#Ricordi di un Tempo Perduto
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L’algoritmo e l’amore
L'universo mi parla, o meglio il web mi parla. O meglio ancora, l'algoritmo dei social mi parla. All'inizio erano tutti video sul dolore di un amore perduto, il senso della perdita, la solitudine e la tristezza. Poi, pian piano, i video e le frasi si sono evoluti, trasformati. Tutti dicono la stessa cosa: l'amore tossico siamo noi ad alimentarlo, così legati all'idealizzazione di un amore che non c'è, delle sensazioni che desideriamo ardentemente avere, che oltre ogni logica attribuiamo a chi probabilmente, o sicuramente, è a anni luce da noi, ormai da molto tempo. Tutto questo, nella realtà, è un filo rosso che ti lega e si sostiene su un affetto vero (se no, davvero, saremmo una manica di pazzi, tutti da TSO - ndr) ma è concentrato su qualcosa che forse è stato ma è ormai disperso e legato ai nostri ricordi edulcorati, a cui ci stiamo aggrappando disperatamente. Ti dirà, semmai ci sarà l'occasione: "Ma io ti ho amato, sei tu che mi hai respinto" e io dovrei rispondere, pensando alla vita insieme: "Quando? Dove? Come me lo hai fatto capire?" Perché se tiri le somme, le cose brutte, reali, che hai vissuto sulla tua pelle, battono di gran lunga quelle belle. Solo che noi (io) ci aggrappiamo disperatamente a quella sensazione bella che abbiamo vissuto con un'intensità enorme, maggiore di quella che potevamo sostenere e che si è frantumata nella disillusione di un arrivederci, se non di un addio (ti dici arrivederci perché lo sai che questo tuo/vostro rapporto malato è come la marea o la risacca e prima o poi ritorna sempre o ti si ripropone come un minestrone avariato, che, nonostante tutto, ti rifarà sentire lusingato e ricadere nelle trame di sempre)
Vero @agirlinamber ?
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"Noi siamo fatti anche da tutti i nostri innumerevoli morti, da tutte le perdite che hanno scavato nella nostra anima dei vuoti, da tutte le persone significative che abbiamo incontrato e poi perduto: maestri, amori che sono finiti, amici che abbiamo perso. Tutto quello che è stato e che non è più, che ha marchiato la nostra vita e si è perduto nel tempo, resta in qualche modo ancora qui perché lo portiamo dentro noi stessi". Al punto che "chiunque di noi è circondato da assenze presenti". La lectio magistralis su 'Il lavoro del lutto' tenuta da Massimo Recalcati, psicoanalista tra i più noti in Italia, appare come esplorazione, tanto necessaria quanto inattuale, delle terre incognite aperte dal trauma della perdita.
Ma, avverte Recalcati, non esiste lavoro del lutto rapido: "Ci vuole tempo, memoria e dolore per trasformare un lutto in una rinascita". Una memoria involontaria, di cui non siamo mai padroni, dal momento che "sono i ricordi che si impongono, che mi prendono, al punto che a volte facciamo esperienza di non poter dimenticare un volto, arrivando a vederlo ovunque, sostituito ai volti degli altri".
#Recalcati #lutto #morte #perdita
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AEDES DE VENUSTAS - CAFÉ TABAC - Eau de Parfum - Novità 2024 -
New York. The ‘90s. A crazy way of life. Call it lucky who had the chance to witness that time at Café Tabac. The role this lounge bar played in NYC nightlife was just amazing. Everybody was there. This legendary spot revives nowadays in a scent.
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New York nei primi anni ‘90. Palcoscenico di straordinaria vitalità, esuberanza creativa, contaminazioni culturali e incredibile vortice di eccessi e contraddizioni.
Aedes de Venustas, che a New York deve la genesi di un eccezionale percorso nell’universo artistico delle fragranze, celebra questo tempo formidabile restituendo alla memoria un luogo cult delle frenetiche notti nella grande mela, il mitico Café Tabac.
Qui si dava appuntamento il gotha della moda, dell’arte, dello spettacolo.
Warhol e Madonna, Kate Moss con Johnny Depp, Di Caprio con la trinity supermodels Naomi, Linda, Christy assidui frequentatori del piano superiore, off limits ai più, dove, come in un esclusivissimo speakeasy si consumavano cocktail e sostanze proibite.
Un involucro di follia, passioni, desideri, felicità effimera e irresistibili tentazioni.
Café Tabac, ultima creazione del brand, celebra la sensualità palpabile che emerge da quel luogo perduto. Bertrand Duchaufour scatta un’istantanea olfattiva così fedele e minuziosa, con le sue infinite meticolose piramidi di aromi, ne coglie in nitido primo piano l’atmosfera, i vapori ardenti del tabacco, dolce, secco, caldo, resinoso, la pungente sottolineatura delle spezie, cardamomo e chiodi di garofano, intinti in un’amalgama umida e succosa di frutti e fiori, davana, mela, mango, tamarindo, fico e dattero essiccati.
Un tutto che si fonde all’unisono, in festosa tondezza fino a far emergere, voluttuosa e magnetica, un’evoluzione ricolma di risonanze affumicate ambrate, vivide e tenaci con cisto labdano, ambra grigia, tonka, muschio di quercia, vaniglia, sapienti nell’intrappolare l’attimo e appiccicarsi all’anima, in un crescendo di vibrazioni sature di ricordi. Presente, oggi come allora.
Creata da Bertrand Duchaufour.
Eau de Parfum 100 ml. Online qui
©thebeautycove @igbeautycove
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Caro 2022,
che Anno strano che sei stato!
Ricordi quanta paura avevo prima del Tuo arrivo? Questo perché per Me rappresentavi un po’ come l’anno della crescita non di certo definitiva, ma comunque sostanziosa. Alla soglia dei 40 infatti pensavo che sarebbe stato tutto più complicato e difficile. Ora che stai per andartene, posso senz’altro affermare che sei stato tutto questo e pure di più ma sono lieta anche di constatare che se sono ancora qui significa che sono riuscita a resistere a tutte le tempeste che hai scatenato nel Mio Cielo, uscendone pure più forte di prima. Se dovessi definirti in un’unica parola di sicuro sarebbe questa: Resilienza. Ciò che non uccide fortifica e le Tue sciagure mi hanno fortificato alla grande, arrivando a fare molto di più pure, come mettermi di fronte ai Miei limiti, alle Mie paure, per sfidarle mentre le guardavo in faccia, senza farmi intimorire. Ho affrontato molte sfide, alcune sono riuscita a vincerle, altre invece no, l’importante però è non essermi arresa per timore di fallire. In passato mi sarei fatta imprigionare dai dubbi e dalle paranoie e soprattutto dalla Mia bassa autostima, che spesso mi porta a sentirmi sbagliata, inadeguata poiché incapace di impormi. La maturità acquisita in questi Tuoi 365 giorni mi ha donato la forza di credere più in Me Stessa, riscoprendo e riscoprendomi, arrivando infine a difendermi e quindi anche ad amarmi di più. Se dovessi usare un’altra definizione per definirti di certo sarebbe: Amor Proprio. Ho cercato infatti di dedicare più tempo e spazio a Me Stessa, valorizzandomi e coccolandomi maggiormente. Imponendo il Mio volere. Ho trovato coraggio per difendermi da chi mi ha trattata di merda, perseguitandomi con ingiusti atteggiamenti e le proprie patetiche accuse. Lo stesso coraggio che mi ha donato la straordinaria energia per poter combattere guerre silenziose. Ebbene si anche con Te, sono andata avanti nella Mia Nobile Missione: non mettermi all’altezza di persone che valgono poco e niente, rispondendo agli attacchi con la Mia arma migliore: il silenzio, lo stesso che non mi delude mai e poi mai! Alcune di queste stesse guerre non sono ancora finite ahimè, spero che il Tuo successore possa aiutarmi a metterle finalmente alle spalle. Una cosa è comunque certa la dignità e il rispetto per Me Stessa continuano a venire prima di tutto.
2022 Ti devo tanto perché nonostante le difficili prove alle quali mi hai sottoposto fino all’ultimo, mi hai donato anche tantissime cose belle, come l’Amore, la stima e la fiducia di chi mi sta intorno ma anche da parte di coloro che ho conosciuto lungo il corso dei Tuoi giorni. Quanti incontri magnifici ho avuto la fortuna di fare. Quante sorprese sbalorditive mi hanno strabiliato il cuore! Quanti elogi e complimenti ho ricevuto che mi rendo conto di aver perduto perfino il conto. Diversi luoghi ho visitato, alcuni nuovi altri riscoprendoli. Quanto ho scritto e quanto ho sognato, anche ad occhi aperti, la Mia specialità! Quanta Musica nuova e non mi ha donato la carica per affrontare ogni singola Tua Stagione. Quanta infinita Passione e vitalità ho buttato fuori ad ogni singola ora del Tuo passaggio. Sono convinta che non mi posso lamentare di Me Stessa e ne sono felice. Quanti segni mi hai lanciato e lasciato per farmi capire di essere nella strada giusta, esortandomi a perseguirla, giacchè sei convinto che riuscirò a raggiungere ciò che sto cercando. Nonostante l’arrivo degli Anta sono rimasta pressoché la stessa, identica ragazza di un tempo, solo con qualche consapevolezza in più, lasciando stupiti tutti poiché convinti di non dimostrare assolutamente questa Primavera tonda. Che sollievo è stato scoprirlo! Elenina dunque continua ad essere la Peter Pan che è sempre stata, anche a questa età. Insieme abbiamo fregato il tempo dunque anche se è trascorso in un lampo. I Tuoi mesi infatti sono letteralmente volati, anche tra siccità e caldo africano, freddo pungente ed influenze varie che a tratti sembravano perfino interminabili.
