#Saverio Buono
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badmovieihave · 1 year ago
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Bad movie I have Jeepers Creepers: Reborn
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sensei70 · 2 years ago
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La mia è stata una Vacanza in Toto.
Una settimana di Piacere Puro:musica ,buon cibo ,bel mare e soprattutto Bella Gente.
Mia madre ha preparato per me e ho potuto godere ,ancora una volta, della buona cucina dai sapori familiari e genuini: Rigatoni alla carbonara, Spaghetti alla San Giuannin, lenticchie condite , granetti con composto di uova sode ,tonno ,maionese ,sale e pepe, friiselle con datterini olio origano e sale ,agnello arrostito, bistecca con friggitelli ....
Mio padre è mattiniero e alle ore 7 00 eravamo pronti per andare in spiaggia....Libera o abusivamente occupata ,era Splendida sempre ...al mattino il colore del mare si confondeva con quello del cielo e l aria fresca ben si sposava con una spiaggia ancora sfollata di turisti....
Gabriele era ben disponibile e puntualmente lo ammiravo sotto i miei occhiali da sole mentre ci trivellava l'ombrellone nella buca di sabbia e mi apriva, con un solo scatto, il lettino ....un bellissimo Moro dagli occhi grandi, forse adulato dalle donne anche non malintenzionate come me 🤣
Marina di Pescoluse è incantevole ma confonde😁.... risiedevamo a Salve marina, scendevamo al mare a Posto Vecchio dopo aver parcheggiato a Morciano e ,la sera ,passeggiavamo a Torre Vado😸
Io adoro Pino Daniele e una sera abbiamo fatto tardi per una Cover in piazzetta tra gli odori della Paranza e quello degli Hamburger, fast food e ,in lontananza,una Ruota Panoramica sempre in movimento e seggiolini danzanti nell' aria a ritmo di musica.
Di Tutto e sopra Ogni Cosa ,non dimenticherò nessun volto .....nessuna persona conosciuta da Salve a Pescoluse passando per Santa Maria di Leuca: Luigi e Giannina del Ferrarese ; i nostri vicini romani , Alessandra e Domenico; Zeno ,un indiano dagli occhi sinceri e puliti; i ragzzi dei gonfiabili ; il professore indiano ; Saverio il Giramondo e poi.......
Lui.....unico ....Alesassane Senghor.
Voglio soffermarmi a parlare di questo ragazzone dalla pelle color cioccolato. Alasassane,per noi Alessandro, passava di là con la sua pila di cappellini sulla testa e le muscolose braccia contornate da pinzoni, mollettoni e bandane colorate , tutte le mattine....tu ti aspetti che possa insistere ,che possa farci tenerezza e dispiacere ...per chissà quale nostra stupida motivazione; ebbene no! Alasassane ci ha preso il cuore per le sue Parole e il suo grande sorriso sincero di denti bianchi e perfetti . Il nostro gigante buono si fermava per conversare con la gente non solo per tentare di vendere le sue Cose....si fermava a parlare con noi....di tutto ...
Una mattina fa una Metafora: "Dio è un albero e noi i suoi Rami , tutti diversi e tutti uguali. Non importa il nome del Dio a cui crediamo . È Uno . Uno soltanto."
Poi ....l indomani ripassa e parla di sé: Alessandro ha due mogli , �� di Gambia . È spiritoso. Ci parla degli effetti afrodisiaci dell' aglio e del potere che esso ha sulla coppia ....ma ..,..devono mangiarlo entrambi
😁.
Alasassane ci saluta emozionato e dice che non ci scorderà.❤️
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corallorosso · 3 years ago
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LE BUGIE DI CHI VORREBBE SILVIO BERLUSCONI COME PROSSIMO PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA "Silvio al Colle" è la pagina che i Seniores di Forza Italia hanno pubblicato sul Giornale di famiglia. E' andata così: i Seniores del partito hanno elencato in pubblica piazza i motivi per cui Silvio Berlusconi sarebbe (secondo loro) il prossimo miglior presidente della Repubblica Italiana, e la notizia è che non stavano scherzando. La cosa più divertente (sì, tragica) è che tutti i punti che hanno elencato non corrispondono al vero. O con l'ironia, o mettendoli di fronte alle condanne del Cavaliere, tutti quanti i punti in elenco sono smontabili. Non c'è un solo passaggio tecnicamente vero fra tutti quelli che scrivono, se non (forse) che Silvio Berlusconi ha davvero 5 figli. "Una persona buona e generosa". Certo. Ha dato lavoro anche a Vittorio Mangano, lo stalliere di Arcore, pluriomicida legato a cosa Nostra, che quel cattivone di Paolo Borsellino definì una delle "teste di ponte dell'organizzazione mafiosa nel Nord Italia". Invece Silvio Berlusconi "buono e generoso" gli ha dato lavoro come stalliere e lo ha chiamato – virgolettato – "eroe". "Un amico di tutti". Mio, no. E di sicuro non era amico neanche di Enzo Biagi, Daniele Luttazzi e Michele Santoro, fatti fuori dalla Rai con il cosiddetto 'Editto Bulgaro'. Però, è vero, era amico di molta gente: Putin e Gheddafi, per dirne due. "Tra i primi contribuenti italiani". Io ricordo soprattutto le condanna passata in Cassazione per frode fiscale gestendo i diritti tv di Mediaset. "Il fondatore della Tv commerciale in Europa". Sarebbe proprio un grandissimo presidente della Repubblica, in effetti, colui che ha prodotto con Fininvest "Colpo Grosso" e contribuito alla creazione dell'immaginario della donna oggetto, con programmi che sono passati alla storia con la dizione Tv-spazzatura. "Fondatore del centro-destra cristiano". Ricordiamo tutti la barzelletta su Rosy Bindi e la bestemmia finale dell'ex premier, vero? "Fondatore del centro-destra europeista". Sarà per questo che era alleato con la Lega di Bossi che voleva separare la Padania dall'Italia, e oggi è alleato con la Lega di Salvini che fino a ieri voleva fare un referendum per uscire dall'Europa. "Il presidente del Consiglio che in soli sei mesi ha ridato una casa ai terremotati dell'Aquila". Falso. Erano alloggi costruiti per essere temporanei, e la maggioranza di quelle persone ancora oggi non ha una casa vera. Non è solo colpa di Silvio Berlusconi ma lui è stato il primo, e che proprio lui abbia ridato una casa ai terremotati, e che i suoi Seniors lo rivendichino, proprio no. "Il presidente del Consiglio che mise fine alla guerra fredda con l'accordo Putin-Bush (2002)". In verità la Guerra fredda è finita nel 1989, con la Caduta del Muro di Berlino. "E soprattutto l'eroe della libertà che, con grande sprezzo del pericolo, è sceso in campo nel '94 per evitare a tutti noi un regime autoritario e illiberale". Qui siamo alla pura agiografia, ma restiamo calmi. Nel '94 Berlusconi vinse le elezioni, ma durò solo sei mesi perché Bossi fece cadere il governo. Poi l'Italia tornò alle elezioni e vinse Romano Prodi, dunque non esattamente un regime autoritario e illiberale, come hanno dimostrato poi i successivi due anni di governo. Saverio Tommasi per www.fanpage.it
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stefystufy80 · 4 years ago
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CIAO!
Sono una capsula di allumino con dentro 4 grammi di caffè.
4 grammi di caffè a 0,40 euro, fanno 100 Euro al kg.
Per una tonnellata di alluminio vengono prodotte quattro tonnellate di residui sotto forma di arsenico, titanio, cromo, piombo, vanadio, mercurio.
Sostanze che vanno ad inquinare l’ambiente.
Grazie ad una produzione di una tonnellata di caffè a settimana sono la regina del mercato!
Il caffè che uso è quello che costa di meno.
Quando le polveri tradizionali vengono torrefatte a 200/220° in 20 minuti per me la torrefazione è a 1000°C per 90 secondi.
Anche questo per risparmiare.
Però il mio caffè è schiumoso e buono.
Semplicemente perché non contengo solo caffè ma anche un po' di grassi animali, e additivi top secret.
In più le macchine che vengono utilizzate hanno enormi costi economici ed ambientali per la loro produzione e per il loro smaltimento.
E non dimenticare l’energia elettrica che usano.
Ma attento, ti dono non solo caffeina ma anche furano che ingoi con piacere.
