#Piero Ferrero
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Italia, record di miliardari: in aumento i patrimoni e le nuove entrate
Secondo la classifica di Forbes, aggiornata al 17 dicembre 2023, in Italia ci sono 70 miliardari, un nuovo record per il nostro Paese. Il totale dei patrimoni è di 230,1 miliardi, in aumento del 10% rispetto al 2022. La classifica è guidata da Giovanni Ferrero, erede dell'impero dolciario, con un patrimonio di 39,1 miliardi di dollari. Al secondo posto si trova Giorgio Armani, con 12,9 miliardi, seguito da Piero Ferrari, figlio di Enzo, con 7,6 miliardi. Tra le novità della classifica, spicca l'ingresso di 13 nuovi miliardari, di cui 8 sono eredi di Leonardo Del Vecchio, il fondatore di Luxottica, scomparso nel dicembre 2022. I settori più rappresentati I settori economici più rappresentati nella classifica sono: - Industria alimentare (22 miliardari) - Moda e lusso (17 miliardari) - Farmaceutica (11 miliardari) - Industria manifatturiera (5 miliardari) - Servizi finanziari (4 miliardari) L'industria alimentare è il settore che conta il maggior numero di miliardari, con 22 presenze. In testa troviamo Giovanni Ferrero, seguito da Francesco Calzolari (Gruppo Calzedonia) e Francesco Mutti (Mutti). Il settore della moda e del lusso è rappresentato da 17 miliardari, tra cui Giorgio Armani, Patrizio Bertelli e Miuccia Prada, Renzo Rosso (Diesel) e Andrea Guerra (Armani). Il settore farmaceutico conta 11 miliardari, tra cui Massimiliana Landini Aleotti (Menarini) e Sergio Stevanato (Stevanato Group). La maggior parte dei miliardari in Italia risiede in Lombardia L'industria manifatturiera è rappresentata da 5 miliardari, tra cui Giuseppe De'Longhi e famiglia (De'Longhi) e Giuseppe Crippa e famiglia (Enel). I servizi finanziari sono rappresentati da 4 miliardari, tra cui Leonardo Ferragamo (Ferragamo) e Alessandro Benetton (Edizione). La maggior parte dei miliardari italiani risiede in Lombardia (28), seguita da Veneto (17), Lazio (10), Emilia-Romagna (9) e Piemonte (8). Un aumento del 10% Il totale dei patrimoni dei miliardari italiani è in aumento del 10% rispetto al 2022. Questo aumento è dovuto a una serie di fattori, tra cui la ripresa economica post-pandemia, l'aumento dei prezzi delle materie prime e il buon andamento dei mercati finanziari. Nuove entrate Tra le novità della classifica, spicca l'ingresso di 13 nuovi miliardari, di cui 8 sono eredi di Leonardo Del Vecchio. La scomparsa del fondatore di Luxottica ha portato alla distribuzione della sua fortuna tra i figli, i nipoti e altri familiari. Altri nuovi miliardari sono entrati in classifica grazie al successo delle loro aziende, come ad esempio: - Matteo Arpe, amministratore delegato di Generali - Marco Tronchetti Provera, amministratore delegato di Pirelli - Andrea Guerra, amministratore delegato di Ferragamo - Giuseppe Crippa, amministratore delegato di Enel Le implicazioni sociali L'aumento del numero di miliardari in Italia ha implicazioni sociali rilevanti. Innanzitutto, evidenzia la crescente disuguaglianza economica nel nostro Paese. In secondo luogo, pone la questione di come la ricchezza dei miliardari possa essere utilizzata per promuovere lo sviluppo sociale ed economico. Alcuni esperti suggeriscono che i miliardari dovrebbero essere incentivati a investire in progetti di impatto sociale, come la lotta alla povertà, la tutela dell'ambiente e l'istruzione. Altri invece ritengono che la ricchezza dei miliardari dovrebbe essere tassata in modo più progressivo, per redistribuire la ricchezza in modo più equo. Foto di Kevin Schneider da Pixabay Read the full article
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Falsi sensitivi e medium fanno continue rivelazioni
Medium e scomparsi, il Cicap: abbiamo chiesto le prove, ecco com’è andata. Cos’è la tecnica del shotgunning. I medium e le presunte rivelazioni sulle persone sparite. Il comitato per il controllo delle affermazioni sulle pseudoscienze ha fatto una verifica. Ecco cosa ha scoperto Medium, sensitivi e scomparsi. Dalla ’ragazza del lago’ (Chiara Bariffi, trovata morta nel 2005) a Denise Pipitone, uno dei più grandi misteri d’Italia, la cronaca è affollata di medium e rivelazioni. Il paranormale dimostra di avere un fascino anche su tanti credenti se domenica papa Francesco all’Angelus, con una parentesi a braccio, ha bacchettato i “tanti cristiani” che “vanno a farsi leggere le mani”.