Caro Anno, Ti devo dire Grazie anche perché mi hai fatto ritrovare una parte della Famiglia che temevo perduta e che invece l’Amore ha fatto il modo di farci riunire di nuovo. A proposito d’Amore, come ho già avuto modo di dire, l’ho avvertito costantemente vicino, nonostante a tratti mi abbia fatto soffrire parecchio. Menomale però che resiste insieme a Me.
Insomma tutto questo per dirti che hai lasciato il SEGNO proprio come volevo. Addio, non Ti dimenticherò mai!
#ciao ciao#ciao#addio#2022#bye bye 2022#fine anno#bilancio#il mio bilancio dell'anno 2022#io#me stessa#pensieri#pensare#riflessioni#riflettere#stati d'animo#sensazioni#amore#amare#difficoltà#sfide#vita#vivere#forza#coraggio#non mollare#speranza#reagire#volontà#forza di volontà#io scrivo
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Vi narro ora la storia della Dama con la Lanterna. Era questa una fanciulla che dimorava silenziosa sulle sponde di un’Isola, colma di meli, circondata da un grande lago e da fitte nebbie di fuoco e di mistero.La Dama era spesso assorta, sedeva su di un piccolo scranno e dalla riva sabbiosa illuminava la Via dei Viandanti che ignari passavano lungo i Sentieri della Terra Ferma. Molti si addentrarono su Cammini sconosciuti, come falene verso il fuoco, molti perirono tra le Acque, altri si persero nelle Nebbie del Mistero, altri ancora si bruciarono anima e pensieri tra le Nebbie di Fuoco attorno all’Isola.Pochi giunsero all’Isola sacra, e quei pochi guardarono afflitti negl’occhi scuri della Dama della Lanterna. ‘Dimmi dolce Signora, perché attiri noi mortali tra il periglio e verso la morte?’‘Non son io Viandante a condurti, io mostro solo un approdo, poco o nulla conosco di ciò che oltre la luce della mia Lanterna accade…’Sempre questa fu la domanda e sempre la stessa fu la risposta….Strano Mondo di incanto, strano paradiso perduto, meta ultima e viaggio, approdo al tempo stesso e molo per viaggi ancor più perigliosi…La Dama un giorno decise così di avventurarsi fuori dall’Isola. Portò con sè la lanterna incantata e circondata da un mondo a lei sconosciuto, straniero ed incomprensibile, attraversò le acque e il fuoco, scostò i veli e si addentrò tra le terre straniere dove ormai incanto e profezia, magia ed illusione erano ricordi perduti, fantasmi evanescenti di un passato lontano.Attraversò Boschi e lande di candida neve, parlò al cigno e al cane fedele, imparò l’arte dal saggio ragno e a lungo proferì con la lepre ed il cervo selvaggio. Giunse allora in una verde radura, inverni e primavere, spiriti dell’autunno e dell’estate sedevano in Cerchio.‘Dicci Dama che a lungo hai viaggiato, cosa cerchi nel Mondo dei Mortali?’‘Cerco una Via per loro stessi, Messeri. Molti periscono, molti ignorano la luce della Lanterna, molti non sopravvivono alla Via: il fuoco li brucia, le acque li inghiottono. Fantasmi crudeli li aggrediscono, poiché essi son senza alcun sapere e non hanno armi per giungere a me…’‘Sii la Via allora. Non attender più silenziosa sulle sponde della Tua Isola. Afferra la mano di chi ancora vede la lanterna e conducili, uno ad uno, attraverso il fuoco e l’acqua. Nutrili con l’aria delle tue parole e sii la terra salda sulla quale poseranno i passi… Un dì all’anno, ti concederemo la compagnia del Figlio del Sole, così che la luce della tua Lanterna sia sempre più forte e luminosa… In quei giorni il Mondo sarà gaio ma anche oppresso e spaventato… In quel tripudio di tenebra, alza più in alto che potrai la lanterna dell’Isola, tienila ben salda, e il Figlio Antico la renderà ancor più splendida… Avrà giovani corna di cervo, sarà il Rinato, sarà il Figlio della Madre…’La Dama con la Lanterna vaga ormai da tempo immemore per le Vie del Mondo dei Mortali. Ha molti aspetti, ma porta sempre con se la sua piccola Lanterna. Chi ne scorge la luce non può che afferrarne la mano, e con passo incerto ma protetto, viaggiare lungo i Sentieri che portano ad Avalon….
di Isabella Abbiati (Isobel Argante)
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I will now tell you the story of the Lady with the Lantern. This was a girl who lived silently on the shores of an island, full of apple trees, surrounded by a large lake and thick mists of fire and mystery.The Lady was often engrossed, she sat on a small bench and from the sandy shore she illuminated the Way of the Wayfarers who unaware passed along the Paths of the Mainland. Many went on unknown Paths, like moths to fire, many perished among the Waters, others were lost in the Mists of Mystery, still others burned their souls and thoughts in the Mists of Fire around the Isle.Few made it to the sacred Isle, and those few gazed sorrowfully into the dark eyes of the Lady of the Lantern. 'Tell me sweet Lady, why do you draw us mortals to peril and to death?'‘I am not the Wanderer to lead you, I only show a landing place, I know little or nothing of what happens beyond the light of my Lantern…’This was always the question and always the same was the answer….Strange world of enchantment, strange paradise lost, final destination and journey, landing at the same time and pier for even more perilous journeys…One day the Lady decided to venture off the island. She carried the enchanted lantern with her and surrounded by a world unknown to her, foreign and incomprehensible, she crossed the waters and the fire, pushed aside the veils and entered the foreign lands where by now enchantment and prophecy, magic and illusion were lost memories, ghosts evanescent from a distant past.She crossed woods and lands of white snow, spoke to the swan and the faithful dog, learned the art from the wise spider and spoke at length with the hare and the wild deer. She came then to a green clearing, winters and springs, spirits of autumn and summer sat in the Circle.'Tell us Lady that you have traveled a long time, what are you looking for in the Mortal World?''I'm looking for a Way for themselves, Messeri. Many perish, many ignore the light of the Lantern, many do not survive the Way: the fire burns them, the waters engulf them. Cruel ghosts attack them, for they are without any knowledge and have no weapons to reach me…''Be the Way then. Wait no more silently on the shores of your island. She grabs the hand of anyone who still sees the lantern and leads them, one by one, through fire and water. Feed them with the air of your words and be the firm ground on which their footsteps will rest… One day a year, we will grant you the company of the Son of the Sun, so that the light of your lantern will always be stronger and brighter… In those days the World will be gay but also oppressed and frightened... In that blaze of darkness, raise the island's lantern as high as you can, hold it firmly, and the Ancient Son will make it even more splendid... It will have young deer antlers, it will be the Reborn will be the Son of the Mother…'The Lady with the Lantern has been roaming the Ways of the Mortal World since time immemorial. She has many aspects, but she always carries her little Lantern with her. Whoever sees its light can only grab its hand, and with an uncertain but protected step, travel along the Paths that lead to Avalon….
by Isabella Abbiati (Isobel Argante)
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Uscirà il 10 ottobre il nuovo romanzo di Eric Fouassier. Dal titolo “Il fantasma del Vicario”, è il secondo con protagonista l’Ispettore Valentine Verne. Ricordo ancora il giorno in cui iniziai il primo: ero tornata sottotono da una visita medica ma quel libro mi risollevò il morale perchè mi innamorai all’istante di Valentine <3 (Ne parlai proprio qui sul blog.) Potete quindi immaginare la mia felicità quando ho appreso la notizia!
--- Sinossi. Parigi, marzo 1831. Non ha ancora ventiquattro anni, Valentin Verne, l’ispettore di polizia dal volto angelico ma dal cuore pieno di ombre, e già occupa un ruolo quantomeno originale in prefettura: è il responsabile dell’Ufficio degli affari occulti, un reparto non ufficiale creato per risolvere i crimini sovrannaturali, o presunti tali. Un giorno al suo cospetto si presenta una donna elegante, il viso dai lineamenti delicati sotto ricci ramati e gesti lenti da convalescente alla prima uscita dopo una lunga malattia. Madame Mélanie d’Orval, moglie del ricco Ferdinand d’Orval, ha un peso sul cuore: dopo la morte della figlia adolescente per un’inspiegabile e violenta crisi di convulsioni, suo marito ha perduto il senno, finendo tra le grinfie di una specie di medium, Paul Oblanoff, un losco individuo che lo ha persuaso di poter entrare in contatto con lo spirito della defunta. Madame d’Orval è convinta che a Verne basterebbe assistere a una di quelle famose sedute di spiritismo per smascherare il lestofante, ma l’ispettore, che ha la mente occupata da ben altri pensieri, cede il caso al suo collaboratore Isidore Lebrac. Proprio da poco, infatti, c’è stato uno sviluppo nell’inchiesta segreta che Verne porta avanti da tempo, una faccenda personale che l’ispettore intende risolvere a modo suo, a costo di spingersi ai margini della legalità: il Vicario, l’abietto criminale, il mostro perverso che si lascia dietro cadaveri di bambini come l’orco delle fiabe, è tornato a seminare il panico per le strade di Parigi, risvegliando in lui ricordi troppo dolorosi. Ma ecco che, quando si tratta di difendere l’esistenza stessa dell’Ufficio degli affari occulti, minacciata dall’incerta situazione politica in cui versa la Francia, il caso d’Orval potrebbe rivelarsi sorprendentemente cruciale.
