#oggettini
Explore tagged Tumblr posts
Text
Sta cosa che i mercatini si sono messi a fare gli snob e non accettano niente di quegli oggettini e giochini che porto io mi sta spingendo a voler regalare tutte queste cosine come ho fatto tempo fa con la sedia elefantino, ecco ho già lasciato dei cartoncini con le illustrazioni da colorare alla mia parrucchiera dicendole usali per intrattenere i bambini che vengono qui e lei tutta contenta mi ha abbracciata e per me questo vale molto più di 1€ che ci potevo guadagnare, che alla fine perché volevo che il mercatino se lo prendesse? Solo per dare una seconda vita a questi oggetti e non farli finire nella spazzatura, dei soldi non mi importava proprio niente fin dal principio tant'è che se mi mettessi a venderli quest'estate tornando a fare il mercatino dei bambini li metterei a 10 centesimi o massimo 50 centesimi proprio come facevo da piccola, perché vedere un bambino felice con quell'oggetto che avevo in casa mi ripaga di tutto!
#pensieri per la testa#persa tra i miei pensieri#pensieri#pensieri random#mercatino#oggettini#regalare
10 notes
·
View notes
Text
Signore dammi la forza di finire di mettere in ordine queste benedette librerie
#ho un mal di schiena che non è reale#sette scaffali su 16 ancora da svuotare spolverare inventariare e rimettere a posto#per non parlare degli oggettini di merda a cui devo dare una destinazione
2 notes
·
View notes
Text
🇮🇹 Istruzioni per un piccolo fai da te. Un barattolo cicciottoso (o anche una piccola boccia per pesci), oggettini per presepi (quindi alberelli, casette, animali,…), neve a piacere e nastro per rifinire! Mi piace quando si può creare con poco e con molteplici combinazioni <3 Tra qualche mese credo ne farò una versione primaverile. --- 🇬🇧 Instructions for a little DIY. A chubby jar (or even a small fish bowl), nativity scene objects (so little trees, houses, animals, ...), snow to taste and ribbon to finish! I like when you can create with little and with multiple combinations <3 In a few months I think I'll make a spring version.
0 notes
Text
Il mio cuore meccanico - Parte 2
“Sente male?” La donna soffice mi ha fatto sedere sul lettino ed è in piedi davanti a me. Indossa guanti spessi e bianchi e stringe una porzione della pelle del mio petto tra l’indice e il pollice della sua mano destra.
È il quinto pizzicotto che mi dà. Non mi è ben chiaro lo scopo di quella visita, ma mi fido di lei.
“No. Cioè, non è neanche piacevole, ma… Beh, è sopportabile.”
“Bene.”
Si allontana, estrae dal cassetto un… Cielo, che diavolo è? Sembrerebbe la bacchetta di un rabdomante, ma è di metallo nero. Torna verso di me e lo punta verso il mio addome, oscillandolo a destra e a sinistra. Non capisco se sia lei a dirigerlo o se quel coso si stia muovendo da solo.
“Posso farle una domanda, signor Manna?”
“Certo.” Vorrei me ne facesse mille. Non sono uno a cui piace parlare chissà quanto, ma lei mi tranquillizza. È una di quelle persone davvero intenzionate ad ascoltare le risposte alle domande che pongono. Almeno, dà quell’impressione, con i suoi occhioni e le fossette che si formano nelle sue guance quando parla.
“Come era sua moglie?” Ecco, forse quella è l’unica domanda che avrei evitato volentieri. Mi coglie di sorpresa e trattengo il respiro mentre lei continua a muovere quella roba metallica strana vicino alla mia pancia. Mi domando se domande di quel genere siano previste dalla procedura medica. Forse servono a valutare le mie reazioni fisiche, o roba così.
“Miriam era…” come era Miriam? Difficile a dirsi. Io lo so, lo so come era. Lo sento. Lo sentivo, quando era ancora viva. Sapevo perché l’amavo e perché era la mia compagna di vita. Lo sentivo e basta, non era un qualcosa che avevo mai dovuto spiegare a voce a nessuno, neanche a me stesso. Era come il sangue che scorre nelle vene: è così, senza un motivo. Ed è vita.
