#Quotidiano Repubblica
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Finalmente la resa dei conti è arrivata. Poi toccherà all'Unità ed al Fatto Quotidiano.
Patrizia Cesaretti: Se fossero giornalisti invece che lecchini, camperebbero meglio.
Maria Stella Maltoni: Questo perché i pescivendoli non hanno più comprato Repubblica per incartare il pesce.
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CAOS A LA REPUBBLICA: "LA NAVE AFFONDA I CONTI VANNO MALE. QUAL' È LA LINEA EDITORIALE’’.
Libero 05/01/24
Non c’è pace a Repubblica. Dopo il durissimo comunicato di metà dicembre coi 5 giorni di sciopero paventati, il 2024 si apre con una mail esplosiva del Comitato di redazione (Cdr) a tutti i giornalisti della testata.
La sintesi è che la direzione e la proprietà si sono allontanate dall’identità del giornale.
Nel 2020 gli Elkann, proprietari di Repubblica, hanno venduto il Tirreno, la Gazzetta di Modena, la Gazzetta di Reggio e La Nuova Ferrara.
Nel 2021 si sono liberati di MicroMega.
Nel 2022 la vendita dell’Espresso.
Poi, nel 2023, la cessione di 6 testate del Nord-Est (Corriere delle Alpi, Il Piccolo, Messaggero Veneto, La Nuova Venezia, Il Mattino di Padova e La Tribuna di Treviso).
Pochi giorni prima di quel comunicato, il fondatore, De Benedetti, aveva a sua volta picchiato duro contro gli Elkann, accusandoli di aver distrutto il quotidiano.
IL CDR: «L’ANNO CHE SI CHIUDE È STATO SOFFERTO E DIFFICILE, ASSAI DELUDENTE PER TUTTI NOI.
IL NOSTRO GIORNALE CONTINUA A PERDERE COPIE,
ABBONAMENTI E NON RIESCE A TROVARE UNA STRADA NEL DIGITALE. E QUESTO, A NOSTRO AVVISO
PER LA MANCANZA DI UNA CHIARA STRATEGIA DI INVESTIMENTI, MARKETIG, OBIETTIVI, COLLOCAZIONE NEL PANORAMA EDITORIALE.
NONOSTANTE GLI SFORZI TITANICI DI TUTTI NOI.
La difesa dell’identità di Repubblica (ciò che sembra importare solo a noi giornalisti che amiamo questo quotidiano e il lavoro che facciamo)
ci ha impegnato in un anno che ha segnato la per noi traumatica disgregazione di quello che era il più importante gruppo editoriale del nostro Paese,
smembrato e dismesso da un editore il cui progetto resta per noi incomprensibile, oltre che frutto di preoccupazione».
La redazione, si legge sempre nel comunicato, attende dal direttore Maurizio Molinari il nuovo piano editoriale:
«Come sappiamo nel futuro prossimo ci sono ancora tagli, riduzione del perimetro giornalistico, mortificazione di competenze e professionalità (...)
il 2024 si preannuncia un anno di dura battaglia a difesa del nostro posto di lavoro, del nostro nome (...) dovremo affrontarlo insieme.
perché da questa caduta rovinosa non si salva nessuno.
Vedere Repubblica che viene abbandonata come una nave che affonda è motivo di particolare amarezza».
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L'informazione sicura di Repubblica:
Chi legge questo quotidiano o è scemo o è in malafede.
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(...)
Stellantis, Repubblica e il Pd… il segreto di Pulcinella
Il segreto di Pulcinella lo svela la spina nel fianco degli Elkann, protagonista anche della convocazione in Parlamento del supermanager superpagato Carlos Tavares, Carlo Calenda, leader di Azione. “La realtà dei fatti è che Elkann si è comprato Repubblica, cioè il principale quotidiano della sinistra, e in questo modo da Landini al Pd la parola Elkann non viene pronunciata. E’ lì il problema. Noi abbiamo dato garanzie agli Elkann che sono costate agli italiani…C’è un tema che riguarda l’assetto proprietario di Stellantis cioè John Elkann”., ha detto Carlo Calenda a Rai news.
“E questa cosa non si riesce a dire – prosegue il leader di Azione – perché Elkann in modo molto brillante ha capito che basta comprarsi un giornale che gli è costato pure poco, e lo distruggerà alla fine, per coprirti a sinistra. Io credo – conclude – che questa battaglia va fatta al centro e a sinistra perché é una battaglia di tutela di 100mila famiglie”.
Ma sul “Fatto” di oggi, Calenda andava giù ancora più duro. “Su Stellantis non si è mai sbilanciato. Infatti credo che ci sia nella sinistra italiana un problema con gli Elkann e con i loro giornali, a partire da Repubblica. Elkann ha fatto una cosa geniale comprandola con quattro soldi, e distruggendola, così da coprirsi a sinistra. Questa però dovrebbe riconquistare il voto degli operai piuttosto che ingraziarsi Repubblica”. Nulla accade per caso, nella finanza ma anche nella sinistra.
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Ciao! I'd like to learn more about Italian politics (local and country wide). Do you have any website recommendations in Italian, maybe ones with mid-level language for a general audience?
Ciao!
There's the Italian government website (that you can find in English as well) where you can find also the various Ministeri's + other correlated websites. Not sure about the language used as there may be some difficult words but since there's also the ENG version it could work. Ofc you may not be able to access all of its parts because it's for Italians, but I think you can find all of our laws and general politics stuff?