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La solitudine
Da bambino sentivo di essere solo, e lo sono ancora oggi, perché conosco cose e debbo riferirmi a cose delle quali gli altri apparentemente non conoscono nulla, e per lo più nemmeno vogliono conoscer nulla.
La solitudine non deriva dal fatto di non avere nessuno intorno, ma dalla incapacità di comunicare le cose che ci sembrano importanti, o dal dare valore a certi pensieri che gli altri giudicano inammissibili.
La solitudine cominciò con le esperienze dei miei primi sogni, e raggiunse il suo culmine al tempo in cui mi occupavo dell’inconscio. Quando un uomo sa più degli altri diventa solitario.
Ma la solitudine non è necessariamente nemica dell’amicizia, perché nessuno è più sensibile alle relazioni che il solitario, e l’amicizia fiorisce soltanto quando ogni individuo è memore della propria individualità e non si identifica con gli altri.
È importante avere un segreto, una premonizione di cose sconosciute. Riempie la vita di qualcosa di impersonale, di un numinosum. Chi non ha mai fatto questa esperienza ha perduto qualcosa d’importante.
L’uomo deve sentire che vive in un mondo che, per certi aspetti, è misterioso; che in esso avvengono e si sperimentano cose che restano inesplicabili, e non solo quelle che accadono nell’ambito di ciò che ci si attende.
Ricordi, sogni, riflessioni | Carl Gustav Jung
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Sul lungomare, avvolta dall'odore salmastro delle onde che si infrangevano sulla riva, c’era lei. I capelli ondeggiavano delicatamente sotto il vento, mentre le stelle tra i suoi ricci brillavano come tenui luci di un passato che non aveva mai smesso di risplendere. Sebbene il tramonto fosse svanito oltre l'orizzonte, i suoi occhi ne conservarono il calore, simili a braci resistenti sotto la cenere. Il cielo, sfumato di viola e indaco, sembrava sospeso tra giorno e notte, riflettendo la complessità del suo cuore.
Lì accanto, come una presenza costante e misteriosa, c’era il treno. Distante e sfuggente, correva sui binari d'acciaio, un'eco di ferro e vapore riportata dal vento, come se il tempo si fosse immobilizzato, rivivendo quell'istante senza fine. Non lo attendeva più con la speranza frenetica di un tempo; ora era un confidente silenzioso, simbolo di malinconia, una parte indomita della sua anima sempre presente, anche se distante.
Le sere si erano trasformate in conversazioni sussurrate. Ad ogni ulteriore fragranza di vapore che il vento portava, sollevava il bicchiere in un brindisi silenzioso e rituale, come se ogni sorso fosse una parola non detta, un ricordo condiviso con quel vecchio compagno di viaggio. Non vi era più il dolore a parlare, piuttosto, vi era la memoria di ciò che era stato, scolpita nel tempo come una cicatrice. Parlava forse di sua madre, che le appariva nei sogni sussurrandole preghiere dimenticate, o del padre che l'aveva amata con la tenerezza di un uomo spezzato.
In questo dialogo mistico con il treno, non c'era solo malinconia, ma anche una silenziosa gratitudine. Per gli anni trascorsi in attesa, per ogni anniversario contato in silenzio. Anche se quel treno non era mai tornato come sperava, le aveva lasciato qualcosa di inestimabile: la forza di continuare a parlare, a sperare, anche nell'assenza. Non più per il ritorno di un passato perduto, ma per la capacità di custodire ciò che era stato.
Il suo sorriso, visto da lontano, sembrava felice. Chi la conosceva bene, però, riconosceva le ombre celate, ombre sottili che si allungavano nel crepuscolo e ballavano nei suoi occhi. Non era triste, ormai, ma nemmeno completamente serena. Era come il mare quella notte: in superficie, calmo e immobile; nelle profondità, correnti oscure continuavano a muoversi, instancabili.
"Brindo a te," sussurrava al treno ormai lontano, alzando il bicchiere al cielo. "E a tutti i ricordi che hai portato con te." Poi, in silenzio, affidava al vento il compito di asciugare lacrime che non scendevano più.
#malinconia#ricordi#pensieri#poesia#sentimenti#storie#inostriricordi#paginedivita#solitudine#nostalgia#riflessioni#riflessioniprofonde
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I fratelli Bulgarelli - Il nuovo cortometraggio “Quello che non ti ho detto”
Una visione intima sul tema del rimpianto e della comunicazione
La prima nazionale del cortometraggio “Quello che non ti ho detto” dei fratelli e registi Flavio e Massimo Bulgarelli viene proiettata il 7 ottobre 2024 alla 21esima edizione del Sedicicorto Festival di Forlì. “Quello che non ti ho detto” è stato prodotto da E Elle Produzioni, una società di produzione audiovisiva specializzata nell'offrire servizi di alta qualità. Grazie ad una consolidata esperienza nel settore, il team di professionisti crea prodotti originali in grado di catturare l'attenzione del pubblico e suscitare emozioni ma soprattutto capaci di veicolare in modo efficace contenuti di qualunque tipo. Preziosa la collaborazione con Duende Film che pianta le sue radici nel panorama cinematografico indipendente, dove ha consolidato collaborazioni con registi, attori e sceneggiatori di talento, arricchendo costantemente il patrimonio creativo. Ogni progetto che porta avanti è il risultato di una combinazione unica di esperienza, innovazione e dedizione che porta ad elaborare la creatività su ogni progetto. L’intero progetto è distribuito da Associak, casa di distribuzione cinematografica indipendente nata nel 2012 ed impegnata nella diffusione artistica e commerciale di lungometraggi, documentari e cortometraggi nei principali festival nazionali. Associak vuole essere un punto di riferimento per opere di elevata qualità estetica ed artistica in grado di unire il puro intrattenimento con l’originalità e l’innovazione narrativa. Il protagonista del cortometraggio è Giorgio, un anziano signore che vive solo: degli strani rumori nel suo appartamento rivelano Anna, una giovane ragazza che si muove nel cuore della notte, la più importante della sua vita. L’uomo è tormentato dai rimpianti e questa donna rappresenta l’amore perduto, che riapre le vecchie ferite e rivela le verità nascoste. Giorgio affronta nuovamente il suo passato, fra lacrime e confessioni, accettando il rimorso delle occasioni mancate. "Quello che non ti ho detto" è una disamina sul tema del rimpianto e dell’incapacità comunicativa in una coppia: la generazione di Giorgio, infatti, non ha ricevuto un’educazione affettivo-relazionale e le conseguenze di questa mancanza risultano, purtroppo, evidenti. Con uno sguardo sensibile, il cortometraggio guida attraverso i labirinti del passato, illuminando le sfumature della bellezza e della tragedia che risiedono nei ricordi del grande amore. Attraverso sequenze incantevoli e dialoghi evocativi, “Quello che non ti ho detto” trasporta il pubblico in un universo emotivo intenso e suggestivo, dove ogni gesto e ogni sguardo raccontano una vita, fatta di sogni, di perdita e poi anche di speranza. Un incontro magico, che mescola la dolcezza dell'amore giovanile con il peso della morte, creando un'atmosfera di malinconia e serenità allo stesso tempo. L’opera parla di un tema universale, in grado di arrivare alla maggior parte degli spettatori. La sua forza risiede proprio nella sua capacità di toccare corde emotive comuni a tutti, indipendentemente da background, esperienze personali o provenienza culturale.
Storia dei registi
Flavio Bulgarelli nasce a Roma il 7 settembre 1984. Si laurea in psicologia nel 2011, nel frattempo si avvicina al mondo del cinema creando uno studio horror indipendente che realizza più di dieci cortometraggi destinati al web e virali in alcuni paesi del mondo con più di 1 milione di visualizzazioni. La sua specialità è la sceneggiatura, che ha studiato negli anni con vari professionisti.
Massimo Bulgarelli nasce a Roma il 4 giugno 1996. Diplomato presso l’Istituto per cinematografia e televisione “Roberto Rossellini” come montatore, si dedica in seguito alla direzione fotografia e all’editing. Al momento lavora come assistente alla regia e come videomaker.
