#Roberto Di Meglio
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susieporta · 1 month ago
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Se ciò che chiamiamo “lavorare su noi stessi“...
Non riesce a generare sempre più gioia, presenza, creatività, assenza di paura, umiltà, Intelligenza, equilibrio, consapevolezza, amore, concretezza e la capacità di gestire meglio la nostra vita e i nostri rapporti, di fatto, di che cosa stiamo parlando?
Roberto Potocniak
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anchesetuttinoino · 2 months ago
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Burioni ne sa sempre una più degli altri: persino del ministro della Sanità USA.
Burioni dal salotto di Fazio sputa veleno paragonando a Totò Riina il neo ministro americano Kennedy JR
Paperoga Burioni, imbeccato dall’indegno Fabio Fazio, sputa veleno sulla nomina a ministro della salute di Robert Kennedy JR con parole allucinanti, addirittura paragonandolo a Toto’ Riina: “Non c’è una sciocchezza antiscientifica e pericolosa della quale Robert Kennedy non si sia reso alfiere in questi anni. Vederlo Ministro della sanità negli Stati Uniti è un qualcosa che lascia perplessi.”
A stretto giro di posta gli risponde su X Heather Parisi
Roberto Burioni ha mai sentito parlare di una cosa chiamata Democrazia? La Democrazia è ciò che consente a un popolo di rimediare agli errori e alle atrocità commesse da uomini di scienza e non, come Fauci o Biden, cacciandoli.
La Democrazia è avere gli anticorpi necessari a respingere il cancro dello spietato affarismo di Big Pharma ammantato di ipocrita umanitarismo.
La Democrazia è libertà di pensiero, confronto e dubbio continuo.
La Democrazia è l’esatto contrario della propaganda che per anni lei, e quelli come lei, hanno imposto a reti unificate sottraendosi a qualsiasi confronto.
La Democrazia è l’esatto contrario della censura e dell’intimidazione delle voci dissenzienti, bollate come disinformazione.
Come quella che il Covid fosse fuoriuscito da un laboratorio (does it ring a bell to you?). Invece di paragonare un ministro Americano democraticamente scelto dal suo popolo, a un mafioso, si sciacqui la bocca e faccia ammenda delle menzogne fin qui raccontate.
Io non dimentico.
Fonte DCNEWS
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Vabbeh dai, comunque sia, dopo Speranza chiunque sarebbe meglio. Persino Topolino
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t-annhauser · 2 months ago
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lode a carlo conte
E il presentatore, che ti credi, il perfetto quadro aziendale, compartecipe dell'emozione altrui come un pinguino in formaldeide, con la frusta in mano impassibile nella fossa dei leoni, faceva camminare lo spettacolo come un treno e di questo gli siamo grati: prima finiva, meglio era, come dal dentista. Predicozzi brevi, concisi: perché doveva. Ringrazia il colonnello, omaggia l'autorità in platea, cita l'aereonautica, il dipartimento pesi e misure, la protezione civile, l'ufficio callifughi e lo sturacessi, e di tutti dice un gran bene: grazie per il vostro prezioso contributo, grandissimi, superlativi, eroi, men che mai straordinari. Pratico e cinico, più di Diogene. Anonimo come il suo nome: Conte Conti, Carlo Conte, Giuseppe Conti, Carlo Conti. Preso. Una faccia tutta arrostita, amico di tutti, nemico di nessuno. Buono per le previsioni del tempo, lo Zecchino d'Oro e una puntata speciale di Techechetè: i migliori anni. Ben venga Olly se ha un manager, ma se gli porti una lectio magistralis su Adalberto di Samaria allora no, non entra in scaletta, a meno che a tenerla non sia Roberto Benigni in persona, sua Santità Roberto Benigni, ex comunista, neodemocristo, amico del papa, dirimpettaio del Presidente della Repubblica, allora in quel caso gli fanno leggere anche le etichette del detersivo. Che mondo di insulsi. Insulsi ma sintatticamente capaci, di più, competenti. Puoi star sicuro che non finirà mai.
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aryehderirp · 8 months ago
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Abu Zayd, più precisamente Zayd Abu Zayd Ab-Alh-Rahmann III, meglio conosciuto come "il Moro Zeyt", è un altro dei grandi protagonisti della nascita del Regno cristiano di Valencia.
Ultimo signore almohade di Valencia, era il pronipote del califfo berbero Abd-Al-Mucmin. Pur essendo originario di Baeza, era stato avviato alla politica dal nipote, il califfo Yusuf II, che lo nominò governatore di Valencia.
L’ultimo re almohade di Valencia vide presto sorgere problemi, sia per la pressione delle truppe cristiane a nord sia per quella di altri signori musulmani a sud. Insieme alla corruzione politica, che già esisteva all’epoca, avevano soffocato il popolo.
Dopo la morte del califfo Yusuf II, la decadenza politica si aggravò. Fu allora che Abu Zayd fu costretto a chiedere la protezione di Ferdinando III, il re santo di Castiglia. I raccolti rovinati da una piaga di cavallette e la mancanza di cibo incoraggiarono la ribellione della popolazione. In questa situazione, Zayyan Ibn Mardanis, discendente del re Lobo, arrivò a Valencia da Onda e guidò il rovesciamento di Abu Zayd, che dovette lasciare la città con il suo seguito e la sua famiglia nel 1229, diretto a Segorbe (Castellón).
Qui storia e leggenda si fondono, poiché si dice che la conversione del "moro Zeyt" sia avvenuta a Caravaca de la Cruz, dove la leggenda vuole che sia apparso il simbolo della croce.
Secondo la tradizione locale più diffusa, si dice che dalla fine del 1230 o all’inizio del 1231, il re almohade di Valencia e Murcia, Abu Zayd, si trovava nei suoi possedimenti a Caravaca. Interrogò i cristiani che teneva prigionieri per scoprire quali mestieri esercitassero, con l’obiettivo di occuparli secondo le loro capacità. Tra loro c’era il sacerdote Ginés Pérez Chirinos che, come missionario, era venuto da Cuenca nelle terre saracene per predicare il Vangelo. Egli rispose che il suo compito era quello di celebrare la messa e il re moresco voleva sapere com’era. Fu ordinato di portare da Cuenca i paramenti corrispondenti e il 3 maggio 1232, nella sala nobile della fortezza, il sacerdote iniziò la liturgia. Tuttavia, poco dopo aver iniziato la liturgia, dovette fermarsi, spiegando che gli era impossibile continuare perché mancava un elemento essenziale all’altare: un crocifisso.
In quel momento, attraverso una finestra della stanza, due angeli scesero dal cielo e posero delicatamente una croce a due bracci sull’altare. Il sacerdote poté quindi continuare la celebrazione della messa e, in presenza di tale meraviglia, Abu-Ceyt (insieme ai membri della sua corte presenti) si convertì al cristianesimo. In seguito si scoprì che la croce apparsa era il pettorale del vescovo Roberto, primo patriarca di Gerusalemme, realizzato con il legno della croce dove morì Gesù Cristo.
Quando Abu Zayd si convertì, prese il nome di Vicente Bellvís, come riportano le cronache dell’epoca. Morì tra il 1265 e il 1270.
La morte di Abu-Zayd è precedente all’11 dicembre 1268, data in cui il documento lo dichiara defunto. I suoi figli e parenti ricevettero un’importante eredità e, essendo imparentati con la nobiltà aragonese, divennero anch’essi signori cristiani.
QUI GIACE D. VICENTIUS BELVIS CON I SUOI ​​FIGLI UN TEMPO ZEIT ABUSIÒ RE VALENTIA MAURUS ADEO IL PROTETTORE DELLA SUA RELIGIONE VT DUE UOMINI INNOCENTI BEATI GIOVANNI DI PERUSIA E PIETRO DI SASSO-FERRATICO FIGLI E COMPAGNI DI PADRE FRANCESCO CHE PREDICANO LA VERA FEDE DI CRISTO OTTENUTO ATTRAVERSO LA SPADA MA RICEVERE LA LUCE DEL PADRE ISPIRATORE OGNI PECCATO FU CONSUMATO DAL SANTO BATTESIMO E IL SEGNO DELL’ETERNA RICONCILIAZIONE EGLI DESTINÒ UNA VOLTA LA SUA SALA IN CHIESA E SEDE.
Intorno al 16 giugno 1860, a Valencia fu eretta una lapide che lasciava in vista alcuni resti umani, il cui stato denotava la loro antichità. Nello stesso luogo fu rinvenuta una pergamena che recitava come segue:
Data di nascita:
17 ottobre 1195
Data di morte:
11 dicembre 1268
Titoli:
-Principe musulmano
-Signore cristiano
Etnia:
Berbero
Religione:
Islam
Religione 2:
Cristiano cattolico
Dinastia:
Almohade
Amici:
Ismail Haniyeh e Yasser Arafat
Prestavolti nella trama:
-Alvaro Rico
-Walid Azaro
-Asier Cadenas
-David Raya
-Marco Mengoni
-Stephen Ammell
-Peter Porte (pv attuale)
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scrivosempreciao · 27 days ago
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A Ecate non piace la Legge del Tre
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«Sono cose che succedono. Dormici su, vedrai che domani ti sentirai meglio, va bene?» Roberto mi guarda con uno sguardo così gentile e speranzoso che non posso fare altro che annuire e dargli ragione. Sarei una vera stronza se non lo facessi. E comunque, non potrebbe capire. 