“… lei era gentile. Amava le cose semplici. Forse era quello il motivo per cui mi aveva scelto. Non aveva tante pretese, ma non perché fosse una persona banale, tutt’altro. Ma sapeva di preferire la semplicità. Per esempio, le piaceva il caffè. Un buon caffè. Senza orpelli o variazioni o aggiunte strambe o alternative con nomi improbabili. Un caffè, fatto bene. E la pasta al pomodoro, per dire. Non era tipa da cose complicate. Pochi ingredienti, ma buoni, trattati con amore. E questo valeva un po’ per tutto.”
“Capisco.” La donna soffice fa un sorriso dolcissimo e annuisce, senza però aggiungere altro o commentare in qualche modo le mie parole. Nulla. Continua a muovere la bacchetta e sorride. Forse ho detto delle stupidaggini? Diamine, è la prima volta che qualcuno mi fa una domanda così personale e diretta dalla morte di Miriam; rispondere non è stato facile. Un po’ come cercare di rimettere insieme i pezzi di un puzzle senza sapere da dove iniziare. Alla fine magari viene fuori una schifezza, anche se le intenzioni erano buone. Forse ho dato alla donna soffice un’immagine di Miriam troppo pacchiana e semplicistica? Miriam era tanto altro. Forse-
Un ronzio infastidito arriva dalla bacchetta metallica. La dottoressa la allontana e mi guarda negli occhi. Sono così belli, i suoi.
“Oh? Ho fatto qualcosa di strano? Dunque, ho provato a rispondere, ma non so se era la cosa giusta da dire…” Balbetto quelle parole senza sapere bene dove andrò a parare.
“Non si preoccupi. Non è colpa sua.” Si alza e ripone quella roba nel cassetto.
“E non credo ci sia un modo giusto o sbagliato di rispondere a quella domanda. Solo il modo che viene dal cuore. Quello era il suo, direi.”
Se non fosse terribilmente sbagliato, mi alzerei e la abbraccerei. Scelgo consapevolmente di ignorare il fatto che una professionista come lei parli di cuori di carne e dei sentimenti che arrivano da essi.
“Posso farle io una domanda, dottoressa?”
“Ma certo.” Con un gesto mi fa capire che la visita è finita e che possiamo tornare nell’altra stanzetta, quella piena dei suoi ninnoli. Mi rimetto la camicia e la seguo.
“Come mai ha così tanti oggetti e oggettini? Sia qui sia nella sala d’attesa.” Lei mi guarda perplessa, alzo le mani per chiedere preventivamente scusa e continuo.
“Intendo, è una scelta… particolare, per uno studio come questo. Non che mi dispiaccia, ma non mi aspettavo di trovare così tanto calore e personalità qui dentro.”
La donna soffice mi regala una risata meravigliosa. Piena, sincera, genuina, dolce. Non c’è scherno in quella risata, né arroganza o commiserazione. Solo, serenità. Mi accorgo che lei mi piace molto. E mi accorgo anche che non posso controllarlo, per quanto vorrei - è inadatto, per una persona nel mio stato.
“Non posso darle torto, in verità,” mescola quelle parole al finale della sua risata dolce, “ma sono fatta così. Lo so, probabilmente tutti si aspettano più�� freddezza e asetticità da chi fa un lavoro come il mio, ma alla fine tutti si dimenticano che io lavoro con i cuori. Veri o meccanici che siano, sempre di cuori si tratta.”
Allunga la mano per dare un buffetto al nasino del gatto bianco e nero di ceramica. Adorabile. Miriam l’avrebbe trovato un gesto adorabile. E anche io.
“Il tempo che passo con i miei pazienti prima dell’operazione è più lungo del dopo. E prima, il loro - il vostro - cuore è ancora di carne. E i sentimenti sono ancora lì. Mi piace che le persone stiano in un ambiente caldo e accogliente finché possono goderselo.”
“… Ahi.” Dico.
“Non mi fraintenda, signor Manna. Non giudico niente e nessuno. La scelta è vostra e io faccio quello che devo. Non c’è pietismo nelle mie parole.”
Scelgo di crederle e annuisco. Vengo spedito a casa dopo poco, con l’invito a tornare per un’ultima visita la settimana seguente. Dopo di quella, avremmo fissato la data dell’operazione. Il tempo trascorso in solitudine a casa a pensare e ripensare alle parole della donna soffice unito alla dolcezza che la dottoressa riversa su di me durante il successivo appuntamento sono sufficienti a fare il patatrac: sono cotto di lei.