Il furano è una sostanza organica (prodotto intermedio utilizzato nell'industria chimica come solvente per le Resine durante la produzione di lacche e come agglomerante nella fonderia).
È volatile, lipofilo e CANCEROGENO per il fegato.
Contento tu…
(testo tratto da “Mouvement pour la Terre”, tradotto e rielaborato)
Smettetela di usare capsule in alluminio e ritornate alla caffettiera tradizionale, non inquina e fa bene alla vostra salute. Inoltre il residuo del caffe lo potete spargere nei campi coltivati come concime.
Post di @saverio cipriano
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gcorvetti · 5 years ago
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Big Fish
L’altro giorno ho guardato un video di un tizio su youtube, perché il titolo è ‘quanto guadagna un songwriter’; il video è interessante e si attacca ad un intervista che Montemagno fa a Big Fish (produttore rap italiano dagli anni 90). Poi di riflesso, dopo aver scritto il mio bel commentino collegato a doppio filo con il video, sono andato a guardarmi questa intervista; a parte che entrambi (sia Monty che Fish) hanno la mia età, ho subito notato che anche loro sono senza capelli, come da incipit del video, poi nel corso del video Fish tocca tematiche legate alla musica, sopratutto il rap milanese degli anni 90 e i suoi esordi, dagli anni 80 (87 per la precisione) fino al boom con i Sotto Tono, per poi arrivare a dare consigli e raccontare aneddoti. Uno dei punti cruciali del video però è quello dove dice che oramai non c’è più bisogno del discografico, del produttore, perché mentre una volta non esisteva internet e quindi ci si doveva agganciare per forza di cose a qualcuno che ti facesse registrare e ti distribuisse; adesso con internet i giovani (perché la discussione è principalmente incentrata su questo) possono creare i loro brani e mettendoli online con le dovute accortezze possono emergere, beh ci può stare. Poi però ci sono quelle frasi che ti fanno capire che le cose sono cambiate non solo a livello musicale, ma anche proprio nella testa di chi fa musica (chiamarli musicisti è auto insultarsi); Fish dice che molti arrivano da lui con brani decenti e con poca voglia di lavorare, precisa, che voglio solo i soldi e subito; questo è un punto anche del video di partenza. C’è allora qualcosa che secondo me è sbagliato, infatti il tizio del video (che si chiama Saverio Grandi e che è songwriter di professione), infatti il fatto che i giovani vogliano subito i soldi non è buono. La musica deve nascere a prescindere dal fine monetario, se io ho un brano in testa (una melodia o un riff) io scrivo cmq la canzone; io non ho nessuno alle spalle, i miei canali social hanno pochissimi followers (leggi il post precedente a questo e capirai). Non ho mai pensato di presentarmi alla porta di un produttore e dirgli :’Tieni questo è il mio demo, fammi guadagnare tanti soldi’; lungi da me pensare così, sono nella musica da quando ho 10 anni, e levando il periodo d’incubazione dell’apprendimento, ho iniziato a muovere i primi passi creando col mio compagno di banco la prima band a 15 anni (nel medesimo momento Big Fish acquistava un campionatore e iniziava a sperimentare, i casi della vita), facevamo cagare (che è un complimento), ma non pensavamo di essere i migliori e di diventare famosi, come fanno i ragazzi di oggi. Io sono e resterò sempre un musicista, uno di quelli che sfrutta le intuizioni per creare idee e materiale nuovo in continuazione, senza ricevere 1€ per questo, l’ho sempre fatto, anche se per alcuni periodi della mia vita ho lavorato nel campo della musica e quindi pagato, ma non facevo roba mia, ma adesso è così niente soldi e tanta voglia di scrivere. Adesso insieme ad un amico italiano che è un pianista professionista stiamo preparando un recital di brani dal 1920 in poi italiani, considerando che viviamo all’estero dovrebbe funzionare, se no pazienza, spero che sta cosa vada avanti fino in fondo e che riusciamo a suonare un pò di più che io da solo. Poi ho le mie mille idee che vorrei sviluppare, oltre alla mia compagnia di cibo siculo. Diciamo che ho un bel pò da fare :D.
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paoloxl · 6 years ago
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I capi tifosi del Varese: Daniele arrestato dalla Dda di Catanzaro, Vito Jordan, invece, latitante in Spagna 30 gennaio 2019 Da Varese a Tangeri. Dalla curva neonazista agli affari coi narcos calabresi in Marocco e Spagna. Nel segno della tradizione: del suo gruppo ultrà Blood&Honour. Lo stesso di Daniele Belardinelli. Svastiche e spaccio, saluti romani e tonnellate di stupefacenti. Un fiume di hashish e cocaina trafficati in giro per l'Europa e distribuiti sulla piazza lombarda: epicentro Varese. La Varese nera dove i capi ultrà sono anche capibastone inseriti nel circuito della criminalità organizzata: quelli che gestiscono lo spaccio nei quartieri, che dettano legge e poi fuggono oppure muoiono o finiscono in carcere. Di questo ambiente fatto di tifo estremo e affari sporchi dove tutto si mischia - pestaggi, razzismo, carcere, latitanza - Vito Jordan Bosco e suo fratello Daniele sono sempre stati tra i padroni. Adesso, otto anni dopo la prima latitanza, Vito Jordan è inseguito dalla Dda di Catanzaro che ha smontato gli ingranaggi di un giro internazionale di droga (operazione "Ossessione"). Un giro gestito dalla potente cosca ndranghetista dei Mancuso. Venticinque mandati di custodia, e tra loro c'è anche Daniele Bosco, due anni più giovane, amico storico di Belardinelli con cui condivideva la passione per le arti marziali. Anche lui B&H. Ma andiamo con ordine: iniziamo dal primo dei fratelli Bosco, il latitante. Quarantatre anni, inserito fin da giovane negli ambienti dell'estrema destra varesotta, fondatore e leader del gruppo storico - il più estremista e violento - della curva del Varese; spiccate capacità imprenditoriali. Secondo i magistrati Vito Jordan, nella sua nuova, seconda vita spagnolo-marocchina scala le gerarchie criminali fino a diventare un pezzo grosso: il tramite tra i Mancuso e il cartello marocchino che governa sui traffici di hashish. Un punto di riferimento di "assoluta affidabilità". Uno snodo. Stando alla ricostruzione dei finanzieri coordinati dal procuratore Nicola Gratteri, è a Bosco senior che si affidano i narcos calabresi che provano a "importare in Italia, passando attraverso la Spagna, tre tonnellate di hashish" stoccate dai cartelli magrebini. Il sistema era collaudato: si parte con un primo carico. Una specie di prova. Poi si passa all'importazione in grande stile. Destinazione: il porto di Genova. Qui, attraverso i contatti di un gruppo criminale di Busto Arsizio, e (si ipotizza) grazie alla corruzione di alcuni militari delle Fiamme gialle in servizio al porto, la droga veniva recuperata. Di questa filiera Vito Jordan Bosco è un perno: è con lui e con i narcos marocchini che i trafficanti del clan Mancuso "discutono e valutano le condizioni economiche dell'acquisto". In pratica: l'ultrà fa da cerniera tra 'ndrine e grossisti locali (Marocco e Spagna). E fa il prezzo. Bosco ha un peso e molto denaro. In un'intercettazione è descritto così: "È buono quello, molto buono. Lui comanda in Marocco, ha più cose lui che il re. Ha un ristorante che gli è costato, solo quello, oltre 4 milioni di euro per farlo. me l'ha detto lui...". Altri dettagli snocciolati al telefono da uno dei 25 arrestati. "Quando siamo entrati nei locali a Tangeri lo conoscevano tutti, gli aprivano le porte tutti". Lui, Bosco, apre le porte ai calabresi. Il mercato dell'hashish. Una sua specialità. Dal 