#Perché i soldi non sono tutto nella vita
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Un tizio ricco sfondato che posso contattare su Instagram per chiedergli se mi può regalare qualcosa?
In questo periodo vorrei il Samsung Galaxy S24 Ultra, con 1000 euro si compra, se uno è ricco sfondato, 1k€ non sono nulla
Nel dubbio se uno di voi me lo vuole regalare pure non faccio obiezioni :)
Ciao.
#samsung galaxy s24 ultra#zibaldone di pensieri#zdp#Regalo#Regali#Ricco#Ricchi#Riccanza#Soldi#Perché i soldi non sono tutto nella vita#Sono l'unica cosa che conta
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“Nonoo” questa mattina sei venuto a mancare e dopo aver lottato per altri tre mesi, anche se in ospedale ti avevano dato pochi giorni, ininterrottamente non hai mai mollato quel filo sottile che divide la vita dalla morte; anche contro le tue volontà a testa alta col tuo carattere (in cui non mi rispecchiavo) sei riuscito a tenerti vivo, ahimè, purtroppo, la morte vince si tutto, non ha pietà.
Fin da piccolo il tuo sogno era di vedermi guidare, cosa che se pur col tempo ho saputo apprezzare non ho mai amato fare come te, prima che l’infarto ti colpisse definitivamente ti avevo fatto una promessa, di portarti a vedere un gran premio di formula uno, da noi tanto amata, questo seppur per evidenti problemi economici non mi avrebbe mai impedito di non farlo, però non avresti avuto le forze, anche se immagino che ti saresti commosso, anche se una persona come te era difficile vederla piangere.
Abbiamo avuto periodi in cui ci costruivamo mentalmente dei muri invisibili e proprio per la differenza del nostro carattere questo ci ha ferito entrambi, fuori sicuramente eravamo orgogliosi ma il problema poi è sempre dentro, quel peso che a lungo andare ti consuma fino a trasformalo in malattia.
Col senno di poi siamo bravi tutti, tu hai le tue responsabilità e io le mie, non esistono santi, nessuno di noi due ha vinto o perso, nonostante abbiamo sofferto, ci siamo riavvicinati pian piano, con più fiducia e lo abbiamo fatto raccontandoci la mia, la nostra infanzia, nostra perchè alla fine hai passato davvero tanti anni assieme a me quando ero piccolo, io non dimentico i tuoi errori nonno, ma nemmeno il bene che mi hai fatto, la tua immensa disponibilità per me e la mamma quando aveva bisogno di essere portata per lunghi anni su e giù in ospedale, sappi che queste cose rimarranno impresse nella mia testa, perché col tempo, forse crescendo, anche se ancora mi vedo, sai, un po’ bambino, quel Mattia che era il tuo idolo, che doveva essere il migliore di tutti, ma che in realtà voleva solo essere come tutti, e che quei tutti avessero il mio stesso cuore, quella bontà che col tempo è pian piano svanita.
Chi si dimentica di tutta quella gente che ci Incontrava in bici la mattina presto?
La tua felicità negli occhi, nel vedere come tutti si fermassero a guardarmi, a parlarmi e a sottolineare il fatto che il sorriso non mi mancasse mai.
Si andava a prendere il pane, ne volevo subito un pezzo, ci fermavamo a vedere tutti i cani della via con la speranza che rispondessero alle mie parole, e restavo lì convinto fino a quando sentivo abbaiare e tu mi davi conferma delle loro risposte.
Che periodi, cercavo sempre mia mamma, purtroppo per via del lavoro per me era come stesse via intere settimane ma in realtà così non era, però tu ben sapevi quanto io sia legato a mamma, e tranquillo ricorderò sempre quanto anche tu lo fossi, anche se spesso avevi qualcosa da ridere per via del tuo carattere ricorderò le tue ultime parole: “La mamma è la donna più intelligente che ho conosciuto, fin troppo buona e disponibile per tutti, voglio che lei lo sappia”.
Potrei scrivere un libro, non un poema su ciò che abbiamo vissuto insieme, sei stato la mia infanzia, il mio periodo preferito, lo rivivrei mille volte, nonostante il tuo modo di essere, ma chi sono io per giudicare? Certo, quello che penso lo dico, come hai sempre fatto tu, ma allo stesso tempo non mi nasconderò mai come non giudicherò mai!
Ora stai vicino alla nonna, e assieme fatemi il regalo più grande, che non sono i soldi, non sono una vita di successi, ma la speranza di vedere vostra figlia, mia mamma, stare un po’ meglio.
Solo questo.
Il pensiero rimbomberà sempre nella mia testa, fra cose belle e cose brutte, ma per vivere di questi tempi, bisogna affidarsi solo all’amore, lo sai nonno no?
Quella piccola parte di odio che io ho sempre avuto verso la mia generazione, e tu, verso chi ben sapevi, era molto simile, però se fossi qui so che con un sorriso, e magari una lacrima, diresti: “Qua te ghe rason”.
Ciao caro nonno, ti voglio bene❤️
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Vivo costantemente in una dimensione di aspettative altissime e fatico a tirarmene fuori.
Quando ero la figlia maggiore dovevo dare il buon esempio, assumermi compiti e responsabilità genitoriali che non mi sarebbero dovute competere, fare da mamma, sorella e figlia contemporaneamente. Con la preoccupazione che un mio sbaglio potesse fare crollare il castello in mille pezzi.
Ho lavorato, mi sono pagata l'università, almeno quel poco che mi è servito ad entrarci. E per farlo ho sopportato un capo viscido e molesto, con la mano lunga e e le nausee ogni mattina prima di uscire di casa, sapendo che non avrei avuto altra scelta: era l'unica azienda che aveva risposto a tutti i miei curriculum - ed erano amici della parrucchiera della mamma, non avrei mai potuto farle fare una brutta figura.
Poi sono arrivate le borse di studio. Ho lasciato il lavoro perché per ottenerla e mantenerla è fondamentale dimostrare di poter superare un certo numero di esami all'anno e con valutazioni alte per non perdere posizioni nelle graduatorie. Un solo sbaglio, un esame andato male, una giornata nera a laboratorio mi avrebbero lasciata in mezzo a una strada, senza soldi e senza posto letto, anche a metà anno.
Ho fatto l'Erasmus e sono riuscita a trovare un contatto in una scuola nella città che volevo io, per la prima volta. Così sono diventata il punto di riferimento e l'esempio a cui la mia tutor coordinatrice ha indirizzato chiunque volesse sperimentare la stessa esperienza. Ancora una volta la mia possibilità d'errore è stata messa sotto i riflettori, pronta ad essere amplificata a dismisura.
Ora lavoro a scuola e ho la fortuna di essere rimasta nello stesso istituto e nello stesso interclasse dell'anno precedente. La collega che ho affiancato lo scorso anno ha pregato in tutti i modi per ri-avermi con lei: a causa dei suoi improvvisi problemi in famiglia mi sono trovata da sola ad accompagnare una quinta pronta e preparata alla secondaria.
