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#Rivoluzioni del '17
kneedeepincynade · 1 year
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Look,it's the CIA! Who could have expected to find it in a colour revolution? Everyone, you say?
The post is machine translated
Translation is at the bottom
The collective is on telegram
⚠️ IL RUOLO DELLA CIA, DEL "NATIONAL ENDOWMENT FOR DEMOCRACY", DI SOROS E DI GENE SHARP NEL TENTATIVO DI RIVOLUZIONE COLORATA IN CINA DEL 1989 ⚠️
🤔 Quindi cosa è successo esattamente a Pechino nel 1989? 🤔
✍️ Come scrive World Affairs, sono due le figure più importanti che hanno portato agli eventi di Pechino del 1989:
一 Hu Yaobang, Segretario Generale del Partito Comunista Cinese dal 1982 al 1987, che era mancato da poco, nel 1989 🇨🇳
二 James Lilley, Veterano della CIA, misteriosamente nominato Ambasciatore degli USA in Cina dopo soli 5 giorni dalla morte di Hu Yaobang 🇺🇸
💕 La figura di Hu Yaobang, molto aperta, piaceva molto ai giovani Cinesi, che si riunirono - in centinaia di migliaia - a Pechino, per piangere la sua morte e celebrare i suoi successi nella Riforma e Apertura 😭
🇺🇸 Resasi conto che centinaia di migliaia di persone si sarebbero presto riunite a Pechino, la CIA - tramite Lilley - iniziò a preparare il 20/05 del 1989 un colpo di stato anti-CPC, atto a far crollare il Governo Socialista in Cina ❗️❗️❗️
📰 In un articolo del Vancouvern Sun del 17/09 del 1992, che trovate QUI, venne descritto il ruolo della CIA negli Eventi del 04/06: «La CIA aveva fonti tra i manifestanti della Piazza, [...] per mesi aveva aiutato gli studenti attivisti a formare un movimento anti-governativo» 🤮
🤢 Ad aiutare la CIA, vi erano tre figure:
一 George Soros, figura chiave delle rivoluzioni colorate anti-Comuniste, tramite l'utilizzo dell'Open Society Foundations e del NED 🤮
二 Zhao Ziyang, figura pro-US e traditore in seno al Partito Comunista Cinese, l'unico sostenitore del tentativo di rivoluzione colorata 🤡
😡 Nel 1986, Soros iniziò a foraggiare le figure anti-CPC e pro-Liberalismo in Cina, e il National Endowment for Democracy aprì un suo ufficio nel 1988, per poter preparare un golpe ❗️
🤔 Uno potrebbe chiedersi: come mai il CPC permise ad alcune ONG Occidentali (NED) di entrare in Cina? Ad accettare il loro insediamento fu Zhao Ziyang, vero "cavallo di Troia" nel CPC, che - da dentro il Partito - stava cercando di promuovere la privatizzazione in favore degli USA 😡
三 Gene Sharp, autore del libro "Color Revolution", il Padre della rivoluzione colorata, che pubblicò il documentario "How to Start a Revolution", si recò a Pechino durante il periodo della "protesta", e lavorò a stretto contatto con la CIA, il NED, Zhao Ziyang e il Pentagono per fomentare il rovesciamento del Partito Comunista Cinese 😡
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⚠️ THE ROLE OF THE CIA, THE "NATIONAL ENDOWMENT FOR DEMOCRACY", SOROS AND GENE SHARP IN THE 1989 COLOR REVOLUTION ATTEMPT IN CHINA ⚠️
🤔 So what exactly happened in Beijing in 1989? 🤔
✍️ As World Affairs writes, there are two most important figures that led to the events in Beijing in 1989:
一 Hu Yaobang, General Secretary of the Communist Party of China from 1982 to 1987, who had just passed away in 1989 🇨🇳
二James Lilley, CIA Veteran, Mysteriously Appointed US Ambassador to China Just 5 Days After Hu Yaobang's Death 🇺🇸
💕 The very open figure of Hu Yaobang was greatly appreciated by young Chinese, who gathered - hundreds of thousands - in Beijing, to mourn his death and celebrate his successes in Reform and Opening up 😭
🇺🇸 Realizing that hundreds of thousands of people would soon gather in Beijing, the CIA - through Lilley - began preparing an anti-CPC coup on 20/05/1989, capable of bringing down the Socialist Government in China ❗️ ❗️❗️
📰 In an article of the Vancouvern Sun of 17/09 of 1992, which you can find HERE, the role of the CIA in the Events of 04/06 was described: «The CIA had sources among the protesters in the Square, [...] for months it had helped student activists form an anti-government movement» 🤮
🤢 To help the CIA, there were three figures:
一 George Soros, key figure in anti-Communist color revolutions, using the Open Society Foundations and the NED 🤮
二 Zhao Ziyang, pro-US figure and traitor in the Communist Party of China, sole supporter of attempted color revolution 🤡
😡 In 1986, Soros started to bankroll anti-CPC and pro-liberalism figures in China, and the National Endowment for Democracy opened its office in 1988, in order to prepare a coup ❗️
🤔 One might wonder: How come the CPC allowed some Western NGOs (NED) to enter China? To accept their settlement was Zhao Ziyang, a true "Trojan horse" in the CPC, who - from within the Party - was trying to promote privatization in favor of the USA 😡
三 Gene Sharp, author of the book "Color Revolution", the Father of the Color Revolution, who released the documentary "How to Start a Revolution", went to Beijing during the "protest" period, and worked closely with the CIA , the NED, Zhao Ziyang and the Pentagon to foment the overthrow of the Communist Party of China 😡
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lamilanomagazine · 11 months
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Campobasso inaugura oggi la mostra "17 Graffi" al Circolo Sannitico
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Campobasso inaugura oggi la mostra "17 Graffi" al Circolo Sannitico …12 dicembre 1969, come ogni venerdì la banca chiude più tardi per via delle contrattazioni fra agricoltori, è la vigilia di Santa Lucia. La “rotonda”, il salone centrale, chiamato così per la sua forma, è gremito di persone intente a concludere contratti. Un tavolo ottagonale viene utilizzato per firmare accordi commerciali ed in quel livido pomeriggio autunnale, non molto freddo quanto piuttosto umido sarà custod e di 7 kg. di tritolo… Campobasso. La bomba esplosa il 12 dicembre 1969 alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano irrompe nella quotidianità degli italiani, irrompe nell’Italia del fermento culturale, delle rivoluzioni del costume, delle conquiste dei diritti civili e passerà alla storia come l’inizio degli anni di piombo e della strategia della tensione. La mostra 17 GRAFFI, ideata da Stefano Porfirio, promossa dall’associazione Kunekrea in collaborazione con l’Associazione Piazza Fontana 12 dicembre 1969 e con Molise Foto Incontri Fotografici, offre uno spaccato di storia italiana recente e spunti di riflessione attraverso 17 foto e 17 testi poetici in ricordo delle 17 vittime. Il punto di forza del progetto è la pluralità degli artisti che vanno dal semplice appassionato all’autore affermato come Gianni Berengo Gardin, Angelo Raffaele Turetta, Francesco Cito, Graziano Perotti. "Dopo l'intitolazione di Largo Capitano Tosti e la Mostra Canada Town prosegue l'impegno della nostra Amministrazione nell'affrontare temi cruciali della nostra storia; temi che vogliamo portare soprattutto all'attenzione delle nuove generazioni grazie al coinvolgimento delle scuole cittadine" - dichiara il sindaco Paola Felice. La mostra, visitabile fino al 5 novembre 2023, infatti è stata patrocinata e sostenuta dall’amministrazione comunale di Campobasso, e sarà introdotta dal prof. Norberto Lombardi. Ospite della serata inaugurale sarà Paolo Silva, figlio di una delle vittime della strage e membro dell’Associazione Piazza Fontana 12 dicembre 1969. Circolo Sannitico Piazza Gabriele Pepe, 30 Campobasso Dal 27 ottobre al 5 novembre 2023 Dalle ore 10 alle ore 12,30 e dalle ore 17 alle ore 19,30 Ingresso libero Inaugurazione il 27 ottobre 2023 alle ore 18,00... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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gregor-samsung · 7 years
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Il 30 ottobre [1917] ebbi un appuntamento per parlare con Trotzky. Lo trovai in una piccola stanza squallida sull'attico dello Smolny. Egli sedeva in mezzo alla stanza su una rozza sedia, davanti a una tavola grezza. Da parte mia bastarono poche domande; egli parlò rapidamente e con forza per più di un'ora. La sostanza del suo discorso, con le sue proprie parole, posso riferirla così: «Il Governo Provvisorio non ha assolutamente alcun potere. La borghesia è sotto controllo, ma questo controllo è eluso da una fittizia coalizione coi partiti "oborontsi" [appellativo dato ai gruppi socialisti "moderati" favorevoli al proseguimento della guerra]. Ora, durante la Rivoluzione, si sono viste rivolte di contadini stanchi di aspettare le terre che sono state promesse, e in tutto il paese, in tutte le classe lavoratrici, è evidente lo stesso disgusto. La dominazione della borghesia è solo possibile attraverso la guerra civile. Il metodo Kornilov [ovvero la dittatura militare] è il solo mezzo col quale la borghesia possa dominare. Ma è la forza che manca alla borghesia... L'esercito è con noi. I conciliatori e i pacifisti, socialisti rivoluzionari e menscevichi hanno perduto ogni autorità, perciò la lotta fra i contadini e i proprietari, fra gli impiegati e gli operai, fra i soldati e gli ufficiali, si è fatta più aspra e irriconciliabile che mai. Soltanto dalla concorde azione delle masse popolari, soltanto dalla vittoria della dittatura proletaria, la Rivoluzione può essere conclusa e il popolo può essere salvato... «I Soviet sono la più perfetta rappresentanza del popolo, - perfetta per l'esperienza rivoluzionaria, per le loro idee, i loro scopi. Fondati direttamente sull'esercito nelle trincee, sui contadini nei campi, sugli operai nelle officine, formano la spina dorsale della rivoluzione. «Vi è stato un tentativo di creare un potere senza i Soviet e si è creato un Governo senza potere. Nei corridoi del Consiglio della Repubblica Russa si tramano piani controrivoluzionari di ogni genere. Il partito dei Cadetti [Democratici Costituzionali] rappresenta i contro-rivoluzionari militanti. Dall'altro, lato i Soviet rappresentano la causa del popolo. Fra i due campi non esistono gruppi di seria importanza... È la lotta finale. La controrivoluzione borghese organizza tutte le sue forze e aspetta il momento di attaccarci. La nostra risposta sarà definitiva. Noi completeremo l'opera appena abbozzata in marzo, e proseguita durante l'affare Kornilov...»
John Reed, 10 giorni che fecero tremare il mondo, Traduzione di Orsola Nemi, Longanesi, 1974 [ed. or.: Ten Days That Shook the World, 1919]; pp. 60-61
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fotopadova · 4 years
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Staged Photography?
di Carlo Maccà
  -- Il festival Fotografia Europea, che si svolge ogni anno fra aprile e giugno a Reggio Emilia, è uno degli eventi imperdibili per l'amatore che voglia tenere aggiornata la propria cultura. La Fondazione Palazzo Magnani, per assicurare quanto meno un minimo di continuità nell'anno in corso dopo l'interruzione forzata, in questi ultimi tre mesi offre due mostre. La più rilevante viene proposta come "la prima mostra in Italia dedicata al fenomeno della staged photography, tendenza che, a partire dagli anni Ottanta, ha rivoluzionato il linguaggio fotografico e la collocazione della fotografia nell’ambito delle arti contemporanee ", con la presenza di autori di grande notorietà, come Jeff Wall, Cindy Sherman, Sandy Skoglund, Joan Fontcuberta e la star mondiale David La Chapelle.
Qualcuno che ha almeno una infarinatura sulla storia e le tradizioni della fotografia, potrebbe rimanere interdetto al sentir definire "rivoluzionaria" una "tendenza" della fotografia che viene denominata staged. Quel termine si addice, ed è stato spesso applicato, a un modo di fotografare in uso fin dai primi decenni della fotografia artistica come di quella commerciale, senza mancare in quella amatoriale.
Per quanto riguarda l'attualità, appare perfettamente legittimata quella fotografa nordamericana di provincia (Leesburg, Virginia) che titola "Staged Photography" la propria attività e il relativo sito Facebook, nel quale così si propone per foto di famiglia e simili: " Staged is a combination of on location natural light and in studio photography. È l'incontro fra un fotografo esperto e un artista rifinito che si specializza nella progettazione di scenografie impareggiabili. Chiamatelo un combinato di menti artistiche. Siamo specializzati in immagini di: Maternità. Neonati, Bimbi, Gruppi, Giovani e Famiglie. Siamo entusiasti della nostra capacità di offrire ai clienti non solo foto mozzafiato dei loro bimbi e delle loro famiglie, ma anche scenografie uniche e magistralmente eseguite".
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        Staged Photograhy, Facebbok. La fotografa, il suo sito e un'immagine campione.
Quanto poi all'aspetto "rivoluzionario" dello staging nell'attuale fotografia d'autore, a quel qualcuno di cui sopra il binomio "staged photography" richiama inevitabilmente i tableaux vivants nati ai primi albori della fotografia: cioè quelle composizioni fotografiche che pretendevano di sfidare ad alto livello artistico la pittura. Memorabili sono il paradigmatico The Two Ways of Life di Oscar Gustave Rejlender, montaggio di ben 32 pose fotografiche, 1857; o Fading away di Henry Peach Robinson, 1858, con "sole" cinque pose.
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         Henry Peach Robinson, Fading away, 1858 circa.
Quei Tableux Vivants fotografici, che spesso si ispiravano a opere pittoriche famose, sono da molti ritenuti come le radici della Pictorial Photography, che imperversò fino alla prima guerra mondiale e un po' oltre. E allora quel signore di cui sopra, usando uno zoom adatto a inquadrare bene ogni tappa della storia della fotografia, non avrà dubbi a vedere in un certo settore della Staged Photography un diretto pronipote di quei tableaux, pronipote tutt'altro che rivoluzionario pur se disconosce l'antenato. E a ritenerlo semplicemente un revival messo in moto dall'avvento della fotografia digitale e della sua elaborazione informatica, che hanno aggiornato tecnicamente e facilitato materialmente quelle operazioni che nell'era analogica nessuno aveva più la pazienza di fare, e che da decenni venivano considerate con sufficienza se non con disgusto.
Almeno due fra gli autori presenti a Reggio Emilia possono essere considerati discendenti dei pionieri dell'800, a cominciare dall'approccio fattuale per finire con i temi assunti. L'esempio più calzante è certamente l'Ophelia (2018) dell'inglese Julia Fullerton Batte, un rifacimento testuale del dipinto (1851) del preraffaellita John Everett Millais, già oggetto di attenzione di molti fotografi "ri-creativi" antichi e moderni. A prescindere dalla presunta rivoluzione, all'opera di Julia Fullerton si deve riconoscere, rispetto a tante altre, un fascino quasi pari a quello della pittura originale.
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        Il rifacimento fotografico di Ophelia (Julia Fullerton) e il dipinto di Millais.
Con uno spirito totalmente diverso, una volontaria apoteosi del kitsch, irriverente e dissacrante,  David LaChapelle ha messo mano alla propria revisione dell'Ultima Cena di Leonardo, degli affreschi di Michelangelo nella Cappella Sistina e di molti altre opere pittoriche famose.
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        L'Ultima Cena di Leonardo attualizzata da David LaChapelle.
I capolavori della pittura divenuti le vittime più frequenti degli stagers sono probabilmente le scene di interni dipinte da Vermeer, caricaturate volontariamente ma soprattutto involontariamente da miriadi di velleitari "artisti rivoluzionari" che evidentemente del pittore olandese non hanno capito nulla o non vogliono avere nessun rispetto (e qui sta la "rivoluzione"!).
Già gli esempi sopra citati bastano a suggerire che il termine staged photography, che letteralmente nella nostra lingua dovrebbe diventare "fotografia messa in scena", possa coprire tutto quello che non è una  "istantanea" presa al volo: dai tableaux vivants fino ai gruppi e ai singoli in posa. Tutti noi che abbiamo frequentato la scuola dell'obbligo in tempi meno schizzinosi riguardo alla privacy conserviamo in qualche cassetto l'immagine della classe ben distribuita sulla scalinata d'ingresso, coll'insegnante in centro o a lato; molti di noi anche quella della Prima Comunione nostra, del figlio o del nipotino, ciascuno in posa molto pia. Perché, sì, anche il ritrattino d'una persona "in posa" rispetta le premesse di una staged photography. 
