#Rispetto per la giornata degli anziani
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ケイロウノヒ
敬老の日は、お年寄りを敬い、長寿を祝う日本の祝日です。毎年9月の第3月曜日が敬老の日と定められており、国民の祝日の一つとな��ています。この日は、高齢者の長年にわたる社会への貢献を敬い、長寿を祝うことを目的としています。一般的に、家族や地域社会が協力して、お年寄りを招いたり、訪問したりして、感謝の気持ちを伝えます。また、イベントや祭りが開催されたり、お年寄りにプレゼントを贈ったりするなど、敬老の日を祝うさまざまな取り組みが行われます。敬老の日は、高齢者を敬い、感謝の気持ちを表すことで、社会における高齢者の存在を尊重し、長寿を祝福する文化が日本にはあることを示す日でもあります。
手抜きイラスト集
#敬老の日#Respect for the Aged Day#Rispetto per la giornata degli anziani#Día del Respeto a los Ancianos#Respekt für den Tag der Alten#Journée du respect des personnes âgées#手抜きイラスト#Japonais#bearbench#art#artwork#illustration#painting
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Polveri del Sahara, l'esperta: «Non chiamatela sabbia». Perché sono pericolose e come proteggersi. Tutti i consigli Le polveri del Sahara hanno fatto ritorno in Italia colorando i suoi cieli con colori caldi che vanno dal giallo al rosso: sembrano semplici nuvole, ma in realtà sono cumuli di micro polveri. Si tratta di un fenomeno che con l'avanzare dei cambiamenti climatici si fa sempre meno raro nelle nostre aree. Ma c'è di più: pareri medici fanno sapere che potrebbero rappresentare un danno per la salute. «Non chiamatela sabbia», ha detto a Rete 8 la dottoressa Laura Martino, responsabile Unità operativa semplice dipartimentale di Pneumologia di Chieti, «piuttosto micro polveri che arrivano fino a noi non senza problemi per la salute». Le polveri del Sahara che si sollevano per tonnellate arrivano in Italia spinte degli anticicloni africani, finendo per mescolarsi con le particelle Pm10. Costituiscono, quindi, un pericolo per l'apparato respiratorio. Cielo giallo Sahara su Roma, l'allerta del Comune: «Bambini, donne in gravidanza e anziani escano meno. Lasciate l'auto a casa» Chi rischia di più Le categorie più a rischio sono anziani, cardiopatici e chi soffre di malattie respiratorie, a partire dall’asma, ma soprattutto i bambini, ha spiegato Alessandro Miani, presidente del Sima, la Società italiana di medicina ambientale: «Sia perché i loro sistemi respiratori e immunitari sono ancora in via di sviluppo, sia perché tendono a passare più tempo all'aperto rispetto agli adulti». Come proteggersi. I consigli Per prevenire l'inalazione delle polveri il consiglio è quello di ridurre il più possibile l'esposizione nei luoghi in cui sono maggiormente concentrate, e dove non sia possibile utilizzare una mascherina. La Sima ha reso noti dei consigli per proteggersi dal caldo afoso che, insieme all'assenza di piogge, sta rendendo particolarmente importante il problema. «Evitare di esporsi al caldo e al sole diretto e uscire di casa solo nelle ore più fresche. Assicurare un adeguato ricambio di aria in casa e agevolare la ventilazione naturale. Mantenere le stanze fresche schermando le finestre esposte al sole (utilizzando tapparelle, persiane, tende). Chiudere le finestre durante il giorno e aprirle durante le ore più fresche della giornata (la sera e la notte). Fare bagni e docce frequenti e con acqua tiepida. Assumere almeno 1,5-3 litri di acqua durante la giornata. Evitare alcolici e preferire cibi che contengono molta acqua, come frutta e verdura. Quando si esce di casa, proteggere gli occhi con occhiali da sole e prevenire scottature con creme solari ad alto fattore protettivo. Indossare abiti in fibre naturali (lino o cotone) e indumenti traspiranti, meglio se di colore chiaro; evitare l'attività sportiva all'aperto nelle ore più calde». L'andamento delle polveri in Italia Le polveri del Sahara in Italia hanno visto negli ultimi giorni un rapido incremento, spinte dai venti meridionali. La giornata di giovedì 20 giugno è stata quella con la più alta concentrazione e già da venerdì 21 giugno i livelli hanno visto una diminuzione e nel corso del weekend le polveri dovrebbero essere spazzate via dalla Penisola.
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Festa della donna e riflessioni varie
Riflessioni sulle donne e la loro festa Festa della donna e riflessioni varie, un articolo che propone vari testi di autori certamente originali, un mix di riflessioni serie e di allegro umorismo. Una donna è come una busta di tè: non si conosce la sua forza fino a quando non viene immersa in acqua calda. Eleanor Roosevelt Una donna è la figura più misteriosa e sorprendente al mondo. Wolfgang Amadeus Mozart Non c'è forza più grande della dolcezza e della pazienza delle donne. Lyndon B. Johnson Le donne sono senz’altro più aggressive dell’uomo, non a caso portano anche le unghie più lunghe. Carl William Brown Non mi piace parlare di uomini e donne. Le stelle nel cielo sono uomini e donne, ma il genere non ha importanza quando si tratta di illuminare il mondo. Harriet Tubman Le donne sono fatte per essere amate, non capite. Oscar Wilde La Giornata della donna è un'occasione significativa per considerare l'uguaglianza di genere e il valore del miglioramento delle relazioni di genere. La Festa della Donna può essere un'occasione per riflettere su questi temi e per impegnarsi a creare un mondo più giusto ed equo per tutti. Ecco alcuni suggerimenti che possono aiutarci a rendere le nostre esistenze migliori. Tuttavia, per arricchire con vari stili letterari questo articolo, e queste mie riflessioni sulla tematica, propongo anche alcuni testi di autori un po' più scanzonati ed umoristici, la qual cosa ci aiuta senz'altro a riflettere e a divertirci al tempo stesso. Purtroppo, in molti paesi del mondo i diritti delle donne sono ancora violati in modo significativo. Ecco ad esempio alcuni dei problemi più comuni che le donne incontrano in paesi come Afghanistan, Iran, Russia, Cina, Corea del Nord, Africa, ma non solo. Discriminazione nella legge e nella pratica, come l'obbligo per le donne di chiedere il permesso al marito per lavorare o viaggiare, elevati tassi di violenza domestica e sessuale, bassa percentuale di donne che ricevono istruzione e hanno accesso all'assistenza sanitaria, restrizioni sull'abbigliamento femminile, bassa rappresentanza delle donne in posizioni di potere, notevoli differenze di salario tra uomini e donne e potremmo continuare.
Giornata internazionale della donna Ci resta quindi ancora molto da fare per le donne e potremmo chiaramente cominciare a cercare di apportare miglioramenti nei seguenti settori. Istruzione: è fondamentale iniziare a promuovere l'uguaglianza di genere in classe se si vuole costruire una società che valorizzi e rispetti tutti i sessi. Occorre insegnare ai bambini e ai giovani il valore della diversità e il rispetto reciproco. Comunicazione: Perché ci sia una pacifica convivenza tra i sessi, ci deve essere una comunicazione aperta e cortese. È fondamentale sviluppare l'empatia e la capacità di comunicare con persone di sesso opposto senza pregiudizi. La lotta alla violenza di genere è importante poiché è ancora un problema importante in molte parti del mondo. È fondamentale affrontare questo fenomeno attraverso la prevenzione, l'educazione e il perseguimento penale dei trasgressori. Impegno politico: l'impegno politico delle donne è essenziale per creare un mondo più giusto ed equo. Promuovere la partecipazione delle donne alla vita politica e fornire assistenza a coloro che lo desiderano è fondamentale. Collaborazione: è necessario che entrambi i sessi lavorino insieme per raggiungere obiettivi condivisi e costruire un mondo più giusto ed equo. È fondamentale promuovere una cultura di cooperazione e sostegno reciproco. Sottovalutazione e sottovalutazione del lavoro di cura: il lavoro di cura svolto prevalentemente da donne, come l'assistenza ai bambini e agli anziani, è comune. Data l'importanza di questo sforzo per la società, è fondamentale valorizzarlo e sostenerlo. Sbarazzarsi degli stereotipi di genere: gli stereotipi pongono restrizioni al potenziale e alle aspirazioni di entrambi i sessi. È fondamentale sfatare questi miti e promuovere una società che rispetti e valorizzi la varietà. In conclusione, la creazione di una cultura che rispetti e valorizzi la varietà, la collaborazione tra i sessi, l'eliminazione degli stereotipi di genere, la lotta alla violenza di genere e l'impegno politico femminile sono tutti elementi necessari per rafforzare le relazioni di genere. Carl William Brown
Riflessioni sulla festa delle donne Oggi, otto marzo, si festeggia la mercificazione della donna. Festa fortemente voluta dagli uomini per riappacificare la loro coscienza. Si regala una mimosa, si arricchiscono i fioristi, i ristoratori e i produttori di baci perugina, e per tutto il resto dell'anno si è in pace con la coscienza. Amen. Le donne, d'altro canto, in questa loro ricorrenza vanno regolarmente a lavorare in fabbrica o a casa e la sera, nel migliore dei casi, se ne vanno a cena in gruppuscoli per poi raccontarsi del più e del meno, grande attrazione: lo strip maschile. Brave. Evidentemente parificarsi agli uomini significa adeguarsi ai loro gusti, o peggio ancora adeguarsi agli standard che alcuni hanno predisposto per voi. Alcuni, naturalmente, al maschile. Mi si dice che con questo giorno si vuole rivendicare una sorta di diritto femminile alla parità, si vuol dare alla donna il giusto peso sociale. Ci si dimentica che le donne hanno già un peso enorme nella società, condizionano gli uomini, anche i più importanti, ci fanno impazzire, ci fanno innamorare, con gli uomini condividono nella maggior parte dei casi piaceri e dolori. Le donne sono costantemente nella mente degli uomini, trecentosessantacinque giorni l'anno, uno più uno meno. Ognuno di noi ne sa qualcosa. E allora oggi non regalate alle vostre donne la mimosa. Se lo fate, vuol dire che pensate a lei come a una meretrice, una che si può mercificare agli ordini di una logica commerciale. Le pagate un tributo per il solo fatto di essere donna. Compratele invece un fiore o rubatelo, se siete in politica con una certa frequenza per tutto l'anno, quando le regole non lo impongono. Rispettatela ogni giorno, condividete con lei sempre tutto, amatela cercando di renderla felice, e non solo come mera ricerca del proprio piacere, ma rispettando e valorizzando il suo. E pretendete che per lei sia altrettanto. Buttate le mimose, festeggiate le donne ogni minuto dell'anno, non perché ve l'ha ordinato una multinazionale, ma perché loro sono parte di noi stessi, la metà esatta del nostro cuore e della nostra mente. Ci avete dato la vita, è nostro dovere di maschietti restituirvela, in piccole rate di minuti al giorno. L'interesse, in questo caso, è reciproco. A tutte voi, un bacio con profonda riconoscenza. Mauroemme
Una rosa per tutte le donne PRINCIPI INVIOLABILI DELLE DONNE (dall'8 marzo in poi e vita natural durante) 1. Le donne fanno sempre la legge. 2. La legge può essere modificata in qualsiasi momento, e senza alcun annuncio preliminare. 3. È impossibile per un uomo conoscere tutta la legge. 4. Se una donna pensa che il suo uomo conosce tutta la legge o quasi, deve cambiarla immediatamente. 5. La donna non ha mai torto. 6. Se la donna ha torto, è certamente a causa di un malinteso proveniente di una cosa che l'uomo ha detto o fatto. 7. Se la regola Numero 6 deve essere applicata, allora l'uomo deve scusarsi immediatamente per avere causato questo malinteso. 8. La donna ha il diritto di cambiare parere in qualsiasi momento. 9. L'uomo non ha il diritto di cambiare parere, salvo consenso scritto dato dalla donna. 10. La donna ha il diritto di essere nervosa o in collera quando le sembra opportuno. 11. L'uomo deve sempre restare calmo, a meno che la donna voglia che lui sia veramente in collera. 12. In nessun caso la donna deve lasciare indovinare all'uomo se ella vuole che lui resti calmo, che si innervosisca o che si arrabbi. 13. Ogni tentativo per divulgare queste regole potrà comportare delle ferite corporali. 14. La donna ha sempre l'ultima parola! 8 MARZO: Colgo l’occasione per ringraziare pubblicamente le veline, schedine, patonze e tutte le galline dello stesso genere per aver saputo, sculettando, buttare a mare tutto il pensiero post moderno sul femminismo e suoi derivati. Grazie anche a nome dei Meroloni, Berlusconi, Speroni e tutti quelli che finiscono cogl’ioni. Aldo Vincent
