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#SIGNIFICATO DEL COLORE
umi-no-onnanoko · 2 months
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Sarebbe bello tornare ai tempi in cui ancora si aveva la pazienza ed il romanticismo necessari per corteggiare, quando ancora si sapeva il significato della parola ed il modo giusto per farlo senza diventare volgari oppure oggettificati.
Quando si intingeva la penna nel calamaio, si prendevano carta e penna, ci si sedeva allo scrittorio, al tavolino o si cercava una superficie piana, alla luce del sole, al lume di una candela o al bagliore fioco di una lampada.
Si scrivevano le proprie giornate, sensazioni e sentimenti, si affidavano alle pagine, al profumi con con si profumava la carta, al colore dell'inchiostro, alla ruvidezza della carta da lettere scelta, alla busta e poi ai postini il compito di recapitare quel piccolo scorcio di noi e si attendeva trepidanti la consegna della missiva e la risposta della persona cara.
Si aprivano le buste con emozione, con cura le si conservava e le si leggeva e rileggeva fino talvolta a sgualcirle.
Si raccoglievano sassolini di fiori dai campi e li si portava alla propria bella affinché ne apprezzasse il profumo ed i colori, vi si adornasse i capelli o li inserisse in un vaso.
Lavorando a maglia si creavano sciarpe, maglioni, calzini da regalare al proprio innamorato per tenerlo bene al caldo nei periodi invernali.
Conservare i soldi per comprare qualche dolce speciale, frutto, libro da portare come presente.
Si divideva la frutta colta da un giardino, la stessa coperta o lo stesso ombrello durante i tragitti delle passeggiate.
Si aspettavano treni, navi, aerei per rivedersi dopo periodi in cui si era stati lontani e ci si amava anche senza nulla, senza soldi, senza auto, senza telefono, senza un tetto; si lavorava insieme per ottenerli e non importava altro che ci fosse l'altra persona.
Sarebbe bello tornare a regalare amore invece che cellulari, coprirsi con lo stesso ombrello invece che con due differenti, tenersi per mano invece che averle occupate a messaggiare.
Tornarsi a vivere e scoprire, vedersi mutare con il tempo e le stagioni, sarebbe bello tornare ad essere umani.
-umi-no-onnanoko ( @umi-no-onnanoko )
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crazy-so-na-sega · 6 months
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Puoi ignorare i simboli, MA i tuoi nemici no. I comunisti no... Dopo aver preso il potere, la prima cosa che fecero i comunisti fu INVERTIRE il significato di 3 simboli tradizionali.
Evola scrive che i movimenti rivoluzionari moderni prendono "i principi, le forme e i simboli tradizionali" delle società più sane del passato e danno loro una NUOVA svolta. Scava in 3 simboli:
• Il colore rosso
• La parola rivoluzione
• Il simbolo della stella pentagrammica
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sul ROSSO: Nell'antica Roma, l'Imperatore era vestito e tinto di rosso violaceo per "rappresentare Giove, il Re degli Dei". Nel cattolicesimo, i "Principi della Chiesa", i cardinali, indossano una veste rosso scarlatto. Tradizionalmente, il rosso è stato collegato alla gerarchia, all’ordine e al potere. Nell'antichità classica, il fuoco era collegato al colore rosso. Il "paradiso sopra il cielo" era composto da puro fuoco. Il rosso rappresentava autorità e gerarchia. Ma nel XX secolo fu cooptato dai marxisti e fatto rappresentare il contrario. : Uguaglianza, masse e democrazia.
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La parola Rivoluzione: “Rivoluzione nel senso primario non significa sovversione e rivolta, ma in realtà anche il contrario: ritorno a un punto di partenza e movimento ordinario attorno a un centro” In fisica questo è vero: la rivoluzione di un pianeta significa "gravitare attorno a un centro". Le rivoluzioni mantengono i pianeti in un'orbita stabile.
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Le società tradizionali immaginavano che la rivoluzione fosse un movimento che mantiene in armonia l'universo morale. Ma Evola nota che le rivoluzioni adesso significano: allontanarsi dai centri stabili - sommosse- distruzione della regolarità.
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Evola: La Rivoluzione moderna è come lo scardinamento di una porta, l'opposto del significato tradizionale del termine: le forze sociali e politiche si allentano dalla loro orbita naturale, declinano, non conoscono più alcun centro né alcun ordine.
Sul pentagramma:
Il pentagramma, una stella, rappresentava tradizionalmente il destino dell'uomo come microcosmo che conteneva il macrocosmo. Rappresentava l'uomo come "immagine del mondo e di Dio, dominatore di tutti gli elementi grazie alla sua dignità e alla sua destinazione soprannaturale.
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La stella rappresentava l'uomo come "spiritualmente integrato sovrano in modo soprannaturale". Ma i marxisti presero questo simbolo e ne cambiarono il significato. lo hanno reso terreno e "collettivizzato". E' stato messo sulle bandiere dell'URSS e della Cina comunista, diventando distruttivo di ogni valore più alto
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Questo degrado dei simboli è un segno dei tempi estremamente significativo ed eloquente. I simboli sono il linguaggio visivo universale. Questa trasformazione radicale del loro significato non è casuale. Sono stati intenzionalmente riorganizzati attraverso l'inversione, la sovversione e il degrado.
Jash Dholani
[Julius Evola (L'inversione dei simboli- 1928]
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Da: SGUARDI SULL'ARTE LIBRO QUARTO - di Gianpiero Menniti
IL COLORE OLTRE L'OMBRA
Ancora oggi, Giovanni Francesco Barbieri detto il "Guercino", è considerato un pittore raffinato, iscritto nel catalogo ideale del classicismo seicentesco capace di attenuare la resa reale delle rappresentazioni con la nitidezza vivida dei colori ora sfumati, ora esaltati.
A veder bene, ci si trova innanzi un "maestro" del colore, trattato alla stregua di materia.
Le figure, anche se così ben disposte sulla scena, "carraccesche" o "caravaggesche" che dir si voglia, non hanno corpo ma colore.
Colore cangiante, dotato di mille tonalità, ora acceso ora ridotto a ombra.
Ma sempre lì, in primo piano o sullo sfondo, il colore domina.
Solo un particolare gusto estetico?
Forse.
In tarda età questa passione per il colore gli venne contestata come esilio della rappresentazione veridica che caratterizzò la sua epoca.