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        Una delle poche fotografie staged di (ma solo in senso passivo) Gianni Berengo Gardin. [1]
Fino alla metà dell'ultimo secolo del millennio scorso, nel linguaggio comune esistevano due modi di ripresa dei soggetti fotografici che includono persone: la "istantanea" catturata al volo, e la "posa". Il secondo, non necessariamente legato a maggiori tempi di esposizione, era quello in cui i soggetti si mettevano o venivano messi “in posa”; gli amatori, se abbastanza abbienti da permettersi un apparecchio con autoscatto e un cavalletto, con una corsetta durante il tempo morto tra la pressione sul pulsante di scatto e l'azione del diaframma o della tendina, riuscivano ad includere se stessi nell'immagine fotografata (in pratica, facevano un selfie - vi immaginate qualche politico attuale fare i selfie con in suoi fans se non esistesse lo smartphone?). 
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        Helmut Newton, They are coming (dressed), 1981.
Messe in scena, cioè staged, sono anche le fotografie di studio, e in particolare quelle di moda, fra cui compaiono immagini prodotte da veri maestri della fotografia (Figura 5). E nascono staged anche le Stage photos, ossia le "foto di scena" del teatro, del balletto e del cinema, dove stage viene dal termine inglese per palcoscenico. E dall'insieme non dovremmo escludere neppure le fotografie di oggetti inanimati meticolosamente "messi in posa", come quelle immagini impropriamente chiamate nella nostra lingua "nature morte". e nei paesi anglosassoni still photography, fotografia "immobile" [2].  Ma questi tre generi fotografici sono ufficialmente esclusi dalla Staged Photography dei "rivoluzionari" [3]. A meno che non siano, per esempio, scene storiche composte con pupazzetti di plastica e altri oggetti (come nella seguente immagine.
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        David Lawrence Levinthal, Dallas 1963.
La vera rivoluzione nella fotografia è l'avvento del digitale, che ha aggiornato tecnicamente e facilitato tutte le operazioni che fino a per un secolo e mezzo avevano richiesto abilità, tempo e pazienza, soprattutto quando allo staging doveva seguire una ricomposizione delle immagini (quella che una volta si chiamava "fotomontaggio"). Tutte le altre presunte rivoluzioni non sono che fasi dell'adattamento dell'arte al mutevole spirito dei tempi, nel bene e nel male. Adattamento attivato nei secoli soprattutto dai progressi tecnici: la pittura ad olio... la stampa.. .la fotografia... la computerizzazione digitale...[4].
E allora converrebbe assegnare al "fenomeno" oggetto di questi commenti, o piuttosto a ciascuna delle sue differenti anime (presenti solo in parte nella mostra di Reggio Emilia) una denominazione diversa, più appropriata, meno generica ed equivoca, facendo riferimento a quanto è stato scritto dai vari autori che si sono impegnati ad anatomizzare l’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità e della creazione digitale [5], (alcuni dei quali, come Jeff Wall e Joan Fontcuberta, sono stati tradotti in italiano). Si dovrebbe riparlarne. Per il momento, può bastare un generico "fotografia messa in scena", come da vocabolario, abbastanza discriminante rispetto alla semplice "foto in posa"? [6].
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[1] Da: Gianni Berengo Gardin, In parole povere. Un'autobiografia con immagini. Contrasto, 2020, p. 17.
[2] Still è anche, sostantivato, il "fermo immagine" d'un filmato.
[3] Per i compilatori frettolosi dei comunicati stampa di qualsiasi mostra d'arte, dalle internazionali alle paesane, le opere devono essere  "decostruttive", "dissacranti"; o almeno "inquietanti", e se non altro "intriganti": qualificazioni che, esimendo da ulteriori chiarimenti, facilitano il loro lavoro. Ma l'attributo che assicura il massimo richiamo sembra sia: "rivoluzionarie".
[4] Progresso fondamentale ai fini della nascita della fotografia digitale, del quale Padova può gloriarsi almeno un poco, perché il creatore del primo microprocessore (http://www.fagginfoundation.org/it/biografia/) e autore di molti altri sviluppi in questo campo (fra cui il sensore Foveon usato negli apparecchi fotografici Sigma), il vicentino Federico Faggin, si è laureato in Fisica all'Università di Padova. Si legga l'autobiografia Silicio, Dall'invenzione del microprocessore alla nuova scienza della consapevolezza, Mondadori 2019. (Lo scrivente, vanagloriosamente, si compiace di ricordare la fraterna amicizia del proprio padre col padre dello scienziato).
[5] Necessario, anzi  fatale aggiornamento dell'opera di Walter Benjamin.
[6] I francesi considerano quella che altrove viene chiamata Staged Photography come una categoria della Photographie Plasticienne (Dominique Baqué, Photographie Plasticienne, l'extrême contemporain, Éditions du Regard 2004, pp 88 e seguenti, capitolo Scénographie de la Culture). Questo termine sembra non abbia trovato corrispondenza nello specifico linguaggio italiano.
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shiningstarlight · 4 years
Note
Su cosa stai scrivendo la tesi? E soprattutto come hai fatto a creare una scaletta dei capitoli e paragrafi? Io sono bloccata, non so cosa inventarmi :(
Heyy buon pomeriggio anon 💙
Allora.. parto dalla prima domanda, è una tesi di letteratura inglese, la sto scrivendo sull’influenza che le opere natalizie di Dickens hanno avuto sulla celebrazione del Natale in Inghilterra. È una sorta di excursus nella celebrazione del Natale prima di Dickens (dal 1600, per avere anche gli anni del Commonwealth) e perché ha rianimato lo spirito natalizio che le diverse rivoluzioni avevano fatto parzialmente perdere agli inglesi.
Per la seconda domanda.. è un po’ più complesso 😭 purtroppo il mio relatore non mi sta aiutando moltissimo (17 giorni fa gli ho chiesto se il titolo andasse bene e ancora non ho risposto, ti lascio immaginare), però ho trovato una guida che secondo me è molto utile e dettagliata per sapere come scrivere, anche in termini di punteggiatura, stesura e layout in generale. Io sto usando questo documento, è della mia università però credo che alla fine le basi siano quelle a prescindere, almeno per capire come fare per le note, le citazioni ed i caratteri in generale.
Per quanto riguarda titoli, paragrafi e indice sto avendo un po’ di problemi anche io, per ora ho una sorta di bozza, che comunque ha i collegamenti giusti, devo soltanto ricollegarli alle pagine (quando lo avrò lmao). Qui spiega abbastanza bene come fare, praticamente se non ho capito male è un po’ tutto un gioco di stili 😂 io uso word, credo che sia lo standard per ogni tesi ma in caso se usi un programma differente puoi provare a cercare la stessa impostazione!
Purtroppo con questo virus non ho potuto partecipare a nessun corso sulla stesura della tesi, perciò sto cercando di capire bene come fare tramite video/siti web, perché ero piena di esami e non avevo tempo di seguire altre lezioni online. Spero di esserti stata utile anche se in minima parte, ti auguro buona fortuna anche per la tua tesi 💙 io sto uscendo pazza pur avendo già indice e idee, perché comunque la stesura è la parte più difficile per tutto quello che devi inserire e per capire come e dove mettere le cose ugh. Buona giornata ✨
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xspookx · 5 years
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Ci serve TEMPO, Juan..
Sono una persona che da sempre pensa sempre a tutto tranne che a lasciarsi andare col famoso “flusso”, non è proprio nelle mie corde, specialmente in estate quando in realtà sono tutti presi da questo maledetto flusso così caotico.
In quest’ultimo anno ho capito che il tempo vola e non sta lì ad aspettare nessuno, un po’ come l’autobus che ti vedi sfrecciare davanti al naso il lunedì mattina; continuo a ripetermi che c’è tempo, ancora non è arrivato il momento giusto, ancora non so nemmeno io per fare cosa di preciso, ma dentro di me so benissimo che non è così.
Questa mattina mia cugina ha dato il suo esame di maturità, mentre ieri eravamo ancora a giocare impersonando le Winx a casa di nonna.
Ad ottobre mia nonna è morta, mentre a settembre ancora mi faceva il bagnetto nel lavandino in terrazza.
Sono in quarta superiore e non so cosa farne della mia vita. I grandi del passato, come Michelangelo o Leonardo, alla mia età già erano geni indiscussi, scultori, pittori, inventori rinomati
e io sono qui alle 1:19 di martedì notte a scrivere di ciò che vorrei dalla mia vita futura senza fare niente perchè tutto ciò accada veramente.
Ho la netta sensazione di star sprecando alla grande la mia vita, ma continuo a ripetermi che dopo i 18 sarò finalmente libera, ma immagino che non sarà così comunque.
Magari se fossi nata in un’altra epoca sarei stata diversa: A***,17 anni, sposata con un ricco mercante fiorentino, frequentatrice della famiglia Medici, appassionata d’arte e so pure andare a cavallo, pensa te. Comunque, purtroppo, non credo sarebbe andata esattamente così.
Almeno vorrei essere nata qualche decennio prima: durante gli anni della Musica, con la M maiuscola, quella bella e delle vere rivoluzioni; ma no, mi dispiace cara A***, non sarebbe cambiato nulla comunque, alle 1:34 di martedì notte ti saresti comunque ritrovata a scrivere, su un foglio, probabilmente, di quanto tu sia delusa dalla tua vita e del tuo desiderio di poter vivere in un’epoca che non ti appartiene.
Dico solo che MI SERVE TEMPO, devo recuperare come minimo 2019 anni di cose successe prima del mio insignificante arrivo e sicuramente con una stima di (facendo e’ corna) 90 anni di vita, non posso farcela; come pretendo di poter andare avanti se sono entrata a metà corsa, è come iniziare un film solo dopo la pausa di 5 minuti del cinema, NON PUOI CAPIRCI NIENTE, ed infatti io non ci capisco niente di sta vita.
So che non sono l’unica, affatto, probabilmente chi ci capisce qualcosa è l’unico a farlo, ma mi chiedo come fanno gli altri a non pensarci ed andare avanti senza una minima domanda? Scusate ma non riesco a svuotare la mente per più di 15 minuti consecutivi, o almeno non più.
Non so cosa mi sia successo di preciso, ma non riesco più ad essere me stessa con nessuno, suona banale persino a me, ma sono sempre a pensare a come apparire inattaccabile dai giudizi altrui, ma credo di fare solo peggio apparendo peggio di quel che sono, ma ormai ho perso la capacità di lasciarmi andare, con la maggior parte delle persone, compresa me stessa. Con altri invece, non so come, smetto di pensare lì per lì e faccio quello che mi viene più naturale, senza farmi troppi problemi.
MI SERVE TEMPO perchè ho troppe cose da chiedere, ancora non so a chi di preciso, ma esigo delle risposte, che ovviamente nessuno saprà mai darmi, o almeno non mi dirà ciò che voglio sentire e perciò non mi andranno bene comunque.
Chissà quante persone in tutto il mondo si stanno facendo le stesse esatte domande alle 1:47 di questo martedì notte.. Probabilmente almeno un centinaio, credo, e vorrei tanto avere una sorta di legame telepatico con loro, magari si trovano in Perù:
HEY “JUAN”, SE SEI IN ASCOLTO MANDAMI UN SEGNALE, CHE MAGARI IN DUE ALMENO MEZZA RISPOSTA A QUESTA VITA COSI COMPLICATA RIUSCIAMO A TROVARLA, O ALMENO RIUSCIAMO A RASSICURARCI CHE NON SIAMO I SOLI A FARCI QUESTE SEGHE MENTALI CONTINUE.
SPERO DI CONOSCERTI UN GIORNO.
DA UNA TE ITALIANA, A***.
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diceriadelluntore · 6 years
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Storia Di Musica #50 - Miles Davis, Birth Of The Cool, 1957
Voglio iniziare l’anno di storie musicali raccontando di una rivoluzione del jazz. Una rivoluzione però fatta a colpi di strumenti a fiato poco utilizzati nel genere e ad un approccio delicatamente innovativo. Artefice di questa trasformazione MIles Davis, la prima di una serie vitale e creativa che lo accompagnerà per tutta la vita, segnando di fatto la cultura musicale del ‘900. Siamo alla fine degli anni ‘40, Davis è un giovane rampollo alla corte di giganti come Charlie Parker e Dizzy Gillespie, quelli che inventarono il bebop. Sin da subito Miles voleva esplorare un nuovo linguaggio, ma non trovava appigli. Nel 1947 incontra Gil Evans, superbo pianista ed arrangiatore, e fa amicizia anche con Jerry Mulligan e John Lewis, animati dalla sua stessa idea di andare oltre i canoni del bebop. Evans aveva poco tempo prima riarrangiato un pezzo scritto da Davis, Donna Lee, con un intento preciso: eliminare la “brutalità” del bebop, la sua ossessiva ricerca della velocità e dell’assolo fantasmagorico, le note troppo alte che limitavano la musicalità delle partiture. Per questo Evans decise di allargare il classico quintetto a strumenti come il trombone, la tuba e il corno francese per sfruttare i loro toni medi. Davis fa sua questa organizzazione e le idee guida di Evans e mette su nel 1948 il primo nonetto: tromba, trombone, corno francese, tuba, sax contralto e sax baritono accompagnata da una sezione ritmica di pianoforte, batteria e contrabbasso. Le prime esibizioni avvennero lo stesso anno a nome Miles Davis Band, qualche volta Organisation, e spesso in cartellone oltre che il nome dei musicisti venivano scritti anche i nomi degli arrangiatori. Nel 1949 Davis firma un contratto per la Capitol Records che si concretizza in tre vibranti sessioni di registrazioni del nonetto, due nel 1949, a Gennaio e Aprile, l’altra nel Marzo del 1950. Alle tre registrazioni partecipano in tutto 17 musicisti, che si alternano agli strumenti. Solo Davis, Gerry Mullingan al sassofono baritono, Lee Konitz al sax contralto e Bill Barber alla tuba parteciparono a tutte e tre le sessioni, nelle quali tra gli altri si alternarono eccellenze come Max Roach (batteria), Al Haig (pianoforte), Junior Collins (corno francese). Furono registrati circa trenta brani, che iniziarono ad essere pubblicati un po’ alla rinfusa sin dal 1950. Solo nel 1957 la Capitol decise di pubblicare Birth Of The Cool interamente, proprio perchè in quegli anni si era affermata come cool jazz la vellutata e delicata rivoluzione di Davis, Evans e Mulligan. Nel disco 12 piccoli capolavori, alcuni famosissimi come Jeru e Venus De Milo di Mulligan, Budo, scritta precedentemente da Davis con Bud Powell, Boplicity, firmata con lo pseudonimo di Cleo Henry (in realtà il nome della madre di Miles), Rouge di John Lewis, ma anche Move di Denzil Best, la splendida Israel scritta e arrangiata da Johnny Carisi, Moon Dreams di McGregor e Mercer e Godchild di George Wallington. In scaletta anche un brano cantato, Darn That Dream, con la voce di Kenny Hagood. Il cool jazz rappresenta una via di mezzo tra la big band del passato e la frenesia eccitante dei quartetti del bop, riuscendo ad amalgamare gli stili in maniera convincente, tanto è che presto molto jazz bianco californiano ne divenne maestro, basta pensare a Dave Brubeck. Resta un disco di fondamentale, impronta storica per vari motivi: l’esecuzione perfetta in senso stilistico, per la bellezza del repertorio e perchè il cambiamento è portato con grazia a persuasione, cosa che Davis, nelle sue future rivoluzioni, non userà più: perchè da questo album diventerà una divinità vivente del jazz.
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Ma voi ve lo ricordate quando tutto ci sembrava immutabile e definitivo?
