccia non troppo velata di sporgere denuncia contro la casa discografica nel caso in cui le avessero fatto intraprendere a vuoto quel viaggio. Le promise che le avrebbe telefonato nell'esatto momento successivo all'esito del colloquio e sospese la chiamata. Solo allora lesse i messaggi di incoraggiamento e di auguri degli amici e delle amiche, quelli di Rebecca e di Karen e l'ansia, per brevi secondi, cedette il passo alla tenerezza e a un pizzico di commozione. Scosse il capo e le parve quasi di sentire la voce di Quinn che le intimava: “Non pensarci neppure! Non è un mascara waterproof!”
Si rimise in piedi e controllò la propria agenda e l'orologio: aveva spuntato tutte le voci della lista, aveva tutto il necessario addosso e nella valigetta. Quindi, in teoria, era pronta. Devo solo smetterla di tremare e uscire da questa stanza, si disse con un ultimo sospiro. Socchiuse gli occhi, appoggiò la mano sulla maniglia, rilasciò il respiro e infine uscì dalla propria camera.
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