Quest'anno la situazione non è molto diversa. È finito il ciclo, siamo in classe prima - probabilmente la più impegnativa di tutte - con una docente in meno. Ho un posto sul sostegno, quello che speravo, ma mi trovo a occuparmi di tutto. Ho spiegato alla ragazzina a cui hanno assegnato la supplenza sulla classe per qualche settimana tutto quello che doveva fare e in che modo, non la posso lasciare da sola perché è la sua primissima supplenza e non si sa muovere a scuola. Ho preparato le attività della classe e raccolto, schedato e archiviato tutti i materiali perché la collega in cattedra ha ancora una situazione instabile in famiglia e non può dedicare tutto il tempo che vorrebbe alla scuola. Mi hanno assegnato un bambino complesso di cui voglio occuparmi nel miglior modo possibile nonostante la sua rete di professionisti non sia allineata nelle modalità di intervento e mi sia da subito sembrato di trovarmi tra due fuochi, con la mamma in balia di consigli contraddittori. Mi hanno affidato anche la commissione continuità "per il gran lavoro fatto l'anno scorso nelle quinte" che sarebbe bello replicare questo e i prossimi anni.
Ho chiamato i miei fratelli perché non li sentivo da un po', sono stata troppo stanca e mi sono sentita in dovere di giustificarmi per la mia vita raffazzonata. Sono molto stanca, e credo di sentirmi così a terra anche perché ancora non ho il privilegio di poter sbagliare senza che il mondo crolli.
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Ieri sono andata di nuovo dalla mia amica giapponese.
Sono arrivata da lei nel pomeriggio di sabato e siamo andate insieme al 銭湯 (sentō), ossia i bagni pubblici giapponesi. Questa volta mi ha fatto meno effetto ma è sempre in qualche modo liberatorio essere letteralmente nuda assieme a tanta altra gente nella tua condizione. Ci si guarda però non c'è troppo giudizio, perché ci sono così tanti corpi diversi che il giudizio sembra perdere di senso.
Dopo essere stata a rilassarmi nella vasca super calda con le turbe idromassaggio (che relax madonna), la mia amica mi ha proposto di immergermi nella vasca fredda:"Vedrai che bella sensazione!". Io inizialmente le dicevo che avrei voluto evitare perché non mi sembrava troppo sensato far fare uno sbalzo di temperatura così forte al corpo; in più conosco la mia polla (ossia me stessa). Alla fine però mi sono lasciata convincere e l'ho fatto: Mix perfetto per un cazzo di capogiro che così forte penso di non averlo mai avuto nella mia vita. Fortuna che è passato dopo qualche minuto e quindi vabbè tutto a posto.
Poi mi chiede del lavoro e del perché ho cambiato: le spiego che ho il doppio delle ferie di prima e mi fa:"Vabbe ma 20 giorni di ferie sono normali no?". È la seconda volta che me lo ha detto e io ogni volta le dico, no, la normalità in Giappone è 10 e mi stupisce sempre che lei, giapponese, anche se anziana, viva così fuori dal mondo e mi rendo conto che chi lavora nella scuola pubblica è privilegiato non solo in Italia, ma pure qui.
A cena abbiamo mangiato 冷やし中華 (hiyashi chūka - foto 1) ovvero noodles freddi cinesi con verdure e carne e una salsa fatta di salsa di soia, aceto, zenzero e sesamo. Poi aveva preso anche dei salamini francesi: buoni, ma peccato fossero letteralmente dolci - poco sale e pochissimo pepe rispetto ai nostri. Da bere una lattina di birra e del vino bianco (scarso).
La notte un inferno: mi sono svegliata forse alle 4/5 con una nausea e un mal di testa fortissimo. Ho temporeggiato girandomi da un lato all'altro per ore e ore, svegliandomi e riaddormentandomi di continuo, finché non ho sentito la mia amica sveglia. Mi sono alzata e le ho detto:"Yuki che guaio, mi viene da vomitare...", mentre lei mi suggeriva di tornare a dormire, ho preso un sorso di acqua... tempo 2 sec e sono corsa al bagno a vomitare. La causa penso sia stata il fatto che sono stata troppo indulgente col vino, che secondo me era pure di scarsa qualità.
Sono tornata a dormire finché non era ora di pranzo, intorno alle 12.
Questa volta però non siamo andate a pranzo dai suoi genitori, ma la mia amica ha organizzato un pranzo a casa sua in cui ha invitato: la sua insegnante di italiano (che è di Salerno e io, quando l'ho saputo, le ho chiesto di presentarmela), suo marito giapponese, un suo compagno di classe (che frequenta la stessa insegnante), la moglie e una sua collega molto giovane che insegna inglese nella stessa scuola media dove insegna anche lei.
L'insegnante di italiano è simpatica, però è la tipica signora italiana con un carattere forte che sta sempre in mezzo a fare le cose al posto degli altri, un po' ignorante e banale (che cazzo mi vieni a dire a fare: che palle D'Annunzio, che palle Manzoni, che palle tutti - dì che non ti piace la letteratura senza fare sceneggiate, no?), insomma, tipica signora italiana. Però ha preparato la parmigiana di melanzane quindi un po' la perdono ahahah.
Il marito invece super tranquillo e straeuridito: prima della pensione era un professore di storia romana e ha vissuto in Italia per svariati anni. Conosce un sacco di aneddoti italiani che manco io sapevo (tipo sul palio di Siena, su Matera etc) ed è il tipo che una volta che parte non lo fermi più. Non ricordo come se n'è uscito con questo argomento, ma dopo aver detto che c'era stato un momento in cui era senza lavoro e senza soldi e che non poteva nemmeno tornare in Giappone, ha detto anche che mentre stava facendo un lavoro prendeva uno stipendio sia in Italia che dal Giappone, nello stesso momento. Io sempre più convinta che chi ha vissuto in quegli anni ha avuto un culo della Madonna perché i soldi si buttavano come non è mai più successo (esempio plateale: mio nonno baby pensionato che ha vissuto metà della sua vita in pensione... METÀ).
Detto questo, fortunatamente sono riuscita a godermi il pranzo nonostante la vomitata.
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Non saprei dire di preciso come sia successo e quando, ma per la prima volta in queste feste sento una sorta di scarto, un cambiamento che è avvenuto in sordina nella mia concezione affettiva. Mi spiego (o almeno, ci provo).
Se finora in tutti questi anni quando tornavo a Roma a Natale, dai miei, "tornavo a casa", "dalla mia famiglia", e sentivo che Matteo era in qualche modo il mio "più uno", l'invitato alla nostra tavola e nella nostra tribù, per la prima volta quest'anno in maniera forte, lampante, inattesa, mi trovo a sentirmi parte di un nuovo nucleo, una nuova famiglia che siamo io e lui (e Dakota), che viene prima. "Che viene prima" non è l'espressione corretta, perché non è un primato né temporale né di importanza (e mai lo sarà). E' piuttosto un'appartenenza spontanea e naturale, un binomio in cui "mi siedo meglio", un'intesa in cui ci capiamo al volo, anche senza fiatare; una tribù con un linguaggio proprio, e un codice suo. Sì, insomma, una famiglia. E allo stesso modo, se penso a "tornare a casa", la visione si è ormai ribaltata e non penso alle pareti della casa di Roma, dove ho vissuto così tanti ricordi e che pure oggi non dicono più nulla (o quasi) di me. Penso invece alla nostra casa, a Como, quella che abbiamo costruito insieme un pezzo alla volta, con le nostre energie, i soldi, la fatica... le avventure e soprattutto le dis-avventure che hanno cementato il nostro legame ancora di più, su un piano nuovo, diverso, più complesso e in un certo senso anche più "razionale". Forse l'aggettivo che cerco è: più maturo.
Se penso all'idea di famiglia penso a noi due, a tutte le sfide che quest'ultimo anno ci ha messo davanti, a tutti i momenti in cui avremmo potuto sgretolarci rovinosamente, e forse ci siamo andati vicini, e a tutte le volte in cui invece abbiamo scelto - insieme - di rialzarci, di impegnarci, di lavorarci. Di spendere energie, porci in ascolto, aprirci al dialogo verso l'altro.