Vi ricordate gli squilli col telefonino? Per far sapere all'altro che lo stavi pensando, senza dirgli niente. Se dovessi spiegarlo ai miei nipoti non saprei nemmeno da dove cominciare. E poi sui messaggi si scriveva sempre RISP alla fine, fa che l'altro non lo capiva e non rispondeva. A volte toccava pure tagliare una parte di testo per potercelo inserire. Quest'estate invece mia nipote, di 8 anni, mi ha chiesto cosa fosse il t9, e il 18% dei miei capelli è diventato bianco all'istante. Ma voi lo dite ancora "colpa del t9"? Secondo me sì. È come con le lire, chi se ne frega che non ci sono più da 17 anni. E pensate ai poveri giovani di oggi, che ci sentono parlare di t9, di lire, e manco sanno cosa sono. Chissà cosa credono che sia il simboletto sul quale cliccano per salvare un file word. Lo dicevo ieri, sto perdendo la memoria di quando l'immondizia si buttava nei cassonetti, che strano. Ricordo quando ho iniziato ad andare a lezione di pianoforte da sola e mamma mi dava il bustone da buttare all'angolo della strada, e io correvo perché avevo paura che qualcuno mi vedesse con questa cosa puzzolente. Oppure quando si facevano le super cene da 4/5 famiglie e poi man mano che le persone se ne andavano gli si lasciava una busta da buttare. Poi verso i 12 anni ero andata sotto con la musica ma all'epoca i cd erano un lusso e io ricordo che facevo una cosa strana con le cassette, tipo che dovevo letteralmente registrare le canzoni su una cassetta nuova, ma onestamente non me lo ricordo granché bene ché non sono così vecchia, sono passata subito ai cd ma oggi c'è Spotify, cazzo. Non sono nostalgica, non lo sono mai stata nemmeno con le persone figuriamoci con queste stupidaggini, poi io spero di rimanere sempre una fan del progresso, anche di quello che non riuscirò a comprendere. È che mi ricordo quando ero piccola e i miei mi parlavano di com'era il mondo da giovani e io pensavo solo a questi poveri vecchietti nati nella preistoria e dicevo tra me e me per fortuna che io sono nata in un mondo evoluto, nulla potrà mai sorprendermi. E chissà quanti come me, forse tutti diamo sempre per scontato che il mondo così come lo conosciamo non cambierà mai, e invece cambia sempre, grandi rivoluzioni che si ripercuotono sulla piccola quotidianità, e ogni volta ci lasciano a bocca aperta.
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corallorosso · 6 years
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Un'immagine del film "I am the revolution" di Benedetta Argentieri I AM THE REVOLUTION – “Essere donna fa la differenza. Non si tratta di qualità e nemmeno di merito, è questione di punto di vista. L’approccio alle cose è diverso. Letteralmente. Se devi inquadrare una donna e dietro alla macchina da presa c’è un’altra donna, è facile guardarsi negli occhi. Quando l’operatore è un uomo, c’è il rischio di fare riprese non alla pari, dall’alto in basso. I AM THE REVOLUTION – “Essere donna fa la differenza. Non si tratta di qualità e nemmeno di merito, è questione di punto di vista. L’approccio alle cose è diverso. Letteralmente. Se devi inquadrare una donna e dietro alla macchina da presa c’è un’altra donna, è facile guardarsi negli occhi. Quando l’operatore è un uomo, c’è il rischio di fare riprese non alla pari, dall’alto in basso. .. Tre donne, tre Paesi, tre rivoluzioni. Un titolo evocativo per una pellicola che segue da vicino la quotidianità di tre donne mediorientali in lotta per l’eguaglianza di genere: Rojda Felat, Yanar Mohammed e Selay Ghaffar. Cambiano i paesi d’origine – rispettivamente Siria, Iraq e Afghanistan – e cambiano le modalità con cui la battaglia si porta avanti: Rojda è la mente strategica a capo delle combattenti curde contro l’Isis in Rojava; Yanar è un’attivista che da 17 anni gestisce rifugi antiviolenza non riconosciuti dal governo di Baghdad; Selay è la prima portavoce donna di Hambastagi – il Partito della solidarietà afgano – unica compagine politica laica a Kabul e dintorni. Ciò che resta invariato è l’obiettivo: affermare l’emancipazione femminile, garantire istruzione alle giovani donne e mostrare al mondo che – anche in Paesi stravolti da decenni di guerra e fondamentalismo islamico – c’è qualcosa oltre ai volti delle madri velate e sottomesse con gli occhi bassi e velati di lacrime, che nella maggior parte dei casi, per i media internazionali, sono emblema di queste realtà. Da vittime a combattenti. “Questo non significa che le donne non siano vittime”, chiarisce la regista. “Gli americani sono arrivati su suolo afgano nel 2001 dicendo ‘Libereremo le donne!’, ma ad oggi solo il 14 per cento delle ragazze può andare a scuola. Ancora l’87 per cento della popolazione femminile subisce violenza ogni giorno, l’86 per cento non sa leggere e scrivere. C’è un livello d’oppressione difficile da spiegare, non paragonabile a quello delle nazioni limitrofe”, spiega. “In Iraq invece tra le principali cause di morte per una donna c’è il delitto d’onore. Secondo la Sharia, l’interpretazione più rigida del Corano, se l’onore di una famiglia viene macchiato a causa di una donna – nel caso in cui quest’ultima sia stuprata, ad esempio – l’unico modo per ristabilirlo è ucciderla (di solito gettandola da una rupe) e inchiodare il palmo della sua mano sinistra alla porta di casa”, continua Argentieri. “I rifugi coordinati da Yanar finora hanno salvato oltre 500 ragazze da questa sorte. Vuol dire che di vittime ce ne sono tante, ma che c’è anche chi non accetta più di esserlo: prende in mano il proprio destino e quello di chi è più debole di lei”, precisa la reporter.... “L’insegnamento più grande, però, mi è arrivato dalle combattenti curde”, rivela la regista. “Sono le donne più donne che abbia mai incontrato e – anche se nell’immaginario collettivo somigliano a Lara Croft con il mitra imbracciato – mi hanno fatto capire l’importanza della dolcezza. Prima di incontrarle ero molto dura, pensavo di dover sempre dimostrare qualcosa, per farmi largo in un ambiente a maggioranza maschile come quello delle redazioni giornalistiche. Ora sono più solidale: bisogna avere fiducia tra noi femmine. Non significa che non ci saranno incomprensioni, ma che se si collabora si possono fare grandi cose”, sorride. TPI
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paoloxl · 6 years
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Nella notte tra il 17 e 18 ottobre 1977 avvenne l’assassinio dei combattenti rivoluzionari della RAF, Andreas Baader, Jan Karl Raspe e Gudrun Ensslin, nel carcere di Stammheim. Unica sopravvissuta, Irmgard Möller, ferita gravemente da quattro coltellate, mentre l’anno prima, nel 1976, era stata “suicidata” la compagna Ulrike Meinhof.
In Italia, la reazione del movimento fu forte e determinata contro la barbarie della “democratica” Germania dell’Ovest: in tutte le città furono colpiti i luoghi e simboli delle multinazionali e dello Stato tedesco, esplosero la rabbia e la rivolta, il desiderio di liberazione da tutte le forme di dominio. Fu un momento triste, ma anche ricco di rivendicazioni.
Al di là delle forme dell’organizzazione rivoluzionaria e delle pratiche di azione e di lotta, chi era dentro la RAF si sentiva parte viva del movimento rivoluzionario internazionalista, anticapitalista ed antimperialista, come ciascuno di noi, al di là delle differenze tattico-strategiche o delle diverse modalità di concepire l’azione rivoluzionaria. 
Il senso di appartenenza va oltre ciò, è profondamente bio-politico, rispetto a chi ha messo la propria vita, il proprio essere, il proprio corpo a servizio della causa rivoluzionaria, fino in fondo, con irriducibile determinazione. Un messaggio etico-politico di straordinaria forza, al di là del tempo; una memoria viva, non codificata dagli apparati ideologici di stato: una memoria rivoluzionaria.
Walter Benjamin, nelle sue straordinarie metafore e nell’Angelus Novus, dipinto da Paul Klee, vedeva l’angelo trainato da un vento potentissimo verso il futuro, con la testa rivolta al passato, verso la serie di rovine e macerie che la storia si tira dietro, ma che diventano una cosa sola nel filo rosso della liberazione: quel “sogno che l’umanità ha sempre saputo di possedere", ossia il comunismo. 
L’”altra” storia è piena di esempi e significati: dalle rivolte contadine di Thomas Muntzer, alle lotte operaie e del proletariato metropolitano, alle rivoluzioni, insurrezioni, pratiche di guerriglia, alle attuali lotte dei campesinos, delle comunità indigene resistenti e costituenti in America latina o nelle metropoli contro il neo-colonialismo del capitalismo “estrattivista”, in tutte le sue articolazioni. Una lunga serie di resistenze, una lunga scia di sangue ma che va ricompresa in una sola memoria militante e rivoluzionaria. Non tristezza e depressione, al contrario: forza, potenza per ricominciare, un nuovo inizio rispetto alle mutate condizioni storico-sociali, forti di una tradizione, di un sogno, di un’utopia concreta, estremamente attuale nella miseria del tempo presente, in questo miserabile  tempo privo di storia e di memoria.
Non è solo questo: alcune analisi dei compagni e delle compagne della RAF sono di grande attualità, in particolare l’eclisse della dimensione dello stato nazione e l’internazionalizzazione di fatto di ogni dimensione politica; ma anche le trasformazioni che hanno interessato la composizione di classe dentro il cuore del sistema imperialista, l’attenzione posta sulle masse “senza volto”, il destino coloniale e neo-coloniale riservato alle classi sociali subalterne. Ciò che negli anni ’70 poteva sembrare un’eccezione, oggi è la regola.
Da alcune intuizioni della RAF, viene posta come centrale una possibile intersezione tra il pensiero strategico leniniano e le analisi sul colonialismo fatte da Frantz Fanon, che sembrano confermare lo scenario attuale del capitalismo globale, dove vengono meno i confini rigidi tra primo e terzo mondo e la ridefinizione di un modello neocoloniale anche all’interno delle metropoli occidentali. 
Nelle periferie, nella povertà metropolitana. 
Nel precariato come sistema di vita, nell’esclusione di moltitudini di uomini e donne dalla cittadinanza, dal riconoscimento, dalla presa di parola, nei flussi migratori si riconoscono i tratti di quelle “masse senza volto” di cui parlava la RAF; le potenziali forze di una rivoluzione globale contro l’impero globale del neoliberismo e come diceva Fanon contro tutte le articolazioni del dominio, dell’assoggettamento, della subalternità, le linee intrecciate di razza, di genere, di classe. 
Su questa base sorge un nuovo diritto del “comune” contro il diritto della proprietà dei padroni del mondo e della vita: come diceva Marx, tra “eguali diritti” decide la forza e nessuna mediazione è possibile!
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libroazzurro · 2 years
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È PIÙ SACRO VEDERE CHE CREDERE - ANDARE CONTRO NATURA
Le storie di mutazioni e meraviglie, di orrori e di catastrofi, di amori e di contese, di guerre e di rivoluzioni congegnate dalla scienza regia in paradiso vengono costantemente verificate e amplificate grazie ai giochi d’amore, che, con bella grazia infantile, si consumano quando le donne e gli uomini invitano chi desiderano, amano, concupiscono a fare quel gioco sontuoso che si chiama “come se”, e si dicono: facciamo come se io fossi te e tu me, facciamo che io sono questo, tu quello, e che ci troviamo qui, oppure lì. Ed è così, quindi, che si viene a sapere tutto, infine, rispondendosi, durante questi giochi, alle domande essenziali: cosa cantarono le sirene quando Ulisse era legato al palo, e cosa provò lui mentre resisteva?, cosa pensò di sé stesso il primo frammento di materia separandosi dalla propria natura?, come fa Arianna a rinnovare stagionalmente la gelosia di Dioniso senza sbagliare mai?, perché nulla giunge alla propria natura se non separandosene?, cosa disse Tiresia quando disse la verità a Giove e Giove si tramutò in Artemide?, perché è proprio della natura andare contro natura? E via dicendo: all’infinto.  
Nell’immagine, incisioni tratte da “Elementa chemiae” di Johann Conrad Barchusen, edizione del 1718, tavola 505, figure 14-17. Il volume è conservato presso la biblioteca del Science History Institute di Philadelphia (immagine nel pubblico dominio, tramite Wikimedia Commons).
Testo di Pier Paolo Di Mino.
Ricerca iconografica a cura di Veronica Leffe.
https://www.libroazzurro.it/index.php/note/e-piu-sacro-vedere-che-credere/436
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outsiiider17 · 2 years
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la paura di volare, la bellezza di cadere
19 dicembre 2021 
Sono anni che sogno di vivermi senza ansie Lanzarote, in questi anni sono successe tante cose, passate tante persone, scavato tante ferite, però ecco la costante è questa..la voglia di viverti, che sei sempre stata paradiso nero, inferno dolce e sereno. Perchè dentro le tue durezze ci ritrovo i miei occhi fatti di contrasti, che sotto il tuo bruciare ritrovo il mio sentire.
La prima volta non era la prima volta, era il 17 maggio del 2017 ed era normale mi innamorassi, quasi obbligatorio accadesse. Mi innamoro continuamente non è di certo un’evento eccezionale è che non ti ho mai smesso di cercare, quello si ...mi fa pensare.
La mia migiore amica vive li da almeno sette mesi, averla nella terra del mio cuore mi fa sentire a casa, sono felice anche lei possa averti capita, colpita e tu possa averla cambiata.
E’ strano, sono due anni di stop mondiale, il covid ha cambiato tutte le nostre abitudini, ogni cosa è diversa. Eppure io sono quasi contenta, la disperazione, la restrizione l’ho vissuta come un purificare, era tempo che lo volevo fare.
Uscire da me e entrare nel mondo, è banale ma se lo fai sul serio..lo tocchi e ci stai pure bene sul fondo.
Giorno dopo giorno realizzo quanta fortuna ho, la mia famiglia sana in piena pandemia mondiale, mio padre mi regala un’altro giorno su questo sogno apparentemente ben orchestrato, sono riuscita a lavorare e mettere qualche soldo da parte nonostante la stretta morsa di chi pensa che tempo sia denaro e denaro sia sangue nero.
Mi sembra di vivere una realtà virtuale, credevo che il vaccino mi desse tranquillità e serenità ed invece è tutto estremamente legato al comprarsi ed interessi inerenti a malati e salute, un qualcosa che mi trascina nell’abisso della sfiducia. Vorrei dimenticarmi, di me e seguire la direzione come tutti quanti, tanto se deve andare non sono io a scegliere come.
E’ solo una becera illusione, come questa mia tremenda paura di volare.
Nonostante questo la vita mi ha insegnato a informarmi ma sopratutto ascoltarmi.
La tiroidite a sedici anni, l’emorragia interna a ventitreanni, come non posso ascoltarmi? sento profondamente contraddittorio ciò che avviene nel mio paese, come posso fingere a ventisette anni? Come faccio a fingere che mi vada bene? Io fingo solo quando ho paura di perdere e in questo caso ho voglia di vincere e la paura l’ho lasciata ad una me morta in un monolocale del agosto bolognese.
Ho ancora tanto fuoco su ogni mio obbiettivo e sopratutto sulle mie scelte.
Qui a Milano sono stati giorni caotici, il caos di casa di Niko totalmente incomprensibile, i suoi sbalzi di umore, i suoi drammi, mi sembra di rivivere lo stesso incubo con un protagonista diverso dal solito. Sono tutti la stessa persona travestita, io mi riempi di gente complessata sperando di non pensare e risolvere i miei di conseguenza.
Sento che abbiamo un mondo di cose utili da darci, dirci e scambiarci al tempo stesso però.. tutto questo mi fa rallentare la corsa.
C’è stata una piccola scossa di terremoto mentre eravamo a casa sua, situazioni davvero uniche che non comprendo, febbraio è un mese di rivoluzioni e questo non è una novità però pensavo di concludere un’anno di tranquillità.
Non comprendo la mia totale apatia per Francesco, mi sembra strano estremamente che dopo tutta quella fatica che ho fatto ora non sento più niente.. Avrei dato il mondo e forse non ha un gran valore se ora non sento nemmeno il sapore della delusione, sà di niente, un drink che bevi giusto per stare in mezzo alla gente. Senza gusto come fosse normale.
Cioè..non è proprio niente, è che forse ho sentito troppo?
Come si aggiustano i buchi nel petto? Basta un pò di silicone?
Amore liquido come quello di quel tale, uso, abuso e smaltire.
Si ma se c’ho dei buchi non è che poi lo perdo senza nemmeno accorgermene?
L’amore cura, non sistema.
Forse la soluzione contro i buchi nel petto sono i tappi.
Stiamo sorvolando le montagne innevate, mi piace guardarle ma non comprendo come possano essere così dure e rigide quando ci sei sopra..da lontano sembrano così delicate ed eleganti.
Vorrei riuscire a dormire un pò, sono stanca mentalmente, raffreddata e davvero distrutta da questi due giorni con niko..una persona che semplifichi le cose? 
È così difficile da trovare?
Niko dentro ha una miniera piena di dolore chissà  e chi cazzo sono io per poterci scavare? 
Non capisco come facciano a bere, mangiare siamo in volo ed io non posso immaginare un caffè nemmeno un the anzi mi innervosisce questo via vai..
Dovrebbero fare il servizio di Keeping calm, dove qualcuno si ferma e ti chiede come stai e si parla e si ride e il tempo vola più leggero e più basso di questo aereo.
