#Salvini Premier
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Quest'estate in occasione della festa lega di Massa ho avuto l'opportunità di conoscere di persona Roberto Vannacci, nulla da dire, uomo preparato, di polso, umile, disponibile e simpatico.
Persona perfetta per affrontare questa dittatrice unione europea.
Vai Roberto Vannacci sono con te!
💪👊🏼😃💚💙🔝😃
#politica#vannacci#lega#european union#unioneuropea#massa Carrara#toscana#Italia#lega in festa#festalega#patrioti d'Europa#lega salvini premier#lega toscana#lega massa carrara
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Giulia Latini (wearing Rhea Costa) at the 'Lubo' premiere at the 2023 Venice International Film Festival on Thursday (7th September) in Venice, Italy.
#Giulia Latini#2023 Venice Film Festival#80th Venice Film Festival#lubo#premiere#appearances#appearance#event#outfit#rhea costa#BENEDETTA BRUZZICHES#SALVINI#celebrity style#celebrity fashion#celeb style#celeb fashion#red carpet fashion#red carpet style#red carpet looks#fashion#style#stylish
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81 migranti morti per il blocco navale voluto da Prodi, premier, e Napolitano, ministro dell'Interno, nel '97, Ma non ricordo processi. In Italia si portano in tribunale solo quelli di destra. "Che hanno ragione. Ma vanno attaccati." Come Salvini.
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Sono sempre stato un tipo molto, molto, molto tollerante ma se poi una premier con il diploma da istituto professionale e un viceministro con diploma liceale col minimo dei voti e la manifestazione culturale piu importante che hanno frequentato e' la sagra della porchetta di Ariccia (Meloni) o quella della salamella di Legnano (Salvini), vogliono spiegarmi quale sia la cultura buona e quale quella cattiva per il nostro Paese, sento il crimine che mi sale dentro. @ilpianistasultetto
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Open Arms, l'accusa dei Pm: «Salvini agì in spregio a tutte le regole. Era un'autopromozione»
Sei anni per aver trattenuto illegalmente 147 persone a bordo di una nave, «piegando strumentalmente le norme alla strategia dei porti chiusi», non sono una richiesta politica contro l’atto politico di un ministro.
Sono piuttosto la valutazione giuridica di un comportamento considerato illegittimo in base alle leggi nazionali e alle Convenzioni internazionali. Un reato, secondo la valutazione dei pubblici ministeri, commesso non per attuare la linea politica di un governo, bensì l’autopromozione della propria personale posizione. Anche in chiave elettorale.
È il punto chiave, per quanto scivoloso, del processo e dell’atto d’accusa finale: alla sbarra non è la politica ma il comportamento di un politico, ribadiscono i pm, sapendo che la difesa ha battuto e batterà proprio su questo punto.
Non a caso, la requisitoria parte proprio da qui. «Di fronte al fallimento delle misure varate dal governo — spiega il procuratore aggiunto Marzia Sabella, riferendosi alle direttive e ai decreti sicurezza approvati dall’esecutivo Conte sostenuto da Lega e Cinque stelle —, l’imputato Salvini s’è avventurato in atti amministrativi illegittimi e penalmente rilevanti, consapevole di agire in spregio a tutte le regole, distinguendo così la sua responsabilità da quella del governo del suo insieme».
A partire dal 14 agosto 2019, quando il Tar del Lazio annullò il divieto d’ingresso di Open Arms in acque nazionali, gli altri ministri competenti Elisabetta Trenta (Difesa) e Danilo Toninelli (Trasporti) si rifiutarono di firmare un nuovo provvedimento che confermasse il primo; e lo stesso premier Conte scrisse a Salvini per chiedergli di far scendere almeno i minorenni (la loro presenza a bordo è un’aggravante del reato) e poi che l’obiettivo della redistribuzione era in via di raggiungimento. Provocando un «vero e proprio caos istituzionale», costringendo altri organismi «ad approntare soluzioni di fortuna non potendo permettere di lasciare quei naufraghi senza terra».