Passiamo la visita a ridacchiare e scambiarci considerazioni sul meteo, sulle nuove uscite al cinema, sull’ultima canzone ascoltata alla radio, sulle nostre famiglie e sui rispettivi animali domestici. Scopro così che la donna soffice ha una coppia di inseparabili - Danny e Sandy - e un pesce rosso chiamato Truman Capote. E che preferisce l’autunno all’estate, proprio come me. E che non trova nulla di strano nell’andare al cinema da soli, di tanto in tanto, proprio come me.
Per il resto, la visita è del tutto indolore. La solita roba; qualche pizzicotto, un po’ di aggeggi appoggiati su di me alternati alle mani della dottoressa, qualche ‘tossisca’ e ‘trattenga’ e ‘inspiri, espiri’. Ma a questo punto, sarei stato contento anche di ricevere una botta in testa, se fosse arrivata da lei.
“Signor Manna,” la donna soffice rimette tutti gli strumenti al loro posto e si lava le mani nel lavabo, “è tutto regolare, ovviamente, come pensavamo. Non c’è alcun motivo per non proseguire con l’operazione finale. È contento?”
“Molto.” Il che è vero a metà. Voglio proseguire, voglio liberarmi di tutta quella faccenda del cuore e della sofferenza. Perché sì, certo, sono cotto della donna soffice, ma questo non significa che Miriam non sia più sotto terra. La donna che amavo è morta, io sono un uomo distrutto dal dolore e questo non può cambiare. Ma è anche vero che la donna soffice esiste e mi fa sentire come non mi sentivo da parecchio tempo. I due fatti coesistono: sofferenza e speranza.
La sofferenza è arrogante, però. Ha piantato bandiera da più tempo e la fa da padrona. Difficile che lasci spazio a qualche nuovo arrivato.
“Dunque. Mi lasci guardare l’agenda, così prendiamo appuntamento per l’operazione.” La dottoressa mi porta nell’altra stanza e si dirige verso la sua scrivania.
Toc toc.
“Sì?” La ragazza con l’alito che sa di menta apre la porta e fa capolino, con la sua vaporosa pettinatura bionda.
“Mi scusi dottoressa, la signora Tira ha appena chiamato. È caduta dalle scale e si è rotta un braccio.”
“Oh poveretta!”
“Sì, poveretta. Non riuscirà a venire per il suo appuntamento di oggi. Glielo tolgo dall’agenda.”
“Aspetta un attimo,” la donna soffice sposta il suo sguardo dolce e profondo su di me, “signor Manna, ho il pomeriggio libero. Se vuole, possiamo anche farla oggi l’operazione. Che ne dice?”
La ragazza con l’alito di menta rimane lì in attesa della mia risposta, come se fosse certa che la questione si sarebbe risolta in un paio di secondi. E forse dovrebbe essere proprio così, visto che ho scelto io di essere lì. Ho già pagato l’acconto, ho fatto le visite, non ho mai manifestato alcun segno di resistenza o di titubanza. Quando avevo chiamato per essere inserito nella lista d’attesa avevo specificatamente chiesto di velocizzare i tempi e di non farmi aspettare troppo.
Tu-tum. Faccio attenzione al ritmo del mio cuore per la prima volta da che quell’organo è nel mio petto, quindi da sempre. Lo sento, ora, lo sento davvero. Batte più forte e con più insistenza, mi sembra pure più pesante del normale: forse ha capito che sta per andarsene. Ma io voglio davvero che se ne vada? È davvero la soluzione giusta? Schermarsi dietro un pezzo di metallo e far finta che il dolore non esista e non sia parte del gioco?
Tu-tum.
“Dico che ci sto. Possiamo farla adesso.” Le parole escono dalla mia bocca prima che io possa fermarle. Quella è la mia mente che agisce per conto suo, a tutela dei suoi interessi e della sua sanità. È la mia mente che mi dice ‘oh, ma che diamine, non ti ricordi di quanto stai soffrendo e di quanto hai sofferto? Finiamola, non fare cavolate’. E io l’ascolto.
La donna soffice annuisce. Potrei giurare di aver visto una sfumatura di delusione attraversarle gli occhi, ma so bene che non è così in realtà: è il mio cuore, che le tenta tutte pur di salvarsi. La dottoressa mi spedisce all’ingresso con la ragazza dall’alito di menta per saldare il mio pagamento. Lei intanto prepara la sala operatoria.