And then there are all the various newspapers and online news blogs (which may be biased ofc, since they too may be supporting a certain party politics-wise). I think I already mentioned a few in the resources masterpost, but some of them are: Avvenire, Corriere della Sera, Il Fatto Quotidiano, Il Foglio, Il Giornale, Il Manifesto, Il Mattino, Il Messaggero, Il Sole 24 Ore, Il Tempo, La Gazzetta dello Sport, La Repubblica, La Stampa, Libero, L'Unità, Il Giorno, Il Resto del Carlino, La Nazione, Il Secolo XIX... These days most of them require a subscription on their website (or at least not all the news are for free). I read you can check them from the Senato's website (worth checking since they have a webtv too + a version for youngers and a youtube channel) but still... it may require a subscription too.
You can check both RAInews and TGcom24 but ofc these too can be biased.
I think there's the website called ILPost too that can offer a newspaper-like + podcasts and more.
Wikipedia, especially to know the basics of how our government works/is made, may be another good option anyway (for example how our Parlamento works, but ofc start by searching for Governo, Senato, Camera dei Deputati too and then move local like in Regioni, Province e Comuni. I had made a post some time ago, but please look at Wikipedia :)). And ofc all the social media of the government and senato too could help.
Maybe reading the ricerche correlate to a subject (which could be senato, parlamento, governo...) like this
could be more your cup of tea? You may find easy answers in Italian about our politics and what is going on.
Italians, if you have better suggestions, please share!
#it#italian#langblr#italiano#italian language#italian langblr#languages#italian stuff#italian resources#italian politics#italian news
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I discovered something horrible today and I won't let it die due to language barrier issues.
"Deputy Marco Grimaldi of Alleanza Verdi e Sinistra has submitted a parliamentary question to the minister of culture, Gennaro Sangiuliano, denouncing an arson that occurred on 6 June at the National Cinema Library of the Experimental Centre for Cinematography (CSC) in Rome. The arson was particularly significant and caught deputy Grimaldi's attention, because it hit cell B4, destroying a significant amount of nitrate films from the 1930s and 1940s, part of the Italian cultural heritage. But, above all, Grimaldi accused the CSC of «trying to keep it a secret».
An official statement on CSC's website (published on June 12th), which reported details about the arson, would have been removed shortly after, creating additional concerns about how the event has been managed. «After the intervention of both the fire department and police, so far the only concerns have been: sending an email to employees so they could prohibit them from revealing the event to outsiders and signing a contract with a private security company in order to supervise the deposits», Grimaldi denounced.
CSC informed Domani that the fire would have damaged only a small portion of the entire film archive, so the reels should already have a copy each. Right now, the complete census of the works that have been destroyed has not yet been completed». Meanwhile, the causes of the fire remain uncertain and are currently under investigation. The president of the foundation, actor and director Sergio Castellitto, said that CSC had already raised concerns about the safety of the archive's conservation status, a matter which the CSC had promised to address with the help of the Ministry of Culture, like exploring the possibility of more suitable structures for the preservation and restoration of italian's film heritage. A source close to the Cineteca revealed instead to Domani that the investigation is trying to determine whether the causes of the fire were intentional or not and if the damaged films are the original reels, and not «copies of copies»."
I tried to translate it as good as I could, still, have the original source and some more:
Editoriale Domani:
Repubblica's online articles are always behind a paywall, but it's a major italian newspaper, so I have to include it.
Quotidiano Nazionale (video):
dailymotion
#centro sperimentale di cinematografia#csc#news#corrupted pieces of shit#lost media#movie archive#media preservation
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Francia, la rabbia e la speranza da coltivare | il manifesto
Un pezzo lucido e saggiamente empatico!
Pubblicato 15 ore fa
Edizione del 3 luglio 2024
Mario Ricciardi
Sono stati i giorni della delusione e della rabbia, ma anche quelli della speranza. Lunedì mattina i parigini si sono svegliati sotto un cielo lattiginoso, che copriva il sole che ha brillato nelle ultime ore di campagna elettorale. L’edizione speciale di Le Monde annunciava secca che «la destra estrema è alle soglie del potere». A illustrare il titolo un’immagine dell’esagono quasi completamente coperta di marrone, il colore che nell’infografica del quotidiano progressista rappresenta il Rassemblement National guidato da Marine Le Pen.
Delusione e rabbia sono le reazioni più diffuse tra gli elettori di sinistra, e tra i moderati che credono ancora nell’estraneità del Rn – un partito che ha raccolto l’eredità della destra xenofoba e razzista, e affonda le proprie radici nel regime di Vichy – ai valori della République laica e antifascista. Per quanto indebolita da anni di erosione, prima a opera di Sarkozy e poi, in modo più accentuato, da parte di Marine Le Pen, che dopo la fondazione del Rn ha visto crescere il proprio consenso fino a eclissare le altre formazioni della destra, l’idea di una sorta di «arco costituzionale» della repubblica, da invocare per sbarrare la strada dell’Eliseo, aveva tenuto fino a qualche giorno fa.
Forse ci credeva anche Macron – per interesse, perché di convinzioni sembra averne poche – che sul legame tra le forze che si riconoscono nei valori della repubblica aveva scommesso quando ha deciso di sciogliere il parlamento. Invece si è capito, già nelle prime fasi della campagna elettorale, che l’argine a destra era saltato, che un numero consistente di francesi non vede più un voto a Le Pen come contrario a una sorta di «moralità costituzionale», e che stavolta Macron non sarebbe stato nella posizione di trarre vantaggio dalla solidarietà di una sinistra battuta sia dalla destra sia dal centro.
