#PER FORTUNA HO DECISO DI CONTROLLARE
Explore tagged Tumblr posts
omarfor-orchestra · 12 days ago
Text
Tumblr media Tumblr media
UNA GIOIA IN QUESTA GIORNATA DI MERDA
3 notes · View notes
mendaciaethumanitate · 1 year ago
Text
Ultimamente tante cose sono cambiate.
Da sei mesi ho cambiato lavoro.
Da sei mesi sto insieme ad un ragazzo che amo.
Da poco più di sei mesi ho riscoperto l'amore.
Da sei mesi mi sento soddisfatta del mio lavoro e di ciò che faccio.
Da poco più di sei mesi ho cambiato un po' il mio stile di vita.
Da poco più di sei mesi faccio fatica a controllare e conciliare gli impegni.
Da sei mesi ho rifatto e rifatto e rifatto ancora L'AMORE.
Da quasi sei mesi amo qualcuno.
Da quasi sei mesi qualcuno mi ama. Per davvero. Così sembra.
Da sei mesi amo ciò che faccio. Amo il mio lavoro.
Da sei mesi ho incontrato nuove persone. E voglio bene a persone nuove.
In sei mesi ho imparato tantissime cose nuove.
Da sei mesi a questa parte ho molta voglia di prendermi cura di me stessa.
Da sei mesi a questa parte mi amo molto più di prima.
Da sei mesi ho iniziato tante cose nuove.
Da sei mesi a questa parte ho smesso di pensare di togliermi la v***.
Da sei mesi a questa parte sorrido e non lo faccio più per finta.
Da sei mesi a questa parte ho pianto e l'ho fatto senza sentirmi un peso.
Da sei mesi a questa parte piango molto meno.
Da sei mesi a questa parte parlo molto di più. Mi espirmo. Non ho paura di essere giudicata.
Da sei mesi a questa parte, mi sento amata. Non mi sento più così sbagliata.
Da sei mesi a questa parte la mia rabbia si fa sentire molto meno.
Da sei mesi a questa parte accetto ogni parte di me. Bella e brutta che sia.
Da sei poco più di sei mesi ho imparato che so amare ancora.
Da poco più di sei mesi ho imparato ad amare di nuovo.
Da meno di sei mesi ho imparato a stare in una relazione stabile fatta di due adulti che si amano, si accettano e sono limpidi l'uno con l'altra.
Da sei mesi ho deciso che tutto ciò che avrei fatto l'avrei fatto solo se volevo farlo.
Da sei mesi ho imparato a parlare. Ma a parlare veramente, di ciò che penso e ciò che sono, fregandomene.
Da meno di sei mesi ho preso una posizione lavorativa per riacquisire i miei diritti.
Da meno di sei mesi ho il foglio rosa.
Da meno di sei mesi sto facendo delle guide.
Da meno di sei mesi, lavorando come soccorritrice ho fatto un servizio con un incidente stradale brutto. Una ragazza molto giovane. Più giovane di me. L'ho gestito. È andata bene.
Dopo meno meno meno tempo ancora, ho saputo che lei non ce l'ha fatta. Dó tutto il mio supporto a quella famiglia e agli amici.
Dopo poco che ho saputo ho pianto. L'ho pensata. La rivedo nei miei pensieri, attraverso i miei occhi.
Dopo l'ho salutata e ho ringraziato Dio per il lavoro che faccio, che amo fare e che voglio fare per il resto della mia vita.
Dopo ci riprenserò.
Dopo so che rimarrà nella mia testa e non passerà.
Dopo l'ho affrontato.
Dopo tornerà e passerà di nuovo.
Dopo.
Dopo.
Dopo.
Dopo.
Dopo per fortuna c'è ancora dopo.
0 notes
zarfel · 1 year ago
Text
Changes
Sistemai il cappuccio del mantello per nascondere meglio il volto alla vista dei passanti. L'ultima cosa di cui avevo bisogno era qualche altro stalker pazzo. Mi guardai un'ultima volta alle spalle per controllare di essere riuscito a seminare quel mezzo maniaco che mi aveva seguito fuori dal negozio di pozioni, e per fortuna non mi sembrò di individuarlo tra la folla. Girandomi tuttavia andai addosso a qualcuno, e barcollai leggermente all'indietro mentre una mano si appoggiò al mio braccio per sorreggermi.
"Hey, guarda dove vai." Esclamò quello a cui ero andato addosso, mentre mi paralizzavo sul posto nel sentire quella voce. Perché? Perché? Tra tutta la gente di Hogsmeade proprio Derfel Cadarn? Un'ondata di risentimento sorse spontanea dentro di me e cercai di contenerla, a stento. Abbassai lo sguardo a terra e borbottai una mezza scusa, concentrandomi per frenare i miei poteri, rendendomi conto che stavo tuttavia fallendo miseramente.
"Un attimo. Mi sembra di conoscerti." E infatti il tono, che poco prima aveva una lieve inflessione infastidita, si era fatto meno aspro. Alzai un istante gli occhi su Derfel e il suo sguardo si soffermò sul mio viso, per poi scendere sul mio corpo, mentre la mano indugiava ancora sul mio braccio. "Ma penso che mi ricorderei di una carina come te." Mormorò con un mezzo sorriso e un tono che cercava di essere accattivante.
Abbassai velocemente lo sguardo a terra e presi un respiro profondo. Il cervello mi diceva di andarmene subito, ma la parte irrazionale di me prese il sopravvento, e alzai gli occhi su Derfel, fissandolo con una smorfia indispettita. "Sei serio? Mi stai davvero dicendo che non sai chi sono? Che non ti ricordi?" Sbottai infine con genuina sorpresa e con un po' di orgoglio ferito. Mi sembrava di essere abbastanza memorabile, in versione femminile, ed era quasi offensivo che Derfel non si ricordasse. Anche se, a pensarci bene, il vecchio Derfel non si sarebbe nemmeno sognato di darmi una seconda occhiata, e quella volta avevo dovuto praticamente trascinarlo nello sgabuzzino. Insomma, bisognava ammettere che c'era stato un deciso miglioramento rispetto all'anno prima. Derfel aprì la bocca per parlare, poi la richiuse. Sembrava preso in contropiede dalla situazione e lessi nel suo sguardo una lieve traccia di panico.
"Allora aspetta che ti rinfreschi la memoria." Con un gesto rapido mi abbassai il cappuccio e scossi i capelli. Sbattei le palpebre e lo fissai negli occhi. "L'anno scorso. Hogwarts. Lo sgabuzzino del piano terra? Ti dice nulla?"
Derfel staccò immediatamente la mano dal mio braccio, come se avesse preso la scossa, e barcollò all'indietro. "Bosch? Sei..." balbettò sconvolto, "sei davvero tu?" 
"Un'altra vittima della pozione misteriosa." Dissi roteando gli occhi e mettendo molta enfasi sull'ultima parola. Nevenka me l'avrebbe pagata cara.
Derfel si guardò attorno a disagio."Ti prego non dire a Rosaleen-" 
"Cos'è che non devo dire?" Lo interruppi in tono mellifluo inclinando la testa e sorridendo appena. 
Derfel mi guardò spaesato, spostando poi lo sguardo a destra e sinistra come a chiedere aiuto ad un'entità misteriosa, che a mio parere se la stava ridendo senza ritegno. "No. Niente. Dimentica l'ultima frase."
"Noto che dall'anno scorso abbiamo fatto progressi." Ridacchiai e lo squadrai da capo a piedi. "Allora non mi ero sbagliato. Ci stavi davvero provando con me." 
"Non ho detto niente di tutto ciò." Asserì lui imbronciandosi.
"Una come me, con te non ci sta nemmeno nei tuoi sogni erotici più ardenti." Scherzai inarcando un sopracciglio. "E a Rosaleen dirò tutto, per solidarietà femminile." Aggiunsi indispettito. Me ne sarei dovuto andare immediatamente, e razionalmente non capivo perche' continuavo a provocarlo e provavo un sadico piacere a pungolarlo. O forse sapevo il motivo, ero solo restio ad ammetterlo.