Ma il leader leghista ha proseguito con il suo diniego, proclamando in diretta facebook: «Solo contro tutti». Una frase che ora finisce nella requisitoria a riprova che la linea politica del governo non c’entrava più; anche perché «non c’era più il governo», ormai in crisi dopo la decisione della Lega di sfilarsi dalla maggioranza, come hanno testimoniato gli ex colleghi davanti al tribunale.
Prima di qualsivoglia volontà politica, collettiva o individuale, nell’impostazione dell’accusa ci sono comunque le leggi. Secondo le quali i diritti fondamentali delle persone — alla vita, alla salute, alla libertà personale — prevalgono su ogni altro. Compresa la difesa dei confini da parte dei singoli Stati. L’obbligo dei salvataggi in mare, che giuridicamente si conclude solo con la concessione del Pos (permesso di sbarco in un porto sicuro), «è un principio ancestrale che risale all’Odissea», ricorda l’altro pm Calogero Ferrara. Estendendo il concetto: «Anche il terrorista e il trafficante di uomini non possono essere lasciati in mare; uno Stato democratico è diverso dai criminali, prima li salva e poi li processa».
È un altro punto qualificante affrontato dall’accusa per contrastare la difesa di Salvini. Il divieto di approdo e di sbarco era giustificato dall’ipotetica presenza a bordo di terroristi o soggetti comunque pericolosi per l’ordine pubblico. Ma quella presenza, sottolinea Giorgia Righi, terzo magistrato del pool della Procura palermitana, era presunta e indimostrata: «L’ha ammesso lo stesso imputato, qui in aula, quando ha sostenuto che per lui era un automatismo; tutti i passaggi di navi con soggetti imbarcati senza il coordinamento dell’Italia erano considerati potenzialmente offensivi, anche in assenza di segnalazioni o ragioni specifiche».
Un motivo in più, secondo la ricostruzione dei pm, per considerare illegittimo il comportamento del ministro, consapevole di aver innescato «un iter criminoso» interrotto solo dall’intervento della supplenza della magistratura», quando il procuratore di Agrigento ordinò il sequestro della nave e lo sbarco di tutti i migranti.
Niente — almeno negli ultimi sei giorni di un’odissea che era cominciata il 1° agosto e quindi durava da venti, mentre le condizioni di salute e di sicurezza a bordo della nave si stavano facendo drammaticamente pericolose tanto che i migranti cominciavano a buttarsi in mare pur di toccare terra — giustificava il persistente rifiuto del ministro dell’Interno di concedere il Pos. Non il rifiuto da parte del comandante di andare in Spagna né quello di far scendere a Malta solo una parte dei migranti, perché non si poteva continuare a navigare per giorni né si potevano rischiare disordini a bordo.
Bisognava solo rispettare le regole, e l’imputato s’è guardato bene dal farlo, concludono i pm. Chiamati a «difendere i confini del diritto», a fronte di un imputato che invoca solo la difesa dei confini nazionali. Giovanni Bianconi, Corriere della Sera 14/09/2024
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The italian vice premier and minister of infrastructure and mobility Matteo Salvini said the 7/14/2024 in an interview regarding the Trump assassination attempt "I hope this will be useful to anyone who sows words of hatred and malevolence against the right-wing, against the fascists, against the racists and against Trump"
#as an Italian#we're fucked. now the the politicians can hopenly say that they're fascists? and nobody does anything about it?#italy#italia#matteo salvini#italian politics#destiel meme#destiel news
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La retromarcia di Musumeci e Fratelli d’Italia
Chissà se il ministro Musumeci aveva svolto opportune consultazioni all’interno del governo, prima di uscirsene con l’idea di costringere gli alluvionati a stipulare contratti di assicurazione per coprire danni che lo Stato non sarebbe più in grado di pagare. A giudicare dal Consiglio dei ministri straordinario che ha proclamato lo stato d’emergenza di un anno in Emilia Romagna e ha deciso un primo stanziamento per venire incontro alle esigenze degli sfollati, si direbbe di no. E le dichiarazioni dello stesso Musumeci che, all’uscita da Palazzo Chigi ha derubricato la sua estemporanea proposta a ipotesi da approfondire, hanno confermato che il ministro ha dovuto far marcia indietro. Lo stesso è accaduto per il gruppo dirigente di Fratelli d’Italia e la linea d’attacco contro l’amministrazione regionale guidata fino a poco fa dal presidente del Pd Bonaccini, che ha dovuto affrontare la precedente alluvione. E che ieri ha ricordato a Meloni che in quel caso fu proprio la premier a volere una gestione centralizzata degli aiuti, con la nomina del commissario Figliuolo e la sostanziale sottomissione della Regione ai piani dell’esecutivo.