PER QUESTO, MENTRE la delusione per la mossa spregiudicata del Presidente lasciava il posto alla rabbia per il modo irresponsabile in cui ha giocato sul futuro dei francesi, e in particolare di quelli che hanno tutto da perdere se il Rn andasse al potere, è emerso anche un sentimento che sembrava da tempo dimenticato: la speranza. Contro le aspettative dei realisti, le diverse forze della litigiosa sinistra francese sono riuscite a mettere insieme un accordo elettorale, e a combattere una straordinaria battaglia che le ha condotte al primo turno intorno al 28 per cento, contro il circa 33 per cento della destra. Purtroppo questo non vuol dire che sia possibile battere Le Pen. Tuttavia, si potrebbe fare in modo che non raggiunga la maggioranza assoluta grazie ad accordi di desistenza.
QUESTO È IL TEMA della manciata di giorni che ci separano dal secondo turno. Alcuni nomi rappresentativi della Macronia hanno già rotto le righe, facendo capire che tra l’equità sociale e la tutela dei possidenti non hanno alcun dubbio: preferiscono fare gli interessi dei secondi, anche se questo espone la Francia al rischio di una deriva autoritaria, e di misure discriminatorie nei confronti delle minoranze.
Viene allo scoperto in questo modo un’ambiguità che ha segnato gli ultimi vent’anni, e che è tra le cause primarie della crisi profonda che stanno attraversando diverse democrazie. L’ipocrisia di chi si descrive come «progressista», ma al dunque sta dalla parte dei forti. Quella per cui i cittadini non hanno diritti costituzionali, ma privilegi contingenti che possono essere rimessi in discussione, senza alcun riguardo per la giustizia sociale, quando c’è bisogno di ridurre il debito, o di aumentare la competitività, mentre chi potrebbe contribuire a una distribuzione più equa dei sacrifici viene protetto perché è «un produttore di ricchezza». Come se il lavoro subordinato fosse inerte.
Questo progressismo, che si presenta come liberale, ma della libertà ha una concezione ineguale e quindi arbitraria, potrebbe subire un colpo durissimo se Le Pen riuscisse a formare un governo. Tra qualche giorno verrà il tempo dei bilanci e delle proposte per il futuro. Anche se sconfitta, la sinistra francese ha qualche milione di ragioni per coltivare la speranza e trasformarla in opposizione.
#Mario Ricciardi Insegna Filosofia del diritto nell'Università Statale di Milano e Legal Methodology nella Luiss Guido Carli di Roma.Ha diretto la rivista " Il Mulino" fino al 2023
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" 1999. La Nato inizia a violare i patti invitando e inglobando Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria, anche se la Russia in ginocchio non rappresenta alcuna minaccia. Mosca protesta, ma non ha la forza di reagire. È la prima applicazione delle teorie dell’ex consigliere per la Sicurezza nazionale di Jimmy Carter, Zbigniew Brzezinski, e dei “neocon” della destra americana sull’esigenza di circondare, assediare, provocare e dissanguare la Russia costringendola a un riarmo sempre più costoso, a una reazione armata e a una definitiva sconfitta militare. La seconda mossa della Nato è attaccare il principale alleato dei russi in Europa: la Serbia di Slobodan Miloševic, bombardata per 11 settimane senza alcun mandato dell’Onu. Incredibilmente l’Occidente si schiera con i separatisti albanesi del Kosovo, in gran parte musulmani, che con il loro “esercito di liberazione” – la famigerata Uck – compiono da anni stragi e attentati terroristici contro la minoranza serba e vogliono staccarsi da Belgrado. Ma si finge di non vederli, mentre parte la propaganda Usa sulla “pulizia etnica” e le “fosse comuni” serbe, in parte vere (come quelle kosovare) e in parte inscenate dai Servizi americani per far fallire i negoziati di Rambouillet (Parigi). Così il 24 marzo la Nato, Italia inclusa, inizia a bombardare Belgrado e altri centri della Serbia e del Kosovo, anche e soprattutto su obiettivi civili. Bilancio di quei 78 giorni di attacchi ininterrotti: tra i 1.200 e i 2.500 morti, quasi tutti civili, e un fiume di profughi. Ma la Nato non la chiama guerra, bensì “operazione di ingerenza umanitaria”.
Eltsin telefona a Clinton: “È inaccettabile: è il primo segnale di cosa potrebbe accadere se la Nato arrivasse ai confini della Russia. Le fiamme della guerra potrebbero bruciare per tutta l’Europa”. Ma neppure stavolta ha la forza per reagire: è vecchio e malato, e le sue folli liberalizzazioni suggerite dal Fmi hanno messo la Russia in ginocchio. Però Eltsin scatena la seconda guerra in Cecenia contro i ribelli separatisti e islamisti. Poi nomina premier il direttore del Servizio segreto Fsb (l’ex Kgb), Vladimir Putin, che a fine anno lo sostituirà anche come presidente. E in dieci anni riconquisterà la Cecenia con massacri, devastazioni indicibili e decine di migliaia di morti su entrambi i fronti. Intanto avvierà il riscatto economico e strategico della Russia, ma a prezzo di un regime sempre più autoritario e repressivo. "
Marco Travaglio, Scemi di Guerra. La tragedia dell’Ucraina, la farsa dell’Italia. Un Paese pacifista preso in ostaggio dai NoPax, PaperFIRST (Il Fatto Quotidiano), febbraio 2023¹ [Libro elettronico].