"Ma quale solidarietà femminile, se non sei nemmeno femmina!" Ribatté Derfel ormai visibilmente alterato. "Cioè, non per davvero-davvero." Aggiunse poi in tono impacciato.
"Ah! Non ci credi, vuoi controllare bene?" Dissi scostando il mantello e mettendomi una mano sul fianco. "Se vuoi conosco un vicolo di fianco a un pub dove non passa mai-"
"Finalmente ti ho ritrovata, bellezza." Un braccio mi cinse la vita, mentre un odore di erba pipa, fire whisky e sudore mi arrivò come uno schiaffo alle narici. Splendido, ci mancava solo il maniaco del negozio di pozioni. Feci per spostarmi, ma il braccio dell'uomo si avvolse più saldamente al mio corpo.
Presi un profondo respiro e con la mano andai ad afferrare la bacchetta sotto al mantello. "Te  l'ho già detto. Non. Mi. Interessa. Lasciami andare e vattene." Scandii con irritazione. Tuttavia non feci nemmeno in tempo ad estrarre la mia bacchetta, perché Derfel puntò la sua sullo sterno dell'uomo e lo guardò con aria minacciosa.
"La ragazza ti ha già detto di smetterla." Disse Derfel in tono deciso. "Forza, vattene." 
L'altro lo squadrò da capo a piedi. "Chi ti credi di essere? Sei solo uno studentello," l'uomo rise fragorosamente. "Cosa fai, mi uccidi con un Lumos?" 
"Sono un amico che si preoccupa per lei." Sibilò Derfel indicando me con un cenno della testa, ma continuando a tenere lo sguardo e la bacchetta puntati sull'uomo. "Ora, fai una cosa saggia e lasciala andare, prima che le cose si mettano male per te. Conosco più di qualche incantesimo letale."
L'uomo sputò a terra e mollò la presa, spingendomi via con irritazione. "E allora tienitela se ci tieni così tanto a questa troia." Derfel mi afferrò per un braccio e mi tirò verso di lui, mentre continuava a fissare l'uomo che si allontanò barcollando. Mi lasciai prendere da Derfel docilmente, continuandolo a fissare a bocca aperta. Mi sarei dovuto sentire profondamente incazzato con il tipo che era appena andato via, ma l'unica cosa che riuscivo a fare era guardare Derfel in adorazione. Sicuramente era colpa di tutti quegli ormoni sballati, no? Mi chiesi se in una situazione normale sarebbe andata così; sarebbe venuto in mio soccorso se fossi stato il vero Zach? Ma soprattutto, perché guardando Derfel adesso mi sentivo le farfalle nello stomaco? 
"Ok scusa se sono intervenuto. Non sono riuscito a non reagire." Disse Derfel in tono nervoso, riportandomi a terra dalla nuvoletta su cui stavo galleggiando, quando il maniaco fu abbastanza lontano. Mi appoggiò una mano sulla schiena e mi guidò lungo il marciapiede verso una zona di Hogsmeade più frequentata. "Lo so che saresti stato capace di difenderti e—"
"Perché ti scusi?" Lo interruppi bruscamente, fermandomi in mezzo al marciapiede.
"Perché sei Bosch," esclamò Derfel sorpreso fermandosi a sua volta, "sai arrangiarti da solo? E mi detesti?"
"Merda Derfel, no che non ti detesto e..." Esitai, cercando di trovare le parole, mentre provavo a ignorare la sensazione della sua mano sulla mia schiena. "sarei stato capace di difendermi da solo, ma... Lasciamo perdere, va bene? E grazie. Grazie per avermi difeso." 
"Ok quindi tutto a posto?" Annuii. "E non lo dici a Rosaleen?"
"Dire cosa, esattamente?" Chiesi lievemente costernato. Alla fine non era successo assolutamente nulla, Derfel mi aveva solo aiutato, come si supponeva si comportasse un qualsiasi essere umano decente. L'unica cosa che non capivo era perché il mio cuore avesse fatto una capriola quando Derfel mi aveva chiesto se era tutto a posto. 
Derfel fece un gesto vago con la mano, io roteai gli occhi. "Tranquillo non le dico niente." Sospirai. "E poi dormirò nella stanza di Rosaleen questa notte, non voglio rischiare la morte."mi strinsi nelle spalle, "magari diventiamo migliori amiche, quasi quasi le chiedo se mi presta un reggiseno. Queste cose sono pesanti." Aggiunsi abbassando lo sguardo sul mio petto.
"Non credo che abbiate la stessa taglia." Commentò Derfel di getto con aria concentrata, fissando lo sguardo sul mio décolleté.
Lo guardai basito per qualche secondo, non sapendo bene come reagire, e decisi infine che era meglio scherzarci sopra. "Derfel sono scioccato!" Declamai con enfasi coprendomi con il mantello e guardandolo con aria scandalizzata. "Hai già preso le misure, dunque?" Continuai in tono più leggero.
"Fai finta che non abbia detto niente." Borbottò il ragazzo diventando paonazzo.
"Va bene. Facciamo finta che tu non mi abbia guardato le tette e calcolato circonferenza, volume e traiettoria." Poi mi feci serio e sospirai, "suppongo che tu non possa accompagnarmi al castello. Mi sentirei più tranquillo." Dissi guardandomi attorno a disagio.
"Mi dispiace Zach, ho un appuntamento–" disse Derfel in tono lievemente contrito. O forse stavo immaginando io che fosse contrito, che gli dispiacesse non potermi riaccompagnare.
"Con Rosaleen," terminai per lui alzando gli occhi al cielo. "Non ti preoccupare. Chiedo ad Eric, almeno sono sicuro che non ci prova."
0 notes
giulia-liddell · 4 years ago
Text
Tra le sedie vuote
Parole: 1426 No beta, we die like men (rega non ho manco controllato eventuali errori) Fandom: Sanremo RPF Ship: Amadello  Avvertimenti: Nessuno?, Fluff, Anxiety maybe, nah it’s fine guys Note: AH AH AH AH AH STO BENE. SONO QUI. CIAO A TUTTI. I’M BACK ON MY BULLSHIT! Ringrazio @che-cazzo-ridi per aver ispirato parzialmente questa idiozia...
Il suo sguardo si perde per un momento in un punto indefinito del pavimento, distratto forse dal riflesso delle luci o da un piccolo graffio. C’è una strana energia che gli passa attraverso il petto e lo spaventa. Una piccola esultanza ed un applauso contenuto dell’orchestra lo fanno tornare alla realtà. Le ultime prove generali sono finite. Amedeo passa nervosamente le mani sui braccioli della poltrona vuota che ha occupato per riposarsi un po’ le gambe. La sensazione sotto i suoi polpastrelli lo aiuta a concentrarsi di nuovo e ricordarsi dove si trova. Abbozza un sorriso ed applaude l’orchestra, complimentando tutti per il loro duro lavoro. Gli artisti, già molto stanchi, si ritirano per riposare quelle poche ore prima dell’inizio della grande serata. Ma Amedeo non riesce a muoversi. Resta fermo sulla poltrona ed osserva palco vuoto, la scenografia spenta, la platea silenziosa, mentre quell’energia nel suo petto diventa più forte. Sente per un momento il bisogno di piangere, ma rimane completamente composto.