A determinare la svolta, ancora una volta, è stato Salvini. Il leader della Lega non ha esitato a definire «da Stato etico» l’iniziativa di Musumeci, aggiungendo che il governo può limitarsi a «suggerire», non ad imporre. Senza dire che nessuno, prima di parlare, ha cercato di capire quale sarebbe il costo di queste assicurazioni, in una zona sottoposta a un così frequente rischio di nubifragi.
Che Musumeci e gli altri esponenti di Fratelli d’Italia si siano mossi, per puro interesse elettorale (in Emilia Romagna si vota a novembre per la Regione), senza un qualche via libera della premier, non è credibile. Mentre lo è che la premier abbia concesso il suo “sì” senza che nessuno tra i suoi più stretti collaboratori abbia detto una parola, una sola parola, per spingerla a una riflessione più approfondita, cosa del resto obbligata, ancora una volta, dal dissenso di Salvini e dalla gravità della situazione degli alluvionati. Ma almeno stavolta Meloni non potrà prendersela, o potrà farlo solo fino a un certo punto, con la superficialità dei suoi collaboratori. E neppure con se stessa, dato che non è abituata a farlo.
#lastampa #musumeci #alluvioniromagna
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Invece delle stronzate dei giornali
leggere solo i numeri reali:
Fratelli d'Italia
passa da 7.301.303 voti nel 2022 a 6.378.079
PD
Da 5.348.676 a 5.307.430
Bella la stampa italiana 🥱
Ecco gli altri risultati:
Lega per Salvini Premier
2.470.318 / 2.024.626
Forza Italia
2.279.266 / 2.143.734
Alleanza Verdi e Sinistra
1.021.808 / 1.458.142
M5S
4.335.494 / 2.181.727
L'unico cambiamento reale è che il M5S ha perso due milioni di voti...
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La Nato in guerra. Da Draghi a Meloni si corre a compiacere il bellicista Biden.
Di Alessandro Orsini.
L’Italia deve prepararsi a inviare i soldati in Ucraina. Ma è un processo complicato che richiede sei condizioni. In primo luogo, è necessario uno scenario complessivo, o condizione strutturale, che prenderebbe corpo ove la controffensiva ucraina defunga. Zelensky si troverebbe tragicamente indebolito e la Russia potrebbe puntare a Odessa o altrove. Il trambusto nel Pd è legato a questo scenario che conduce a Bonaccini, la seconda condizione per l’ingresso dell’Italia in guerra. Quando richiesto dalla Casa Bianca, Bonaccini dovrà spingere il Pd a votare per l’invio dei soldati. Una prova? È iniziata in Germania e durerà fino al 23 giugno la più grande esercitazione aerea della storia della Nato, la “Air Defender 23”. L’obiettivo dell’esercitazione è la guerra con la Russia. In sintesi, mentre la Nato si organizza per sparare sui russi, Bonaccini fa il suo lavoro per conto di Stoltenberg nel Pd. La terza condizione per l’invio dei soldati italiani è la fornitura ininterrotta di armi avviata da Draghi in base alla strategia dell’ingresso in guerra un passo alla volta. La quarta è l’uso del Pnrr per le munizioni che pone le condizioni necessarie per la trasformazione dell’economia italiana in economia di guerra. La quinta condizione è il giornalismo compiacente. Ai giornalisti è proibito rivolgere a Meloni e Bonaccini l’unica domanda che avrebbe senso fare: “Se richiesto da Biden, lei direbbe sì all’invio dei soldati italiani?”. I giornalisti mainstream fanno le domande importanti a cose fatte per evitare che i cittadini diventino consapevoli dei pericoli. La sesta condizione è la disponibilità di un finto tecnico che sostituisca Meloni nel caso in cui la richiesta dei soldati italiani determini una crisi di governo. Il che conduce al discorso da candidato premier che Draghi ha pronunciato a Boston. In quel discorso di propaganda bellica, Draghi, il tecnico più politico del mondo, ha ripetuto le parole di John Kirby e Biden. La Nato e l’Unione europea – ha spiegato Draghi – devono battersi per la sconfitta della Russia sul campo, senza peraltro spiegare come sconfiggere una super-potenza nucleare. Draghi si è detto