In questo senso sento che la maturità è una medaglia a due facce, che porta con sé un significato denso, pesante, travagliato. Che il nostro amore ha perso parte della leggerezza dell'inizio, in cui tutto è "bello e semplice" e le farfalle dentro la pancia svolazzano all'impazzata e sembra quasi che anche il cielo ti sorrida benevolo, complice e guardiano propizio di questo nuovo amore. E' un lutto a cui con immensa fatica mi accosto, e che mi addolora tanto più perché sento di avvertirlo con molta più forza che non il contrario.
E poi c'è, d'altro canto, ciò che il nostro amore ha guadagnato -qualcosa di nuovo e a tratti ingombrante, che è solidità, complicità, compromesso. Radici.
Non è facile per me, con la testa sempre protesa alle nuvole, guardare in basso e scoprire che i miei piedi hanno messo radici che si intrecciano a quelle di un'altra persona. Che non posso più dire "me ne torno a Parigi", "alla mia vita prima di te". Fa un po' paura, mi dà voglia di protestare, scalpitare, reclamare a gran voce: "ma io sono libera!". Spesso e volentieri, l'ho anche fatto. Ho lottato contro questo legame ingombrante con tutta me stessa, con la paura di una bestia in gabbia. Solo per ritrovarmi a capire che quella stessa gabbia non è mai stata l'altra persona né il suo amore per me. Quella gabbia sono sempre e ancora io.
In questi giorni ti ho osservato di nascosto, o di sfuggita, mentre non mi guardavi - e mi sono accorta che ogni piccolo gesto che compi, lo fai con nel cuore noi due; le tue attenzioni, le tue premure, il tuo pensiero sempre un passo più avanti. Quest'anno ci siamo inflitti anche del dolore, a vicenda, ma da questo dolore siamo cresciuti e abbiamo trovato il modo di venirne fuori ancora una volta mano nella mano.
Ripenso spesso a un verso di Cremonini che trovo immensamente calzante:
"Anche quando poi saremo stanchi troveremo il modo per navigare nel buio"
Mi parla di noi. Mi parla del nostro amore, che non è più l'amore cieco delle prime volte, o meglio lo è ancora, in qualche parte dentro di lui, ma è diventato altro, tanto altro. E' la lanterna, il faro, il porto, la bussola. Casa e famiglia.
Lotterò sempre con i legami emotivi, e sempre mi sentirò presa in questa irrisolvibile contraddizione, in antagonismo con ciò che mi àncora, e pericolosamente spersa alla deriva da sola; la mia vita è così: in precario equilibrio su questa dicotomia inscindibile di leggerezza e pesantezza (sarebbe meglio dire gravità, nell'accezione della gravitas latina).
Ma nel mio cuore, durante quest'anno, ho maturato una consapevolezza nuova: queste radici sono forti non per schiacciarmi al suolo, e soffocarmi, al contrario: per permettermi di elevarmi ancora più alta nel cielo.
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Anche questa è andata.
Sabato è stato il mio compleanno, quest'anno per la prima volta nella mia vita ho deciso di lavorare, un bel fine settimana pieno ai fornelli. Ho portato una torta e prima di aprire hanno brindato con uno spumante da 4 soldi, loro, io succo e la sopra citata torta, la sera prima e il giorno fatidico sono andato al bar, si ho ripreso l'amicizia con quello stronzo, più che altro per avere una base per evadere quando mi viene la paranoia a casa, infatti abito a 60m circa da quel locale. Ieri invece mi sono visto con la famiglia, o ex che dir si voglia, per mangiare qualcosa e scambiare quattro chiacchere. Naturalmente mi sono beccato un paio di regali e una torta al cioccolato buonissima fatta da mia figlia che mi rende orgoglioso sia come padre che come cuoco. Durante la cena ho esposto la mia volontà di lasciare questo paese, un pò ci sono restati male ma hanno capito che io qua non ci faccio niente e siccome voglio vivere invece che sopravvivere e passare altri anni in un posto con zero vita sociale, zero concerti ecc ecc, cose che ho scritto in vari post, no grazie, preferisco andare altrove. Oggi ho deciso di andare a prendermi il resto delle mie cose, batteria compresa che spero di vendere il prima possibile come farò con altre cose, non posso portarmi tutto purtroppo.
Chiusa questa pratica vado avanti dritto al mio obiettivo ma oggi ho più o meno una data, entro Aprile, spero, di aver deciso destinazione e data di partenza, mancano sei mesi e il tempo vola. Sarà un pò dura andare via da qua dopo tutti questi anni, solo al pensiero mi viene già nostalgia, sarà l'abitudine. Le prossime tappe sono i loro compleanni, tra il 17 e il 23 novembre, che è stato sempre conveniente perché la festa era una, poi tutto un lungo fino ad Aprile, il natale lo odio.
youtube
P.S. Non ho ripreso a bere, eh!
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“I miei colleghi sono aggressivi!”
“I miei parenti sono terribili ed io ci vivo vicino”
“Il mio capo mi fa mobbing”
Questi sono solo alcune delle problematiche che vengono sollevate dalle persone con cui parlo.
Quando si scrive un post descrivendo una certa categoria di persone che possono risultare difficili- narcisisti, manipolatori ecc- la prima domanda da porsi è:
perché queste persone sono nella mia vita?
I post e qualsiasi tipo di vero lavoro interiore di armonizzazione, non vi diranno mai di spostare l’attenzione su qualcun altro.
Perché sarebbe un atto di deresponsabilizzazione.
Ogni volta che si da la colpa a qualcuno, si perde moltissimo potere personale.
Iniziate a riflettere sullo stato di sogno proiettivo dove tutto ciò che vi circonda è la la proiezione di un film in cui ognuno ha un ruolo, una parte, un copione.
Queste persone vibrano alla vostra frequenza.
Sono lì per un motivo preciso.
S’incastrano alla perfezione con qualche vostro irrisolto, con qualcosa che non vedete o non volete vedere.
Se siete Veri ricercatori e archeologici dell’inconscio, o alchimisti smettete una volta per tutte di dire “non posso” o “sono costretto”.
Il percorso animico se ne sbatte del vostro posto statale.
Vi condurrà dove dovrete stare e se vi rifiutate, vi ammalerete.
Per questo in questa società siamo tutti ammalati di qualcosa.
Non si trova più uno sano.
Ci sono anime bambine che devono fare esperienze di un certo tipo, magari un’esperienza materica, altre devono sperimentare la libertà e cosi via.
Non è che lo “sceglie” l’anima: è la conseguenza di come si è in quel momento, è un effetto “chiave serratura”, perciò lì dove hai un buco dovrai riempire e viceversa.
L’anima di un comune mortale non sceglie un bel niente.
Molti, nemmeno ce l’hanno l’anima, o hanno un abbozzo di anima in potenza.
Quando dite “non posso” state dicendo che non siete in grado di condurre la vostra esistenza in senso animico, cioè sganciato dalle logiche del sistema.
Io so che non potrei mai fare certi lavori o accettare certi compromessi e mi comporto di conseguenza, scegliendo attivamente ciò che mi consente di pagare karma e seguire la mia missione.
Non mi verrebbe mai in mente- anche se potrei- di vivere appiccicata ai miei parenti, pur avendo con loro dei buoni rapporti, perché semplicemente so che che non è sano.
“Ah ma io non ho soldi per l’affitto”
Ah no? Bene.
Vivi in un camper.