8 Marzo auguri a tutte le donne Questioni di cesso. Basta con sta festa della donna. Ammucchiamo queste maledette mimose e facciamo un falò. Ormai ci siamo emancipate, siamo uguali agli uomini. Viene l'infarto anche a noi. Cosa vogliamo di più? La prostata forse? o la barba... visto che i baffi già li abbiamo. Un esempio per tutti, la questione bagno. La gestione quotidiana del cesso scatena vere e proprie guerre sociali. Sono anni che lui e lei lottano per avere gli stessi diritti. Risultato? Parità assoluta. Come mai proprio sulle toilette si scatenano le bufere? Non è difficile... perché il bagno è un tempio, un luogo sacro dove si celebrano i riti personali più svariati. perché nel bagno non si va solo a fare, nel bagno si sta, è un pensatoio, una volta entrati non si esce più. Hai voglia a bussare. E l'asse del water? loro la lasciano su. E noi? due volte su tre ci accomodiamo sulla ceramica gelida e malediciamo il giorno in cui siamo fidanzate. A meno che loro non siano della banda della goccia e a noi tocchi fare pipì in bilico come le guide alpine. Loro si tagliano le unghie dei piedi sparandole ovunque come boomerang e noi lasciamo capelli in giro come liane. E poi c'è la polemica del dentifricio. Noi che siamo creative lo schiacciamo a caso, da metà, dall'alto, come un brufolo, come un campanello. E loro si imbufaliscono... loro che lo spremono da anni con certosina precisione dal basso verso l'alto. Peccato che tutto 'sto puntiglio non lo mettano a farsi la doccia. Le loro docce sono alluvioni, disastri naturali, tocca chiedere lo stato di calamità. Ripicca migliore non c'è che usare il loro rasoio per depilarci i polpacci. Noi facciamo tric trac e loro sbrat... si scarnificano come Scarface. Io lo faccio sempre, ma di nascosto, perché se lui mi becca mi gira la testa al contrario come per uccidere i polpi. Luciana Littizzetto Festa della Donna Venerdì 8 Marzo eventi vari International Women's Day 2024 various events Sulle donne e sul loro affascinante mondo potete anche leggere: Aforismi sulla Donna Festa delle Donne 8 Marzo Riflessioni sulle Donne Quotes on women Aforismi per argomento Aforismi per autore Pensieri e riflessioni Read the full article
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"Benevento Cardio-protetta": presentato il progetto sui defibrillatori in diverse zone della città
"Benevento Cardio-protetta": presentato il progetto sui defibrillatori in diverse zone della città. Benevento, è stato il sindaco Clemente Mastella, presso i point della Misericordia e della Croce Rossa Italiana, il primo a cimentarsi nelle pratiche salva-vita che hanno caratterizzato la giornata-lancio di ‘Benevento Cardio-protetta’. Prima in conferenza a Palazzo Paolo V, il Sindaco aveva spiegato che le “statistiche parlano chiaro, sono decine di migliaia – tra giovani e anziani – le persone che all’improvviso si trovano a dover fare i conti con infarti. Se c’è qualche possibilità di salvare vite umane, bisogna esperire tutte le vie possibili. I defibrillatori, che per ora sono sei ma puntiamo ad aumentarli il prossimo anno, sono uno strumento di eccezionale utilità: nessuno deve ringraziare l’amministrazione, abbiamo concretizzato un progetto che risponde perfettamente alle ragioni che ci spingono all’impegno pubblico”. Era stato prima il consigliere delegato alle Politiche sanitarie Luca De Lipsis a illustrare i dettagli di Benevento Cardio-Protetta: “I veri protagonisti sono questi dispositivi, i defibrillatori semi-automatici. Il mio appello, da medico prima ancora che da politico, è che tanti imparino ad adoperarlo: si protegge il bene massimo, la vita umana. Questo è il primo step: saranno attivati poi corsi di formazione Blsd (Basic life support defibrillation) e Pblsd (Pediatric basic life support defibrillation) per sensibilizzare i cittadini verso le attività di primo soccorso. Abbiamo individuato sei zone cittadine per le prime installazioni: Corso Garibaldi (zona Prefettura), Capodimonte (zona chiesa San Giuseppe Moscati), rione Libertà (ex edificio scolastico San Modesto 1 in via Firenze, con una modifica logistica rispetto alla precedente comunicazione che parlava di Spina Verde), Madonna della Salute (ex edificio scolastico), San Vitale (ex edificio scolastico), Masseria Olivola”, ha concluso De Lipsis. Nel corso della presentazione gli interventi dei rappresentanti degli enti co-promotori: Ciriaco Pedicini (direttore del 118, in rappresentanza del direttore generale Gennaro Volpe), Angelo Iacoviello (Misericordia Benevento), Giovanni De Michele (Croce Rossa Italiana-Benevento) e da remoto di Marco Squicciarini (medico, coordinatore attività di formazione Blsd del Ministero della Salute). Il capo di Gabinetto del Sindaco e dirigente del Comune Gennaro Santamaria ha illustrato l’attività amministrativa che ha consentito si concretizzasse l’indirizzo politico dell’amministrazione. Sono intervenuti poi i rappresentanti di Ordini e associazioni partner del progetto: Ordine dei Medici e degli Odontoiatri, Ordine delle Professioni Infermieristiche, Federfarma, Club Rotary di Benevento, Club Lions Host di Benevento, Club Lions Traiano di Benevento e Centro Relax e Riabilitazione.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Il 15 giugno di ogni anno, il mondo celebra la Giornata Mondiale contro l’Abuso sugli Anziani, un’occasione importante per aumentare la consapevolezza e combattere un fenomeno inaccettabile e diffuso che colpisce le persone anziane. Riconosciuta dalle Nazioni Unite nel 2011, questa giornata mira a sensibilizzare il pubblico sull’abuso, la negligenza e la violenza che le persone anziane subiscono in molte parti del mondo. La Giornata Mondiale per la consapevolezza degli abusi sugli anziani ci ricorda che il rispetto e la dignità degli anziani sono diritti umani fondamentali che devono essere difesi e protetti. È responsabilità di tutti noi, come individui e come società, combattere l’abuso sugli anziani e creare un ambiente sicuro e rispettoso per le generazioni più anziane. La lotta contro gli abusi sugli anziani richiede un approccio multidisciplinare e la collaborazione tra governi, organizzazioni internazionali, società civile e comunità. È fondamentale che venga data priorità a politiche e programmi che promuovano la consapevolezza, prevenzione e protezione degli anziani. #igeacentropromozionesalute #giornatamondiale #anziani #consapevolezza #igeacps #magazine #sociale #formazione #diritti #società — view on Instagram https://ift.tt/iYj1Oot
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Il 2020 sta volgendo al termine, è stato un anno lunghissimo, difficile, doloroso, pieno di sfumature complesse che meriterebbe un'analisi seria e approfondita. Ma siamo su Facebook e ce ne sbattiamo i coglioni della complessità! Perciò via alla TOP e FLOP di quest'anno! Top: I RICCHI Se c'è una cosa che questa pandemia ci ha insegnato è che viviamo in un mondo dove i ricchi diventano più ricchi quando succede una grande tragedia globale. Non vi viene voglia di cantare? Magari su una barricata. Flop: IL PERSONALE SANITARIO Li abbiamo ammirati, elogiati, applauditi, li abbiamo chiamati eroi, ma a loro non è bastato. Ebbri del successo ottenuto in primavera, non hanno avuto la decenza di farsi da parte e hanno dovuto replicare in autunno. Certa gente non sa quando fermarsi e io dico: care le mie primedonne, avete avuto i vostri 15 minuti di celebrità, adesso basta. Tornate a salvare vite senza farla sembrare una cosa speciale. Top: L'UNIVERSITÀ DELLA STRADA Anno d'oro per l'Università della Strada che vede le sue iscrizioni impennarsi drasticamente da quando un'intera generazione ha scoperto che se dici una cazzata su Facebook non solo non ti succede niente di male, ma c'è anche il caso che ti votino. L'Università della Strada, il cui motto recita “Sine dubio, grammatica et pudore” negli ultimi undici mesi ha ampliato ulteriormente la sua offerta didattica con nuovi corsi tra cui: medicina, giurisprudenza, etica, ingegneria, scienze politiche e qualsiasi sia il corso che vi fa sminuire il valore di tutti i precedenti se ad averli completati è stato il vostro interlocutore. L'Università della Strada promette sbocchi sicuri in tv o nei social. E con sbocchi si intendono, ovviamente, grosse chiazze di vomito. Flop: GLI ANZIANI Dispiace perché in questo Paese hanno sempre fatto simpatia, ma quest'anno i vecchi si sono rivelati una vera spina nel fianco per l'intera popolazione italiana. La loro tendenza a passare a miglior vita si è, se possibile, acuita rispetto al 2019. Questo, combinato con un'antipatica predisposizione a far finta di ammalarsi di Covid, per poi morire subdolamente di malattie pregresse ha costretto tutti quanti a sopravvalutare la pandemia. Ci hai provato nonno a crepare col botto, ma a me non la si fa! Top: I SAPROFAGI Che 2020 spettacolare è stato per i nostri mangiatori di carogne preferiti. Che tu sia un avvoltoio che plana rapido per banchettare sul cadavere di una celebrità, una iena priva di autocontrollo, ma dotata del giusto tempismo per ridere di qualsiasi disgrazia o un umile scarabeo stercorario iscritto all'ordine dei giornalisti, questo è stato soprattutto il tuo anno. Con una lunga lista di decessi, famosi e non, hai potuto sbizzarrirti nel confezionare un pensierino adatto per parlare di te e di quello che fai sfruttando la spinta propulsiva dei gas contenuti nel cadavere di qualcun altro e finendo la giornata con la pancia piena e la coscienza sporca. Flop: LA GESTIONE DELLA PANDEMIA Inutile negarlo, questa pandemia poteva e doveva essere gestita meglio. Migliaia di persone sono morte, milioni si ritrovano economicamente con l'acqua alla gola e tutti sappiamo bene di chi è la colpa. Degli astrologi. Paolo Fox, Branko, Brezsny. Ce ne fosse stato uno capace di prevederla. Evidentemente sono necessari controlli approfonditi e test più serrati nella selezione dei professionisti dell'oroscopo di questo paese. Altrimenti, ragazzi, rischiamo di lasciare il settore in mano a dei ciarlatani e ci facciamo ridere dietro da tutti. È chiaro che, nella situazione attuale, non riescono a vedere bene ciò che gli astri stanno cercando di comunicare loro. Perciò io dico, spediamoli nello spazio. Top: LA REGIONE LOMBARDIA Col Milan che inanella una vittoria dopo l'altra, l'Inter che sta trovando una sua dimensione e un'Atalanta da Champions, quest'anno i lombardi non possono proprio lamentarsi. Flop: LE MASCHERINE Sicuramente il trend dell'anno, sono arrivate, ce ne siamo innamorati (ve lo ricordate, c'era un periodo in cui tutti, ma proprio tutti le indossavano) e poi, come capita spesso con le mode, ci siamo stufati. La verità è che le mascherina sono scomode, mal progettate, alla lunga estenuanti e, per qualche strano motivo, si armonizzano al viso solo se sei una ragazza di vent'anni che si taglia la frangia da sé. Certo, ti danno lo charme di Myss Keta ed evitano il diffondersi di una malattia mortale di massa, ma se il prezzo da pagare è avere gli occhiali appannati a ogni passo, io dico flop. Top: LE SCARPE DELLA LIDL E Sanremo, e Briatore, e i banchi con le rotelle. Quest'anno, pungolati da gang organizzate di opinionisti che in un universo non troppo parallelo allestiscono campi di sterminio, abbiamo avuto semaforo verde per esprimere il nostro parere quotidiano su qualsiasi stronzata a forma di luna che ci indicasse il tizio a forma di saggio. Dicono che la distruzione della Biblioteca di Alessandria abbia portato l'umanità indietro di mille anni. Con la distruzione di Facebook quante settimane finiremmo col perdere? Flop: LA MORTE Un'esperienza sottotono, fredda, per certi versi impalpabile. Così poco spettacolare, così poco cinematografica. Molto deluso. Due stelle. Top: I PADRI DI FAMIGLIA Giganti buoni, affettuosi, dolcemente complicati. Spesso incompresi, colpiti da raptus o vittime di amori non corrisposti. Piccoli, grandi Ally McBeal al maschile che provano a crescere in questo mondo difficile. Il 2020 è stato anche il loro anno. Ne hanno ammazzate 65. Flop: IL VACCINO Troppo tardi, dovevate beccarci quando avevamo paura, non quando ci siamo rotti i coglioni. E, a quanto pare, noi di una pandemia che uccide, ci rompiamo i coglioni in appena sei mesi. Top: AVERE RAGIONE Annata perfetta per avere ragione. Non importa su cosa, non importa se ha senso o se è supportata da prove empiriche, basta averla, scriverla e condividerla. Tutti quest'anno vogliono avere ragione, un ragione qualsiasi magari in un bel packaging con un po' di emotività, un pizzico di aggressività e che non sia troppo lunga, altrimenti mi scoccio. Nel 2020 abbiamo dimostrato di essere disposti a pagare qualsiasi cifra e a fare pompini a chiunque, ma proprio chiunque, ce ne spacci una dose nei vicoli più sordidi del web. Flop: NOI Potevamo uscirne migliori. Non ne siamo manco usciti. (Non è successo niente)
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Non toccarmi i dati insensibili
Sempre sul tema dati: mi ha impressionato molto più della APP IMMUNI, sentire da un analista di dati, tal Sensini se non ricordo male, un commento sulla evoluzione del contagio da Coronavirus.