«Ma sì, tanto era un vecchio catorcio.» Faccio spallucce e addirittura riesco a tirare fuori un mezzo sorriso dal cilindro delle finzioni. Lo faccio più per Roberto che per me, ovviamente, ma fa il suo sporco lavoro. Lui mi dà una pacca sulla spalla, rasserenato. 
«Esatto! Oh, comunque se ti serve domani ti accompagno a fare denuncia.» 
«Ok.» Mi aggiusto lo zaino sulle spalle e scendo dal marciapiede. 
«Fede, sei sicura di non voler venire con noi? Dai, cosa ti cambia rimanere fuori per una pizza, a questo punto.» Scalpita. Gli altri sono già a qualche decina di metri da noi, dall'altra parte della strada. Ridacchiano e parlano di qualsiasi cosa non riguardi il fatto che qualcuno mi ha appena fottuto la macchina. Letteralmente, qualsiasi cosa. Quando gliel'ho detto, hanno reagito con un corale ooooh! Che sfiga! e fine. Non sono miei amici-amici, li conosco solo attraverso Roberto, quindi non mi aspetto proprio un bel nulla da loro e mi sta bene così. 
«Metto quei quindici euro che avrei speso per la pizza nel mio porcellino. Ho una macchina nuova da comprare, a quanto sembra.» Borbotto. Lui mi guarda preoccupato e capisco subito che devo ricalibrare, per non farlo agitare troppo. 
«Sono un po' stanca, Robi. Ci vediamo domani, ok?» 
Sorride e mi fa ciao ciao con la mano. Non appena salgo sull'autobus, lascio che la cruda consapevolezza di ciò che sta accadendo sbrodoli su di me: sono stata maledetta. È ovvio, lampante, palese. 
O meglio, devo aver combinato qualche casino con le energie cosmiche o roba del genere. Devo aver fatto incazzare qualcosa. O qualcuno. E questo qualcosa, o qualcuno, ha deciso di tornare a mordermi le chiappe per punizione. 
Dove ho sbagliato? Provo a fare mente locale. Cerchio magico: fatto. Quattro punti cardinali: ringraziati. Candela verde: accesa. Soldo: baciato. Formula – Piccola moneta, porta un po' di gioia a uno sconosciuto e un po' di fortuna a me –: recitata. Cosa ho fatto di male? Mi sono anche assicurata che nessuno mi stesse guardando mentre appoggiavo la moneta vicino alla siepe. Eppure, boom, macchina rubata. E l'avevo pure parcheggiata a pochi metri da quella dannatissima moneta. Mi accascio con un grugnito esasperato e la mia fronte produce un thud appiccicoso contro il finestrino sporco. Rimango lì, scomposta, con la guancia spiaccicata, e mi maledico da sola per essermi messa in quel casino. Tanto, maledizione più o maledizione meno. 
E, ovviamente, non è la prima volta. È la terza. Il mio primo incantesimo era avvenuto un mercoledì di luna crescente: ero gasatissima, avevo messo su una playlist bomba witchcore trovata su Spotify, avevo seguito tutti i passaggi del grimorio e mi ero goduta il rituale dell'abbondanza. 
Abbondanza è un modo sciccoso e carino per parlare di denaro senza essere troppo venali. Si scrive abbondanza, ma si legge soldi, verdoni, pezzi, cash. Due giorni dopo mi arriva la bolletta del gas più alta della storia delle bollette e un cliente decide di piantarmi. 
Trust the process. Fidati del processo. Lo dicono le witchtoker americane in sundress neri che ormai affollano il mio schermo e pure quei post su Instagram che non capisci mai davvero se sono delle pubblicità finché non commetti l'errore di fare tap sull'immagine e allora vieni catapultato in un qualche quiz o form tutto a colori pastellosi. E lo dico pure io a me stessa. È solo un caso, quella bolletta doveva arrivare comunque. E quel cliente era traballante. 
Ma poi c'è stato l'incantesimo di buona salute. Ci avevo messo così tanto impegno, a incidere quella dannata candela arancione, a stampare le mie fotografie e a tritare la lavanda. Quando nell'equazione c'è di mezzo la fatica, siamo quasi certi che il risultato sarà più appetitoso. Il risultato per me era stata una diarrea fulminante durata tre giorni. 
Una sfiga è, beh, solo una sfiga. Due sfighe iniziano a puzzare. Tre sfighe nell'arco di un mese urlano un messaggio forte e chiaro: brucia quel fottuto libro degli incantesimi per streghe principianti comprato su Amazon, perché dal quarto tentativo probabilmente ci esci in orizzontale. La mia faccia affonda ancora di più contro il vetro. L'autobus prende una curva a una velocità esagerata e la mia testa sbatte forte, più volte, ma non mi interessa. Mi rendo conto di essere in uno stato pietoso solo perché una signora seduta un paio di file più avanti mi lancia un'occhiata preoccupata. Stringe a sé la borsetta. 
Ricambio lo sguardo, forse con troppa insistenza. Lei si appallottola ancora di più su se stessa. «È ubriaca» squittisce, ha una voce stridula, teatralmente alta. 
Non è neanche una domanda e non capisco se stia sputando quel verdetto addosso a me o all'autista, per avvertirlo. Scuoto la testa e alzo le mani. 
«No, signora, no. È che mi hanno maledetta.» Lo dico per farla indignare ancora di più, così impara a ficcanasare nelle disperazioni altrui, ma lei sembra rilassarsi. Si sporge in avanti e piega la testolina di lato, incuriosita. Potrebbe avere quarant'anni come anche settanta, non mi è chiaro. Ha una pelle polverosa, opaca, come se un pugno di sabbia fosse stata lanciato sulle guance e alcuni granelli fossero rimasti appoggiati lì. Mi ricorda mia nonna materna, in un certo senso: condividono la stessa qualità di quelle persone a cui in buona sostanza non frega nulla del proprio aspetto, ma in un modo così esagerato da diventare brutalmente e grottescamente appariscenti. 
«E chi ti ha maledetta?» La voce è ancora gracchiante, ma l'ha ridotta a un sussurro. Increspa le labbra come se avesse inghiottito una di quelle caramelle asprissime e stringe le palpebre pesanti. È interessata, ma non si fida. 
«Boh» la domanda mi coglie alla sprovvista. «Non lo so, ma mi accadono cose brutte.» 
«Hai provato ad andare in chiesa?»
«Signora, credo brucerei ancora prima di poter dire un amen.» 
Getta la testa all'indietro e ride di gusto. Rido anche io, solo perché mi sembra maleducato non farlo visto che lei si sta sbellicando, anche se ridere delle proprie battute è un po' da sfigati. Si guarda attorno, addirittura si volta verso l'autista, come se non si capacitasse che nessuno a parte noi si stia pisciando addosso dal ridere. Ma l'autobus è vuoto. 
«Come fai a dire di essere stata maledetta, se non sai chi ti ha maledetta? Non è che le maledizioni arrivano per caso, eh!» 
Faccio spallucce. «Sto facendo delle… cose. E da quando ho iniziato a fare queste cose ho avuto una serie di sfighe.» 
«Semplice, allora. Smettila con queste… cose.» E fa un gesto vago con entrambe le mani, accompagnato da un occhiolino intenditore; vuole farmi capire che ha capito. Droga, vero? Sesso promiscuo. O questioni di cuore, qualcosa con un uomo. Non lo dice ad alta voce, ma so benissimo cosa si nasconde dietro quell'ammiccare. Non ha capito nulla, ovvio. E come potrebbe? 
«Forse è quello che dovrei fare, sì.» Torno ad affossarmi, pronta a chiudere quel bizzarro scambio. 
«O forse dovresti migliorare in queste tue cose! Sai, un tempo ero una–» L'autobus rimbalza sopra una coppia di dossi e le ruote ruggiscono con un clangore infernale. I sedili fanno su e giù come in una giostra e il volto della signora diventa un grumo sfocato. Quando siamo su, ride. Quando andiamo giù, non ride più. Labbra in su, labbra in giù, labbra in su, labbra in giù. Sento i peli del collo alzarsi e un peso cadere nel fondo dello stomaco, il mio corpo è a disagio. 
Incantatrice, mi sembra dica. Le ruote smettono di fare baccano e io mi spingo in avanti per sentire meglio. 
«Come, prego?»
«Attrice.» 
«Oh!» Ne dubito fortemente. 