#Marco Travaglio#Scemi di Guerra#Jugoslavia#Yugoslavia#guerra di Bosnia#anni '90#XX secolo#letture#NATO#Stati Uniti d'America#Kosovo#UCK#democrazia#guerra giusta#antimilitarismo#imperialismo americano#diritti dell'uomo#Serbia#Belgrado#Operazione Just Cause#Storia d'Europa#geopolitica#storia d'Europa#saggi#Jimmy Carter#Zbigniew Brzezinski#Slobodan Miloševic#Bill Clinton#boris yeltsin#Russia
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Cosa ne sarà di Julian Assange? In queste ore l’Alta corte di Londra sta decidendo e potrebbe anche accogliere richiesta di estradizione avanzata dagli Stati Uniti. In questo caso potrebbe essere condannato a 175 anni di carcere, accusato di aver sottratto documenti attinenti alla sicurezza nazionale e di aver messo in pericolo la vita di migliaia di soldati impegnati in Afghanistan e in Iraq. Tesi smentita persino dal relatore Onu sulle torture e i diritti umani, Nils Melzer, nel suo Storia di una persecuzione. Mai come in queste ore bisogna continuare a vigilare e a tenere accesi i riflettori. La vera accusa contro Assange riguarda la sua attività di giornalista che ha rivelato i trucchi e le bugie usate dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna per provocare guerre, torture, commercio delle armi. Lo hanno accusato di essere una spia, ma di questo non c’è traccia nei capi di imputazione, allo stesso modo sono naufragate le accuse “prefabbricate” di stupro e violenza sessuale. Sono persino arrivati negare la sua attività pubblicistica. Peccato che Assange abbia ottenuto tale riconoscimento anche dalla Federazione mondiale dei giornalisti, dal sindacato europeo, da oltre 20 associazioni europee, dall’Ordine e dalla Federazione della stampa, dalla associazione Articolo 21. Peccato che persino i giornali che lo hanno attaccato si siano recati in ginocchio a supplicare di avere documenti da lui rintracciati. Peccato che la stessa Corte europea abbia sancito che un giornalista abbia il diritto, anzi il dovere, di pubblicare qualsiasi notizia, comunque ottenuta, che abbia i requisiti del pubblico interesse e della rilevanza sociale. Sfidiamo chiunque a dimostrate che i documenti rivelati non avessero questi requisiti. Quelle contro Assange sono accuse politiche. Vogliono colpirne per diffidarne cento, per ammonire preventivamente chiunque avesse voglia di cimentarsi con il giornalismo di inchiesta e di ficcare il naso nelle guerre, nel commercio delle armi, nei rapporti indicibili tra gruppi terroristici e Stati. Provate a pensare cosa potrebbe saltare fuori da una indagine, simile a quelle condotte da Assange, applicata ai conflitti in atto, in Ucraina, nella striscia di Gaza, nello Yemen, nella repubblica democratica del Congo, in Birmania… Non vogliono “oscurare” solo Assange, ma vogliono soffocare quello che resta del giornalismo di inchiesta, diventato il vero nemico dei regimi, delle oligarchie delle mafie, di quanti hanno bisogno del buio per rubare e uccidere. Vogliono colpire anche il diritto dei cittadini ad essere informati perché quello che Assange ha rivelato ha clamorosamente ha confermato le ragioni di quei milioni di donne e di uomini che, in tutto il mondo, avevano protestato contestando proprio menzogne, bugie, dossier prefabbricati, finti arsenali. Forse questo è il vero motivo di tanto accanimento. Vogliono punire Assange per punire chi ancora si oppone e a guerre e terrore. Per questo abbiamo il dovere di continuare a vigliare, per impedire che i giudici di Londra possano decidere all’improvviso e spedirlo, seduta stante, negli Stati Uniti. Non sarebbe la sua sconfitta, ma la nostra sconfitta, anche di quei giornalisti che, senza nulla sapere e nulla leggere, continuano a sparare alle sue spalle.
Beppe Giulietti –via: il fatto quotidiano
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Questo articolo ha seguito il normale processo di peer review ed è stato pubblicato nel gennaio del 2022. Ha suscitato un certo interesse, tutto regolare, sin quando poi nel settembre dello stesso anno (...) un certo giornalista di un quotidiano, il Guardian (la Repubblica inglese, ndr) evidentemente si è sentito particolarmente toccato da quanto sostenuto.
Il giornalista ha scritto un articolo sul giornale dopo aver intervistato alcuni esperti climatici internazionali noti per avere delle posizioni particolarmente catastrofiste al riguardo, che si sono scandalizzati per quanto letto nell’articolo e hanno detto “no, questo dovrebbe essere ritirato”.
L’editore della rivista si è sentito in dovere di fare una verifica del nostro articolo alquanto strana e insolita. Di solito infatti un articolo scientifico che ha passato il processo di peer review, può essere sicuramente messo in discussione ma i ricercatori che non concordano ne scrivono uno che a sua volta deve essere sottoposto a peer review. A quel punto si può iniziare un confronto sulle tesi, sulle ipotesi, sulle referenze e questa è la procedura normale.
Questo non è avvenuto, non hanno mai scritto un articolo scientifico di confutazione ma l’editore si è sentito in dovere di elencarci tre punti che erano in disaccordo con l’ultimo report dell’IPCC (The Intergovernmental Panel on Climate Change, un organo delle Nazioni Unite, ndr) Noi abbiamo scritto un addendum mostrando che in realtà questi tre punti sono assolutamente in accordo con quanto da noi sostenuto.