Tuttavia, per il pittore di Cento, il rilievo dell'immagine appare concentrato in uno strumento innegabile: l'impatto dei contrasti di luce dati dalla ricerca coloristica.
Come se già fosse presente, in lui, il salto espressionista, il significato dell'intensità cromatica che afferma l'essenza della pittura e reagisce al verismo ottundente dell'immagine sacra.
Questa è fuori dal tempo, oltre ogni ricerca del reale: vive di luce, pregna o tenue, carica o sottile, pesante o lieve.
Se è rappresentabile, solo così può essere mostrata.
È un modo di dipingere che fa omaggio all'ultraterreno.
Distingue.
Anche il mito.
Senza compromessi.
Ricorda all'osservatore la dimenticata differenza.
Anche della pittura rispetto a ogni altra forma d'arte.
- Guercino (1591 - 1666): "Sepoltura e gloria di santa Petronilla", 1623, Pinacoteca Capitolina, Roma
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princessofmistake · 7 months
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e-nìg-ma Dal greco àinigma, derivato del verbo ainìssesthai parlare per enigmi, a sua volta da àinos racconto, favola. Questa parola è vertiginosa: ci descrive un mistero profondo, pieno di strette ambiguità, un rovello che impegna duramente l’intelletto. Ma il suo primo significato è più ameno di quanto il colore e l’uso consueto di questa parola non suggerisca; infatti, indica in primis l’indovinello. Non dobbiamo farci fuorviare dal fatto che ‘indovinello’ è un diminutivo, e ci pare subito qualcosa di simpatico. La storia di brevi componimenti poetici allusivi, che sfidano a scoprire il loro oggetto coperto, è molto antica e decisamente seria. Basti pensare alla figura mitica della Sfinge, che fuori Tebe proponeva i suoi enigmi ai viaggiatori, sbranandoli se non riuscivano a risolverli. Fra l’indovinello e la generica frase oscura il passo è breve: si può notare che il professore parla per enigmi, saggiando l’acume dei suoi studenti, nell’enigma del referto medico è nascosto il responso atteso con tanta apprensione, e la risposta enigmatica ci lascia nel dubbio. Ed è dall’oscurità di questi detti che oggi l’enigma prende il significato più generale di fatto inspiegabile, di mistero. Può essere un enigma la costruzione in fisica di una teoria unificata delle forze, può essere un enigma il comportamento indecifrabile di una persona, così come la dinamica di un delitto. Non a caso la celebre macchina crittografica usata dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale fu chiamata proprio ‘Enigma’; con una vena di compiacimento, questo nome attinge all’immaginario millenario di uno sforzo mentale vano davanti alle fitte tenebre di un segreto - evidente ma impenetrabile. O quasi.
unaparolaalgiorno.it/significato/enigma
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schizografia · 9 months
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In un libro dal titolo promettente (ma che non mantiene le promesse), Billy parla di “questo accordo in qualche modo consustanziale della carne e del fondotinta”, un “non so quale accordo della carne con la civilizzazione”. Ma ora sappiamo che ciò che mantiene questo accordo tra la natura e la Persona è l’atto stesso d’interiorizzare la natura sotto forma di Persona, è la coscienza. Tale coscienza è essenzialmente situata nel collo, nelle caviglie, sono queste le aree della grazia: le caviglie, o meglio ancora, le scarpe con il tacco alto, coscienza del peso del corpo, e il collo, coscienza del peso della testa. Per Altri-maschile, al contrario, il collo non è mai cosciente. Si distinguono due tipi di trucco. Da una parte il trucco delle superfici, a base di pasta e di polvere, che consiste nel rendere la superficie assolutamente liscia, “insignificante” in senso etimologico, inespressiva, al fine di proteggerla dal suo essere intenzionata, dal rivelare qualsiasi traccia di esteriorità (rughe, cicatrici ecc.). Dall’altra parte il trucco delle cavità: esso richiama all’interiorità. Qualche volta, l’esteriore si interiorizza: il mascara nero che circonda l’occhio fissa lo sguardo e lo rende interiore a se stesso. Altre volte l’interno si esteriorizza, ma mantenendo, al di là della sua esteriorizzazione, il suo essere interiore: le labbra dipinte di rosso rappresentano l’apertura verso fuori di una densa interiorità, mentre il colore rosso sembra esso stesso estendersi verso l’interno, e questo rosso che va sempre oltre, sotto la pelle, sotto la superficie, alla quale dona una tinta rosea; in questo modo, il trucco delle cavità s’impossessa anche delle superfici. E non solo le labbra, ma anche le unghie: anche qui il rosso si prolunga, si estende fino al punto in cui si rinuncia all’assurda abitudine di lasciare le mezzelune bianche. Il problema delle sopracciglia si pone insieme a quello della confluenza dei due tipi di trucco. I capelli della donna sono segno di una proliferazione, un’esuberanza interna, un’inesauribile fecondità interiore. Ma non è poi più o meno questo il significato del pelo in generale? Perché, allora, ella depila le sue sopracciglia? Perché, malgrado le apparenze, le sopracciglia sono il segno di un’esteriorità, o piuttosto, il segno di una frontiera tra l’interno e l’esterno: sotto le sopracciglia c’è l’interiorità degli occhi; sopra di esse l’esteriorità della fronte. Ma la donna annulla ogni confine tra l’interiore e l’esteriore, cerca di ridurre il più possibile l’esterno all’interno per assicurare il primato di quest’ultimo: da qui la riduzione delle sopracciglia. Attraverso la loro depilazione si realizza la confluenza dei due tipi di trucco. Ci sono ulteriori segni di proliferazione interiore: il neo, o le lentiggini. “Non pensare alle lentiggini come a un difetto. Esse pongono rimedio al suo colorito, fanno sembrare la sua pelle un’essenza rara, come accade per i legni preziosi. Da allora, più di una volta e senza rendermene conto, mi sono trovato a cercare queste macchie sui bei visi, e mi sono ritrovato leggermente deluso dalla loro assenza”
Gilles Deleuze, Da Cristo alla borghesia e altri scritti
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coolchicstylefashion · 5 months
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Daily Inspiration.
IL SIGNIFICATO DEL COLORE AZZURRO. Cosa porta l’azzurro nelle nostre vite? I colori condizionano le nostre vite e le scelte che compiamo non sono mai casuali, spesso rispecchiano lo stato d’animo di quel momento anche se noi, a livello cosciente, non ne siamo consapevoli. 𝐋𝐞𝐠𝐠𝐢 𝐧𝐞𝐥 𝐬𝐢𝐭𝐨: link nel profilo ☝🏼 @coolchicstyle
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1)STYLE Feeling like candy.🍭@bartabacmode @valentinegauthierofficiel @celine 
2)LA BASTIDE PROVENZALE. Immerse nella tranquillità della campagna, le bastides sono il simbolo della vita provenzale. 