Sensitivi e scomparsi: cosa ha scoperto il Cicap “Possiamo dire con certezza: non ci sono prove che un sensitivo sia in grado di individuare dove si trovi un corpo o comunque di avere altro tipo di percezioni extrasensoriali”, è il giudizio netto di Andrea Ferrero, ingegnere spaziale e coordinatore Cicap, il comitato italiano per il controllo delle affermazioni sulle pseudoscienze, in campo da oltre 30 anni, l’avventura è iniziata con Piero Angela. Come si può definire un sensitivo? “Un sensitivo è una persona che sostiene di avere conoscenze attraverso percezioni che vanno oltre i fenomeni fisici”, è la definizione di Ferrero. Qual è la vostra posizione? “Non neghiamo a priori la possibilità ma per crederci chiediamo le prove. Non ci sono mai state fornite. Noi siamo disposti a cambiare idea, ma sulla base dei fatti”. Come opera un sensitivo? “Ad esempio facendo dichiarazioni molto vaghe, contando sul fatto che se poi qualcosa di quel che ha detto, a posteriori risulta vero, verrà ricordato quello e non invece tutte le altre cose più generiche e non pertinenti”. "Che cos’è la tecnica del shotgunning” “I sensitivi usano spesso la tecnica del shotgunning, alla lettera vuol dire sparare con il fucile a pallettoni. Tra tanti colpi, qualcuno prenderà il bersaglio. Vale anche nei consulti individuali. Il medium dice molte cose, le più pertinenti verranno ricordate”. Chi si rivolge a voi che cosa chiede? “Ci è stato chiesto più volte di dare suggerimenti per indicare medium validi. Una sorta di certificazione. Questa naturalmente è una cosa che non possiamo fare”. Persone scomparse, cosa fare! Read the full article
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Lavori nelle frazioni di Asti e territorio extraurbano per un milione di euro dai fondi Pnrr
Lavori nelle frazioni di Asti e territorio extraurbano per un milione di euro dai fondi Pnrr. Iniziati i lavori per interventi di manutenzione straordinaria sul territorio extraurbano, un finanziamento di quasi 1 milione di Euro finanziato con fondi PNRR. Si è partiti con la sistemazione della frana a Serra di Sessant, afferma il Vicesindaco Stefania Morra con delega ai L.L. P.P., intervento da parecchio tempo attesa dagli abitanti in quanto è presente un restringimento di carreggiata per la presenza di una frana. Sono in corso di esecuzione i micropali per poi procedere con la realizzazione di un cordolo a sostegno della strada. Si proseguirà poi con la sistemazione del muro a Valleartiglione, sempre a Sessant, dove da parecchio tempo era presente un tratto di muro ribaltato nel fosso, già rimosso. Verrà inoltre messo in sicurezza un tratto di scarpata in prossimità del cimitero di Serravalle è un ponticello in frazione Valmairone sul Rio Rilate, dove è già stato sbancato e creato la rampa per poter accedere e lavorare. Nei prossimi giorni verrà chiusa la strada Serra di Viatosto durante le ore diurne per la messa in sicurezza di una scarpata molto scoscesa. Seguiranno successivamente gli altri interventi. È anche stato approvato in Giunta il progetto per il ripristino della banchina in località Bersaglio lungo il Rio Rilate, per completare il primo lotto di intervento già realizzato. Soddisfazione da parte del Sindaco Maurizio Rasero che si complimenta con gli uffici che hanno portato a termine la fase progettuale e ora finalmente si possono vedere i lavori realizzati e le situazioni critiche messe in sicurezza. Purtroppo l’attesa è stata tanta, afferma il consigliere delegato alle frazioni Piero Ferrero, in quanto si tratta di un intervento di circa un milione di euro che richiede procedure di appalto piuttosto lunghe; inoltre chiediamo scusa ai cittadini per il disagio della viabilità perché si dovrà. O programmare alcuni sensi unici alternati o addirittura chiudere alcuni tratti di strada.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Corsera - Juve, Del Piero vuole un ruolo "operativo" per tornare
Ex capitano e numero 10 della Juventus, Alessandro Del Piero, sempre molto amato dai tifosi, potrebbe tornare al club bianconero come dirigente: stando a quanto riportato dal "Corriere della Sera", il presidente Ferrero avrebbe proposto all …source
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Del Piero, la Juventus chiama: il piano di Elkann e Ferrero
Del Piero, la Juventus chiama: il piano di Elkann e Ferrero via @OneFootball. Leggilo qui:
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Don't miss the Il Volo news! Da non perdere le notizie de Il Volo! Il Volo: não perca nada sobre eles!
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Dedalo Minosse Prize 2022 News
Dedalo Minosse Prize 2022, 12th Edition, ALA Assoarchitetti Italia, Architects, Buildings
Dedalo Minosse Prize 2022
25 March 2022
Announcing The Twelfth Edition Of Dedalo Minosse International Prize For Commissioning A Building
25 years after its foundation, ALA-Assoarchitetti announces the twelfth edition of the Dedalo Minosse International Prize for Commissioning a Building.
2022 Dedalo Minosse Prize News
Vicenza, March 2022 – Exceptional and unique, this is the only architecture award that recognizes the positive and stimulating role of the Client in the creation of great architectures and rewards the efforts of those clients who have worked harmoniously with their architects to create successful and worthy projects in the last 5 years.
Analysing and focusing on project and constructive plan process, the Prize gives special attention to the people who determine the success of a work: the Architect and the Client indeed, but also the project executors (the building firms) and the public administrations.
An international and multidisciplinary Jury will award private and public Clients together with their architects, focusing on those works that have taken into account the following issues: social and economic sustainability; works inspired by Design for All; enhancement and conservation of the environment, the landscape and the architectural heritage; use of innovative technologies and materials; use of renewable energy and resources; promotion of traditions and local languages; multidisciplinary planning approach; integration between art and architecture.
Mount Herzl National Memorial in Jerusalem by Kimmel Eshkolot Architects: photos courtesy of architects
Special attention is dedicated to young Architects under 40, to whom the prize offers a chance of international exposure. Applications can be submitted from 23th March 2022 to 6th May 2022. Registration is free and can be completed on the Dedalo Minosse website by filling out the online form and sending the requested material as explained in the Prize’s Rules.
Links: Subscription: https://ift.tt/zoYCByg Rules: https://ift.tt/CZzj6l0
Key dates: Launch: March 23, 2022 Final Deadline: May 6, 2022
In the past editions the Dedalo Minosse Prize awarded first-class Clients who have searched a value for the community in their architectural works. Among those: the governments of Belgium, Denmark, England, Spain, France, Italy and Germany; the city of Amsterdam, Innsbruck, Hiroshima, Londra, Barcellona, Roma, Napoli, Palermo, Joannesburg, Kuala Lumpur, Berlino; Birmingham; institutions as United Nations’ agencies, European Space Agency, the National Trust of England, Emergency and WWF; the universities of Detroit, Baltimora, Los Angeles, Cordoba and the Politecnico di Milano; famous companies, as Porsche, Citroen, BMW, Ferrero, Benetton, Nestlè, Vodafone, Snaidero.
Among the architects who participate to the past editions: Gae Aulenti, Campo Baeza, Mario Botta, Guido Canali, Massimiliano Fuksas,Von Gerkan Marg Und Partner, Zaha Hadid, Kisho Kurokawa, Mecanoo, Manfredi Nicoletti, Erik Owen Moss, Dominique Perrault, Paul de Ruiter, Keisuke Maeda, mk27, Waro Kishi, BIG Bjarke Ingels Group, Piero Sartogo, Studio Odile Decq, Oscar Tusquets, Kengo Kuma, Claude Vasconi, Cino Zucchi, Philippe Prost, EDAA, Lazzarini Pickering, Demogo, Ryuichi Ashizawa, Schneider+Schumacker, SET Architects, KAAN, C.F. Møller Architects, Auer Weber, Emmanuelle Moreaux, TYIN Tegnestue, Samyn and Partners, Satoshi Okada, Keysuke Kawaguchi,Werner Tscholl, Siegfried Delueg, Stifter Bachmann, Anagram Architecs.