contrario a un’attenuazione del conflitto, persino al cessate il fuoco e a ogni soluzione diplomatica. Il discorso di Draghi svolge due funzioni nel processo di costruzione dell’invio dei soldati italiani. La prima è garantire alla Casa Bianca che, se Meloni traballasse, il banchiere sarebbe pronto a prendere il suo posto. Così facendo, Draghi incentiva Giorgia a radicalizzarsi per dare a Biden più certezze, un fenomeno che prende il nome di “outbidding”. Draghi si estremizza e Meloni rilancia. La seconda funzione del discorso di Draghi è spaventare Salvini affinché sappia che, caduta Meloni, perderebbe la sua posizione preminente nel governo. È noto, per bocca di Massimiliano Romeo, capogruppo Lega al Senato, che Salvini è iper-critico verso la linea iper-estremista di Draghi. La morte di Berlusconi, colomba contro i falchi, favorisce la corsa verso la distruzione dell’Ucraina.
Schlein, che proviene dal movimento pacifista, è al centro di questa contesa geopolitica e deve dimostrare di essere una leader. Meloni ha già superato la prova. Quella di Schlein è resa ardua dalla presenza dietro le quinte di Gentiloni, super-falco della Commissione europea, al punto che si parla di lui come presidente del Pd al posto di Bonaccini per rafforzare la componente guerrafondaia contro quella pacifista. Gentiloni non ha smentito la notizia. Vorrebbe diventare presidente della Repubblica. Per accreditarsi, deve dimostrare di essere pronto a calpestare gli interessi nazionali dell’Italia per curare quelli di Biden.
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Dalla mela alla pesca
La guerra per la Striscia di Gaza ci aveva un po’ distratti da quella, ben più decisiva per le sorti dell’umanità, per Striscia la Notizia. Ora che è chiusa con un blitzkrieg (il post della Meloni che molla Giambruno), possiamo trarne alcune provvisorie conclusioni. Non sugli aspetti privati della Guerra dei Melones. Ma su quelli pubblici, politici.
1. Chi di famiglia tradizionale ferisce di famiglia tradizionale perisce. Nessuno può dare lezioni di vita privata a nessuno. Ma qui crolla l’arrogante e ipocrita propaganda delle tre destre sulla famiglia tradizionale, dai Family Day alle intrusioni anche normative nei rapporti affettivi, dalla difesa di Vannacci e della sua “normalità” all’uso politico-elettorale dello spot della pesca. E viene smascherato il servilismo della stampa di destra (e non solo) che da 30 anni prende sul serio questi maestri di famiglia tradizionale capitanati prima dal puttaniere B. (che, va detto, faceva tutto in onda, non fuori), poi dal plurimaritato e plurifidanzato Salvini, infine dai Melones. Chissà che ora i sepolcri imbiancati non si decidano a vivere come pare a loro e a lasciarci vivere come pare a noi.
2. Chi di conflitto d’interessi ferisce di conflitto d’interessi perisce. Il post scriptum della Meloni contro “tutti quelli che hanno sperato di indebolirmi colpendomi in casa”, fa il paio col “non sono ricattabile” a B. durante le trattative sulla Giustizia, ed è indirizzato anche a Mediaset. Che è stata fondamentale per la crescita vertiginosa del brand Meloni e che, morto B., continua a detenere la cassa e dunque le chiavi di Forza Italia. Noi sappiamo che ciò che fa Antonio Ricci lo decide solo lui: Striscia è l’unica repubblica separata nel Regno del Biscione (a parte il fatto di non attaccare la proprietà). Ma, finché non verrà risolto quel conflitto d’interessi e spezzato quel mostruoso trust finanziario-editoriale, tutto ciò che accade fra Mediaset e il governo sarà letto in chiave politica. Così come la resistibile ascesa di Giambruno in parallelo a quella della fidanzata e la sua repentina discesa agli inferi in sincronia con la separazione da lei. Ora forse la premier capirà l’errore di aver giustificato il conflitto d’interessi del suo ex (e pure il proprio), difeso i suoi deliri e attaccato i pochi giornali critici tirando in ballo la libertà di stampa,che è l’opposto.