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gregor-samsung · 7 years
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Verso la fine di novembre accadde il "pogrom del vino"*, il saccheggio delle cantine, cominciato col saccheggio dei sotterranei del Palazzo d'Inverno. Per giorni e giorni si videro soldati ubriachi per le strade... In questo era evidente la mano della controrivoluzione che distribuiva tra le truppe piani topografici indicanti l'ubicazione dei depositi alcoolici. I Commissari dello Smolny [=sede del Consiglio dei Soviet di Pietroburgo] tentarono di opporsi dapprima co esortazioni e ragionamenti che non riuscirono però ad arrestare i crescenti disordini, seguiti quasi sempre da tremde risse fra soldati e Guardie Rosse... Finalmente il Comitato Militare Rivoluzionario fece uscire compagnie di marinai armati di mitragliatrici, che spararono senza pietà sui rissanti, uccidendone parecchi; e con ordine esecutivo le cantine furono occupate dai Comitati che a colpi di scure distrussero le botti o le fecero saltare in aria con la dinamite... *Fu scoperto più tardi che esisteva una regolare oragnizzazione diretta dai Cadetti [=Costituzionalisti Democratici; reazionari] per provocare disordini fra i soldati. Furono mandati messaggi telefonici alle diverse caserme per informare che v'era del vino abbandonato nel tal luogo, al tale indirizzo, e quando i soldati vi arrivavano, un individuo indicava l'ubicazione delle cantine... Il consiglio dei Commissari del Popolo nominò un commissario per la lotta contro l'ubriachezza, che procedette senza misericordia contro le orgie del vino, distruggendo centinaia di migliaia di botti. Le cantine del Palazzo d'Inverno contenevano vini rari valutati più di cinque milioni di dollari, e prima furono allagate, poi il vino fu distrutto. In questo compito i marinai di Cronstadt, «fiore e orgoglio delle forze rivoluzionarie», come li chiama Trotzky, si comportarono con ferrea disciplina...
John Reed, 10 giorni che fecero tremare il mondo, Traduzione di Orsola Nemi, Longanesi, 1974 [ed. or.: Ten Days That Shook the World, 1919]; pp. 246 e 315
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Un sondaggio sulla scelta tra separazioni legali e love affaire extraconiugali
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“Anno nuovo, vita nuova” è il classico mantra che ci si ripete ad ogni inizio d’anno con nuovi propositi e tanta voglia di cambiamento. Non è un caso se il primo lunedì lavorativo di gennaio segna una ricorrenza particolare, legata a grandi rivoluzioni: il Divorce Day tra separazioni legali e love affaire extraconiugali. Separazioni legali e love affaire, il Divorce Day Tradizionalmente in questo giorno gli studi legali ricevono la maggior parte delle richieste di informazioni sulle separazioni legali. Dopo il periodo delle festività, le coppie raggiungono l’apice della sopportazione e il risultato può coincidere con la decisione di rompere il legame coniugale. Basti pensare che l’Associazione nazionale divorzisti italiani ha affermato che, solo nel 2020, si è assistito a un aumento delle separazioni rispetto al 2019 del 60%. Ashley Madison, piattaforma leader internazionale per chi è alla ricerca di incontri extraconiugali, ha voluto indagare attraverso una survey condotta tra i suoi iscritti, come sia vissuta la decisione di divorziare, soprattutto se confrontata con la scelta di intraprendere in alternativa un love affaire extraconiugale. I dati Il primo dato che si fa notare tra tutti: il 79% dei rispondenti non ha mai pensato di porre fine al proprio matrimonio, o ha addirittura smesso di pensarci non appena ha intrapreso un love affaire al di fuori della relazione principale.  La decisione di non separarsi è guidata dal senso di colpa, infatti il 67% degli intervistati ammette che si sentirebbe molto più in difetto a prendere la decisione di una rottura definitiva piuttosto che a continuare il proprio love affaire. La maggioranza (il 58%), anzi, ritiene che distruggere rapporti primari della propria vita significhi essere egoisti e pensare unicamente a se stessi. Si preferisce, quindi, intrattenere discorsi tra le lenzuola con l’amante piuttosto che immergersi nelle carte per il divorzio.  Le parole di Ashley Madison “È innegabile che l’inizio dell’anno coincida con una sorta di bilancio sulla propria vita coniugale – afferma Christoph Kraemer, Managing Director di Ashley Madison per l’Europa – Eppure queste riflessioni, piuttosto che portare a una decisione come il divorzio, che è vissuto come una soluzione estrema ed un sollievo solo dall’11%, spingono i nostri iscritti a preferire soluzioni alternative come una relazione extraconiugale. Si tratta di un dato che emerge chiaramente dall’andamento delle iscrizioni alla nostra piattaforma. Raggiungono i picchi di aumento più alti proprio nei primi giorni dell’anno. Ad esempio, nei primi fine settimana di gennaio 2021 abbiamo registrato un +37% rispetto alla settimana di Natale.” Tra le motivazioni per continuare la relazione matrimoniale spicca, con il 46% delle preferenze, proprio l’amore verso il partner primario, ancora troppo saldo per poterlo incrinare definitivamente. Seguono altre ragioni più legate alla situazione famigliare, ad esempio il 19% non vuole che la rottura si ripercuota negativamente sui figli e il 17%, da un punto di vista finanziario, non può permettersi di troncare i rapporti con l’altra persona. Un toccasana? D’altronde una relazione extraconiugale è spesso considerata un toccasana per il matrimonio, tanto che ben il 76% degli intervistati ammette che il tradimento li ha resi più pazienti e tolleranti a casa. Queste evidenze sono confermate anche da precedenti survey di Ashley Madison dove emerge come quasi la metà (il 48%) dei rispondenti ritiene che una relazione aggiuntiva possa alleviare la pressione sul partner principale e il 33% pensa che agevoli l’espressione di diversi lati di sé con partner diversi. Traendo le conclusioni, il divorzio per gli iscritti ad Ashley Madison non compare come la soluzione migliore da intraprendere per risolvere un rapporto primario difficoltoso, bensì entrano in scena i love affaire che travalicano i limiti della quotidianità e possono addirittura migliorare il rapporto con il partner primario. E se sulle note rock di un noto brano dei The Clash del 1982, molti si stanno ancora interrogando “Should I Stay or Should I Go?”, la risposta potrebbe arrivare dalla saggezza rivoluzionaria di uno studente francese, che nel 1968, durante i moti di contestazione, sui muri dell’Università di Nanterre scriveva: “Fate l’amore, non fate la guerra”. Un invito che Ashley Madison conosce bene! Read the full article
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samdelpapa · 3 years
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 Italia - Repubblica - Socializzazione
 . da  http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=46869 Il mondialismo ebraico-americano da Pearl Harbor a Damasco  don Curzio Nitoglia (24/12/2013) Prologo Nei due articoli sulle cause delle due guerre mondiali (1), pubblicati recentemente nel sito doncurzionitoglia.com, ho parlato delle occasioni create dagli USA per entrare in guerra ed estendere il suo dominio sull'Europa (2). Nel presente articolo cerco di far un po' di luce sulle vicende vicino e medio orientali, che dall'Afghanistan (2001), all'Iraq (2003), alla Libia, alla Tunisia e Siria (2011-2013) ci stanno portando sull'orlo di una guerra mondiale, in cui la posta in palio è il dominio della quasi totalità del globo che l'imperialismo americano e israeliano (3) vogliono estendere anche sul mondo arabo («Nuovo Ordine Mondiale») e di lì arrivare alla Russia di Putin (già intaccata dalle rivoluzioni arancioni del Novanta, pilotate dalla CIA, e riscoppiate proprio in questi giorni in Ucraina (4)) e ad arrestare l'avanzata economica della Cina (5), la quale nel 2004 ha firmato un contratto di scambi economici, concernenti il petrolio ed i gas naturali, di 120 miliardi di dollari con Teheran. Ecco uno dei motivi per cui la Cina si opporrebbe ad un cambio di regime in Siria, che significherebbe la rovina dell'Iran e una grave crisi economica cinese. Si noti che milioni di musulmani qaidisti vivono in Russia ed in Cina. Basta guardare una cartina geografica e si vede che a partire dal Libano -andando verso l'est- si giunge in Siria, da questa all'Iraq, e quindi all'Iran al nord-est del quale si giunge in Russia, la quale a sua volta confina ad est con la Cina e a sud-est con l'Afghanistan. Quindi la caduta della Siria comporterebbe un terremoto nei Paesi confinanti: il Libano ad ovest (vicino oriente), l'Iraq e l'Iran ad est (medio oriente) ed infine la Russia e la Cina (estremo oriente). Dopo di che il «Nuovo Ordine Mondiale» sarebbe concluso e perfetto dall'Atlantico al vicino, medio ed estremo oriente, ossia «a mare usque ad marem». L'ultima occasione sfruttata dall'America, come abbiamo visto, è stata quella della base navale e aerea di 'Pearl Harbor' nel dicembre del 1941. Dopo la fine della seconda guerra mondiale gli USA e l'URSS si impadronirono a Yalta (1945/46) del mondo dividendolo in due blocchi: quello occidentale/atlantico e quello orientale/bolscevico. Il crollo dell'URSS (1989-1991) Con il crollo dell'Impero sovietico, dopo la caduta del «muro di Berlino» e la sconfitta dei sovietici in Afghanistan (1989-1991), la parte orientale del globo si trovava senza un padrone, in preda ad un terremoto geopolitico, con ricadute probabilissime anche sul mondo arabo. Essa poteva essere occupata dagli USA, che erano restati l'unica superpotenza mondiale, la quale dispone tutt'ora nel medio oriente di due alleati di ferro: Israele e l'Arabia Saudita (6), accomunati dall'odio verso il nazionalismo-sociale arabo e l'Iran (7). Ma per entrare in guerra la Costituzione americana esige che gli USA siano attaccati o si trovino sotto un grave pericolo imminente. Quindi doveva presentarsi all'orizzonte americano «una nuova Pearl Harbor». L'11 settembre o la nuova 'Pearl Harbor' L'11 settembre del 2001, con l'attacco alle Due Torri Gemelle (8), l'America ha avuto la sua 'nuova Pearl Harbor', ha invaso l'Afghanistan (7 ottobre 2001) (9) e poi l'Iraq (20 marzo 2003) (10), quindi nel 2011 son scoppiate le rivoluzioni «primaverili» arabe che le hanno dato la possibilità di estendere il suo dominio in Egitto, Libia, Tunisia, ma si è impantanata in Siria, la quale è stata aiutata dall'Iran, dal Libano, dalla Russia di Putin e dalla Cina (11). Gli USA stanno cercando di erigere il 'Nuovo Ordine Mondiale' nel vicino e medio oriente, i quali negli anni Novanta non gravitavano più sotto l'impero sovietico e che solo con la Russia di Putin hanno ritrovato un potente alleato in quest'ultima diecina di anni. Israele (appoggiato dai neocon americani, Kristol, Perle, Wolfowitz, Rumsfeld, Kagan, Pipes, Bennett, Bolton e Leeden (12)) ha elaborato un piano analogo. Nel
febbraio del 1982 il giornalista israeliano Oded Yion ha scritto per il ministero degli Esteri di Tel Aviv un interessante articolo pubblicato sulla rivista israeliana "Kivunim" su La strategia d'Israele negli anni Ottanta del Novecento (13). Tale piano prevedeva già nel 1982 la «dissoluzione della Siria, dell'Iraq e del Libano» (14). Si tratta di una «instabilità costruttiva», la quale si basa su tre pilastri: 1°) creare e gestire conflitti inter-etnici in medio oriente; 2°) favorire lo spezzettamento geopolitico del mondo arabo; 3°) favorire il settarismo salafita, wahabita, qaidista, jihaidista e della 'Fratellanza Musulmana'. La frammentazione del mondo arabo voluta dal Mondialismo Il mondo arabo attuale è stato messo assieme da Francia e Inghilterra alla fine della prima guerra mondiale, con la caduta dell'impero ottomano nel 1917-18 alleato con la Germania e l'Austria-Ungheria, al solo scopo di controllare le zone ricche di petroli e gas naturali (15). L'impero ottomano fu diviso allora in 19 Stati, formati da gruppi etnici e confessioni islamiche non omogenee, in modo tale che vivesse in perpetua instabilità e in un possibile conflitto interno e perciò debole ed incapace di sussistere senza l'apporto delle potenze vincitrici del primo conflitto mondiale (Inghilterra, Francia e USA) (16). L'Inghilterra il 2 novembre del 1917 aveva promesso all'ebraismo internazionale «un focolare nazionale» (Dichiarazione Balfour) (17), creando così già i primi attriti con il pur variegato mondo arabo (18), che hanno destabilizzato, in gran parte, il vicino e medio oriente ed hanno portato alla situazione attuale. Nel 1920 la Siria cercò di rendersi indipendente dal protettorato francese, ma la Francia invase Damasco il 25 luglio del 1920 e pose fine al disegno «panarabo» siriano di raccogliere attorno a Damasco alcune delle neo-Nazioni arabe, che prima del 1918 facevano parte del grande impero ottomano (19). È importante sapere che già nel 1957 i servizi segreti inglesi e americani avevano stilato un documento congiunto intitolato A Collision Course for Intervention, il quale è stato riesumato nel 2003 dal giornalista Ben Fenton (Macmillan Backed Syria Assassination Plot, in "The Guardian", 27 settembre 2003). Il documento in questione stabiliva per la Siria il seguente progetto: «occorre dispiegare uno sforzo per eliminare alcuni individui-chiave (20), destabilizzare zone interne in Siria. La 'CIA' è pronta, e il 'SIS' (oggi 'MI6') tenterà di montare sabotaggi minori e degli incidenti all'interno della Siria. Gli scontri alle frontiere forniranno un pretesto all'intervento» (21). Dopo la fine della seconda guerra mondiale nel vicino oriente frammentato si troveranno fianco a fianco lo Stato d'Israele (1948), gli Stati nazionalisti e autoritari (Siria, Iraq, Libia e Tunisia), la monarchia ultra islamista ma filo-occidentale (Arabia Saudita (22)) e le sue galassie (Giordania, Egitto e Marocco) (23). I Saud e il wahabismo Per capire quel che succede nel mondo arabo a partire dal 1948 (fondazione dello Stato d'Israele in Palestina) sino ad oggi, è necessario distinguere nell'islam i suoi due rami principali e ufficiali (sunnismo e sciismo) dalle sette scismatiche ed ereticali, che sono specialmente il wahabismo, il salafismo ed hanno come braccio armato al-qa'ida, i 'Fratelli Musulmani' e i jaidisti foraggiati dai sauditi. Queste sette odiano l'islam laico, sociale, nazionalista e pronto a collaborare con le altre confessioni religiose per il bene della Nazione (Iraq, Siria, Libia, Tunisia) e lo combattono per distruggerlo, finanziate da USA e Israele. La guerra in Siria non è una guerra civile, come dicono i media, ma un'aggressione dei wahabiti e sauditi con l'appoggio di USA, Gb e Israele. Perciò il destino della Siria riguarda, nell'immediato, anche quello dei due milioni di cristiani che abitano in essa ed attorno ad essa e, nel futuro, quello del globo intero poiché a partire dalla distruzione della Siria si vuol costruire un «Nuovo Ordine Mondiale» diretto dal giudaismo, dalla massoneria, dal calvinismo americanista e dal