2011. Quell'anno la storia del narcos ultrà neofascista deflagra: il "fumo" allora lo importava dall'Olanda. Chili. Quando decidono di arrestarlo è già in Spagna, a Guadario, dove apre una piccola attività commerciale. Si costituisce a Varese a marzo 2011. Ma il processo lo vede assolto: e Vito Jordan, tornato in libertà, riprende i suoi traffici. Sempre in Spagna. Qui a marzo scorso si trasferisce pure suo fratello Daniele, titolare della palestra Fight Academy a Morazzone. È il paese di Daniele Belardinelli di cui era amico fraterno, quello dove venerdì sono stati celebrati i funerali dell'ultrà morto nella guerriglia del 26 dicembre. "Dado" e "Dede". Uniti dal tifo, dall'ideologia nazifascista e dalle arti marziali. La famiglia è la solita comunità nera dei Blood&Honour. Non è un caso che i tre fondatori del gruppo siano finiti tutti nei guai per la droga: Saverio Tibaldi, Filadelfio Vasi e loro, i fratelli Bosco. Come è finita? Tibaldi muore dopo una rissa a Torremolinos nel 2003 (anche lui latitante in Spagna); Vasi è ancora in carcere. I Bosco brother trafficano con la 'ndrangheta. La "specificità varesina", dissero i magistrati che arrestarono Vito Jordan nel 2011. Saldatura tra tifo razzista e crimine organizzato. Sul vecchio asse Italia-Spagna. https://www.repubblica.it/cronaca/2019/01/30/news/ultra_spaccio_neonazi_varese-217797843/ Vito Jordan Bosco: il fondatore di Blood & Honour ricercato per droga Vito Jordan Bosco, 43 anni di Varese ma nato in Libia, è il fondatore di Blood & Honour  e qualche giorno fa era a Morazzone per dare l’ultimo saluto a Daniele Dede Belardinelli, l’ultras dell’Inter morto investito da un van in un blitz che lui stesso aveva organizzato. Due giorni fa la Guardia di Finanza è andata ad arrestarlo in seguito a un’accusa di traffico internazionale di stupefacenti aggravato dal favoreggiamento della ‘ndrangheta (il clan Mancuso): Bosco organizzava il narcotraffico di hashish proveniente dal Marocco e mediava tra le due organizzazioni criminali. Vito Jordan Bosco: il fondatore di Blood & Honour arrestato per droga Per un’accusa simile, che riguardava ancora una volta il traffico di hashish, Vito Jordan Bosco nel 2011 si era costituito al personale di frontiera in servizio presso il valico di Gaggiolo (Varese): all’epoca ufficialmente si trovava in Spagna, dove aveva avviato un’attività commerciale a Guadiaro. Nel successivo processo venne assolto. Tra gli arrestati di ieri c’è anche Daniele Bosco, due anni più giovane, amico storico di Belardinelli con cui condivideva la passione per le arti marziali. Gli  ultras Blood and Honour di Varese sono un gruppo legato a una corrente transnazionale di chiaro stampo neonazista e da sempre gemellato con le frange più estreme della Curva Nord dell’Inter. Blood & Honour, Sangue e Onore, era uno dei motti delle SS: Dedé era il capo del gruppo che rappresentava una sigla transnazionale “che –si legge in un appunto dei nostri Servizi segreti – fu utilizzata nel 1979, agli albori del movimento naziskin in Inghilterra, anche come vero e proprio bollettino del movime nto”. Nel primo numero di Blood and Honour l’editoriale di presentazione fu dedicato a Rudolf Hess, uno dei gerarchi più vicini ad Adolf Hitler. Attraverso Blood and Honour si è costituita a livello europeo una vera e propria Internazionale nera. La violenza fuori dalle curve Tra le “imprese” dei Blood & Honour c’è anche la contestazione a sfondo razziale del 2012 contro Osarimen Ebagua, attaccante nigeriano, allora al Varese. I capi storici erano fino a poco tempo fa Saverio Tibaldi e Filadelfio Vasi. Il primo, cranio rasato e svastica tatuata, è stato ucciso a coltellate in una rissa, nel 2003, a Torremolinos, località turistica nel sud della Spagna, dove si trovava per evitare l’esecuzione di una condanna a 11 anni per episodi di violenza da stadio. Lo striscione “Saverio presente” è in bella vista a ogni partita all’Ossola. Vasi è invece in carcere per reati comuni: nelle carte di un’inchiesta, una testimone racconta i riti violenti di fedeltà ai sottoposti del gruppo. Oggi il capo è Matteo Bertoncello, che è anche vicepresidente di Do.ra, la Comunità militante dei dodici raggi. Paolo Berizzi su Repubblica spiega che da tempo nel mondo ultrà l’onda dell’odio è tornata a salire. In attesa che la tessera del tifoso introdotta dal “cattivissimo” Maroni vada in soffitta e che le regole si allentino in nome dei “colori” e della “passione”, gli hooligan italiani — un esercito di 45mila persone divise in 420 gruppi, la maggior parte connotati politicamente a destra — hanno deciso di portare lo scontro fuori dalle curve e dagli stadi. E così ecco gli agguati negli autogrill e le risse tra tifosi in autostrada, fino all’assedio in via Novara.
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con-una-lettera · 7 years ago
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Clara Pirani ai famigliari
Verona, 2 agosto 1944
Miei carissimi due righe in fretta da Verona ove abbiamo fatto tappa dopo un viaggio buono. Ripartiamo oggi stesso per la nuova destinazione, forse ci fermeremo qualche tempo a Bolzano, ma è più probabile che ci portino subito oltre confine per un campo di lavoro – Non so se potrò scrivervi ancora – ma state tranquilli – la prova è dura eppure ho fiducia di superarla – la vostra tranquillità e la certezza che state bene mi daranno la forza di superare i disagi. Pensatemi come io vi penso ma non lasciatevi abbattere, mi raccomando – Voglio ritrovarvi bene. Vi stringo al cuore e vi bacio tanto. Clara
Clara Pirani, maestra elementare di quarantacinque anni, coniugata con tre figlie. Nata il 23 giugno 1889 a Milano e residente a Gallarate (Varese). Di famiglia di religione ebraica, il 27 novembre 1924 si sposò con Francesco Saverio Cardosi. In seguito all’applicazione delle leggi razziali, il loro matrimonio fu ritenuto un "matrimonio misto", ovvero contratto tra una persona "ariana" e una "ebrea". Clara e le sue figlie furono anch’esse considerate di "razza mista", ma ciò non fu comunque sufficiente a consentirle di occupare la cattedra di ruolo tanto attesa. Infatti, dopo il diploma al Magistero di Firenze, Clara aveva ottenuto un incarico a Curenna nella Comune di Vendone (Savona), mentre il marito insegnava al Civico Ginnasio Pareggiato di Savona. Dopo vari anni, la nascita delle figlie e il superamento di alcuni concorsi, entrambi erano riusciti a vincere una cattedra di ruolo a Torino. Purtroppo Clara non poté neppure prendere servizio a causa dell’attivazione dei primi provvedimenti razziali. Trasferitasi con la famiglia a Gallarate (Varese) dove il marito aveva ottenuto l’incarico di preside presso il Ginnasio Superiore, quando con la costituzione della RSI iniziò ad intensificarsi la campagna "in difesa della razza", Clara e le sue figlie non poterono nascondersi a causa della visibilità dell’impiego del marito. L’11 dicembre 1943 fu arrestata una prima volta, ma fu presto rilasciata per ragioni di salute. Quando il 7 marzo 1944 uscì la circolare del ministero dell’Interno n. 3968/442 che escludeva dall’arresto i coniugi di "matrimonio misto", l’intera famiglia si sentì finalmente al sicuro. Il 12 maggio Clara fu arrestata. L’ordine di cattura includeva anche le tre figlie ma grazie all’opera di intermediazione del marito, peraltro deciso a seguire l’intera famiglia, queste furono lasciate libere. La notte stessa Clara fu tradotta nel carcere di San Vittore dove rimase fino al 9 giugno quando fu inviata al campo di Fossoli nel settore dei "misti". Il 2 agosto fu deportata e il 6 agosto giunse ad Auschwitz dove fu selezionata per le camere a gas.