3)TABLE DECORATIONS. Inspirations for tablescape.
4)READING NOOK. In casa un angolo lettura comodo e accogliente dove coccolarsi con un libro!
Spero che abbiate tutti una bella giornata! 𝓌𝒾𝓉𝒽 𝓁𝑜𝓋𝑒, 𝒮𝓉𝑒𝒻𝒶𝓃𝒾𝒶
✼ Inspiration Boards ✼ ogni mattina per ispirare attraverso immagini. Made by @stefaniamottadiary 
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𝒟𝒶𝒾𝓁𝓎 𝐼𝓃𝓈𝓅𝒾𝓇𝒶𝓉𝒾𝑜𝓃._ ✼ Inspiration Boards ✼ ogni mattina per ispirare attraverso immagini. Made by Cool Chic Style Fashion.
Buongiorno 。 Bonjour 。 Good morning 。 Guten morgen 。 Goede morgen 。 Buen dia 。 Buenos dias 。 Bom dia 。 Bon dia 。 Kalimera 。 Dóbroe utro 。 Dobro jutro 。 Dobro utro 。 Dzien dobry 。 Jó reggelt ✭ 𓂃‧˚ ˚‧✮ Tutti i diritti delle foto appartengono ai rispettivi proprietari.
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filorunsultra · 7 months
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Dakota Jones, l’aria inquinata, la panchina di Chamonix
Dunque c’è questa foto, ripubblicata su Instagram mesi fa, che ho salvato nella certezza che un giorno sarebbe tornata utile. Si vedono tre persone su una panchina, a Chamonix Mont-Blanc, lungo la pista ciclabile. Si chiamano Scott Jurek, Goeff Roes e Dakota Jones, e tutti e tre si sono appena ritirati dall’Ultra-Trail du Mont Blanc 2011. Sono seduti su quella panchina ad aspettare di vedere Kilian Jornet vincere il suo terzo UTMB. Sono giovani—uno di loro lo è ancora oggi, mentre gli altri due appartengono già all’Olimpo dell’ultrarunning. Ripostando la foto, qualche giorno dopo aver fatto podio a CCC, nel 2023, Jones aveva scritto: “In my recent post I mentioned sitting on a bench in Chamonix after dropping out of UTMB 2011. Scott Jurek sent me the photo! This is from that day! I can’t remember who these two other people are. They probably aren’t important to the history of trail running… I look such an idiot on this picture”.
Tra quella panchina e noi ci passano tredici anni, ere geologiche e generazioni di corridori, ma c’è chi è riuscito ad attraversarle indenne, arrivando dall’altra parte meglio di come era partito. Non molti, a dire il vero, e dei tre in quella foto uno soltanto. Nel frattempo, Jurek è diventato una divinità, Roes è stato semidimenticato (forse perché vive ad Anchorage, Alaska, ai confini del mondo conosciuto), ma solo Jones ha continuato a correre ad altissimi livelli, e forse più alti di allora—questo e altri sono i vantaggi di iniziare a correre ultramaratone a 18 anni. Ne riportiamo brevemente la carriera, testimoniata nelle agiografie e consultabile su UltraSignup: Jones corse la sua prima 50 chilometri nel 2008 a Moab, la cittadina dello Utah in cui è nato. Il maggio successivo corse la sua prima 50 miglia, mentre nel 2010 la prima 100 miglia, Bear 100, chiudendo in settima posizione in 22 ore e 15 minuti e vincendo la Bear 50 miglia dieci giorni dopo. Il giorno della foto sulla panchina a Chamonix Jones non ha ancora 21 anni e ha da poco corso la sua prima Hardrock 100 (secondo in 27h10’). Da lì in poi ha corso ogni gara che qualunque corridore coscienzioso sognerebbe di correre, e, oggi, dà l’impressione di essere in questo sport da sempre, pur avendo a malapena 34 anni e avendo appena raggiunto la fase migliore della sua carriera. Si spiega anche solo così, almeno per chi è sensibile a questo genere di cose, perché sia avvolto da un certo fascino. Tocca contare e ricontare aiutandosi con le dita per convincersi che siano passati solo tredici anni, tanto sono cambiati questo sport e il suo sapore.
Flash-forward. È un pomeriggio di febbraio, da qualche giorno #inquinamentopianurapadana ha preso il posto di #palestina nei trend di X e di Instagram. Da una settimana vengono pubblicate ovunque cartine geografiche molto colorate, anche se tutte un po’ diverse tra loro. Dati indecifrabili ai più, ma con un significato chiaro a tutti. Per gli empiristi e i dubbiosi, da qualche giorno dalla collina est di Trento si distingue un denso strato di foschia che copre il fondo valle anche nelle giornate limpide. C’è dunque un’altra foto, destinata a restare negli annali del Trento Running Club: c’è Martina Valmassoi in piedi su una panchina panoramica della Marzola, al tramonto, con un cielo giallo e azzurro e le classiche nuvole estive di fine inverno, e sotto, sulla valle, quella lingua di polveri sottili che copre migliaia di persone. Noi otto—io, Pass, Micky, Martino, Tommy, Mario (il di lui cane), Martina e Dakota—siamo dall’altro lato della fotocamera, a 900 metri e in maniche corte (Mario no, è un cane). Dakota sta imparando l’italiano e ha ben chiara una frase: “giovedì, merda”. È nota l’affezione dell’italiano per la perifrasi, ma quella è fin troppo chiara, così approfittiamo dell’ultimo giorno di bel tempo per portarli sulla Marzola, al di sopra della malaticcia foschia che adombra la valle.