Previously on e-architect:
2019 Dedalo Minosse Prize Winners News
Dedalo Minosse International Prize for Commissioning a Building
Dedalo Minosse Prize 2019 Winners
2 Premio Dedalo Minosse Under 40 – Casa Biblioteca, Vinhedo, São Paulo, Brazil photos courtesy of architects
Dedalo Minosse Prize 2019
Dedalo Minosse Prize
Website: Dedalo Minosse Prize Italy
Location: Vicenza, Italy
Architecture Awards
Stirling Prize
Good Design Award
Pritzker Prize Architects
Europa Nostra Award
RIBA Special Awards Shortlisted Buildings / Architects
Jencks Award
Comments / photos for the Dedalo Minosse Prize 2022 page welcome
Website: Dedalo Minosse Prize in Italy
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24 lug 2020 09:51
GLI ULTIMI SIMBOLI DEL POTERE: I NECROLOGI - LA MORTE DI GIULIA MARIA CRESPI PARAVICINI MOZZONI SI È CONSUMATA IN 194 NECROLOGI SUL ''CORRIERE'', DISTRIBUITI SU TRE PAGINE NELL'ARCO DI TRE GIORNI (PER UN INCASSO TOTALE DI 40MILA €) - L’IMPORTANZA DI CHI PARTECIPA AL LUTTO, COME NEI FUNERALI, DIPENDE DALLA VISIBILITÀ: LA PRIMA COLONNA PER I FAMILIARI, POI CAIRO IN TESTA ALLA SECONDA, INFINE SFILANO PUPA, ANTY, MALY, KITTI E KLAUS, GALEAZZO, LUPO E MARIE, COGNOMI MULTIPLI E COGNOMI SINGOLI MA PESANTI: FERRERO, ARMANI, ZEGNA, FERRÈ, PRADA... - IL PERFIDO ANTONIO RICCI
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Giacomo Papi per ''Il Foglio''
Sui quotidiani – che come si sa non sono più quelli di una volta, e vorrei anche vedere – sopravvivono anfratti dove il loro antico potere risplende. Tra questi fortini la sezione dei necrologi resiste con incomparabile eleganza all’assalto quotidiano dei funerali di massa dei social. Gli annunci funebri a pagamento sono ancora, per molti, il luogo dove pubblico e privato si incontrano nel momento più intimo, la morte, e dove la lingua si ribella alle mode cambiando con calma, ma anche il luogo in cui le tragedie epocali si manifestano incontrovertibili, come è accaduto il 13 marzo per le dieci pagine di necrologi dei morti per Covid sull’Eco di Bergamo o per la prima pagina che il 24 maggio il New York Times ha dedicato alle vittime dell’epidemia. I necrologi sono il luogo, infine, dove, almeno in Italia, si disegna la geografia del potere. La mappa attraverso cui, leggendo con un po’ di attenzione, si può ricostruire la rete di amicizie del defunto, le sue proprietà, partecipazioni e clientele.
Sul Corriere della Sera la morte di donna Giulia Maria Crespi Paravicini Mozzoni – potente, prepotente, ambientalista, anticonformista, visionaria proprietaria del quotidiano fino al 1974 (oltre che di due immensi Canaletto con veduta del Canal Grande più grande del Canal Grande) e fondatrice del Fai nel 1975 – si è consumata in 194 necrologi distribuiti su tre pagine nell’arco di tre giorni (per un incasso totale che si può stimare intorno ai 40 mila euro). La sintassi dei necrologi, esattamente come quella dei funerali, prevede che l’importanza di chi partecipa al lutto non sia data solo dal fatto di esserci e dal grado di intimità che si può mostrare con l’estinto, ma soprattutto dalla visibilità del posto che si occupa. A dimostrare l’autorità ancora emanata da donna Giulia Maria, il fatto che intimi e famigliari abbiano occupato l’intera prima colonna, costringendo tutti gli altri ad accomodarsi dalla seconda fila in poi.
Il primo degli altri – quello in cima alla seconda colonna – è il nuovo padrone, ovviamente: «Il presidente Urbano Cairo», che «sentitamente partecipa». Sfilano, poi, nomi e nomignoli – Pupa, Anty, Maly, Kitti e Klaus, Galeazzo, Lupo e Marie – e cognomi multipli (per gli aristocratici la spesa è maggiore: 6,5 euro a parola, quindi a cognome) e cognomi singoli che però spesso coincidono con marchi famosi: Ferrero, Borletti Buitoni, Armani, Zegna, Ferrè, Miuccia Prada, oltre a istituzioni e fondazioni, sindaci ed ex sindaci, primi ministri e signore.
Nella terza colonna, malandrino, «Antonio Ricci e tutta Striscia la notizia» salutano «l’amata guatemalteca», in riferimento agli aggettivi «autoritario, violento e guatemalteco» con cui Indro Montanelli bollò la defenestrazione di Spadolini dalla direzione del Corriere nel 1972. Ah, a proposito: quando Montanelli lanciò il Giornale – cacciato proprio da Giulia Maria e dal direttore di allora Piero Ottone – fece leva anche e proprio sul fatto che mentre il Corriere lucrava sui morti attraverso i necrologi a pagamento, il Giornale avrebbe destinato tutto in beneficenza. (Ora si fa pagare, con il tempo i buoni propositi si annacquano).
In Italia la pagina delle necrologie continua a essere centrale, al punto che la battuta di Walter Valdi si conserva attuale più per la morte che per il cinema: «Io del giornale leggo sempre i necrologi e i cinema. Se è morto qualcuno che conosco vado al funerale. Se no vado al cinema». Sapere chi è morto è ancora una delle più forti motivazioni d’acquisto e una delle ragioni di sopravvivenza dei quotidiani locali.
Per questo, forse, sui giornali italiani – unica gloriosa eccezione italiana la rubrica «Se ne sono andati» di Diario della settimana – non si sono mai sviluppate rubriche di encomi funebri, che invece su quelli anglosassoni abbondano. Se sono a pagamento, in inglese i necrologi hanno addirittura un altro nome. Si chiamano «death notices», notizie di morte, annunci funebri, distinzione che in italiano non c’è. È una differenza che, forse, ha una ragione profonda: un diverso approccio alla morte, quindi alla vita, perché in Italia la relazione con il morto è individuale e famigliare, il dolore privato, mentre sembra meno importante riconoscersi tutti in un ritratto condiviso. Nelle canzoni italiane non c’è nessuna Eleanor Rigby a «raccogliere il riso ai matrimoni» e neppure Father McKenzie a «scrivere sermoni che nessuno ascolterà».
Alden Whitman, il più celebre tra gli scrittori di necrologi del Times, inventore dell’intervista preventiva da pubblicare post mortem, era un signore che girava per New York con un cappello da poliziotto francese e una barbetta appuntita. Chi riceveva le sue visite sapeva che la sua ora era vicina. Dopo avere acconsentito a rilasciargli un’intervista, Alger Hiss, il funzionario americano che nel 1948 fu accusato di essere una spia comunista, disse: «Ho appena ricevuto la visita dell’angelo della morte». Nel mondo anglosassone l’obituary è un’abitudine, un rito quotidiano di appartenenza alla comunità. Scrisse il premio Pulitzer Russell Baker nella prefazione di The last word, antologia di necrologi del New York Times uscita nel 1999: «È meglio che gli obituaries stiano in fondo al giornale, subito dopo i fumetti. «Spesso forniscono l’unico piacere che oggi si può ricavare dalla lettura dei quotidiani e dovrebbero essere assaporati lentamente, tenuti da parte per l’ultima tazza di caffè della colazione». (Per inciso, è la stessa posizione della rubrica di Diario curata per anni da Andrea Jacchia).