Rosario bussa al camerino accanto al suo, senza ottenere alcuna risposta. Teme che Amedeo sia così stanco da essersi addormentato sulla specchiera. Bussa ancora e prova ad attendere un altro po’, ma esaurisce la pazienza in fretta e decide di aprire direttamente la porta. Il camerino è vuoto. E così in ordine da sembrare che non sia nemmeno stato utilizzato. Magari Ama è andato a controllare per l’ultima volta che tutto sia a posto dietro le quinte? Rosario si mette alla ricerca del suo co-conduttore, fermando tutte i tecnici che incontra per sapere se hanno visto Amadeus. Quasi tutti scuotono la testa, gli altri gli forniscono indicazioni vaghe su dove l’anno visto diverse ore fa. Nonostante i suoi migliori sforzi di rimanere in controllo di sé, Rosario comincia a preoccuparsi. E se fosse successo qualcosa? E se Ama fosse sparito? Stavolta invece di un cantante, si perdono direttamente il conduttore? O magari ha combinato qualche guaio e si è fatto arrestare? Se Orietta Berti può avere una doppia vita da criminale, anche Amadeus può in fondo… Il suo vagare spinto dalla crescente agitazione lo porta inevitabilmente alla platea. La sua intenzione era di controllare se ci fosse ancora qualcuno nell’angolo di Radio 2 per chiedere se avevano notizie di Amadeus… E invece il posto sembra completamente vuoto. Fatta eccezione per il conduttore, seduto a guardare il palco su una delle poltrone in mezzo alla platea.
Amedeo sente la voce di Rosario che lo chiama piano dalle sue spalle e si volta un momento nella sua direzione, senza accennare ad alzarsi. «Oh, ciao Ciuri, pensavo fossi tornato in albergo a riposare.» commenta laconico mentre lo showman si ferma in piedi davanti a lui. «Mi scantai! Non ti trovavo da nessuna parte! Ho anche cercato nell’attrezzeria, sai pensando che magari avessi deciso di diventare il novello Bugo di questa edizione… Impresa difficile dato che Bugo è tra i concorrenti…» protesta Rosario con fare offeso e l’altro si limita a mormorare una scusa, il suo tono improvvisamente calato. A quel punto la preoccupazione per la breve scomparsa lascia il posto alla preoccupazione per la perdita della solita carica e grinta. «Ama… Mi aspettavo di vederti pronto a correre una maratona… Che è successo? Sembri quasi… Spento… Hai dormito male per caso?» si ferma a chiedere, mentre il conduttore lo guarda con un’aria sconsolata. A quel punto Rosario decide di sedersi accanto a lui per poter parlare meglio «Dai Ama, sai che non hai motivo di nascondermi nulla. Siamo una squadra. Una grande squadra.» prova ad incoraggiarlo. Amedeo sospira e sposta ancora una volta il suo sguardo verso la scenografia spenta «Temo che, come si dice in Sicilia… Vada tutto a schifìo…» ammette sottovoce prima di voltarsi verso l’uomo al suo fianco. Rosario osserva un momento la sua espressione, aspettandosi che Amedeo riveli dove si trova la battuta ed infine si mette a ridere «Serio sei?» esclama prima di ricomporsi «Ama non puoi essere serio! Come può andare tutto a schifìo, ah? Sei stato il conduttore del miglior Festival di almeno gli ultimi dieci anni!» ribatte continuando a sorridere, ma Amedeo non sembra per niente convinto. «È proprio questo il problema Ciuri… Abbiamo avuto tanta fortuna lo scorso anno e… C’era un ambiente molto diverso… In cui perfino dei concorrenti squalificati non sono stati un grande problema… E tutte le mie gaffe… Ma quest’anno… Quest’anno è tutto diverso… La gente si aspetta qualcosa. Abbiamo un pubblico con delle aspettative capisci? Aspettative molto più alte di quelle che aveva l’anno scorso e… E poi questo è “il festival della rinascita”! Il programma che non solo dovrebbe essere spettacolare, ma dovrebbe anche essere lo spiraglio di normalità per tutto il paese… E io… Io sono stato fortunato l’anno scorso… Ma quest’anno…» Amedeo si interrompe un momento per guardare ancora intorno a sé «Voglio dire guarda il teatro… Questo dovrebbe essere l’aspetto che ha per le prove, ma sappiamo che stasera sarà ancora così… Niente pubblico, niente maschere… Nessuno. Non è un gran “Festival della rinascita”.» il conduttore finisce di parlare e lancia un’occhiata carica di vergogna a Fiorello, come se si sentisse personalmente responsabile di tutti i problemi che hanno portato a quel punto e di tutti i problemi che potrebbero sorgere durante il festival.
Rosario prende le sue mani e lascia un piccolo bacio sulle sue nocche. «Ama…» sospira «Sei proprio incredibile, lo sai?» si fa sfuggire un risatina «Allora io mi guardo intorno e sai cosa vedo? Vedo un teatro bellissimo, in cui tra poche ore comincerà il Festival più importante d’Italia e un bravissimo e bellissimo conduttore che farà certamente faville su quel palco. Non ho alcun dubbio. E sai perché? È già incredibile che ci troviamo qui! Insomma perfino La Scala non poteva mettere in piedi spettacoli, nemmeno in streaming, fino a poco tempo fa… E noi siamo riusciti a mettere in piedi un festival di cinque giorni? Meraviglioso! Non abbiamo il pubblico? Colpa dei protocolli di settanta pagine e delle lobby farmaceutiche e etero, non certo tua! Anzi, tu hai provato ad insistere per avere il pubblico, no? E questo la gente lo sa! E che razza di discorsi sono quelli sulle aspettative? Nessuno ha aspettative per Sanremo! Forse solo Coletta… Ma la sua fetta di share l’avrà per forza dato che non danno mai niente di bello in televisione quando c’è Sanremo… Insomma potrebbe finire a schifìo soltanto se per magia ci fosse un blackout nazionale per una settimana! E a quel punto comunque Sanremo sarebbe l’ultimo dei problemi…» Rosario si ferma soltanto quando Amadeus sta ridendo tanto da non riuscire quasi a respirare. «Va bene, va bene Ciuri…» si sforza di dire mentre prende fiato «Ma devo chiederti una cosa…» aggiunge notando che lo showman si mette immediatamente sull’attenti «Le lobby farmaceutiche le capisco… Ma le lobby etero? Davvero Ciuri? Le lobby etero?» chiede Amedeo prima di scoppiare ancora a ridere «Certo Ama! Le maledette lobby etero! Le lobby etero rovinano tutto! chi credi che selezioni i componenti della giuria demoscopica? Loro! Gli etero!» Fiorello è così soddisfatto di aver fatto ridere ancora Amadeus che scoppia a ridere pure lui.
Dopo alcuni minuti riescono a riprendere fiato e Amedeo si volta verso il palco, adesso sorridendo «Sai dovresti farci una battuta… Sulle lobby etero… Sarà divertente.» propone con tono più sereno, ma la sua espressione si spegne di nuovo per un momento «Credi davvero che ne sarò capace? Condurre senza un pubblico…» mormora abbassando la testa. «Certo che sei di coccio, Ama! Ne sarai capace! Tutte le puntate dei Soliti Ignoti senza pubblico le hai fatte! Farai anche questo e lo farai benissimo… E poi… Ci sarò anche io, sarà ancora meglio. Abbiamo un teatro tutto per noi! Possiamo fare quello che ci pare! Chi ci può giudicare? Le sedie? Sono un pubblico molto tollerante, sai. Accettano qualsiasi cosa. Mica come le lobby etero…» Fiorello sembra abbastanza convinto del suo discorso da far ridere Amadeus ancora una volta. Il conduttore appena si calma scatta in piedi ed offre la mano al suo Ciuri per farlo alzare «Allora andiamo a prepararci. Tra poche ore dobbiamo esibirci per il nostro bellissimo pubblico vellutato. Sono sedie molto tolleranti, ma comunque si meritano due conduttori in forma, non credi?» scherza Ama con un gran sorriso. «Oh credimi, vedranno un bello spettacolo. Ho tante sorprese in mente.» dichiara con fare malizioso Rosario. Con un rapido movimento prende Amadeus per la vita e lo stringe a sé, dandogli un dolce bacio sulle labbra «Faremo un festival che le lobby etero non potranno distruggere.» sussurra sulle sue labbra sorridendo.
35 notes · View notes
enrilandi · 4 years ago
Text
Tumblr media
Oggi ho letto una riflessione interessante e ci tenevo a riportarla, per poi dire la mia.