liberismo selvaggio dei neocon, che si servono del qaidismo come testa d'ariete. Perciò, la questione che tratto è di capitale importanza non solo per ogni uomo ma per i cristiani, che sarebbero i primi a rimetterci in caso di vittoria dei wahabiti qaidisti. Infatti dall'Arabia Saudita, nata nel 1932 con il placet dell'Inghilterra, la famiglia regnante al-Sa'ud di confessione wahabita, ha finito per destabilizzare il già fragile equilibrio interno al mondo arabo (24). Infatti i Sauditi sono i paladini all'interno del mondo arabo dell'islam combattente (25), ma nello stesso tempo all'estero sono legati all'occidente anglo/americano e allo Stato d'Israele. Essi, perciò, lanciano l'islamismo radicale wahabita-salafita (26) contro i regimi nazionalistici arabi (sia sciiti che sunniti (27) non-wahabiti), a tutto favore del sionismo (28) e dell'americanismo, mentre all'interno professano un feroce estremismo farisaico/calvinista (29) di stampo petrolifero/islamista, come vedremo meglio innanzi. Giustamente Paolo Sensini ha scritto: «gli Stati del Golfo e l'Arabia Saudita sono fragili contenitori che racchiudono solo petrolio» (30). Wahabismo salafita contro nazionalismo arabo Si badi bene che il wahabismo e il salafismo cercano di nascondersi dietro il sunnismo e si presentano come avversari dello sciismo, ma in realtà non hanno nulla a che vedere neppure con il sunnismo. Infatti il wahabismo è un'eresia e una setta islamica, scissa sia dal ramo sunnita che da quello sciita, fondata da Muhammad ibn 'Abd al-Wahhab († 1792) e già allora ostile ai sunniti, inoltre Muhammad ibn 'Abd al-Wahhab, è ritenuto dagli storici dell'islam comunemente un «marrano» (in arabo «ma 'min» e in turco «donme») ossia un cripto-ebreo (cfr. W. Madsen, The Donme, in «Strategic Culture Foundation», 26 ottobre 2011; M. D. Baer, The Donme: Jewish Converts, Stanford, Stanford University Press, 2010). Quanto all'ideologia salafita il suo fondatore è Jamal al-Din al-Afghani, che nel 1878 fu ammesso nella loggia massonica del Cairo di rito scozzese e nel 1883 fondò la salafiyyah(cfr. S. Amghar, Le Salafisme d'aujourd'hui. Mouvementssectaires en Occident, Parigi, Michalon, 2011; B. Rougier, Qu'est-ce que le Salafisme?, Parigi, PUF, 2008). Nel 1924 quando i wahabiti conquistarono la Mecca massacrarono i sunniti che vi abitavano. Ora l'islam si è definitivamente diviso nel 680, quasi subito dopo la morte di Maometto (632), in due rami principali: il sunnismo (che comprende circa l'80% dei musulmani, cioè 680 milioni di persone) e lo sciismo (che ne comprende circa il 16 %, vale a dire 130 milioni), mentre il wahabismo rimonta al 1700 e il salafismo al 1800, cioè circa 900/1000 anni dopo la morte di Maometto e la divisione in due rami dell'islam. I 'Fratelli Musulmani' addirittura risalgono al 1928. I media ci presentano il wahabismo come la vera tradizione islamica, invece esso si presenta e si considera come sunnita, ma in realtà è considerato dagli storici delle religioni una setta scismatica dell'islam, che «si pone agli antipodi della tradizione islamica. Si tratta di un settarismo che, grazie alle enormi disponibilità finanziarie dei Saud, si fa passare per 'islam sunnita', ma che non lo è affatto e si attribuisce da sé la qualifica di 'autentico islam' in contrasto con ogni altro ramo dell'islamismo» (La storica visita del presidente iraniano al Cairo: Ahmadinejad piange sulle tombe dei pii musulmani, in "European Phoenix", 6 febbraio 2013 (31)). Una probabile terza guerra mondiale? Il giudice Ferdinando Imposimato ha scritto un interessantissimo libro (La grande menzogna. Il ruolo del Mossad, l'enigma del Niger-gate, la minaccia atomica dell'Iran, Roma, Koinè Nuove Edizioni, 2006). In esso, con documenti alla mano, spiega la genesi degli attentati dell'11 settembre 2001, la guerra all'Iraq del 20 marzo 2003 e la probabilmente futura guerra (nucleare) all'Iran, che scatenerà una catena di ritorsioni nucleari, capaci di sconvolgere la faccia della Terra. Il magistrato parte da un recente attacco verbale contro l'ONU (Firenze, 12 novembre 2005) da parte di
Michael Ledeen (personaggio legato alla Loggia massonica P2 e al SISMI) e Richard Perle, entrambi neoconservatori americani, che dietro imput di Cheney e Rumsfeld, vogliono lanciare l'attacco atomico contro l'Iran, mettendo prima a tacere le resistenze delle Nazioni Unite. Richard Perle è «un ebreo legato al Likud, partito di estrema destra israeliana» (p. 20) e specialmente con Benjamin Netanyahu ha scavalcato a destra anche Ariel Sharon, troppo moderato verso i palestinesi. Assieme a Michael Ledeen, egli dirige l'American Enterprise Institute «noto anche in Italia per i contatti con la P2 e i servizi segreti italiani» (p. 22). Imposimato, citando Albert Einstein, si chiede: «esiste il rischio di un conflitto nucleare di portata apocalittica, che porterebbe alla fine 2/3 dell'umanità?» (p. 25). Egli risponde affermativamente, asserendo inoltre che l'Iran e la Siria sono i prossimi obiettivi dell'America. Quanto alla 2ª guerra contro l'Iraq, essa non fu la conseguenza dell'11 settembre 2001, ma «fu decisa molto tempo prima dell'attacco alle Torri gemelle» (p. 26), verso il 1999/2000. Tale guerra fu fatta «per conquistare le risorse petrolifere del medio oriente ed allargare il dominio degli USA, offrendo protezione ad Israele, esposta al rischio di un nuovo olocausto» (p. 27). Inoltre, prosegue Imposimato, è falso che «tutto sia cominciato con l'11 settembre 2001». Infatti già nel febbraio del 1993 «un camioncino con 700 chili di semtex esplose nel parcheggio del WTC» (p. 99). Il 7 agosto 1998 «alcuni camion di esplosivo con kamikaze devastarono le ambasciate americane di Nairobi in Kenia e Dar Es Salam in Tanzania» (p. 100). Infine ci fu l'informazione ricevuta dall'FBI nell'agosto 2001 di «attacchi terroristici imminenti, su larga scala, contro obiettivi altamente visibili» (p. 103). Dunque, conclude il giudice, si conosceva, e si era già costatato sin dal 1993, la capacità operativa del terrorismo anche in terra americana; ma si è voluto lasciar fare, per attaccare guerra in medio oriente, come a Pearl Halbor nel XX secolo contro il Giappone, e sulle coste di Cuba nel XIX secolo contro la Spagna. Secondo Imposimato (che dimostra sempre quel che scrive), «un governo mondiale invisibile muove le fila dei governi nazionali (…). Tutto ciò con l'avallo dell'estrema destra ebraica, il Likud…, dietro gli eventi del terzo millennio vi è un gigantesco complotto ordito per giustificare la guerra all'Iraq e preparare quella all'Iran» (p. 27). Dopo lo smacco subito in Iraq, l'America penserebbe di impiegare «armi nucleari di tipo nuovo, piccole bombe atomiche ad effetto territoriale limitato» (p. 32). George W. Bush «si avvale di consiglieri preziosi, come Karl Rove, ebreo legato al Likud, e come Dick Cheney, che ha al suo fianco Lewis Libby, anche lui ebreo vicino a Bibi Netanyahu, capo del Likud. A decidere non è solo Bush, ma lui e il suo staff, che serve anche altri padroni (…). Bush, manovrato da Cheney e Rove, pedine di Netanyahu, intende dominare il mondo con la forza e a furia di guerre preventive può coinvolgere anche l'Europa, a partire all'Iran» (p. 35). Imposimato scrive che «Bin Laden e al-Qa'ida avevano preparato e organizzato…, la sfida militare agli USA» (p.40). Ma ammette anche che «del piano sapevano in molti, e primo tra tutti il Mossad, con infiltrati ovunque, e non fecero nulla per impedire l'evento… Dall'11 settembre, il sostegno dell'America a Israele fu automatico» (p. 40). Inoltre lo scandalo dell'uranio che Saddam avrebbe voluto comprare in Niger, per prepararsi la bomba atomica, risulta essere un falso, preparato nel 2000, da un ex agente dei servizi segreti italiani e poi rilanciato dall'Inghilterra. Esso ha costituito la famosa «canna fumante» per scatenare la guerra all'Iraq che non poteva esser tirato dentro l'11 settembre, poiché estraneo alla mentalità di al-Qa'ida (cfr. pp. 41-54).Tuttavia, questa volta, la forza militare e nucleare iraniana è reale e «non può essere sottovalutata» (p. 82). Infatti «il potenziale militare dell'Iran è notevole. Teheran è in possesso di più di 500 missili
balistici Sheab-1 e Sheab-2 con una gittata da 300 a 500 km; e di un numero indeterminato di Sheab-3 che hanno una portata di 3000 km ed una carica esplosiva di 700 kg e sono in grado di raggiungere le città e le basi israeliane» (pp. 152-153). «Manca la certezza della vittoria» (p. 83) ed è solo per questo che non è ancora stata ingaggiata guerra. Inoltre, con Ahmadinajead al potere in Iran, la vittoria di Hamas in Palestina, gli Hezbollah in Libano diretti dalla Siria, si corre verso uno scontro frontale con Israele, alimentato da sionisti, neoconservatori americani e per contrapposizione da al-Qa'ida e Bin Laden. Penso -data anche l'attuale situazione creatasi in Siria, Libano e Turchia- che sia certa la guerra, resta incerto solo chi attaccherà per primo: il blocco arabo anti-israeliano oppure il sionismo-americanista? Purtroppo, uno dei due lo farà sicuramente, scatenando la reazione dell'altro, che porterà alla catastrofe nucleare mondiale. Imposimato ci ricorda che «l'Italia, secondo le dichiarazioni del generale James Jones al "New York Times", sarebbe immediatamente coinvolta nel conflitto nucleare più di altri Paesi. Essa, infatti, ospita da Aviano e Ghedi, per conto della NATO, 90 armi atomiche di cui 50 in dotazione di aerei statunitensi e 40 di aerei italiani… L'Italia rappresenta, dunque, un obiettivo nucleare dei nemici dell'America» (p. 135). Il magistrato conclude così il suo libro: «È prevedibile una serie di reazioni a catena dopo l'attacco all'Iran… Sarebbe l'apocalisse più volte evocata da Einstein» (p. 151). L'alawismo siriano e il wahabismo Ritornando alla Siria, essa non è anti-sunnita, come scrive comunemente la stampa politicamente corretta, ma anti-wahabita. In Siria i sunniti godono di piena libertà religiosa e il presidente siriano Bashar al-Assad partecipa regolarmente alle celebrazioni sunnite. Invece in Arabia Saudita è proibito insegnare la teologia sunnita tradizionale. Bashar al-Assad è nusayrita o alawita. Muhammad ibnNusayr, il fondatore del nusayrismo o alawismo, nell'872 si separò dallo sciismo e assieme ai suoi seguaci emigrò in Siria dall'Iraq. I nusayriti o alawiti sono una corrente dello sciismo di circa 1 milione di persone che vivono in Siria e nelle valli del Libano. «È grottesco che la pretesa di difendere i sunniti siriani venga proprio dall'Arabia Saudita, un regime diretto da una setta ignorante e fanatica, che ha perseguitato e assassinato i sunniti per oltre 200 anni» (32). I nusayriti si distinguono per la loro dottrina del giusto mezzo tra lo zelo esagerato («gulùw») e la negligenza («gafà») nell'osservanza dell'islam. Essi sono stati accusati dai movimenti estremisti di miscredenza («kufr») peggiore di quella degli ebrei e dei cristiani. Gli alawiti trasferitisi in Siria adottarono ivi degli elementi cristiani, si aprirono ad una certa accettazione della SS. Trinità (ma'nà, ism, bàb), festeggiano l'Epifania e la Pentecoste, hanno numerose cerimonie simili alla Messa cattolica (cfr. Mircea Eliade, Enciclopedia delle Religioni: l'Islam, Milano, Jaca Book, pp. 17-18). Il movimento wahabita-salafita predica l'odio e la guerra civile inevitabile tra i rami dell'islam, favorendo la politica anglo/americana e israeliana del divide et impera. Il wahabismo-salafita ha vari bracci armati, i 'Fratelli Musulmani' (33), i qaedisti, i talebani, che lanciano una guerra santa non contro l'occidente, ma contro i regimi nazionalisti arabi sia sciiti che sunniti. Si noti che il wahabismo è stato fondato da Muhammad ibn 'Abd al-Wahhab († 1792), ritenuto comunemente un «marrano», ossia un cripto-ebreo, che ha fatto finta esteriormente e pubblicamente di essere musulmano mentre in privato era rimasto ebreo, così come pure il primo re saudita 'Abdal-'Azizibn Sa'ud (1902-1969) (34). Non deve perciò stupire più di tanto l'alleanza tra il wahabismo e il sionismo. Infatti il wahabismo è religiosamente zelota, fanatico, farisaico e marrano; politicamente collaborazionista dell'occidente e del sionismo; socialmente liberista (35), economicamente calvinista (36) e affamatore dei poveri. Quindi
esso è capace di fornire all'America e a Israele una massa di sudditi consenzienti, sottomessi e quiescenti nella lotta contro il nazionalismo sociale arabo moderatamente islamico. Certamente all'interno dell'Arabia Saudita la monarchia Saud ha creato un'enorme povertà di massa, ma ha saputo dirottare verso l'esterno (nazionalismo arabo) il malcontento dei suoi sudditi, totalmente sottomessi ai Saud, e senza saperlo agli USA e a Israele (37). Stéphane Lacroix ha ben capito e descritto il ruolo del wahabismo saudita: «esso 1°) conferisce una forte identità ad una massa di individui alienati e impoveriti; 2°) una visione del mondo certa e assoluta, sino al manicheismo, diviso in bene e male assoluti; 3°) fornisce un surrogato di protesta contro l'ordine stabilito in Arabia Saudita, trasferendolo altrove; 4°) garantisce un rifugio spirituale e ideologico ad una massa altrimenti incerta e diseredata; 5°) promette una vita migliore anche su questa terra redenta dall'islam wahabita e jiaidista» (LesIslamistes Saoudiens, Parigi, PUF, 2010; Id. Islam in Revolution, New York, Syracuse University Press, 1995, p. 49). Il salafismo-wahabita predicando la necessità della jahd tra i diversi rami dell'islam ritiene come al-Qa'ida e Osama bin Laden (38) che ogni vero musulmano (wahabita) ha il dovere di uccidere gli infedeli, compresi i sunniti e gli sciiti. Inoltre dopo la cacciata dei sovietici dall'Afghanistan i media americani hanno tramutato i qaidisti da ex eroi anticomunisti in acerrimi nemici dell'occidente durante l'invasione americana dell'Afghanistan (2011), riempiendo il vuoto lasciato dal crollo dell'URSS e fornendo una giustificazione lungo gli anni Novanta al riarmo degli USA e all'occupazione di enormi aree strategiche per ripresentarli poi nel 2011 come i neo-patrioti contro il dittatore siriano. Di fatto molte formazioni terroristiche, violente, ramificate e ben organizzate sono marionette di alcune superpotenze che tramite i loro servizi segreti (CIA, MI6, Mossad) le riforniscono di armi, le addestrano e le supportano (39). Giovanni Filoramo spiega che il wahabismo ha suscitato una certa diffidenza i sunniti, dato il suo zelo eccessivo, esaltato, che risultava intollerabile alla mentalità sunnita tradizionale. Esso ha potuto sussistere solo grazie all'alleanza, stipulata nel 1744, con lo sceicco IbnSa'ud della casa reale Saudita e alle sue ingenti ricchezze. La polemica dei sunniti contro il wahabismo si fonda soprattutto sull'atteggiamento manicheo e farisaico dei wahabiti, i quali disprezzano tutti gli altri islamici (sunniti e sciiti) come non veri musulmani e ritengono solo se stessi l'unico vero islam (come il fariseo che sale al Tempio a pregare Dio disprezzando in cuor suo il pubblicano e tutti gli altri uomini). I teologi sunniti e sciiti ritengono che il wahabismo sia un'eresia scismatica islamica, fondata su un settarismo intemperante e fanatico, pronto a scomunicare e uccidere tutti quelli che non condividono le loro idee, in quanto ritenuti infedeli e politeisti e quindi degni di morte (cfr. G. Filoramo, Islam. Storia, dottrina, tradizioni, Bari, Laterza, 2005, pp. 260-261). Mircea Eliade sottolinea il carattere di alleanza tra wahabismo e sauditi fondato sulla divisione dei compiti: la dottrina ai wahabiti e la politica ai Saud per cui ne è nata una setta con due facce: l'una ferocemente integralista in religione (wahabismo) e l'altra pragmatica e pronta al compromesso politico (Saud); cfr. Enciclopedie delle Religioni: l'Islam, Milano, Jaca Book, pp. 684-685. Importanza teologico/escatologica della Siria nell'islam Paolo Sensini (Divide et impera, cit., p. 265) scrive che per i salafiti e i wahabiti la Siria come è oggi non esiste: essa sarebbe solo un'espressione geografica ed anzi una creazione degli infedeli, come l'Iraq. Infatti secondo il salafismo il nazionalismo, anche arabo e musulmano, che si consacra alla prosperità del proprio Paese, commette un peccato di «associazionismo» (in arabo «shirk»), ossia associa all'unico vero Dio, Allah, una miriade di false divinità o idoli, come la Nazione, la