3. Chi di Veronica ferisce di Veronica perisce. Quando la Lario piantò B. perché andava a minorenni, la destra politico-mediatica si schierò con lui e lapidò lei come “velina ingrata”. Ora che Giorgia pianta Andrea, sono tutti con lei. E non perché ha ragione lei (come l’aveva Veronica), ma perché comanda lei. La destra italiana è passata dal Banana ai Meloni, ma resta sempre una barzelletta: prima quella vecchia della mela, ora quella nuova della pesca.
Marco Travaglio
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Perlomeno ci tengono su di morale. Matteo Salvini, per esempio. Il popolo ha sempre ragione, ha detto commentando le elezioni russe vinte da Vladimir Putin con quasi il novanta per cento dei favori. Semmai, ha aggiunto, le opposizioni dovrebbero riflettere sui loro errori come lui, quando perde, riflette sui suoi. Pertanto, e per dirne soltanto uno, Aleksej Navalny dovrebbe riflettere sull’imperdonabile errore d’essersi fatto assassinare. Caro Navalny, come si fa a fare opposizione da morti? Per il resto tutto bene, lo ha detto anche Vito Petrocelli. Non so se lo ricordiate. È stato senatore dei Cinque stelle e presidente della Commissione esteri. E sottolineo presidente.
È andato in Russia in qualità di osservatore internazionale, sebbene non abbia capito per conto di chi, ma sarà senz’altro colpa mia, e in un’intervista alla Tass – l’agenzia di stampa controllata dal governo di Putin – ha detto: tutto ok, alla grande, una prova di democrazia da andare in brodo di giuggiole. Ma il mio preferito è Michele Geraci. Quando Petrocelli era presidente, lui era sottosegretario allo Sviluppo economico, governo gialloverde, premier Giuseppe Conte. E ieri s’è stupito dello stupore. Logico che Putin prenda più dell’ottanta per cento. L’economia va una bomba (pardon), il tenore di vita sale (se non la si perde in guerra), l’orgoglio nazionale scoppia di salute più di un’atomica, e se Giorgia Meloni e Antonio Tajani facessero lo stesso, ha detto, anche loro guadagnerebbero voti. Grande idea. Peccato solo che l’Ucraina sia già stata invasa, accidenti. Però potremmo far fuori quei nazisti di San Marino. (Mattia Feltri)
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Quando i litigi si fanno miserabili, si dice che a volare sono gli stracci, cioè i più deboli costretti a rimetterci. Così ieri è stata sostituita la comandante del reparto mobile di Firenze, coinvolta nelle cariche della polizia di venerdì scorso. Una decisione che sa di nuova ingiustizia dopo le manganellate al corteo per la Palestina. Al di là delle responsabilità della funzionaria, quelle botte ai giovani manifestanti sono solo un pezzo della catena di violenze viste nei giorni scorsi a Napoli, Torino, Bologna e Pisa. Un pugno di ferro esibito dalle forze dell’ordine contro il dissenso, per cui non può esserci la regia o il mancato controllo di una dirigente locale, bensì delle responsabilità più alte, e di cui in un Paese normale risponde perlomeno il ministro dell’Interno. Nel nostro governo da operetta, dove la premier fa cabaret e il suo vice Salvini la spalla a Vannacci, il potere invece gioca a scaricabarile, trovando sempre un cireneo a cui far portare la croce. In questo modo chi sta a monte dei problemi non risponde mai di niente, almeno fin quando non arriva la magistratura o qualche struttura sostitutiva di una politica ormai diventata allergica all’assunzione delle proprie responsabilità. Quello che sta accadendo proprio con Vannacci, sospeso dopo una procedura interna alla Difesa durata quasi un anno, e non perché il suo comportamento con la divisa da militare è inopportuno. Così Salvini accusa il ministro Crosetto di mossa a orologeria e quest’ultimo dà dell’incompetente al capo della Lega. Volano gli stracci, appunto.