"L'unica squadra che ha bisogno di vincere un trofeo è la prima squadra. Le giovanili non hanno bisogno di vincere, hanno solo bisogno di rendere i loro giocatori migliori. Prima dei 14 anni è solo abilità ludica e sviluppo delle attitudini. Saper controllare la palla, passarla, il senso della posizione. Poi c'è ovviamente il lato mentale, emotivo. Alla fine non abbiamo solo un giocatore completo, ma una persona che sa gestire il suo rapporto con gli altri, il che significa qualcosa nel mondo."
Questo commento mi ha colpito perché ho fatto sport per tanti anni, tra elementari e medie. Pallavolo, nello specifico. Alle elementari erano allenamenti, le "partite" se così vogliamo chiamarle erano dei raduni di varie squadre che si sfidavano in un campo sportivo, all'aria aperta in primavera inoltrata. 3 vs 3. Bellissimo, ma questo non piaceva a una nostra allenatrice, che mi metteva in una squadra da quattro e mi sostituiva in ogni occasione, dimostrando zero fiducia in me. Non c'era in palio niente, il che rende tutto particolarmente indigesto, oltretutto non mi sembrava di giocare poi così male: ho sempre praticato solo quello sport e mi ci impegnavo pure. Non ho mai capito cosa spingesse quella anziana signora a impegnarsi così tanto nel rovinarmi l'infanzia e la gioia del giocare, temo resterà un mistero.
Alle medie è accaduto grossomodo lo stesso, ma le cose iniziavano a farsi un pochino più serie. C'erano partite ogni settimana, e il primo anno ero il più piccolo della squadra. Eravamo solo in 9 e l'unica volta che a causa delle defezioni potevo finalmente giocare io, la nostra società chiese e ottenne di rinviare la partita. Venni convocato, perché non sia mai che ti lascino libero, ma ovviamente non misi piede in campo.
Per i due anni successivi, nuova squadra e stessa musica. Capitava la rara fortuna di giocare un intero set quando un titolare (concetto che non dovrebbe nemmeno esistere a quell'età) stava male, aveva altri impegni oppure aveva offerto una prestazione così indecente da meritare l'onta della sostituzione. Resteranno per sempre nella mia memoria i cambi a pochi punti di distanza da una roboante sconfitta, quando l'allenatore per dimostrare che dava spazio anche a noi ci inseriva nel terzo set sul 19-12 per gli avversari. Così toccava a noi uscire sconfitti dal campo anziché a quelli che avevano veramente perso la partita. Una volta ci rifiutammo di entrare, preferendo completare la straordinaria piramide di bottigliette d'acqua che avevamo costruito a bordo campo. Non la presero bene: "Non guardate nemmeno i vostri compagni giocare". Certo, l'indifferenza chiama indifferenza e a 50 anni potresti capirlo anche senza che te lo spieghi un dodicenne.
L'ultimo anno almeno qualcuno si accorse che in battuta me la cavavo bene. Entro, batto, ace, ciao. Appena cambiava il giro, tornavo a prendere freddo in panchina. Una volta vennero perfino degli amici di famiglia a vedermi, ma se ne andarono a metà partita e mi dissero che non sarebbero più venuti: erano lì per me, ma io ero sempre in panchina. È stato umiliante, ed è il motivo per cui ho deciso di smettere.
È ovvio che nello sport ci sia chi è più portato e chi meno. Esistono selezioni giovanili degli elementi migliori, dove questi possono già sviluppare la competitività che un giorno li porterà, forse, ad essere professionisti sportivi. Applicare questi schemi a dei ragazzini di 12 anni che vogliono solo fare un po' di sport è deleterio, ancora oggi fatico a guardare una partita di pallavolo senza incazzarmi come una iena per colpa di questi ricordi che riaffiorano dalla memoria. Io volevo solo giocare, invece dovevo alzarmi ogni domenica mattina per rinfoltire una panchina piena di altri ragazzi che, come me, che dovevano guardare quelli in campo perdere la "loro" partita. Tutti lì seduti, ad aspettare che l'allenatore si girasse e dicesse "vieni, adesso entri tu", guardando te e non il tuo vicino di posto. Chissà quanti hanno vissuto esperienze simili e se le portano dentro, con il Resteranno per sempre nella mia memoria i cambi a pochi punti di distanza da una roboante sconfitta, quando l'allenatore per dimostrare che dava spazio anche a noi ci inseriva nel terzo set sul 19-12 per gli avversari. Così toccava a noi uscire sconfitti dal campo anziché a quelli che avevano veramente perso la partita. Una volta ci rifiutammo di entrare, preferendo completare la straordinaria piramide di bottigliette d'acqua che avevamo costruito a bordo campo. Non la presero bene: "Non guardate nemmeno i vostri compagni giocare". Certo, l'indifferenza chiama indifferenza e a 50 anni potresti capirlo anche senza che te lo spieghi un dodicenne.
L'ultimo anno almeno qualcuno si accorse che in battuta me la cavavo bene. Entro, batto, ace, ciao. Appena cambiava il giro, tornavo a prendere freddo in panchina. Una volta vennero perfino degli amici di famiglia a vedermi, ma se ne andarono a metà partita e mi dissero che non sarebbero più venuti: erano lì per me, ma io ero sempre in panchina. È stato umiliante, ed è il motivo per cui ho deciso di smettere.
È ovvio che nello sport ci sia chi è più portato e chi meno. Esistono selezioni giovanili degli elementi migliori, dove questi possono già sviluppare la competitività che un giorno li porterà, forse, ad essere professionisti sportivi. Applicare questi schemi a dei ragazzini di 12 anni che vogliono solo fare un po' di sport è deleterio, ancora oggi fatico a guardare una partita di pallavolo senza incazzarmi come una iena per colpa di questi ricordi che riaffiorano dalla memoria. Io volevo solo giocare, invece dovevo alzarmi ogni domenica mattina per rinfoltire una panchina piena di altri ragazzi che, come me, che dovevano guardare quelli in campo perdere la "loro" partita. Tutti lì seduti, ad aspettare che l'allenatore si girasse e dicesse "vieni, adesso entri tu", guardando te e non il tuo vicino di posto. Chissà quanti hanno vissuto esperienze simili e se le portano dentro, con il potenziale corrosivo che queste cose possono avere per un ragazzino. Quanta fatica per superare i traumi causati da adulti frustrati, che sfogano le loro miserie su ragazzi che hanno solo la colpa di non essere dei campioni. Poi si stupiscono se la gente si disamora allo sport... Ti trovi bene, e torni, dove ti senti a casa.
Foto scattata a Dublino, UCD, luglio 2013. Vincevamo sempre perché c'era Luca Raffanti
33 notes · View notes
i-love-things-a-lot · 5 years ago
Text
Quel Qualcosa in Più
G, 11.091 parole (!), Amadello, passata Amadeus/Biagio Antonacci (????), Betata! link per A03
Iniziò tutto con lo smalto trasparente. Aka, la storia di come Amadeus scopre di essere una donna e l'amicizia con il suo migliore amico si trasforma in qualcosa di più. (nota: Immagino sarebbe tutt* abbastanza confus* dal tema di questa fanfic. Prima di tutto, da dove deriva l'idea di Amadeus mtf? Durante l'AltroFestival di Savino c'è stato un momento in cui Bugo, il nostro caro e povero Bugo, cotto dal fatto che fosse ormai notte inoltrata ha dato una pronuncia femminile ad Amadeus, e da lì poi la mente è volata e le cose sono degenerate in questa serie di fic con il nostro celebre conduttore che cambia sesso. Detto questo, dedico un bacio al cuore pulsante di questo fandom, il canale Discord di Sanremo!)
---------------------------------------------------
Iniziò tutto con lo smalto trasparente.
‘Serve per rafforzare le unghie’, diceva a tutti coloro che incontrava mostrando orgoglioso le dita lucide, segretamente soddisfatto di quella piccola cosa come fosse ai limiti della legalità.
Forse non pareva da fuori, eppure in un certo senso lo era. Un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’anima.  