“Tuo cugino, quello di cui mi hai parlato, ha animali?” Chiedo alla ragazza mentre aspetto di essere richiamato per l’operazione.
“Eh?”
“Dico, sai se ha animali domestici? Cani, gatti?”
“Uhm, sì. Ha un coniglio nano. Si chiama Nocciolino, se non ricordo male.”
A Miriam sarebbe piaciuto. “Ok. Sai se Nocciolino sta bene? Voglio dire, lui ha continuato a prendersi cura del coniglio, anche dopo l’operazione, vero? Non è che il cambiamento gli ha fatto perdere la voglia di accudire il suo animale.”
“Non saprei. Nessuno mi ha parlato di conigli morti o altro durante le ultime cene in famiglia, quindi immagino che stia bene.” Prende i miei soldi e mi restituisce uno scontrino, con alcuni documenti da firmare.
“Non diventerai un mostro o roba del genere, se è quello che ti stai chiedendo. Semplicemente, non avrai sentimenti veri. Ma continuerai a fare ciò che facevi anche prima. Se eri abituato a dare da mangiare a un animale, che ne so, continuerai a farlo.”
“Bene.”
Lei si disinteressa a me e io mi disinteresso a lei. Rimaniamo in silenzio fino a che la voce musicale della donna soffice non arriva di nuovo alle mie orecchie.
“È tutto pronto!”
“Bene.” La seguo e mi faccio portare in un’altra stanza, una che non ho mai visto durante gli appuntamenti precedenti. È in fondo a un altro corridoio ed è grande, tutta bianca. Sembra quasi irreale. Al centro, un lettino operatorio circondato da tavolini metallici colmi di coltellini, forbici, pinze e altre diavolerie. Ed eccolo lì, pronto ad aspettarmi: il mio cuore meccanico. Se ne sta tutto solo sopra uno dei tavolini, come se fosse appoggiato a un piedistallo. È dorato, proprio come l’avevo chiesto, ed è grosso, elegante, ben fatto. Ha un aspetto quasi retrò, come se fosse uscito dalla mente di un artigiano orologiaio di altri tempi.
“Le piace?” La dottoressa si accorge del mio sguardo e sorride.
“Molto. Sì, sì. Molto.”
“È nervoso? Andrà tutto bene, sono qui con lei.”
“Sto bene, grazie.”
Seguò con attenzione le istruzioni che mi dà subito dopo; mi spoglio, indosso un camice bianco, mi sdraio e aspetto che arrivi il momento dell’anestesia. La donna soffice intanto prepara gli strumenti e si assicura di avere tutto ciò che le servirà per prendersi il mio cuore di carne e sostituirlo con quel bel pezzo di metallo. Io fisso il soffitto bianco, in attesa.
Tu-tum.
A cosa dovrei pensare? A cosa si pensa di solito, prima di perdere il cuore e di diventare dei perfetti automi senza sentimenti? Avrei dovuto informarmi meglio, forse. Faccio la cosa più banale di tutte e penso a Miriam. Cerco di richiamare alla memoria un momento specifico, non solo un’idea generica di Miriam. Penso a quando mi ha detto ‘ti amo’ per la prima volta. Era Natale, avevamo appena finito di fare l’albero. Avevamo ascoltato musica natalizia commerciale per tutta la mattinata - Feliz Navidad! Feliz Navidad! Feliz Navidad, prospero año y felicidad! - e avevamo riso insieme quando Romeo aveva iniziato a giocare con una delle palline rosse. Che pasticcione. Avevo fatto una tisana calda per entrambi ed ero spuntato dalla porta della cucina per chiederle se volesse anche dei biscotti o se era a posto così.
“Ti amo,” aveva detto.
“Oh!” Non me l’aspettavo. Per poco non avevo fatto cadere le tazze.
“Ti amo,” l’aveva ripetuto, ridendo.
Avevo appoggiato le tazze per terra, stordito e imbambolato, ed ero corso verso di lei.
Tu-tum.
E ora era morta. Non c’era più. Il bianco del soffitto davanti ai miei occhi viene coperto dal volto della donna soffice. Sorride, gentile e accogliente. È bella, lo è davvero. Con un po’ di tempo in più e un po’ di sofferenza addosso in meno, mi potrei anche innamorare di lei e iniziare da zero. Mi piace, e non è una bugia.