Dopodiché l'editore ha fatto partire una ulteriore peer review su quanto già rivisto e pubblicato (mai successo prima), dove un reviewer era d’accordo, l’altro reviewer no. Il disaccordo ha dato gli elementi all’editor per chiamare in causa un terzo auditor che ha espresso parere negativo e quindi c’è stata la ritrattazione dell'editor, non degli autori.
Conclusioni troppo scomode: "an unconvenient truth", nemesi ricadente sul Padre di tutti i Catastrofisti moderni, Al Gore il Grande Perdente.
RICORDA UN CERTO PROCESSO A GALILEO, INCLUSO L' "EPPUR SI MUOVE" FINALE.
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ci sono dei modi di dire entrati nella terminologia comune del linguaggio giornalistico che mi creano un profondo senso di fastidio. il primo che mi viene in mente è l’uso di 007 per indicare i servizi segreti. mi è bastato fare una veloce ricerca su google per trovare un esempio imbarazzante risalente a sole 18 ore fa. cito testualmente il titolo del Fatto Quotidiano: “lo scandalo MeToo travolge anche la Cia: 007 condannati per violenze sulle colleghe”. a parte il fatto che CIA è un acronimo e andrebbe scritto con le lettere maiuscole, 007 è un personaggio di fantasia, il doppio zero è un codice che indica la sua licenza di uccidere. vorrei inventare degli esempi ma la mia mente non è così creativa (“gli indiana jones ritrovano un reperto che si credeva perduto”?). la lista dei termini che mi infastidiscono potrebbe essere infinita. capisco che alcune siano terminologie entrate ormai nell’uso comune, però la loro esistenza nel mondo del giornalismo è soltanto colpa di un ricerca maldestra di trovare un linguaggio veloce che sia diretto per i lettori, che sono per lo più svogliati. se sia nato prima l’uno o l’altro non ci è dato saperlo. comunque, sono due gli ultimi esempi che mi hanno spinto alla bestemmia in questi giorni. il primo è “bomba d’acqua”, traduzione pure sbagliata del termine inglese cloudburst. trovo la parola italiana nubifragio molto più bella di bomba d’acqua, sinceramente. il secondo non è un termine usato spesso come 007 o bomba d’acqua ma si collega alla svogliatezza di un certo giornalismo italiano, quel giornalismo che utilizza un concetto noto nella cultura popolare anziché ideare un titolo che sia sì comunicativo ma di buon senso. stamattina repubblica scrive: “premio nobel. il dilemma: superstar o “famolo strano”.” tutto ciò mi snerva in modo esagerato, lo ammetto.
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Tutta la storia sembra sgorgare direttamente dalla penna di Tom Wolfe, il giornalista e scrittore americano inventore dell'espressione «Radical chic». I luoghi comuni sono più concreti che mai, nel condominio (occupato) di Alleanza Verdi e Sinistra. C'è il papà ingegnere di idee piuttosto liberali. Non può mancare la figlia scapestrata e di estrema sinistra. Poi abbiamo il politico equo e solidale con la casa al mare, ma senza frigo, per non consumare. E che dire del suo alleato. Parlamentare da più di 100mila euro di reddito e due case in Umbria. Lo stesso che dice che occupare le case degli altri non dovrebbe essere un reato.
Fin troppo facile smascherare il cortocircuito. Gli interpreti di questa sit-com rossoverde sono Roberto Salis e la figlia Ilaria. Con loro la coppia d'attacco più glam della nuova sinistra-sinistra: Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni. I due, presi dalla foga di difendere a tutti i costi la loro beniamina, si sono lanciati in un elogio degli occupanti abusivi. Ilaria Salis è accusata di occupazione abusiva e deve 90mila euro all'Aler, l'Ente che gestisce le case popolari in Lombardia. Fratoianni fa da scudo umano alla neo eurodeputata: «Mi ritrovo nelle battaglie per il diritto alla casa, anche nelle occupazioni». Segue il socio Bonelli, secondo cui «in questo paese il tema del diritto alla casa è un tema che è stato trascurato da tutti i governi». Nella saga rossoverde spunta il padre della Salis, che due anni fa vergava questo tweet in risposta al senatore renziano Ivan Scalfarotto: «Quando vedete una proprietà privata siete spinti da un irrefrenabile desiderio di invaderla! Sempre della serie quello che è tuo è mio, quello che è mio è mio!» Adesso è il primo testimonial della figlia europarlamentare.
Il solito copione da «Radical chic». Ed ecco la recente intervista rilasciata da Bonelli all'edizione romana di La Repubblica. Una beffa. Una settimana fa il leader dei Verdi apre le porte della sua dimora con «affaccio sul mare» al quotidiano del gruppo Gedi. Siamo a Ostia, in una palazzina del 1908. La vera chicca è il frigo fantasma. L'elettrodomestico c'è. Ma è staccato. «Compro del pesce e lo preparo subito. Il freezer non lo uso mai. Per il risparmio energetico ho collocato dei riduttori di volume e di flusso», racconta il politico ecologista, angosciato dall'emergenza abitativa. L'oscura intervista, relegata nelle pagine locali, brilla sul web. «Urge indirizzo per occupargli casa», ironizza su X il giornalista Pierluigi Battista.