Avevo visto Dakota Jones per la prima volta in mezzo al deserto, mentre mi superava a un metro e mezzo da terra al terzo giro di Javelina Jundred. La seconda, a Chamonix, a qualche metro dall’ormai proverbiale panchina, aspettando il suo passaggio all’ultimo chilometro di CCC; in compagnia, io, di uno scatenato Francesco Puppi e di un commosso Dylan Bowman, per amore del gesto atletico il primo e per patriottismo il secondo. Anche Martina—già notissima ai più assidui frequentatori di questa rivista, ma mica solo a loro—l’avevo incontrata soltanto di sfuggita. Escluse queste fugaci apparizioni, il primo surreale incontro con entrambi doveva evidentemente avvenire qui, in un parcheggio della Marzola, sopra a Trento, in un anodino pomeriggio di febbraio. La scusa, una serata a cui li abbiamo invitati circa un mese prima con un prosaico messaggio su Whatsapp, per venire a raccontare le loro storie ai corridori di Trento, davanti a una birra, schiacciati in una saletta troppo piccola e con due telecamere in faccia e un registratore sulle ginocchia. Perché le epifanie vanno registrate e tramandate, e riascoltate in loop, anche in forma di aforisma, come un reel, che una volta che finisce ricomincia daccapo. È ancora questa, nonostante tutto, una delle ultime cose che ci illude di vivere ancora uno sport di nicchia, rievocato da quella foto sulla panchina: invitare un atleta a raccontare delle cose a caso a gente a caso in una birreria a caso, e a correre un giorno a caso in un boschetto a caso. E senza sponsor, o senza nominare, nemmeno per sbaglio, le scuderie degli atleti. Questo è il motivo per cui quell’amalgama di individui che chiamiamo comunità (inciso: comunità fisica, non mediatica), individui ancora troppo poco adulti per abbandonare il pronome plurale (chi ce lo dirà, tra vent’anni, che quel noi era solo un’illusione?), continuerà a essere grata e devota.
“Ma la cosa che conta di più è lo sforzo, il viaggio che facciamo allenandoci ogni giorno, la routine, e soprattutto condividere questo viaggio con persone che capiscono, persone come voi. Questo è il modo per abbracciare questa comunità. Non stiamo facendo uno sport individuale, anche se tecnicamente quando corriamo siamo da soli, ma facciamo gare per stare con altre persone e perché così possiamo condividere i nostri obiettivi e la nostra passione con altre persone. Ed è una cosa che non capisco del tutto, è una specie di domanda senza risposta: perché significa così tanto per me? Ma essere in grado di viaggiare per migliaia di chilometri e incontrare un gruppo di persone come voi, che probabilmente sentono la stessa cosa che sento io per questo sport, è qualcosa di potente.”
Una banda di matti. Questo, almeno, deve aver pensato chi passava fuori dal locale e vedeva attraverso le vetrate quella piccola folla ascoltare queste parole. Tutti matti, idealisti e sognatori, che poi in fondo sono la stessa cosa.
C’è questa scena bella e violenta, che in pochi minuti spazza via ogni sogno adolescenziale con un colpo di spugna, qualunque sogno, mio e vostro; è il momento in cui diventiamo adulti, in cui scopriamo che tutto quello in cui credevamo non era che un gioco. È l’ultima scena di Quadrophenia, di Franc Roddamm (1979), che, come tanti film che parlano di queste cose, è diventato il manifesto di un movimento pure facendolo a pezzi. C’è quindi questo Jimmy, sulle scogliere di Dover, che dopo aver trovato nella controcultura mod—ma metteteci quello che volete—il senso della sua vita di adolescente disadattato, e dopo aver fatto a pezzi lavoro e famiglia in nome di quello stile di vita, vede i suoi pilastri crollargli addosso a uno a uno, scoprendo che per tutti gli altri—i suoi amici, i mod—era solo un gioco: un modo di vestire, un modo di comportarsi: niente di esistenziale. Così Jimmy torna a Brighton, il luogo in cui per la prima volta aveva sentito di appartenere a qualcosa, e in cui aveva creduto, nel modo più alto, di essere nato per quello. Qui scopre che il suo idolo ribelle, Ace Face, fa il facchino in un hotel, e deluso ruba la sua Lambretta e la getta dalle scogliere. La fine del noi.
Tutti abbiamo la nostra Brighton, e prima o poi Brighton muore. Però c’è qualcosa che di volta in volta si rinnova, qualcosa di cui continuiamo a portare l’illusione, un noi, che sono poi persone con nomi e cognomi, non certo entità astratte, con cui condividiamo il processo, o se non altro dei momenti, momenti che magari non hanno nessun significato, parole al vento che tra vent’anni nemmeno ricorderemo, ma che sono comunque momenti reali. E siamo disposti a fare a pezzi le nostre vite in nome di questo, e a sacrificare il nostro tempo, il nostro denaro, i nostri dolori, e in una certa misura anche alcuni pezzi della nostra felicità. Chiunque corra le 100 miglia è disposto a farlo, almeno in parte, è una forma di privazione. Una gabbia di matti. Sono modi per sopravvivere, tutti insieme, e per dare un senso a qualcosa che non ce l’ha. Maschere, forse, e allora datecene un’altra, un’altra maschera ancora.
Per capire a che livello la mia condizione sia patologica, questa notte ho sognato di andare in questo posto (foto): è il Twede's Cafè di North Bend, Washington, il diner RR di Twin Peaks. Nel sogno non avevano la crostata di mirtilli, bastardi. Poi perdevo treni e aerei e accadevano le classiche cose dei sogni, in cui di solito vivo la perenne condizione dell’out of time man.
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neropece · 10 months
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"pink robot" photo by Fabrizio Pece (tumblr | 500px | instagram)
Nella desolazione di una città abbandonata, dove l'eco dei passi umani era solo un lontano ricordo, un'unica testimonianza del passato resisteva nell'ombra di un palazzo grigio e logoro. Sul tetto, svettava un robot semaforo rosa, immobile e silenzioso come un guardiano dimenticato dal tempo.
Le strade, una volta affollate di vita e movimento, giacevano vuote e sgombre, un mosaico di cemento che portava solo il peso del silenzio. I negozi, con le vetrine infrante, raccontavano storie di saccheggi passati, e gli edifici, con le loro facciate spoglie, erano testimoni silenziosi delle vicissitudini umane.
In questo teatro di desolazione, il robot semaforo dominava il panorama dall'alto. La sua forma slanciata e il colore spento ne facevano un anacronismo vivente, un sopravvissuto in un mondo che aveva dimenticato l'essenza della vita.
Le giornate si susseguivano senza variazioni, con il robot immobile a vegliare sulla città. Nessun pedone attraversava più le strade, nessuna macchina rompeva il silenzio con il suo rombo. Solo il robot semaforo, con la sua luce rosa pallida, continuava a pulsare come un cuore solitario.