Un giornalista mostrava le curve delle morti da virus nelle nazioni europee da EL PAIS, dove emergeva come Spagna Inghilterra e Francia se la sian vista pure peggio dell’Italia (”punta” assoluta toccata dal grafico più alta che da noi, il che è grave per la Spagna che ha meno della metà dei nostri abitanti), ma come ora gli stessi Paesi stessero sperimentando una decrescita del numero di decessi molto più marcata della nostra.
L’immunologa di turno liquidava la cosa con un rapido: “è un effetto dovuto a tanti fattori (la risposta è complessa: l’incipit dell’ignorante nel senso che ignora) ma primariamente si deve alla più alta percentuale di anziani nella nostra popolazione” (ma era rispetto a Francia Spagna e Uk, non al Ghana!).
L’analista la asfaltava così (sintetizzo): I NOSTRI DATI SONO FARLOCCHI. In più o in meno non si sa.
Notava infatti che ad es. la domenica in Italì si registrano regolarmente MENO MORTI degli altri giorni. Il vairus non lo sa che è domenica e se ne frega del riposo, la chiave è in quel “si registrano”: basta ad es. leggere i dati giornalieri del Piemonte così come vengono pubblicati dall’Ente Apposito: “decessi rilevati oggi numero 54, DI CUI 12 NELLA GIORNATA”. Capito? IN ITALI’ SI CONTABILIZZA AD MUZZUM, QUANDO L’IMPIEGATO ADDETTO HA TEMPO. Ecco spiegate (forse) l’anomalia del “lento ritorno alla normalità” italico, il fatto che il contagio e i morti non scendano velocemente come altrove.
Del resto CANE NON MANGIA CANE: la burocrazia lenta agevola il permanere della burocrazia alta, cioè Gonde & Banda di Bolsi ed Esperti al Governo può legittimamente ammonire di non abbassar la guardia, come li ammiro.
A proposito di grafici, il segreto meglio conservato nei prossimi mesi sarà certamente il paragone tra curve del contagio in Svezia che NON HA CHIUSO NULLA e l’Italì che ha fatto lockdown totale e generale: RISULTERANNO CIRCA UGUALI, senza manco farli al netto di densità e abitudini (il “social distancing” è più naturale diciamo per gli svedesi).
Come a dire che il lockdown serve ai governanti decrescisti e felici (per la cadrega), molto più che alla salute dei cittadini. Ma questo non si dice.
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9 maggio: in memoria di Peppino Impastato. Dialogo con Luisa Impastato, presidente di Casa Memoria “Felicia e Peppino Impastato”, a Cinisi
L’emergenza Covid-19 ha lasciato immobile l’Italia per diverse settimane. Ha creato rotture, morte, disagi, crisi emotive e finanziarie. Ha unito il paese sotto il segno della “zona protetta” e ha abituato i cittadini a una nuova “normalità”. Ma ci sono cose che per fortuna non sono mai cambiate. Anzi, hanno continuato a esistere e a vivere nonostante i decessi, gli sbarramenti fra i comuni, le porte chiuse. La lotta alle mafie non si è arrestata e con lei non si è fermato l’immenso lavoro di Casa Memoria “Felicia e Peppino Impastato”, a Cinisi. Fra qualche giorno sarà il 9 maggio e, per la prima volta nella storia del centro, le porte non si apriranno, nel rispetto dei decreti del Governo. Casa Memoria, però, ci sarà lo stesso e darà vita a un grande evento social: “9MAGGIO2020ONLINE – DISTANTIMAUNITI”. Peppino Impastato verrà ricordato da migliaia di persone, in nome di quella libertà per cui lui stesso ha combattuto, fino al 9 maggio 1978, giorno in cui fu ucciso dalla mafia. In questa intervista, la voce di Luisa Impastato, presidente di Casa Memoria, figlia di Giovanni Impastato e nipote di Felicia Bartolotta.
Luisa Impastato, nipote di Peppino Impastato, presidente di Casa Memoria
Per la prima volta, a causa dell’emergenza Covid, il 9 maggio di Casa Memoria sarà diverso. Uniti ma distanti, per ricordare Peppino Impastato e la sua lotta alle mafie, insieme a Radio 100 Passi e ad altre realtà promotrici. Quello a cui avete pensato è un vero e proprio corteo virtuale, online.
Noi stavamo già lavorando all’evento del 9 maggio, già settimane prima del lockdown. Avevamo in previsione un programma cospicuo con diversi interventi e tante tematiche intorno alle quali costruire dibattiti, per continuare a divulgare le idee di Peppino. Idee che consideriamo sempre attuali. Visto il periodo storico così difficile, non potendoci riunire, abbiamo pensato di esserci comunque, utilizzando il mezzo “social” che giunge a nostro favore, in questo momento, per veicolare messaggi, poesie, musiche, testimonianze. Sarà un momento di confronto per rimanere tutti uniti nel segno della lotta alle mafie. Se ci pensiamo bene, stiamo facendo un po’ come fece Peppino tanti anni fa, con Radio Aut: lui entrava nelle case delle persone, attraverso la radio, noi cerchiamo di raggiungere con i social tutti coloro che sarebbero arrivati a Cinisi, il 9 maggio, per ricordarlo.
Il Covid-19 ha impedito a tutti di uscire dalle proprie abitazioni, se non per necessità. Ha limitato gli spostamenti, ha scollato le relazioni umane. Come avete vissuto l’emergenza, a Casa Memoria “Felicia e Peppino Impastato”?
Tenere chiuse le porte di Casa Memoria, è stata per noi una grande amarezza, perché quella casa è rimasta sempre aperta per volontà di mia nonna Felicia. La sua è stata una grande storia: lei non si è chiusa nel silenzio, ma ha deciso di continuare a lottare per la giustizia e la memoria di suo figlio. A noi ha lasciato come testamento morale, quello di tenere aperte le porte. È questo l’impegno che quotidianamente portiamo avanti. Per la prima volta, dopo tanti anni, non siamo riusciti a onorarlo, per un evento storico che non ci aspettavamo. Sicuramente è stato pesante ed essere lì è una delle cose che mi manca di più. Soprattutto perché in questo periodo avremmo incontrato migliaia di studenti provenienti da ogni parte d’Italia. Molti sarebbero arrivati da quelle aree d’Italia che sono poi diventate le cosiddette “zone rosse”. Abbiamo considerato questo periodo come un’occasione di analisi da cui ripartire in modo diverso.
Avete pensato a una ipotetica data di riapertura?
Sì, noi riapriremo il 18 maggio e saremo insieme ai volontari. Vogliamo esserci, anche insieme a tutti i libri che sono lì.
Accoglienza, coraggio e testimonianza: tre parole per riassumere tutto ciò che racconta Casa Memoria, attraverso la storia di Peppino e di sua madre Felicia. Quale messaggio, secondo te, deve continuare a passare fra i giovani, fra tutte le persone?
Mi viene in mente la parola “resistenza”. L’impegno portato avanti da mia nonna è stato quello di resistere. Resistere alla cultura mafiosa, al silenzio e alle prevaricazioni. Anche oggi fare memoria, soprattutto in questo momento storico, è un atto di resistenza.
L’emergenza sanitaria ha fatto riflettere molto sulla perdita degli anziani, e quindi dei nonni. Cosa ti manca di nonna Felicia?
La sua ironia: una caratteristica che molti non si aspettano. Mia nonna era molto ironica e credo che Peppino avesse ereditato da lei questo aspetto. Aveva una grande capacità comunicativa. Nonna Felicia era in grado di farsi capire da chiunque, qualunque fosse la parte del mondo da cui provenisse. Si faceva capire da tutti parlando il dialetto siciliano. Nella sua casa c’era sempre qualcuno. Era molto credente, ma accoglieva anche i Testimoni di Geova, perché le piaceva ascoltare e confrontarsi. Ecco, tutto questo mi manca, ma Casa Memoria parla di lei in ogni angolo ed è come se fosse sempre in vita.
La storia di Peppino è stata segnata dalla lotta. Come è mutata, nel tempo, la considerazione di Peppino a Cinisi? C’è stata un’evoluzione, grazie al vostro lavoro?
In passato, a Cinisi, ci sono state particolari resistenze da parte della comunità. Nel corso degli anni, e credo anche grazie alla presenza di Casa Memoria sul territorio, qualche muro è stato abbattuto. Noto una consapevolezza maggiore della storia di Peppino, del suo impegno e del suo essere diventato una figura collettiva. Il suo messaggio ha un’eco nazionale. Lo noto anche dalla scuola, negli ultimi tempi, dalla comunità in generale, che va cambiando. Le persone che arrivano a Casa Memoria vengono per visitare un luogo, simbolo di riscatto. Di conseguenza anche Cinisi è diventata simbolo di avversione alla mafia e non più il paese del boss Gaetano Badalamenti.
Cosa ne pensi della polemica sorta a seguito delle scarcerazioni dei boss mafiosi, a causa del Coronavirus?