Gli obituaries in Gran Bretagna e negli Stati Uniti hanno un valore politico, in alcuni casi perfino legale. Come quando, dopo l’11 settembre, nell’impossibilità di recuperare i corpi, le compagnie di assicurazione americane decisero di accettare come certificati ufficiali di morte gli oltre 1.800 necrologi delle vittime pubblicati per mesi sul New York Times. O come negli anni Settanta, durante il lunghissimo sciopero dei tipografi del Times di Londra che bloccarono per lunghi mesi l’uscita del giornale. Quando lo sciopero finì e i giornalisti tornarono al lavoro si trovarono di fronte a una montagna di morti da smaltire. Per non irritare i lettori e farseli strappare dalla concorrenza dei quotidiani popolari, si decise di allegare al normale quotidiano un poderoso fascicolo speciale fitto dei necrologi arretrati. A Londra non eri morto se il tuo necrologio non usciva sul Times. Malcolm Rutherford, per lunghi anni responsabile della pagina, racconta che una sera giunse in redazione la telefonata del maggiordomo di lord Woodword. Il nobiluomo desiderava avvisare il direttore di non essere sicuro di sopravvivere alla notte.
Morire è l’unico momento pubblico della vita della maggior parte degli umani, noti soltanto alla cerchia ristretta della propria famiglia e comunità. I necrologi pubblicati sui giornali rappresentano, cioè, una sterminata Antologia di Spoon River in frantumi dove si racconta il passaggio della storia, il mutare dei gusti e dei valori. Scrive Janice Hume, autrice del monumentale Obituaries in american culture, che raccoglie ottomila necrologi di ottomila sconosciuti morti tra il 1818 e il 1930 (un numero analogo a quello del Libro della memoria di Liliana Picciotto Fargion che regala un nome e una nota a tutti gli ebrei italiani uccisi nei campi di sterminio nazisti): «Nel necrologio di una donna normalmente si scriveva quanto pulita tenesse la casa. Nell’Ottocento si riferivano alla morte adoperando immagini vivide che oggi ci sembrano stupide: «Ella è stata strappata dall’angelo distruttore». I necrologi sono molto di più della notizia che qualcuno è morto: raccontano ciò che in un dato periodo era considerato di valore nella vita di una persona».
Ma se l’obituary è un ritratto che, mettendo a distanza, definisce l’essenziale, il problema è che l’essenziale cambia nel tempo. Nella seconda metà del Novecento, lentamente, a importare non sono più i ruoli sociali, ma l’eccentricità delle esistenze narrate, come dimostrano i necrologi scelti per The last word dal curatore, Marvin Siegel: «Prima del 1960, le pagine degli obituaries sottolineavano l’importanza delle Colonne della comunità… All’inizio del secolo, i pronunciamenti morali e filosofici di un preside di college potevano essere notizie da prima pagina… Fino a non molto tempo fa, i parenti erano riluttanti a rivelare che i loro cari erano morti di cancro... Gli eufemismi di conseguenza fiorivano e le persone iniziarono a morire ‘dopo lunga malattia’… La stessa riluttanza si ebbe più recentemente con i malati di Aids». Siegel prosegue narrando di come, nel 1986, il suo quasi omonimo Allan M. Siegal, che aveva il compito di garantire gli standard di qualità del giornale, mise nero su bianco le regole guida per trattare i casi di Aids nei necrologi. Fu solo nel 1992 che fu deciso che il termine «survivors» (i sopravvissuti, i «cari») potesse essere applicato anche a chi aveva intrattenuto con l’estinto relazioni di tipo omosessuale. L’essenziale, trasformandosi, ridefinisce anche i confini del dicibile e dell’indicibile, cioè del pudore.
Le frasi scritte in morte, come nell’epigrafia antica, rappresentano la traccia che resta della vita della maggior parte di noi. Scrive ancora Alden Whitman: «L’obituary non è una biografia completa, né un saggio scolastico, non è un tributo ed è solo in parte lo schizzo di una personalità. Un buon necrologio ha le qualità di un’istantanea messa bene a fuoco, dev’essere il più denso, misurato, il migliore possibile… Se l’istantanea è chiara, chi la osserva trae un veloce orientamento sul soggetto, sui suoi successi, sui suoi difetti e sui suoi tempi. Comporre l’istantanea… richiede tempo e pazienza, bisogna scavare e, infine, ci vuole una certa abilità con le parole».
Abilità di cui, nella tradizione italiana, si può fare quasi a meno perché le necrologie a pagamento devono essere brevi (anche per questione di prezzo) e abbondare di formule di circostanza. Fino a pochi anni fa i morti italiani tornavano «alla casa del Padre», «strappati all’affetto dei cari», mentre i vivi «piangono inconsolabili la prematura scomparsa». In alcuni casi lo fanno ancora, qualche volta con involontario umorismo (di pochi giorni fa il rimpianto per «Franco Fido, valente studioso e amico fedele»), ma oggi lo stile si è fatto più asciutto, anche se ugualmente convenzionale. Niente di più lontano dalla letteratura, insomma. Niente di più prossimo alla pubblicità.
In Italia, come detto, al centro della vita – e quindi della morte – ci sono le relazioni personali. Per questo, da noi, la funzione politica del necrologio è addirittura ovvia. Quando il capomafia Stefano Bontade fu ucciso, nel 1980, sul Giornale di Sicilia apparvero soltanto sette necrologi, nessuno dei quali firmato. E invece, quando nel gennaio del 2000 se ne andò Bettino Craxi, qualcuno ebbe coraggio e molti altri no: qualche segreteria della Uil, un paio di comici (Teo Teocoli e Massimo Boldi) e qualche pezzo del mondo della musica (Mario Lavezzi e Caterina Caselli), oltre a una manciata di vecchi compagni e compagne di partito. Ma si tratta di casi limite.
La maggior parte dei morti, per fortuna, compattano la società, non la dividono. Quando se ne va una persona famosa, sulle pagine dei necrologi dei quotidiani italiani va in scena una lotta invisibile per esserci ed essere visibili, e accostare il proprio nome, o quello della propria ditta, al nome del morto. Il senso degli affari, naturalmente, non è una prerogativa nazionale. Si racconta che su una lapide nel cimitero di Brooklyn ci sia scritto, più o meno: «Qui giace Walt G. Fraser, marito e padre amorevole, nato nel 1910 e morto nel 1974. La sua celebre drogheria è ancora aperta, 24 hours a day».
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Mister Prandelli ma ha sentito cosa ha detto Cassano sui Mondiali del 2014?