Pareva quasi un breve assaggio di qualcosa che non riusciva a definire dentro di sé, un monolite che si stagliava leggero come fosse di polistirolo, misterioso e sorprendentemente antico, gigante posato sulla sua vecchia anima.
Dopotutto cosa poteva mai causare un po’ di smalto? Il trasparente svanì con il crescere delle unghie, rendendolo un po’ nostalgico.
“Prova questo”, gli consigliò la truccatrice in trasmissione un giorno in cui il discorso finì casualmente sull’argomento,
“È color pelle, non troppo visibile e rende pure le mani un po’ più eleganti. È importante, oggigiorno, la cura delle mani. Come quella del viso.”
Gli regalò la boccetta.
Galeotto fu il gesto, forse, ora che ci pensava.
Il mattino seguente si dipinse le dita di quel rosa. Ne fu ammaliato. Stavolta non lo fece notare troppo in giro, perché un’attenzione eccessiva a quel tipo di cose poteva essere vista come ambigua, cosa di cui lui non aveva proprio bisogno, essendo un personaggio pubblico.
Un conto era lo smalto rafforzante, un altro quello colorato: rischiava realmente di passare per…per cosa sarebbe dovuto passare?
Quello smalto gli stava così bene, dopotutto. E poi aveva sempre desiderato fare qualcosa di più azzardato, ma non ne aveva mai trovato il coraggio, non fino a quella mattina, quando l’acre odore che proveniva dalla boccetta ancora aperta gli donava un sentore di libertà che raramente aveva provato in vita sua.
Le boccette di smalto si moltiplicarono presto dentro al mobiletto del bagno.
Provò ogni colore: da quelli più cupi, come nero e grigio, a quelli ben più accesi e considerati femminili, come il giallo brillante che ora non riusciva proprio a togliere con l’acetone perché era un colore che gli stava dannatamente bene, e non importava il fatto che dovesse andare in onda tra qualche ora, perché non riusciva a controllare la fitta di malinconia che il solo pensiero di avere le dita nude gli donava.
Tanto chi mai gli avrebbe guardato le mani in una trasmissione simile?
Era già andato in passato con le dita colorate di rosa incarnato, discrete ma evidenti se lo sguardo ci cadeva sopra. Il giallo, invece, era tutto un’altro discorso. Colore brillante, saltava subito all’occhio. Doveva rinunciare?
No. Non poteva farlo. Chiuse l’acetone con quelle dita ancora dipinte un po’ tremanti, ma che sentiva un po’ più sue da quando vi era la presenza del colore.
Dopotutto il giallo era uno dei colori che riconosceva meglio.
Lo specchio di casa rifletteva l’immagine di un uomo alle soglie della vecchiaia. Viso da lui ben conosciuto, viso con cui condivideva una vita intera, di cui conosceva ogni singola ruga.
Allungò una mano colorata verso la bocca sottile. Teneva un tubetto, un piccolo contenitore lungo e stretto da cui fuoriusciva appena una punta di colore dalla forma ben familiare a chi è avvezzo all’uso del trucco.
Era la prima volta che provava a mettersi un rossetto.
La scelta del colore non era stata difficile, si era attenuto al classico. Lo smalto giallo ancora padroneggiava le sue mani, e tanto aveva riscoperto in quel periodo l’intensità dei colori, colori che sapevano di fiducia in sé stesso, che aveva deciso di provarli anche sulle labbra troppo nude.
Il rossetto era rosso carminio, scuro e sensuale. Gli piaceva da matti. Sbatté le labbra per distendere meglio il colore e non poté trattenere un sorriso nel vedere quanto gli illuminasse il viso, quanto si trovasse bene ad indossarlo.
Non era strano per un uomo che lavorava nel mondo dello spettacolo. Il trucco per loro era una quotidianità.
O almeno questo si diceva per calmare quella sorta di piccolo magone d’ansia e paura che qualcuno lo scoprisse, lo vedesse e lo rovinasse parlando a tutti di quelle piccole cose, cosine normali, assolutamente normali. Non importava.
Si toccò le labbra con la punta gialla del mignolo e si sentì felice, come se per un istante la luce avesse illuminato il gigante etereo che gli poggiava nell’anima, sfiorandolo appena, ma abbastanza perché lui sentisse una fitta di paura attraversargli le viscere.
Non era il caso di indossare il rossetto in pubblico, pensò socchiudendo gli occhi, ma a casa, nel privato, era tutta un’altra storia. Nessuno avrebbe potuto giudicarlo.
Il pennellino sfiorò con delicatezza le palpebre chiuse.
Non aveva idea di come la truccatrice avesse preso la sua proposta di provare un trucco completo, standard, “da donna”, ma in ogni caso sperava che fosse suonata come un’idea divertente, qualcosa di comico, e non come frutto di quella curiosità morbosa che da qualche settimana gli invadeva la mente.
La matita toccò delicatamente il confine stanco dei suoi occhi e tracciò una linea che non poteva ancora vedere.
“Ecco fatto. Sei bellissima!”
Non riuscì a capire il perché, ma essere chiamato al femminile, seppur in modo ironico, gli provocò una magnifica ondata di contentezza. Aprì gli occhi.
La sua figura era ancora vecchia e stanca. Ma il viso, oh! La luce che emanavano i suoi occhi era immensa. Le guance parevano più rosee e le labbra erano dipinte con una tinta tenue, quello che gli appariva un delicato rosso tendente al rosato che stava molto bene con la sua carnagione. La figura allo specchio arrossì con lui.
“Hai fatto un lavoro meraviglioso.”
La sua espressione era forse troppo rapita per poter parere ancora una cosa ironica, ma non gli importava. O meglio, un po’ gli importava: si riscosse e curvò le labbra in un sorriso divertito.
“Okay,” cinguettò alzandosi di scatto dalla sedia e seguendo il corridoio delle quinte,
“Che ne pensate? Non sono la donna più affascinante di questo studio?- dopo di te ovviamente, Carla” si corresse dopo aver incontrato di sfuggita la fonica che ricontrollava la scaletta e lo guardava a bocca aperta con una posa estremamente comica.
Percorse tutte le quinte e arrivò finalmente all’entrata del set. Il pubblico era già presente, come ogni giorno di registrazione, e attendeva solo che la registrazione cominciasse.
“Buonasera!” esclamò a braccia aperte, sorridente come al solito, se non di più. Fu accolto da una risata. Non si aspettava altre reazioni.
“Che dite, oggi presento così?”
Un coro di ‘si!’ si alzò dagli spalti. Provò l’impulso di seguire il consiglio.
No.
La negazione arrivò dal profondo del suo cuore.
Perché no?
Perché potrebbe piacerti.
Quella rivelazione lo colpì in viso come uno schiaffo. Probabilmente gli altri lo vedevano conciato come un pagliaccio in quel momento. Altro che occhi illuminati, altro che labbra dipinte: si stava ridicolizzando. Per fortuna questa volta era riuscito a frenarsi prima di iniziare a registrare, pensò scuotendo lentamente la testa, ma non abbandonò il sorriso, perché dopotutto in quel momento era pur sempre truccato in quel modo che lo faceva sentire un po’ migliore.
“Vi piacerebbe?”
Un’altro coro affermativo. Ridacchiò un po’ e rivolse lo sguardo verso le telecamere ancora spente. Forza dell’abitudine.
“Piacerebbe anche a me. Tra un quarto d’ora circa dovremmo iniziare, siete pronti?”
Di nuovo una risposta positiva. Pubblico caldo, indice di una puntata che non sarebbe stata difficile da condurre. Ne fu rincuorato.
“Meraviglioso,” esclamò, e subito fu richiamato dietro le quinte dalla stessa truccatrice, ridente e impegnata ad agitare un flacondino di struccante nuovo di zecca. Corse di nuovo da lei e si sedette (un po’ a malicuore) sulla sedia del trucco.
Un altro giorno, pensò mentre lo struccante agiva sulla sua pelle.
Magari un altro giorno.