Nel governo volano gli stracci
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Federico Fubini sul Corriere della Sera.
È appena uscito un lavoro dell’economista Silvia Vannutelli che dovrebbe diventare lettura obbligatoria dei politici eletti. A maggior ragione adesso che si avvicinano le elezioni europee e il ritorno delle regole di bilancio di Bruxelles. Vannutelli insegna alla Northwestern University di Chicago ed è associata al National Bureau of Economic Research degli Stati Uniti. Nel suo ultimo studio, sembra di spiare l’Italia dal buco della serratura
Misure a debito e elezioni, quei 270 miliardi già spesi (ma i consumi ristagnano)
Cosa racconta Vannutelli? In breve, descrive l’impatto politico di un celebre evento di dieci anni fa: il bonus 80 euro del governo di Matteo Renzi. Impossibile dimenticare. Fu lo stimolo più grande mai impresso fino ad allora ai consumi delle famiglie. E si può discutere se fosse opportuno o no, nell’Italia che allora faticava a riprendersi dopo l’infarto della Grande recessione. L’economista Luigi Guiso stima in uno studio recente che quel bonus fece crescere i consumi. Ma è indiscutibile che Renzi volle il bonus in quel momento e in quel modo perché pensava alle europee del 25 maggio 2014. Il premier era appena arrivato a Palazzo Chigi dopo un ribaltamento dei giochi nel suo partito, senza essersi neanche candidato al parlamento l’anno prima: di fatto un organo interno del Pd aveva sfiduciato Enrico Letta e aveva mandato l’allora segretario alla guida del governo. Il nuovo premier aveva bisogno di legittimazione e un modo per cercarla fu di mettere insieme frettolosamente quel bonus da 80 euro al mese calibrato su dieci milioni di elettori con redditi fra 8.145 e 26 mila euro. La misura era finanziata in deficit, solo per l’anno delle europee – anzi per i mesi delle europee – e l’effetto nelle buste paga arrivò nell’ultima settimana di maggio: precisamente nei giorni in cui gli italiani si recavano alle urne.
Era impossibile comprare il consenso in modo più scoperto di così. Allora lavoravo per “Repubblica” e scrissi che l’Italia non aveva bisogno di manipolazioni del bilancio a scopi elettorali. Un ministro di Renzi, mio amico da anni, smise di parlarmi. Vannutelli ora ha fatto i conti, comune per comune del Paese, e calcola che ogni 1% nell’aumento della popolazione beneficiata dal bonus portò 0,18% di aumento dei voti per il Pd. In sostanza, in ogni territorio in cui un 20% della popolazione ricevette gli 80 euro di Renzi la quota di voti per il partito del premier salì in media del 4%. Chi aveva redditi appena sotto o appena sopra le soglie di accesso al beneficio votò molto meno spesso per il partito del premier. Ma il Pd registrò un picco del 40,8%, mai più ripetuto. Non solo. I dati di Vannutelli rivelano anche come gli italiani che ricevettero il bonus per errore e furono costretti a rimborsarlo l’anno dopo – circa 1,5 milioni di persone – in seguito hanno mostrato una tendenza a punire il Pd nelle urne. Ma gli italiani così beneficiati spesero poco: almeno metà del bonus venne risparmiato nel timore di dover affrontare di nuove crisi in futuro.
In ogni caso gli 80 euro funzionarono così bene per Renzi che il premier li rese permanenti. Da allora cercò sempre nuove varianti sul tema, ad ogni passaggio elettorale. Ma perché rivangare ora? Perché quell’episodio rappresenta un modello di qualcosa che si sarebbe ripetuto con maggioranze politiche e in modi diversi nei dieci anni seguenti: Renzi aveva solo reso più esplicita l’arte di mettere soldi in tasca agli italiani, a debito, in vista di una precisa scadenza elettorale.
Proviamo a riassumere qualche esempio nell’ultimo decennio e i relativi effetti politici.
- Il bonus Renzi è costato 73 miliardi di euro in otto anni, mentre Renzi stesso è passato dal 40,8% del Pd nel 2014 al 3% di Italia Viva nei sondaggi oggi.