Io sono, direi, garantista. È un segnale inquietante, certo. Forse una delle misure più discutibili in questo periodo storico straordinario. Io sono per la tutela dei diritti, e quindi anche del diritto alla salute anche per chi vive nel regime del 41bis. Però ovviamente capisco, e in parte condivido, l’amarezza dei familiari delle vittime di mafia. Sono persone che hanno sofferto e che vedono ora scarcerati i boss che hanno determinato la morte dei propri cari: si riaprono ferite che in realtà non si sono mai rimarginate. Mi auguro che questi provvedimenti rimangano numericamente limitati e che la decisione di convertire il carcere duro in detenzione domiciliare possa tener conto di un serio bilanciamento fra il diritto alla salute e la sicurezza della collettività.
Per la giornata di commemorazione del 9 maggio, visto che vi muoverete sui social, fra le tante iniziative, avete lanciato una proposta particolare: associare l’immagine del proprio profilo Facebook a una frase di Peppino. Tu a quale frase legherai il tuo?
Ho deciso di condividere nel mio profilo l’immagine dello striscione dei compagni di Peppino, quello che hanno utilizzato durante il funerale. Lì c’è scritto così: “Con le idee e il coraggio di Peppino noi continuiamo”. È quello che proviamo a fare con Casa Memoria, con grande umiltà e senso di responsabilità.
Ed è lo stesso messaggio, immagino, che vorreste facessero proprio gli studenti…
Sì, abbiamo pensato molto a loro. Noi lavoriamo tantissimo con i ragazzi che, fra l’altro, sarebbero stati al centro del nostro 9 maggio. In una condizione di “normalità”, ci sarebbero state tante iniziative dedicate a loro. L’impegno per l’antimafia è anzitutto un impegno culturale, sociale. Per questo l’invito è di certo questo: studiare, conoscere per capire, continuare.
Intervista di Alessandra Angelucci
Editing di Matteo Fais
L'articolo 9 maggio: in memoria di Peppino Impastato. Dialogo con Luisa Impastato, presidente di Casa Memoria “Felicia e Peppino Impastato”, a Cinisi proviene da Pangea.
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Quando trovi un racconto scritto nel 2014 e non capisci come doveva andare a finire. Specialmente visto il titolo criptico: Sacer-Dote
Sacer-Dote
Detesto entrare in chiesa, all'incirca dalla quarta elementare. Da quando più o meno tutti i bambini del 90% delle famiglie italiane cominciano a preparasi per la comunione e a parlare senza sosta del catechismo, dei ritiri, delle confessioni, del vestito da indossare. Quando giunse il mio momento, un po' in ritardo rispetto agli altri, mia madre mi chiese senza troppi giri di parole se volessi fare catechismo, sottolineando la necessità di frequentarlo per parecchio tempo fino a quando, poi, avrei dovuto fare la comunione e vestirmi in bianco come una sposa bambina. Senza indugi le risposi di no. Il mio rapporto con le funzioni religiose da quel momento in poi si è ridotto alternativamente alla partecipazione ad eventi più o meno tristi, più o meno lieti. Questa volta si trattava del matrimonio di un lontano cugino. Fino all'ultimo tentennai. Cerimonia, pranzo interminabile, domande inopportune, momenti imbarazzanti, pianti incessanti di bambini irrequieti e anziani addormentati su supporti di fortuna, tutti elementi che, mescolati con cura, danno vita ad uno scenario non auspicabile. Sorprendentemente però mi sentii più indulgente verso le richieste di mia nonna e, facendomi coraggio, decisi di partecipare. L'inizio della giornata fu pessimo. Sveglia alle 9 dopo una nottata troppo lunga ed un riposo decisamente inconsistente, inoltre, l'idea di affidare ai minuti immediatamente successivi al risveglio la scelta dell'abito da indossare non risultò propriamente brillante. Vestito nero, scarpe nere, fine aprile, giornata di sole, Roma. Le poche ore di sonno mi donarono comunque un bell'aspetto, pelle tirata, labbra rossissime. Arrivai alla chiesa bla bla in terribile anticipo e mi trovai a chiacchierare di argomenti tanto veriegati quanto improbabili con delle anziane zie sulle panchine di marmo antistanti l'ingresso. Ogni tanto avevo la sensazione di essere sul punto di addormentarmi ma venivo riportata bruscamente alla realtà da qualche acuto delle mie interlocutrici. Così, per preservare i miei timpani e la mia sanità mentale decisi di recarmi frettolosamente al bar di fronte per un altro caffè, sperando facesse più effetto del primo. Appena entrata notai una coppia di omoni in abito sacerdotale intenti a consumare due spremute d'arancia, uno l'aveva praticamente trangugiata tutta al mio arrivo, l'altro continuava ad aggiungere zucchero e a girare compulsivamente il cucchiaino facendolo sbattere vigorosamente contro il vetro, quasi volendo creare una melodia, non molto gradevole a dir la verità. Il vorace consumatore di spremute continuava a parlare senza sosta con il barista mentre l'altro, imperterrito, picchiettava contro il bicchiere. I miei nervi stavano per cedere quando, attendendo un caffè al vetro, il mio sguardo cadde sull'espressione del percussionista. Un'espressione a me familiare, la tipica espressione di chi vorrebbe essere altrove, e in effetti, pensai dentro di me, un bar non è certo il luogo dove dovrebbe stare un prete. Sorvolando sul mio pessimo umorismo mattutino, non riuscii a distogliermi da quel bizzarro duo. Il sacerdote più anziano era caucasico, imponente, persino più imponente dell'altro che probabilmente era africano e la cui stazza era di gran lunga superiore ma la cui percezione veniva alterata dal suo essere completamente ricurvo sul bancone, quasi a volersi tuffare in quel bicchiere di aranciata che ancora non accennava ad assaggiare. Quell'atteggiamento così dimesso, specialmente se confrontato con quello dell'altro sacerdote, mi incuriosì terribilmente e cominciai a chiedermi se quei due figuri avrebbero preso parte alla stessa funzione a cui mi apprestavo ad assistere. Il brusio proveniente da fuori mi destò e mi fece dimenticare quella "natura morta al bar" ricordandomi che probabilmente dovevo tornare sulla scalinata della chiesa. Così feci e in effetti lo sposo era arrivato, e lo stesso tutti gli invitati. Prendemmo posto tra i banchi della chiesa, io scelsi una posizione defilata: sesta o settima fila dal lato dei parenti dello sposo. Dopo un po' arrivò anche la sposa e la cerimonia ebbe inizio, con mia grande sorpresa il primo a comparire sull'altare fu proprio uno dei due sacerdoti del bar. Balbettando spiegò in un italiano sconclusionato che il parroco doveva recarsi urgentemente in Vaticano e che quindi avrebbe celebrato lui lo sposalizio. Il brusio nella chiesa fu immediato, qualcuno non aveva capito esattamente cosa avesse detto il prete, qualcun altro invece protestava perché riteneva inconcepibile che il matrimonio non venisse officiato dal parroco che aveva accompagnato la coppia fino al giorno delle nozze. Improvvisamente ai miei occhi divenne tutto più interessante, con un lombrosiano slancio cominciai ad analizzare tutte le movenze e le espressioni di colui che oggi avevo deciso di studiare, un po' per intrattenermi vista la noia dell'evento, un po' perché ero davvero incuriosita. Il modo in cui portò avanti il rito mi ricordò la verve, del tutto assente, del Preside del mio Liceo il primo giorno di scuola, quando lesse senza interruzioni ne variazioni di tonalità tutti i nomi degli iscritti e le rispettive classi di appartenenza. Passavano i minuti e l'italiano del poveretto diventava sempre più precario, così come aumentava il brusio dei presenti, lui però non sembrava turbato da quel trambusto, piuttosto sembrava voler finire in fretta, più in fretta possibile. Non guardò gli sposi nemmeno una volta, nemmeno quando giunse il momento di recitare la formula per il consenso, sembrava più interessato al continuo oscillare dei suoi paramenti bianchi che al patto che stava suggellando.
Il Signore onnipotente e misericordioso
confermi il consenso
che avete manifestato davanti alla Chiesa
e vi ricolmi della sua benedizione.
L’uomo non osi separare ciò che Dio unisce.
Amen.
Pur avendo assistito a poche funzioni religiose non potei fare a meno di notare una differenza sostanziale con tutte le altre occasioni in cui avevo ascoltato un ministro della fede celebrare qualcosa. La convinzione, quella convinzione, dovuta forse anche alla solennità delle parole pronunciate, che a volte mette in dubbio certezze, seppur tu non sia minimamente cristiano, ecco, quella convinzione non c'era. I capoversi scorrevano come un vuoto elenco e le parole sembravano sgretolarsi non appena fuoriuscite dalla bocca di Don Alberto (ne scoprii il nome leggendo distrattamente un foglietto adagiato sulla panca e scritto a penna sopra il nome dell’altro).
E POI?