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novalistream · 5 years ago
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“Sognavamo una società più umana, abbiamo perso” Il partigiano “Sugo” lo intervistai che aveva una enorme bombola dell'ossigeno accanto. Una bombola di acciaio, pesantissima. Ricordo che ogni tanto girava la manopola un po’ di più, ogni tanto la chiudeva appena. “Ci parlo anche, con questa bombola dell'ossigeno”, mi disse ridendo “ci parlo come se fossimo io e lei e basta”. Me lo disse con un sorriso da bambino, era felice: “Il periodo nel bosco, alla macchia, fu il più bello della mia vita. Era nata una situazione di fratellanza, per cui ci si voleva bene, era un bene che neanche i fratelli se lo vogliono. Quando dividi la morte e non hai i soldi, esce anche il buono che tu hai addosso. Io non ho mai trovato uno di questi compagni che ha preso mezza pera più di me. C'era da fare un'azione e i compagni si mettevano davanti, non dietro. E’ stato davvero il periodo più bello della mia vita, perché ero di fronte a una società socialista, a una società umana, diversa”. Poi ogni tanto fermava l'intervista e mi chiedeva, in fiorentino: “Ma te che tu pensi?” “Io la penso come te”, rispondevo io. Poi sorseggiava il caffè fatto dalla moglie, lì accanto, che non si perdeva una sua parola. “La bellezza stava nel pensiero di creare una società nuova, perché il partito fascista è una società fatta di soprusi, non invece non si volevano più i soprusi”. Quando muore un partigiano è come se sparissero i ciliegi, gli aranci e gli olivi, come se sparissero le fragole e io non le avessi mai assaggiate. Come se non sapessi più come condire l’insalata ogni giorno. Come se non trovassi il giubbotto prima di uscire o il letto quando entro in camera. Il mondo è più povero quando un partigiano muore, non c'è da essere ottimisti. Poi però ci penso e credo che l'ottimismo sia invece l'unica cosa che ci resta, e che tutti i partigiani e le partigiane che ho conosciuto io erano ottimisti in modo sfacciato, persistente; e siccome loro hanno già avuto ragione una volta, nel ‘43, io direi che dovremmo continuare a fidarci di loro ed essere ottimisti, vivi o morti non importi ma ottimisti sempre, alla faccia del tempo che passa ma con il volto al sole degli ideali che restano. di Saverio Tommasi
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tempi-dispari · 6 years ago
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New Post has been published on http://www.tempi-dispari.it/2019/03/18/therivati-rinviata-data-di-uscita-del-nuovo-album-causa-censura/
Therivati, rinviata data di uscita del nuovo album causa censura
“Non c’è un cazzo da ridere” dei TheRivati sarebbe dovuto uscire su tutte le piattaforme digitaliil 15 marzo. Invece, il nuovo album della band partenopea ha ricevuto uno stop temporaneo alla pubblicazione per consentire alle authority di controllare un contenuto dichiarato esplicito. Quindi, la band annuncia il rinvio della data di pubblicazione a mercoledì 20 marzo 2019, commentando l’accaduto sui social network con una grafica ironica e ricordando in modo irriverente (à la TheRivati) che non è la prima volta che incappano in un tentativo di censura.
I TheRivati hanno già svelato alcuni singoli dell’album a partire dall’autunno 2018 con una serie di videoclip per le tracce ‘O Sce’, Bataclan, Cocaina, Nun sto buono, Trent’anni, e infine Music Business. L’ultimo video termina la sequenza di episodi (vai al link http://bit.ly/NCUCDRvideo) che hanno preparato alla scoperta dell’intero album, disponibile in formato digitale e in vinile in edizione limitata a 300 copie, reperibili solo ai concerti sul banco del merchandising, tra t-shirt, adesivi e santini di San Gennaro.
Sfrontata per attitudine e irriverente per vocazione, sia nei contenuti cantati sia sul palco, la band è tra gli eredi contemporanei più genuini della leggendaria Neapolitan Power ed esprime per la terza volta l’incontenibile voglia di unire il groove della black music afroamericana con il cantautorato italiano e la tradizione napoletana. L’album composto di 7 canzoni immerse in 12 tracce, autoprodotte con Italy Sound Lab e cantate interamente in lingua napoletana, ruota intorno a un preciso concept, espresso con disincanto nel titolo, che si pone come secca risposta ad ogni tema toccato attraverso le canzoni, scritte dal cantante Paolo Maccaro e dal chitarrista Marco Cassese, insieme agli altri componenti del gruppo: Antonio Di Costanzo (basso), Saverio Giugliano (sax tenore e dub master), Salvatore Zannella (batteria).
PROSSIMI APPUNTAMENTI E SHOWCASE:
17/03 – Frattaminore (NA) @ Sound Inside basement records – Silent concert / ascolto in cuffia delle tracce
23/03 – NAPOLI @ Kestè Abbash
29/03 – BENEVENTO @ Morgana
06/04 – SALERNO @ Dissonanze
13/04 – CASERTA @ Club 33 giri
ASCOLTA E SEGUI I THERIVATI:
SPOTIFY: www.bit.ly/SPOTIFYtherivati
YOUTUBE: www.youtube.com/user/TheRivatiOfficial
INSTAGRAM: www.instagram.com/therivati
FACEBOOK: www.facebook.com/TheRivati
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sawii00-blog · 8 years ago
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Aggiornamenti
Ciao a tutti ragazzi, sono Saverio e scrivo per farvi capire che sono ancora vivo. Questi due mesi sono stati molto intensi ed impegnativi e non ho avuto molto tempo da dedicare a me stesso. Dalla seconda settimana di gennaio è iniziata la stagione di costruzione del robot. Ci siamo incontrati tutti i pomeriggi dopo scuola e anche i sabati. Fortunatamente (o sfortunatamente) non abbiamo avuto snow days e dunque non abbiamo perso tempo. Il risultato finale è molto buono, sicuramente al di sopra di molte scuole qua attorno. Lo scorso weekend, l’ultimo che avevamo a disposizione per costruire, siamo andati ad una scuola vicino a qua, che possiede una versione semplificata del campo di competizione. Qua abbiamo testato il nostro robot, ma allo stesso tempo aiutato altri team. Il team della scuola ospite era molto avanti, mentre altri erano veramente scadenti. Una squadra è arrivata la con un kit nemmeno montato. In 4 ore i nostri ragazzi dell’hardware li hanno aiutati e, in pratica, gli hanno costruito un robot funzionante da zero. Quello di cui mi sono occupato in questi mesi è stata la visione artificiale. Argomento vastissimo e veramente interessante, che mi ha portato a costruire un sistema in grado di riprendere, analizzare le immagini, e restituire al robot informazioni come direzione e distanza del bersaglio. Lo scorso weekend siamo anche andati a sciare. 2 ore di macchina per arrivare a White Tail, uno ski resort piuttosto grandino e comodo. Abbiamo affittato attrezzatura e biglietto (126 dollari tutto compreso) e siamo andati in pista. Quel giorno vi erano più di 10 gradi e la neve non era ghiacciata come piace a me. Comunque mi sono divertito e mi sono un po’ riambientato con gli sci. (l’ultima volta è stata 2 anni fa credo). Siamo anche riusciti a fare un paio di piste notturne, con solo luce artificiale. Divertente, ma si faceva davvero fatica a vedere. Purtroppo questa settimana non sono andato in palestra nemmeno una volta, perché mi sono preso una settimana di pausa per vedere se la mia spalla si sistema. Un paio di settimane fa mi sono scassato la spalla sinistra in palestra, e da quel giorno ho avuto dei dolori articolari. Sembra ora andare meglio, ma vedremo nei prossimi giorni. Come se non bastasse mi sono ammalato due giorni fa. Probabilmente è stato lo sbalzo di temperatura (siamo passati da 0-5 gradi a 26) nel giro di due giorni e ora sono pieno di catarro, forse febbre e con la gola in fiamme. Spero si risolva in fretta! Ho voglia di tornare operativo
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corallorosso · 5 years ago
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“Sognavamo una società più umana, abbiamo perso” Il partigiano "Sugo" lo intervistai che aveva una enorme bombola dell'ossigeno accanto. Una bombola di acciaio, pesantissima. Ricordo che ogni tanto girava la manopola un po' di più, ogni tanto la chiudeva appena. "Ci parlo anche, con questa bombola dell'ossigeno", mi disse ridendo "ci parlo come se fossimo io e lei e basta". Me lo disse con un sorriso da bambino, era felice: "Il periodo nel bosco, alla macchia, fu il più bello della mia vita. Era nata una situazione di fratellanza, per cui ci si voleva bene, era un bene che neanche i fratelli se lo vogliono. Quando dividi la morte e non hai i soldi, esce anche il buono che tu hai addosso. Io non ho mai trovato uno di questi compagni che ha preso mezza pera più di me. C'era da fare un'azione e i compagni si mettevano davanti, non dietro. E' stato davvero il periodo più bello della mia vita, perché ero di fronte a una società socialista, a una società umana, diversa". Poi ogni tanto fermava l'intervista e mi chiedeva, in fiorentino: "Ma te che tu pensi?" "Io la penso come te", rispondevo io. Poi sorseggiava il caffè fatto dalla moglie, lì accanto, che non si perdeva una sua parola. "La bellezza stava nel pensiero di creare una società nuova, perché il partito fascista è una società fatta di soprusi, non invece non si volevano più i soprusi". Quando muore un partigiano è come se sparissero i ciliegi, gli aranci e gli olivi, come se sparissero le fragole e io non le avessi mai assaggiate. Come se non sapessi più come condire l’insalata ogni giorno. Come se non trovassi il giubbotto prima di uscire o il letto quando entro in camera. Il mondo è più povero quando un partigiano muore, non c'è da essere ottimisti. Poi però ci penso e credo che l'ottimismo sia invece l'unica cosa che ci resta, e che tutti i partigiani e le partigiane che ho conosciuto io erano ottimisti in modo sfacciato, persistente; e siccome loro hanno già avuto ragione una volta, nel '43, io direi che dovremmo continuare a fidarci di loro ed essere ottimisti, vivi o morti non importi ma ottimisti sempre, alla faccia del tempo che passa ma con il volto al sole degli ideali che restano. di Saverio Tommasi
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sciscianonotizie · 7 years ago
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swapmuseum · 6 years ago
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SCOPRI I LAVORI DI MIRIAM, FRANCESCO, VITTORIO, GIANLUCA, NICHOLAS, SIMONE E XU PER “DIAMO VOCE ALLE OPERE D’ARTE” ALLA GALLERIA D’ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA DI FOGGIA
IL MUSEO
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La Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Foggia è situata al piano terra di Palazzo Dogana. Scopo della Galleria è quello di documentare, soprattutto con le future acquisizioni e il suo Archivio, l’attività artistica in Capitanata tra Ottocento e Novecento, e di promuovere, con le mostre temporanee, la conoscenza delle più avanzate ricerche artistiche contemporanee. Attualmente si compone di due sezioni adibite a mostre permanenti. La prima di artisti dauni attivi dalla seconda metà dell’Ottocento agli anni Settanta/Ottanta del Novecento (Francesco Saverio Altamura e Giuseppe Ar e qualche nome internazionale (Botero, Paladino, Schifano), la seconda con opere date in comodato provenienti dalla Collezione dell’Istituto San Paolo-Banco di Napoli.