Cresciuti con le stesse influenze cinematografiche di commedia all’italiana e cinema internazionale, Flavio e Massimo trovano un punto di forza proprio nei 12 anni di differenza che li rendono capaci di “parlare” sia ad un pubblico adulto che ad un pubblico più giovane. Doppio Gioco, è stato il loro primo cortometraggio, una commedia all’Italiana 2.0 sul tema della ludopatia. Singolarmente, ma sempre facendo appoggio l’uno sull’altro, hanno scritto e diretto altri cortometraggi di fantascienza come Senza Parole o Lo Spazio sulla Terra.
Instagram: https://www.instagram.com/fratellibulgarelli/
Duende Film
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E ELLE Produzioni
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Amori, lettura e scrittura in estate al lago
Estate al lago Amori, lettura e scrittura in estate al lago, un articolo che analizza il romanzo Estate al lago di Alberto Vigevani, con un estratto di alcune pagine del testo. Attorno agli anni '90 avevo trovato allegato ad una rivista, in omaggio, il libro Estate al lago di Alberto Vigevani e benché non fossi un grande amante dei romanzi, visto che non potevo andare in vacanza e poiché in gioventù avevo trascorso spesso delle giornate estive sul lago di Garda, benché in questo caso si trattasse del lago di Como, memore di qualche rifermento ai Promessi Sposi del Manzoni, decisi di leggerlo. Il lago in ogni caso ha comunque un fascino particolare, e come dicevo anch'io ho trascorso in questi ambienti un bel po' di giornate, prima con mia mamma che mi accompagnava per andare a pescare attorno ai 12-13 anni, nelle acque di Salò, Maderno, Desenzano, poi con i miei amici negli anni turbolenti della mia adolescenza, principalmente a Toscolano Maderno, Manerba, Padenghe, e poi ancora sul Lago d'Idro, e infine ancora con mia mamma alle terme di Sirmione. Ora a distanza di più di trent'anni da quel periodo e a ben 66 anni dalla pubblicazione del libro avvenuta nel 1958, ho deciso di dedicargli questo articolo, anche perché, visto che siamo in estate e la gente in genere legge sempre meno, mi sento di affermare che leggere "Un'estate al lago" di Alberto Vigevani è come concedersi una vacanza letteraria, ricca di emozioni, riflessioni e bellezza. Direi per prima cosa che consigliare questo romanzo, snello ma succulento, significa suggerire un viaggio emozionante nella nostalgia e nella bellezza del passato. Ed ora vi elencherò diversi punti per cercare di convincere qualcuno a non perdere questa occasione letteraria. 1) Vigevani è un maestro nel creare atmosfere che trasportano il lettore direttamente nelle calde estati italiane, tra paesaggi lacustri incantevoli e la quiete della natura. 2) I protagonisti del romanzo sono descritti con una profondità psicologica che permette al lettore di immedesimarsi nelle loro vite e nei loro sentimenti. Le loro storie e interazioni sono il cuore pulsante del libro. 3) La prosa di Vigevani è elegante e poetica, rendendo la lettura un'esperienza estetica oltre che narrativa. La sua capacità di descrivere i dettagli con delicatezza e precisione arricchisce ogni pagina. 4) Il romanzo esplora temi come l'amore, la memoria, la perdita e la ricerca di sé, offrendo spunti di riflessione che risuonano profondamente con i lettori di ogni età. 5) Ambientato negli anni '30, "Un'estate al lago" offre un affascinante spaccato di un'epoca passata. Vigevani riesce a catturare l'essenza del tempo e del luogo, permettendo al lettore di vivere un pezzo di storia italiana attraverso gli occhi dei suoi personaggi. 6) Il libro è pervaso da una dolce nostalgia, che invita il lettore a riflettere sulla propria infanzia e sui ricordi estivi. Questa introspezione rende la lettura profondamente personale e toccante. 7) "Un'estate al lago" è stato accolto favorevolmente dalla critica, che ne ha lodato la qualità narrativa e la profondità emotiva. È un'opera apprezzata sia dai lettori che dagli esperti letterari. 8) La descrizione dei paesaggi, delle giornate estive, e delle piccole gioie quotidiane crea un'esperienza immersiva che consente al lettore di "vivere" l'estate al lago insieme ai personaggi.
Alberto Vigevani Alberto Vigevani (1918-1999) è stato uno scrittore, poeta ed editore italiano. Nato a Milano, si distinse per la sua produzione letteraria caratterizzata da una prosa elegante e malinconica. Oltre a numerosi romanzi e racconti, Vigevani pubblicò poesie e si dedicò all'editoria, fondando la casa editrice Il Polifilo, specializzata in libri d'arte e di alta qualità tipografica. Le sue opere riflettono spesso la nostalgia per un mondo perduto e la complessità delle relazioni umane. Vigevani è ricordato come una figura importante nel panorama culturale italiano del XX secolo. Oltre a Estate al lago ha pubblicato Un’educazione borghese; La casa perduta; L'abbandono; La breve passeggiata. Ha ottenuto, tra altri, il Premio Bagutta. Estate al lago. L'estate era stata diversa da quelle passate: le ultime vacanze dell'infanzia. Era maturata per Giacomo una nuova età: dalla suggestione dei sensi alle delicate immagini del suo amore puerile. Tutto si poteva dire in silenzio e tutto si scioglieva in contemplazione. Come ha scritto Geno Pampaloni nell'introduzione al testo, la verità del libro è in questo attimo di sospensione vitale, in questo (doloroso e insieme corroborante) diritto al segreto di fronte alla violenza della realtà. E, la sua, una sospensione magica, illusa e labile com'è proprio dell’adolescenza. Ma non è solo sua: è anche l’illusione ansiosa del silenzio e della contemplazione, quella lieve vertigine fatta di insicurezza, di angoscia e di nostalgia che caratterizzò la cultura europea tra le due guerre al cospetto delle dittature e nell’imminenza della tragedia. Pampaloni spiega molto bene la natura del romanzo e tutti i suoi risvolti, come si evince da queste sue riflessioni. " Intendiamoci. La qualità poetica del racconto del Vigevani attinge a una cultura riflessa. Tutto è già alle sue spalle. «Tutto è accaduto», come dice un titolo di Corrado Alvaro, che sentì come pochi altri scrittori, con intelligenza amara, la transizione esistenziale propria del nostro tempo. Non per nulla Alberto Vigevani è libraio antiquario, ed è editore di testi preziosi e dimenticati della più raffinata tradizione, quasi che la sua vocazione di uomo sia dedicata al recupero, all’assaporamento di valori non mercificabili, alla fedeltà della memoria. Dietro di lui scrittore si staglia la grande ombra di Proust, il fascino della grande borghesia colta, intenta a cogliere l’ultima essenza di un mondo stremato dai suoi stessi valori... Perciò, contrariamente allo schema usuale, per cui l'adolescente passa dalla innocenza alla torbida scoperta del sesso, egli supera abbastanza rapidamente l’accensione sensuale, e sublima la sua ricchezza affettiva in un amore impossibile per la bionda e gentile madre del suo compagno di giuochi. Ma ecco che qui racconto d’amore e storia di un’educazione sentimentale si saldano.