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Quasi una persona su dieci nello stato di povertà assoluta in Italia
In Italia, lo stato di povertà assoluta è sempre più ampio. Secondo l'ultimo studio della Caritas, nel 2021 sono circa 2 milioni gli italiani che sono nello stato di povertà assoluta. Un numero in aumento rispetto alla precedente rilevazione fatta sempre dalla Caritas. Stato di povertà assoluta in Italia: lo studio della Caritas Nel 2021 la povertà assoluta conferma i suoi massimi storici toccati nel 2020, anno di inizio della pandemia da Covid-19. Le famiglie in povertà assoluta risultano 1 milione 960mila, pari a 5.571.000 persone (il 9,4% della popolazione residente). È quanto emerge dal 21° Rapporto 2022 della Caritas su povertà ed esclusione sociale dal titolo “L’anello debole” presentato oggi in occasione della Giornata internazionale di lotta alla povertà. Il Rapporto prende in esame le statistiche ufficiali sulla povertà e i dati di fonte Caritas, provenienti da quasi 2.800 Centri di Ascolto Caritas su tutto il territorio nazionale. Il meridione La povertà dov'è più forte? Alla domanda basta guardare i dati della Caritas che evidenziano come l’incidenza si conferma più alta nel Mezzogiorno (10% dal 9,4% del 2020) mentre scende in misura significativa al Nord, in particolare nel Nord-Ovest (6,7% da 7,9%). Età e povertà assoluta tra i minori Se guardiamo i dati dal punto di vista dell’età, i livelli di povertà continuano ad essere inversamente proporzionali agli anni: la percentuale di poveri assoluti si attesta infatti al 14,2% fra i minori (quasi 1,4 milioni bambini e i ragazzi poveri), all’11,4% fra i giovani di 18-34 anni, all’11,1% per la classe 35-64 anni e al 5,3% per gli over 65 (valore sotto il la media nazionale). Le famiglie e la povertà assoluta Tra il 2020 e il 2021, si legge ancora nel rapporto, l’incidenza della povertà è cresciuta più della media per le famiglie con almeno 4 persone, le famiglie con persona di riferimento di età tra 35 e 55 anni, i bambini di 4-6 anni, le famiglie degli stranieri e quelle con almeno un reddito da lavoro. È cresciuta meno della media per le famiglie piccole, con anziani, composte da soli italiani. Foto di Frantisek Krejci da Pixabay Read the full article
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Cosenza, avviata dai Carabinieri l’operazione “Malarintha”
Cosenza, avviata dai Carabinieri l’operazione “Malarintha”. Nella giornata di oggi militari del Comando Provinciale e della Compagnia di Rende dei Carabinieri e del Gruppo di Cosenza della Guardia di Finanza hanno dato esecuzione a tre misure cautelari di applicazione degli arresti domiciliari, una misura cautelare di divieto di dimorare nel comune di Rende, otto misure cautelari interdittive della sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio e servizio, dodici misure cautelari interdittive di esercitare attività professionale ed imprenditoriale, adottate dal GIP del Tribunale di Cosenza, su richiesta di questa Procura, riguardanti soggetti ricoprenti cariche istituzionali e funzionari e/o dipendenti del comune di Rende, imprenditori, professionisti. Con lo stesso provvedimento il GIP preso il Tribunale di Cosenza, sempre su richiesta di questa Procura, ha disposto il sequestro di sei società, di manufatti e somme di denaro, depositate in conti correnti bancari. Agli indagati, nel provvedimento cautelare, vengono contestati, a vario titolo, i reati di cui all’art.319 cp (corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio), 326 cp (rivelazione di segreto di ufficio), 476,479 cp (falso in atto pubblico), 353 cp (turbativa d’asta), 356 cp (frode in pubbliche forniture), 314 cp (peculato), 323 cp (abuso in atto d’ufficio). Al riguardo, si evidenzia, nel rispetto dei diritti degli indagati, che gli stessi sono da ritenersi presunti innocenti in considerazione dell’attuale fase del procedimento fin ad un definitivo accertamento di colpevolezza con sentenza irrevocabile. L’indagine, articolatasi in una complessa e impegnativa attività investigativa, portata avanti dai Carabinieri della Compagnia di Rende e dai finanzieri del Gruppo di Cosenza della Guardia di Finanza, in un arco temporale ampio, ha avuto inizio dai primi accertamenti, relativi ai lavori di “Sistemazione piano viabile e messa in sicurezza Contrada Cutura, località Piano Monello (via Piemonte) e zone varie del comune di Rende, pulizia fiume Surdo per verifica perdite rete fognante” per poi estendersi progressivamente, alla luce delle acquisizioni probatorie intervenute, ad ulteriori vicende, ritenute meritevoli di approfondimenti investigativi. In particolare, oltre ai lavori sopra indicati, oggetto di investigazione sono stati quelli relativi a: - noleggio a freddo dei mezzi d’opera di una società, oggetto del provvedimento cautelare da parte della società in house Rende Servizi s.r.l.; - affidamento diretto dei lavori relativi alla riparazione della rete fognante in c.da Ospedale di Rende; - affidamento diretto di “lavori urgenti di manutenzione straordinaria cimitero comunale, sede municipale e Piazzetta Padre Pio Villaggio Europa” del comune di Rende; - abusiva occupazione del parco pubblico denominato “Georcelli” nel comune di Rende; - gara d’appalto per la gestione del Centro diurno per minori, denominato “Madre Teresa di Calcutta” nel comune di Rende; - gara d’appalto relativa all’affidamento in concessione del servizio di gestione del Centro Anziani nel comune di Rende; - servizio di trasporto a supporto di persone con disabilità, affidato dal comune di Rende alla società in house Rende Servizi S.r.l.; - la gara d’appalto inerente “Interventi per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate – Lotto 3: Interventi di riqualificazione sociale e culturale di Viale dei Giardini-Villaggio Europa” nel Comune di Rende; - lavori relativi alla gara di appalto del “Palazzetto dello Sport” del comune di Rende; - lavori pubblici in via Slovenia del Comune di Rende; - predisposizione dei bandi di gara inerenti alcuni appalti pubblici relativi all’adeguamento sismico di immobili ubicati nel territorio di San Vincenzo La Costa. Oggetto delle investigazioni sono stati anche la ricostruzione dei rapporti economici fra gli indagati, la gestione di società, finalizzata al trasferimento di valori ed utilità economiche. Il procedimento penale riguarda settantadue indagati e otto società, iscritte ai sensi della l.231/2001 sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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30 apr 2021 10:09
“OGNI 17 MAGGIO ALLE NOVE E UN QUARTO, IO GUARDO L' ORA E DICO ‘ECCO, ADESSO’” - MARIO CALABRESI INTERVISTA LA MADRE, GEMMA CAPRA: “GLI ARRESTI DI PARIGI SONO UN FULMINE A CIEL SERENO. CERTO, AVREBBE AVUTO UN ALTRO SENSO PER LA NOSTRA FAMIGLIA SE FOSSE ACCADUTO UNA VENTINA DI ANNI FA. OGGI IO SONO DIVERSA, HO FATTO UN MIO CAMMINO, MA CREDO CHE ANCHE LORO NON SIANO PIÙ GLI STESSI. E TRA L' ALTRO SONO ANZIANI E MALATI. NON MI SENTO NÉ DI GIOIRE NÉ DI INVEIRE CONTRO DI LORO. TUTTAVIA, PENSO CHE, DA UN PUNTO DI VISTA STORICO, QUELLO CHE È SUCCESSO SIA VERAMENTE FONDAMENTALE” – IL PODCAST
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1 - LA MEMORIA HA LE GAMBE
Da “Altre/Storie” di Mario Calabresi
Negli anni, ogni volta che mia madre ha voluto parlarci di qualcosa di delicato o che le stava particolarmente a cuore, ci ha offerto un caffè al tavolo rotondo della sua cucina. Poteva capitare a uno solo di noi fratelli, i suoi figli, ma anche che ci convocasse tutti insieme. In quest’ultimo caso significava che il messaggio era davvero importante. Potrei chiamare quei caffè “gli insegnamenti della cucina”.
Negli ultimi tempi ho pensato che avrei voluto fare una cosa strana: intervistarla. Non è cosa usuale un figlio che intervista sua madre, ma mi sono convinto che quei dialoghi della cucina meritassero di essere raccolti e condivisi.
Perché non hanno valore soltanto privato, sono riflessioni sul senso della giustizia, sulla memoria, sul tempo che passa e ci chiede di essere capaci di lasciare andare, sull’importanza di avere uno sguardo positivo sulle cose. Così, non senza difficoltà, l’ho convinta a registrare un podcast, che pensavo potesse uscire intorno al 17 maggio, quarantanovesimo anniversario dell’omicidio di mio padre.
Poi, mercoledì mattina, la notizia dell’arresto in Francia di quel gruppo di ex terroristi condannati per reati di sangue, che a Parigi avevano trovato da decenni accoglienza e coperture, mi ha spinto a concludere il nostro dialogo, che potete ascoltare qui, partendo proprio dall’attualità e ad anticiparne l’uscita pensando che le sue parole potessero essere una risposta – la sua risposta- ai tanti sentimenti che questo arresto ha smosso tra le persone.
Abbiamo parlato del valore della giustizia, anche quando arriva in grande ritardo, della verità storica, ma soprattutto di come si fanno i conti con qualcosa che continua a visitare i sogni, anche dopo mezzo secolo. Per mia madre, Gemma Capra, la vita ha preso una nuova strada dopo la morte di mio padre, e una ancora diversa dopo la pubblicazione del suo necrologio. Ecco alcuni passaggi del nostro incontro, questa volta non davanti a un caffè, ma a due microfoni.
Mario: «Hai detto che la memoria cammina, ha le gambe. E partiamo da quel necrologio particolare che apparve sul Corriere della Sera. Che cosa diceva?».
Gemma: «Il necrologio erano le ultime parole di Gesù sulla croce e cioè “Padre, perdona loro” rivolgendosi ai suoi assassini “perché non sanno quello che fanno”.
Ecco, io in quel momento non sarei riuscita a scegliere una frase del genere e quindi l’ha scelta per mia mamma, tua nonna, che era una donna di grande fede. Io però, quando lei me l’ha proposta, l’ho accettata molto volentieri, pensando che era giunto il momento di spezzare questa catena di odio, di rancore e di violenza, con una frase d’amore. E quindi ho accettato di scriverla».
Mario: «L’hai accettata ma poi tu come hai vissuto quei primi anni? Io ero così piccolo che mi ricordo solo i dettagli, tu che piangevi con la testa tra le mani alla scrivania, noi che andavamo per la strada e c’erano i fotografi che ci inseguivano».
Gemma: «È stato un periodo veramente difficile, molto difficile. Siamo andati ad abitare a casa dei nonni e avevamo comunque tanto affetto, l’affetto dei miei fratelli, le mie sorelle, l’affetto delle persone care e quindi riuscivamo comunque anche a ridere. Questo sì, io me lo ricordo. Ecco, si viveva. Se tu ti ricordi, io ho scelto da subito di farvi vivere non nel rancore e nell’odio.
Poi io mi sono messa a insegnare religione alla scuola elementare e devo dire che, insegnando ai bambini, che sono una cosa meravigliosa, spontanei, avevo la sensazione quasi di tradirli. Perché quando io spiegavo il Vangelo o parlavamo dell’amicizia, del rispetto, del perdono, io poi avevo la sensazione a volte di tradirli. Io gli insegno il perdono ma io in realtà assolutamente non ho perdonato perché tu scopri che il perdono non lo dai con la testa, con l’intelligenza, lo dai solo col cuore e quindi non puoi prenderti in giro. O sei sicuro o niente da fare insomma».
Mario: «Pensi di essere arrivata dove volevi arrivare?».
Gemma: «Penso di sì. Ho dei momenti ancora magari difficili. Però io volevo arrivare a pregare per loro e io riesco a farlo. Ogni giorno nelle mie preghiere, io prego perché loro abbiano la pace nel cuore. Questa cosa mi dà pace, mi dà serenità, mi dà anche gioia e io ci tengo a dire che il perdono non è una debolezza. Voglio dirti che il perdono è una forza, ti fa volare alto».
Mario: «Tu hai avuto il coraggio, non senza alcune critiche, di risposarti, di darci un padre, che è stato un passo fondamentale, così è arrivato Tonino, Tonino Milite, che era un tuo collega di scuola, maestro di scuola elementare, pittore e poeta. Si può ben dire che ci hai fatto un gran regalo perché per quanto tu facessi, non è che fossimo bambini allegri».
Gemma: «No, le foto tue poi… Gli altri forse già di più, ma le foto tue erano proprio di un bambino triste».
Mario: «E invece Tonino ha colorato le nostre vite. Ci ha fatto ridere ci ha fatto fare la lotta, ci ha ridato anche quello che significa un padre, con tutto quello che ne consegue. Anche gli scontri. Io ricordo nella mia adolescenza scontri epici con Tonino. Però la storia di Gigi ha continuato a essere in te in un certo senso tutti i giorni. Come hai fatto a gestire le due cose? Come ha fatto Tonino?».
Gemma: «Tonino è stato veramente generoso perché lui ha abbracciato la nostra causa. Per cui ci ha seguito nei processi, ci ha aiutato quando dovevamo fare qualche intervista, ci è stato veramente vicino e quindi è stato importantissimo per noi.
Ci siamo sentiti anche appoggiati e poi lui ha portato una ventata di giovinezza, anche se giovani eravamo, e ha tolto quel senso di cupo dalla nostra casa, vi ha fatto ridere, ha inventato un sacco di giochi, è stato importante. Io, ovviamente ho continuato a essere la signora Calabresi, anche quando ero con lui e dicevo Milite. Ricordo un giorno, quando mi presentarono come la signora Calabresi, e quando venne il suo turno lui disse: “Io sono il fantasma”».
Un passaggio fondamentale del suo racconto sono gli incontri con Licia, la vedova di Giuseppe Pinelli, avvenuti a Roma e a Milano, l’ultimo grazie al presidente Mattarella nel giorno del cinquantesimo anniversario della strage di Piazza Fontana.
Gemma: «Ci siamo salutate, ci siamo prima date la mano, ci siamo guardate e poi dopo ci siamo abbracciate e io l’ho fatto con tanto amore. Ho pensato che anche in quella casa, un giorno, il papà non è più rientrato e che quindi quel dolore lì ci accomunava. Ecco perché potevamo… Anche se due vite diverse, ecco perché potevamo abbracciarci, capirci. E la vedova Pinelli mi ha detto “Peccato non averlo fatto prima” una frase bellissima.