L’ATTIVITÀ:     statue/opere parlanti
LE ORE: 20 ore
I PREMI: buono per libri e cinema
GLI SWAPPER:
MIRIAM SAMMARCO, 16 anni
FRANCESCO CASTELLUCIO, 16 anni
VITTORIO BAIARDI, 16 anni
GIANLUCA CIRONE, 16 anni 
NICHOLAS AQUAVIVA, 16 anni
SIMONE MORANO, 16 anni
XU YI, 16 anni
I RISULTATI:
Xu Yi, Simone Morano, Nicholas Acquaviva, Gianluca Cirone, Vittorio Baiardi, Castelluccio Francesco, Miriam Sammarco hanno scelto una o più opere a cui dare voce, scrivendo i contenuti per descrivere ritratti, paesaggi e sculture presenti all’interno del percorso espositivo della Galleria. Attraverso le loro parole si può cogliere i diversi aspetti del racconto visivo del ritratto di Giacomo Leopardi, del pescatore in carboncino di Petrucci e dei tre tossicodipendenti di Michele Saggese, dei paesaggi di Mancini, Luigi Schingo e Alfredo Bortoluzzi e delle sculture di Fernando Botero e Pino Conte.  Hanno inoltre dato voce ai ritratti rappresentanti il filosofo Pietro Giannone, il musicista Ludwig Van Beethoven e al pittore Giuseppe Ar che descrive il suo dipinto di “Donna alla spianatoia”. I loro contributi messi a disposizione dei visitatori condurranno gli osservatori in un interessante viaggio nell’arte  tra Ottocento e Novecento in Capitanata.
I LAVORI
Ascolta qui l’audio guida. 
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paoloxl · 6 years ago
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Il principale problema dell’educazione sessuale è forse quello di non essere pienamente compresa da tutti. La causa dell’incomprensione sta poi a sua volta nel non aver ricevuto una seria educazione sessuale. È un po’ un circolo vizioso ma tant’è; di fatto si sconta la propria carenza culturale, dovuta all’esser cresciuti in una società ancora intrisa di bigottismo, che considerava il sesso un tabù e la masturbazione una pratica da depravati, e la si riversa in parte nelle nuove generazioni. Con tutte le buone intenzioni, ci mancherebbe, ma con il risultato di privarle di una formazione utile e al passo con i tempi.
materia di studio obbligatoria nelle scuole. L’Italia ovviamente non è tra questi
Al passo anche con il resto del mondo, a dirla tutta, perché è ovviamente vero che a livello globale siamo parecchio avanti, ma il nostro modello di riferimento dovrebbe essere ristretto alle nazioni occidentali. In particolare a quelle dell’UE, che dovrebbero esserci più affini. E qui paghiamo drammaticamente pegno; infatti, secondo un rapporto di qualche anno fa, su ben 17 dei 24 Paesi analizzati l’educazione sessuale è materia di studio obbligatoria nelle scuole. L’Italia ovviamente non è tra questi, a farle compagnia ci sono Bulgaria, Cipro, Lituania, Polonia, Romania e il Regno Unito, ma in quest’ultimo la faccenda è in evoluzione.
Probabilmente anche in quelle nazioni ci saranno state a suo tempo delle diffidenze verso i programmi di educazione sessuale, ma è evidente che le istituzioni hanno saputo orientare l’opinione della gente e, quando necessario, hanno esercitato il loro diritto/dovere di compiere le scelte migliori per la collettività. In Italia questo non è avvenuto. La classe politica si è finora infischiata di ciò che è meglio per i nostri figli e per noi, e allo stesso tempo i cittadini non sono ancora del tutto coscienti che l’ambito dell’educazione sessuale non è limitato al comportamento sessuale e alla procreazione. Non è insomma una mera questione di coito e derivati, ma contempla soprattutto gli aspetti sociologici, psicologici, etici e giuridici della sessualità e delle relazioni affettive. Comprende anche una corretta informazione sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, il tutto nell’ottica di limitare i fenomeni di bullismo a sfondo sessuale, come del resto raccomanda l’Organizzazione Mondiale della Sanità.
E qui casca l’asino. Già, perché proprio questi temi sono sempre stati contestati da vari gruppi reazionari, generalmente riconducibili ad ambienti religiosi cattolici e non solo, in quanto ritenuti incompatibili con i loro precetti morali. Contestati spesso in maniera anche molto aspra e con il sostegno dei media cattolici, come nel caso degli opuscoli realizzati dall’Unar, ente governativo — di cui fa parte anche l’Uaar — nato per promuovere il contrasto alle discriminazioni, contro i quali fu scatenata a suo tempo una vera e propria guerra santa. Contestati ricorrendo alla diffusione di bufale montate ad arte, come quella sulla fantomatica “ideologia gender” secondo la quale parlare di identità di genere equivale a istigare i maschi a diventare femmine e viceversa, pure a giorni alterni. Come se a parlare di verdure si facessero diventare vegetariani tutti gli ascoltatori. E se si è arrivati al punto che perfino una dirigente scolastica ha deciso di scrivere alle famiglie per avvalorare ulteriormente queste bufale, e che un sindaco come Brugnaro ha preso l’iniziativa di stilare un elenco di libri proibiti da mettere al bando, si ha la misura di quanto realmente grottesca sia la situazione.