«Non fare quella faccia, sai!» Ora le labbra sono davvero all'ingiù, le sue guance si contraggono. Sono gonfie, sembra che qualcosa ribolla sotto la sua pelle e voglia uscire da lì. 
«Non sto facendo nessuna faccia!» 
Lei si mette a ridere, si dà qualche colpetto sulle ginocchia, poi si sporge tutta in avanti. «Ero un'attrice al Grande. Ero pure brava! Avevo talento, mi dicevano tutti che sarei potuta anche finire in qualche film di Antonioni. Io ero la Signorina Julie di Strindberg. E anche la Lola di Cavalleria Rusticana. Poi è arrivata quella là, la Berni.» 
Schiocca la lingua con disgusto, come se volesse sputare un capello. Mi guarda e so benissimo che si aspetta che io faccia lo stesso. Manco so chi sia la Berni, ma evidentemente è la cattiva di questa storia e la devo detestare per principio. Arriccio il naso e per fortuna la signora se lo fa andare bene. 
«La Berni era più giovane, aveva le tette piccole e a punta da principessina olandese, un culetto che stava in un piatto e piaceva da matti al regista. Quell'anno dovevo essere io la Medea per la stagione d’autunno, ma il ruolo lo diedero a lei. Io mi pigliai la servetta pettegola, una bestemmia se me lo chiedi. Beh, fatto sta che mi lamentai con la mia amica Gelsomina – lei non ci capiva nulla di teatro, era una vera zappa, finiva sempre a fare la parte di quella che muore per prima, ma era tanto cara. Mi disse “Terè, aiutati che il ciel t'aiuta!”» 
Scuote la testa e sbuffa. L'autobus fa di nuovo su e giù e per un attimo mi sembra che la testa le voli via dal collo, catapultata lontano da tutto quel rimbalzare. Arriccio di nuovo il naso, ma lei mi guarda male. Ho sbagliato reazione. 
«Un ottimo consiglio, altroché! Da interpretare, certo. Sicuramente Gelsomina pensava al lavorare su se stesse, mangiare un po' meno strozzapreti, indossare reggiseni di raso e a fare le carine con il regista e la troupe.» 
«E lei lo fece?» provo a buttare lì. 
«Cosa?» 
«Tutta quella roba. I reggiseni di raso e il resto.» 
«Ma no!» Mi scruta come se mi vedesse per la prima volta. Torna ad appallottolarsi su se stessa e a stringere la borsetta di finto pitone, sospettosa. Non c'è bisogno che me lo dica, lo capisco benissimo da come strizza le palpebre e da come la sua voce è salita di svariati decibel: sono tornata a essere una tossichella ubriaca, per lei. 
«Ma no, figuriamoci. Ho messo nel caffè della Berni talmente tanto olio di ricino che quella ha finito per cagare anche l’anima. Prolasso di retto e di dignità. Non si è mai ripresa, da quel che ho capito si lanciò di testa giù dalla terza galleria l’anno seguente.» 
La saliva finisce nel posto sbagliato e quasi mi strozzo. Tossisco forte, non le tolgo gli occhi di dosso. La guardo incredula, ma non riesco a dire nulla, tra un colpo di tosse e l'altro. La mia gola fa un rumore strano, quel suono imbarazzante a metà tra un conato e una scatarrata, e la signora mi guarda come se io mi fossi trasformata in una gomma spiaccicata. 
«Signorina, non bisognerebbe andare in giro con una tosse così, rischi di attaccare qualche schifezza alla gente.» L'autobus sfiata e si ferma. Lei si alza, mi getta un'ultima occhiata schifata, e sgattaiola giù. 
«Ma vaffanc–» è l'unica cosa che riesco a sibilare, mentre la saliva finalmente smette di sfrigolare nella mia laringe e mi torna il respiro. 
Mi butto sotto la doccia non appena arrivo a casa. Sento di avere uno strato di sporco addosso e ho bisogno di sciacquarlo via. Non so se sia il lerciume dell'autobus o l'idea della Berni che si caga addosso fino a schiattare. Passo la prima parte della serata rannicchiata sul divano, con il portatile sulle ginocchia; rimbalzo da una scheda all'altra, cercando di capire di che morte morire. 
Auto rubata che fare? E anche Denuncia auto rubata serve davvero? E Auto rubata assicurazione cosa fa? E poi la più temuta di tutte, Auto usate a basso prezzo in vendita a Brescia. Sto per infognarmi nel marketplace di Facebook quando Bastet & Furious si lancia nello spazio ormai incandescente che separa le mie tette dalla tastiera del laptop. Bastet & Furious è la mia rognosissima gatta calico, chiamata così perché come per ogni millennial stritolato dalla morsa del capitalismo performativo che si rispetti dare nomi idioti ai propri animali domestici è la mia valvola di sfogo per non implodere. Bastet lancia un miiiiaaao che odora di vendetta e appoggia il suo peloso e pesante culone sullo schermo. 
«Stronzina, spostati!» Ma non c'è nulla da fare. La sporgenza tondeggiante dei suoi polpastrelli preme in contemporanea una serie di tasti e sullo schermo iniziano ad apparire infinite nuove tab, tutte rigorosamente nere o in fase di caricamento. Nel giro di pochi secondi, il portatile diventa completamente e drammaticamente inutilizzabile. Impallato, bloccato, lentissimo. Mastico una bestemmia tra i denti e provo a spingere via Bastet; lei in tutta risposta si arrampica sulla mia testa e lì rimane. 
Non c'è command-alt-esc che tenga: il portatile va riavviato. Mentre il mac soffia, sibila e mugugna il tuo thuuun, mi accascio contro lo schienale e vago su TikTok. Un edit di Meryl Streep in The Homesman, metto mi piace, scrollo. Un tizio piange disperato perché il nuovo update di Sims 4 ha sovrascritto i suoi salvataggi e cancellato la famiglia Thompson con cui giocava dal 2015, scrollo. Una tizia con un cane nero di nome Pig dice che la sua missione è guardare tutti i film del mondo che parlano di lesbiche, metto mi piace, scrollo. 
Hello my cursed lovelies, here are the seven reasons your spells aren't working! 
Una ragazza con un'aureola di ricci neri e un sorrisone a denti trentadue riempie il mio schermo. Qui si parla di incantesimi. Non solo, si parla del perché gli incantesimi fanno cilecca. Non scrollo. 
La reincarnazione statunitense di Esmeralda dice che forse non sto meditando abbastanza e che la mia riserva di energia interiore è bloccata dal tram tram. Dice anche che dovrei passare più tempo sdraiata nell'erba e che i pentacoli comprati su Temu non sono l'ideale. Dice che la magia non dovrebbe ferire e che la Legge del Tre è roba seria. Mentre cinguetta gli altri pilastri della mia disfatta io mi perdo nei commenti. @MidnightMothQueen dice Noi streghe siamo figlie della natura, ovviamente dobbiamo fare scelte sostenibili! 
Da quando ho iniziato a fare hiking richiamare a me l'energia è stato moooooolto più semplice, ve lo consiglio! @ArcaneAesthetic. 
@MoonphaseMischief ha lasciato undici emoji di manine che applaudono seguite da quella di un gatto nero e quella di una luna. In generale questa witchtoker – @CursedAndCute – sembra piacere parecchio. E grazie al cazzo, mi viene da dire, pare saltata fuori da una graphic novel, ha una voce zuccherosa e gli scorci della sua casa a Los Angeles che intravedo da sopra la landa dei commenti mi ricordano gli allestimenti Ikea, quelli dove venderesti tua madre pur di viverci. Leggo ancora qualche commento. 
I vostri incantesimi vi tornano in culo solo perché siete delle pisce mosce. Voi e anche quest'altra scema @HexAndTheCity. 
La mia intera spina dorsale si mette a vibrare: Bastet è esplosa in una serie di fusa selvagge. Il commento di @HexAndTheCity ha ricevuto tante, tantissime risposte, per lo più indignate e confuse. Lei – mi dà l'idea di essere una lei – si è limitata a reagire con numerose emoji del dito medio. 
Inspiegabilmente, mi accorgo di fidarmi di più del parere rozzo e grossolano di questa hater che dei consigli incoraggianti di Esmeralda della California. Non ha assolutamente senso che il mio interesse ricada su di lei, eppure è così. Sarà perché tutta quella positività scoppiettante di @CursedAndCute e compagnia bella stava iniziando a titillare i miei sensi di colpa – faccio un gran casino con la raccolta differenziata, preferirei il tetano all'hiking, ieri ho dato a Jeff Bezos i miei soldi in cambio di una manciata di palo santo e la mia vita è solo tram tram. Sarà perché @HexAndTheCity ha messo nero su bianco esattamente quello che sta succedendo a me, senza troppi giri sbrilluccicosi di parole: la magia mi sta tornando in culo. 
Mentre Bastet&Furious crea un terremoto tra le mie scapole, io pigio sull'username dell'hater e le mando un messaggio privato, nel mio miglior inglese. 