Poi ho incontrato le figlie a volte nella Giornata della Memoria e ultimamente, proprio vicino a casa mia, in bicicletta, ho incontrato una delle figlie. Non potevamo abbracciarci, perché avevamo le mascherine, però ci siamo salutate con molto affetto».
Alla fine della registrazione del nostro podcast, mia madre si è accorta che nello studio c’era una batteria, allora ha cominciato a muovere le mani nell’aria come se stesse suonando, così ho scoperto che a 17 anni, con il suo primo stipendio, andò da Ricordi a Milano e comprò una batteria. La regalò a suo padre. La suonavano insieme la sera accompagnando i dischi, soprattutto quelli del suo gruppo preferito: i Beatles. Non ce lo aveva mai raccontato.
2 - "CARO FIGLIO, SONO IN PACE HO SCELTO IL PERDONO MA ORA SPERO NELLA VERITÀ"
Estratto dell’articolo di Mario Calabresi per "la Repubblica"
(…) Mario : Ti avevo chiesto di fare questa intervista per l' anniversario del 17 maggio, volevo ragionare con te su questo mezzo secolo, su tutto ciò che ci hai insegnato e sul percorso di pacificazione che ti sta a cuore. Adesso però la cronaca è tornata prepotentemente nelle nostre vite. A Parigi è stato arrestato Giorgio Pietrostefani, insieme ad altri condannati per terrorismo. E allora non posso che partire da lì e chiederti qual è la prima sensazione che hai avuto quando hai sentito la notizia?
Gemma : Un fulmine a ciel sereno, una cosa che non mi aspettavo più.
Mario : Ma che sentimento prevale in te in questo momento?
Gemma : Molteplici sono i sentimenti. Prima di tutto un chiaro e forte segno di giustizia e anche di democrazia. Certo, avrebbe avuto un altro senso per la nostra famiglia se fosse accaduto una ventina di anni fa. Tuttavia, penso che, da un punto di vista storico, quello che è successo sia veramente fondamentale.
Mario : Credo anche io che con questo gesto sia stata finalmente sanata una ferita tra l' Italia e la Francia, una ferita che era aperta da troppo tempo. Anche perché la dottrina Mitterrand non è stata sconfessata da Macron con questi arresti, ma finalmente interpretata correttamente. Perché il presidente francese aveva previsto l' accoglienza e l' asilo in Francia per chi lasciava l' Italia, ma non per chi si era macchiato le mani di sangue. E quindi oggi questo è stato ribadito.
Gemma : È per questo che dico che è un segno di democrazia, perché la Francia, che ha ospitato e tutelato degli assassini per troppi anni, oggi finalmente riconosce e accetta le sentenze dei tribunali italiani. Ricordo che durante il processo di revisione a Mestre tuo fratello Paolo mi disse: "Guarda bene Pietrostefani perché da domani non lo vedrai più". Era chiaro a tutti che sarebbe scappato in Francia.
Mario : Però hai detto che dentro di te ci sono molteplici sentimenti. Il primo è un senso di giustizia. Cos' altro senti, cos' altro provi?
Gemma : Oggi io sono diversa, ho fatto un mio cammino, ma credo che anche loro non siano più gli stessi. E tra l' altro sono anziani e malati.
Mario : Cosa significa per te questo?
Gemma : Che oggi non mi sento né di gioire né di inveire contro di loro, assolutamente.
Mario : Ti aspetti qualcosa adesso?
Gemma : Non voglio illudermi ma penso che sarebbe il momento giusto per restituire un po' di verità. Sarebbe importante che a questo punto delle loro vite trovassero finalmente un po' di coraggio per darci quei tasselli mancanti al puzzle. Io ho fatto il mio cammino e li ho perdonati e sono in pace. Adesso sarebbe il loro turno.
Mario : Come hai fatto a fare questo cammino?
Gemma : Io ho scelto da subito di farvi vivere non nel rancore e nell' odio, ma ho fatto il possibile per darvi la gioia di vivere e di credere ancora nell' umanità, nell' uomo e nelle persone, nonostante tutto.
Mario : Avevi 25 anni e vedevi l' uomo che amavi e che consideravi una persona per bene, che non c' entrava nulla con le accuse che gli venivano mosse, che subisce questa campagna di linciaggio, le minacce, le scritte sui muri, le lettere minatorie. Poi viene ammazzato sotto casa. Come facevi ad avere ancora fiducia negli esseri umani?
Gemma: Io non l' ho mai persa, devo dire la verità. Perché quelle persone lì non rappresentavano l' umanità, non rappresentavano l' Italia. Io ho ricevuto centinaia e centinaia di lettere di solidarietà, lettere di affetto, io non mi sentivo sola.
Per me la minoranza erano quelli che avevano deciso di ucciderlo, erano quelli che per un' ideologia sbagliata hanno costruito a tavolino un mostro al quale non corrispondeva assolutamente Gigi.
Mario: Incredibile la solidarietà che ho visto. Quasi cinquant' anni dopo la gente ti ferma ancora al mercato.
Gemma: Sì, è bello. Mi ha aiutato a vivere questo. Io dico sempre "Non ce l' ho fatta, ce l' abbiamo fatta". Perché io ce l' ho fatta grazie a tutte le persone che mi vogliono bene, ancora oggi.
(…)
Mario: Ma torniamo a te, quante volte ti viene in mente quel giorno di 49 anni fa?
Gemma: Ci sono dei periodi che mi viene in mente spessissimo. Ho dei sogni ricorrenti. Sogno che lui viene ucciso. Per esempio, l' ultimo: siamo al ristorante e si sente tipo un boato in lontananza e io dico "è una bomba, scappiamo" e lui dice "ma no, ma stai tranquilla, aspetta".
Poi, a un certo punto, io so che sono fuori, all' aperto, come se fossi scappata e c' è un altro boato forte, una bomba che distrugge tutto e lui muore. Oppure noi scappiamo, siamo rincorsi, però già sappiamo che lui non ce la farà. Non so, c' è questa sensazione nel sogno. Ecco, questo non mi ha mai abbandonato, poi magari per dei mesi non lo sogno e poi ritorna.
Mario: E c' è lui? Te lo ricordi bene?
Gemma: Sì sì sì, c' è lui. Lo rivedo. Lui è giovane, è questo il guaio. Però nel sogno sono giovane anch' io.
Mario: cosa ti sta più a cuore oggi?
Gemma: Voglio lasciare a voi una testimonianza positiva della vita. Io vi dico una cosa: senz' altro è stata una vita pesante, ma sapete che non la cambierei? Perché è stata una vita intensa, ricca e piena di affetti, di amore, di gente che mi vuole bene. Eh, se io guardo gli altri, no, non mi cambierei. Qualche volta mi viene un po' di rabbia quando vedo le persone anziane ancora insieme per mano, allora lì ho un attimo di debolezza, ma è bene così, è bella così. La mia vita comunque è stata bella.
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Una collezione che celebra tre agrumi italiani: Bergamotto di Calabria, Cedro di Diamante e Mandarino di Sicilia. Un imprenditore illuminato, il più importante naso italiano e l’azienda calabrese leader nell’estrazione e lavorazione di oli essenziali di bergamotto e agrumi italiani. Scopriamo insieme, con i tre protagonisti, la White Collection di Perris Montecarlo: ovvero gli agrumi come non li avete mai sentiti…
GIAN LUCA PERRIS FOUNDER E DIRETTORE CREATIVO DI PERRIS MONTECARLO
Come nasce White Collection di Perris Montecarlo? Avevo in mente da tanto tempo di creare una collezione che parlasse delle materie prime italiane. L’occasione è nata quando il Sig. Capua mi ha presentato delle materie prime eccezionali: primo tra tutti il bergamotto spugna, che ha caratteristiche qualitative e olfattive uniche. Capua 1880 non é solo tradizione ma tanta innovazione, è per questo che ho dedicato la prima collezione delle materie prime Italiane agli agrumi e a Capua 1880.
Prima memoria olfattiva legata agli agrumi. L’odore del mandarino. E’ un frutto che mi piace tantissimo, piace credo a tutti i bambini, perché é più dolce di tanti agrumi e mi ha accompagnato per molto tempo. Ad esso sono legati i ricordi di infanzia e soprattutto di scuola, quando giocavo con la buccia e spruzzavo l’olio negli occhi dei compagni.
Prima fragranza agrumata. La mia famiglia é proprietaria di Houbigant, storica maison francese di profumi, e per tanto tempo ho indossato il loro Fougere Royale, che ha inaugurato la famiglia dei fougère. Il bergamotto é il principe di quel profumo insieme al geranio e la lavanda. Un odore elegantissimo.
La White Collection di Perris Montecarlo celebra tre agrumi. Sì, Bergamotto di Calabria, Cedro di Diamante, Mandarino di Sicilia, che nascono da una collaborazione fatta esclusivamente con materie prime di Capua 1880, una delle più grandi eccellenze che abbiamo in Italia. Oltre il 90% del bergamotto usato nella profemeria mondiale proviene dalla Calabria, e Capua è il più grande produttore di olio essenziale di bergamotto al mondo.
Da chi sono state create le fragranze? Da me e Luca Maffei. Entrambi abbiamo inziato a formulare su tutte e tre le materie prime. Luca ha scritto subito una formula sul cedro che mi è piaciuta tantissimo. Il profumo al mandarino è una mia formula: ovvero l’interpretazione della maturazione del frutto sull’albero. Sono partito dalla frazione verde e fiorita che fa Capua per portarlo poi a diventare maturo e dolce nel fondo, passando per la frazione verde completa. Si sente un mandarino che parte verde e fiorito per poi diventare completo, maturo e solare, era l’idea che avevo in mente dall’inizio. Per Bergamotto di Calabria sia Luca che io abbiamo provato a fare cose ma non ne venivamo a capo. Il bergamotto è usato tantissimo nella profumeria, ma mai come attore protagonista, per via della sua volatilità. L”idea era prendere le caratteristiche bergamotto spugna e trasportarle anche nella vita del profumo. Avevo scritto una formula che in certe cose mi piaceva ma non riusciva ad esprimersi come volevo, a questo punto Luca si è offerto di rivederla e di interpretarla e ha chiuso il progetto, che é cofirmato da entrambi. Luca e io siamo molto amici e quando lavoriamo insieme ci scambiamo informazioni, nel caso del bergamotto é una formula iniziata e chiusa da un’altra persona e questo non è facile, non mi è mai successo.
Ci descrive le tre fragranze con degli aggettivi? Bergamotto di Calabria é la freschezza ed eleganza. Spezie, iris, muschi sul fondo, una parte legnosa gli conferiscono quell’eleganza tipica di questa nota. Mandarino di Sicilia fa pensare all’estate, anche se un agrume invernale, perché é luminoso con note fresche e agrumate, ma anche dolci e fruttate. Il cedro ha la freschezza ed eleganza tipica degli agrumi ma è privo di acidità. Ha freschezza ed eleganza ed una dolcezza inaspettata.
Come li indosserebbe? Bergamotto di Calabria é l’abito elegante estivo. Mandarino di Sicilia con un abito casual. Cedro di Diamante con la sua dolcezza sensuale lo vedo con uno smoking per via della nota fumosa nell’accordo e la parte speziata che da carattere, tra tutti è quello secondo me più maschile.
LUCA MAFFEI, NASO E AD DI ATELIER FRAGRANZE MILANO
Ricorda la prima volta che ha sentito il bergamotto? La prima volta che ho sentito il bergamotto naturale è stato alla scuola di profumeria, quando mi hanno insegnato a riconoscere le materie prime della profumeria, ed era il bergamotto italiano di Capua.
E’ la prima volta che hai usato il cedro per realizzare un profumo? Sì. E’ stato amore a prima vista. La prima volta che l’ho sentito è stato un paio di anni fa, ero in Osmothèque per una conferenza sulle materie prime usate nei profumi storici di Houbigant e ne sono rimasto molto colpito. Ha una sfumatura olfattiva che nessun altro agrume ha.