Il risultato è che, nonostante del problema se ne parli costantemente, e nonostante di tanto in tanto emerga qualche timida e parziale proposta, talvolta a livello anche solo locale, le scuole di fatto si arrangiano. Cenni di educazione sessuale vengono impartiti all’interno di altre materie, tipicamente nelle scienze e con il supporto di psicologi, almeno fintanto che nessun genitore protesta. Di fatto, quindi, la presenza o meno di questo insegnamento dipende dal tipo della scuola e dei suoi utenti. Dalle istituzioni non solo arrivano pochi incoraggiamenti, ma arrivano piuttosto veri e propri paletti, spesso agitando lo spauracchio dell’attentato alla famiglia tradizionale messa a repentaglio dal declino morale della società. Famiglia che molte volte viene impropriamente definita “naturale” quando di famiglie ve ne sono di diversi tipi, dalle monoparentali alle omogenitoriali fino alle allargate, ma nessuna di esse è un fenomeno naturale. Semmai sociologico.
regole per una educazione sessuale “cattolicamente corretta”
La novità è che adesso da parte cattolica si sta cercando di cambiare registro. Non più contrasto aperto all’introduzione di qualunque educazione sessuale con un minimo di fondamento scientifico, al semplice scopo di mantenere l’aderenza dell’insegnamento pubblico alla morale religiosa. Non più semplici nozioni di educazione antisessuale, oltre che antigay e antiatea, all’interno dei testi di religione cattolica. Visto che diventa difficile ignorare le crescenti richieste di una società che non vuole perdere troppo terreno sia verso le nazioni più evolute che verso le generazioni future, perché non proporsi in positivo e dettare le regole per una educazione sessuale “cattolicamente corretta”? Così allo stesso tempo ci si rifà pure il trucco in chiave più moderna, il che non guasta mai.
Alcuni progetti sono disponibili da tempo, altri stanno man mano nascendo e leggendo anche solo le descrizioni si capisce chiaramente dove si vuole andare a parare. Ecco alcuni esempi: Una storia unica di Saverio Sgroi, che include tra i pericoli la pornografia, l’omosessualità, il gender (ovviamente) e la promiscuità; La Luna nel Pozzo, realizzato da un’associazione che promuove la contraccezione naturale; Teen Star è un progetto internazionale che in Italia collabora con l’Università Cattolica; Io Tarzan, tu Jane di Massimo Scarmagnani non lascia nulla al dubbio fin dal nome; RispettiAMOci è un progetto del Forum delle associazioni familiari dell’Umbria, articolazione del Forum nazionale di spiccato orientamento cattolico e a tutela della famiglia tradizionale; Pioneer di Marco Scicchitano si basa a sua volta su Nati per essere liberi di Tonino Cantelmi, corso dichiaratamente “no-gender” (sic). Questi sono solo alcuni dei progetti. Ve ne sono diversi altri tutti con lo stesso comune denominatore: si dichiara di fare educazione sessuale ma a prevalere ampiamente è un’educazione affettiva secondo i canoni e su base prescrittiva ed eteronormativa, fondata sulla reiterazione mortificante e anacronistica di pregiudizi e stereotipi di genere in linea con il catechismo.
Serve spiegare loro quello che vedono in rete, che sentono dagli amici
È chiaro che un insegnamento di questo tipo va respinto categoricamente perché, contrariamente alle intenzioni dichiarate, è puro indottrinamento ideologico. Ai bambini e ai ragazzi non serve qualcuno che gli presenti il mondo che vorrebbe, incentrato unicamente sul modello familiare tradizionale padre/madre/prole, che predichi l’astinenza sessuale fuori dal matrimonio e che respinga la contraccezione. Serve qualcuno che gli insegni come interagire nel mondo reale, non in quello evangelico. Serve spiegare loro quello che vedono in rete, che sentono dagli amici. Non serve convincerli a non interessarsene perché tanto per cominciare non lo faranno, e poi perché così facendo li si allontana, li si spinge nuovamente verso il tam tam degli amici degli amici, verso una sessualità non pienamente consapevole, verso gravidanze indesiderate, verso l’intolleranza nei confronti di chi ha orientamenti e identità diverse. O da parte di chi discrimina chi ha orientamenti e identità diverse.
I costi sociali di un’informazione inadeguata potrebbero essere perfino maggiori di quelli causati dalla mancanza di informazioni; tanto varrebbe allora continuare come fatto finora. E invece no, bisogna fare qualcosa. Qualcosa di buono però. Di utile. Non dannoso almeno.
Massimo Maiurana
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pangeanews · 7 years ago
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Erano per Almirante, ma piacevano a Berlinguer: ode ai “bad boys” del calcio, la Lazio irriverente di Chinaglia e Maestrelli
“Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada, lì ricomincia la storia del calcio”, diceva Jorge Luis Borges. Li hanno definiti maneschi e fascisti, eppure hanno scritto una delle pagine più belle del calcio italiano. C’è tutta una letteratura su quella squadra di cui ha parlato nel libro Pistole e palloni, ripubblicato nel 2017 da Liet Edizioni, il giornalista e scrittore Guy Chiappaventi. La Lazio di Tommaso Maestrelli, l’allenatore buono, nel 1972-’73 sfiorò lo scudetto e vinse il campionato di serie A nel 1973-’74. Due anni prima militava in serie B. L’ambiente non aveva accolto favorevolmente quel gentiluomo nato a Pisa, che aveva combattuto in Montenegro, che era stato un giocatore dell’odiatissima Roma e che aveva guidato, fino quel momento, compagini di serie cadetta come la Reggina, il Bari e il Foggia. Poi, all’improvviso, il miracolo Lazio. Era specialmente la squadra di Giorgio Chinaglia e Giuseppe Wilson, che non sopportavano chi parlasse lombardo. Maestrelli aveva diviso lo spogliatoio in due. Di qua i chinagliani, di là Martini, Re Cecconi e “quelli del nord”. Chinaglia, centravanti, era un ragazzone bizzoso, figlio di emigranti che aveva iniziato a giocare in Galles dove gli italiani venivano definiti con disprezzo “i camerieri”. L’altro, Wilson, difensore colto e raffinato, il primo calciatore laureato ancora in attività. Nell’undici di base della Lazio del ’74 militavano: Felice Pulici, Sergio Petrelli, Luigi Martini, Giuseppe Wilson, Giancarlo Oddi, Franco Nanni, Renzo Garlaschelli, Luciano Re Cecconi, Giorgio Chinaglia, Mario Frustalupi e Vincenzo D’Amico. La squadra si dichiarava politicamente dalla parte dell’Msi di Giorgio Almirante, ma Enrico Berlinguer, segretario del Pci, aveva simpatie per i colori bianco-azzurri e non lo nascondeva. “Eravamo convinti che potessimo fare ciò che volevamo, sempre e dappertutto”, ha ammesso il capitano Wilson in una recente intervista che ho pubblicato sulla rivista “Lazialità”. Quei giocatori sparavano alle lampadine degli alberghi lasciando sbigottiti i proprietari, ma anche in mezzo alle gambe dei massaggiatori che si prestavano a fare da cavie. Qualcuno volava con il paracadute. Eppure hanno scritto una delle pagine più belle del calcio italiano di tutti i tempi, tanto da attirare le attenzioni del figlio del Presidente delle Repubblica Giovanni Leone, Giancarlo (oggi dirigente di spicco della Rai), che il giovedì si allenava con quel gruppo di scalmanati. Durante le partitelle infrasettimanali volavano spintoni, schiaffi, calci e qualche fondo di bottiglia. La domenica, però, il mucchio selvaggio era un blocco unito, granitico. Sono morti quasi tutti, qualcuno addirittura per un’incredibile fatalità (a Re Cecconi il 18 gennaio 1977 spararono dentro una gioielleria in circostanze mai chiarite del tutto, nonostante la versione ufficiale fu che avesse inscenato una finta rapina). Giorgio Chinaglia, latitante negli Stati Uniti e imputato in Italia per i reati di riciclaggio di denaro e aggiotaggio nel tentativo di riprendersi la Lazio, se ne è andato il 1° aprile 2012, di domenica durante l’ora delle partite.