Fioccano le prese in giro. Eccone una: «Casomai vi venisse voglia di occupare la casa di Bonelli venite già mangiati». Troppo facile sfottere Fratoianni. Più di 100mila euro di reddito e consorte collega in Parlamento. Proprietario di un fabbricato a Foligno, con un altro in comproprietà. Al netto dell'ironia, bisogna segnalare il duro commento di Marco Bentivogli, ex leader dei metalmeccanici Cisl. «Quando i figli dei ricchi dicono che è lecito occupare le case degli operai non c'entra nulla né la sinistra, né il comunismo», scrive Bentivogli.
Che infierisce: «È solo uno dei giochini con cui chi ha tutto disprezza chi fatica dalla mattina alla sera e si è guadagnato tutto ciò che ha col lavoro». Infine smaschera i finti Robin Hood delle occupazioni: «Le occupazioni avvengono solo nei quartieri dove abita la classe lavoratrice». Tutto così scontato. Radical chic, senza fantasia.
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Sai che novità
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Fedez come Ferragni, beneficenza e guai: «Cifre donate irrisorie o mai comunicate». Il caso dei terremotati e le "palle di Natale" Non solo Chiara Ferragni nel mirino di Selvaggia Lucarelli. «Beneficenza come lavatrice reputazionale», diceva la giornalista sui Ferragnez perché a sua detta, gli ex coniugi d'oro di Milano ricorrevano spesso ad essa per "ripulirsi la reputazione" (e anche la coscienza). Un esempio eclatante la festa di compleanno di Fedez al supermercato, quando, dopo aver visto l'indignazione social per lo spreco di cibo, Chiara e Federico annunciarono di devolvere tutto in beneficenza. Dopo il pandoro gate, però, ci sono altre operazioni benefiche che non sono state chiarite, tra cui anche quella nel 2016 con J Ax. Ma cosa è successo? L'accusa di Selvaggia Lucarelli Una nuova accusa, riportata da "Il vaso di Pandoro": ne parlano Domani e Dagospia. Selvaggia Lucarelli punta lo sguardo (e la penna) sulle azioni di beneficenza di Fedez nel 2016. L'Italia veniva investita da una tragedia che è rimasta nella memoria di tutti: il terremoto del 24 agosto alle 3:36 che distrusse alcuni comuni del centro Italia, tra cui Amatrice (la più colpita), ma anche Accumoli (Rieti) e Arquata del Tronto (Ascoli Piceno). Lo sciame sismico andò avanti per molti mesi, colpendo anche Norcia ad ottobre e città limitrofe. Furono mesi molto delicati per tutti e di apprensione verso i terremotati. Le donazioni con J-Ax Ed è qui che Fedez decide di fare la sua mossa per andare incontro agli sfollati. Il rapper attraverso i suoi canali social fa sapere le sue intenzioni: «Faccio questo video per chiedervi una mano. Da oggi Newtopia [la precedente agenzia musicale di Fedez e J-Ax, Ndr] devolverà gli incassi e gli utili della vendita dei propri singoli, di Vorrei ma non posto e di Andiamo a comandare a un’iniziativa promossa dal «Fatto» e dal Comune di Amatrice per la costruzione di un asilo e una scuola elementare». Con lui si schierano anche Fabio Rovazzi e J Ax, all'epoca amici molto intimi di Fedez: «Noi artisti di Newtopia, insieme alle nostre case discografiche, abbiamo deciso di fare un piccolo gesto immediato: oltre alle nostre personali donazioni abbiamo deciso di devolvere il cento per cento dei ricavati di Vorrei ma non posto e di Andiamo a comandare dei prossimi tre mesi». E poi come è andata a finire? Fedez non avrebbe fatto sapere più nulla sulla donazione fatta che, secondo le fonti di Selvaggia Lucarelli, ammonterebbe a circa «poche migliaia di euro». Il caso di "Le palle di Natale" Un anno dopo, nel 2017 Federico pubblica un singolo natalizio intitolato "Le palle di Natale" e promette: «L’intero ricavato della canzone verrà donato all’associazione Noi per gli Animali Onlus». Selvaggia Lucarelli ha voluto far luce anche su quest'azione benefica e ha contattato direttamente l'associazione che ha rivelato: «La donazione finale è stata di mille euro. Eravamo entusiaste, convinte che questa cosa ci avrebbe permesso di diventare un’oasi felina, siamo rimaste un po’ male… Ma va bene così, siamo una piccola realtà. E comunque abbiamo girato quattrocento euro a un canile». La domanda della Lucarelli riecheggia: «Chi ci ha guadagnato di più? Fedez o i poveri cani?». La frecciata finale Poi l'ultima bordata. Il rapper, dopo aver letto delle inchieste (di Selvaggia) sulle sue azioni benefiche, avrebbe chiamato personalmente Carlo De Benedetti (editore del quotidiano Domani, testata per cui la Lucarelli scriveva, e fondatore della Fondazione TOG, molto cara al rapper) per lamentarsi dell'inchiesta. La giornalista commenta: «Domando al direttore Stefano Feltri a che titolo lo faccia: "È che Fedez tra le altre cose fa delle donazioni alla fondazione di De Benedetti, la Fondazione TOG", mi spiega». Fedez, il caso archiviato Dopo il pandoro gate, le azioni benefiche dell'uovo di Pasqua di Fedez sono state controllate molto minuziosamente e su queste non c'è stato nulla di poco chiaro e il caso è stato archiviato, come riporta Repubblica: «Il presidente dell'autorità ha sottolineato che "è stata molto approfondita. Anche gli influencer possono fare beneficenza - ha osservato - perché il caso è stato archiviato dal momento che Fedez e l'azienda dolciaria Valcor, che avevano detto ai consumatori che acquistando le uova brandizzate Fedez avrebbero fatto beneficenza, la beneficenza l'hanno fatta. Quindi - ha concluso - l'Antitrust ha archiviato il caso».