Patria, il Popolo. I nazionalisti arabi violano il dogma religioso dell'Unicità divina (in arabo «tawhid») e quindi meritano la morte. Per i salafiti l'unica azione lecita pro Patria è la jihad o guerra santa per conquistare all'islam il medio e vicino oriente e poi il mondo intero. Il panarabismo nazionalista musulmano moderato laico e sociale è, sempre per il salafismo, un sacrilegio in quanto distrugge il dogma della madre patria musulmana in tutto l'orbe (in arabo «umma») (40). Inoltre la Siria per l'escatologia jiadista islamica rappresenta l'ultimo campo di battaglia, ossia la terra della resurrezione e del giorno del giudizio divino. Damasco, storicamente, ha un valore enorme per l'islam jihadista poiché sino al 750 fu la capitale del primo califfato, quello omayyade (41), che secondo il salafismo deve essere esteso a tutto il mondo, mediante la «guerra santa», ed oltrepassare le singole Nazioni ed anche l'Arabia intera (42). In questa divisione dell'impero ottomano a macchia di leopardo sono stati creati ad arte alcuni piccoli Stati opulenti (Arabia Saudita, Emirati, Kuwait), che concentrano in sé la quasi totalità della ricchezza disponibile, mentre un'enorme massa di diseredati vive nella più completa indigenza per mantenere l'intera regione araba in uno stato di continua agitazione e perpetua strisciante guerra clandestina che la indebolisca e la renda facile preda degli interessi israeliani e statunitensi (P. Sensini, Divide et impera, cit., p. 39). La Siria è considerata comunemente il cuore del nazionalismo arabo o «panarabismo», fondato sull'islam non religiosamente integralista, ma politicamente antisionista ed antiamericanista, analogamente ai regimi autoritari come l'Iraq e diametralmente contrapposta al wahabismo saudita. Perciò la «primavera araba» è stata un colpo di Stato dell'islamismo wahabita e al-Qa'idista estremista contro i popoli e le Nazioni dei Paesi arabi non soggetti a Israele e agli USA (43). Come si vede il salafismoqaidista e jiaidista è radicalmente anti-nazionalista ed anti-panarabo. Di qui la guerra dei musulmani radicali contro la Siria, la Libia, il Libano, l'Iraq e la Palestina e l'estrema ferocia con cui si combatte da parte salafita il regime di Bashar al-Assad, con il sostegno del calvinismo massonico americanista e del fariseismo zelota sionista (44). Nell'ottica salafita il governante non è l'autorità in quanto legittimamente eletto, ma esso è l'autorità legittima in quanto «giusto» o santo, ossia integralmente salafita. Se il governante non è «giusto» o santo, cioè colui che governa secondo gli stretti dettami della legge divina, non è l'autorità legittima (45). Non deve, quindi, destare meraviglia se il nemico principale della Siria è l'Arabia Saudita (assieme allo Yemen, all'Oman e al Qatar (46)), mentre suoi alleati sono il Libano, la Palestina, l'Iraq e l'Iran. Anzi proprio per disintegrare l'asse dell'islamismo religiosamente moderato, ma politicamente nazionalista, che impediva la creazione, nel secondo dopoguerra mondiale, del «Nuovo Medio Oriente» (47) da inglobarsi nel «Nuovo Ordine Mondiale», gli USA e Israele si son serviti del wahabismo saudita e della jihad afgano/qaidista per abbattere -con una «guerra santa»- la Libia, la Tunisia e poi la Siria, la quale resiste ancora, anche in quanto appoggiata da Libano (Hezbollah), Palestina (Hamas), Iran, e specialmente Russia e Cina. Vedremo più avanti perché. Inoltre la Siria è il tallone d'Achille o il punto debole dell'alleanza che va dal Libano all'Iran. Quindi si cerca di abbatterla per poi colpire il Libano e l'Iran. Infine il piano destabilizzante riguardo il medio oriente non prevede, come scrive il generale Fabio Mini, «una Siria senza al-Assad, ma nessuna Siria» (48). Paolo Sensini, nel suo interessantissimo libro 1°) si chiede come mai l'antagonismo occidente/islam radicale è riuscito nel 2011 a far fronte comune per difendere la democrazia contro i governi autoritari e nazionalisti del mondo arabo 2°) osserva che l'islamismo wahabita radicale filo-occidentale è una sorta di ossimoro perché rappresenta un
fronte comune assai eterogeneo in quanto comprende l'interventismo mondiale statunitense, il neo-colonialismo franco/britannico, il fariseismo settario e 'petrol/dollifero' del wahabismo; 3°) si domanda come mai gli emirati si sentono minacciati dall'Iran e non da Israele, che pur essendosi auto-definito come «l'unica democrazia del vicino oriente» si è alleato con l'Arabia Saudita e gli emirati arabi, che sono monarchie dispotiche e tiranniche 4°) si chiede infine come mai i cristiani viventi in Siria si sentono minacciati dall'esportazione della democrazia americana ed europea tramite i sauditi mentre si sentono protetti dal dittatore siriano al-Assad? (Divide et impera, cit., p. 37-38). Sensini abbozza una prima e breve risposta: non si tratta di esportare la democrazia, ma di impadronirsi del petrolio e del medio oriente per costruire il Mondialismo globalizzante. Per far ciò occorre mascherare un fine così materiale (il petrolio e la terra) dietro un ideale umanitario, ossia l'esportazione della democrazia nel mondo arabo autoritario nazional/sociale moderatamente islamico, che rappresenta il nuovo impero del male dopo il crollo dell'URSS e che è esportatore per sua natura di uno «scontro di civiltà» tra islamo/fascismo e giudeo-«cristianesimo/calvinista» in cui la lotta contro l'imperialismo sionista e americano non ha nulla a che vedere. Bernard Lewis lancia lo «scontro di civiltà» nel 1976 Di questo «scontro di civiltà» ne ha parlato per primo lo storico dell'università di Princeton, nonché membro del 'Bilderberg club' ed ex ufficiale dei servizi segreti britannici, Bernard Lewis (The Return of Islam, in "Commentary", gennaio 1976, pp. 39-49) che ha ripreso il tema di quest'articolo nel 1979 durante la Conferenza del 'Bilderberg club' ed ha lanciato il piano di una strategia anglo/americana in alleanza col movimento wahabita e coi Fratelli Musulmani (49) per promuovere una balcanizzazione o «libanizzazione» dell'intero mondo arabo, basandosi sulle rivalità etniche e religiose, intrinseche alla sua riedificazione, scientemente volute dall'imperialismo ottocentesco dell'Inghilterra e della Francia dopo il crollo dell'impero ottomano, ed analogamente - nel Novecento/Duemila - dal neo imperialismo degli USA e d'Israele, che stanno ridisegnando il nuovo medio oriente in maniera ancor più frammentata ed esplosiva al suo interno in vista della costruzione del «Nuovo Ordine Mondiale». Successivamente Bernard Lewis, che era divenuto -con l'amministrazione Reagan, Bush padre e figlio- un pezzo grosso del Dipartimento della Difesa americano, scrisse nel 1992 un memoriale per la rivista "Foreign Affairs" del 'CFR' titolato Rethinking the Middle East (Ripensare il medio oriente). In quest'articolo Lewis prospettava una politica nuova verso il medio e vicino oriente: finita la guerra fredda con l'URSS, egli individuava nel fondamentalismo qaidista e wahabita, nemico del nazionalismo arabo e dell'islam moderato e laico, un elemento destabilizzatore e frantumatore dell'unità geopolitica del medio oriente per poterlo «libanizzare» o balcanizzare, ossia governarlo grazie alla divisione tra le tribù e le etnie che lo compongono messe in guerra permanente l'una contro l'altra. L'analista politico e storico statunitense Webster Tarpley scrive che «dal 1945 gli USA e i satelliti della NATO si sono sistematicamente contrapposti all'alternativa ragionevole del nazionalismo laico e sociale negli Stati arabi moderatamente islamici (chiamato dai neocon «islamo/fascismo»), mentre hanno favorito immancabilmente le alternative fondamentaliste, preferendo quelle più retrive e farisaiche per disgregare il medio oriente. Non si tratta di errore, ma di una ben precisa scelta politica imperialista» (50), che seminando la divisione nel mondo arabo lo governa secondo l'adagio degli antichi Romani: «dìvide et ìmpera». Paolo Sensini commenta che appena gli USA hanno cominciato ad esercitare la loro egemonia sul medio oriente, i 'Fratelli Musulmani' erano già presenti quali umili servitori degli USA per seminare l'odio tra sunniti e sciiti, sposando
l'ideologia settaria wahabita e salafita (51). Il medio oriente è strategicamente di capitale importanza per il mondialismo e la globalizzazione. Infatti esso è confinante con l'URSS, contiene i ¾ del petrolio mondiale, ed è già in conflitto costante con uno degli Stati più potenti del mondo, Israele. Si capisce che entrare pienamente nel medio oriente equivale a iniziare a mettere i piedi nella Russia, a bloccare l'avanzata economico/finanziaria cinese e a governare quasi tutto il mondo. È per questo che la Russia di Putin e la Cina sono intervenute con le loro flotte per impedire l'attacco dell'America e d'Israele contro Siria e Libano. Il delirio d'onnipotenza ebraico foriero di catastrofi Ma sino a quando gli USA riusciranno a temperare gli ardori del fanatismo zelota di Israele e Netanyahu? Solo Dio lo sa! Infatti il giudaismo è vittima di un delirio di onnipotenza, poiché si ritiene ancora l'eletto, il superiore e il prediletto tra tutti i popoli. Martin Buber scrive: «l'umanità ha bisogno del giudaismo, perché esso è l'incarnazione delle più alte aspirazioni dello spirito» (52), ed Emmanuel Lévinas continua: «L'ebraismo è necessario all'avvenire dell'umanità (…), esso è come una scala vivente che raggiunge il cielo» (53). Pierre Lévy spiega che «gli ebrei possono essere di destra o di sinistra, liberali, marxisti o ortodossi, credenti o atei, ma non possono non essere partigiani dell'Impero globale d'Israele» (54). Questa è l'unità del giudaismo rabbinico, apparentemente differenziato ma sostanzialmente uniforme; essa è una «utopia di cui l'ebraismo vive» (55) e tale scopo sta per essere raggiunto con il mondialismo, la globalizzazione e il «Nuovo Ordine Mondiale», che hanno avuto il loro exploit con le due guerre del Golfo persico (1991, 2003), ma che hanno segnato anche l'inizio della decadenza degli USA e probabilmente - nell'immediato - anche di quella d'Israele, che si appresta ad affrontare militarmente Iran, Libano, Siria e Palestina. Anche perché la cruda verità, come scrive il generale Fabio Mini, è che gli americani giocano con l'immagine falsata di un'autorità che non hanno su Israele: «quando dicono di concedere un sostegno politico a Israele in realtà si tratta di sottomissione alla potente lobby ebraica» (Mediterraneo in guerra, cit., p. 174 (56)). Hungtinton rilancia lo «scontro di civiltà» nel 1993 Quest'idea dello «scontro di civiltà» è stata ripresa recentemente da Samuel Hungtinton prima (nell'estate del 1993) in un articolo su "Foreign Affairs", la rivista del 'CFR', intitolato The Clash of Civilizations? e poi elaborato nel 1996 in un libro noto a tutti: Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, tr. it., Milano, Garzanti, 1997. Lewis riteneva di dover mettere l'estremismo wahabita e qaidista musulmano contro l'URSS per impedire ad essa di esercitare un forte influsso nell'area del mondo arabo, visto che gli estremisti musulmani avrebbero diffidato dell'URSS atea più ancora che degli USA solamente agnostici, i quali avrebbero potuto godere delle lotte tra islam radicale e URSS e, come si sa, «tra i due litiganti il terzo gode». La dottrina Lewis (57) (1976/79, 1992) ha fatto scuola tra i servizi segreti americani, britannici, i neocon (58), l'amministrazione Reagan (1980) e poi è stata rivista da Huntington (1993/1996) con l'amministrazione Bush (1990-2002) e non ha cessato di farsi sentire in pratica (anche se non sbandierata in teoria) con l'amministrazione Barak Obama, che nel vicino e medio oriente prosegue praticamente la politica di Reagan e Bush, mentre se ne distanzia solo a parole. Trozkismo e neoconsevatorismo Paolo Sensini scandaglia la comune radice trozkista (59) dei neoconservatori o «sion-con» americani (quasi tutti di origine ebraica (60)). L'idea di Trotskij della rivoluzione comunista permanente e universale è stata mutuata dai neocon ed applicata al vicino e medio oriente come esportazione della democrazia americana nel mondo intero quale fattore di lotta permanente e destabilizzatrice delle Nazioni che si vogliono dominare dopo averle sprofondate nel caos
(Divide et impera, cit., p. 48). Quest'idea ha influenzato e quasi determinato la decisone di Bush padre e figlio d'invadere l'Afghanistan (7 ottobre 2001) e l'Iraq (20 marzo 2003) e puntare poi sulla Libia, Tunisia, Egitto per giungere alla Siria, all'Iran, alla Russia e ridimensionare l'emergere del potere economico cinese. I neocon vogliono fondare una politica estera di tipo trozkista, che esporti la rivoluzione e il caos permanente e una politica interna agli USA di tipo psico-poliziesco «staliniano» condito dalla concezione affaristica del liberismo selvaggio di Milton Friedmann (61), che soffochi le persone con uno stato di «psico-polizia» per prevenire un nuovo 11 settembre e per gettare nella povertà la piccola e media classe con i mutui senza condizioni, che portino all'indebitamento i cittadini ai quali le banche toglieranno ed esproprieranno i mezzi di sussistenza privata. La trappola dell'Afghanistan: «il cimitero degli eserciti» Zbnigniew Brezinski, consigliere per la sicurezza degli USA, ha ammesso in un'intervista (V. Jauvert, Lesrévelations d'un ancien conseiller de Carter: «Oui, la CIA est entrée en Afghanistan avant le Russes», in «Le Nouvel Observateur», n. 1732, 15-21 gennaio 1998, p. 76) che il presidente americano Jimmy Carter il 3 luglio 1979 firmò la prima direttiva per fornire appoggio militare, tramite la CIA, ai mujahidin afgani oppositori del regime filosovietico di Kabul. Questo passo, racconta Brezinski, spinse fortemente l'URSS ad invadere l'Afghanistan (considerato dagli strateghi «il cimitero degli eserciti nemici») il 24 dicembre 1979 e a cadere nella trappola di una guerra durata circa 10 anni da cui l'URSS uscì nel 1989 con le reni spezzate e che segnò il declino dell'impero sovietico. Il crollo dell'URSS valeva l'appoggio ai talebani. Si capisce perché la Russia di Putin ora sostenga la Siria con tanta fermezza e quale sia l'importanza dell'esito dell'aggressione alla Siria: il 'Nuovo Ordine Mondiale' sotto l'egida di Israele, degli USA e del fondamentalismo wahabita. La questione della Siria ci riguarda non solo come uomini sociali o politici, ma anche e soprattutto come cattolici romani, che nulla hanno a che spartire con i «cristianisti» americano/calvinisti o «teo/sion/conservatori». Circa agli inizi del 1992 l'America iniziò a formulare una nuova fase della sua politica estera, che è arrivata al suo pieno svolgimento dopo l'11 settembre del 2001. Infatti nel 1992 Dick Cheney (il segretario alla Difesa degli USA) diede incarico a Paul Wolfowitz (il numero tre del Pentagono) di redigere il Defense Planning Guidance (Guida al piano di difesa), chiamato anche «piano per governare il mondo» (Plan for Global Dominance). Questo documento del 1993, che in seguito è stato comunemente chiamato «la Dottrina Wolfowitz» (riprendeva il pensiero di Bernard Lewis, 1976 e Samuel Huntington, 1993), è comparso quasi subito dopo il crollo dell'URSS a causa della disfatta in Afghanistan; esso fondeva inseparabilmente e sempre più strettamente gli interessi americani e quelli sionisti servendosi del wahabismo per evitare che sorgesse un nuovo rivale a rimpiazzare l'URSS in medio oriente. Gli USA erano oramai convinti di essere soli al vertice del potere mondiale: militarmente, economicamente, tecnologicamente e «culturalmente». Perciò bisognava cavalcare l'onda della lotta culturale tra occidente giudaico/calvinista contro il mondo arabo, servendosi dell'integralismo wahabita-salafita contro i regimi nazionalistici («islamo/fascismo») e autoritari del vicino e medio oriente. Infatti Hungtinton come Lewis pensava che le lotte del XXI secolo non sarebbero state determinate soprattutto da interessi economici o sociali, ma soprattutto «culturali», ammesso che si possa parlare di una «cultura» americana e non piuttosto di una «tecnica» o «pratica». La domanda di Lewis, Hungtinton, Wolfowitz era la seguente: come dividere il mondo, e specialmente quello arabo, dopo il crollo dell'URSS per governarlo e dominarlo totalmente? La risposta consisteva nell'asserzione di dover destrutturare le sovranità