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Ma come fece quella squadra così irregolare a vincere il campionato contro ogni previsione? Annotò Mimmo De Grandis (il padre di Stefano, noto conduttore televisivo di Sky Calcio) in S.S. Lazio (Edi-Grafic 1977): “Nessuno lo pensa, nessuno se ne accorge. La squadra è divisa, c’è un gruppo di maggioranza, uno di minoranza, c’è il gruppo degli indipendenti. Al di sopra di tutti si innalza però la figura di Tommaso Maestrelli che tiene in pugno la situazione e governa la barca con sensibilità e intelligente elasticità”. Il segreto stava nelle capacità umane di questo padre per tutti. Affabile, discreto, in grado di gestire sapientemente i suoi ragazzi. Li capiva, li ascoltava. Li difendeva, li perdonava. Il giornalista Franco Recanatesi ha scritto un volume che lo ricorda affettuosamente: Uno più undici (L’Airone 2006) definendo Tommaso Maestrelli “l’interprete più anomalo e meno integrato di un mondo decisamente venale, discretamente superficiale e un po’ tronfio”. Gianni Brera reputava la Lazio un’eresia calcistica. Giocava un calcio all’olandese, arrembante e dinamitardo. Ma si sa, le storie belle finiscono presto. Nell’inverno del 1975 Maestrelli iniziò a stare male e si accasciò al termine di una trasferta vittoriosa a Bologna. Il perseverare dei sintomi lo costrinse a sottoporsi ad esami clinici. Gli fu diagnosticato un epatocarcinoma al fegato. “Perché mi avete chiamato per farmi vedere un morto?”, disse il famoso chirurgo Paride Stefanini allargando le braccia. Perse quasi quindici chili in due settimane. La squadra dello scudetto, senza il suo allenatore, stava precipitando in serie B. All’inizio della stagione 1975-’76 venne chiamato sulla panchina il bergamasco Giulio Corsini, che entrò subito in conflitto con Chinaglia. L’intransigenza di Corsini cozzava con lo spirito di ragazzi anarchici e ammaestrati solo dalla bontà e della dolcezza di Maestrelli. I giocatori continuavano a pensare al loro secondo padre e passavano ore al suo capezzale. Intanto un immunologo genovese, Saverio Imperato, stava sperimentando sull’allenatore una nuova cura contro il cancro. Si era presentato spontaneamente promettendo la guarigione. I risultati furono stupefacenti. Maestrelli, sul letto di morte, cominciò a reagire bene e gli tornò l’appetito. La cura si chiama sinterapia, ed è un trattamento che agisce in sinergia con le terapie ufficiali utilizzando il vaccino BCG per stimolare le difese immunitarie del corpo a reagire contro le cellule tumorali. L’allenatore buono ordinava il pesce e la carne mentre i ristoranti di Roma si mobilitavano per portargli a casa i piatti più prelibati. L’attrice Lea Padovani, tutti i lunedì, gli faceva recapitare la pasta con i fagioli da lei stessa cucinata.
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Era il 30 novembre del 1975. Un giorno insignificante, una domenica come un’altra, per gli italiani. La Lazio partì per la trasferta di Ascoli Piceno. Negli spogliatori dello stadio, prima della gara, in uno dei tanti diverbi tra Chinaglia e Corsini, l’attaccante diede un ultimatum all’allenatore: “Se oggi perdiamo, tu te ne vai”. Maestrelli, da casa, si apprestava ad ascoltare “Novantesimo Minuto” seduto sulla poltrona del salotto. Ad Ascoli faceva freddo. In Piazza del Popolo, chiusa dallo splendido abside di San Francesco, il convoglio dei tifosi di casa partiva alla volta dello stadio. Ascoli era per tutti la città di Alfredo Alfredo di Pietro Germi, e Dustin Hoffman poteva sembrare un po’ l’americano che sarebbe diventato di lì a poco Giorgio Chinaglia andando a giocare nei Cosmos stellari di Pelé e Beckenbauer, diventando in un paio di anni l’icona del calcio statunitense che si stava espandendo in tutto il paese. Allo stadio Cino e Lillo del Duca l’Ascoli si batté al massimo delle forze, mentre la Lazio appariva smarrita. Segnarono Gola e Morello. All’ultimo minuto l’arbitro indicò il dischetto del calcio di rigore in favore la squadra romana. Chinaglia realizzò con un tiro laterale a sinistra. Il bomber esultò, irriverente, verso il pubblico ascolano che l’aveva fischiato per novanta minuti. Per i laziali Ascoli non era di certo, quella notte, la città del film I delfini di Citto Maselli, in cui i giovani del posto furono incapaci di rompere un ordine prestabilito, di andarsene dal luogo della nascita, ma proprio nella cittadina marchigiana nacque la suggestione dell’incredibile ritorno. Chinaglia e Wilson telefonarono a Maestrelli abbandonando ogni indugio: “Mister, noi senza di lei siamo un’armata brancalone”. L’allenatore buono fece una scelta d’amore. Emaciato, magro, febbricitante, ritornò in panchina per i suoi ragazzi. Quando mercoledì 3 dicembre 1975 sciolse ogni riserva, a molti tifosi vennero le lacrime agli occhi, mentre altri aspettarono che si accomodasse in panchina, per crederci veramente. Fu accolto da 75.000 spettatori per la partita interna con il Napoli del 7 dicembre. Salvò la squadra dalla retrocessione, ma morì l’anno successivo, il 2 dicembre 1976. Per un destino crudele, nel 1999 e nel 2011, sono venuti meno, per lo stesso male, anche Patrizia e Maurizio, due dei quattro figli.
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Tommaso, dopo la partita di Ascoli, aveva chiamato la moglie Lina per dirle: “Amore mio, torno ad allenare. Non mi dire di no”. Si era appena lavato il viso e aveva passato il dopobarba sul mento. Si infilò un maglione e si avviò in corridoio dove era posizionato il telefono. Chinaglia e Wilson si abbracciarono come bambini perché erano stati i primi a saperlo, appena rientrati nella capitale e diretti al night club preferito, il “Jackie’O”, meta del jet set italiano di allora. I bad boys avevano finalmente ritrovato il loro maestro. Belli e maledetti, come quella Lazio eccessiva, indomita. Una formazione dove Giorgio Chinaglia si permetteva di sbeffeggiare la Juventus e perfino Gianni Agnelli in persona, l’unico che lo aiutò nella folle impresa di diventare presidente della Lazio nel 1983. Oggi, in un’epoca oberata da costi e fatturati, il calcio degli affetti è svanito. E ci manca, come ci mancano Maestrelli e Chinaglia. Chissà se Giorgio, Long John dalla marca di whisky che beveva, si sentiva solo, in Florida. Dicono che non facesse altro che parlare di Roma, dei tempi belli. Tante volte era tornato e tante volte se ne era andato. Un’avventura continua. Roma è stato sempre orfana di lui, quando non c’era. Ogni settimana lo raggiungeva Giancarlo Oddi al telefono. Parlavano da vecchie glorie, ma l’amore per quella maglia era rimasto immutato. E pensare che qualche giorno prima ci aveva anche giocato, sulla malattia. L’ex compagno di squadra gli aveva detto: “Mica te ne vorrai andare prima di rivederci?”. Lui rispose che stava bene e rise. Aggiunse poche cose con la voce roca, intervallata dalla boccata di una sigaretta appena accesa. A Naples, nella città dove viveva, il clima era ideale. Ci abitano anche Steven Spielberg e Larry Bird su quella linea costiera dal clima temperato. Ma Roma era Roma. I figli di Tommaso Maestrelli hanno voluto che salma del campione fosse tumulata accanto a quella del padre nel cimitero di Prima Porta a Roma (dove ancora oggi giungono mazzi di fiori da tutta Italia). Per una ricongiunzione ideale, come dopo quella lontana partita di Ascoli, che ormai quasi nessuno ricorda più.
Qualunque cosa può essere mitologia. Anche il mito dell’infanzia, del tutto soggettivo, che in questo caso si lega al gioco del calcio, al “basso epico” che Jorge Luis Borges vede come la faccia moderna di un passato altrettanto mitologico, quello dei gladiatori dell’Impero Romano per intenderci, dei lottatori che sublimavano la lotta per la sopravvivenza. Il mito segue il senso della forza fisica, dell’imposizione fiera ed eroica incarnata da Tommaso Maestrelli e Giorgio Chinaglia.
Alessandro Moscè
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sangha-scaramuccia · 7 years ago
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Resoconto su “portare la meditazione nelle scuole elementari” a Torino
L’idea nasce dall’incontro di due vecchi amici che si sono ritrovati dopo parecchi anni di lontananza.
La passione per la meditazione Zen ha dato vita al progetto che nasce durante la scorsa estate in una delle tante serate di incontri di meditazione. Saverio (Maestro Bassui) in quel periodo, non era ancora investito della carica di Monaco Zen ma già nella sua testa l’idea prendeva forma
Dopo la sua investitura me ne parlò a cuore aperto e molto convinto. Aveva trovato in me una persona aperta e disponibile a seguirlo e ad aiutarlo nell’impresa, soprattutto da un punto di vista amministrativo. Saverio ha una grande esperienza di rapporto con i bambini dovuto al suo trascorso di maestro di Karate per piccoli, arte marziale che gli ha sempre dato grande soddisfazione. Possiede un vero e proprio carisma da papà buono che sa ascoltare, gratificare ma anche sgridare nel momento giusto. E’ nonno di ben 5 nipotini con i quali ha instaurato un rapporto affettivo di grande rispetto.