Intervistato da Fabio Caressa, nel suo spazio televisivo Casa Sky Sport, l’ex fantasista Antonio Cassano, tra le altre cose (che ha detto) è rientrato, a gamba tesa, sulla fallimentare esperienza al Mondiale 2014 in Brasile. Ecco cosa ha dichiarato FantAntonio poi “ripreso” da Dagospia: Si parla della proposta di Ferrero che vuole Cassano nella Samp come dirigente. “Ci siamo presi del tempo, l’idea di fare il ds c’è – spiega Cassano – vediamo se lui non ha cambiato idea. Grazie a Piero Ausilio ho cominciato a studiare da direttore sportivo. Lui non si vende bene ma è il numero uno”. Si torna sul flop azzurro ai mondiali del 2014 e Cassano affonda il colpo: “Siamo arrivati lì spremuti a livello fisico. Ogni mattina correvamo un’ora dentro la sauna”. Dicevano che era per abituarsi alle temperature del Brasile. “Per abituarsi a cosa? Ad andare al manicomio…” FantAntonio racconta anche il motivo dello strappo con il Milan: “Ho avuto problemi solo con Galliani, ma erano problemi che avevo nella mia testa perché volevo un rinnovo di contratto. Senza il problema al cuore avremmo vinto con Allegri anche il secondo scudetto. Ibra? Favoloso il rapporto con lui. Zlatan è il terzo centravanti più grande della storia dopo Ronaldo "il Fenomeno" e Van Basten…" Ebbene, replicherà Cesare Prandelli, commissario tecnico di quella nazionale, a Cassano? Ah … dopo il calciofilo Cesare Fogliazza, Deus Ex Machina della Pergolettese in serie C, quindi, pure Antonio Cassano, un altro addetto ai lavori, ha “celebrato” il lavoro oscuro (“alla trucco del mago: c’è ma non si vede”) di Ausilio, poco appariscente, ma incisivo direttore sportivo dell’Inter. Chapeau all’Ausilio, no? Stefano Mauri Read the full article
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Paolo Furia: LISTE FORTI E RAPPRESENTATIVE PER VINCERE Liste forti e rappresentative per vincere. Abbiamo messo in campo un buon mix di esperienza e rinnovamento, garantendo pari dignità ai consiglieri e assessori regionali uscenti, il cui lavoro rivendichiamo con forza, e candidature nuove, con le quali aprire una scommessa per i prossimi cinque anni. La Direzione Regionale ha accolto le indicazioni provenienti dai livelli provinciali del partito, in spirito di collaborazione e unità. Ha poi cercato di rappresentare una speciale sensibilità nei confronti delle pari opportunità, come dimostra la scelta dei capolista. Certo, siamo consapevoli che non basta garantire una posizione in una lista per avere ottenuto davvero le pari opportunità ed è triste riscontrare che ancora nel 2019, sia mediamente più difficile per una donna, per un giovane e per le categorie meno avvantaggiate, affrontare una campagna elettorale. Per questo i partiti sono chiamati a esercitare la massima attenzione: il Partito Democratico sta facendo la sua parte. Qui le liste provinciali: #ALESSANDRIA RAVETTI DOMENICO CAVANNA PAOLA FILIPPI PAOLO PODESTA' NOEMI #ASTI FERRERO GIORGIO VERCELLI PIERO MARCO #BIELLA BARAZZOTTO VITTORIO #CUNEO PEANO MARIA ALLEMANO PAOLO BALOCCO FRANCESCO MARELLO MAURIZIO SIBILLE BRUNA #NOVARA PALADINI SARA FERRARI AUGUSTO ROSSI DOMENICO #TORINO SACCA' PATRIZIA SALIZZONI MAURO CANALIS MONICA AIELLO FLAVIA APPIANO ANDREA AVETTA ALBERTO CAPUTO VALENTINA COMPARETTO GIANNI CONTICELLI NADIA D'OTTAVIO UMBERTO DELSANTO MARCO GALLO RAFFAELE MAGNAPANE CRISTINA MARCHISIO MONICA OLIA MANUELA OLIVETTI CELESTINA PIAZZA MAURIZIO ROSTAGNO ELVIO SARNO DIEGO VALLE DANIELE #VERBANIA RESCHIGNA ALDO #VERCELLI MOCCIA MARIA (MARIELLA) GAIETTA MICHELE Il Partito Democratico del Piemonte è ora pronto per la difficile ma appassionante sfida delle elezioni regionali, garantendo un impegno unitario per la riconferma di Sergio Chiamparino alla Presidenza della Regione. Ricordiamo a questo proposito l'appuntamento del 6 aprile con il Segretario nazionale Nicola Zingaretti al Cortile del Maglio a Torino (Via Vittorio Andreis, 18) alle ore 18,00.Paolo Furia, Segr.PD Piemonte (presso Asti) https://www.instagram.com/p/BvoWUBQhP8e/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=1wy991acjsu2h
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Torino 30-3-42
Cari Genitori
Come vedete vi rispondo subito. Ieri è andato tutto bene e ora siamo di nuovo qui. Vengo ora dalla visita che vi avevo detto ieri, mi hanno fatto idoneo, chissà che sia meglio così. E dicono che forse si va a Spalato o a Roma. Speriamo mi diano ancora un permesso, che possa vedervi. Per ora non si va via chissà fino a quando, ad ogni modo vi terrò bene informati. Siamo in 12 e tutti bravi ragazzi così si facciamo sempre compagnia. Dicono anche che stiamo qui vicini. Saluti cari e voi tutti e a Teresina. Ciau Arrivederci vostro figlio Pierino.
Passi di: Giovanni Ferrero. “Cartoline Postali di Piero Brassiolo”. iBooks
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Una via di Torino da intitolare ad Alex Del Piero: la richiesta dell'artista Colline di tristezza
Una via di Torino da intitolare ad Alex Del Piero: la richiesta dell’artista Colline di tristezza
Creare una “Via Del Piero”: è la richiesta del nuovo jingle dell’artista torinese, che propone di dedicare una via della città al grande capitano bianconero.
Torino, 15 luglio 2020 – L’artista torinese Colline di tristezza, celebre per le sue proposte ed iniziative (chiamate “Jingle-Petizioni” perché accompagnate da jingle non-cantati con sottotitoli cantabili), in primis la maglietta con…
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di Tonino Armata
SAN BENEDETTO – Egregio direttore,
Quella notte pioveva sulla maledizione di Milano. La mattina dopo sono andato alla biblioteca Sormani a Milano per una ricerca proprio sul terrorismo rosso. Tornato in redazione, dopo aver tirato fuori i libri dalla borsa ho appreso dell’uccisione di Walter Tobagi. Nelle redazioni dei periodi e in quelle del settore editoriale lo sgomento era altissimo.
Uccidere un uomo in democrazia, nel cuore dell’Europa civile, con un’azione di guerra in tempo di pace, è una cosa semplice se si supera l’orrore di stroncare una vita, a 33 anni. Bisogna nascondersi dietro la siepe spelacchiata della “Trattoria dei Gemelli”, mimetizzarsi tra i passanti con un berretto di lana blu da calare sul volto quando si punta la calibro 9 corto, tenere con l’altra mano un sacchetto di plastica per raccogliere i bossoli dei sei colpi, garantirsi la via di fuga con una Peugeot 204 grigia che aspetta quasi all’angolo con via Valparaiso, col motore acceso.