Lago di Como in estate Che cosa rivela a Giacomo l’incontro con la giovane donna e il suo figliolo malato e ardente? 1. La forza della passione, così profonda e coinvolgente da risultare rasserenante anche se dolorosa; 2. L’« armonia e tenerezza» che unisce madre e figlio in un legame meraviglioso, compatto, inscindibile; 3. L'ambiguità della figura materna, ove si mescolano la dolcezza sensuale e il tepore protettivo, oscuro modello e | presagio di un’ambiguità esistenziale che accompagna l’intera vita; 4. La gioia pura e malinconica della bellezza, che invita al silenzio e alla contemplazione; 5. Gli rivela infine la possibilità stessa della rivelazione dell’io profondo, vertiginosa «come se si trovasse sull’orlo della propria vita ». Tutto questo lo prepara all’intuizione finale: «com'era complesso l’amore; non solo desiderio d’armonia, di bellezza, ma anche aspirazione a non esistere più, ad annientarsi. E ancora: vi era qualcosa di crudele, d’irrimediabile, qualcosa che non si sarebbe nemmeno potuto confessare, anche se lo avesse veramente compreso ». Questo è, mi pare, il tratto originale del personaggio (e del libro): la perdita dell’innocenza, momento fatale di ogni adolescenza, si trasforma, come in dissolvenza, nella consapevolezza della complessità dell'amore, con tutto ciò che di ambiguo, di doloroso, ma anche di certo e, in qualche senso, di supremo, tale consapevolezza porta con sé. Mentre si chiudono, tra le prime piogge e i colori spenti dell'autunno, le «ultime vacanze dell’infanzia », l'educazione sentimentale di Giacomo può dirsi compiuta, ma nel senso che il velo d’ombra di un’incompiutezza infinita si proietta a occupare ogni possibile futuro. Il crepuscolo di adolescenza, la lacerazione tra innocenza e maturità, che egli ha vissuto nell’estate al lago, è destinata a durare per sempre. Ma si capisce che, avviandosi ignaro verso i tempi della violenza e della devastazione che si affacceranno alla storia, egli entrerà nella vita non sotto il segno della conquista ma sotto il segno della poesia." Ma ora lasciamo lo spazio ad alcune pagine del libro. I primi giorni di vacanza seguirono rapidi, come una febbre che accalori le guance e svanisca lasciando una stanchezza, un senso di sonnolenza, e ancora fame di nuova stanchezza e di sonno. I cugini erano arrivati: l’Elisa, gentile e non bella, dal corpo pesante, la fronte a bauletto sporgente sopra gli occhi; Aldo, che aveva l’età di Stefano e dipingeva all’acquarello; Mario, un ragazzo calmo, maggiore di Giacomo di due anni. Stavano sempre insieme: nuotavano, andavano in barca, a volte salivano sulla strada di Porlezza, dov'era una valle segnata da un fiumiciattolo incassato, il Senagra. Altre partivano per Cadenabbia o, dalla parte opposta, per Acquaseria e Gravedona, in bicicletta, con la merenda al sacco, e dopo aver fatto il bagno si riposavano sui prati. Formavano una compagnia allegra, con altri giovani che s'erano aggiunti: la bruna che Stefano aveva conosciuto al Lido, Elsa, figlia del padrone dell’albergo Victoria, e il fratello, un giovane basso, il tuffatore migliore della spiaggia, che anche fuori portava una calottina rossa sui capelli impomatati. Poi le due ragazze Lanfranchi, già da Milano amiche dei cugini: la maggiore slanciata, con occhi verdi luminosi; la minore, grassottella e addormentata, con gli stessi occhi, ma sbiaditi e gonfi, che le davano l’espressione attonita di un pesce... Giacomo aveva scoperto per conto suo che l’Elsa non era tutta muscoli, ma d’una bellezza così piena e persuasiva che se ne sentiva attirato. Tuttavia la sua inclinazione non andava oltre il piacere degli occhi e quel senso di vergogna che lo istupidiva se gli capitava di rimanere solo con lei. La presenza di Clara, d’altra parte, riusciva a rendere leggera l’aria che li avvolgeva, nulla in essa s’incideva con troppa asprezza, appena vi si accennavano le amicizie ancora incerte. L’Elisa e la minore delle Lanfranchi divennero inseparabili, Mario stava insieme con Giacomo che era il più giovane ma non stonava in mezzo agli altri, in quei primi giorni in cui tutto scaturiva con spontaneità, come se per le vacanze fossero tornati ragazzi anche i grandi. Forse non badavano alla differenza di età, o lo ammettevano perché li faceva ridere con uscite in cui, incitato dal desiderio di farsi notare, caricava il suo senso dell'umorismo di una capacità d’invenzione che si smentiva di rado. Le zitelle che aveva spaventato in bicicletta erano divenute dei personaggi, così Antonio, il custode, di cui rifaceva la voce e imitava i discorsi farciti d’interiezioni, di proverbi detti a sproposito. Ma forse erano gli altri, a completare o ad accrescere il ridicolo dei suoi accostamenti, delle trovate che gli nascevano spontanee dal troppo parlare, quando si eccitava: la verità era che avevano voglia di ridere, di sentirsi disinvolti e spensierati prima d’addentrarsi nel terreno sfuggente e sconosciuto delle nuove amicizie.
Cartina del lago di Como Finirono anche quei giorni d’attesa: Stefano ora lo respingeva, se gli andava vicino mentre aveva al braccio l’Elsa; rispondeva a monosillabi. Durante le gite Giacomo e Mario restavano indietro. Prima, avevano tutti riso delle sue immagini, si era sentito ammirato dalle ragazze, invidiato da Mario, in brevi momenti di esaltazione che lasciavano adesso il posto a un risentimento. Supponeva d’essere condannato a portare i calzoni corti in eterno, come un segno d'’inferiorità. Tra loro due e i grandi duravano lunghi silenzi, le parole di Giacomo cadevano senza che nessuno le raccogliesse, e a un tratto s'’accorgevano che i giovani camminavano avanti, sulla mulattiera lungo il monte, o rimanevano solo loro sulla spiaggia, mentre gli altri se n'erano andati in barca senza chiamarli. Li ritrovavano poi che ballavano nella sala a pianterreno della villa o all’albergo Victoria... Presto arrivò luglio. Negli alberghi si davano i primi balli: la stagione vera sarebbe venuta a settembre. Clara si metteva in abito lungo e veniva a farsi ammirare prima di uscire. Stefano vestiva lo smoking e Giacomo gli faceva compagnia mentre si preparava in bagno e annodava la cravatta davanti allo specchio. Forte e giovane, le sopracciglia folte, gli occhi vellutati e scuri uguali a quelli del padre, pareva lontano come mai, e proprio nel momento in cui gli offriva maggiore confidenza. Delle feste parlavano a tavola, il giorno dopo. Gli rimanevano nella mente episodi e nomi di persone, uditi nei discorsi dei fratelli, con il prestigio delle cose inaccessibili. Se la festa era a Menaggio, andava con le domestiche a vedere l’entrata dai cancelli. L’Emilia gli metteva una mano sulla spalla; diceva: «Ti piacerebbe vestirti da sera, ballare anche tu? »... A metà d’agosto il padre tornò per fermarsi una settimana. Giacomo quasi non s’accorgeva di lui. Gli era toccato ancora deluderlo: non aveva mai adoperato gli attrezzi e aveva fatto pochi progressi nello studio. Si sentiva in colpa, guardandolo: come provasse il sentimento che il padre fosse, senza sospettarlo, esposto a subire le conseguenze di ciò che a un tratto poteva insorgere nel suo animo. Gli appariva incapace di difendersi, nell’abito di tela un po’ ottocentesco, con la camicia di seta cruda aperta sul collo e il leggero copricapo di panama che sbiancavano ancor più la sua carnagione cittadina. Del resto non stavano mai insieme: usciva con la madre a visitare parenti o conoscenti che poi venivano a prendere il tè in giardino. A Giacomo sembrava che tra loro due qualcosa fosse già cambiato. Forse temeva per il suo segreto, quando gli occhi del padre si posavano sopra di lui, schiariti da un’ironia dolce e penetrante che avrebbe voluto sfuggire. Eppure, durante il giorno, tra Giacomo e l’Emilia tutto si svolgeva come prima, di nuovo non c'era che la carezza più ardita, le poche sere, ormai, che andavano a passeggio insieme. Spesso lei voleva uscire con l’Elvira, dicendo che si recavano al cinema, dove lui non poteva seguirla. Incontrandolo, sorrideva sempre, lo sfiorava col fianco come per scherzo, forse per vedergli in faccia il turbamento che non riusciva a nascondere. Era come fosse per abbandonarsi a piangere, e non potesse trovare comprensione se non in lei che già mostrava di evitarlo. Ma la notte, prima di addormentarsi, era diverso: come un appuntamento, ogni volta si ripeteva il lungo istante in cui, col respiro disordinato, il capo fitto nel guanciale, brancolava sopra un’immagine di lei oscura e avvincente. Se la raffigurava nuda, nella sua ricchezza segreta, lambita dal buio, le spalle e il petto candidi in luce, il ventre affondato in una macchia. Confusa e incerta ossessione, come confuse e incerte le reminiscenze, il negativo del nudo tra le rocce finte, i corpi femminili alla spiaggia, ogni nutrimento anonimo e frammentario della sua fantasia. A sfiorare quella immagine con una carezza, qualcosa entro di lui si rompeva in una breve liberazione che lo lasciava intontito e vergognoso. Infine una sera, appena partito il padre, che tutti erano usciti - l’Elvira aveva voluto andare al cinema da sola -, udì il passo dell'Emilia nella stanza che occupava all’ultimo piano, sopra la sua. Giacomo aveva già un poco dormito e quei passi gl’illuminarono d’improvviso la figura di lei, i suoi gesti mentre andava spogliandosi. Gli pulsavano le tempie; senz’accorgersene si trovò fuori della porta. Salì le scale nell’oscurità, cercando di non far rumore. Si sentiva un ladro, temeva che qualcuno potesse sorprenderlo. Una striscia di luce bagnava il pianerottolo, da sotto la porta. Non udiva nemmeno più il passo della donna. S’appoggiò alla maniglia, la porta cedette. Dalla finestra ovale entrava la luna e illuminava il letto. Il suo volto era quasi al buio: pareva ancora più pallido. Vide che i suoi occhi lo fissavano. « Giacomo », disse a bassa voce, « sei tu? ». Siccome non si muoveva, rigido contro la porta, il cuore che gli batteva di furia, lei riprese, con una voce alterata che sembrò una carezza: «Vieni qua». Andò verso il letto in punta di piedi. Si muoveva in quella luce quasi irreale come in una delle apparizioni che venivano a sorprenderlo la notte, quando non riusciva a dormire. Lei gli prese i polsi, l’attirò a sé. Piegando le ginocchia contro la sponda del letto, premette la guancia sulla spalla nuda. Il suo profumo lo confondeva. Dietro la testa di lei, sopra il candore del guanciale colpito dalla luce, i capelli sciolti addensavano un bosco oscuro e segreto da cui si staccava il suo volto smorto, senza più quel sorriso che sempre lo pungeva, sulle labbra adesso aride e schiuse. Gli occhi, scintillanti, sembravano vetri in cui la luce acquistasse profondità.