“Tutto pronto,” indica con lo sguardo la siringa che stringe nella mano, “mi dica lei quando procedere. Faccia con calma.”
La guardo per qualche secondo, senza dire nulla e senza sbattere le palpebre. Mi godo il suo volto mentre completo nei miei pensieri il ricordo di quella mattina di Natale con Miriam. È un bel momento, tutto sommato. Sento un po’ di piacevolezza scorrere nello stomaco. Quando il ricordo si interrompe, i miei occhi iniziano a seccarsi e il dolore torna a pulsare dentro di me, annuisco.
“Sono pronto.”
Tu-tum.
1 note
·
View note
Text
Memorie di noi
Mi trovò così, seduta sul pavimento e persa in mille e mille pensieri. «Mamma getta via tutto, sono cose vecchie ed inutili!» Mi aveva ripetuto da giorni mio figlio. «Ricordi? Serve lo scaffale dello stanzino per riporvi le scorte ed i rifornimenti che sono nell’armadio fuori al terrazzo. Di questo passo, non ci libereremo mai di quel mobile per fare spazio al dondolo...». Rimandando, mio malgrado, l’operazione ormai da lungo tempo e, finalmente decisa ad accontentare le insistenti richieste, la mia mente aveva divagato, assorbita, pervasa, travolta da infiniti ricordi, remore e tentennamenti. Su un ripiano, dalla scatola dei vecchi cellulari, spuntava in pole position quello che mamma mi aveva regalato in occasione del viaggio di nozze, soprannominato scherzosamente da un’amica “cabina telefonica portatile”. Il dono aveva consentito alla mia mamma di trascorrere un po’ più tranquilla i giorni del mio soggiorno all’estero, fiduciosa di potermi contattare in qualsiasi momento lo desiderasse. Accanto, uno scatolino con un minuscolo Napoleone Bonaparte, una statuina in porcellana, discretamente rifinita, che in passato aveva fatto la sua figura sulla scrivania di mio padre. Non era un oggetto di valore ma, per il mio genitore, comunque un caro ricordo di suo padre, mio nonno. Poco più in là, un cofanetto di velluto rosso a costine con telaio in argento raccoglieva un certo quantitativo di bomboniere, reperti storici eredità di comunioni, cresime, matrimoni o altre occasioni. Ovviamente, costituivano la memoria viva di cerimonie e feste trascorse con parenti, amici o conoscenti. Di cristallo, acciaio, ceramica o di argento, cianfrusaglie in vero, erano anch’esse degne custodi di reminiscenze ed affetti. Dallo scaffale, in alto, sporgeva uno scatolo dai fiori sbiaditi con sopra una scritta: foto. La dicitura, in realtà, ragguagliava poco sul contenuto e, sicuramente, non lasciava prevedere l’immensa ricchezza che conteneva. Al suo interno, accuratamente raggruppate e rilegate con spaghi, vi erano fotografie dell’epoca passata. Nonni, bisnonni, trisavoli, zii, cugini e parenti d’oltralpe rivelavano, con i loro abiti, le acconciature, le case e le suppellettili d’epoca un mondo antico, certamente più semplice e meno pretenzioso dell’attuale. Per le strade, vuote ed attraversate solo da qualche nobile carrozza, da autovetture di bassa cilindrata o da qualche più povero mezzo di locomozione o carretto trainato da bestie stanche e malandate, la vita appariva calma e assai diversa da quella caotica e logorante delle odierne vie cittadine, investite da traffico e spesso assordanti rumori. Non mi sarebbe dispiaciuto appartenere a quei tempi lontani. A destra, sul terzo ripiano dello scaffale erano visibili alcune copie, le ultime dieci, del mio primo romanzo. La mia aspirazione a diventare una scrittrice di successo era rimasta sospesa, come una frase conclusa con puntini sospensivi. La voglia era stata forte, anche la dedizione, ma era mancata l’occasione e , forse, anche una manciata di buona fortuna, che in questi casi è di grande aiuto. In fondo, però, la speranza è l’ultima a morire, ci si ripete per consolazione. Un contenitore di metallo, un po’ arrugginito, conteneva un bel groviglio di chiavi; grandi e piccole, di ferro e di ottone, antiche e moderne. Di varia grandezza, dalla più piccola di appena un paio di centimetri, forse destinata ad aprire un lucchetto, alla più grande probabile strumento per sbloccare un vecchio cancello e, poi, quelle di normale amministrazione, che un tempo aprivano porte di casa e portoni, ben diverse dalle tipologie che oggi sono predisposte non tanto per far