Un giorno, nell'abisso della monotonia, si fece strada tra le macerie un uomo solitario. Vestiva stracci consumati e la sua barba ispida era una testimonianza di giorni senza fine. Lo sguardo stanco si alzò verso il cielo, e i suoi occhi incontrarono quelli del robot semaforo.
L'uomo avanzò con passo incerto, il suono dei suoi passi echeggiò tra gli edifici desolati. Quando raggiunse il palazzo, alzò gli occhi verso il robot. Un momento di silenzio si infranse quando l'uomo, con voce roca, parlò al guardiano rosa.
"Sei l'unico rimasto, eh?" disse l'uomo, come se il robot potesse capire la sua solitudine.
Il robot semaforo, impassibile, continuò la sua vigilanza senza risposta. Il suo ruolo, ormai privo di significato, persisteva nell'assurdità di un mondo vuoto.
L'uomo si sedette accanto al robot, fissando il vuoto insieme a lui. La luce rosa del semaforo illuminava il loro incontro silenzioso, un momento congelato nel tempo.
Con il passare dei giorni, l'uomo e il robot diventarono compagni di solitudine, testimoni di un mondo che una volta fu. Nella desolazione, la loro presenza sembrava quasi poetica, un'ode silenziosa alla fine di un'era.
E così, nella città abbandonata, il robot semaforo rosa continuava a vegliare, immobile sulla sua torre di osservazione. Un monumento alla fine, unico testimone di un passato ormai dimenticato, mentre l'uomo e la macchina condividevano il loro destino in un presente senza futuro.
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seoul-italybts · 2 months
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[✎ ITA] Weverse Magazine : Recensione : Jimin Si È Ritagliato Un Posto Speciale Tra le Star del Pop | 24.07.24⠸
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🌟 Weverse Magazine 🗞
Jimin Si È Ritagliato Un Posto Speciale Tra le Star del Pop
__ Uno sguardo a MUSE, il nuovo album dell'idol  __
__ di SEO SEONGDEOK | 24. 07. 2024
Twitter  |  Orig. KOR 
Nonostante sia stato impossibile evitare il parziale silenzio calato dopo l'ingresso dei BTS nell'esercito, i ragazzi hanno saputo evitare il vuoto totale continuando a pubblicare non solo un singolo dopo l'altro, ma anche album, EP e video. Siamo ormai talmente abituatə a seguire i rilasci dei loro album, sebbene impegnati al militare, che sembra quasi una pratica normale, ma di fatto è ancora una cosa piuttosto rara in questa industria, e c'è un motivo: quando un artista rilascia nuova musica, solitamente procede poi a pubblicizzarla attraverso apparizioni di persona – ad esempio in TV o tenendo concerti. L'EP di j-hope, HOPE ON THE STREET VOL.1 non è un semplice album—è anche un documentario in 6 parti che segue l'idol nella riscoperta delle sue origini e della danza come fondamento della sua identità. L'album di RM, Right Place, Wrong Person, prende l'esperienza maturata attraverso progetti individuali – mixtape incluse -, vi aggiunge la forza creativa di una vera e propria squadra di collaboratori e condensa il tutto in tracce e relativi video musicali. Se dovessimo stabilire cos'è cambiato tra i BTS pre e post militare, in entrambe queste fasi i loro progetti sono riprova del livello cui si trova il gruppo, nonché un abbozzo della loro direzione per il futuro.
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E allora cosa possiamo dire dell'album di Jimin, MUSE? Iniziamo ricordando come, facendo fede al suo titolo, FACE - rilasciato l'anno scorso – avesse come scopo quello di porsi con sicurezza ed onestà faccia a faccia con se stesso. Nelle interviste rilasciate per l'occasione, Jimin ha spiegato chiaramente qual era il contesto in cui è nato questo progetto. Ha infatti rivelato lo smarrimento provato durante il tour BTS PERMISSION TO DANCE ON STAGE, raccontando di averne parlato con i membri e di aver ricevuto il loro incoraggiamento a riguardo. I ragazzi, infatti, gli hanno consigliato di trasporre quei sentimenti nella sua musica. Il risultato di tale sperimentazione è stata “Like Crazy”, una canzone che lo ha risollevato completamente da quel senso di vuoto ed impotenza. Sebbene il termine “face (faccia/viso)” possa anche indicare la natura multisfaccettata dell'artista, è più probabile il significato preponderante riguardi la presa di coscienza e volontà di fronteggiare se stesso dimostrata da Jimin. Inoltre, l'artista è stato chiaro nel dire che non ha usato giri di parole e che ha riversato nei testi tutti i suoi pensieri più onesti, senza lasciare adito ad ulteriori interpretazioni nascoste.
Una musa, invece, è la fonte d'ispirazione per l'artista. Questo nuovo album include il singolo “Closer Than This”, rilasciato poco prima della fine delle vacanze natalizie del 2023, nonché la più recente traccia pre-release, “Smeraldo Garden Marching Band” featuring Loco, il cui titolo è notoriamente un riferimento ai fiori smeraldo – un elemento celeberrimo del BTS Universe. Non solo gli smeraldo appaiono nel video musicale, ma questi finzionali fiori blu fanno da cornice anche alle foto teaser.
Non risulta difficile presumere che per Jimin - che finalmente sembra aver trovato un po' di serenità e sicurezza - le/i fan e gli altri membri del gruppo siano fonte sostanziale di ispirazione. “Closer Than This” è, infatti, una riflessione sul viaggio compiuto dal gruppo e dalle/i fan fin dal primo incontro, nonché un modo per guardare con aspettativa al momento in cui questo breve periodo di pausa finirà e i BTS e l'ARMY si beeranno di nuovo delle luci della ribalta color viola tuttə insieme. E come se una canzone non fosse sufficiente, “Smeraldo Garden Marching Band” ribadisce chiaramente: “Tutto ciò che non siamo riuscitə a dire finora / Ed i vostri sentimenti più nascosti / Ora vi dirò tutto”.
Etichettare l'estetica del video come puramente rètro non sarebbe giusto, c'è molto di più. Con i suoi colori intensi, lo stile teatrale e le coreografie di gruppo, il video ricorda più uno dei primi film a colori – sullo stile de The Wizard of Oz (Il Mago di Oz) per intenderci. A questo proposito, “Smeraldo” è il nome italiano di un colore nonché pietra preziosa, e la strada di mattoni gialli che appare nel suddetto film conduce la protagonista dal celeberrimo mago nella Città di Smeraldo. Dunque non è poi così strano che anche i tre produttori principali del brano facciano dei brevi cammeo nel video musicale.