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C'è ancora domani: il bellissimo (e arrabbiato) esordio alla regia di Paola Cortellesi
C'è ancora domani, esordio da regista più che convincete di Paola Cortellesi, qui anche sceneggiatrice e interprete: un film da vedere, magari insieme ai propri figli.
Non importa a quale estrazione sociale appartengano e indipendentemente dal livello di istruzione ed economico, tutti gli uomini del film d'esordio da regista di Paola Cortellesi dicono alla protagonista Delia, interpretata dalla stessa Cortellesi, che "se deve impara a sta' zitta". Ma L'attrice più popolare del cinema italiano contemporaneo non ci sta e, preso in mano il microfonoe la macchina da presa, ne ha diverse di cose da dire. Alla faccia di chi fa notare con pregiudizio e senza domandarsi mai realmente cosa abbiano da raccontare, fermandosi solamente al perché - come mai negli ultimi anni, sempre più attrici stiano passando dietro la macchina da presa. Con C'è ancora domani si può dire che Cortellesi ha stupito: non è soltanto perchè è importante ciò che dice, ma anche come.
C'è ancora domani: foto di gruppo del cast
Il film è ambientato in un Italia del primissimo dopoguerra, e per essere precisi nel 1946, nei giorni che precedono il voto tra Repubblica e Monarchia, primo vero suffragio universale del nostro paese. In un bianco e nero che ricorda i film del Neorealismo, la fotografia è di Davide Leone, ci si accorge subito che la vita di questa donna non è semplice: oltre a curare la casa e prole fa tre lavori diversi. Ma nonostante il suo impegno quotidiano, niente sembra sufficiente per il marito Ivano. Un Valerio Mastandrea che raramente ha ricoperto un ruolo così cattivo sul grande schermo. L'uomo la umilia e la svaluta continuamente. E soprattutto la picchia, o come si dice a Roma la mena. Tanto, ed a ogni minimo cambiamento d'umore. Persino la mattina appena svegli.
Ma nonostante tutto, Delia lavora, per i tre figli, in particolare la maggiore, Marcella (Romana Maggiora Vergano). La ragazza vorrebbe continuare a studiare, ma il padre invece pensa solamente a farla sposare bene, in modo da togliersi dalle spalle una bocca in più da sfamare. E magari nel mentre guadagnarci pure. Sì perché nella casa, oltre ai genitori e ai tre ragazzi, c'è anche il nonno Ottorino (Giorgio Colangeli): e sentendolo parlare si capisce subito da dove provenga la violenza di Ivano. Ma l’uomo non è il solo a prendersela con Delia: anche la figlia maggiore la insulta, le dice che non vale niente e accusandola di essere debole perché non reagisce. In realtà la ragazza rivede nella madre il suo futuro.
Paola Cortellesi ha scritto, insieme agli sceneggiatori Furio Andreotti e Giulia Calenda, diretto e interpretato un film, anche se ambientato negli ultimi anni quaranta del secolo scorso è pieno di "rabbia giovane". Questo perché la rabbia delle donne non conosce tempo: in un mondo fatto su misura per gli uomini, rientrare nel genere che viene considerato "minore" è un peccato originale con cui bisogna fare i conti ogni giorno. Soprattutto quando capisci che, per quanto tu possa lavorare sarai molto spesso pagata meno e considerata meno. Anche fastidiosa, specialmente quando cercherai di dire la tua. Perché "quello è omo!", come dice a Delia il datore di lavoro, quando gli chiede spiegazioni sulla differenza di compenso con il nuovo apprendista. Nonostante le donne come lei, madri, nonne e sorelle, siano state e sono le fondamenta su cui si basa la società, la nostra incrollabile cultura patriarcale, forse ora in modo meno sfacciato, dice sempre "e ringraziate che vi facciamo esistere".
C'è ancora domani: un primo piano di Valerio Mastandrea
E all’interno del film questo è evidente quando il fidanzato di Marcella, Giulio (Francesco Centorame), nonostante si presenti come un bravo ragazzo dolce e innamorato, ripete presto nei confronti della ragazza schemi già visti: possesso, violenza, prevaricazione. Ecco perché il film di Paola Cortellesi ha una forza che serve come non mai, soprattutto al giorno d’oggi, quando pensiamo che la società abbia fatto grandi passi avanti invece orrendi fatti di cronaca ci smentiscono quotidianamente. L'utilizzo di canzoni moderne in un film ambientato quasi 80 anni fa non è per nulla casuale. Perché storie come questa possono anche sembrarci lontane, ma accadono quotidianamente, anche nel "civile" 2024. E dare per scontati diritti come quello del voto, al divorzio e all'aborto, conquistati se ci fermiamo a pensare praticamente ieri, è un pericolo insidioso. quindi anche in tempi moderno e più “civili” non bisogna abbassare la guardia.