Grand Hotel Victoria Liberò le mani per cercarle il seno: annaspavano contro la tela un po’ ruvida della camicia. Fu lei a offrirglielo, scostando la spalla, e gli sembrò che bruciasse; poi quel fuoco gli entrò nella pelle. Lo palpava intero senza sapere dove indugiare. Si riempiva le mani della ricchezza che lei gli aveva ‘nascosto, e non cedeva alla carezza ripetuta ma la chiamava ancora, rinnovandogli come uno spasimo. Era entro un sentiero buio che lo faceva trasalire, e morbido, in cui ritrovava pungente l’odore dei capelli che gli coprivano le guance, la fronte. Un alito resinoso di terra e di donna che pareva quello del suo sangue. «Giacomo », aveva detto, due, tre volte, irosamente, gli era sembrato, muovendo il petto per svincolarsi. Ma s’avvinghiava a lei come se dovesse spremere, succhiare tutto il profumo e il calore che emanava. Poi gli si abbandonò, ansimante. Gli aveva cercato la bocca, la mano, ma appena raggiunte si era scossa, l’aveva allontanato con violenza, accendendo la piccola lampada sul tavolino. Era rimasto in fondo al letto. La fissava, nella debole luce elettrica, i capelli e la camicia in disordine, il volto quasi cattivo, mutato, con le labbra tremanti e tumide. La sua bellezza pareva a un tratto non più lontana, ossessiva, ma come rozza e affranta. Il torpore lo avvolgeva, allontanando ogni cosa nel tempo: si sentiva quasi spettatore di quel suo risveglio. Vide il seno scomparire nello scollo e gli parve una macchia, un fiore raggrinzito, la punta violacea che esitò un istante sull’orlo della camicia. Contrastando con la pelle chiara del petto somigliava a un oggetto immaginato nel sogno, che alla luce reale stupisca. Anche i suoi occhi erano diversi: lo sfuggivano come fosse lei, ora, a provare vergogna e a temere il suo riso. Gli pareva anche un'illusione il sussurro, quasi un gemito, che aveva colto sulle sue labbra. Si era seduta e aveva preso il pettine. Mentre ravviava i capelli si tolse la forcina dalle labbra e disse, a bassa voce: «Ti voglio bene, però sei un bambino ». Parole così fragili gli avevano fatto l’effetto che le avesse pensate, più che dette. Non capiva perché tornava ora un bambino, quando per un lungo momento era stata lei a soffrire sotto il suo abbraccio, e le sue labbra avevano perduto ogni voglia di sorriso. Read the full article
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La tana che viveva nella follia
Alla sua casa arrivava tutto e tutto si fermava: l’odore aspro del Riachuelo, le grida dei ragazzi, la domenica, dalla Bombonera e la follia del quartiere. La sua casa erano anni che sembrava essere sul punto di crollare, però continuava come una ferita aperta eppure salda, in quell’angolo dove a volte alcuni -colpevoli o innocenti non aveva la minima importanza- restavano catturati. La "tana" aveva un’età imprecisa e memorie vive della sua bellezza. Qualcosa di lei, negli occhi e nel gesto con cui s’affacciava alla finestra, diventava indimenticabile. Però il suo nome, questo sì, se l’erano scordato, elemento innecessario, ridondante che non avrebbe potuto aprire nessuna porta. Lei apriva la sua porta e neppure chiedeva agli altri il loro nome. Uno poteva restare sotto il suo sguardo in un lungo silenzio, senza perdere il suo sorriso, senza provocare domande o pretendere significato. Gli altri, quelli che accompagnavano, aspettavano fuori. Non sapevano, mai seppero quello che accadeva dentro, si fermavano sul marciapiede fumando sigarette scadenti, facendo scommesse, parlando della disgrazia, di quello che non meritavano, di quello che si era andato spezzando nel corso del tempo. L’unica attitudine che non si permettevano era l’impazienza. Potevano giocare a carte per ore o amoreggiare o contare le barche nel porto, riconoscere come il vento nascondeva nelle fessure delle pareti i suoi racconti salati, potevano restare tutta la notte senza mangiare né sedersi, camminando, ridendo tra loro, riscuotendo il calore di una lacrima respinta, potevano rimanere uniti e coltivare inopportune solitudini. La follia se n’era restata dentro, loro l’accompagnavano soltanto, le mostravano la casa d’angolo e giocavano con il tempo. Così la "tana" era diventata nel quartiere un mistero condiviso. Nessuno si ricordava della prima volta. Molti anni prima lei cuciva vestiti per fuori, aveva un innamorato con occhi azzurri e i suoi genitori ancora vivi, odorava di pulito e di mandarino e sul suo corpo mediterraneo, quando si muoveva per le strade del quartiere, si fissavano gli sguardi degli uomini. Tutto cominciò di colpo; ogni vicino può raccontare la sua storia, ripetere circostanze, evocare fantasmi. È certo che ci fu un primo, però si perse il racconto tra i molti che seguirono. La "tana" smise di cucire, lasciò il suo innamorato o lui la lasciò, questo non lo sa nessuno, lasciò che la morte serena dei suoi genitori la collocasse in quel luogo di veglie, di richieste disperate e di pericolosa pienezza che le veniva dal suo inspiegabile e imprevisto potere. Le avevano portato bambini che erano impazziti in un pomeriggio di giochi, che non riconoscevano i propri genitori vedendoli alla fine del giorno, le avevano portato donne dai seni morbidi e anima dura, che lasciavano il loro sangue scorrere lungo le gambe e si coprivano il viso con veli rotti e polverosi tirati fuori da vecchie casse, le avevano portato ragazzi di commovente bellezza che erano impazziti per amore o dietro un sogno perduto e uomini senza aver vissuto o affogati nelle loro vite, e vecchi che avevano smesso di ascoltare e di parlare, schiacciati dal peso dei loro stessi ricordi e molti altri, altri che già non conservavano traccia se non nel suo cuore, nelle sue mani ferme e amorose che non vestivano più corpi, però cucivano anime dentro pelli crocifisse. Como lo facesse, lei sola, in una casa abbastanza umile, lei senza studi, senza magia, semplicemente con le parole che le uscivano di bocca, sconosciute fino a un momento prima anche a lei, con il gesto con il quale rinchiudeva nelle sue mani il tremito dell’altro e lo sguardo dei suoi occhi neri che cercavano l’altro tra sguardi perduti, come lo facesse, nessuno voleva saperlo. Per tutti, quello che importava era che chi usciva da quella casa d’angolo lasciava dentro la sua follia, ritornava ad essere riconoscibile, quello che era prima che qualcosa di estraneo, di terrificante gli accadesse. Quando la "tana" camminava per il quartiere i suoi beneficiati ne cercavano l’attenzione con volti luminosi; ancora una volta lei percepiva le loro storie e i loro segreti. Quelli che la ringraziavano erano gli altri, quelli che accompagnavano, quelli che provavano a farle regali che lei non accettava. A lei era sufficiente la luce che i suoi pazzi le permettevano di condividere. Così un giorno, scendendo dalla sua nave, in un’ora di riposo, seduto in un baretto, parlando, bevendo e raccontando di viaggi a compagni improvvisati, un giovane marinaio spagnolo vide la donna attraversare la strada, avvolta nel chiarore che i visi di molti bambini e donne e uomini proiettavano su di lei. Mai aveva visto niente di simile, si guardò intorno per ritrovare anche negli altri la sua stessa sorpresa, però nessuno sembrava vedere quello che lui vedeva. Allora smise di parlare di viaggi e cominciò a fare domande su di lei, la sua età, il suo nome, chi era, quello che stava accadendo lì. I vicini lo guardavano senza sapere come fermare la sua curiosità, non erano disposti a raccontargli nulla, dopo tutto era uno di fuori, simpatico, bravo ragazzo, però sempre di fuori. Cercarono di farlo tornare alle sue avventure, gli offrirono birra, lo accompagnarono per Caminito mostrandogli tra lamiere e colori come si può dipingere il dramma della vita, però non poterono tirarlo fuori dalla sua persistente ossessione. Alla fine, quasi all’alba, vinti dalle sue domande ostinate, gli raccontarono la storia, o per meglio dire, quello che sapevano della stessa. Il giorno dopo il marinaio bussò alla porta d’angolo. La donna aprì la finestra e lo guardò. Nessuno lo accompagnava, nessuno voleva cambiarlo. Del tutto solo sul marciapiede deserto il ragazzo le disse: ���Mi hanno raccontato che lei cura i pazzi. Ne ho bisogno” e già spingeva la porta con le sue braccia forti. La donna scese ad aprirgli, lo lasciò entrare nell’ombra. “Questo non sarà un gioco” mormorò. Il marinaio si ricordò di luoghi lontani e di lune rosse nel cielo. Sentì qualcosa nelle sue ginocchia e nel suo petto, però lei già gli aveva preso il viso tra le sue mani. Il marinaio spagnolo, si raccontava, fu l’unico uomo sano che, uscendo dalla casa di quella donna, si portò con sé intatta e assoluta la sua follia. Foto di copertina generata con Copilot per Cinque Colonne Magazine Read the full article
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Lunedì 24 Giugno 2024 alle ore 20.30 il GdL "Chiave di Lettura", presso i locali della Biblioteca San Valentino, si incontrerà per discutere insieme del libro di Valérie Perrin “Il quaderno dell’amore perduto”.