> Fedi0093: Ho letto il tuo commento sotto il video di CursedAndCute. Ho bisogno del tuo aiuto. 
Non appena premo invio lo schermo del cellulare perde di luminosità, diventa tutto grigio e l'immagine profilo di HexAndTheCity – un pettine stracolmo di capelli strappati – inizia a tremare. Poi smette. Poi ricomincia. Poi smette. E poi ancora. Che diavolo è, una chiamata? Si possono fare le videochiamate su TikTok? Forse è una funzionalità nuova. Bastet mi spara un miagolio acutissimo in pieno orecchio e il mio pollice scatta all'insù: rispondo alla chiamata. La connessione frigge per una frazione di secondo e mi sembra che il cellulare si contorca sul mio palmo, come un lombrico strizzato maldestramente da un bambino. Sto per lasciarlo cadere, schifata e inquietata, quando il grigiore dello schermo cambia tonalità e tutto diventa ombra. Dall'altra parte, ci sono io. Un'altra io. Una pallida donna sulla trentina appallottolata sul divano con un felino sulla spalla, capelli neri corti, viso tondo, occhi incavati, piercing al naso, maglietta nera del pigiama: io. Sono io. 
«Hi. 'sup?» La voce è piatta, annoiata. La rete balla un'altra volta, i contorni della ragazza si sfasano per un attimo. Quando l'ombra diventa un po' meno ombra e il contatto è di nuovo stabile, mi rendo conto che, ovviamente, quella non sono io. Però, diamine, mi somiglia. Rispondo al saluto, cercando di mettere il guinzaglio alla mia inflessione maccheronica. 
«Italy?» 
Ho fallito. «Yeah» rispondo. Lei fa spallucce. 
«Cosa vuoi? Che problema hai?» Non si sforza neanche per un secondo di parlare un po' più lentamente, ma ho raschiato il fondo di YouTube per così tante notti insonni che sostenere una conversazione di questo genere non dovrebbe essere un'impresa impossibile. 
«Non voglio farti perdere tempo e scusami se ti sembro una pazza,» provo a buttare lì, «ma ho iniziato a praticare da poco e tutto quello che ho fatto mi ha portato sfortuna e basta. Mi è tornato in culo, come hai detto tu.» 
Lei sta zitta, mi guarda. Deglutisco. Forse non mi ha sentito, forse la connessione sta di nuovo per rompere le palle. 
«Ho visto il tuo commento, quello sotto il video di CursedAndCute. Sembri sapere il fatto tuo.» Ancora nulla. 
«Ehi, scusa, mi senti? Ci sei?» 
«Sì. Ci sono.» finalmente dà segno di vita, anche se il tono è così vuoto da farmi sospettare il contrario. «Che cosa vuoi?» 
«Voglio smettere di avere tutte quelle sfortune.» 
«Smetti di praticare, allora.» Sento che sta per riagganciare. In realtà è ferma immobile, anche il gatto – è un gatto? Pare una palla di pelo informe – attorcigliato al suo collo è fermissimo, ma so che sta per scivolare fuori da quella conversazione. Alzo una mano per evitare che questo accada. 
«Aspetta. Aspetta. Non voglio smettere. Vorrei che… funzionasse.» 
HexAndTheCity schiocca la lingua e si avvicina il cellulare alla faccia, fin troppo. Ora mi sembra di star parlando con una salamandra malaticcia. 
«Con che genere di magia lavori?» 
La domanda mi lascia interdetta. Boccheggio un attimo, poi mi tornano in mente i capitoli introduttivi di quel libro sulla stregoneria per principianti preso su Amazon e do la mia risposta, tutta fiera. «Sono una strega secolare.» 
«Che cazzata.» 
«Scusa?» 
«Che cazzata, ho detto. Vabbè, chissene, con che oggetti lavori? Dimmi che roba usi.» Vorrei offendermi, ma Bastet fa le fusa peggio di un trattore e qualcosa mi dice che non sarebbe saggio mettersi a discutere di una preferenza che in fondo ho adottato senza neanche pensarci su più di tanto con una che dà delle pisce mosce a delle amichevoli e innocenti sconosciute. 
«Cristalli. Avventurina, per lo più. Lapislazzuli. Diaspro, onice, ossidiana e corniola. Poi–» 
«No. Agata del fuoco. Ecco, sì, agata del fuoco.» 
«Cioè, dovrei prendere anche l'agata del fuoco?» 
«Solo.» 
La osservo a bocca aperta, in attesa che aggiunga qualcos'altro di più sensato. Non lo fa. Annuisco piano, anche se non ho capito. 
«Dicevo. Candele, di vario tipo, forma, dimensione e colore.» Aspetto a continuare e mi preparo a ricevere un nuovo commento, ma lei rimane zitta. Fa spallucce. Le parlo degli incensi, lei mi dice foglie. Le racconto degli oli essenziali e delle erbe essiccate e lei schiocca la lingua, ma non aggiunge nulla. Le parlo del mortaio ereditato da mia nonna, delle ciotole in bambù prese su Aliexpress, degli oracoli acquistati su Vinted e del pentacolo ricevuto in regalo con un ordine su Shein da più di 50€ con spese di spedizione gratuite. 
«Quella roba è un problema, vero?» mormoro imbarazzata. «Sono oggetti senza storia, schifezze di bassa qualità che arrivano da chissà dove.» 
HexAndTheCity fa spallucce. La sua palla di pelo sobbalza leggermente e Bastet si gira sulla schiena, a pancia all'aria. 
«Le puttane altoborghesi come quella Cursedblablabla dicono un sacco di cazzate. Hanno dimenticato che le streghe antiche erano streghe per necessità, non per sfizio. Usavano quello che trovavano, sangue, merda, terra e polvere.» 
Quelle parole attivano la mia tendenza autodistruttiva a indignarmi per conto terzi ma mai per me stessa. «Voglio dire, non le chiamerei così, non c'è bisogno» borbotto. 
«Cosa, altoborghesi?» 
«No, beh… lascia perdere.» 
Si stringe nelle spalle, ancora. Il suo sguardo un po' strabico vaga al di là dello schermo, concentrato su altro; sono quasi certa che mi stia ascoltando con un orecchio mezzo aperto e l'altro del tutto chiuso. Eppure, dopo qualche secondo è lei a riprendere la conversazione. Mi incalza. 
«Poi? Cos'altro usi? Cos'hai?» 
«Fine. Uso quello che ti ho detto.» 
«Col cazzo. No, non ha senso. Cos'altro usi?» 
Mi guardo attorno, spaesata, come se sulla libreria o sul tavolo della cucina potesse comparire dal nulla qualche oggetto magico degno di nota, il pezzo mancante per completare questo puzzle assurdo. Qualcosa che mi faccia dire Ah, sì, ovvio, uso anche quella roba lì. Ma non c'è nulla di diverso, nel mio bilocale. Nulla che io possa dare in pasto a Hex – non vorrò mai più avere niente a che fare con questa salamandra malmostosa eppure le ho appioppato un soprannome – per far sì che quel ghigno insoddisfatto le sparisca dalla faccia. 
«Cioè, io–» provo a buttare lì l'unica cosa sensata che mi venga in mente, «mia nonna, quella del mortaio, mi ha lasciato anche un coltello. Credo sia un coltello da formaggio? Non l'ha neanche lasciato davvero davvero a me, mia mamma l'ha trovato dopo la sua morte e me l'ha dato, come regalo per il trasloco. Anzi, credo me l'abbia rifilato per liberarsene, non le piaceva. Avevo pensato di usarlo come decorazione per un altare, ma ho preferito di no. Non volevo che la gatta si facesse male per sbaglio.» 
«Ah-ah» per la prima volta da quando abbiamo iniziato la chiamata, intravedo una reazione definibile come umana sorpresa arricciare le sopracciglia di Hex. «Fammi vedere.» 
Sbuffo, esasperata, ma poi mi alzo. Bastet non si schioda dalle mie spalle, anzi scivola pigramente verso la schiena. I suoi artigli si impigliano nella stoffa lisa della maglia e l'orlo del colletto si muove all'insù; quasi mi strozza, ma scelgo di ignorarlo. Mi sposto in cucina e mi spingo in punta di piedi per aprire il mobiletto sopra la lavastoviglie. Perché c'è sempre così tanta polvere? È polvere o sono i resti dei fagottini Balocco che mi ha dato mia madre? Non importa quanto io cerchi di pulire, qui dentro c'è sempre uno strato sabbioso che non va mai via. Sposto l'aceto, la salsa di soia ed eccolo lì. 
Occhio che questo taglia,  aveva detto mia madre. E in effetti è così: l'ho usato solo una volta, durante una cena tra amici, per tagliare un pezzo di pecorino. Ero sbronza, sovrastimolata da quell'occorrenza sociale e ho commesso l'errore di voler compensare le mie mancanze caratteriali mettendomi in ridicolo. Se non riesco a farli ridere con me, almeno posso farli ridere di me. E quindi, avevo provato a servire pezzi di formaggio con quel coltello assurdo. Ovviamente, la presa mi è scivolata e mi sono quasi squarciata il dorso della mano. Un male cane, ma fissare il sangue che dalle mie nocche scivolava giù nello scolo del lavabo mi aveva dato anche una certa pace. Non mi era piaciuto sentirmi così. Non di nuovo. Non ora che stavo cercando di riemergere.