Erano ormai due mesi che non si tagliava i capelli. Non erano male, non troppo lunghi, decisamente un taglio ancora intatto e valevole, ancora maschile. Si era divertito non poco a notare il ritorno del suo castano naturale tra il grigio, cosa che lo faceva sentire di gran lunga più giovane e meno stanco di come si vedesse in passato.
Era felice. Nel suo guardaroba comiciavano a esserci non solo pantaloni e camicie da uomo, ma anche magliette con una certa quantità di scollatura, e in più qualche occasionale gonna rigorosamente indossata solo nel privato di casa, non troppo stretta né troppo larga, elegante e adatta a una persona della sua età.
Perché lo stava facendo? Aveva smesso di chiederselo, tanto non riusciva più giustificarsi con sé stesso, né c’era bisogno di farlo con altri, visto che nessuno sapeva. Almeno fino a quel momento.
Rosario Fiorello lo guardava con quella che poté definire solo come disperata incredulità.
“Mi ero accorto che c’era qualcosa di nuovo.”
Sorseggiò lentamente la sua bottiglia di birra e fece una breve pausa, lo sguardo fisso in un punto oltre il tavolino da bar su cui erano seduti.
“Lo smalto. Me ne sono accorto dallo smalto. Ho pensato: eh, qua c’è qualcosa di nuovo, sicuro, ma non dico niente perché magari mi sbaglio. E invece.” Sapeva che confessare al proprio migliore amico la nuova predilezione per il mondo femminile non sarebbe stato facile. Così come non sarebbe stato facile accettarlo.
“E meno male che te l’ho chiesto io se c’era qualcosa di strano, altrimenti tu mica me l’avresti detto, ansioso come sei.”
“Ho sbagliato?”
“No. Questo no, assolutamente. Ti senti in questo modo, hai deciso di fare qualcosa per migliorare la situazione, e non sarò mai grato abbastanza del fatto che tu me l’abbia detto. Posso solo immaginare quanto sia difficile accettare una cosa del genere. Poi ti dirò, non è che avessi sospettato, ma…beh, mi è sempre parso tu fossi interessato in particolar modo alla femminilità. Pensavo fosse per le ragazze. Certo che non vai a pensare…! Non che ci sia nulla di sbagliato, ripeto. Ti senti così, non è una cosa che puoi cambiare. Questo sentimento di base ce l’hai, insomma, no? Ecco. Allora l’unica cosa che puoi fare è assecondarlo.”
Una macchina passò in fretta tra il chiacchiericcio dei passanti.
“Quando te ne sei accorto?”, chiese Fiorello.
Prima che potesse rispondere rincarò la dose,
“Devo chiamarti al femminile? Con il lei informale?”
Annuì piano. Non aveva chiesto nulla, ma per fortuna aveva un amico che lo conosceva meglio di chiunque altro.
“Se ti va.”
Fiorello scattò.
“No, no. Non deve andar bene a me, deve andar bene a te. Vuoi che usi il femminile quando mi riferisco a te?”
“Solo in privato. Per ora.” Non era ancora arrivato il momento di spargere la notizia ai quattro venti. Era una questione delicata, avrebbe potuto perdere il lavoro al solo accennare una cosa simile, sopratutto nel suo campo, con i giornalisti alla continua e avida ricerca di informazioni in grado di far profondare un rispettabile essere umano nel più completo e denigrante fango. Si guardò le unghie, curate e di un piacevole colore blu notte, e riuscì a trovare in esse abbastanza forza per continuare.
Fiorello annuì e gli rivolse un breve sorriso pieno d’emozione, quasi a volerlo incoraggiare. La cosa funzionò.
“Lo farò. Tu ora non preoccuparti, va bene? Magari non fare cose troppe esplicite in trasmissione, potrebbero arrivarti guai, ma per il resto non c’è alcun problema, penso. Se non sbaglio conosco un gay bar in zona che- si chiama gay bar, ma so che essere femmine non significa che ti piacciano gli uomini, eh. È un bar, come dicono ora, “lgbt frendly”.”
“L g t b?”
“L-G-B-T. Quella cosa dove ci sono tutte le persone che non sono etero e normali. Normali nel senso di non…come te. Insomma, mi hai capito.”
“Si, ho letto qualcosa al riguardo.”
“Ecco. Dicevo, conosco questo bar in cui potremmo andare. Pure per gioco, eh. Tanto per conoscere qualcuno nel campo, così puoi avere qualche consiglio in più da una persona che ha già affrontato il tuo stesso percorso. Cosa ne pensi? L’idea ti garba?” Ci pensò su. Non si sentiva ancora abbastanza al sicuro per uscire così tanto allo scoperto, no. Uscire con Fiorello, d’altro canto, era sempre un’avventura.
“E se andassimo a fare un giro normale? Senza gay bar, senza vestiti femminili. Non ancora. Solo un giro. Una cena, magari.”
Fiorello socchiuse gli occhi e ridacchiò in modo eloquente.
“Cos’è, un appuntamento? Lo dici come se non avessimo mai cenato insieme. Certo che mi va di fare giri normali! Perché non dovrei, perché mi hai detto che sei trans?”
“Abbassa la voce.” “Scusa. Perché hai detto che sei trans? Prima di essere uomo o donna, Ama, tu sei mio amico. Amica. Non potrei mai buttare al vento trent’anni di fiducia solo perché ti senti in un modo che non è il comune, lo standard. Io ti voglio bene. Te ne vorrò sempre. Niente cambierà questo sentimento. Capito?”
La sensazione di estrema gratitudine e gioia che lo pervase gli stampò un breve sorriso sulla bocca.
Chissà, magari con un amico che lo chiamava al femminile finalmente sarebbe riuscito a riferirsi così anche nella solitudine dei suoi pensieri.
“Grazie. Grazie infinite. Il tuo sostegno è la cosa più importante in questo momento.”
Fiorello gli afferrò delicatamente un braccio e allargò il sorriso.
“È il minimo che possa fare per il mio migliore amico. Non ha ancora risposto alla domanda di prima, però, eh.” “Cosa mi hai chiesto? Perdonami, ero-”
“Come te ne sei accorto? Qual’è stato il primissimo passo che ti ha portato a questa rivelazione.”
Ci pensò su per qualche secondo. Di episodi ce n’erano a bizzeffe fin dall’infanzia, ma la questione era rimasta velata per lungo tempo, mai affrontata, sempre relegata ad un’angolino polveroso della sua mente. Almeno finché…
“Iniziò tutto con lo smalto trasparente.”
“Posso dire due parole, se possibile?” La donna al centro del palco era molto alta. Un grazioso vestito color miele dall’aria primaverile le cadeva dalle spalle in maniera elegante, lasciandole le ginocchia scoperte per poco. I capelli erano acconciati in morbidi boccoli biondo cenere, il rossetto brillante illuminava il suo viso come in un quadro medievale. Non aveva più di trent’anni.
“Non c’è alcun problema! Dica pure quello che vuole”, disse piano il conduttore con una voce ancora troppo bassa, un completo troppo maschile e le unghie di una accesa tonalità di lilla.
L’aveva appena annunciata come “attivista lgbt”. Un prezzo basso, semplice da indovinare per il concorrente in piedi nella postazione, perché quella donna era visibilmente transessuale.
“Vorrei fare un piccolo appello a tutti coloro in ascolto. Come avrete purtroppo notato, sono nata in un corpo che non avvertivo mio. Ho dovuto faticare molto per ammetterlo, decidere di fare qualcosa in merito e infine farmi accettare da tutte le persone a me vicine, compresa mia madre, così felice quando nacqui di aver avuto un maschietto. Per questo vi dico: se vedete che qualcuno accanto a voi fa dei piccoli, impercettibili cambiamenti, anche solo mettere un po’ di trucco, farsi crescere i capelli, tagliarli, e ancora indossare vestiti sformati che nascondano le curve o la loro assenza, o anche solo dipingersi le unghie, allora è il momento di star più vicino ed essere comprensivi, di sostenerli anche se ancora non si sentono pronti per dire nulla, di usare le pronunce che richiedono a mezza voce. Non abbandonate figli, fratelli, sorelle o amici solo perché il loro corpo non corrisponde alla loro mente. Il loro percorso è già abbastanza difficile anche senza dover sopportare ancora più pregiudizi di quanti ne riceveranno nel mondo. Grazie mille.”