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“Smeraldo Garden Marching Band”, con il suo stile circense ed allegro, è il terzo brano dell'album, ma cosa possiamo dire della prima canzone—la prima traccia dopo che Jimin si è posto faccia a faccia con se stesso, nello scorso album—“Rebirth (Intro)”? Il sound vivace e rasserenante di questi primi accordi in stile gospel si fonde quasi impercettibilmente con la breve marcetta di “Interlude: Showtime”—uno staccato musicale che forse ricorderà quello che sentiamo all'inizio di “Face-off”, seppur privo della svolta drammatica— e lo show può cominciare. Con questa intro, magistralmente studiata dall'artista, Jimin ci annuncia che è pronto ad iniziare.
Seguono un paio di canzoni d'amore dal sound ed il ritmo piuttosto differenti. Il duetto R&B “Slow Dance” è la dimostrazione di ciò che si può ottenere unendo abilità canore senza pari ad una melodia coinvolgente. Star della famiglia Disney, Sofia Carson ha dimostrato d'essere una delle voci migliori tra i suoi colleghi. È anche apparsa nel ruolo di musicista nel film Netflix, Purple Hearts, ed il suo brano non ha fatto che rendere il trailer della pellicola in un vero e proprio video musicale, calando appieno lo spettatore nel mondo del film. La traccia successiva, “Be Mine”, è un brano seducente dal sound afrobeats, sebbene gli accenni folk – tipici del genere – qui siano leggermente smorzati in favore di un'atmosfera più pop. Invece che concentrarsi su ritmi complessi e dinamiche botta-e-risposta, questo brano incorpora l'inconfondibile cantato pop di Jimin – ricco di entusiasmanti acuti e note alte – in una trama dal gusto latin pop. Verso la fine, la canzone presenta anche sintetizzatori simili a quelli del R&B fine anni '90 – inizio anni 2000, richiamando sottilmente il sound di artisti quali Anthony Hamilton e Omarion. Quando Jimin scrive canzoni d'amore, quello è esattamente ciò che ci possiamo aspettare.
Proseguendo, l'album prepara la strada per “Who”, naturale evoluzione di ciò che l'idol ci ha dimostrato più e più volte di saper fare. Canzone leggermente più veloce, il suo ritmo—la cui vera complessità giace nascosta sotto un beat apparentemente semplice e dal gusto funk—trae ispirazione ed elementi dal rock e dalla dance, invece di limitarsi puramente al R&B. Sebbene questa sia una formula già cementata tempo fa dai Neptunes ed usata più volte in passato, non avevamo ancora mai assistito ad un tentativo da parte di Jimin, ma sono sufficienti le sue doti canore per rendere quest'esperimento totalmente inedito. Il fatto che abbia voluto l'accompagnamento alla chitarra dimostra che Jimin sa perfettamente il fatto suo.
Tutto sommato, "MUSE" è un album più breve, ma l'artista dedica la giusta importanza e tempo nel dimostrare quanto è cambiato e quali sono le sue intenzioni. Lo stile è variegato al punto giusto e non preclude una visione d'insieme studiatamente coerente. Non si tratta di un'accozzaglia di successi dance, hip hop e ballate, né di un album che cerca di adeguarsi alle tendenze del momento. Jimin è sempre stato pronto a questa svolta e presto vedremo come questa pop star svilupperà questo suo nuovo genere del tutto personale.
⠸ ita : © Seoul_ItalyBTS ⠸
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odioilvento · 1 year
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E sta arrivando, passando oggi per la tristezza.
Manca una settimana al cambio lavoro e oggi mi accorgo che alcune cose mi mancheranno.
Tutto molto di corsa, dimissioni con metà preavviso, quasi neanche il tempo di pensarci, esami, visita medica, divise, armadietto, una marea di firme, nuova caposala che già mi ha inserito nel gruppo WhatsApp. Ormai è tutto pronto, devo solo aspettare il primo maggio.
E ultimi turni nel mio reparto, colleghi che passano, entrano a salutarmi e mi dicono che ho fatto bene a cambiare, alcuni che mi abbracciano nonostante abbia lavorato con loro un solo turno e questo mi fa molto piacere e mi strabilia un po'.
Questo posto mi ha insegnato, oltre a fare questo tipo di lavoro che per me era totalmente nuovo, che lavorare con tanti colleghi è un casino. Come ti trovi bene con alcuni, ti trovi male con altri. Ed ho imparato che non si può piacere a tutti e che va benissimo così, anzi meglio così. E che rimango quella che comunque cerca di fare un turno scorrevole e piacevole con chiunque. Soprattutto per il bene dell'ospite.
Ed è quello che oggi mi fa più rattristare. Lasciare il rapporto che si crea con alcune persone che assisti. Come ieri pomeriggio, un signore ex dirigente Eni, che ha viaggiato per il mondo, piuttosto rigido e che la moglie ha viziato parecchio, che ha bisogno di assistenza fisicamente ma che con la testa è ancora presente, che mi guarda e mi dice: hai gli occhi buoni, oppure: ogni tanto mi ricordi mia figlia, ti... e non sa continuare, io allargo le braccia come in un abbraccio, senza parlare e lui mi dice: esatto, e mi prende il viso e mi dà un bacio sulla fronte. Questo so che mi mancherà, anche se magari troverò qualcosa di simile anche dove andrò.
E anche le risate. Una donna che l'ultimo mese ne ha avute di ogni, ha girato gli ospedali, viene da noi allettata. Spirito giovane, ci spiega il vero significato del 25 aprile, ci racconta che sul cellulare chatta con l'ex moroso di suo figlio gay ma a lui non lo dice perché è in Spagna a lavorare e non si parlano più, che ci fa vedere i video di bonazzi che invia al suo toyboy e sta aspettando la risposta. Un elenco di battute sulle tette grosse che deve vendere al miglior offerente. Una risata dietro l'altra. E so che anche questo mi mancherà.
E mi mancheranno anche i miei stati vegetativi, il loro silenzio, il suono delle pompe che sento ogni tanto nelle orecchie anche fuori dal reparto, riconoscere nel silenzio chi sta tossendo o capire come stanno solo dal colore del viso. Mi mancheranno anche loro e credo davvero tanto.
Oggi è così, vedo di più quello che mi mancherà e solo scrivendolo mi scende una lacrima.