Però prima ci sono quei pochi minuti in cui l’assassino deve camminare dietro un uomo libero ma già condannato, deve correre quando lui cambia all’improvviso marciapiede e attraversa la strada, e infine deve sparare, cinque volte, mirando alla schiena, alla spalla destra, a un piede, al fianco sinistro, al torace, prima dell’ultimo colpo alla testa, per la sicurezza di ammazzare. Quei sei proiettili corazzati forano la giacca blu, sbalzano la penna stilografica fuori dal taschino: come per ricordare a tutti che Walter è un giornalista, un grande inviato del Corriere
Lo sapevano bene i suoi killer, borghesi giovanissimi cresciuti in famiglie legate ad ambienti editoriali, contigui ai giornali. Addirittura i genitori della fidanzata di Marco Barbone, il Capo del commando che sparò il colpo di grazia, erano amici di Tobagi. Quei ragazzi volevano promuoversi con azioni sul campo per scalare le Brigate Rosse, e avevano fondato la Brigata XXVIII Marzo per ricordare con quella data i quattro brigatisti uccisi due mesi prima dagli uomini del generale Dalla Chiesa nel covo di via Fracchia, a Genova.
Proprio l’improvvisazione e il dilettantismo avevano reso il gruppo permeabile (anche se capace di uccidere), tanto che un’informativa dei carabinieri su un possibile attentato a Tobagi era stata scritta inutilmente e incredibilmente sei mesi prima dell’agguato. E proprio l’evidente conoscenza del mondo dei giornali consentirà di individuare i killer e di arrestarli.
Venti giorni prima di uccidere Tobagi, infatti, avevano colpito un altro reporter milanese, Guido Passalacqua di Repubblica, un giornalista giovane ma esperto, che indagava con rigore il mondo dell’eversione armata. Questa volta avevano suonato il campanello di casa, dicendo che erano poliziotti. Quando Guido ha aperto la porta sono entrati in tre con le pistole spianate, lo hanno legato a terra, e gli hanno scaricato due colpi col silenziatore in una gamba. Poi lo spray sul muro, «Onore ai compagni di Genova», e la fuga giù per le scale, dopo aver staccato i fili del telefono. Tobagi aveva capito: «Nel mirino ora entrano i riformisti, quelli che cercano di comprendere».
In realtà eravamo nel pieno dell’offensiva armata contro i giornalisti. Nata all’inizio di giugno del terribile ’77, quando in due giorni vengono “gambizzati” tre direttori, Indro Montanelli del Giornale, Emilio Rossi del TG1, Vittorio Bruno del Secolo XIX. Bruno lo aspettano di sera a Genova, quando esce dalla redazione per tornare a casa, e un ragazzo gli spara senza dire una parola.
Rossi lo vanno a prendere in via Teulada, il centro di produzione Rai di Roma, dove si sta avvicinando a piedi mentre legge un libro, appena sceso dall’autobus. Sono un uomo e una donna. Rossi cade colpito al femore, al ginocchio e alla tibia, a due passi dal suo giornale. «Vigliacchi» è invece l’urlo di Montanelli mentre prova a rialzarsi da terra aggrappandosi a un’inferriata nel muro in via Manin a Milano, con quattro proiettili nelle gambe, sparati contro il più noto tra i giornalisti italiani.
Spareranno ancora ad Antonio Garzotto, per 15 anni cronista giudiziario del Gazzettino, mentre ad Abano sta andando a prendere la macchina in garage alle 8 del mattino, il 7 luglio ’77. Mezzo chilometro a piedi, leggendo il giornale, finché si spalanca la porta di un furgone, scende un giovane e spara cinque colpi calibro 7,65 mirando alle gambe.
Due mesi dopo altre cinque pallottole contro Nino Ferrero, un ex carabiniere comunista, che si occupa di spettacoli sulle pagine torinesi dell’Unità. Prima degli spari Ferrero alza una mano cercando di fermarli, denuncia il suo stupore: «Che fate, sono un compagno». Nel volantino lo definiranno «servo del Pci». L’ultimo giornalista colpito, il 24 aprile del ’79, è Franco Piccinelli, direttore della redazione Rai di Torino, ferito da sei colpi di pistola in via Santa Giulia, dov’era arrivato subito dopo la fine del Giornale Radio di mezzogiorno.
E a Torino, il 16 novembre del ’77, va in scena il primo delitto organizzato contro un giornalista. È Carlo Casalegno, vicedirettore della Stampa, partigiano e uomo del Partito d’Azione come molti intellettuali piemontesi che scriveranno sul giornale torinese, da Galante Garrone a Mila, a Jemolo, a Bobbio, a Gorresio. Uomo d’ordine liberale, chiede che lo Stato tuteli la democrazia e la libera convivenza contro l’eversione, ma senza ricorrere a leggi speciali.
Sa di essere in pericolo, va e viene dal giornale insieme con il direttore Arrigo Levi, che è scortato. Ma quel giorno ha dovuto cambiare programma, e l’autista del giornale lo lascia solo davanti a casa in corso Re Umberto 54, appena finita la riunione di redazione, all’ora di pranzo. Ha una cartella coi suoi libri nella mano sinistra, le chiavi nella destra, ma quando la porta sta per rinchiudersi la spalanca Raffaele Fiore, con la stessa mano che sparerà nel massacro di via Fani uccidendo la scorta di Aldo Moro: adesso entra nel palazzo insieme con un altro brigatista, Piero Panciarelli, mentre Patrizio Peci è di copertura all’esterno.
Lo chiamano, non lo conoscono nemmeno anche se hanno deciso di ucciderlo, Casalegno si volta e gli sparano quattro colpi con le Nagant alla testa, centrandolo al volto e sul collo. Morirà dopo 13 giorni di agonia alle Molinette, con il figlio Andrea, di Lotta Continua, che innesca una discussione in tutto il movimento, dicendo che «non si spara a un uomo per le sue idee».
Perché sono le idee e le opinioni espresse negli editoriali e nelle cronache che scatenano l’offensiva terroristica contro i giornali. Tobagi aveva appena scritto che i brigatisti «non sono samurai invincibili», Casalegno aveva chiesto la chiusura dei covi e la fine dell’immunità dei guerriglieri urbani fiancheggiatori, per controllare il fanatismo che è «il peggior male italiano», ma senza ricorrere alla violenza «che distrugge la democrazia senza eliminare il terrorismo, anzi gli regala militanti e giustificazioni».