Cortellesi non lo ha fatto di certo e ha avuto la grande intelligenza di rendere anche istruttivo il proprio film, senza però mai fare la morale o uno "spiegone-manifesto". Ma nonostante la pesantezza del tema, C'è ancora domani risulta essere anche un film divertente - grazie a quell'ironia popolare e acutissima della Cortellesi, spalleggiata nel film in modo sublime da Emanuela Fanelli, che ha il ruolo di Marisa, migliore amica della protagonista -, dal ritmo incalzante, che, anzi, ha proprio come impronta stilistica quella di smorzare e dissacrare ogni climax emotivo, che esso sia positivo o negativo. Ed ecco quindi che l'ennesima scarica di schiaffi diventa un ballo in cui i lividi spariscono o una scena d'amore viene "sporcata" da della cioccolata rimasta tra i denti.
È un esordio alla regia più che riuscito quello di Paola Cortellesi, in cui si trova finalmente qualcuno nel cinema italiano che non è nostalgico del passato ma, anzi, è invece totalmente proiettato verso il futuro. C’è ancora domani è un film che sarebbe bello le madri vedessero insieme alle figlie e, si spera, vedano anche padri e figli. Per capire che non basta dire "io non sono così", ma è il momento di dire: non voglio che queste cose succedano ancora e ancora, quindi cosa posso fare per cambiare le cose?
In conclusione C'è ancora domani, il film esordio di Paola Cortellesi alla regia, è più che convincente: ed è un film che bisognerebbe far vedere a quanti più giovani possibile, per mostrare come una società che considera meno, e umilia, più della metà della sua popolazione sia una società malata. Divertente in diversi punti e con tante scelte di regia interessanti estremamente consapevoli e con un cast perfetto sicuramente una delle pellicole migliori del 2023 per quanto riguarda il cinema italiano.
👍🏻
- La regia di Paola Cortellesi, strepitosa e piena di idee interessanti.
- La recitazione di tutto il cast.
- Il ritmo incalzante.
- La scrittura, che si poggia su un'ironia dissacrante.
👎🏻
- Non c’è nulla che non vada in questo film ma qualcuno potrebbe non apprezzare l'utilizzo di musiche moderne per un film d'epoca ma in realtà il loro utilizzo è una scelta perfettamente coerente con quanto viene raccontato.
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Un morto sul lavoro ogni sei ore. Ma nessuno si indigna - la Repubblica
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L’episodio della Federico II di Napoli è solo l’ultimo anello di una catena di violenze contro gli ebrei in tutto il mondo. Solo chi è in malafede, o peggio, può sostenere di non vederci razzismo
Vale la pena di aggiungere qualcosa sulla vicenda napoletana di Maurizio Molinari. Non saprei dire, infatti (faccio finta di non saperlo dire), se sia stata pura trascuratezza o franca malafede a confezionare il negazionismo imbastito sul caso delle squadracce universitarie che hanno impedito di parlare al direttore di Repubblica: ma di questo si tratta, netto e ripugnante negazionismo, quando da quei ranghi di teppismo squadrista e dal milieu che in qualche modo li giustifica viene la teoria che no, Molinari non è stato contestato perché è ebreo, ma per le sue posizioni e per la linea che avrebbe imposto al quotidiano che dirige.
Lasciamo pur perdere il fatto che su quel giornale – che evidentemente il mazziere medio della Federico II di Napoli non legge – trovano spazio idee e argomenti di un oltranzismo anti-israeliano e antisionista che non dispiacerebbero a certi rettori dell’inappropriatezza antisemita depending on the context, né ancora alle figliole che nei dintorni del Ghetto strillano “Fuori i sionisti da Roma”. Queste sono considerazioni di aderenza fattuale perfino noiose.
Il punto è l’altro. È che a giustificazione delle leggi razziali non si diceva che gli ebrei erano sotto-uomini: si diceva che erano responsabili di una cospirazione. A caricare gli ebrei sui vagoni piombati non era la spiegazione che si trattava dei discendenti delle scimmie e dei maiali: era la teoria che con le loro pratiche di dominio soggiogavano il mondo, come oggi insegna la consulente delle Nazioni Unite assoldata dal Segretario Generale secondo cui il 7 ottobre non viene dal nulla.
Chiamato a rendere conto del gesto, il nazista che contrassegnava l’azienda del giudeo non diceva che il proprietario era un ratto che portava malattie: diceva che quei commerci strangolavano il popolo tedesco. Il professore che ordinava in due file i propri studenti, ingiungendo che sputassero in faccia al compagno ebreo che passava in mezzo, non spiegava che il bambino era di una razza inferiore: spiegava che apparteneva al popolo che ha ucciso Gesù Cristo.
È tremendo non capire che ciò che è successo a Napoli l’altro giorno e, soprattutto, quel che non isolatamente se ne è detto, è esattamente lo stesso. Non ne è un vagheggiamento abbozzato, un conato di similitudine, un riflesso tenue: è esattamente lo stesso. E soltanto una disperante imbecillità o, appunto, una sconfinata malafede può insistere sul fatto che dopotutto, per quanto spiacevole e deplorevole, la violenza di cui è stato destinatario questa volta Maurizio Molinari si è risolta in una conferenza annullata. Che è come dire che la devastazione del negozio di un ebreo dopotutto si risolve in qualche vetro rotto.
Io sono sicuro che alcuni (pochi, pochissimi) stanno capendo quel che succede. Capiscano che devono fare qualcosa. A cominciare dal presidente della Repubblica che telefona a Molinari e rivolge un monito a quelli che non lasciano parlare “chi la pensa diversamente”. Il mostro non si sconfigge facendo finta che non ci sia.
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