accedere i proprietari quanto, soprattutto, per scongiurare l’accesso ad estranei indesiderati. Su un altro ripiano, più in basso, uno scatolone era pieno di oggetti ed oggettini vari. Soprammobili? Piccole sfere, parallelepipedi, cubi, piramidi, eccetera; minuscoli solidi di onice e di alabastro, graziose cianfrusaglie lisce al tatto, parti di un gioco da tavolo che eravamo soliti fare in famiglia, la mia di origine; quando, tanti anni fa, ci riunivamo piacevolmente dedicando del tempo, molto prezioso, ad incontri di svago e di reciprocità. Molto in alto, sull’ultimo ripiano ritrovai i fatidici trenini di mio padre: locomotive d’epoca, locomotori, carrozze passeggeri, vagoni cisterna benzina, carri bestiame e così via, rigorosamente alloggiati nei loro scatolini. E poi, ancora, binari dritti e a curva, curve a gomito, scambi, ponti, gallerie, stazioni: quanti ricordi! Percorsi tortuosi e, ogni volta diversi, venivano predisposti da mio padre e mio fratello su un tavolo o sul pavimento, quando insieme si divertivano ad inventare nuovi scenari per far sfrecciare veloce il mezzo di locomozione approntato; verosimile scusa per trascorrere gioiosi momenti, ritagliati tra gli impegni, e sorridere e ridere anche come bambini. Per terra, più in là, avevo intravisto una cassetta di legno. Sempre più curiosa, vi avevo guardato dentro. Dai! La cassa conteneva seghe, seghetti, trapani, squadrette, saldatori, piccoli torni, scatoline di stagno e grandi quantità di pinze, giraviti, viti, chiodi e bulloni. Con essi il mio papà si era spesso improvvisato elettricista, falegname, fabbro, miniaturista, ecc. per hobby o per necessità, qualora qualche piccolo disagio domestico o richiesta di noi figli l’avessero richiesto. Testimonianze, legami con un passato antico o recente. Quanti oggetti, quante cose! Inutili certo, ma utili per ricordare.... Pregnanti di memorie, pulsanti di vita. Come liberarmene? Perché liberarmene? In fondo, chi può dire cosa è inutile e cosa è utile per un’altra persona? Risvegliata quasi dal torpore nel quale ero scivolata, e richiamata alla realtà dalle parole di mio figlio, mi sentii dapprima smarrita, poi confusa, imbarazzata e, infine, non giustamente costernata. «Mamma, non hai gettato via ancora niente!». Mi apostrofò, cercando probabilmente di incutere in me moti di pentimento o addirittura di vergogna. Neanche il tempo di rispondere alle invettive, e si udì la voce di mio marito che ci chiamava a rapporto. «Venite, sono arrivate le pizze!”». E poi ancora «Presto, o si raffreddano!». Approfittando dell’impellenza che l’occasione richiedeva, mi alzai dal pavimento, un po’ anchilosata perché alloggiata lì da qualche ora; guardai mio figlio, aveva il viso corrucciato e deluso. A disagio, ma non troppo, mormorai, proferii, sciorinai una piccola bugia: «Mi dispiace, ti prometto che lo farò domani». Foto concessa da Laurentia Mannelli per Cinque Colonne Magazine Read the full article
0 notes
Text
N.E. 01/2023 - "Un fiammifero nel buio" di Giuseppe Napolitano
Non va in pensione (il poeta) ma nemmeno in ferie – lavora ostinato al suo compito: dare luce (un fiammifero nel buio!) a chi non sa come godere dei giorni il bene delle ore che nell’ombra indifferente svaniscono perdute Artigiano paziente si accontenta di oggettini che sappiano stupire lo sguardo pigro di chi vive l’abitudine e incontentabile vorrebbe nuovi giochi A quale prezzo e…
View On WordPress
0 notes
Text
Una nuova playlist sul mio canale yotube
Ho creato una nuova playlist sul canale dedicata alle attrezzature e agli accessori per videomaking e con questo video unboxing ho anticipato un pò di oggetti che vi farò vedere prossimamente! Come promesso nel Vlog post natalizio, ecco il primo episodio della playlist dedicata alle attrezzature con cui giro i miei video ma anche a tutti quegli oggettini da nerd, utili a migliorare le esperienze…
youtube
View On WordPress
0 notes
Text
Sapete, sono addivenuto ad una risoluzione drastica, draconiana, manichea:
non apporre più il rituale "mi piace" alle fotografie - anche quelle che m'aggradano assai - dell'eccellente Roberto Besana, quando corredate dalla dicitura - un vero e proprio leit motiv in Roberto - "con il cane e lo smartphone".