Adesso che lo guardo meglio e con meno alcol in corpo, è chiaro che non si tratta di un coltello da happy hour. La lama è in acciaio brunito, annerito dal tempo e dall’uso. Il manico, scolpito in osso levigato e ormai ingiallito, sfoggia una decorazione minuziosa: da un’estremità emerge la testa di un levriero, muso snello e orecchie tese, mentre l’altra si contorce nel corpo serpentino di una vipera, le scaglie incise con cura, la bocca spalancata in un sibilo muto. Due bestie incastrate in un unico oggetto, aggrovigliate in eterna lotta. O eterna unione? 
Torno sul divano e avvicino il coltello al cellulare. «Ecco qui.» 
Hex socchiude gli occhi e spinge la faccia pallida ancora più vicino alla telecamera. Allarga le narici come se volesse annusare la lama nonostante si trovi con ogni probabilità ad almeno sette fusi orari da me. 
«Ecate. Non mi hai detto che tua nonna era una strega.» 
«Perché non lo era!» Almeno, non che io sappia. Non posso averne la certezza ovviamente, ma mia nonna era il tipo di persona che andava in brodo di giuggiole per la serata danzante di ferragosto indetta da un hotel a tre stelle di Riccione. Non mi è mai sembrata una strega. 
«Ecate.» Hex ripete quel nome e Bastet sobbalza. Affonda le unghie dritte nei miei reni e io trattengo a stento una sassaiola di improperi. 
«Chi è?» riesco a mugugnare. 
«Ecate. Dea a tre facce. Signora della porta. Padrona dei passaggi. Gravida di magia. La cagna delle cagne. Morte e luna.» 
La mia espressione deve essere così disperatamente confusa che Hex si spinge a darmi addirittura una spiegazione aggiuntiva. Mi dice che è una vendicatrice, una divinità femminile potente, con cui non scherzare. Mi spiega che è la mano che porta giustizia quando questa non arriva tramite i canali sperati. 
«È la badass delle divinità. Una baddie. Il tipo di stronza che non vuoi avere contro, capisci cosa intendo?» 
Scuoto la testa, stanca, perché è vero: non capisco. Non capisco cosa c'entri tutto questo con me e non capisco perché la mia vita abbia preso una piega così squilibrata da condurmi qui. Ma poi Bastet mi infila la punta della coda nel naso, starnutisco forte e capisco. Starnutisco un'altra volta, poi un'altra ancora e spalanco gli occhi. 
«Oh, cazzo.» 
Hex fa uscire dalle labbra quella che credo sia una mezza risatina. 
«Oh, cazzo» ripeto. «Credi mi abbia maledetta? Ecate mi ha maledetta?» 
«Ma no, scema. Si è offesa. È un po' una drama queen. Se non la calcoli, ti morde il culo.» 
«Mi ha devastato lo stomaco, altro che mordere il culo! E mi ha fatto sparire la macchina! E ho perso un mucchio di soldi!» 
Hex fa spallucce. «E tu vuoi fare la strega secolare, che cazzata. Hai in casa un pugnale di Ecate appartenuto a un'altra strega e vuoi fare la praticante secolare? Ovvio che le sono girate le palle. Stanno girando a me, figurati a lei.» 
Mi prendo la testa nelle mani e mi fisso con insistenza le caviglie, dondolo avanti e indietro. Un risucchio ritmico mi invade le orecchie, davanti ai miei occhi si apre una ragnatela scura che mi offusca la vista. 
«Ma io non credo in queste cose» riesco a dire, «quella roba lì non è vera. Come fa a essere vera? Non è roba sana. La Legge del Tre, no? Non posso mettermi a venerare una divinità cattiva.» 
Hex fa un fischio basso, un fischio da guarda te questa idiota. 
«Che cazzo vuol dire che non credi a queste cose? Cosa credevi di fare, con le tue candele e gli incensi e il pentacolo? Un cosplay di Barbie Passione Necromanzia? Tu puoi non crederci e continuare a giocare a fare le magie, ma le cose stanno così. Bisogna sporcarsi le mani, per fare la strega, hai capito? Non è un cazzo di gioco da bimba annoiata. Tu e quelle puttanelle e Cursedblablabla, tutte uguali. Non mi far parlare di quella! All'inizio la rispettavo anche, ci sapeva fare, poi si è cagata nel pannolino quando alcune tizie le hanno scritto dicendo di aver provato i suoi incantesimi di vendetta e che un demone era saltato fuori da un cespuglio o roba simile. Lo sanno tutti che è andata così. Ha messo la coda nelle gambe e si è messa a parlare di decotti alla menta. Ma ehi, big news, le streghe fanno casino, da sempre!» 
Qualcosa vibra e non è Bastet&Furious. L’energia del piccolo soggiorno cambia e il buio diventa qualcosa di diverso, più pesante, denso. È come se una grande mano nera fosse calata su di me e mi stesse premendo contro il divano. Alzo gli occhi verso lo schermo e vedo di nuovo me. Mi sto fissando, da centinaia e centinaia e centinaia e centinaia di chilometri di distanza, e ho un reticolo di rabbia appiccicato su tutta la faccia. Alle mie spalle, la palla di pelo ha aperto gli occhi: sono verticali, sottili, arancioni. 
«Sort your shit out!» tuono a me stessa, con una voce che è la mia, ma non è la mia. Sarebbe la mia se io fossi Hex e non avessi paura anche della mia stessa ombra. È la mia, ma non è la mia, perché questa echeggia fin dentro le mie vene e mi terrorizza così tanto che interrompo la chiamata. Non so neanche come ho fatto. Ho messo giù io o ha messo giù lei? Rimango schiacciata contro i cuscini per un tempo indefinito, finché il suono tondeggiante delle notifiche web di Whatsapp non mi riporta alla realtà: il computer si è riavviato completamente. 
Mi sporgo per prenderlo e vado nella tab dei messaggi, è Roberto, mi dice che si è ricordato di avere un appuntamento alle poste e che domani non potrà accompagnarmi a fare la denuncia – emoji di una faccina sciolta. 
Guardo l'ora: 23.23. Esprimi un desiderio. Riesco finalmente a scollarmi Bastet di dosso e metto in atto una coreografia che già conosco, ma a cui devo dare un finale diverso. Uso un fiammifero, una pietra, un incenso e una tazzina d'acqua per segnare i punti cardinali e aprire il cerchio. 
Mi siedo al centro a gambe incrociate, di fronte a me nient'altro che il coltello di Ecate. 
Inspiro, espiro. Inspiro, espiro. Mi riempio e mi svuoto fino a che il buio dietro le mie palpebre non si riempie di scintille, la testa ondeggia e mi sembra di levitare a un palmo dal tappeto. Non apro gli occhi, ma appoggio le mani sulla lama fredda. Gli spigoli del levriero e della vipera mi mordicchiano le dita. Schiarisco la voce e inizio a parlare. 
«Ok. Ok, allora. Dunque. Dunque. Ecate, sì?» 
Come diavolo si dialoga con una divinità incazzata? Inspiro, espiro. Inspiro, espiro. Ci riprovo. «Ascolta. Mi dispiace, ok? Non sapevo di questa cosa della nonna, non so neanche se sia vera, non sapevo che il coltello fosse tuo, non sapevo nulla. Non volevo mancarti di rispetto. A dire il vero non so cosa volessi fare, va bene? Volevo solo–» 
Con l'altra mano faccio un gesto vago nell'aria. Mi immagino che lo spazio nero e vuoto di fronte a me si riempia del motivo che mi ha portato qui, così che lei possa capire anche senza la mia voce incerta. Uno, me ne basta uno. Mi basta un perché. Ma, invece, ne arrivano molti. L'ombra dura di una mano che stringe il mio collo. La piega di un ghigno disgustato dove un tempo c'era un sorriso amorevole. Un corpo contro un altro corpo, senza amore. La punta di un chiodo arrugginito che disegna i contorni di una ferita già aperta da parole e unghie rapaci. L'urlo alto di un'anima che vorrebbe bastare a se stessa ma che è sola, tanto sola. 
Stringo il pugno, lo abbasso. Tremo. Sento Bastet strofinarsi contro la mia coscia. «Volevo solo avere un'altra scelta. Volevo riavere la forza che mi è stata tolta. Volevo sentirmi potente. Volevo poter scrivere il mio futuro, se non con le mie mani allora con un incantesimo.» 