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crazy-so-na-sega · 7 months
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PARAGONE
(pa-ra-gó-ne)
SIGNIFICATO Comparazione; similitudine; somiglianza; varietà di diaspro usato per il saggio dell’oro
ETIMOLOGIA derivato di paragonare, dal greco  parakonào  sfregare contro, composto di parà presso e  akonào  affilare.
Si tratta di una parola semplice e vasta, che si ha qualche difficoltà a dominare con una sola occhiata. Accorre in aiuto un’etimologia sorprendente.
Il paragone è in origine una varietà di diaspro nero, una pietra che da tempo immemore viene usata per saggiare la purezza dell’oro - la celebre “pietra di paragone”. Tale saggio viene compiuto grattando su questa pietra il metallo che si vuole saggiare e uno o più campioni d’oro di purezza conosciuta. Anticamente si valutava a occhio il colore del residuo lasciato sul paragone, forti dell’uniformità del suo colore nero: se il metallo lasciava un residuo di colore uguale a uno dei campioni, corrispondeva a quella purezza. Oggi si impiega un metodo più raffinato, che implica l’uso dell’acido nitrico, variamente diluito: l’oro, metallo nobile, non viene intaccato dagli acidi; così il campione, se perfettamente puro, resterà intonso, e se ha una caratura più bassa subirà una certa corrosione; nel caso in cui il metallo da saggiare sia un falso o una lega meno pura di quanto si dichiara, riuscirà più consumato del campione di riferimento.
È facile comprendere come un’immagine del genere, tanto suggestiva, abbia invitato i significati figurati di comparazione (fare un paragone fra due vini), di similitudine (per farti capire una situazione ti faccio un paragone), e di somiglianza (non c’è paragone, i ravioli della mamma sono i migliori). Ed è meraviglioso che significati tanto cardinali, tanto fondamentali per il pensiero, traggano origine dal nome di un sasso dal profondo colore nero, che correva il Mediterraneo nelle sacche dei mercanti
Testo originale pubblicato su: https://unaparolaalgiorno.it/significato/paragone
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Di nostro aggiungeremo che, nel linguaggio comune, dal "paragone" possono nascere numerose fallacie logiche, la più frequente delle quali è quella di mettere a confronto le mele con le pere per trarre similitudini/differenze, oppure quella di valutare il presente con il passato e viceversa, che in certe forme si delinea come "riscrittura della storia"...statt accuort.
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la-scigghiu · 6 months
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"Sei qui apposta - mi sono detta -, assimila gesti, sentimenti, vocaboli, e più per il movimento, il colore, il suono che per il significato, che t'importa adesso del significato, l'essenziale è che qualcosa accada".
.🦋.
🔸Domenico Starnone ~ ph. Rossella Silvestri
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SENSI DELL'ARTE - di Gianpiero Menniti
BAGLIORI VISSUTI
Henri Matisse, come Picasso, non ha mai abbandonato la figurazione: il rimando alla traccia che lasci intendere la forma. Traccia nascosta nel simbolo: la metà spezzata di un oggetto che attende e forse sogna la sua parte mancante. Quella parte spezzata è l'osservatore: egli vede e subito interpreta fornendo all'immagine i nomi delle cose. Eppure, non basta: l'immediatezza del riconoscimento non satura la domanda sul significato, sull'apparire dell'immagine come mondo estraneo al reale della visione comune. Così, l'osservatore in cerca del senso s'interroga sulle parole: la semplicità del disegno, la vividezza del colore, la descrizione ridotta all'essenziale, l'abbandono di ogni pretesa prospettica, fino all'emergere del segno come un'astrazione paludata. Si staglia sul confine, non attraversa la soglia: per quale ragione? Ecco ancora una domanda. Nessuno si chiede quale sia la motivazione creativa di un romanzo come di un testo saggistico poichè in essi non è mai assente il "logos", l'incessante relazione causale tra le parole che lasci sorgere la rappresentazione mentale del racconto, figure e luoghi prendono forma in cenni fugaci attingendo al patrimonio d'immagini analoghe che ci costituisce, scegliendo tra esse per imperscrutabili motivazioni. Ebbene, quella è la soglia mai attraversata da Matisse: l'affacciarsi sulla finestra della mente per coglierne le infinite ed effimere visioni. Che nulla hanno del reale pur essendone l'ineluttabile traduttore. Sono le espressioni. Il sedimento di tutti i sensi, degli innumerevoli bagliori vissuti e con essi i rumori, le voci, i suoni, quindi il linguaggio. Non esistono immagini perché ci sono i pittori ma esistono i pittori perché la coscienza produce immagini: l’essere umano pensa per immagini. Siamo, sopra ogni cosa, segno tracciato dai sensi. Ogni espressione ne fa cenno, lo ricorda. Quel ricordo è arte.
- Henri Matisse (1869 - 1954): "The Music Lesson, Two Women Seated on a Divan", 1921, The Cone Collection, Baltimora; "Anemoni e fiori di pesco", 1944, Detroit Institute of Arts; l'artista in una fotografia del 1949 di Robert Capa
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dottssapatrizia · 1 year
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Sono sempre stata affascinata dai laghi di alta montagna: specchi d'acqua limpidissima che cambiano colore a seconda della natura che vi si riflette.
Oggi voglio raccontarvi la storia di un Lago Incantato: IL LAGO DELLE STREGHE (Alpe Devero -Verbania,Val d'Ossola).
È tutto contornato da boschi di larici,ontani che salutano ai loro piedi distese di rododendri e mirtilli...Un giorno una bellissima fanciulla, che piangeva disperata perchè il suo amato preferiva passare il suo tempo con un'altra invece che con lei, incontrò una strana vecchietta che filava su un masso a lato di un sentiero. La vecchietta la guardò negli occhi e la fanciulla, a quello sguardo, si sentì spogliata ed osservata fin nel profondo... così iniziò a raccontare a questa strana vecchina tutti i suoi problemi e i suoi dispiaceri. Mentre parlava scoprì che questa "signora" era una strega. La implorò, così, di operare una magia e far sparire la sua rivale in amore, così che ella potesse essere l'unica amata di quel giovane. La vecchietta non si stupì di quella richiesta e, visto che la fanciulla non voleva sentir ragioni accecata dalla disperazione, acconsentì soltanto però se la fanciulla avesse acconsentito, prima, a guardare un Uomo bellissimo che , secondo la strega, avrebbe potuto renderla davvero felice. La fanciulla acconsentì , nonostante continuasse a ripetere che ella non avrebbe mai amato nessun altro che il suo giovane.. Così la Strega le diede appuntamento nello stesso posto per un giorno ben preciso.