Bene, benissimo per il cane.
Male, malissimo per lo smartphone.
D'altronde s'ha da agire "ne dehonestaretur", come direbbe Tacito.
Od esclamare "o tempora, o mores!" con Cicerone.
Solo che lo strale non è scagliato verso Verre o Catilina.
Verso il summentovato smartphone, e piuttosto.
Ma siamo in una frase di transizione.
In "non senza fedora" m'occupavo di gloriose ed ingombranti grandi formato a pellicola impiegate per la fotografia di strada.
No, non più quelle.
Ma no, non ancora smartphone.
Sapete, una volta vi erano fotografi che non solo erano organici a redazioni giornalistiche, ma avevano la stessa attrezzatura pagata dal giornale.
Magari contrattualmente inquadrati come operai, ma con l'Imperiturità dell'Aulico Tempo Indeterminato.
Oggidì, talvolta i giornalisti li mandano fuori da soli.
Senza fotografo, eccioè.
Ecco allora la funzione del sì appellato smartphone:
darlo a loro.
Che spendano pure più di mille euro, o contrattino l'oggetto in guisa di fringe benefit.
Certo, dovranno sopportare in tasca quegli oggettini con la fastidiosa gobbetta (tre o quattro obiettivi moderatamente sporgenti, sulla falsariga delle vecchie cineprese a torretta), ma poi il dispositivo li affrancherà da ogni preoccupazione.
Non sapranno neanche quando la macchina cambia obiettivo, loro.
Basterà fare un gesto, a loro.
Nè sapranno se il mutare della focale sarà da imputare al succitato cambio, o se invece si tratterà di un intervento digitale.
Epperò così "porteranno a casa il risultato", loro.
Brutale espressione per brutale operazione, la loro.
Anche più di qualcuno, già lo fa.
Il caporedattore non protesta, anzi li ha mandati lui, loro.
Ma che non dicono "mi manda la BBC", loro.
Perché esistono ancora sacrari, baluardi di civiltà quando mala tempora currunt.
All rights reserved
Claudio Trezzani
0 notes
Text
Viterbo, 19 Febbraio 2023 - Domenica
Ali, you thirsty on Twitter
Ci siamo.
Non vedo l'ora.
Servirebbe un piccolo recap in realtà.
Ci sono posti dove non sto più andando, come per scandire il mio saluto.
Al Bistrot del Teatro, il primo giorno era qualche giorno prima dell'esame di semantica e pragmatica quindi diciamo seconda metà di Settembre e la seconda metà di Febbraio quella in cui con un cappuccino, li ho salutati.
Gelateria Gelart, che mi ha fatto capire che il gelato è buono se lo sai fare e non devi per forza andare da Bonocore a Capri. Preso un Tre meraviglie cono piccolo con doppia panna come mamma mi insegna.
Adieau anche al pizzicarolo sotto casa che è una vita che mi guarda male che pago con la carta, ma dal quale sono riuscita ad assaggiare la mozzarella di Cioffi, stra buona davvero.
Molto probabilmente è stato un saluto anche quello dato ieri al Pokeriño dove quelle tipe non si sa perché mi mandano bad vibes, ma forse hanno solo i cazzi loro.
E sicuramente anche all'Ipercoop, che mi ha vista piangere forte.
Un ultimo saluto in realtà anche al B-Side, che mi ha conosciuta coi capelli+sopracciglia decolorati a caso da sola, fatto in quel Giovedì in cui mi avevano passata a determinato e lì ero davvero sola.
Sono state dolcissime, lo sono state davvero tanto.
Anche la Yogurteria ed il bar Marconi anche se per puro caso è un adieau.
Saluto coperte, cuscini e lenzuola che lascerò qui.
Saluto tutti i piccoli oggettini che regalo a questa casa che mi ha dato tantissimo.