La vita di Justine è un libro le cui pagine sono l’una uguale all’altra. Segnata dalla morte dei genitori, ha scelto di vivere a Milly – un paesino di cinquecento anime nel cuore della Francia – e di rifugiarsi in un lavoro sicuro come assistente in una casa di riposo. Ed è proprio lì, alle Ortensie, che Justine conosce Hélène. Arrivata al capitolo conclusivo di un’esistenza affrontata con passione e coraggio, Hélène racconta a Justine la storia del suo grande amore, un amore spezzato dalla furia della guerra e nutrito dalla forza della speranza. Per Justine, salvare quei ricordi – quell’amore – dalle nebbie del tempo diventa quasi una missione. Così compra un quaderno azzurro in cui riporta ogni parola di Hélène e, mentre le pagine si riempiono del passato, Justine inizia a guardare al presente con occhi diversi. Forse il tempo di ascoltare i racconti degli altri è finito, ed è ora di sperimentare l’amore sulla propria pelle. Ma troverà il coraggio d’impugnare la penna per scrivere il proprio destino? Valérie Perrin (1967) è una scrittrice, fotografa e sceneggiatrice francese. Ha lavorato anche come fotografa di scena e sceneggiatrice con il compagno Claude Lelouch. Nel 2015 esce il suo primo romanzo, “Il quaderno dell'amore perduto” (Les Oubliés du dimanche), che ha ricevuto 13 premi, tra cui Prix du premier roman de Chambéry 2016, le prix Chronos 2016, le Choix des libraires 2018 ed è stato tradotto in Italia nel 2016. Anche il suo secondo romanzo “Cambiare l'acqua ai fiori” (Changer l'eau des fleurs), pubblicato nel 2018, ha ricevuto diversi premi tra cui il prix Maison de la Presse che premia un'opera scritta in francese per il vasto pubblico; per la giuria è "un romanzo sensibile, un libro che fa passare dalle risate alle lacrime con personaggi divertenti e accattivanti". Nel 2022 ha ricevuto il Premio Super Flaiano di Narrativa. Se volete partecipare, contattateci all'indirizzo mail: [email protected] oppure all'indirizzo, sempre mail, [email protected] e riceverete, in prossimità dell’incontro, il link di riferimento. Vi aspettiamo per confrontarci insieme su questa autrice e scoprire il suo romanzo, non mancate!!!
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ATELIER DES ORS - BLUE MADELEINE - Memory Lane Collection - Eau de Parfum - Novità 2024 -
Welcome to the Proust syndrome club. Everything has a smell, every smell is a living memory. A scent for the moments I treasure most.
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Ad ogni ricordo un odore, ad ogni profumo un pezzo di vita e memoria. Spesso si è parlato delle madeleine di Proust che, per primo, descrisse ne La Recherche questa esperienza olfattiva legata ai famosi dolcetti francesi. Il loro aroma e sapore sollecita la memoria involontaria, quella che ti viene restituita in pienezza emotiva, richiamo sensoriale che fa emergere il passato attraverso un ricordo intenso e struggente.
Milioni di milioni i ricordi, custoditi con cura, alcuni nitidi, altri sfocati o sbriciolati dentro altri ricordi, un archivio di sensazioni, esperienze, emozioni che hanno un interruttore magico comune, lo scent-click il tasto-profumo che le riporta all’istante in primo piano.
L’olfatto è un senso potentissimo (e ahimè sottovalutato) ed è quello che incide con più efficacia sul nostro inconscio, determinante la vicinanza anatomica a due importanti strutture del lobo temporale del cervello: amigdala (gestione delle emozioni) e ippocampo (gestione della memoria) che elaborano l’esperienza olfattiva collegandola istantaneamente ad un ricordo e all’emozione che da esso scaturisce.
Ho sempre cercato, nel mio lungo peregrinare olfattivo, di dare valore all’arte del comporre, all’armonia della creazione, all’emozione del sentire. A volte mi sottraggo al diktat delle piramidi e insisto nello spingermi oltre le note per scovare e far brillare sensazioni che conosco mie, ho percepito e vissuto. Non sono l'immaginazione o la fantasia ad attivarsi, che valgono certo per alcune composizioni, ma il ricordo vivido di un momento personale vissuto, che mi impegno a cercare, come qualcosa di perduto nel tempo che debbo ritrovare.
Bello è stato quindi ripescare certi istanti di sincera piacevolezza in Blue Madeleine, ultima creazione di Atelier des Ors per la nuova collezione Memory Lane.
Un piccolo scrigno dove si intrecciano aromi caldi e speziati di pepe rosa e cannella, un’infusione di te nero e ginepro dai toni affumicati a sbiadire in una gradazione lattea molto amabile, perfetta citazione della soffice madeleine da inzuppare nel te pomeridiano.
E poi lo svelamento dell’accento romantico nostalgico di rosa centifolia e pralina ad enfatizzare la delizia estendendola all’armonia ultracreamy vanigliata boisé di balsamo del Perù e legno di sandalo.
Così il ricordo è qui, intatto, ti accarezza dolcemente e ti affida per sempre i suoi bagliori dorati.
Creata da Marie Salamagne.
Eau de Parfum 100 ml. Online qui
Della stessa collezione scopri anche Villa Primerose qui
©thebeautycove @igbeautycove
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Sono Quasi Sicura che avrai pensato che il Quasi Morto si darà agli eccessi per quel fine settimana, agli atti estremi, pericolosi, illeciti.
Ma vedi, ci sono cosi tanti modi di viversi la vita, che spesso quelli più felici ci sfuggono, o li deridiamo, o li guardiamo solo per un attimo, o ci passiamo sopra come un guidatore passa sopra ad un procione e finisce per accorgersene solo quando trova i suoi resti sotto la ruota.
Il Quasi Morto Analfabeta sfrutterà quel fine settimana leggendo.
- Ti immagini se nell'aldilà non ci fossero le biblioteche?
Gli analfabeti in una settimana potrebbero quantomeno far qualcosa per poter dialogare con gli amici morti.
Il Quasi Morto Innamorato e mai ricambiato sfrutterà quel fine settimana nel tentativo di strappare un bacio all'amato.
- Ti immagini se nell'aldilà non ci fossero i baci?
Il Quasi Morto Miscredente sfrutterà quella settimana avvicinandosi a una qualche religione.
- Ti immagini se un uomo che muore miscredente è destinato nell'aldilà a restare da solo?
ETERNA SOLITUDINE: mai ci fu binomio più triste.
Amore, caro amore mio.
Noi saremo il monumento continuo di nuovi desideri che corrono giù dalle montagne più veloci della paura di soffrire.
Vestiremo splendore con la detterminazione di mille inverni. Faremo esplodere il consenso in cielo e lo guarderemo piovere diamanti in tutte le direzioni.
Parleremo per immagini, per riparare l'ideale, e il nostro cinismo farà sbocciare nuovi sogni.
Innescheremo la macchina della volontà per produrre domande che spostino cattedrali.
Affinché tutto accada di nuovo oltre che nulla vada perduto.
Saremo il fatale prevalere dell'azione.
Amore, caro amore mio.
Chiudo gli occhi e vedo il tuo volto, le tue mani che stringono i miei polsi. Sublime sofferenza. Mi tieni saldamente, il mondo continua ad andare avanti mentre noi siamo fermi. I miei piedi sul bordo del muretto, le braccia aperte come se attendesi l'abbraccio eterno. Gli occhi chiusi e labbra distese in un mezzo sorriso.
Lasciami cadere. Lasciami schiantare contro il cemento freddo della strada. Contro le terra che da cosi tanto tempo mi chiama a lei . E tu non guardarmi amore mio. Chiudi gli occhi. Lo sai che la gente parlerà di me come "la ragazza della musica di Ludovico". Un nome così completo, pieno. Un nome adatto a lui, che mi ha accompagnata cosi tante volte nella strada verso l'oblio. Ma tu vivi. Togliti le cuffie perché è ormai finita. Sto per tornare a casa
Amore, caro amore mio.
Tu non conosci il dolore che sentirò e non dovrai saperlo. Saremo scritti nel vento con i pennarelli di pioggia che svaniranno al sole. Prima o poi. Spariremo, come qualcosa che non è mai esistito. Come un sogno che al mattino non te lo ricordi più, ed anche se ci provi ti sfugge.
Non ti ricorderai di me ed io non mi ricorderò di te. Ci perderemo a vicenda, ci rincorreremo per finire sempre col perderci, come nel quadro del riccone cazzuto.
Amore, caro amore mio.
Prendi la parte che più ti piace di me.
Dimmi parole dolci.
Costringimi alla sofferenza.
Calpestami.
Non chiedere scusa.
Sono una roccia.
Un pezzo di ferro.
Un fiore in primavera.
Una foglia d'autunno.
Prendi una parte di me.
Strappa pezzo per pezzo a morsi.
Sputa in terra.
Calcia ogni parte di me coperta di salate lacrime, mie.