Vivi in una stanza in condivisione.
Vedi che non è che non puoi è che non vuoi perché ti fa comodo l’altro modo quello che poi inevitabilmente ti creerà una marea di problemi.
Iniziate a sentirvi responsabili della vostra vita e di tutto quel che accade. Osservate i copioni, le cose che si ripetono, dove vi mentite.
La vita verticale è fatta di queste domande di scelte apparentemente insensate per le masse: a voi non dovrebbe interessare questo.
Non vi dovrebbe interessare il comodo, ma anzi dovrebbe interessarvi dove potete smontarvi e rimontarvi da daccapo.
_Claudia Crispolti
Ci lavoriamo intensamente il 12 Gennaio in presenza a Perugia con un esperto di alchimia, Gabriel Darn di AlchimiaEpica
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Un'altra cosa che ho conosciuto da quando mi sono spostata qua in provincia di Bergamo è la generosità vera e propria. Ne avevo parlato brevemente in un vecchio post, ma credo che meriti un post a parte.
I padroni di casa dove sono in affitto sono credo le persone più gentili e discrete che io abbia mai conosciuto: persone modeste sebbene benestanti, comprensive, gentili, di una educazione impressionante; generosamente mi regalano le uova delle loro galline (ed io le mangerei ad ogni pasto perché sono credo le uova più buone che io abbia mai assaggiato), mi dicono sempre che se ho bisogno di qualcosa posso scendere e venire a bussare, fino a ieri "se hai bisogno di qualcosa, non comprare, dimmi a me ché io ho molte cose qua". E che siano delle persone generose lo ha dimostrato anche il fatto che qualche anno fa hanno ospitato una famiglia ucraina in fuga dalla guerra. Sono i primi estranei che piuttosto che mettermi davanti problemi irrisolvibili da risolvere mi danno invece delle soluzioni. Tutta la mia vita, fino ad ora, è stata costellata da problemi irrisolvibili: ogni chiacchiera pure la più innocua era formata da dei problemi, da delle polemiche inutili a problemi irrisolvibili, di qualsiasi tipo; stessa identica cosa nella mia famiglia ed io che cercavo di risolverli e alla fine riuscivo solo a piangere la notte e ad ingozzarmi di giorno e spesso di nascosto per alleviare l'angoscia. Questi signori, invece, ci parli un attimo ed è tutto semplice, facile e soprattutto già risolto: il problema non si è posto proprio. La loro discrezione poi è disarmante: mai conosciute delle persone così discrete nei miei confronti e così rispettose dei miei spazi pure se questo è un loro spazio. Da due mesi che sono qua non si sono mai sognati di venirmi a bussare, nemmeno per dirmi delle cose belle: se io scendo loro qualche fetta di dolce la signora mi ridà il piatto lasciandomelo sulle scale; mi fanno trovare il pellet sulle scale, pellet tra l'altro acquistato da loro per noi sebbene non abbiano la stufa a pellet ma quella a legna; non solo mi regalano le piantine di peperoncino, ma anche queste me le lasciano fuori dalla porta per non disturbarmi; hanno la copia del contratto da farmi firmare e non mi chiamano ma aspettano di vedermi uscire. Nella mia famiglia invece è sempre stato il contrario: mai avuto la mia privacy, le mie cose erano anche contro la mia volontà, le cose di tutti a meno che non me le nascondevo; chi mi apriva armadi e cassetti, non potevo nemmeno chiudermi in camera perché si lamentavano e non mi riferisco ai miei, ma agli altri parenti coi quali i miei avevano instaurato un rapporto morboso; non potevo scappare da loro, dovevo starci per forza e soprattutto fare finta di starci bene. Per non parlare della presunta generosità di parenti lontani e vicine di casa: ogni gesto "generoso" significava l'aver contratto un debito con degli strozzini: la volta successiva tu per loro dovevi esserci per forza pena il rinfacciarti quello che avevano fatto per te, maledirti e probabilmente pure toglierti il saluto. Poi il parlare è sempre stato denigratorio: credo che una cosa che accomuna tutti i poveracci che campano di merda perché non tengono soldi ma spendono più di quello che potrebbero permettersi, è l'essere arroganti. Ecco, in sicilia e poi in campania erano tutti arroganti e fondamentalmente gente di merda; in sicilia peggio che in campania dove invece ho conosciuto qualche essere umano ancora leggermente piacevole. Per non parlare poi della tranquillità della gente che lavora in questa zona: nei supermercati, nei negozi, oltre ad essere gentili, sono pure tranquilli (tranne qualche rara eccezione): cassiere sedute che se ne sbattono se la gente si accumula (d'altronde loro che ci possono fare), chiacchierano e non si scompongo e hanno sempre da regalarti un sorriso gentile. Un sacco di estranei, da quando sono in questa zona, mi hanno regalato un sorriso gratuito ed un saluto, entrambi fatti con una bella espressione calorosa e gentile sul volto, come se fossero veramente contenti di salutarti e di vederti.
Se continua così credo che potrebbe pure passarmi la repulsione per il genere umano, ricordarmi che almeno a grandi linee stiamo messi male, ma poi qualche rara eccezione la si incontra.
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Sta cosa che i mercatini si sono messi a fare gli snob e non accettano niente di quegli oggettini e giochini che porto io mi sta spingendo a voler regalare tutte queste cosine come ho fatto tempo fa con la sedia elefantino, ecco ho già lasciato dei cartoncini con le illustrazioni da colorare alla mia parrucchiera dicendole usali per intrattenere i bambini che vengono qui e lei tutta contenta mi ha abbracciata e per me questo vale molto più di 1€ che ci potevo guadagnare, che alla fine perché volevo che il mercatino se lo prendesse? Solo per dare una seconda vita a questi oggetti e non farli finire nella spazzatura, dei soldi non mi importava proprio niente fin dal principio tant'è che se mi mettessi a venderli quest'estate tornando a fare il mercatino dei bambini li metterei a 10 centesimi o massimo 50 centesimi proprio come facevo da piccola, perché vedere un bambino felice con quell'oggetto che avevo in casa mi ripaga di tutto!
#pensieri per la testa#persa tra i miei pensieri#pensieri#pensieri random#mercatino#oggettini#regalare
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Maledetti, maledetti sfruttatori classisti.
DA LEGGERE: Lettera su Il Fatto Quotidiano
“Sono una 24enne studentessa universitaria, lavoratrice occasionale. E sono figlia di un padre di 59 anni, invalido, che ha ricevuto l’sms della sospensione del Rdc. Scrivere questa email è umiliante, ma vorrei chiarire le idee a chi forse non le ha chiare su chi siano le famiglie che in questi 4 anni sono riuscite ad andare avanti grazie a questo sussidio.
Vengo da una famiglia molto povera e sin dalle elementari ho avvertito il senso di inferiorità rispetto alle mie compagne. Non ho mai potuto fare sport, ricevuto regali come libri, mangiare fuori con la mia famiglia. Alle medie non avevo un euro per il panino, se non per qualche giorno quando mio padre riceveva il suo misero stipendio, ancora ringrazio la mia compagna Lucia che mi dava un pezzo del suo senza farmelo mai pesare. Non ho mai potuto fare gite di classe, legare davvero con le mie compagne: sapevano che stavo un gradino più in basso, non avevo argomenti, spesso piangevo perché mi sentivo abbandonata a me stessa e molte volte mi chiedevo se avrei mai potuto sentirmi “normale” come loro. Quando i soldi c’erano, erano per la casa, le bollette, per riempire frigo e freezer. Quando le cose andavano male, si rompeva un elettrodomestico, era anche peggio, bisognava decidere se mangiare o non lavarsi per una settimana. Più di tutto mi è pesato dover sempre scegliere la cosa che meno poteva impattare su tutti. A volte mi sembra di non aver vissuto, di non aver ricordi della mia infanzia/adolescenza, se non quelli passati a piangere chiedendomi che cosa avessi fatto di male per essere capitata in una famiglia così povera.