nazionali, anche in medio oriente (la vecchia Europa le aveva già perse nel 1945(62)) e ricomporre il tutto in un mosaico di etnie, religioni e staterelli in perpetuo conflitto tra loro per esercitare la leadership americana, come scrisse senza troppa ipocrisia il "The San Francisco Chronicle" del 26 settembre 2001. In effetti, commenta Paolo Sensini (cit., p. 65), ovunque si trova al- Qa 'ida, seguono a ruota l'esercito statunitense e le grandi imprese economico/finanziarie. In breve gli USA volevano promuovere un «Nuovo Ordine Mondiale» dal caos del medio oriente, secondo il motto della massoneria «ab caohordo» (63). Tuttavia l'idealistico e «culturale» (o meglio «prammatico») scontro di civiltà fungeva da paravento per nascondere interessi molto più prosaici, ossia il dominio della terra che contiene i grandi giacimenti petroliferi ed i gas naturali mediante una barbarica dissociazione delle società civili. don Curzio Nitoglia Note 1) "La fonte ed il fine delle due guerre mondiali"; "Tre occasioni create dagli usa per entrare in guerra". 2) Cfr. S. Romano, Anatomia del terrore, Milano, Rizzoli, CS, 2004. 3) Cfr. P. Serra, Americanismo senza America, Bari, Dedalo, 2002; O. Foppiani, La nascita dell'imperialismo americano, Roma, Settimo Sigillo, 1998; A. Jennings, La creazione dell'America, Torino, Einaudi, 2003; M. Molinari, George W. Bush e la missione americana, Bari, Laterza, 2004G. Alivi, Il secolo americano, Milano, Adelphi, 1996 G. Batault, Judaisme et Puritanisme, rit., Waterloo, Javelot, 1994; A. Donno, Gli Stati Uniti, il sionismo e Israele, Roma, Bonacci, 1932; . 4) Cfr. M. Blondet, Stare con Putin, Milano-Viterbo, EFFEDIEFFE, 2004. In Russia vi sono jihaiddisti ceceni che osteggiano fortemente Putin e che sono entrati in Siria per combattere al-Assad; cfr. M. Adomanis Chechen Volunteers in Syria, in "Forbes", 24 luglio 2012. Il venerdì 12 ottobre 2012 lo sceicco al-Qaradawi, che nel febbraio 2011 aveva lanciato una fatwa condannando a morte Gheddafi, ha gridato dallo schermo della TV qatarinaAljazeera: "La Russia è il nemico numero uno dell'islam" ed ha incitato i musulmani alla lotta contro russi, cinesi e iraniani perché sostengono la Siria. (Cfr. "Al Madanar", 13 ottobre 2012). 5) In questo articolo mi baso sull'ottimo libro di Paolo Sensini, Divide et impera. Strategie del caos per il XXI secolo nel vicino e Medio Oriente, Milano, Mimesis, 2013 ([email protected]) e lo integro qua e là, invitando il lettore a studiare attentamente quest'opera, la quale getta una luce abbastanza forte sulle vicende attuali nel medio oriente, che potrebbero portare a un 'Nuovo Ordine Mondiale' sotto l'egida di Israele e USA con il wahabismo saudita quale vassallo. 6) Cfr. Madawi al-Rasheed, Storia dell'Arabia Saudita, Milano, Bompiani, 2004. 7) S. Ritter, Obiettivo Iran: perché la Casa Bianca vuole una nuova guerra in Medio Oriente, Roma, Fazi, 2007. 8) G. Chiesa, Zero2. Le pistole fumanti che dimostrano che la versione ufficiale sull'11/9 è un falso, Milano, Piemme, 2011; M. Blondet, 11 settembre 2001: colpo di Stato in USA, Milano-Viterbo, Effedieffe, 2002. 9) Si calcolano circa 4 milioni e mezzo di morti afghani nella guerra mossa dagli USA all'Afghanistan il 7 ottobre 2011. Cfr. G. Polya, 4, 5 Millions Dead in Afghan Genocide, in "Afghan Holocaust", 2 gennaio 2010. 10) Si contano circa 3 milioni e mezzo di morti iracheni nell'invasioni americane dell'Iraq del 17 gennaio 1991 e 20 marzo 2003. Cfr. S. Ross, Us-Uk Genocide Against Iraq 1990-2012 Killed 3, 3 Millions, in "Uruknet.info", 4 dicembre 2012. 11) P. Sensini, Libia 2011, Milano, Jaca Book, 2011. 12) Cfr. J. Petras, USA: padroni o servi del sionismo?, Francoforte sul Meno, Zambon, 2007. 13) Quest'articolo è stato tradotto in inglese da Israel Shahak con il titolo The Zionist Plan for the Middle East, Belmont, Association of Arab-American UniversityGraduates, 1982. 14) Ibidem, p. 78. 15) P. Sella, Prima d'Israele, Milano, Edizioni Uomo Libero, 2006. 16) E. Goldstein, Gli accordi di pace dopo la Grande guerra, Bologna, Il Mulino, 2005; Z. Brzezinski, La
Grande Scacchiera, Milano, Longanesi, 1998. 17) J. Hamilton, Il Dio in armi. La Gran Bretagna e la nascita dello Stato d'Israele, Milano, Corbaccio, 2006. 18) S. Thion, Sul terrorismo israeliano, Genova, Graphos, 2004; E. Nolte, Il terzo radicalismo, islam e occidente nel XXI secolo, Roma, Liberal Edizioni, 2012; M. Mlecin, Perché Stalin creò Israele, Roma, Teti, 2010; A. Mariantoni, Gli occhi bendati sul Golfo, Milano, Jaca Book, 1991; C. Nitoglia, Sionismo e Fondamentalismo, Napoli, Controcorrente, 2000. 19) M. Galletti, Storia della Siria contemporanea, Milano, Bompiani, 2006; F. Mini, Mediterraneo in guerra, Torino, Einaudi, 2012. 20) Si pensi a Saddam Hussein, Yasser Arafat, Muhammad Gheddafi, Ben Alì ed in parte Hosni Mubarak. 21) Durante la guerra alla Siria il giornalista John Pilger ha rispolverato questo documento nel quotidiano francese "Le GrandSoir", 9 settembre 2012, in un articolo intitolato La manièrelibérale de diriger le monde. 22) Madawi al-Rasheed, Storia dell'Arabia Saudita, Milano, Bompiani, 2004. 23) G. Corm, Il mondo arabo in conflitto, Milano, Jaca Book, 2005; M. Mamdani, Musulmani buoni e cattivi, La guerra fredda e le origini del terrorismo, Bari, Laterza, 2005. 24) G. Corm, Il Vicino Oriente. Un montaggio irrisolvibile, Milano, Jaca Book, 2004. 25) Cfr. S. K. Samir, Cento domande sull'islam, Genova, Marietti, 2002. 26) La Salafiyyah è un movimento moderno islamico nato nella metà dell'Ottocento, come il wahabismo, che si rifà agli "antenati" in arabo "salaf". Il capo dell'ideologia salafita è Jamal al-Din al-Afghani, che nel 1878 fu ammesso nella loggia massonica del Cairo di rito scozzese e nel 1883 fondò la salafiyyah, essa ha avuto l'appoggio della Gran Bretagna e pian piano ha radicalizzato, specialmente nel Novecento, in maniera farisaica e calvinista la sua ideologia (che inizialmente era modernizzante) sotto l'influsso della setta wahabita dei Saud. L'erede principale di queste due scuole di pensiero sono i Fratelli Musulmani nati nel 1928 sotto la direzione di Hasan al-Banna. Oggi i 'Fratelli Musulmani' sono il braccio politico e armato del movimento wahabita e salafita (cfr. M. Campanini, Islam e politica, Bologna, Il Mulino, 2003). I salafiti sono stati resi giuridicamente pubblici ed ufficiali a partire dalla fondazione del Regno dell'Arabia Saudita nel 1924-1932, mentre teologicamente sono diffusi anche al di fuori della Penisola arabica (cfr. S. Amghar, Le Salafisme d'aujourd'hui. Mouvementssectaires en Occident, Parigi, Michalon, 2011; B. Rougier, Qu'est-ce que le Salafisme?, Parigi, PUF, 2008). Quando nel 1924 ʿAbd Al-ʿAzīzIbnSaʿŪd prese il potere in Arabia, e lo consolidò nel 1932, il nuovo Stato adottò il wahabismo come dottrina ufficiale e trasse la sua legittimità dal possesso di due fra i tre grandi luoghi santi dell'Islam, la Mecca e Medina. Ma la sua influenza non sarebbe stata così importante se il suo territorio non avesse custodito, insieme alla Mecca e alla Medina, una straordinaria ricchezza petrolifera. È questa la ragione per cui il Regno della Famiglia Saud, costituzionalmente legittimato dal wahabismo nella sua missione spirituale tipicamente "farisaica" negli affari interni e prodigiosamente arricchito dal petrolio, giuoca un ruolo molto importante nella politica Medio Orientale, alleato - laicisticamente - e modernisticamente, con gli USA negli affari esteri. I wahabiti sauditi sono religiosamente moralisti/ipocriti e politicamente sono alleati degli USA, come i farisei dei tempi di Gesù erano alleati di Roma. Questa mentalità farisaica all'interno e libertaria all'esterno propria del wahabismo lo accomuna all'americanismo e al teoconservatorismo, che si sono costituiti su tre principali realtà: il giudaismo post-biblico, il calvinismo supercapitalistico ed il massonismo imperialistico mondialista. La monarchia saudita si è sempre sentita legittimata a proporre un regime di tipo tradizionale, teocratico e fondamentalista quanto ad assetti politici interni e a costumi (rigida separazione dei sessi). Tuttavia la Famiglia reale saudita, in politica estera, ha
mantenuto un costante orientamento filo-occidentale. Per questo è tacciata di rigorismo morale 'farisaico' interno e di doppiezza politica 'machiavellica'esterna: si rigetta all'interno del Paese farisaicamente ogni costume non-musulmano, ma si è alleati in politica estera con l'occidente americanista teoconservatore, il quale è il maggior esportatore dei costumi corrotti, che il wahabismo dice di voler combattere all'interno, mentre in realtà si serve e vive di essi, anche economicamente e militarmente, in politica estera. L'influenza del wahabismo è molto forte sui movimenti militanti contemporanei arabi e islamici, che si propongono di disegnare nuovi equilibri geo-strategici planetari in funzione dell'eccellenza del modello islamico nel medio oriente, ma con l'aiuto degli USA. Ecco come si spiega il ruolo svolto dall'Arabia Saudita nell'invasione - sotto l'egida di USA, Israele ed Ue -della Tunisia, Libia, Egitto e Siria. Inoltre il pensiero wahabita riesce ad affrontare positivamente lo spinoso problema del rapporto fra modernità occidentale ossia americanista e islam: rifiuto puramente teorico ed 'in casa propria', ma cooperazione pratica e reale nella 'politica estera'. Il salafismo jihadista qaidista, di carattere rivoluzionario, propugna la guerra santa armata e non ascetica-personale. La Siria è il "banco di prova" a partire dal quale il futuro prossimo del globo può prendere una direzione oppure un'altra. Infatti in Siria si fronteggiano gli USA ed Israele, che si servono come di bassa manovalanza dei salafiti e wahabiti qaidistitrans- nazionalisti o mondialisti - da una parte - contro l'Iran, la Russia di Putin e la Cina dall'altra, che si ritrovano a fianco di un Regime autoritario locale nazionalista e baathista. 27) A. Vanzan, Gli sciiti, Bologna, Il Mulino, 2008. 28) Cfr. C. Nitoglia, Per padre il diavolo. Introduzione al problema ebraico, Milano Cusanino, Edizioni Barbarossa, 2002, cap. XXIV, "Il sionismo, un magnifico sogno o un terribile scacco?", pp. 313-346. 29) Cfr. T. Bonazzi, Il sacro esperimento. Teologia e politica nell'America puritana, Bologna, Il Mulino, 1970; T. Iurlano, Sion in America, Firenze, Le Lettere, 2004; A. Hertzeberg, Gli ebrei in America, Milano, Bompiani, 1993; S. Bercovitch, America puritana, Roma, Editori Riuniti, 1992; G. Giussani, Teologia protestante americana, Genova-Milano, Marietti-1820, 2003 . 30) P. Sensini, Divide et impera, Milano, Mimesis, 2013, p. 30. 31) Cfr. F. Imposimato, Terrorismo internazionale, Roma, Koinè, 2002; P. Di Pasquale, Hezbollah, Roma, Koinè, 2003. 32) Cfr. Mohamed Omar, I sunniti sono oppressi in Arabia Saudita, non in Siria, in "Eurasia", 13 agosto 2012. 33) M. Campanini, I Fratelli Musulmani nel mondo contemporaneo, Torino, Utet, 2010. 34) Cfr. W. Madsen, The Donme, in "Strategic Culture Foundation", 26 ottobre 2011; M. D. Baer, The Donme: Jewish Converts, Stanford, Stanford University Press, 2010. 35) Cfr. L. Binder, Islamic Liberalism, Chicago, University of Chicago Press, 1988. 36) Cfr. F. Bugart, L'Islamisme en face, Parigi, La Découverte, 2007. 37) Cfr. P. Ménoret, Sull'orlo del vulcano. Il caso Arabia Saudita, Milano, Feltrinelli, 2004. 38) Cfr. M. Blondet, Osama bin Laden, Milano-Viterbo, EFFEDIEFFE, 2003. 39) A. G. Marshall, The Imperial Anatomy of al-Qaida, in "Global Research", 5 settembre 2010. 40) Cfr. BatharKimyongur, Le terrorisme anti-syrien et sesconnexionsinternationales, in «Internationalnews», 16 aprile 2012; Id., Syriana, la conquete continue, Bruxelles, CoulerLivres et Investig'action, 2011. 41) Cfr. B. E. SelwanKhoury, Bilad al-Sam, ritorno al Califfato, in "Limes", n. 2, marzo 2013, p. 125. 42) Cfr. Tariq Ramadan, Il riformismo islamico, Troina, Città aperta, 2004. 43) Negli anni Ottanta durante il conflitto dell'URSS contro i talebani qa 'idisti Hollywood rappresentava i mujahidin come eroi, combattenti per la libertà. In realtà essi hanno rappresentato allora le "brigate islamiche" della CIA, che li ha addestrati anche in America assieme al loro capo Osama bin Laden mentre a partire dall'11 settembre (le 'Due Torri