Un breve applauso partì dal pubblico, e con quello anche molti sguardi, che si diressero immediatamente al conduttore, con i suoi capelli ingellati, ma decisamente più lunghi di qualche mese prima, le dita colorate che in quel momento battevano le une sulle altre nell’applauso, ma sopratutto l’espressione colpevole e nervosa trasparita nonostante la maschera della professionalità.
Il locale era più pieno di quanto di aspettasse. La sciarpa certo era abbastanza coprente per naso e bocca, mentre un paio di occhiali da sole nascondevano gli occhi. Un lungo cappotto sottolineava un vestito alle ginocchia, da cui spuntavano due gambe lisce che si concludevano in scarpette eleganti da signora, un piccolo tacco per slanciare una statura già notevole.
I capelli erano la cosa che più la rendeva orgogliosa. Erano abbastanza cresciuti ormai da sfiorare la sciarpa in uno scoordinato caschetto che diventata sempre più difficile da manovrare in una pettinatura maschile durante le registrazioni. Non importava.
Non fu accolta in modo particolare. Con garbo si sedette a un tavolino vuoto, felice di essere abbastanza coperta da non essere riconosciuta, ma sopratutto orgogliosa di sé, perché mai si sarebbe aspettata di trovare abbastanza coraggio da andare in un gay bar, soprattutto se da sola.
“Desidera qualcosa?”
Il cameriere aveva tratti e statura molto delicati. Lei si tolse gli occhiali da sole, mostrando gli occhi truccati forse un po’ pesantemente, ma tutto era concesso a un principiante, no?
“Uno Spritz, grazie”, chiese piano. Aveva passato una settimana a provare gli esercizi per alzare la tonalità di voce. C’era riuscita?
“Arriva subito”, sorrise il cameriere, e lei ricambiò il sorriso da sotto la sciarpa e fece un cenno con la testa, lo sguardo concentrato sulla figura che si allontanava dal suo tavolo.
Diete un’occhiata più ampia a ciò che la circondava. Non poteva certo dire di essere in un posto con persone che apparivano tutte uguali, pensò un po’ divertita, visto che quella che più si avvicinava alla definizione di normalità era un essere umano che pareva un misto perfettamente incredibile di maschile e femminile, tanto che invano provò a lambiccarsi su quale potesse essere la sua identità di genere.
Maschio o femmina? Il cameriere tornò con il suo Spritz.
“Grazie mille”, e subito si maledisse perché, dopo una settimana di sudore e maledizioni per trovare la perfetta voce era lo stesso riuscita a dimenticarsi tutto a favore della sua naturale tonalità, molto bassa.
“Non c’è di che, signora”, rispose il cameriere con un gran sorriso.
Una sensazione di sorpresa gioiosa la avvolse come un panno caldo. Era la prima volta che qualcuno la chiamava signora. Dunque non pareva così tanto un uomo travestito? Passava davvero per una donna? Decise che l’idea migliore era quella di annegare il groppo in gola nello Spritz.
Come berlo?
Se c’era una cosa abbastanza iconica della sua persona, quella era, ahimé, il suo naso. Far passare la cannuccia da sopra era dunque fuori discussione. Poteva farla passare sotto…? Qualcuno le diede un colpetto sulla spalla. Una donna, o meglio, così pareva a un primo sguardo, vestita di tutto punto come una sorta di ballerina del ventre, ma più coperta, e con una elegante mascherina di colore acceso su naso e bocca le si era avvicinata alla coatta. Le porgeva qualcosa.
Con lo sguardo seguì la mano.
“Piglia”, ordinò la donna con forte accento napoletano.
Era un’altra mascherina, questa di un colore che non riusciva a definire. Marrone? Grigio? Sospettò fosse di qualche tonalità di verde, colore a lei irriconoscibile.
“Ca sta spettand’? Piglia.”
Si riscosse e afferrò d’impulso la mascherina. Avrebbe voluto dirle che non era proprio il suo colore, ma che avrebbe accettato, perché quella era una situazione un po’ disperata, e quindi la ringraziava moltissimo per la sua estrema gentilezza; rialzò lo sguardo e la donna era sparita.
Che persone incredibili, i frequentatori dei gay bar.
Con mossa abile prese la mascherina per le due estremità e la infilò sotto la sciarpa, incastrandola dietro le orecchie. Il tessuto era morbido come seta, ma ci stava: era una di quelle mascherine dei giovani, quelle fashion, per qualche motivo a lei incomprensibile. Però faceva il suo sporco lavoro e copriva bene ciò che doveva, dunque perché giudicare? Appena fu sicura della stabilità della mascherina sciolse il nodo della sciarpa e la srotolò con cura, scoprendo un collo chiaro e ben rasato, assieme a una scollatura che si perdeva sotto il cappotto, che ancora teneva addosso.
In effetti faceva un po’ di caldo dentro quel locale, forse era il caso di toglierlo.
Sganciò anche quei bottoni, sfilò le maniche e liberò una graziosa maglia scollata non in maniera esagerata, decisamente femminile, ma che ricadeva tristemente su un petto vuoto, seppure l’avesse messa in modo da apparire un po’ gonfia. La gonna invece era nera, anch’essa abbastanza elegante, ma larga perché ancora non si sentiva abbastanza sicura da indossare abiti aderenti, dalla struttura ripiegata a zig zag per nascondere la poca ampiezza del bacino. Era davvero un bella gonna, pensò lisciandosi il tessuto nelle cosce, forse un giorno avrebbe potuto indossarla in programma. Un giorno ancora lontano, s’intende.
Sospirò e guardò lo Spritz davanti a lei. La musica pompava nelle casse, anch’essa musica giovane, da discoteca, ma paradossalmente ritmica come quella a cui era abituata tanti anni prima, quando ancora faceva il dj. Che tempi.
Allungò la cannuccia sotto la mascherina e bevve un sorso.
Non era affatto male, dopotutto, l’ambiente di quel gay bar.
“Ama, non posso riempirti questa meraviglia di gel.” L’acconciatrice squadrava il nuovo taglio con l’aria di chi le avesse appena chiesto di compiere un’illegalità.
Ci aveva messo due settimane per decidere che i suoi capelli avevano decisamente bisogno di un’accorciata e che non era il caso di andare dal solito parrucchiere specializzato in tagli maschili.
Non che non se ne fosse accorta prima; c’era stato bisogno dei consigli che l’altra sera le avevano dato al bar (ormai si era fatta un buon giro di amicizie tra i clienti abituali e il personale, seppur ancora non si fidava abbastanza da togliere la mascherina) perché necessitava di qualcuno di discreto, che non facesse né nomi né cognomi, né tantomeno nomi d’arte.
“Non potresti racchiuderli in un codino e basta?”
L’acconciatrice scosse la testa e schioccò la bocca in segno di diniego, poi sospirò a fondo seccata.
“Senti. Qui non ci sente nessuno, quindi ti parlo un attimo da amica. Questo non è un taglio maschile. Non lo è per natura. I capelli non sono abbastanza lunghi per fare una coda che non si sfasci dopo dieci minuti, non lo posso fare e basta. E poi, ripeto, da amica,”
Sentì un brivido freddo scorrerle lungo la colonna vertebrale,
“Forse è arrivato il momento di cominciare a uscire dall’armadio.”
Deglutì a fondo e strinse i pugni. Gli amici al bar erano stati chiari sul significato di quel modo di dire. Non c’era dubbio su cosa stesse proponendo. La questione era: si sentiva pronta? La risposta era no. Assolutamente no. Il solo pensiero le faceva venire le palpitazioni.