La povertà in Italia è una colpa, è un continuo fare la guerra alle persone che per definizione sono solo scansafatiche. Perché se sei povero, puoi solo essere questo. Non puoi studiare, oppure puoi studiare, senza libri, senza risorse, senza Internet, senza dispositivi, puoi adattarti agli orari delle biblioteche, appoggiarti sulle borse di studio regionali, quelle per cui devi avere il 90% di crediti dell’anno in corso. Ma avete una vaga idea di quanto possa essere difficile rimanere in corso senza una famiglia che ti sostenga alle spalle? L’università premia i bravi studenti, ma non i poveri studenti. E cosa c’entra con il Rdc?
Mi ha permesso di non scegliere, di avere i libri di cui avevo bisogno nell’immediato, di pagare le tasse (nonostante rientrassi in fascia 1), di vivere senza preoccuparmi mentre studiavo, di sentirmi normale, di non sentirmi in colpa per soldi in penne, quaderni, pranzi al sacco all’università. Mi ha consentito di vedere la mia famiglia felice per una spesa che ti assicura dei pasti decenti per 2-3 settimane. Mi ha privato della vergogna di dover chiedere aiuti alla chiesa o ai vicini. Di andare dal dentista quando stavo male, di comprare le lenti a contatto e non usare le mensili per 6 mesi. Mi ha permesso di vivere dignitosamente. Mi preoccupa tornare a come eravamo anni fa, quando i litigi in casa erano all’ordine del giorno, in un clima in cui è difficile studiare.
Ripongo nella mia carriera le speranze che un giorno la mia famiglia non vivrà tutto questo, che potrò raccontare ai miei figli ridendo di essere stata aggredita dalla mia professoressa per non avere 10 euro per il diario scolastico. La carriera da medico non mi farà dimenticare che cosa significa essere povera e vivere nella sfortuna, sarò presente nella vita di chi ha bisogno come me, ricordandomi di chi ha aiutato la mia famiglia quando più ne aveva bisogno. Nanni Moretti diceva: “Io non parlo di cose che non conosco”, perciò voi italiani, che puntate il dito, che avete visto la povertà solo nei film, che leggete della delinquenza sui giornali e la attribuite a noi, mettetevi una mano sulla coscienza e chiedetevi se siete consapevoli abbastanza per poterne parlare.”
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Evol
Come nasce un cattivo
Mi sono fregata da sola. Volevo chiudere quest'anno con un dramino da quattro soldi... un qualcosa di leggero e anche un po' stupido che mi tenesse compagnia per qualche giorno fino all'anno prossimo, quando sarei tornata a bomba con i drama.
Ecco perché Evol sembrava la scelta migliore: 6 episodi di una serie con i supereroi in calzamaglia... ragazzini liceali che combattono il crimine. Roba spensierata per passare il tempo.
O almeno così pensavo.
Visti i primi due episodi, ero così sconcertata da mandare un messaggio a @ili91-efp per tenermi compagnia nella visione e perché i gioiellini ci si passano sempre <3 e per parlane assieme. Il drama meritava infatti molta attenzione.
Evol è una serie dark fantasy - con richiami a The Umbrella Academy, My Hero Academia e The Boys - tratta dal manga omonimo di Atsushi Kaneko e affronta svariati tempi come la corruzione, il disagio mentale, il suicidio, la violenza domestica... ma anche l'accettazione, il razzismo e pure la violenza sessuale. la roba leggera che volevo
TRAMA
La serie segue le vicende di tre adolescenti Nozumi, Akari e Sakura che decidono di togliersi la vita. Il loro tentativo però fallisce e tutti e tre si ritrovano in un ospedale psichiatrico per guarire. Lì oltre a conoscersi, scoprono di avere dei super poteri: Nozumi può creare dei buchi ovunque, Akari riesce a fare delle fiammelle da fiammifero e Sakura può levitare a 5 cm da terra.
Chiaramente, il tentativo di suicidio fa comprendere che questi ragazzi abbiano dei gravi problemi... forti disagi e grandi difficoltà che li hanno portati all'insano gesto. Akari con i suoi tagli nelle braccia e il terrore verso il padre che la vuole riportare a casa, fa scattare nei ragazzi la decisione di fuggire.
Con i loro nuovi poteri, Nozumi e company riescono a scappare dall'ospedale e ricercati da mezza città, si interrogano sulle loro recenti abilità: hanno dei poteri perché sono destinati ad essere degli eroi? Ma questo mondo è degno di essere salvato? Questa gente che in un modo o nell'altro li ha fatti soffrire tanto da spingerli al suicidio, meritano di essere salvati?
Se questa realtà è così marcia... perché non essere invece i cattivi e non distruggere questo mondo?
Insieme alle vicende dei tre ragazzi, la serie segue anche un vero eroe: Lighting Bolt. Eroe acclamato dal mondo, figlio di eroi e fratello di eroi, quest'uomo che ha il potere di scagliare fulmini come Pikachu, persegue la sua convinzione di essere il salvatore del mondo: colui che è destinato a salvare la Terra dalla grande oscurità che sta arrivando. Peccato che per farlo, lavori sottobanco con il Sindaco della città che usa Pikachu come assassino di fiducia per eliminare persone a lui scomode.
Questa a grandi linee la trama. E' chiaro come qui di roba leggera non ce ne sia manco l'ombra. Anzi. Ho amato la trama e come si sia evoluta lungo tutto l'arco narrativo: colpi di scena, buon ritmo, ambientazione cupa ed a tratti davvero creepy ma soprattutto un ottima evoluzione della storia. Coerente e ben realizzata.
Come scritto nel sottotitolo, questo drama mostra come si "diventa dei villain": prendi un ragazzo abusato e traumatizzato e fagli odiare la realtà che lo ha fatto soffrire. Poi dagli dei super poteri, rabbia, portalo alla disperazione e voilà: ecco il tuo cattivo.
Evol, parla proprio di questo e se all'inizio i ragazzi volevano fare i cattivi ma senza una grandissima convinzione - d'altronde sono liceali e il massimo che hanno fatto è stato fare dei graffiti in giro per la città - nel finale il loro passaggio al lato oscuro è ben delineato e molto logico con la storia raccontata fino a quel punto.
PERSONAGGI
Ottimi anche i personaggi: Nozumi, il lead di questo drama è un ragazzino molto introverso e chiuso verso gli altri. Almeno al primo sguardo. Una volta che conosce delle persone e si apre con loro, diventa più aperto e solare. E' un bravo ragazzo che vuole l'accettazione da parte degli altri e sentirsi davvero parte del mondo.
Emblematica su questo la scena dell'alieno: Nozumi parlando con la madre ammette di sentirsi un estraneo nel mondo. Un diverso. Tanto più che è gay e il ragazzo che gli piace lo ha anche rifiutato. Questo aumenta la sua alienazione e la sofferenza: chiede infatti scusa alla madre per essere gay e per averla delusa. Per non poterle dare dei nipotini... chiara dunque la sofferenza del ragazzo e da dove derivi il suo dolore.