- Le pensioni con “quota 100” volute da Matteo Salvini, quando la Lega governava con il Movimento 5 Stelle, finiranno per costare 23 di euro fino al 2025, beneficiando circa 400 mila lavoratori. La Lega di Salvini è passata dal 34% delle europee del 2019 – subito dopo aver lanciato “quota 100” – all’8,9% delle politiche del 2022.
- Il superbonus, lanciato dal Movimento 5 Stelle nel 2020 e di fatto sostenuto da tutti i partiti in parlamento, dovrebbe costare a termine circa 105 miliardi.
- Il sisma-bonus lanciato nelle stesse condizioni dovrebbe costare a termine una trentina di miliardi.
- Il bonus facciate, per il quale vale quanto sopra, dovrebbe costare a termine circa 25 miliardi. M5S, che fu il principale promotore di queste tre misure lanciate nel 2020, passa dal 34% delle politiche del 2018 al 15% delle politiche del 2022.
All’elenco si potrebbe certo aggiungere il reddito di cittadinanza, disegnato molto male e costato circa 30 miliardi in quattro anni. Ma sono riluttante a inserirlo nella lista delle regalie a scopo elettorale – benché questa considerazione all’epoca contasse per i 5 Stelle – perché l’Italia nel 2018 aveva senz’altro bisogno di una misura di contrasto alla povertà più robusta di quanto fosse esistito fino ad allora. Sembra invece più tipico della lunga serie di decisioni prese con l’occhio alle urne la misura di riduzione del cuneo fiscale e accorpamento delle aliquote più basse promossa ora dal governo di Giorgia Meloni. Come nel caso degli 80 euro di Renzi, quel provvedimento oggi in Legge di bilancio si rivolge a uno strato sociale che ha sicuramente bisogno di rafforzare il proprio potere d’acquisto. Ma come nel caso degli 80 euro, si tratta di una misura in gran parte in deficit, promossa e finanziata per un unico anno e varata pochi mesi prima delle elezioni europee. Costa, nel complesso, 14 miliardi all’anno. Tra l’altro, persino la riduzione del canone Rai da 90 a 70 è finanziata, per ora, solo per l’anno delle europee.
Bene, ora sommiamo tutte queste elargizioni chiaramente pensate a scopi elettorali negli ultimi dieci anni: il loro costo accumulato fin qui è di 270 miliardi di euro. Si tratta di debito pubblico in più per circa il 13% del prodotto interno lordo. Naturalmente alcune di esse erano almeno in piccola in parte utili o necessarie, eppure sono tutte accomunate da obiettivi politici.
Sono stati centrati? Nell’immediato, sempre: gli autori delle regalie concesse a debito hanno tutti vissuto stagioni di strabordante consenso. Nel medio periodo invece gli effetti sono più complessi. Tutti gli architetti delle misure – meno Giorgia Meloni – hanno conosciuto un declino dei consensi rapido come era stata l’ascesa. Dal 2013 il calo dell’affluenza degli italiani alle urne è stato verticale e così rapido che ormai gli astenuti – cosa mai vista prima – sono più del doppio più numerosi del partito più votato: come se gli elettori avessero perso un po’ di rispetto per la politica (guardate il grafico qui sopra, elaborato da Pagella Politica).
Così il ciclo del populismo economico mostra le sue caratteristiche costanti e crescenti. Si fonda sul bisogno di consolazione dell’elettore, ma ignora le conseguenze dei suoi costi nel tempo. Una sua caratteristica è che i denari spesi, siano pochi per il più minuto dei condoni o una tragica enormità per il più catastrofico dei bonus, non cristallizzano il consenso. Dapprima confortano. Poi i partiti o i leader che hanno concesso iniziano fatalmente e puntualmente a scivolare nei sondaggi. Alcune misure emergono per intuizione non mediata, dai politici al “popolo”. Altre, più spesso, sono intermediate da portatori di interessi che di rado operano alla luce del sole, anche se ormai non fanno più molto per passare inosservati nel suk di Roma.