Ma so che non è tutto tutto. Deglutisco e lo sputo fuori. «Volevo che pagasse. Volevo che tutti loro pagassero. Ma poi ho letto quei libri, c'era scritto di non fare del male con la magia, la Legge del Tre, la responsabilità di una brava strega…» 
È la prima volta che penso a lui da mesi e il ricordo di ciò che mi ha fatto brucia dentro di me, nello stomaco, in gola, nel naso, ovunque. Lo caccio via, non ha diritto di essere fuoco dentro di me, perché il fuoco sono io. Qualcosa si muove sotto la mia mano, ma non oso aprire gli occhi. La lama è come bagnata e i due animali intarsiati scivolano sulla mia pelle, non capisco se sono io a muovermi, se è solo una suggestione o che altro. Non apro gli occhi. 
«Io non voglio essere brava. Io voglio essere io. E voglio avere la mia giustizia. Capisci, vero? Capisci? Mi capisci?» 
Nulla. Ovviamente. Il vuoto. Solo io, curva come un piccolo goblin, con Bastet contro la mia schiena e un coltello vecchio come il cucco davanti a me. Ridacchio. 
«Cos'è, dovrei trovare le risposte in me stessa? Lo dice anche la mia psicologa, ma a lei allungo quarantacinque euro a botta.» 
Una grassa risata esplode alle mie spalle. Chiunque stia ridendo, deve aver trovato la mia battuta davvero fottutamente divertente, perché è un fiume in piena. Ride come se si aspettasse che anche tutto il resto del mondo rida per il mio umorismo. 
Stringo il pugnale e mi volto. Apro gli occhi. «Chi cazzo sei?» 
La prima cosa che noto è la borsetta. Poi vedo la pelle polverosa. Per un attimo, mi sembra che ci sia mia nonna di fronte a me, assomiglia proprio a lei. Mia nonna, tornata dall'oltretomba. Ma poi la guardo meglio e vedo la signora dell'autobus, continua a ridere e con la testa fa su-giù, su-giù. Sbatto le palpebre, allucinata, dall'altra parte del tappeto non c'è più la signora, c'è una sagoma coperta da un velo nero. 
Non ride più. Avanza verso di me, tende fuori dal velo un paio di braccia lunghe, scure come la notte, affusolate come tronchi di betulla. Le sue mani cercano le mie. E il coltello. Lo vuole. 
«Vieni, bambina. Vieni.» 
Bastet lecca qualche goccia di sangue dal parquet. L'orologio segna le 00.00. 
Esprimi un desiderio.
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greenbor · 5 months ago
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Ogni volta mi ripeto che fin qui son giunto e che occorre fare piccoli passi e godersi il panorama ed il respiro qui e ora, senza porsi domande, vivere facendo del mio meglio e non provare mai sentimenti di colpa. Tutto passa, cosi come un fiume scorre inarrestabile ed il tempo ci avvicina alla fine. I temporali nella vita ci portano via chi amiamo e il dolore continua per chi è ancora qui, abbiamo tanto amato e non possiamo più amare chi amiamo, pur essendo ancora in vita. Suona come una condanna non poter cambiare il corso del cuore, ed anche se vogliamo dimenticare, non vi riusciamo. Rifletto sulla mancanza e la sua insopportabile realtà. Troppe volte mi sono chiuso in mondi, come se quella attesa fosse una medicina. Troppe volte mi sono appartato nei sogni e ad ogni risveglio lei è sempre stata il mio primo pensiero, quell'amore mai dimenticato mai, e ancora adesso è qui in me ..
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allecram-me · 7 months ago
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Sono il tipo di persona che se combatte per se stessa si sente spietata, un mostro. Però sono pure assurdamente convinta di dovere qualcosa a quella me stessa, e lì va in tilt l’algoritmo. Non so come uscirne. Valerio ha provato a mostrarmi l’alternativa, quella in cui avrei dovuto sentirmi a posto con lo spazio che occupo, ma alla fine la sua malattia era più importante di me, forse è per questo che abbiamo fallito. O forse è per questo che lui poteva permettersi di provare ad insegnarmelo, non lo saprò mai. Ad agosto ad un certo punto è morto il signore senza volto che occupava il letto di fianco al suo in terapia intensiva, per me lui era solo il rumore del monitor dietro la tenda di plastica e un’altra cosa molto più umana: il volto scavato e rugoso della moglie che incontravo fuori, in quella terribile sala d’attesa. Lei non avrà mai un nome per me, lui sì: si chiamava Roberto. Quando lui è morto Valerio stava un po’ meglio, e mi ha raccontato di aver fermato la moglie per esprimerle la sua vicinanza. Lei le ha dato un bacio sulla fronte e le ha detto “adesso sono una cittadina libera, perché non si è mai liberi fin quando una persona che si ama soffre”. Io ho paura che sua madre sia stata sollevata dalla sua morte - ne ho paura perché purtroppo lei è sempre stata una figura problematica, ne ho paura perché lo sembra, perché lo è davvero. Ma è normale, siamo esseri complessi e viviamo esperienze che portano sempre dentro ambivalenze, sia io che Valerio non siamo mai sfuggiti a questo genere di consapevolezze. Ma forse ne ho paura soltanto perché ho paura del mio di sollievo, e mi chiedo dove cazzo sia, combatto con quello che di me è sopravvissuto alla sua morte, mi scavo dentro a mani nude per scovare la mia parte di colpa, e mi incazzo peggio perché ancora non la trovo, perché so che deve essere lì da qualche parte. Poi però trovo che ci sia anche dell’altro, una colpa più neutra, il dolore di sapere che a me non è cambiato niente, o poco, quantomeno nei fatti. Il lavoro operato su me stessa per costringermi a fare i conti col fatto che Valerio non poteva più essere il mio pilastro, tre anni fa. Questi tre anni a prendermi il meglio ed il peggio, la sensazione di vuoto derivante da quell’apprendimento forzato: non è il caso di chiamarlo, chiamerà lui. E lui poi chiamava, ma erano i suoi momenti per me, i momenti in cui ero chiamata ad essere per lui, momenti in cui mi dava tantissimo e prendeva quel poco che avevo da dargli, che - lo so - per lui era tantissimo. Lui era tantissimo per me, ma non potevo dipendere da lui, non potevo nemmeno farci affidamento. La prima parte dovrebbe essere normale: l’amore non è dipendenza, giusto? Io però ero stata così pronta a farlo, quando il suo corpo ancora ce lo consentiva. Lo farei anche adesso se potesse essere qui, se potesse contenermi, se potessi contenere lui. Quindi credo di non essere sollevata dalla sua morte, sono portata a credermi sincera, anche se mi pare inaccettabile - il conflitto. Al contrario, però, penso senza remore che la sua morte mi abbia davvero liberata, e per questo mi sento in debito con questo tempo, col momento presente, con quello che stabilirò come normale per i prossimi anni. È difficile. Vorrei darmi il tempo per piangere. Non ci riesco. Ho pianto tantissimo tre anni fa, ho pianto più quando è morta quella speranza di quanto non abbia fatto adesso, che lui è davvero un racconto chiuso, senza possibilità di scrivere nuove pagine. Forse sto strumentalizzando la sua morte, come ho provato invano a fare anche con quella di papà, forse sono un mostro, e adesso non ho più scusanti per chiedere al mondo di lasciarmi stare, nessun alibi in più. Forse ho ragione io e la vita è davvero solo questo, farsene qualcosa di quello che ci succede - qualcosa come qualsiasi cosa, basta che ci cambi. Perché le cose morte non possono più farlo, e quelle vive sono costrette a subire il cambiamento anche quando sono inermi. Io credo di avere questo problema: non mi accetto inerme. Mi ci sento sempre però.
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abr · 2 years ago
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Il libro del generale che sta facendo parlare tutta Italia, che sta monopolizzando le pagine dei giornali, che sta scuotendo le coscienze e che sta campeggiando in cima alle classifiche di vendita è un libro autopubblicato, cioè senza editore. Questo fenomeno è più singolare e più indicativo di tutte le considerazioni estemporanee del generale in questione.
Di recente, infatti, buona parte dell’editoria italiana è andata in cerca del libro che facesse parlare tutta Italia, che monopolizzasse le pagine dei giornali, eccetera eccetera, facendo leva su questi requisiti: a) doveva affrontare temi caldi e scomodi; b) doveva avere rilievo per i contenuti anziché per la forma; c) doveva essere testimonianza di impegno diretto; d) doveva puntare sull’identità dell’autore più che sull’effettiva opera del suo ingegno; e) doveva contare sul riconoscimento di una claque entusiasta e magari beneficiare di un succès de scandale. Sotto questo aspetto, non c’è gran differenza fra il famoso generale e l’altrettanto famoso – dico per dire – Roberto Saviano.
Giova notare tuttavia che questi criteri costituiscono l’esatto contrario di ciò che dovrebbe auspicabilmente fare un editore: cioè riuscire a imporre un libro all’attenzione pubblica anche se i temi non coincidono con quelli dei talk show (a), in base al fatto che sia scritto meglio di come avrebbe potuto (b), puntando a farlo durare come un’opera d’arte e non come una bomba carta (c), lasciando sullo sfondo la vita dell’autore (d) e sperando che l’opera venga apprezzata per il valore intrinseco e non tramite conventicole e controconventicole (e).