Poi c'è Sakura che dei tre è stata quella meno esplorata. Dal poco che sappiamo è stata vittima da parte degli altri di attacchi di razzismo e bullismo, tanto che il padre si è impiccato e la madre se ne è andata con un altro uomo. Nella serie dicono che in realtà non si è ammazzata ma è stata uccisa. Qualcuno voleva farla fuori. Ma ad oggi, non si sa ancora nulla di questa storia. Ma infatti non ce la vedevo ad uccidersi!
Sakura è quella decisa e aggressiva del trio. Quella propositiva e attiva, che fa cose e poi pensa a ciò che ha fatto. Anche se può sembrare impetuosa e poco riflessiva, in realtà nasconde un grande cuore ed è molto empatica. Litiga con Akari ma poi, preoccupata per lei, fa di tutto per trovarla e andare a salvarla. Poiché è senza famiglia - e vive proprio in una casa famiglia - credo che Nozumi e Akari siano diventati per lei una sorta di casa.
Ed infine c'è Akari. Pestata e abusata sessualmente dal padre Capo della polizia - la scena dove il genitore si struscia e geme sui vestiti della figlia fermandosi sulle parti intime mi farà avere incubi per settimane cazzo! - che pensa che dentro di lei ci sia Satana, la ragazza è sull'orlo della disperazione e follia. Vede cose che non esistono - o forse esistono davvero e siamo noi spettatori i folli - e vuole solo vedere il mondo bruciare.
Poiché Akari non parla molto non è facilissimo inquadrarla ma dai suoi pensieri e chiacchierate che si è fatta con il coniglio di fumo nero - che ho chiamato Frank in onore del coniglio Frank in Donnie Darko - viene fuori un personaggio remissivo e obbediente che sopporta tacitamente gli abusi almeno finché non conosce gli altri due. Nozumi e Sakura diventano suoi amici e le danno un po' di speranza e gioia, facendole sognare un mondo diverso.
Ma ahimè il sogno sarà di poca durata.
E come con Nozumi sarà la felicità data e poi persa violentemente che la farà cadere nella vera disperazione.
Inoltre è piaciuto molto anche il personaggio di Lighting Bolt. Ad una certa mi ha fatto quasi tenerezza questa sua ricerca ossessiva di cosa significasse essere un supereroe: si è convinto di essere nato e di avere i poteri per essere il Gesù Cristo del mondo ma d'altra parte era perfettamente consapevole di fare da serial killer personale di un solo uomo, uccidendo persone innocenti. Eroe di cosa?! Cosa significa essere un eroe?!
Tra l'altro non si è manco accorto della psicopaticissima sorella che godeva nel friggere persone: eroina quanto lui, sfogava il suo desiderio di essere riconosciuta al pari del padre e del fratello, friggendo cani e bambini innocenti. E poi daje di targhe " Eroina della città".
Fatta la disamina suoi personaggi, posso dire che mi sono piaciuti tutti. Il modo in cui sono stati scritti, soprattutto. Per ogni disagio, azione assurda o discorso strano, la serie ha costruito bene i suoi personaggi, il modo che si capivano le loro motivazioni e perché agissero o reagissero in tali modi.
Buona anche la performance degli attori, in particolare i giovani: se l'attore di Nozumi ha 23 anni ed ha un curriculum di tutto rispetto con una ventina di drama e ancor più film ed idem l'interprete di Akari - che di anni ne ha 18 - colei che rappresenta Sakura ha solo tre drama nel carrello. Più qualche film. Non sono certo attori di primo pelo ma neanche dei mostri di recitazione. Tuttavia trovo che abbiano fatto un buon lavoro, soprattutto l'attrice di Akari.
STILE E ATMOSFERA
Trovo che sia stata buona anche la regia: Evol ha una narrazione solida e coerente ma non sempre di facile comprensione. Alcune cose vengono infatti lasciate all'interpretazione per aumentare, a parer mio, la poeticità e anche la riflessione dello spettatore. La serie ha infatti molti momenti introspettivi e di critica alla società di oggi: corruzione, alienazione, razzismo, abusi...
Tuttavia la serie non è una palla introspettiva: ci sono molti momenti di tensione e di drammaticità grazie ad una regia che ti tiene sempre un po' sul chi vive e non annoia mai.
Questo grazie anche al comparto visivo e all'ambiente un po' cupo e certe volte angosciante che assieme alla musica azzeccatissima permette allo spettatore di percepire sempre quel filo d'inquietudine che ti tiene incollata allo schermo.
E proprio sull'aspetto visivo devo fare il mio primo appunto: la serie infatti pecca per la poca luminosità. Ok il creepy e l'angoscia ma fammi vedere qualcosa! In alcune scene si percepiva solo uno sfondo nero e le voci sotto ma niente di vedibile. Per fare alcune gif ho dovuto sbiancare le immagini!
L'altro appunto è sul fatto che la serie lascia aperte molte domande di trama ma che difficilmente avremo qualche risposta. Evol infatti, dovrebbe avere più stagioni ma onestamente io non sono fiduciosa che le faranno davvero.
sbiancatissimo.
TEMATICHE
Ultima cosa circa le tematiche portate avanti dalla serie: Evol fa a pezzi il mito del supereroe e offre una narrazione intensa e provocatoria che esplora le sfumature tra bene e male. Chi è il buono? Chi è il cattivo? ...
Ma parla anche di salute mentale, discriminazione e alienazione. Sonda il disagio mentale e la sofferenza soprattutto degli adolescenti, epoca tragica a parer mio, che molto spesso urlano il proprio tormento a persone che non sanno o non vogliono ascoltare.
Quello che resta è una riflessione su dei ragazzini soli e persi nel mondo - alla fine del drama tutti e tre i personaggi rimangono orfani - che trovano nell'odio e nella distruzione la risposta a tutto il loro dolore.
Concludendo: una serie sicuramente da vedere. Soprattutto per chi, come me, è un amante delle opere introspettive e piene di spunti di riflessione. Il cast e la regia hanno fatto un ottimo lavoro nel raccontare questa storia contando solo i 6 episodi di questa prima stagione. Sicuramente non la serie leggera e spensierata che pensavo... tuttavia mi ha davvero sorpresa per la sua intensità e riflessività.
Attendendo con forte speranza la seconda stagione...
Voto: 7.9
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è passato così tanto tempo dall'ultima volta che presi i miei spazi, è da un po' che non scrivo di me.
ma partiamo dall'inizio o dalla fine.
21 luglio 2023
un giorno d'estate come tanti, ancora inconsapevole dei molteplici cambiamenti che sarebbero avvenuti da lì ai mesi successivi.
rapporti d'amicizia chiusi.
rapporto chiuso con quel ragazzo che non sai nemmeno come definire il rapporto, in cui si è sempre disposti a fare funzionare le cose, e poi non funzionano, prendendocela con noi stesse, quando alla fin fine, nessuno ha colpe, semplicemente non è quella persona per cui ne vale la pena davvero dedicare il nostro tempo.
aver ripreso un rapporto d'amicizia con una ragazza d'infanzia, l'unica amica che ho tutt'ora.
aver deciso di non uscire più, solo il minimo indispensabile, come andare al lavoro, all'università e a fare spesa.
aver deciso di non postare più nulla sui social, tranne su tumblr, l'unico social diverso, lo sappiamo tutti.
aver deciso di chiudermi nella mia zona confort, che equivale ad alternare studio e lettura, tutto accompagnato da una buona tazza di thè caldo prima di andare a letto.
aver deciso di non intraprendere più nuove conoscenze.
aver deciso di dedicare tutta la mia pazienza e sforzi nel lavoro.
aver deciso di mettere al primo posto mia mamma e mio fratello.
aver deciso di non commettere gli stessi errori, per poi essere di nuovo punto e a capo.
tutto un “aver deciso di” e giustamente la prima domanda che una persona si pone è il fatidico “perché? perché queste scelte? sei così giovane”
non sono solita a criticare o giudicare certi stili di vita, eppure ogni volta che mi si pone questa domanda, la mia risposta è sempre la stessa “non voglio perdere tempo a divertirmi, voglio perderlo per costruirmi un futuro ed essere indipendente”
è così sbagliato?