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laddove dovresti cominciare a scordare (2020)
Inizi a ripetere il nome. con voce sommessa. poi sempre più alta. la coscienza vacilla. odore di incenso il nome nell’aria. sale vago uno stilo di ombra. e verticalizza il piano del muro. ripeti il tuo nome ti chiami mutando. il tono il ritmo l’intenzione. l’insonnia di mostri. destava la notte. chissà cosa era e sai cosa era. la cosa era. la cosa materna. di rimozione freudiana. adesso che scrivi non scrivi. salti alla fine. non vuoi ricordare. perché dovresti iniziare a scordare.
Prendi il vuoto dalla finestra. il mantello di nulla che copre la vista. eppure l’aria odora di nuovo. dacché s’è vietato gran parte del giro. il virus ammazza il capitale serale. è fresco di corpo appena lavato. mai udito il suono di natura regressa. pare il paesino natale. che dalla campagna riceve. profonda preghiera di aria pulita. però non convince la lingua che scrivi. eppure ti piace il cantilenante. monotono gioco. è un gioco. nient’altro. mentre non sai di che tempo si parla. giorni d’illuminante miseria. il nulla non manca. solo il controllo del minimo mondo. all’epopea quotidiana è sottratto. da questo la rabbia e dopo l’angoscia. tu esci dentro. dentro te stesso. a passare serate con mille persone. molteplici i segni sul foglio a formare. la linea il contorno una sagoma audace. inizi un poema di carne spettrale. non cadaverico. ma spettro ondivago di moti sonori. di luci in raduno di vuoto in conclave. è dieci giorni di stretto controllo. che abbiamo perduto sulle cose normali. abiti che non abitiamo. ulteriori pellicole intorno al silenzio. che temi. il silenzio peggiore. quello degli altri. che si esprime a solerti parole. veloci a cicatrizzare. il segreto che ognuno accompagna. chiudendosi in grembo il contagio peggiore.
Il sole del 21 marzo chiama il corpo a saltare. il pensiero rimane sciolto. nel fondo di un amaro bicchiere. ricordi quando le nuvole. avevano forme più umane. quando l’estate poltriva. nel fagotto di carni sudate. quando il tempo frenetico frenava l’amore. e stavamo abbracciati per non darcela vinta. con rabbia e rancore. e adesso ne scrivi. prendendo a esempio possibili storie. orlando il vuoto ripieno dal niente da dire. laddove dovresti cominciare a scordare.
Riprendi a cadere. il battito al cuore irregolare. riprendi a scordare. per dire che piove e devi mentire per forza di cose. per forse e probabili prove. da non superare. perché adesso scrivi e profitti dell’attimo. di colma interiore. e a chi ti rivolgi se ora. ti avverti lusinghe e travolti. il senso soggetto alla musica. ché dire tutto è già dire. ovunque. senza anche parole. senza anche significati. riprendi a cadere. a scordare e riprendi oggettivo. a vedere il mondo fermare. non ha senso oppure è troppo interiore. magari io e te. da lapide a lapide. ci lasciamo attenere al bioma. all’albero. ecco.
Niente di strano quel giorno solare. mentre la voce non era che inizio. di folle finestra affacciata sul vuoto. il pensiero dissolto di nebbia al mattino. i nessi causali disciolti nel niente. nel nulla creativo del desiderio. ho sempre disse egli scrivendo ho sempre. disse avuto sentore tutto. non può essere questo. letto e capito o visto soltanto. c’è sempre il mistero del corpo. e nessuna parola. può spiegare davvero. è questo il mistero oppure gli alberi che. fra loro si sanno salvare dal vuoto. ponendosi ascolto del cielo che muta. non muto distratto di nuvole. ammassi di luce vertigini. assolte da pentole grandi. colori galattici. bocche richiuse. barlumi sintattici.
Ti avvedi e ti assenti. ti avvedi che l’alba porta disastri. ti assenti assentendoti. assentandoti in bici mattina di gelo. e commissioni da. avevi. sì pericoloso. adagiando la musica al verso. la cordialità di un timbro imperfetto. a parola uguale colore differente. questo succede che accordi. laddove dovresti cominciare a scordare. togliere il cuore la corda il sartiame. iniziare. perché dopo il prologo. appena. scordare diventa abito corda. nave ripeti cordarsi di ricordare. laddove dovresti cominciare a scordare. iniziare solo. non dilinguare né dilungare. assaporare oppure. il labiale del ricordo scordare. questo per quanto ricorre il pensiero. scalzare. viene da calzolaio. in via non ricordo. stamani prima di andare a non lavorare. desiderio di cominciare a scordare. la scarpa l’una e l’altra per differenti toni. hanno un errore indotto dalla mano e. dal processo in cammino. fa freddo. là fuori si vede ricurvo egli sull’unico attrezzo. a uno scopo votato. il ragazzo che calza ginnastica. ripara le autovetture dei piedi. e tu torni a tu. con la mente e riprendi. laddove dovresti iniziare a finire. laddove dovresti iniziare a scordare.
Su interazione riprende a scordare. il tu cui riferivi. la cosa vagante il chierico senza. né dio né domande da farsi né stanze. distante dal senso che si ha. dell’interazione con l’altro. che è prima rendere intero l’altro. pieno del suo svolgersi interno casualmente distinto. dal riciclo di azioni parole e gesti. estimi. intimi mai del tutto esterni. questo è quanto devi disimparare. per iniziare di nuovo un risveglio. e poi questa tazza che porti alle labbra. o queste labbra che staccano il gesto. alla tazza ricolma di liquido nero. cosa distingue dal foro bottiglia. se il risultato è pieno del vuoto. la netta soglia che fa del pieno. un pieno e del vuoto. un colmo a colmare. e poi dovresti iniziare a scordare.
Su oltrepassare dovrebbe. tacere la lingua e. meditare per questo mediando. ostacolo e slancio. ripresa fermata bilancio. astensione al contorno del dubbio. che lascia insoluto il senza risposta. laddove dovresti scordare l’abito. di contendere al vuoto il significante. lasciarlo andare. e dovresti per questo ingoiare l’idea di un oltrepassare. di un oltrepassato. è questo il disegno migliore. per sperare a non morire di vita. un oltrepassato è il passato. dopo che iniziato a scordare. il nome il tuo corpo il luogo che ti vuol contenere.
Su questo punto dovrebbe tacere. guardare aldilà di un tramonto lunare. vestirsi di suono e andare a vedere. se oltre il silenzio c’è un colore di topo. il corpo è presente e duole lo spazio. nel questo momento. nell’atrio che alghe. nel colmo che baratri di voci volatili. in questo territorio volubile ormai. la poesia si disloca in piccole unità manageriali. economia di mercato smarcandosi. del tutto dalla persona. ci sarebbero cose da dire ma. laddove dovresti cominciare a scordare.
per questo ti svegli. per farti da parte. nel segno del desiderio. piove. passeggiano immagini a basso volume. la strada strappata la striscia di gaza. pensieri nell’immediato.
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Questi giorni sento il peso del cambiamento che lotta contro i rimpianti di persone perdute e ricordi mai vissuti. Penso che sto perdendo gli anni migliori della mia vita, vedo la freschezza nel mio sguardo sbiadire lentamente e mi affanno alla ricerca di antidoti contro il tempo, mentre tutto il resto del mondo vortica e mi deride per la mia ingenuità. Quanto rumore nel silenzio del mio cuscino, vorrei solo poter spegnere l'interruttore e non sentire più nelle orecchie quel ronzio incessante che mi ricorda quanto la pace sia un concetto alienante e inafferrabile. Mi sveglio con le immagini di una vita che non è più mia e forse non è stata di nessuno, a volte giuro a me stessa che vorrei non lo fosse mai, eppure mi diletto nel credere che se continuo a camminare verso quel punto infinitamente lontano prima o poi mi imbatterò nel mio riflesso e potrò finalmente riconoscere questi occhi stanchi e accettare che aver vissuto quei tre attimi universali mi abbiano spinta ad apprezzare il presente, che quella sera ho fatto la cosa giusta, che precipitare sull'asfalto in un'estate antica e metafisica era necessario, che dopotutto sbagliare una volta di troppo mi ha resa migliore, che non è male tutto quel che è perduto. Tremante e sudata cerco di affastellare e coordinare tutto in linea retta, ma a volte giro lo sguardo e vedo che accanto a me scorre tutta l'esistenza a cui rinuncio per paura, per cieca convinzione, per speranza che due linee rette parallele prima o poi si incrocino, cancellando quel biblico mai insormontabile. Nel mio castello di vetro sono il dio che fa combaciare i fili e distrugge le leggi eterne del contrappasso. Un giorno avrò risanato piaghe inferte da me stessa e le cicatrici saranno un vessillo di pace per il viandante affaticato, che appoggiando il braccio al bastone mirerà l'onesta guerra dei poli opposti e troverà conforto nella sua inevitabile fine. Nella vergogna delle convinzioni incerte mi accovaccio a nutrire quella speranza viscerale e putrida che mi consuma le carni, tremante e sudata, mentre affastello e coordino, e manipolo, e chiudo gli occhi e rifiuto di accettare che due rette parallele, nella medesima direzione, non si incrociano mai.
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