Gemelle') e dal 7 ottobre 2001 (invasione americana dell'Afghanistan) sono diventati il male assoluto e poi con le primavere arabe nel 2011 son tornati ad essere i patrioti della democrazia. In realtà i talebani sono stati sempre controllati dalla famiglia Sudary, che rappresenta il clan più filoamericano e filoisraeliano della famiglia reale saudita Saud; cfr. R. Baer, La disfatta della CIA, Casale Monferrato, Piemme, 2003; F. Heisbourg, Dopo al Qaida. La nuova generazione del terrorismo, Roma, Armando, 2013; W. G. Tarpley, La fabbrica del terrore made in USA, Bologna, Arianna, 2007; S. Zunes, La scatola esplosiva. La politica americana in Medio Oriente e le radici del terrorismo, Milano, Jaca Book, 2003. 44) Cfr. E. Sivan, Radical Islam, New Haven & London, Yale University Press, 1991; M. Campanini, L'alternativa islamica. Aperture e chiusure del radicalismo, Milano, Bruno Mondadori, 2012; AA. VV., Islam e occidente. Il caso del fondamentalismo islamico, Macerata, Liberilibri, 2005. 45) Cfr. B. Etienne, L'islamisme radical, Parigi, Hachette, 1987. 46) Il Qatar è uno Stato dell'Asia, retto da una monarchia assoluta ereditaria, proteso sulla costa occidentale del golfo Persico, confinante ad oriente con l'Arabia Saudita e a sud con gli Emirati arabi. Il suo territorio consiste in una striscia di 160 km di lunghezza e di 50/80 di larghezza. La sua popolazione (circa 600 mila persone) si è quintuplicata negli anni Settanta con la scoperta del petrolio nel suo sottosuolo e per i 4/5 è costituita da immigrati dal Pakistan e dell'India. In esso vi sono enormi disuguaglianze sociali. La religione di Stato è il wahabismo. Il Qatar si è costituito in sceiccato nel settecento e sino al 1914 ha fatto parte dell'impero ottomano, poi è divenuto uno sceiccato sotto il protettorato britannico ed infine nel 1971 ha ottenuto l'indipendenza e si è legato strettamente all'Arabia Saudita. La sua capitale è Doha. Assieme all'Oman e allo Yemen subisce attualmente una certa influenza dell'Arabia Saudita e notevoli infiltrazioni di qaidisti. 47) Il termine "Nuovo Medio Oriente" è stato coniato da Condoleezza Rice, l'ex segretario di Stato americano dell'amministrazione Bush, nel giugno del 2006 a Tel Aviv in contrapposizione e sostituzione al vecchio concetto di "Grande Medio Oriente"; cfr. A. Macchi, Rivoluzioni SpA. Chi c'è dietro la Primavera Araba, Lecco, Alpine Studio, 2012. 48) Due anni dopo e un giorno prima, in "Limes", n. 2, marzo 2013, p. 40. 49) Cfr. M. Campanini, I Fratelli Musulmani nel mondo contemporaneo, Torino, Utet, 2010. 50) W. Tarpley, La fabbrica del terrore made in USA, cit., p. 529. 51) M. Eliade (a cura di), Enciclopedia delle religioni: L'islam, Milano, Jaca Book, 2004; G. Filoramo (diretta da), La storia delle religioni: l'Islam, Bari, Laterza, 2005. 52) M. Buber, Judaisme, Parigi, Verdier, 1982, p 31. 53) E. Lévinas, Difficile liberté, Parigi, Albin Michel, 1995, 3a ed., p. 326. 54) P. Lévy, World philosophie, Odile Jacob, 2000, p. 12. 55) A. Memmi, La Libération duJuif. Portrait d'un Juif, vol. II, Parigi, Gallimard, 1966, p. 127. 56) Cfr. J. Petras, USA: padroni o servi del sionismo?, cit., p. 42. 57) Sulla dottrina di B. Lewis vedi Edward W. Said, Covering Islam. Come i media e gli esperti determinano la nostra visione del resto del mondo, Massa, Transeuropa, 2012. 58) G. Borgognone, La destra americana: dall'isolazionismo ai neocon, Bari, Laterza, 2004; C. Nitoglia, Dal giudaismo rabbinico al giudeo americanismo, Genova, Effepì, 2008; J. Mearshemeir - S. M. Walt, La Israel lobby e la politica estera americana, Milano, Mondadori, 2007. 59) Cfr. A. Frament, Connaissanceélémentairedu Trotskisme, Parigi, AFS, 2001. 60) Secondo uno dei massimi esponenti del neoconservatorismo americano, MaxBoot "appoggiare Israele è un principio cardine del neoconservatorismo" (What the Heckis a neocon?, in "The Wall Street Journal", 30 dicembre 2002). 61) Innanzitutto occorre sapere che Milton Friedman è stato il fondatore della Mont Pelerin Society, che è una "lobby" molto potente composta da economisti, filosofi ed uomini
politici molto influenti, riuniti in un "club", o meglio una 'Super-Loggia', per influenzare la politica interna ed estera degli USA e Gb, promuovere un mercato ed una finanza "assolutamente liberi" da ogni ingerenza dello Stato e dell'etica. La suddetta Society è nata in Svizzera, presso le terme di Mont Pelerin, da cui ha preso il nome, il 10 aprile del 1947 da 36 grandi-fratelli fondatori. La Mont Pelerin Society ha sempre cercato di passare agli occhi dell'opinione pubblica come un'innocua accademia di studiosi e non un think-tank ("serbatoio di cervelli pensanti" capaci di cambiare il mondo) politico/finanziario di tendenza anti cattolico-romana, fortemente democraticista, liberale, liberista e libertaria, quale realmente è. Uno dei suoi obiettivi è la creazione di un "Ordine Internazionale o Mondiale", che salvaguardi la Libertà (intesa come un assoluto ed un fine e non come un mezzo per raggiungere il Fine ultimo), la Pace (americana) e le Relazioni Economiche Internazionali, ossia il potere dell'alta finanza mondiale, delle Banche, deibankster e la globalizzazione mondialista anglo/americana. Tra i suoi membri, oltre a Milton Friedman, figurano anche Friedrich August von Hayek, Ludwig von Mises, Karl Popper, Walter Lippman, e per l'Italia Luigi Einaudi, Sergio Ricossa, Antonio Martino, Bruno Leoni. Tra i 76 consiglieri economici del Presidente statunitense Ronald Reagan ben 22 erano della Mont Pelerin Society. Dalla Mont Pelerin Society è nato il pensiero neocon, che ha influenzato la politica estera e la finanza americana dagli anni Ottanta sino all'Amministrazione Bush jr (2008) e continua in maniera strisciante ancor oggi ad influenzare il Presidente statunitense Barac Obama, con le relative guerre geopolitiche di esportazione della democrazia contro l'Iraq e il default o fallimento della finanza mondiale grazie ai mutui ad alto rischio, concessi da Alan Greenspan Presidente della Federal Reserve (Banca Centrale) americana, che non potevano essere pagati dai "beneficiari", i quali perdevano i risparmi e la casa. Questo default o fallimento è arrivato sino all'Europa, che ne è stata infettata e si trova in una crisi finanziaria mai vista prima, neppure nel 1929. Friedman ha influenzato a partire dagli anni Ottanta sino ad oggi (a sette anni dalla sua scomparsa), potentemente e trasversalmente, la politica (sia democratica che repubblicana) del Presidente statunitense Ronald Reagan, poi di Bill Clinton, di Bush padre e figlio e persino di Barac Obama nell'attuale congiuntura siriana; inoltre ha influenzato anche la politica europea dei Primi Ministri britannici Margaret Thatcher, Tony Blair e David Cameron rifacendosi al pensiero filosofico di Edmund Burke, Karl Raimund Popper, Russel Kirk ed anche la pratica finanziaria della "Banca Centrale Americana", alla luce del pensiero degli economisti della "Scuola di Vienna" Von Mises e Von Hayeck. Infatti da questi ultimi assieme a Friedman sono nati i Chicago boy's e i dirigenti neoconservatori dell'Amministrazione Bush (Paul Wolfowitz, Richard Perle, David Roomsfeld, Dick Cheney, eccetera), che analogamente alla "Scuola di Francoforte" (1922-1979) di Adorno & Marcuse son riusciti ad unire (da una posizione di "destra" liberal-conservatrice) il marxismo di Trotskij e il liberismo "mini-archista" (che vuole concedere il minimo spazio al potere dello Stato) se non francamente anarchico/conservatore. Adorno & Marcuse, invece, avevano sposato (da una posizione di "sinistra" anarchico-rivoluzionaria) il Trozkismo con la psicanalisi freudiana. Si può dire, perciò, che mentre Adorno & Marcuse univano sinistra e libertarismo per la conquista psicologica delle menti di tutti gli uomini (la "Rivoluzione intellettuale" del 1968), i neoconservatori sposano il libertarismo liberal-democratico con la "destra" conservatrice angloamericana per la conquista militare e geopolitica del globo (il "Nuovo Ordine Mondiale" dal 2001 al 2013). In realtà il neoconservatorismo, ispirato da Friedman, ha spinto gli USA (come braccio armato a favore d'Israele) in una guerra totale contro
l'Iraq, l'Afghanistan, il Pakistan dalla quale sta uscendo con le ossa rotte, come pure Israele ha subìto una umiliante "vittoria di Pirro" in Libano nel 2006 nonostante che avesse sganciato "oltre 1 milione di bombe a grappolo"(61) ed a Gaza nel 2008-2009 abbia gettato "bombe al fosforo bianco" nella famigerata "operazione piombo fuso". Sembrerebbe che questi ultimi avvenimenti (assieme alle "Rivoluzioni primaverili" in Tunisia, Libia, Egitto e all'imminente guerra contro la Siria nella quale il pensiero di Friedman si fa ancora sentire anche nell'Amministrazione democratica di Barac Obama) potrebbero segnare l'inizio della fine della supremazia israelo/americana, la quale nell'agosto del 2013 si straccia le vesti (come Anna e Caifa nel 33) per l'uso dei gas tossici in Siria (pur non sapendo con certezza da parte di chi), mentre i caporioni di essa hanno sganciato le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, le bombe al fosforo su Dresda, le bombe all'uranio impoverito sul Kosovo, le bombe a grappolo in Libano ed al fosforo bianco su Gaza. La crisi economico/finanziaria, che ha portato nel 2011/2013 gli USA e l'Europa sull'orlo del fallimento è iniziata nel 2005/2008, con "la più grande frode finanziaria della storia mondiale" operata dall'operatore di Borsa Bernard Lawrence Madoff e portata avanti dal Presidente della 'Federal Reserve' o 'Banca Centrale' degli USA Alan Greenspan, che -ispirato dalle teorie finanziarie di Friedman- ha iniziato con un grandioso boom economico per finire con un miserabile crack, facendo "arricchire" gli americani incitandoli a 'spendere e spandere', pur non avendo denaro sufficiente, senza paura di pignoramento, comprando e vendendo case, mediante mutui senza garanzie e coperture, che -si badi bene- non avrebbero potuto essere pagati ed avrebbero condotto infine alla miseria l'incauto compratore il quale si era accollato mutui ipotecari ad alto rischio (subprime), scientificamente studiati ed immessi - a mo' di liberismo selvaggio - sul mercato da Greenspan, le cui prodezze stiamo ancora pagando e non si sa se riusciremo ad estinguere il prestito ipotecario o a finire ipotecati ed espropriati. Il crack della "Monte Paschi di Siena" in Italia nel 2013 è una delle conseguenze collaterali dell'imbroglio iniziato nel 2005 da Greenspan. L'economia mondiale è sembrata avanzare sino al 2008, mentre era già malata da almeno tre anni ed è entrata in crisi nel 2009 per arrivare al quasi fallimento o al crack (o default, come lo si chiama adesso in maniera più soft) nel 2012. I lavoratori americani, i quali non erano in grado, come previsto, di rendere il denaro, che in realtà non avevano mai posseduto, a causa dell'aumento del petrolio e dei tassi d'interesse non son riusciti più a pagare i mutui. Quindi in brevissimo tempo milioni di case son rientrate in possesso delle banche dalle quali erano uscite solo apparentemente ("sopra la banca la casa campa, sotto la banca la casa crepa!"). Di conseguenza i poveri degli USA si son ritrovati più poveri di prima. Questo è il risultato della teoria usuraia legalizzata, e promossa con il massonico 'Premio Nobel', di Milton Friedman e fratelli. Si può concludere che come Wolfowitz ha rovinato l'esercito americano trascinandolo in guerra contro l'Iraq nel 2003, così Greenspan, ispirato da Friedman, ha disastrato la finanza degli americani trascinandoli nella bancarotta dei mutui ad alto rischio. 62) Si noti che ora in Europa a Bruxelles oltre il parlamento europeo vi è anche quello israeliano; v. First Ever European Jewish Parliament inaugurated in Brusels, in "EJU News", 16 febbraio 2012. 63) Cfr. A. Joxe, L'impero del caos. Guerra e pace nel nuovo disordine mondiale, Milano, Sansoni, 2002. Condividi
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monicadeola · 5 years
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“Siamo stati la generazione più fortunata della storia dell’umanità. Noi, nati in questa meravigliosa penisola protesa su di un mare «buono» nel mezzo del più lungo periodo di pace e del più grande benessere mai goduto dall’Occidente europeo, noi siamo stati la jeunesse dorée della storia universale. Ora, entrati nell’età che dovrebbe concedere la maturità, raggiungiamo il «punto alto» della nostra esistenza, siamo chiamati alla prova. Ce ne mostreremo all’altezza?
Non sto parlando di felicità. Forse altre generazioni, più tormentate, meno agiate, più disperatamente vitali della nostra, sono state anche più felici. Parlo di fortuna. Come ho scritto all’inizio di questa maledetta epidemia, l’essere nati in Italia al principio degli Anni 70, ci ha consegnati, per puro caso fortunato, al pezzetto di umanità più agiata, sana, sicura, protetta e longeva, meglio vestita, nutrita e curata che abbia mai calcato la faccia della terra.
Non sto, ovviamente, nemmeno affermando che questo nostro privilegio assoluto ci abbia individualmente preservato dalla sofferenza, dalle avversità, talvolta dalla malattia. Sto parlando di ciò che appartiene alla dimensione della vita comune, degli orizzonti storici collettivi, dei destini generali. In quella sfera non si può negare che siamo stati baciati dalla sorte.
A cominciare dal fatto che la nostra carne non abbia mai conosciuto il morso della guerra. Certo, avevamo vent’anni la notte del 17 gennaio del 1991 quando gli aerei della coalizione anti-Saddam bombardarono Baghdad in nome nostro e in diretta televisiva. Ma si trattò, per l’appunto, di una «inesperienza», cioè di un’esperienza deprivata dei tratti caratteristici dell’esperienza vissuta: la continuità, l’irreversibilità, la fatidicità. Dopo aver assistito allo spettacolo di morte e distruzione, si poteva spegnere la tv e andarsene a letto. Anzi, non c’era altro da fare, non c’era alternativa all’assurdo: sebbene reale, devastante, letale, la guerra sarebbe rimasta per noi una serata trascorsa davanti alla televisione. Certo,avevamo trent’anni la mattina dell’11 settembre 2001, e ne fummo sconvolti, ma la malvagità distruttiva di quell’epocale atto di terrorismo consisteva proprio nel colpire un bersaglio simbolico per moltiplicarne su scala planetaria gli effetti mediatici.
Anche le nostre vite hanno indubbiamente avuto la loro dose di preoccupazioni, angosce e inquietudini ma, scaturite da un altrove reale, ci hanno investiti per lo più come piaghe dell’immaginario collettivo. Anche noi abbiamo vissuto in un’epoca di profondi e vorticosi mutamenti ma, paradossalmente, nella nostra epoca le rotture epocali non si sono manifestate per noi sotto forma di guerre, rivoluzioni e migrazioni di popoli, come fu per i nostri padri e nonni.
Tutte queste cose hanno sempre riguardato gli «altri». Noi siamo stati guerrieri da salotto, bagnanti sulle spiagge dei migranti, i nostri drammi hanno assunto la forma di psicodrammi, la sindrome da attacchi di panico è stata la patologia psichiatrica tipica della nostra psiche collettiva. Quando si è colti da un attacco di panico l’organismo attiva un processo psico-sensoriale adatto alla presenza di una minaccia mortale (iperlucidità, scariche adrenaliniche, aumento della frequenza respiratoria). Una reazione utile se s’incontra un leone nella savana. Solo che, nel caso del panico, il leone non c’è.
Adesso, purtroppo, il leone c’è. E, come in una sorta di beffarda nemesi storica, ha assunto la forma impalpabile, microscopica, quasi fantasmatica, ma terribilmente reale, e potenzialmente ubiqua, dell’epidemia. La minaccia letale c’è e può essere dappertutto. La crisi che sta generando ricorda per alcuni aspetti gli scenari di guerra: strade deserte, persone chiuse in casa, reparti di rianimazione degli ottimi ospedali lombardi in cui i medici sono drammaticamente costretti a decidere quali pazienti curare e quali lasciar morire.
A giudicare da certe situazioni vergognose si direbbe che la nostra fortunatissima generazione sia giunta alla prova di maturità capace solo di panico (le fughe sui treni notturni) o d’irresponsabilità (le code agli impianti sciistici). Non posso rassegnarmi a credere che sia così. Di certo ci siamo giunti inesperti di ciò che da sempre definisce la condizione umana: la piena coscienza della nostra mortalità, la lucida e matura consapevolezza che vita e morte si snodano l’una accanto all’altra come strade complanari, contigue e di pari importanza.
Siamo stati, in altri termini, una generazione impolitica. Viandanti solitari sui sentieri della ricerca di una felicità individuale, non abbiamo conosciuto la politica come sentimento di appartenenza a un comune destino. Ebbene, dobbiamo assolutamente scoprirla ora. E dobbiamo imparare in fretta. Dobbiamo rimediare al lento apprendistato che non abbiamo avuto. Appartenere a una comunità di destino, a una comunità politica, significa anche elevarsi all’altezza di un sentimento tragico della vita, lottare per la vita, desiderare la vita sapendo di «galleggiare in un luogo incerto tra due estremi, tra l’essere e il nulla»...”.
11 marzo 2020 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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