Il narcisismo nichilista dei brigatisti li rende ossessionati dai giornali. Le “norme di sicurezza” dettate da Moretti spiegano che così come si deve portare sempre l’arma addosso, l’acquisto dei quotidiani non va mai fatto nel quartiere dove si abita; il primo comunicato del sequestro del magistrato Mario Sossi è lasciato in una cabina del telefono avvolto nella pagina 23 della Stampa; nel covo torinese di via Foligno la polizia trova un archivio interamente composto da ritagli di quotidiani. Poi gli attacchi.
Un comunicato dell’aprile ’72 spiega che «i giornali confondono la classe operaia contrabbandando la crescente fascistizzazione dello Stato come esigenza dell’ordine pubblico, e preparano il terreno per un attacco finale». Un altro comunicato dell’aprile 1975 denuncia la «guerra psicologica di certo giornalismo, che organizza il discredito delle organizzazioni rivoluzionarie con l’obiettivo di condizionare l’opinione del semiproletariato e delle aristocrazie operaie», e lancia la prima minaccia: «a questi seminatori di odio e sospetti diamo un ultimo consiglio: riflettano prima di stendere l’ultimo pezzo. Perché alla loro guerra risponderemo con la rappresaglia».
Il Capo delle BR, Mario Moretti, esplicita la strategia: «La simbologia delle nostre azioni armate è affilata e precisa come un intervento chirurgico. Sì, colpiamo i simboli della stampa di regime. È criticabile come ogni altra azione armata, ma non più ingiustificata di altre. Ogni nostra azione è simbolica, agisce sul piano dell’immaginario e della rappresentazione politica». Sparano a un simbolo, dunque.
Ma la morte non è una metafora, e le P38 dietro quel feticcio emblematico lasciano a terra uomini in carne e ossa, con una storia e una famiglia, colpiti per il loro lavoro vissuto come una passione e un dovere, per lo sforzo di capire e far capire, per le loro idee: come Walter Tobagi quarant’anni fa.
Ne ha scritto molto, e così bene da diventare un bersaglio, ma il terrorismo rosso che l’avrebbe ucciso non era al centro dei pensieri di Walter Tobagi, in quella primavera dell’80. Sulla scrivania di casa c’era la bozza della copertina del suo ultimo saggio, uscito postumo, “Che cosa contano i sindacati”.
Dopo anni di studi e inchieste, traccia un bilancio del ruolo fondamentale svolto dalle confederazioni negli anni Settanta che non manca però di denunciare gli errori, dalle rigidità e gli eccessi del “pansindacalismo” al «ritardo nel capire le trasformazioni sociali», gli incipienti mutamenti di sistema, «la scelta corporativa che privilegia chi lavora rispetto a chi non trova occupazione» e dimentica la massa dei non garantiti.
Sindacalista egli stesso, da quando è presidente dell’Associazione lombarda dei giornalisti (settembre 1978) si è molto occupato delle minacce poste alla libertà di stampa da quello che Pansa aveva definito «il processo di normalizzazione [dei quotidiani] attraverso il deficit» e dalle grandi concentrazioni editoriali, a cui proponeva di opporsi in concreto rinforzando gli strumenti a tutela dell’autonomia delle redazioni. La sera prima di essere ucciso, al Circolo della stampa, richiamò, tra i vari problemi, la «gestione gelatinosa dei rapporti editoriali».
Anni dopo, l’allora ministro dell’interno Rognoni rivela come Tobagi, che gli aveva fatto la prima intervista dopo l’insediamento al Viminale, fosse tornato a trovarlo. «Era preoccupato della gestione del giornale», racconta: gli spiegava come alcuni argomenti fossero «insindacabili, sembrava seguissero una logica inafferrabile». Walter Tobagi non lo sapeva, ma la P2 era allora al suo acme, anche dentro il Corriere della sera. Il grumo di potere che verrà alla luce l’anno successivo resta un caso da manuale dei meccanismi di svuotamento della democrazia dall’interno.
Quarant’anni dopo, mentre il brigatismo è materia da storici, i temi che attanagliavano il trentatreenne mite ma appassionato che era Walter Tobagi come giornalista, studioso e sindacalista, sono ferocemente attuali.
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Piero Barone, Ignazio Boschetto e Gianluca Ginoble - #ilvolo - a #Bologna dove hanno girato uno spot pubblicitario per la #Ferrero 🇮🇹🎥 25 ottobre 2017 Servizio #marialauraiazzetti @ilrestodelcarlino @ilvolomusic (at Piazza Santo Stefano)
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Ancora una volta il centro di Abbiategrasso si colora, questa volta per la disputa del Palio.
Domenica 10 giugno, nel centro storico di Abbiategrasso, tornerà con la 39esima edizione il Palio di San Pietro, nato il 1 giugno 1980 da un’idea di Don Luigi Alberio e di un piccolo gruppo di cittadini della città lombarda.
La manifestazione inizierà al mattino, alle 9.30, nella chiesa di San Pietro Apostolo, con la Santa Messa delle Contrade e la benedizione di cavalli e fantini, quindi si terranno la lettura e la firma del regolamento della corsa da parte dei Capitani delle Contrade e dei fantini.
Alle 14.30 è previsto il ritrovo delle contrade per la sfilata storica, che vede i partecipanti, circa 500, con costumi ispirati al Medioevo, partire alle 15.30 dal Castello Visconteo, con la Corte, che poi seguirà le Contrade fino all’arrivo al campo del Palio, presso lo Spazio Fiera, dove il pubblico potrà assistere all’esibizione degli sbandieratori e dei musici, poi verso le 18 si disputerà il Palio.
La contesa del Palio consiste in una corsa libera con fantini, provenienti da Siena, Asti, Legnano e ingaggiati da ciascuna Contrada, che cavalcano rigorosamente a pelo, come da tradizione paliesca, in una corsa lunga e tiratissima per cinque giri della pista.
La posizione di partenza è scelta con sorteggio pubblico sul campo, mentre il mossiere è l’unico responsabile della validità della mossa, regolata mediante l’abbassamento del canape .
Alla Contrada vincitrice del Palio viene consegnato il Cencio, un drappo dipinto da un pittore abbiatense con un tema diverso ogni anno, scelto tramite un concorso.
Le Contrade che prendono parte al Palio sono Gallo, Legnano, Nuova Primavera Cervia, Piattina, San Rocco, Sforza.
Lo scorso anno vinse la Contrada Sforza, che aveva come fantino Fabio Ferrero.
L’ingresso al Palio sarà, come sempre, gratuito.
Le Contrade
Ogni contrada del Palio ha una sua storia, legata alle vicende del Milanese, dai Galli fino ai nostri giorni.
Contrada del Gallo
Stemma: Gallo su fondo blu – giallo
E’ la Contrada più vecchia del Palio e il suo cuore è in Corso San Pietro con la chiesa omonima, che fu la prima parrocchia di Abbiategrasso fino al XVI secolo.
Durante le invasioni barbariche, quando il cristianesimo cadde in crisi, i cittadini di Milano si trasferirono prima a Corbetta e poi ad Abbiategrasso dove venne eretta la Chiesa di San Pietro.