Che apporto danno gli agrumi ad una fragranza? Aprono le note di testa e conferiscono freschezza, luminosità, ed energia. Il limone e la limonetta per esempio sono esplosivi. Il limone da una carica fresca, energizzante e frizzante. Il bergamotto per me è luce, è come se desse un bagliore alla nota di testa, la illumina. Arancio e mandarino conferiscono dolcezza, morbidezza, rotondità, sono estremamente confortevoli. Il cedro mi piace tanto perché ha sia la parte frizzante nella scorza ma da anche una scarica di freschezza.
Quale tra gli agrumi consumi regolarmente a tavola? Il mandarino mi piace da morire se usato nei profumi femminili, per dare dolcezza legato alle resine come il benzoino, ma non mi piace per niente come frutto perché non amo il suo gusto. Consumo regolamente il pomplemo, nei succhi o nelle insalate, ma nei profumi mi delude sempre perchè rende poco.
Quale tra tutti gli agrumi è più difficile da lavorare? Il bergamotto sembra il più semplice ma è molto difficile da lavorare, soprattutto nel caso di Bergamotto di Calabria. Volevo che ce ne fosse dentro il meno possibile, quasi il 50 per cento della composizione, e che uscisse l’aspetto naturale, ma é stato difficilissimo a causa di questa sua particolarità della nota di testa, quando è così sovradosato e difficile da far sentire in maniera corretta.
Cosa puoi dirci della fragranza Cedro di Diamante? Non succede quasi mai ma qualche volte capita che senti una materia prima e ti trasporta subito olfattivamente. Mi ha ispirato ed è venuto bene quasi alla prima prova. Il cedro con la sua nota frizzante mi ha portato ad usare il ginger fresh, gustativo, il cardamomo per un contrasto speziato, il pepe di Sichuan che con la sua nota limonosa spinge l’aspetto della nota verde della scorza, e poi dei muschi per dare volume. Ho notato che il cedro gonfia i muschi, ad alta concentrazione amplifica il volume dei muschi.
Ci descrive Cedro di Diamante con degli aggettivi? Un posto caldo, marino, possibilmente mediterraneo, in una giornata afosa, Cedro di Diamante è una secchiata ghiacciata che ti rinfresca.
Come indosseresti Cedro di Diamante? Con un abito sartoriale dai toni chiari.
LUCA BOCCA OZINO,SALES ACCOUNT MANAGER DI CAPUA 1880
Ci parla del bergamotto a spugna? Cosa ha di diverso? E’ un tipo di estrazione storica che oggi non si fa più, tranne in casi eccezionali. Le quantità prodotte sono minime e la qualità dell’olio essenziale è diversa da quello classico. Tutto viene fatto a mano da due signori molto anziani, i fratelli Amodeo, gli unici ancora in grado di farlo. La frutta é tagliata in loco, il bergamotto viene spolpato, per evitare il contatto con il succo, e la scorza viene messa in acqua. La fase successiva vede schiacciare la scorza su una spugna di mare precedentemente fissata su una barra di legno. La buccia schiacciata sulla spugna di mare rilascia l’olio essenziale che viene assorbito dalla spugna, una volta che questa si riempie, gocciola in un coppo di trerra cotta. Grazie all’acqua che è rimasta nella scorza si forma una doppia fase che viene separata manualmente soffiando sulla superfice con la bocca. L’essenza rimane in alto e l’acqua per via del peso scende in basso. L’olio viene fatto colare poi in un altro contenitore di terracotta. La qualità dell’olio essenziale estratto con questo metodo è altissima e l’odore è più vicino al frutto, in quanto non entra in contatto con l’acciaio, come nell’estrazione classica fatta delle macchine industriali, che comunque sono aggressive. L’odore risulta molto più delicato, meno pungente, e secondo i commenti dei profumieri che hanno avuto modo di sentirlo è già un profumo pronto.
Il bergamotto a spugna é un’eccellenza tra le eccellenze che avrà un costo diverso immagino. Il costo è almeno quattro volte superiore all’essenza pura e normale ma perché tutto il processo è fatto a mano, e inoltre se ne possono produrre piccole quantità.
Ci parla del cedro? Il cedro viene estratto in modo classico, e proviene da Diamante, una delle più grandi piantagioni di cedro in Calabria. Esistono due qualità di cedro: amaro e dolce. Amaro lo usano gli ebrei per la festa dello “Sukkòth” (Festa delle capanne) che si celebra a ottobre e rappresenta per gli ebrei di tutto il mondo l’avvenimento religioso più importante. La frutta in questo caso viene scelta direttamente sull’albero perchè deve avere caratteristiche particolari. Al contrario del cedro amaro quello dolce, usato in profumeria, ha una buccia più liscia e meno rugosa, e come se fosse un limone geneticamente modificato, è gigante può arrivare alla dimensione di una palla da rugby. Noi usiamo cedro calabrese e siciliano. E’ dolce ma mantiene comunque l’aspetto fresco e agrumato e se ne produce poco per via della disponibilità limitata.
Perché disponibilità limitata? Al contrario di limoni, arance e mandarini non esistono tante piantagioni di cedro, è un frutto che non si consuma a tavola se non in Calabria. Meno piantagioni vuol dire meno disponibilità e un costo maggiore rispetto ad altri agrumi.
Ci parla invece del mandarino? Abbiamo tre tipi di mandarini: verde, giallo e rosso. il mandarino verde e giallo sono lo stesso frutto, raccolto nello stesso periodo, quello che cambia è il metodo di estrazione che da origine a due due prodotti diversi. Entrambi si raccolgono a fine settembre inizio ottobre, quando il frutto è ancora piccolo e verde. Un’estrazione vede grattare la scorza per cui l’olio ottenuto ha il colore verde, della buccia e della clorofilla e un odore verde, fresco, pungente. L’altro tipo di estrazione vede spremere il frutto, l’essenza ottenuta è quella di mandarino giallo e ha un odore succoso e fruttato. Il mandarino rosso é raccolto a fine maturazione, a dicembre, e l’olio si estrae schiacciando il frutto, l’odore é zuccherino e fruttato tipico di fine maturazione. I mandarini verde e giallo provangono dalla Calabria, quello rosso dalla Sicilia.
White Collection di Perris Montecarlo: gli agrumi come non li avete mai sentiti Una collezione che celebra tre agrumi italiani: Bergamotto di Calabria, Cedro di Diamante e Mandarino di Sicilia.
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Fabiana Dadone, biografia della ministra per le politiche giovanili
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Fabiana Dadone, biografia della ministra per le politiche giovanili
Fabiana Dadone è una delle donne politiche più chiacchierata del momento.
Infatti, nel corso degli ultimi due anni ha saputo farsi conoscere, tanto da ottenere (lo scorso febbraio) il titolo di Ministro per le Politiche Giovanili nel governo Draghi. Un traguardo molto importante per la Dadone, una persona professionale e con un buon bagaglio culturale.
Nata a Cuneo il 12 febbraio del 1984, ha 37 anni ed è laureata in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Torino. Sin da giovanissima si è imbattuta nel mondo della politica, diventando una deputata del Movimento 5 Stelle.
Fabiana Dadone deputata
La carriera di Fabiana Dadone comincia a tutti gli effetti nel 2013, anno in cui vinse le parlamentarie del M5S, diventato deputata della XVII legislatura della Repubblica Italiana.
In quel periodo divenne anche capogruppo della I Commissione, entrando a far parte del Comitato permanente per i Pareri, della Commissione Parlamentare di Inchiesta e della Giunta per le Elezioni. Due anni dopo invece, divenne il portavoce del Movimento 5 Stelle presso la Camera dei Deputati.
Da quel momento in poi, la Dadone ha trattato numerose questioni politiche, come ad esempio il MOSE, il No-TAV e la legge elettorale Italicum, alla quale si è sempre dichiarata contraria.
Nel 2018 vince nuovamente le Parlamentarie del M5S, confermando la sua presenza per la Camera dei Deputati. E non molto dopo, la deputata entrò a far parte della giunta del Comitato parlamentare di controllo, in merito all’attuazione del trattato internazionale di Schengen.
Durante l’emergenza Covid invece, Fabiana Dadone si occupa dello smartworking, imponendolo (per direttiva ministeriale) alle varie amministrazioni italiane, onde evitare la cessazione dei servizi pubblici.
Insomma, dagli esordi ad oggi, la deputata del M5S ha fatto tantissima strada. Le sue competenze in ambito tecnico e amministrativo l’hanno portata a grandi traguardi. Tant’è che attualmente (come vi abbiamo già detto in precedenza) detiene il titolo di Ministro per le politiche giovanili del Governo Draghi.
Fabiana Dadone vita privata
Cosa sappiamo della vita privata di Fabiana Dadone?
Pur essendo una persona molto attiva nel mondo social, la Ministra risulta essere abbastanza riservata. Di conseguenza, si sanno davvero pochissime informazioni in merito alla sfera sentimentale.
Tuttavia, secondo quanto riportato da vari giornali, la Dadone è mamma di due bambini (il più piccolo è nato nel 2020).
Fabiana Dadone 8 Marzo
Fabiana Dadone è una donna con la D maiuscola.
E lo ha dimostrato in un post proprio ieri, in occasione dell’8 marzo. Sulla sua pagina Facebook infatti, ha voluto sfogarsi in merito a tutti gli stereotipi e i pregiudizi che spesso si fanno nei confronti delle donne.
Le sue parole hanno subito fatto il giro del web, così come la sua foto, dove indossa una maglia dei Nirvana e delle scarpe rosse con il tacco. Ecco cosa ha detto in merito:
“Ho 37 anni e sono una “ragazzina” (per questo Paese) ma faccio il Ministro, non sono sposata ma scelgo ogni giorno di stare col mio compagno, ho due figli bellissimi che portano il mio cognome pur non essendo ragazza madre, amo la musica rock pesante ma non mi vesto in maniera “alternativa”, guardo film strappalacrime ma sono emotivamente fredda come il ghiaccio. Sono un ammasso di stereotipi e nel corso della vita mi è stato fatto notare molte volte”.
E ha aggiunto:
“Cara Fabiana, sei così giovane come puoi essere un Ministro? La politica non si addice di più agli uomini? Chi si occupa dei tuoi figli quando sei a Roma? Non sei troppo bassa rispetto a come la TV ti fa apparire? Non sei troppo graziosa per essere presa seriamente? Non sei troppo trascurata nell’abbigliamento per ricoprire ruoli istituzionali?
In questa giornata tanto evocativa e tanto attenta al politically correct, vorrei dire con molta onestà che sul fronte della parità di genere c’è ancora molta strada da fare. Una strada in salita e piena di ostacoli culturali che dobbiamo avere la forza di affrontare con tutta la tenacia che abbiamo nel cuore. Buon 8 marzo a tutte!”
Fabiana Dadone twitch
Come avete potuto ben notare, la deputata risulta molto attiva sui social network.
La sua fanpage di Facebook conta la bellezza di 57 mila seguaci e proprio l’altro giorno ha voluto inaugurare il suo canale Twitch. Ma non è tutto. Qui ha voluto intervistare il campione di Star Craft 2, avviando una vera e propria discussione sul mondo del gaming.
A tal proposito, ha scritto così:
“Mi ritrovo ad essere ministro dei giovani in un Paese nel quale pochissimi sanno che i gamers nel resto del globo sono professionisti, sportivi riconosciuti e italiani come Riccardo sono addirittura campioni del mondo. I giovani vivono in un Paese totalmente separato dagli adulti o anziani anche sul web così ho deciso di aprire un canale #Twitch per avvicinarmi a loro”.