Questo piccolo grande luogo con un'energia enorme mi ha dato tantissimo per davvero.
Mi ha fatta stare bene quando tutto intorno a me non stava andando bene, mi ha fatta respirare quando non ero più capace a respirare.
Mi ha vista fare e disfare valigie, ha visto persone e cose nuove.
Ho dormito e litigato con persone conosciute qui, mi ha sentita piangere e gridare, mi ha sentita ridere, mi ha vista in videochiamata, scrivere, studiare, pensare, piangere soprattutto.
Ha ascoltato la mia musica.
E i miei monologhi.
E ci sono cose mai andate in porto come le sedie o il mobile della sala da pranzo.
Soprattutto mi ha vista fare le unghie hahahahahhaha
E ricevere pacchi Amazon.
Ed iniziare serie tv e psicofarmaci.
Probabilmente altri posti dove non andrò più saranno Il Monastero, 13Gradi, La Cantina dei Papi, Il Labirinto, via dell'Industria, Omu Sushi, Grandori di p.zza della Rocca.
Ci sono posti che mi hanno dato già.
L'Università.
Il 77, che ha toccato il suo fondo ormai (ahimé).
Persone che toglierò dai followers as soon as me ne vado via da sto posto.
Mi ha dato proprio tanto sta Viterbo.
E l'ho odiata come poche cose nella mia vita, ma tanto come sempre, i tempi tecnici li immagini solo a show pronto.
A parte che deve venirmi il ciclo e mi son sparata due EllaOne a differenza di forse 10gg l'una dall'altra pertanto a sto punto non escludo nemmeno che salti e vabbè, la percentuale è davvero bassissima insomma vabbè questo è quanto.
Mi piace un sacco A. e mi fa ridere che anche lui si chiami A. ed è il quarto e boh che dire.
0 notes
Photo
Delizioso Segnaposto Pasquale a forma di Coniglietto Personalizzabile con Cartellino in Legno con nome inciso. Crea un’atmosfera pasquale sulla tua tavola: con questi fantastici oggettini ognuno riuscirà a trovare il suo posto e la tua tavola sarà più gioiosa che mai! 🐰🐣 • • For order: 📲 whatsapp +39 3206139569 📩 [email protected] ✈️ worldwide shipping 🛒 10% sconto newsletter • • #portiamolapuglianelmondo #lafavolaincantata #WeAreinPuglia #fattoamano #bombonierefood #handmade #pugliafactory #madeinitaly #tuttofattoamano #artigianato #bonsaiulivo #creazioniartigianali #artigianatoitaliano #fattoamanoconamore #fattoconilcuore #foodbomboniere #visitpuglia #instacreazioni #instacreazioniartigianali #viamagazine #italianstories #segnapostioriginali #creazionihandmade #wellmade #segnapostipersonalizzati #blogger #creazionipersonalizzate #bomboniere #segnaposto #maestroartigiano — view on Instagram https://ift.tt/StCGsI2
0 notes
Text
voglio solo dipingere e creare oggettini (e poi dipingerli)😭
7 notes
·
View notes
Photo
Segui la nostra pagina @i_noleggi_di_sfumaturedicipria per scoprire i #props e gli #oggettini particolari che selezioniamo per voi ed i vostri allestimenti ♥️ (presso SFUMATUREDICIPRIA) https://www.instagram.com/p/CPaSCUMsK-8/?utm_medium=tumblr
0 notes
Text
Domenica
#relax post lavoro#again#fotografie#domenica#cose di oggi#si colleziono bustine e oggettini dei posti in cui vado#facce assonnate
12 notes
·
View notes
Text
Svegliarsi in due, con i corpi che si cercano, mani che si intrecciano e labbra che si sfiorano. Fare colazione lentamente, senza fretta che tanto il mondo fuori aspetta. Passare la domenica in giro, con calma. In qualche mercatino delle pulci a comprare oggettini vari per la casa, in qualche località nuova persa nel verde, nei miei boschi o al mare. Stare insieme e stare bene.
28 notes
·
View notes
Text
Cute, messy studio!🧸
Sono usciti i nuovi kit di The Sims 4 e sapevo che mi sarebbero piaciuti, ma non così tanto! Soprattutto quello degli oggettini quotidiani è super utile e versatile, mai più senza!
10 notes
·
View notes