Nel 1340 gli abitanti di Abbiategrasso chiesero al Vicario Capitolare di Milano che venissero eletti due parroci con gli stessi diritti nella Parrocchia, di cui uno doveva risiedere nella chiesa di San Pietro e l’altro nella chiesa di Santa Maria Vecchia.
Verso la fine dei XVIII secolo e l’inizio del XIX secolo, la chiesa di San Pietro fu ricostruita grazie all’architetto Francesco Croce che progettò un fastoso edificio in stile Barocco settecentesco a croce greca con cupola centrale.
L’altare maggiore con marmi pregiati e dominato da un tempietto a colonne venne disegnato dal celebre architetto Luigi Cagnola nel 1805.
Contrada Legnano
Stemma: Alberto da Giussano su fondo blu – bianco
La storia della contrada Legnano risale agli anni della lotta fra Federico Barbarossa e i comuni lombardi, sfociata nella battaglia di Legnano.
E durante questi scontri, per volere dell’imperatore, Milano, nel marzo del 1162, venne rasa al suolo dai comuni fedeli all’imperatore.
Quelli di Lodi ebbero il compito di distruggere Porta Orientale, ai Cremonesi Porta Romana, i Pavesi Porta Ticinese, la Comasina Porta Vercelli e Porta nuova, mentre i Comaschi e Novaresi distrussero il Seprio e la Martesana.
Barbarossa però sapeva che la vendetta ardeva sotto le ceneri della città, infatti, con l’aiuto dell’arcivescovo Galdino della Scala i milanesi lavorarono duramente affinché Milano ritornasse a essere una vera città.
Tutto questo portò al giuramento di Pontida, avvenuto il 7 aprile 1167 e alla nascita della Lega Lombarda.
Nella battaglia di Legnano la Lega ebbe la meglio sugli alleati del Barbarossa, che per salvarsi fuggirono a Como, Abbiategrasso, Vigevano e Pavia, che contribuirono ad accelerare la fuga.
Contrada Nuova Primavera Cervia
Stemma: Grillo su una foglia di quercia su fondo verde – bianco – nero.
La Nuova Primavera Cervia ha le sue origini in quella zona che, presso il Naviglio, conduce al porto usato un tempo per gli scali di vari prodotti sotto i Visconti e gli Sforza.
Un documento del 1214, conservato nell’archivio storico di Abbiategrasso, cita un appezzamento dì terreno chiamato Prato romanedo, da cui si è dedotto che le tre strade discendenti verso il Ticino, di cui nei documenti sono nominate la mediana e la Strada Quintana, conservano in alcuni tratti la struttura degli accampamenti romani.
La strada Quintana portava al Porto fluviale del Falcone, ora Cà di Biss, che riforniva la zona di mercanzie varie.
Infatti, quando all’inizio dell’estate 1424 si verificarono a Milano alcuni casi di peste e Filippo Maria Visconti arrivo ad Abbiategrasso e si chiuse nel Castello, ordinò che le mercanzie circolassero liberamente tranne che ad Abbiategrasso, Cusago, Monza, Pavia, Novara, Galliate e Vigevano.
Il Porto Falcone venne chiuso dato che come zona portuale richiamava molte persone facilitando il contagio.
Contrada Piattina
Stemma: Covoni, spighe, attrezzi da lavoro e papaveri su fondo rosso – giallo.
La scoperta di una vera e propria necropoli nella cascina Pestegalla, vicino ad Albairate e alla Contrada Piattina, negli anni Cinquanta ha condotto a 270 tombe di cremati, tutti abitanti del territorio abbiatense, discendenti romanizzati dell’antica comunità Gallica dediti all’agricoltura, come ricordano le loro abitazioni in muratura e i grossi mattoni trovati nelle tombe assieme a ciotole, coppe, coltelli che facevano parte delle suppellettili casalinghe.
Oggi nella Contrada Piattina ci sono vie che ricordano personalità illustri di Abbiategrasso, come via Emilio Galli, via Enrico dell’Acqua, pioniere dell’industria e dell’esportazione italiana all’estero, Via Piero Parodi, il più importante e unico autore abbiatense che raccontò la storia di Abbiategrasso e dei paesi della zona, oltre a Don Ottavio Paronzini, parroco di San Pietro dal 1889 al 1942.
Detto da Monsignor Balconi: “Giovane, robusta, con gambe buone, pronta a correre di giorno e di notte” Don Ottavio Paronzini prese il posto del parroco Trezzi, morto nel 1888 ed era soprannominato ricordano “al Curatin” perché faceva tanto bene alle anime e anche ai corpi.
Contrada San Rocco
Stemma: San Rocco con il suo cane su fondo rosso – bianco
La Contrada prende il nome dalla chiesetta dedicata al santo patrono degli appestati, che si trova al suo interno.
All’inizio la chiesa era detta La Riva, come riferimento alla ripa del Naviglio che provenendo da Turbigo, all’altezza di Castelletto fa una virata verso est, lasciando però scorrere le acque verso ovest, formando un porticciolo usato per il servizio dei barconi.
La chiesa venne costruita come parte di un voto fatto dalla popolazione abbiatense per mettersi sotto la protezione di San Rocco durante la peste del 1630.
Di notevole nella chiesa sono l’altare in legno, con una tela raffigurante la crocifissione e santi e presso il punto centrale della volta un originale affresco rappresentante il Padre eterno impegnato nella creazione del mondo.
Notevoli sono anche alcuni reliquiari antichi, un busto in terracotta di San Carlo, la Via Crucis del 1811, adesso visibile nella chiesa del Sacro Cuore, e l’organo a canne del 1893.
Contrada Sforza
Stemma: Il simbolo degli Sforza intrecciato a una spiga di grano su fondo nero – rosso.
La storia del Molino Nuovo, cuore della Contrada Sforza, è parte della storia di Abbiategrasso. Già nelle mappe topografiche dei secoli XVI e XVII si vede il Molino Nuovo, come parte di un quadrilatero formato dal Castello Visconteo, dalle cascine sparse, da strade tracciate approssimativamente e dei corsi d’acqua per l’irrigazione.
Da atti notarili in latino, oggi nella mensa arcivescovile di Milano, si risale alla storia del Molino Nuovo, che era di edificazione privata e venne in seguito ceduto nel 1587 alla Mensa Arcivescovile da Girolamo Chiappano per 8000 libbre imperiali.
Dopo diversi passaggi di proprietà, il mulino fu di nuovo parte delle pertinenze della Mensa nel 1642 e nel 1687 viene aggiunto un ulteriore corpo di fabbrica, a testimonianza dell’importanza e del lavoro svolto.
Palio di Abbiategrasso 10 giugno 2018 Ancora una volta il centro di Abbiategrasso si colora, questa volta per la disputa del Palio.
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Assolto a Torino Piero Gambarino
Assolto a Torino Piero Gambarino
Collaboratore ex assessore Ferrero
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