Molti editori hanno invece optato per la scorciatoia, descrivendo una parabola che, dall’epoca di – dico per dire – “Gomorra” a quella del generale, li ha condotti a realizzare l’impresa di rendersi superflui.
via https://www.ilfoglio.it/bandiera-bianca/2023/08/22/news/affinita--divergenze-fra-il-generale-vannacci-e-roberto-saviano-5611529/
Gurrado stavolta la conta molto giusta: sottolinea come il successo del libro autoprodotto del generale segnali anche il raggiungimento del livello sotto-superfluo nella rilevanza della sommamente ignorante intellighentsjia provinciale italica, gente che fa cene e parla con pilastri culturali del livello dei Saviano e Murgia, più cinematografari affamati , giornalai a 30€ la pompa pardon, la cartella e folle di impresentabili dogendi terroni vingidori di bubbligo gongorso.
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alexanderobscure · 1 year ago
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Roberto De Mitri - Emily Dickinson
..................~il mondo di Emily~...................
Non puoi sapere quale fosse la dimensione... In quale angolo della dimensione vive Emily... Giardino Segreto, Limbo o Purgatorio. Qualunque fosse l'esistenza, lei era li... senza sapere di esserne parte. Senza ricordare come è arrivata Il. Indipendentemente dalla nostra volontà, ci troviamo in quell'illusione. Fatta di nebbia, veli e di echi lontani. Elementi di un sogno in cui vaghiamo, oltre l'alba. Siamo apparenze e allo stesso tempo siamo vittime di un miraggio. Non possiamo sapere quali insidie, inganni... o quali speranze possiamo trovare nascoste in questa illusione... perché è il nostro inconscio che crea e dà forma alle visioni. E la nostra anima più profonda è influenzata, a sua volta, dalle nostre esperienze del passato. Oggi siamo le ombre dei nostri perduti. Solo marionette in questo circolo di passioni e mutazioni che è la vita. E riempiamo e mascheriamo questa nebbia delle nostre paure e dei nostri desideri. II mondo di Emily è un mondo malinconico, fatto di solitudine, fatto di infiniti spazi vuoti. Spazi che a volte solo la nebbia riesce a riempire. Una nebbia trascendente e remota, che sale dal profondo dell'anima, come materializzazione metafisica di tutti i nostri pensieri, paure, fantasmi e perdite. È una dimensione atemporale, o meglio, una condizione di sospensione infinita e adimensionale. Una percezione latente di assenza, di impotenza cosciente nei confronti di un desiderio che non può essere soddisfatto.....
#journey into Emily's world #my post
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thegianpieromennitipolis · 1 year ago
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SENSI DELL'ARTE - di Gianpiero Menniti
ARTE STORIA DELLO STILE
Roberto Longhi, piemontese di Alba, classe 1890, è stato uno dei più pregevoli critici d'arte italiani.
Per alcuni, il maggiore.
Non faccio classifiche.
Ricordo solamente il suo concetto del fare artistico:
«[...] l'arte non è imitazione della realtà, ma interpretazione individuale di essa [...] Mentre il poeta trasfigura per via di linguaggio l'essenza psicologica della realtà, il pittore ne trasfigura l'essenza visiva: il sentire per l'artista figurativo non è altro che il vedere e il suo stile, cioè l'arte sua, si costruisce tutto quanto sugli elementi lirici della sua visione.»
Così affermava nella sua "Breve ma veridica storia della pittura italiana", effetto di un compendio proposto da Longhi, tra il 1913 e il 1914, per i maturandi dei licei romani "Tasso" e "Visconti".
Era un giovane laureato.
Ma tenne quell'impostazione per tutta la vita: l'arte nasce dall'arte.
Ed è dunque storia dello stile, o meglio degli stili.
Difficile tenere quel modello concettuale entro solidi margini nella creatività caotica dell'arte contemporanea.
A maggior ragione per chi come me sostiene che l'atto lirico non sia individuale e originale libertà ma il riflesso di una cultura che fa traccia nel tempo facendo del corpo dell'artista il suo strumento espressivo.
Eppure, quando osservo i cosiddetti "illustratori", tra XIX e XX secolo (tra i quali è annoverato Toulouse-Lautrec) che per me sono artisti senza alcuna limitazione, mi sento additato dalle parole di Longhi come in un invalicabile atto d'accusa.
René Gruau, al secolo Renato Zavagli Ricciardelli delle Caminate, riminese dalla nascita avvenuta nel 1909, è tra quelli che più di altri mi mettono in crisi.
Ma che, paradossalmente, concorre a salvare la mia tesi.
Infatti, mentre la sorprendente sintesi stilistica dell'artista italiano attraversa il '900 in un raffinato allungarsi e diffondersi di figure dalla strepitosa e diafana eleganza, corroborando la sentenza longhiana sulla traccia lirica come epicentro dell'arte, quelle apparizioni affascinanti altro non sono che l'espressione dell'estetica del secolo, punto di convergenza delle necessarie concatenazioni causali capaci di rendere riconoscibile il gusto per modelli rappresentativi inequivocabili: rammentano la stampa quotidiana e periodica, la pubblicità, il cinema, la moda di quegli anni ruggenti e tragici, disseminati di straripante follia ed estro creativo.
L'arte emerge dalla vita concreta delle società e dalla grafia delle loro visioni culturali.
Nondimeno, sono un tuffo nel passato recente, con una proiezione nel presente e nel futuro: la linea di Longhi mai spezzata nel suo farsi storico.
Dal fondo, emerge l'essere umano, illuso della libertà e immemore del destino di finitezza assegnata ai confini invalicabili di tempo e di spazio.
Che costui disegna nel colore di un'agognata dimenticanza.
- Le immagini sono un'antologia di espressioni figurative di René Gruau sparse lungo tutto il XX secolo.
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adrianomaini · 2 months ago
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Utopia Sanremo Marzo 1962
Utopia, Sanremo, Marzo 1962 https://ift.tt/2AXvbRO Sanremo (IM): uno scorcio Un giorno viaggerò per le strade di una città dal selciato in rosso giardini di salici, fontane con acqua che si sente e panchine colorate sarà sempre sera e i lampioni a fiamma non morranno mai. ……………… …………….. Era nell’aria un profumo di clavicembalo e Chopin suonava i suoi pezzi appena fusi la verità nasceva dalle pietre lucide e non c’erano parole. Utopia, Sanremo, Marzo 1962 ciao nì! Stranamente l’altra notte, prima di dormire (quando mi va bene, le notti prima di dormire m’invento storie che poi dimentico. Questo fin da bambino, a volte le proseguo giorni e giorni dopo alcune anche anni) ... dicevo l’altra notte mi sono inventato un Amleto, guarda il caso, mi piaceva tanto anche se non ricordo nulla se non che faceva discorsi concentrici nel senso letterale della parola (immagina cerchi spezzati che poi si riprendono), come per altre volte mi son detto "domani lo scrivo" ma domani avevo dimenticato tutto. Ora leggendo, vaghi ricordi però, anche se non c’entra per nulla, qui ci sono alcuni spezzoni di versi che ho cercato mentre scrivevo (cosa non facile perché parlo di quello che, si può dire, ho buttato o meglio decisamente accantonato, ma come vedi nulla si perde. Ti abbraccio.   Roberto Rododendro Chiara Salvini, Roberto Rododendro, due "spezzoni di versi" che a me paiono molto belli - date ? - 1962 e oltre - il testo precede le poesie - il commento di Roberto è del 2019, Nel delirio non ero mai sola, 27 dicembre 2024 via Aspetti rivieraschi https://ift.tt/jZL1I9K March 09, 2025 at 09:22AM
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susieporta · 8 months ago
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Se utilizziamo una relazione come una medicina, per sentirci meglio, per tappare i nostri buchi e per mettere dei cerotti sulle nostre ferite, in questo tipo di "relazione-medicina" non vi sarà reciprocità, non vi sarà uno scambio equanime e la relazione nutrirá solamente uno dei due...
L'altro/a finirà per svuotarsi ed infine ammalarsi.
Roberto Potocniak
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canesenzafissadimora · 10 months ago
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“La vita a ogni età è una sorpresa meravigliosa”.
“Io ho 80 anni, ma vi assicuro – a voi che ne avete molti meno – che quando arriverete alla mia età non sentirete differenze. La differenza arriva e si sente solo quando non si vive, quando non si ama la vita, quando non si vuol più fare qualcosa di nuovo. Ma se si rimane ancorati e aggrappati alla bellezza dell’amicizia, dell’amore, della musica, del mare e della poesia, la vita regala sempre delle sorprese. Alla mia età si sentono gli acciacchi, certo, ma nello spirito non c’è differenza”.