Il risultato è quasi sempre la disaffezione elettorale verso il politico che ha donato. Renzi presto venne letteralmente detestato. I Cinque Stelle, disprezzati. Ma l’altra costante è che la memoria genetica del populismo economico resta nella società e spinge milioni di elettori e centinaia di gruppi di interesse a cercare sempre nuovi modi stare sul mercato della politica. A cercare la prossima promessa, la prossima scorciatoia. Molti alla base hanno motivazioni e bisogni reali. Partono spesso da domande giuste, a cui magari vengono date risposte sbagliate ma pur sempre risposte, quando invece la vecchia politica negava le domande stesse.
Il risultato però è quello di un criceto che corre, costosamente, sulla stessa ruota. Negli ultimi anni sono stati spesi in Italia circa 300 miliardi a debito in più per sostenere i consumi degli elettori. Eppure l’Istat ci dice che i consumi sono rimasti sempre inchiodati poco sotto o poco sopra i mille miliardi di euro all’anno (stimati in euro costanti del 2015). Impensieriti dal futuro e sfiduciati dalla politica, gli italiani hanno preferito mettere da parte ogni euro concesso di più: in dieci anni i depositi liquidi delle famiglie sono cresciuti, guarda caso, di quasi trecento miliardi di euro.
Forse è tempo che gli elettori esigano dagli eletti risposte meno miopi. Gli uni e gli altri, ormai, sono abbastanza maturi per provarci.
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Une écolière italienne violée par un gang de migrants égyptiens alors qu'elle se promenait dans les jardins publics avec son petit ami.
L'attaque odieuse a suscité une condamnation généralisée dans toute l'Italie, le vice-premier ministre Matteo Salvini appelant à castrer chimiquement les personnes reconnues coupables de tels crimes.
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"Ringrazio Papa Francesco per aver preso parte al G7. È la prima volta nella storia che un Pontefice partecipa ai lavori del Gruppo dei Sette e siamo orgogliosi che sia avvenuto durante la presidenza italiana."
Mio nonno Camillo , quando capiva che una persona era falsa, liquidava tutto con una semplice frase: "Quella non la toccherei nemmeno con le unghie dei piedi".
Ecco! Ed e' quello che penso della nostra Presidente del Consiglio e di meta' del nostro Paese. Di Meloni ( e Salvini), lo penso perche' sono due politici che non hanno MAI riconosciuto il pontificato di Bergoglio, MAI. Il loro Papa era ed e' ancora Ratzinger. Lo hanno detto in mille interviste e in mille post. In tutti i loro profili social mai una parola su Papa Francesco ( se non per criticarlo) ma diverse che parlano di Papa Ratzinger ( per lodarlo) , fino a 5 giorni fa. Stessa cosa penso di meta' italiani, quelli che l'hanno sempre pensata come certi politici e adesso fanno clap, clap, clap..
Saro' strano io ma preferisco la coerenza all'ipocrisia, ai finti sorrisi, alle finte strette di mano. Se a me una persona non piace, non la frequento e mai l'invito a casa mia.
p.s. Mi sarei aspettato un bel siparietto all'arrivo di Papa Francesco. La Premier che gli va incontro e lui, dalla sua sedia a rotelle: "Sono quello stro... di Papa Bergoglio.."..😉
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Il ponte è per Salvini per prima cosa un’enorme compensazione narcisistica per scrollarsi di dosso quella sensazione opprimente di uomo inutile, che senza merito alcuno è stato elevato così in alto da diventare ministro e vice-premier che se non fosse stato così pirla sarebbe lui oggi il premier e le innumerevoli figure di merda che ha coniato finora mettendoci la faccia a livello mondiale. Solo la Piramide di Cheope poteva salvarlo, o il Ponte sullo Stretto. Ve lo immaginate: Ponte Matteo Salvini I°, re di Padania e delle Due Sicilie?
In secondo luogo il ponte è un modo per tentare di ribaltare il numero di voti fra lui e la Meloni nelle due regioni interessate dal ponte, Sicilia e Calabria, in cui mafia e ‘ndrangheta controllano purtroppo un pacchetto sostanzioso di voti, visto che molte persone in quelle regioni vivono costantemente sotto scopa e devono rivolgersi alle cosche se vogliono campare.
Terzo, se il partito dovesse scendere ancora alle prossime elezioni europee, Salvini si gioca la poltrona di capo della Lega.
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