Quel giorno la fanciulla si diresse nel magico luogo e senza alcun motivo particolare cominciò a sentirsi felice e spensierata. Percepiva la bellezza dei colori, la purezza dell'aria, la luminosità del cielo ed era felice, dimenticandosi di tutti i suoi problemi. Giunta nel luogo stabilito, si trovò davanti una grotta sulla soglia della quale la vecchia strega la stava aspettando. Insieme si incamminarono nel sentiero sotterraneo, che si rimpiccioliva sempre di più fino a diventare un piccolo e basso cunicolo che proseguiva per molti metri. Giunsero infine in fondo al cunicolo, che si apriva in una grande stanza sotterranea molto calorosa . Al centro della grotta, altre due streghe stavano mescolando degli strani ingredienti in un grande calderone che si scaldava su un bel fuoco e la fanciulla si sedette lì accanto aspettando che tutto fosse pronto. La vecchia Strega allora le chiese di guardare dentro a due piccole pozze formate da una purissima sorgente che sgorgava dalla roccia e la fanciulla posò gli occhi nella prima. Nell'acqua le apparve il volto del suo innamorato, bello e giovane, ma piano piano ella vide che il suo aspetto cambiava e diveniva più vecchio, banale, spento e triste, coi capelli bianchi e i denti gialli. Si scostò sconvolta cercando di fuggire, ma la vecchia Strega le chiese di guardare nell'altra piccola pozza. Lì ella potè vedere un giovane meraviglioso, pieno della bellezza e del vigore caldo degli Dei, con gli occhi pieni d'Amore e la forza di un vero Re.
Allora la fanciulla capì il significato di quelle due visioni. Nella prima ella aveva veduto l'amore solamente umano, caduco e momentaneo, che può rendere felici ma non per sempre e continuamente, nella seconda ella aveva potuto vedere l'Amore divino, quello che non si spegne mai e che rimane sempre forte, sempre bello, sempre tiepido e incantato. Ora doveva scegliere quale desiderava, e dopo un primo momento di indecisione, data dall'amore che provava per il suo ragazzo, ella capì che ciò che desiderava era l'Amore Eterno. Allora si alzò e iniziò a danzare con le altre Streghe.
Come d'incanto la grottà sparì e la fonte crebbe tantissimo fino a diventare un allegro torrente che riempì il pianoro e creò quello che fu poi chiamato il Lago delle Streghe.
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diceriadelluntore · 1 year
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Grazie a @vivenda sono splendide domande. Comincio
1. Are you named after anyone?  Si, mi chiamo come il mio nonno paterno. Ed essendo molto particolare, da piccolo non mi piaceva proprio, anche perchè la brutale natura dei bambini me lo storpiava sempre. Poi con il crescere è cambiato tutto, lo porto con un certo orgoglio (chi è curioso di saperlo mi scriva in privato).
2. Quando è stata l'ultima volta che hai pianto? Di gioia, in un Museo. Di dolore, ad un funerale
3. Hai figli? No.
4. Fai largo uso del sarcasmo? Questione interessante: il sarcasmo è uno strumento volto ad offendere e negli ultimi tempi è spesso usato in modi del tutto inappropriati: ha significato letterale di “lacerazione di carni”, qualcosa quindi che tende a fare male, un’argomentazione tagliente. Ne uso poco, meglio l’ironia o un capitale silenzio, che come offesa è ineguagliabile.
5. Quali sport pratichi o hai praticato? L’atletica fino a 15 anni, nel settore lanci, poi pallavolo e basket, di cui per anni ho avuto il tesserino arbitrale. Amo tanto lo sport, mi piace guardarlo e conoscerlo. Tranne il baseball.
6. Qual è la prima cosa che noti in una persona? Il lessico che usa, le maniere nell’approcciarsi, le mani.
7. Qual è il colore dei tuoi occhi? Azzurri
8. Scary movies o happy endings? Happy Endings, ma qualche scary movies vale la pena.
9. Qualche talento particolare? Ho un’ottima memoria.
10. Dove sei nato? In provincia di Salerno, nella città famosa per la mozzarella zizzona.
11. Quali sono i tuoi hobby? Le cose fatte con le mani, scrivere con la penna stilografica, i libri, il cibo, i paesini con le case fatte in pietra, collezionare dischi.
12. Hai animali domestici? No.
13. Quanto sei alto? 1.78m.
14. Materia preferita a scuola? Storia, Inglese, Italiano
15. Dream job? Anni fa avrei detto il collaudatore di auto sportive. Direi aprire un negozio di dischi con annesso drink bar.
Chiunque si vuole accodare è il benvenuto, io sono curioso delle risposte di @seymoor @medeline @amongsthewaves 
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sputiamosuhegel · 2 years
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La labrys, l'unica bandiera lesbica
Riconosciuta come simbolo rappresentativo dell'orgoglio lesbico, il disegno contiene tre potenti simboli per le donne lesbiche: il colore viola, il triangolo nero rovesciato e il labrys. In seguito vi spiegherò il significato e l'origine di ognuno di questi.
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Il viola: indica il fiore della viola, simbolo lesbico la cui origine precisa è incerta. si può individuare il motivo del suo utilizzo nella poesia di saffo "vorrei veramente essere morta", in cui la poetessa racconta delle ghirlande di viole che lei è un'amata si scambiavano.
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Il triangolo nero rovesciato: questo simbolo era indossato dalle donne nei campi di concentramento nazisti. serviva per identificare ogni donna "asociale", ovvero non conforme al modello nazista, tra cui quindi donne omosessuali e femministe.
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La labrys: il termine "labrys" deriva dal latino "labus" (= "labbra") in riferimento alla parte dei genitali femminili.
Si tratta di un'ascia a due teste, simbolo religioso risalente alla civiltà minoica (orientativamente attorno al 3000-1450 dc)
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Era utilizzato per indicare la dea madre, l'autorità e il potere. Fino al declino della civiltà minoica, la doppia ascia era rappresentata soprattutto nelle mani delle donne.
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La labrys è associata anche alle amazzoni. Le amazzoni erano il leggendario popolo di donne guerriere che viveva lontana e indipendente dalla cultura e il dominio patriarcale.
Negli anni settanta il simbolo venne adottato per rappresentare la forza e l'indipendenza di lesbiche e femministe lesbiche.
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