“L’amore non cambia mai. Quando uno si innamora, non importa l’età. Cambiano il riflesso fisico e la potenza sessuale, ma dal punto di vista emotivo forse l’amore è ancora più forte a cinquanta o sessant’anni. Io ho visto e conosciuto persone che si sono innamorate a settant’anni, ma innamorate davvero. Di quell’amore che quando l’altro manca si sta malissimo. D’altronde, l’amore è questo: continuo bisogno, desiderio di avere l’altro con sé. E gli ultracinquantenni hanno la stessa disponibilità all’amore dei più giovani”.
“Ovviamente non si può generalizzare: ci sono cinquantenni e cinquantenni. Ci sono quelli a cui, ad esempio, è meglio non cantare nulla, mentre altri che sanno cogliere davvero i messaggi. Credo che la mentalità di un cinquantenne, che oggi come oggi è da considerarsi una persona giovane, è più attrezzata per cogliere i sottintesi, le metafore e la verità delle emozioni di chi canta. Gli over 50 non si lasciano ingannare. Sono attrezzati meglio per entrare in un mondo di emozioni che non sono facili per i ragazzi più giovani”.
“Anzianità non è sinonimo di saggezza. Però è più facile che i cinquantenni siano allenati culturalmente, più equipaggiati. A me piace moltissimo cantare davanti a persone che hanno più di quaranta o cinquant’anni perché hanno la predisposizione a immergersi in quello che sentono e si crea una forte empatia."
Roberto Vecchioni
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aryehderirp · 10 months ago
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Abu Zayd, più precisamente Zayd Abu Zayd Ab-Alh-Rahmann III, meglio conosciuto come "il Moro Zeyt", è un altro dei grandi protagonisti della nascita del Regno cristiano di Valencia.
Ultimo signore almohade di Valencia, era il pronipote del califfo berbero Abd-Al-Mucmin. Pur essendo originario di Baeza, era stato avviato alla politica dal nipote, il califfo Yusuf II, che lo nominò governatore di Valencia.
L’ultimo re almohade di Valencia vide presto sorgere problemi, sia per la pressione delle truppe cristiane a nord sia per quella di altri signori musulmani a sud. Insieme alla corruzione politica, che già esisteva all’epoca, avevano soffocato il popolo.
Dopo la morte del califfo Yusuf II, la decadenza politica si aggravò. Fu allora che Abu Zayd fu costretto a chiedere la protezione di Ferdinando III, il re santo di Castiglia. I raccolti rovinati da una piaga di cavallette e la mancanza di cibo incoraggiarono la ribellione della popolazione. In questa situazione, Zayyan Ibn Mardanis, discendente del re Lobo, arrivò a Valencia da Onda e guidò il rovesciamento di Abu Zayd, che dovette lasciare la città con il suo seguito e la sua famiglia nel 1229, diretto a Segorbe (Castellón).
Qui storia e leggenda si fondono, poiché si dice che la conversione del "moro Zeyt" sia avvenuta a Caravaca de la Cruz, dove la leggenda vuole che sia apparso il simbolo della croce.
Secondo la tradizione locale più diffusa, si dice che dalla fine del 1230 o all’inizio del 1231, il re almohade di Valencia e Murcia, Abu Zayd, si trovava nei suoi possedimenti a Caravaca. Interrogò i cristiani che teneva prigionieri per scoprire quali mestieri esercitassero, con l’obiettivo di occuparli secondo le loro capacità. Tra loro c’era il sacerdote Ginés Pérez Chirinos che, come missionario, era venuto da Cuenca nelle terre saracene per predicare il Vangelo. Egli rispose che il suo compito era quello di celebrare la messa e il re moresco voleva sapere com’era. Fu ordinato di portare da Cuenca i paramenti corrispondenti e il 3 maggio 1232, nella sala nobile della fortezza, il sacerdote iniziò la liturgia. Tuttavia, poco dopo aver iniziato la liturgia, dovette fermarsi, spiegando che gli era impossibile continuare perché mancava un elemento essenziale all’altare: un crocifisso.
In quel momento, attraverso una finestra della stanza, due angeli scesero dal cielo e posero delicatamente una croce a due bracci sull’altare. Il sacerdote poté quindi continuare la celebrazione della messa e, in presenza di tale meraviglia, Abu-Ceyt (insieme ai membri della sua corte presenti) si convertì al cristianesimo. In seguito si scoprì che la croce apparsa era il pettorale del vescovo Roberto, primo patriarca di Gerusalemme, realizzato con il legno della croce dove morì Gesù Cristo.
Quando Abu Zayd si convertì, prese il nome di Vicente Bellvís, come riportano le cronache dell’epoca. Morì tra il 1265 e il 1270.
La morte di Abu-Zayd è precedente all’11 dicembre 1268, data in cui il documento lo dichiara defunto. I suoi figli e parenti ricevettero un’importante eredità e, essendo imparentati con la nobiltà aragonese, divennero anch’essi signori cristiani.
QUI GIACE D. VICENTIUS BELVIS CON I SUOI ​​FIGLI UN TEMPO ZEIT ABUSIÒ RE VALENTIA MAURUS ADEO IL PROTETTORE DELLA SUA RELIGIONE VT DUE UOMINI INNOCENTI BEATI GIOVANNI DI PERUSIA E PIETRO DI SASSO-FERRATICO FIGLI E COMPAGNI DI PADRE FRANCESCO CHE PREDICANO LA VERA FEDE DI CRISTO OTTENUTO ATTRAVERSO LA SPADA MA RICEVERE LA LUCE DEL PADRE ISPIRATORE OGNI PECCATO FU CONSUMATO DAL SANTO BATTESIMO E IL SEGNO DELL’ETERNA RICONCILIAZIONE EGLI DESTINÒ UNA VOLTA LA SUA SALA IN CHIESA E SEDE.
Intorno al 16 giugno 1860, a Valencia fu eretta una lapide che lasciava in vista alcuni resti umani, il cui stato denotava la loro antichità. Nello stesso luogo fu rinvenuta una pergamena che recitava come segue:
Data di nascita:
17 ottobre 1195
Data di morte:
11 dicembre 1268
Titoli:
-Principe musulmano
-Signore cristiano
Etnia:
Berbero
Religione:
Islam
Religione 2:
Cristiano cattolico
Dinastia:
Almohade
Prestavolti nella trama:
-Alvaro Rico
-Walid Azaro
-Asier Cadenas
-David Raya
-Marco Mengoni
-Stephen Ammell
-Peter Porte (pv attuale)
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greenbor · 3 months ago
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“Hai dormito bene?” “com’è andata la tua giornata?” “fai attenzione” “mandami un messaggio quando arrivi a casa” “fai bei sogni” “ti ho pensato molto oggi” “spero che ti sentirai meglio” “mi manchi” “ti va di vederci?” “mi fa pensare a te” “ti posso chiamare?” “fai attenzione al gradino” “andrà tutto bene” “sei sempre nei miei pensieri” “se ti serve ci sono” “volevo solo sentire la tua voce” “grazie per oggi”
Non deve necessariamente essere “ti amo” per significarlo. Ascolta attentamente. Le persone parlano con il cuore più spesso di quanto pensi.
Paolo Raeli
Paolo Raeli (Palermo, 1994) è un artista e fotografo italiano. In Sicilia, e fuori dalla sua isola, fotografa la sua giovinezza insieme ai suoi amici.
Poiché ha paura di dimenticare quello che gli accade intorno, lo fotografa continuamente.
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ilpianistasultetto · 2 years ago
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Non sempre bisogna esprimere un'opinione sugli accadimenti. I social ci provocano a dire qualcosa, la famosa domanda: A cosa stai pensando Roberto?
Mah, boh, che ti devo dire..., siamo in ottobre e fa caldo, i tasti del mio pianoforte hanno bisogno di essere accordati , le caramelle Rossana al cioccolato non sono male, anche se preferisco quelle alla crema.
Cos'altro aggiungere?
Ieri sono uscito senza carta di credito, dovevo fare la spesa e avevo in tasca solo 20 euro. Compro pochissime cose terrorizzato di andare fuori budget, visto che i supermarket hanno ormai prezzi da oreficeria. Mi tremano le gambe, sudo freddo, aspetto con ansia alla cassa la somma della spesa. La cassiera, improvvisamente, si trasforma in Amadeus, fa quelle pause lunghissime prima della risposta esatta: "ventuno euro e trenta centesimi!" - "Caxxo! Sa che le dico, tolga queste caramelle Rossana alla crema, mi succhio il dito!” - "allora sono 17 e cinquanta!
Bene, ho salvato dal ventone, due euro e cinquanta, budget rispettato!
Certo, avrei potuto scrivere altro. Parlare di quanto è bella la vita e che la serenità è un luogo dove non si vive più di attese; dove ogni giorno è una sorpresa quando si riesce a trovare un quarto d'ora per ridere anche sul nulla, perché e meglio ridere da stupidi che piangere con ragione ma parlare anche volando basso. Di tanto in tanto, fa bene..@ilpianistasultetto
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