è così sbagliato lavorare nel settore che più ti piace anche se la paga non è granché?
è così sbagliato lavorare per non avere quel macigno nel petto che porta il nome di “le mie spese sono tutte alle spalle dei miei genitori” ?
è così sbagliato studiare per avere un titolo che mi permetta di lavorare sempre nel settore che mi piace, ma allo stesso tempo avere uno stile di vita più appagato e un buon stipendio?
è così sbagliato essere selettivi con le persone, per il semplice fatto di non volermi circondare di nuovo da persone meschine, egoiste e false?
è così sbagliato mettere al primo posto la propria famiglia perché vuoi che stiano bene?
è così sbagliato voler rimanere a casa il venerdì sera o il sabato sera, anziché andare a ballare e ubriacarmi, solo per il pensiero di risparmiare soldi?
ripeto, non giudico certi stili di vita, ma perché giudicare la mia?
è così sbagliato tutto questo? porsi degli obbiettivi, fare progetti, è sbagliato?
siamo arrivati ad oggi, 4 marzo 2024.
in cui ho capito che stare da soli fa bene, ma starci per troppo tempo fa alquanto male.
in cui ho capito che avere soltanto due amici in croce è meglio che averne dieci di cui non puoi fidarti.
in cui ho capito che se voglio una cosa, la ottengo, con pazienza, determinazione e dedizione, ma la ottengo.
in cui ho capito che se una cosa non la faccio oggi, ma il giorno dopo, non succede nulla, basta farla, ovviamente dipendentemente dalle circostanze.
e siamo attivati ad oggi, 4 marzo 2024, in cui ho capito di stare finalmente bene dopo tanto tempo, così bene che ogni tanto durante la giornata mi chiedo “dov'è la fregatura?”
perché si sa, ogni momento di quiete prima o poi verrà spazzato via dalla tempesta.
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Al mattino ci affrettiamo per andare al lavoro. Una volta arrivati, ci sbrighiamo a far passare le 8 ore il più velocemente possibile.
La sera entriamo di corsa a casa, ci affrettiamo a baciare i nostri cari e ci gettiamo davanti alla TV, con il cellulare in mano o il tablet tra le braccia.
Corriamo da quando siamo giovani.
Abbiamo fretta di crescere, desideriamo che gli anni del liceo finiscano in fretta, poi ci affrettiamo a concludere l'università.
Ci precipitiamo a comprare una casa o un appartamento, magari con debiti che durano una vita.
Decidiamo di avere figli, che cresciamo di fretta, domandandoci: "Quando sono cresciuti così in fretta?"
E quando crescono, ci chiediamo perché siano così impazienti di andarsene e lasciarci.
Solo allora nel nostro vocabolario compare l’espressione:
"Aspetta un minuto…"
Ti suona familiare?
L'ultima visita a casa di tua nonna. Ti affretti a tornare a casa tua, e lei, stringendoti la mano con voce tremante, ti dice:
"Aspetta, figliolo, ancora un po'. Chissà se ti rivedrò…"
Circa un secolo e mezzo fa, John Ruskin, proveniente da una famiglia molto ricca, scrisse:
"La ricchezza non è preziosa quanto la vita stessa. Quante volte senti la domanda: 'Che cosa hai fatto con tutti quei soldi che hai accumulato?'
E quante volte, invece, senti qualcuno chiedere: 'Che cosa hai fatto della tua vita?'"
Vivi l'oggi, il domani non esiste.
Suona forte, ma è la realtà. Moriamo e non portiamo nulla con noi.
Per questo gli italiani hanno detto semplicemente:
"Oggi sei sulla Terra, domani sarai nella tomba."
Sulla Terra puoi lasciare tracce o ombre. Nella tomba non sei più né traccia né ombra.
È triste analizzare la nostra vita e vedere che ci siamo preoccupati così tanto per le cose materiali da far ammalare o morire il nostro spirito, i nostri sentimenti, la semplicità delle cose.
Il materiale è importante, ma non trascuriamo tutto il resto.
Perché in un batter d’occhio saremo vecchi, e ciò che non abbiamo vissuto non potrà mai essere recuperato.
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Io non credo proprio che avere o meno una laurea sia esattamente il criterio con cui giudicare la preparazione di una persona in una materia. Abbastanza classista come posizione. Una persona può formarsi fuori dal sistema d'istruzione istituzionale. Facendo un esempio concreto e vissuto in prima persona, sono stata recentemente ad un incontro sulla violenza di genere dove una giornalista laureata che ha seguito diversi casi di femminicidio nella mia zona non credeva nell'esistenza del patriarcato...
guarda mi fa piacere che tu abbia deciso di impiegare del tempo della tua vita per commentare un post di tre righe come se esso potesse rappresentare il punto definitivo sul rapporto istruzione-effettiva competenza, non senza buttare lì anche un "ma hai detto una cosa classista", ché evidentemente in questi tempi si deve per forza vivere di emozioni forti.
a dire la verità, andando oltre la superficie (la butto lì: forse perché tre righe di post non sono sufficienti per esprimere un giudizio completo [né questa è mai stata la mia intenzione], né per esprimere gratuitamente un giudizio necessariamente incompleto sul summenzionato?), va a finire che sono più d'accordo con te che altro. il titolo di istruzione può voler dire ben poco. ce n'é finché vuoi di gente iper-titolata a cui non potresti lasciare in mano manco i soldi del caffè da reggere finché ti allacci le scarpe, da quanto è inetta. e, di contro, ci sono sia esempi eccellenti, sia più "ordinari" (che magari conosciamo nella vita quotidiana senza che diventino mai casi noti) di persone con cultura e competenze sconfinate, che non hanno "il pezzo di carta". non stiamo dicendo niente di nuovo, l'acqua è bagnata e il fuoco brucia, tanto per chiudere il cerchio.
in ogni caso, fermo restando quanto detto sopra, non è che proprio tutti possano dire proprio tutto, sempre e in ogni caso. non vai a farti curare dalla persona che si è formata individualmente, non ti fai costruire la casa da una persona che non ha studiato entro il sistema "canonico" ma ha davvero una grande grandissima passione per l'edilizia. e via dicendo. per fare determinate cose servono determinate competenze, le quali, spesso, si acquisiscono mediante uno o più percorsi di studi (o di formazione più empirica, a seconda, ma pur sempre di formazione si tratta - che non rientra nel campo dell'hobby). è una garanzia infallibile? assolutamente no. è però sensato esigere persone competenti, la cui competenza possa essere misurata (anche) secondo un metro di paragone convenzionale, seppur alle volte fallibile? secondo me sì. e il classismo magari lo lasciamo da un'altra parte, ché tanto ne è già pieno il mondo
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COMME UCCIDERE UN POPOLO
Una lettera sul il "Fatto Quotidiano" di oggi
Sono una 24enne studentessa universitaria, lavoratrice occasionale. E sono figlia di un padre di 59 anni, invalido, che ha ricevuto l’sms della sospensione del Rdc. Scrivere questa email è umiliante, ma vorrei chiarire le idee a chi forse non le ha chiare su chi siano le famiglie che in questi 4 anni sono riuscite ad andare avanti grazie a questo sussidio.