Non avendo grandi impegni lavorativi ed essendo alla ricerca di qualcosa di gratificante e piacevole per poter impegnare il tempo libero, decisi di accettare prendendomi tutto il tempo necessario per partorire una bozza di progetto. In questa prima fase mi diede una mano la mia amica Angelica Presidentessa dell’associazione GAU che si occupa di seguire i grandi ustionati nel loro doloroso percorso di recupero. Mi mandò gli indirizzi di tutte le scuole elementari di Torino, già in sue mani per il suo ruolo, ed avendo lei esperienza con le scuole le passai le prime bozze per avere un suo parere e qualche suggerimento. Alla fine di agosto primi di settembre il progetto fu terminato con grande soddisfazione mia e di Saverio, il quale ne parlò al Maestro Taino di Scaramuccia che ci diede la sua benedizione. Cominciai a spedire email nella seconda metà di settembre. Sinceramente in cuor mio ero un po’ scettica ma non dovetti attendere molto perché la prima telefonata arrivò dopo circa una decina di giorni dall’invio del progetto. Il giorno 4 ottobre avemmo il primo incontro con la scuola Gabelli di Barriera di Milano.
Il 4 ottobre era un martedì. Cominciammo subito il venerdì di quella stessa settimana.
In un primo momento Il Maestro Bassui, istintivamente, volle seguire gli insegnamenti ricevuti inserendo la preghiera iniziale con la campana. Si notò, da subito, che non era il metodo migliore. Essendo la scuola posto pubblico frequentata da una pluralità di persone ed etnie, decidemmo di svestire gli incontri di tutto ciò che poteva apparire come una lezione religiosa puntando su contenuti prettamente laici.
Usando le nostre conoscenze di psicologia di base un po’ di buon senso e la lettura sugli argomenti più interessanti del libro “LA MEDITAZIONE PER I BAMBINI” di David Fontana e Ingrid Slack, cominciammo a concentrarci sul discorso del respiro, spiegandolo come gioco, come molla principale per raggiungere uno stato di quiete. Il Maestro Bassui aggiunse, soprattutto, tutta la sua capacità empatica verso i bambini che lo videro come un diverso papà da ascoltare. Ci aggiunse ascolto, comprensione e dolcezza.
Si decise, così di chiedere una riunione con tutte le maestre coinvolte e una rappresentante dei genitori. In quella riunione le maestre ci dettero tutto il loro appoggio e si mostrarono entusiaste, nel voler portare avanti un discorso di aiuto ai bambini e, di conseguenza, anche a loro. Concludemmo il nostro incontro concordando una base di sessione che, oltre a insegnare la meditazione Zen mettesse l’accento sull’accrescere l’autostima, sul capire e gestire l’aggressività e sul rispetto per l’altro, il diverso.
Essendo la scuola Gabelli scuola di “confine” ha il pregio di seguire bambini di 3 etnie nera, cinese e bianca tra cui molti bambini dei Paesi dell’Est e dei Paesi africani che si affacciano sul Mediterraneo. Alcuni di loro provengono da famiglie svantaggiate o con grosse problematiche sociali e I nostri incontri, anche se brevi, mettono in risalto le loro debolezze; nonostante ciò sono bambini attenti e volenterosi che partecipano con interesse. Le insegnanti sono a dir poco strepitose. Hanno una mentalità molto aperta e vedono nella meditazione mediante il respiro una possibilità di vero aiuto. Ogni venerdì gli incontri sono coinvolgenti e partecipativi da tutti ed, alla fine, (l’incontro dura più o meno una mezz’ora per classe e le classi sono 4) alcuni bambini si avvicinano abbracciandoci con molto affetto e si ha la sensazione di aver fatto un buon lavoro tutti insieme.
Nella scuola Falletti l’impressione è leggermente diversa. E’ situata in zona Crocetta, zona abitata per lo più da benestanti o media borghesia. Lo si evince anche dal comportamento degli stessi bambini. Sono più disattenti, meno interessati tanto che hanno anche l’arroganza di dirlo. Non tutti, certo, ma come al solito se in una classe ci sono uno o due bimbi un po’ bulletti i più “discoli” li copiano, mettendo a disagio gli altri che magari vorrebbero seguire con attenzione. L’insegnante che incontriamo ogni lunedì da l’impressione di vivere in una realtà tutta sua. Non ha la capacità psicologica di gestire i bambini facendosi ascoltare con autorevolezza. E’ frustrata dalla sua stessa incapacità e assume un ‘aria di superiorità nei nostri confronti tanto che, all’ultimo appuntamento, pur essendo presente fisicamente si è estraniata dalla sessione e quando le si chiedeva qualcosa in base al principio di collaborazione assumeva l”hat” di colei che comanda e dirige con molta autosufficienza. Negli ultimi incontri, avvenuti dopo le vacanze di Natale, si è riscontrata una resistenza, piuttosto palese, verso tutte le iniziative (spiegazione di piccolissime pratiche Zen come l’uso del Kiosaku e il canto di un Sutra) che il maestro Bassui avrebbe voluto impostare, su richiesta dei bambini e in maniera del tutto laica, all’interno degli incontri. Si ha la sensazione che i nostri appuntamenti sono stati voluti perché gratuiti e perché vanno a coprire obbligatoriamente delle ore messe a disposizione dalla organizzazione didattica. L’esperienza è continuata fino alla fine di febbraio del 2018. Nonostante la nostra disponibilità e buona volontà, l’insegnante ha addotto impegni vari per cui i nostri incontri, a tutt’oggi, sono stati sospesi. Gli ultimi accordi presi prevedono che l’insegnante Paola ci richiamerà alla fine di aprile. Naturalmente, per noi, questa esperienza non è ritenuta negativa perché da essa stiamo imparando come muoversi all’interno delle istituzioni e siamo convinti che anche alla Falletti, nonostante ciò che abbiamo evidenziato, un seme gettato oggi potrà fiorire tra qualche anno.
Sono oramai 7 mesi che, presso la scuola Gabelli la nostra attività procede con molta soddisfazione da entrambe le parti in causa. I bambini, dopo le prime sedute nelle quali hanno preso conoscenza della nuova realtà e modalità di respiro, hanno dimostrato non solo curiosità ma interesse e partecipazione attiva che ha prodotto un rapporto di empatia tra noi e loro. Si sono talmente appassionati da riportare giudizi molto positivi ai genitori. Alle iniziali classi terze si è aggiunta una quarta. Gli insegnanti che partecipano anche loro alle sedute, sono anch’essi entusiasti a tal punto che, sotto la specifica richiesta di bambini e genitori ci hanno proposto l’inserimento della meditazione Zen con respiro all’interno di una iniziativa scolastica inerente un progetto che si chiama “save the children” che coinvolgerà altre classi quarte. Questo progetto è voluto dalle istituzioni scolastiche per aiutare i bambini a gestire la loro aggressività e iperattività. Nella sessione di venerdì 20 aprile, è venuta a farci visita la Preside della scuola Gabelli. Ha assistito ad una nostra lezione alla fine della quale si è complimentata ringraziandoci per la nostra iniziativa e per il messaggio positivo che essa comporta.
Siamo molto contenti dei risultati che stiamo ottenendo e la nostra avventura sembra che debba continuare anche con i bambini di una scuola materna, succursale della Gabelli, nella quale martedì 17, abbiamo avuto un incontro con genitori ed insegnanti. Abbiamo spiegato in cosa consistono le nostre sessioni, abbiamo raccontato i buoni risultati ottenuti con le classi elementari ed alla fine, dopo i saluti, siamo tornati a casa con la consapevolezza che la meditazione Zen per le scuole, probabilmente, dal nuovo anno scolastico avrà nuovi alunni.
Il Maestro Bassui ed io siamo molto contenti di come si stia riuscendo a portare un messaggio molto positivo per la scuola, soprattutto in quella di Barriera di Milano, e siamo molto grati a questo progetto perché lo stiamo vivendo come una grande occasione di crescita personale e di soddisfazione nel vedere, nei bambini, piccoli ma costanti progressi nell’ottenere una maggiore attenzione e consapevolezza verso i propri compagni e le insegnanti.
Maestro Bassui
Adriana Centonze (segretaria)
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