E ha aggiunto:
“Oggi ho ho fatto la mia prima diretta live su #Twitch. L’ho fatta insieme a Reynor (Riccardo Romiti), giovane campione del mondo di #StarCraft2, con una discussione sul mondo del gaming e sulla sua esperienza di giocatore professionista. I consigli di Riccardo e dei gamers in diretta non sono mancati! Li ringrazio, è stata un’ottima esperienza che intendo proseguire come percorso di confronto per fare da collettore tra il mondo dei giovani e quello dei meno giovani”.
Insomma, la Dadone si rivela una persona davvero innovativa, a favore della modernità e dei nuovi mezzi di comunicazione.
Fabiana Dadone twitter
Anche su Twitter Fabiana Dadone risulta essere molto seguita (ha oltre 16 mila followers).
Ogni giorno pubblica vari tweet legati a tantissime questioni, in particolar modo legate ad attualità ed ovviamente politica. Ecco uno dei più recenti:
“La malafede politica rischia di schiacciare gli italiani, non esiste il governo tecnico, è sempre politico. Se qualcuno cerca scuse per manovre lacrime e sangue non troverà il nostro appoggio. Ringrazio il Presidente Giuseppe Conte IT e il Mov 5 Stelle tutto, avanti a testa alta!”
Gran parte dei suoi post si possono notare anche sull’account Instagram (la trovate con il nickname @fabianadadone), dove al momento può contare circa 8000 followers. Ma vista la sua buona capacità di comunicazione, sarà sicuramente un profilo destinato a crescere sempre di più.
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Collaudi
“Si scrive la storia, ma la si è sempre scritta dal punto di vista dei sedentari, e in nome di un apparato unitario di Stato, almeno possibile anche quando si parlava di nomadi. Ciò che manca è una nomadologia, il contrario di una storia.”
G.Delueze e F. Guattari, 1980, Mille Piani, p.59
Domenica scorsa ho effettuato gli ultimi collaudi. Intorno alle 3 del pomeriggio la luce era perfetta. Le traiettorie lontane del sole creavano quei tipici giochi di ombre che si possono catturare solo in questo periodo dell’anno. Forse il Nokia 800 tough non è lo strumento ideale per un loro studio accurato. Il monitor è poco luminoso e, in certe condizioni di luce, la composizione può solo essere immaginata. Nonostante ciò, le linee sbagliate della foto qui sopra mi hanno offerto degli spunti interessanti per la riflessione. Lo scatto infatti ha seguito un solo taglio, dimenticandosi di tutto il resto. C’è un’impercettibile diagonale che dà stabilità a un chiaroscuro su cui sembra proiettarsi la bicicletta, come risvegliandola e rendendola pronta per il prossimo sforzo. Questa linea che fa emergere Angela, simultaneamente, annulla le potenzialità paesaggistiche, le distorce ed appiattisce fino a renderle impotenti o sconclusionate. Vorrei allora partire dall’errore che sostiene questo scatto per sviluppare un’idea di anti-estetica su cui fondare il viaggio ormai prossimo.
Trascorrere molte ore in sella ad una bicicletta rappresenta la possibilità culmine di un sapere non misurabile centrato sul muoversi. Come scrive Ingold: “Colui che cammina acquisisce la conoscenza nell’avanzare. Mentre procede per la propria strada, la sua vita scorre: invecchia e diventa più saggio.” Dedicarsi solo al cammino per lunghe ore della giornata dà quindi la possibiiltà di entrare nella coscienza di questo movimento incessante. Ma il percorso è scandito anche da solidificazioni e da identità in cui si rischia di appiattire la coscienza sul suolo calpestato perdendo la profondità di campo esattamente come descritto nella foto di sopra. La base dello sforzo conoscitivo del camminare riguarda invece il riconoscere, passo dopo passo, come gli errori si agrappano alle linee tracciate e scovare di lì quelle linee prospetticamente sbagliate insieme a quelle che producono una coerenza solo relativa. Nella mia parziale esperienza ho trovato due regole per riuscire a farlo. La prima è che nello scorrere, non deve esserci ambizione ma semplice svolgersi. La seconda è che non c’è crescita, per esempio spirituale, ma solo coscienza del movimento. In questo senso il viaggio in bicicletta sarà una nomadologia e non una storia. Tenendo ferme queste considerazioni vorrei allora proporre alcuni pensieri aggiuntivi sulla nozione di invecchiamento o di conoscenza che si accumula avanzando.
Sviluppare qualche idea su questo tema mi sembra quasi necessario visto che nei mondi prodotti dalla pandemia si stanno palesando divergenze generazionali che frammentano il corpo sociale dentro percorsi di isolamento segmentari che, fino a poco tempo fa, erano soprattutto taciuti o non così evidenti. Cosa voglia dire prendere le distanze dai “vecchi” mi pare invece un tema perfetto per una nomadologia che si nutre della produzione del desiderio. Nel corso degli anni ho osservato l’invecchiamento come un fenomeno tanto biologico quanto sociologico ed ho poi reso “l’anziano” la base metodologica dei miei tentativi etnografici di diverse parti del mondo. Da ventenne ero solito interrogare gli anziani sulle origini e sul cambiamento. Chiedevo loro di raccontarmi storie fondative dei luoghi in cui mi trovavo e attraverso le loro parole raccoglievo le memorie di epoche passate per costruire griglie interpretative del presente. Mettevo assieme racconti orali che mischiavano miti e nostalgia, eventi storicizzabili e testimonianze e li usavo per descrivere e spiegare certe concezioni sull’attulità socio-politica, tanto “della nazione” quanto “del quartiere o della città”. I miei personali percorsi di comprensione di luoghi cosiddetti “senza storia” o raccontati solo oralmente come alcuni villaggi chiapanechi o una cittadina nepalese o una favela colombiana si fondavano soprattutto sul “racconto degli ancestri” e sul loro accompagnamento quotidiano.
Successivamente, questo sforzo è mutato. Durante una fase più breve ma ugualmente importante, mi sono concentrato sulla raccolta delle storie dell’attualità, studiando “l’infosfera” che prendeva forma con il progressivo affermarsi delle reti sociali e della loro influenza sulle soggettività, in luoghi costruiti sui bordi dei grandi processi della storia e delle macro-narrazioni sul mondo. In Colombia, ho per esempio seguito la nascita di alcuni movimenti di opinione contro la corruzione e per la pace su twitter e facebook partecipando poi agli eventi sulle strade che venivano organizzati. In questi casi fu facile osservare la divergenza generazionale e di classe sia delle forme di partecipazione sia di quelle di lotta. La digitilizzazione delle proteste aveva però anche reso lontane le voci ancestrali. Il loro racconto era improvvisamente invecchiato, ottimo per venire raccolto dentro un libro di antropologia culturale, letto forse da una nicchia ristretta di intellettuali, ma pur sempre archivio di un mondo ormai troppo marginale, destinato a mutarsi radicalmente nello scorrere dei tempi. Rispetto al primo momento di analisi si palesò quindi un contrasto marcato tra la modernità digitale e il romanticismo nostalgico dei piedi e della parola a voce (per citare indirettamente Lowy di “Rivolta e Malinconia”). L’inattualità del “racconto degli ancestri” trovava uno svolgersi solo dentro la più generale richiesta di riconoscimento etnico. Qui quel racconto veniva culturalizzato e reso quasi folclorico così da farne fonte utile del diritto etnico che istituzionalizzava le lotte per le terre o per la casa. Il cimarronaje, il movimento delle autonomie africane, diventava quindi un ricordo del passato. Il sogno di una rottura radicale con il colonialismo e con lo schiavismo veniva ricomposto. Le sue forme di lotta, le cosidette “vie di fatto” come l’occupazione di terre o i blocchi stradali, erano ormai chiamate “vecchia scuola”, storia passata che doveva fare spazio alle nuove lotte digitalizzabili da dirigere ad un pubblico più ampio e soprattutto più giovane.
Prendendo spunto da questa anzianità delle forme di lotta, in ultimo ho osservato proprio l'invecchiamento delle idee, come se posizioni politiche e forme di militanza possedessero un loro svolgersi biologico che va via via modificandosi non tanto per la mutazione dei contesti o delle ragioni delle lotte, ma perchè a cambiare sono le persone stesse che “invecchiando” ripensano e reinterpetano contesti e ragioni, producendo cammini meno includenti: di imborghesimento per alcuni o di ricerca di stabilità e di coerenza per altri. Per qualche tempo, sempre in Colombia, seguii le gesta di un leader popolare del movimento afro, da giovane vicino ai cosidetti raizales, tra i più radicali e per certi versi anarchici tra gli attivisti afro-colombiani. La sua personale storia politica era articolata intorno a relazioni di amore ed odio con la guerriglia che più aveva inteso la questione etnica nel pacifico colombiano, l’ELN. Le sue lotte giovanili e le sue occupazioni di terre contro i padroni bianchi lo avevano reso comunque molto popolare tanto da permettergli poi, in età adulta, di diventare un personaggio richiesto anche dalle ammnistrazioni pubbliche nazionali per veicolare progetti di pace dove un tempo conquistava terre ottenendone diritti di proprietà comunitari. La sua burocratizzazione gli aveva però fatto perdere seguito in un percorso condiviso con molti altri leader che una volta al potere assumevano una prospettiva governativa diventando “riformisti” ma rendendo le loro parole improvvisamente vuote, per dirla con Lacan, alle orecchie dei più giovani o della base. C’era quindi un nuovo piano conflittuale che interesecava le generazioni e che non riguardava più le forme delle lotte ma le modalità della rappresentanza. Ciò riguardava soprattutto la solidificazione di percorsi identitari che risultarono utili a monetizzare e a sostenersi economicamente ma che alla lunga produssero fenomeni di appiattimento su linee prospettiche troppo relative, proprio come quella della foto, producendo impotenza invece che un migliore dispiegamento delle forze in campo.
Da quando vivo in Laos, dove per le strade e tra le case sventolano con grande dignità le bandiere comuniste, ho aggiunto un altro piccolo tassello alla comprensione della vita biologica delle idee. Cosa significano infatti la falce e il martello oggi? Il comunismo laotiano è un capitalismo di Stato misto alle spinte locali a trazione familistica. Non sembra produrre alcuna visione alternativa del mondo, ma articola un’organizzazione delle forze e delle risorse che aspira, secondo i suoi detrattori, a predare le ricchezze del paese mentre, per i suoi sostenitori, a creare crescita economica. Da un punto di vista più prettamente antropologico però, le generazioni nate in epoca di pace vivono dentro un generale oblio del passato rivoluzionario del loro paese. Una delle ragioni è che questo passato non fu di festa e liberazione, ma riguarda anni di traumi prolungati spesso vissuti dentro caverne usate per proteggersi dai bombardamenti. Oggi capita che molti vocaboli associabili al periodo guerrigliero siano entrati dentro un gergo militare che ai più giovani ricorda rapporti di potere invece che la liberazione coloniale. In parte ciò è dovuto proprio alla mancanza del “racconto degli ancestri” molti dei quali sono deceduti durante la guerra o pochi anni dopo, durante la carestia che ne seguì. Oggi a sostituirlo, ci pensano gli apparati connettivi digitali. Esiste cioè una vuoto pedagogico nel quotidiano solo parzialmente e, a volte goffamente, riempito dalla propaganda del Partito. In estrema sintesi, le nuove generazioni sono affidate ad istituti educativi, agli smartphone e sempre meno ai loro nonni. Tutto ciò si è innestato sui processi di modernizzazione che come in altri luoghi del mondo hanno prodotto un senso di rapido cambiamento sostenuto non tanto da un generale accrescimento del benessere ma dall’esperienza di paesaggi che mutano nel corso di pochi anni. Ecco mi piacerebbe raccontare questa velocità dei paesaggi nel viaggio che inizierà presto.
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