Vengo da una famiglia molto povera e sin dalle elementari ho avvertito il senso di inferiorità rispetto alle mie compagne. Non ho mai potuto fare sport, ricevuto regali come libri, mangiare fuori con la mia famiglia. Alle medie non avevo un euro per il panino, se non per qualche giorno quando mio padre riceveva il suo misero stipendio, ancora ringrazio la mia compagna Lucia che mi dava un pezzo del suo senza farmelo mai pesare. Non ho mai potuto fare gite di classe, legare davvero con le mie compagne: sapevano che stavo un gradino più in basso, non avevo argomenti, spesso piangevo perché mi sentivo abbandonata a me stessa e molte volte mi chiedevo se avrei mai potuto sentirmi “normale” come loro. Quando i soldi c’erano, erano per la casa, le bollette, per riempire frigo e freezer. Quando le cose andavano male, si rompeva un elettrodomestico, era anche peggio, bisognava decidere se mangiare o non lavarsi per una settimana. Più di tutto mi è pesato dover sempre scegliere la cosa che meno poteva impattare su tutti. A volte mi sembra di non aver vissuto, di non aver ricordi della mia infanzia/adolescenza, se non quelli passati a piangere chiedendomi che cosa avessi fatto di male per essere capitata in una famiglia così povera.
La povertà in Italia è una colpa, è un continuo fare la guerra alle persone che per definizione sono solo scansafatiche. Perché se sei povero, puoi solo essere questo. Non puoi studiare, oppure puoi studiare, senza libri, senza risorse, senza Internet, senza dispositivi, puoi adattarti agli orari delle biblioteche, appoggiarti sulle borse di studio regionali, quelle per cui devi avere il 90% di crediti dell’anno in corso. Ma avete una vaga idea di quanto possa essere difficile rimanere in corso senza una famiglia che ti sostenga alle spalle? L’università premia i bravi studenti, ma non i poveri studenti. E cosa c’entra con il Rdc?
Mi ha permesso di non scegliere, di avere i libri di cui avevo bisogno nell’immediato, di pagare le tasse (nonostante rientrassi in fascia 1), di vivere senza preoccuparmi mentre studiavo, di sentirmi normale, di non sentirmi in colpa per soldi in penne, quaderni, pranzi al sacco all’università. Mi ha consentito di vedere la mia famiglia felice per una spesa che ti assicura dei pasti decenti per 2-3 settimane. Mi ha privato della vergogna di dover chiedere aiuti alla chiesa o ai vicini. Di andare dal dentista quando stavo male, di comprare le lenti a contatto e non usare le mensili per 6 mesi. Mi ha permesso di vivere dignitosamente. Mi preoccupa tornare a come eravamo anni fa, quando i litigi in casa erano all’ordine del giorno, in un clima in cui è difficile studiare.
Ripongo nella mia carriera le speranze che un giorno la mia famiglia non vivrà tutto questo, che potrò raccontare ai miei figli ridendo di essere stata aggredita dalla mia professoressa per non avere 10 euro per il diario scolastico. La carriera da medico non mi farà dimenticare che cosa significa essere povera e vivere nella sfortuna, sarò presente nella vita di chi ha bisogno come me, ricordandomi di chi ha aiutato la mia famiglia quando più ne aveva bisogno. Nanni Moretti diceva: “Io non parlo di cose che non conosco”, perciò voi italiani, che puntate il dito, che avete visto la povertà solo nei film, che leggete della delinquenza sui giornali e la attribuite a noi, mettetevi una mano sulla coscienza e chiedetevi se siete consapevoli abbastanza per poterne parlare.
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Pensieri musicali.
La musica non è solo prendi lo strumento e suona, come molti di voi sanno, è anche pensiero, è un dialogo (spesso con se stessi) su come, quali suoni, quali note, quali pause, potrei continuare all'infinito perché la musica è infinita. Spesso sento dire che è stato fatto di tutto, come anche non c'è buona musica ecc ecc, tutte frasi buttate la da persone che non sanno neanche cosa sia la musica, diffidate da quelli che vi dicono "Ho fatto il conservatorio", oppure "Ho studiato una vita, tanto che ora insegno", sono persone tarate, sicuramente bravi e quindi molto ingannevoli, ma se vi capita chiedete loro di darvi una definizione di musica, vedrete che vacilla, perché ai suoi occhi la musica è quello che ha studiato, mentre ci sono persone che sono restate nella storia e non sapevano neanche tenere lo strumento in maniera corretta, tanto per dire.
LA MUSICA E' UNA FORMA D'ARTE.
Questa è la definizione più vicina alla realtà e quindi si può dire che la musica è soggettiva, per questo ci sono svariati punti di vista e miliardi di definizioni possibili, perché ognuno ha la sua. Tutte quelle discussioni su chi è più bravo, chi è più veloce, chi ha vinto più premi ecc ecc, tutte pippe mentali, ma vi pare che Robert Johnson desiderava diventare famoso? A lui interessava ingroppare e imparò a suonare per portarsi a letto più donne possibili, infatti una delle ipotesi della sua morte è che il proprietario del postaccio dove stava suonando l'ha avvelenato perché gli aveva già bombato la moglie, altri tempi. Esempi a parte, quando qualcuno vi dice "Eh ma è il mio gusto personale", caro mio il tuo gusto è dettato da quello che ascolti, se ascolti 100 band mainstream in croce di 5 stili diversi, ma sempre per esempio metal, non hai un cazzo di gusto, diteglielo, la varietà di ascolto determina un gusto che può avvicinarsi un pò a quello che potrebbe essere in qualche modo una mente allenata all'ascolto e quindi con una certa dose di criticismo, ma occhio alla parola ascolto che è importante, perché se metti su la musica tutto il giorno e nel frattempo fai altro non stai ascoltando la musica stai facendo altro e usi la musica come sottofondo perché oramai è così, purtroppo, si usa la musica perché abbiamo la paura del silenzio, che è comunque una parte portante della musica, le pause?!
Va bè tutto sto pippone per dirvi che oggi riflettevo su alcune cose musicali, la prima è che le mie colleghe ascoltano merda e me la devo sorbire anche io, robaccia tunz anni 90 estone con cover improbabili tipo Mike Oldfield Moonlight shadow in estone ma trunz che credetemi è un obbrobrio, secondo me lui stesso non l'ha mai sentito ha firmato il permesso e intascato i soldi, e robe simili tutto il giorno. L'altra è che Silvestrin non parlerà più di musica, almeno non metterà più degli estratti sul tubo, cosa che mi dispiace perché erano molto interessanti, nel suo canale adesso (ed ha iniziato subito) parla del Milan, ma come minchia può essere che uno che è nella musica da una vita, ha fatto anche cose orrende nella sua carriera ma per soldi figuriamoci, dicevo, come si fa a passare dalla divulgazione musicale al calcio. Per carità ognuno nel suo canale fa quello che vuole, considerando che comunque continua le sue live su Twitch dove mette musica nuova e parla della situazione musicale mondiale, non che italiana. Ma mi dispiace, anche perché non ho tempo per stare dietro alle dirette anche se mi piacerebbe.
Detto questo e visto l'argomento vi lascio ad una delle ultime scoperte, non proprio recente, ma mi han fatto troppo ridere.
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