“Qui tutti lo sospettano. Abbiamo tutti gli occhi, sappiamo come sei vestita prima di andare a cambiarti. E no, non dirò nulla sugli atteggiamenti più femminili perché non ce n’è bisogno.”
Cominciò a giocare con le mani, incapace di replicare.
“Ti voglio dire solo questo: non posso far nulla con questi capelli. O vai in onda così oppure non vai in onda. Scegli tu.” Le gettò una veloce pacca sulla spalla e si allontanò, lasciandola sola con le mani tremanti e tanta, tanta voglia di piangere.
“Buonasera!” annunciò il conduttore con la sua solita voce tonante. Il taglio a caschetto era un po’ vuoto di capelli, ma era decisamente un caschetto, e i ciuffi argentei si ripiegavano sulle guance in maniera delicata. Sembrava molto scosso.
“Avrete notato il mio nuovo taglio di capelli. Che dite, mi sta bene?”
Un coro affermativo si levò dal pubblico. Ne fu estremamente confortata.
“Allora direi che possiamo presentare il concorrente di oggi.”
Le pagine aperte della rivista ricambiavano il suo sguardo vuoto da ore.
“Look da Piton o da Lily?”, diceva il titolo.
La pagina era interamente occupata da una foto. Era palesemente stata scattata da qualche paparazzo, troppo buona perché potesse essere amatoriale, troppo giusta.
La ritraeva al bar mentre aspettava il suo amico Fiorello per uno dei loro soliti caffè. Era una foto di appena tre giorni prima, scattata la mattina prima di ripartire a Milano.
Quel giorno indossava una maglia bianca, velata, indiscutibilmente femminile. Un paio di pantaloni stretti, ma non abbastanza da essere osceni, effetto ottenuto sopratutto grazie ai suggerimenti avuti al gay bar. I tacchi neri. I capelli, messi in modo da nascondere i punti meno folti, formavano un glorioso caschetto in cui il grigio si mescolava col castano. Gli occhi erano coperti da una grossa montatura di occhiali da sole, la bocca dipinta di un bel color ciclamino. Aveva persino un accenno di seno, fittizio e composto interamente da un reggiseno riempito di cotone.
L’articolo non era molto lungo.
“Nemmeno per strada Amadeus (54) riesce ad essere…un solito ignoto! Eccolo mentre incontra il suo migliore amico Rosario Fiorello (56) al bar di fiducia.”
“Notate qualcosa di strano? Il noto conduttore è vestito da donna! Che sia per un nuovo programma televisivo? Dopotutto la scorsa settimana l’avevamo beccato con un’aria da Professore di Pozioni, con quei capelli e il nasone. Dopo Piton, che voglia travestirsi anche da Lily Potter, la madre di Harry? A questo punto tutte le scommesse sul prossimo personaggio della nota serie per ragazzi, dalla professoressa McGrannit al maghetto protagonista, sono ben accette!”
Nella pagina di fianco c’erano delle foto più piccole. Una in cui il suo amico era arrivato e lei lo salutava con i classici baci sulla guancia, un’altra dove erano seduti nel tavolino e infine la terza, scattata mentre era impegnata a sistemarsi i capelli.
Nessuna didascalia.
“Non accadrà niente, vedrai. Quante persone potranno mai leggere uno stupido articolo di gossip? Non è nemmeno così esplicito.” “Ero truccata. Avevo i tacchi. Fiore, se lo pubblicano vuol dire che qualcuno lo legge.”
Poté sentire Fiorello esitare un attimo dall’altra parte del telefono.
“Facciamo una cosa. Tu vai a farti prescrivere quelle medicine di cui mi hai parlato, okay? Io mi occuperò di eventuali sospetti su di te. Posso dire che Jova stava cercando un idea per un nuovo videoclip o qualcosa del genere. Faccio una rullata di telefoni e vedo ora riesco a ottenere, tanto vedrai che qualcuno di disponibile lo trovo. Sai che non andrò in giro a spifferare il vero motivo della paraculata.”
Sospirò a fondo e si fissò le unghie grigie. Stava rischiando la carriera solo per uno stupido desiderio malato che non piaceva a nessuno, tantomeno all’azienda televisiva per cui lavorava. Perché lo stava facendo?
“Ama? Ci sei?”
“Si.” “Vedi? Ti risolverò tutto io. Sei d’accordo? Tu non devi preoccuparti, faccio tutto io.”
Le risposte arrivarono nella sua testa di getto.
Perché quando a lavoro aveva riunito tutti e aveva chiesto di usare pronunce femminili era terrorizzata, ma quando aveva sentito le persone chiamarla in maniera appropriata si era sentita viva come non mai.
Perché non era mai stata così a suo agio con sé stessa prima di quel momento.
Perché non poteva tornare indietro. Non più.
“Sono d’accordo.” “Perfetto. Ricordati, le medicine. Mi raccomando. La prossima volta che ci vediamo voglio vederti con due tette vere, capito? Voglio vederti felice.”
Un moto di estremo affetto la trafisse.
“Non potrò mai ringraziarti abbastanza per tutto quello che fai, Fiore. Ti voglio bene.”
Lo sentì sorridere attraverso il telefono.
“Mi ringrazi abbastanza solo se vai dall’endocrinologa e ti fai fare la ricetta per gli estrogeni. Ti voglio bene anch’io. Buonanotte, Ama.” “Lo farò, non preoccuparti. Buonanotte anche a te.”
“Sei un personaggio pubblico. Lo sei da tanti anni, quindi non metto in dubbio che tu lo sappia, eppure le tue azioni di questi ultimi tempi mi rendono in dovere di ricordartelo. L’aspetto fisico è importante in questo lavoro. Non possiamo permetterci di perdere il conduttore di un preserale, ma mi dispiace dirtelo, la situazione ci sta rendendo molto propinqui a spostarti a un orario dove il pubblico possa adattarsi meglio alla tua…nuova presentazione fisica.” “Stanno calando gli ascolti?” “Non ancora. Lo faranno presto. Devi capire, Amadeus, che la popolazione non è ancora pronta per vedere questo genere di cose nella televisione pubblica, all’ora di cena, con minori presenti. Le persone accendono il televisore per guardare un programma leggero, qualcosa con cui distrarsi un po’ e divertirsi come con un gioco a premi, e invece cosa vedono? Un uomo maturo con lo smalto e i capelli da donna. Non che ci sia niente di sbagliato in questo, eppure ribadisco: sei un personaggio pubblico. Il tuo aspetto dev’essere di un certo livello. Se non lo sarà entro breve, mi dispiace, ma saremo costretti a sostituirti.”
“Ti parlerò con tutta franchezza: per il tipo di terapia che mi stai richiedendo chiedo sempre la certificazione da parte di uno psicologo con scritto che tu desideri di ricevere questa tipologia di cambiamento fisico da almeno un anno. Il tuo corpo riceverrebbe modificazioni permanenti, non sarebbe saggio iniziare una tipologia di farmaci così pesanti senza prima avere la certezza assoluta che sia necessaria. Almeno io la penso così, che ognuno faccia pure quello che vuole. Dimmi, da quanto tempo ti senti in questo modo? Non accetto risposte come ‘da tutta una vita’. Voglio sapere quando hai avuto la realizzazione, quando ti sei accorto che c’era qualcosa che volevi cambiare.”
“È stato circa cinque mesi fa.”
L’endocrinologa fece spallucce.
“Allora mi dispiace, per ora non posso fare nulla per te. Se rimarrai della stessa idea in cui sei ora tra sette mesi e avrai con te il foglio che lo attesta, allora non ci sarà santo che mi fermerà dal prescriverti quei farmaci, ma prima di questa data non ti potrò dar nulla. Siamo intesi?”
Lo specchio rifletteva gli occhi stanchi di una donna che non riusciva a smettere di osservare le mani del suo parrucchiere, quello storico, da cui era sempre andata e da cui ora tornava con tutt’altro spirito.
Aveva delle forbici in mano.
“Scusa se te lo dico, ma questo taglio è proprio femminile. Non faccio fatica a immaginare perché ora vuoi cambiarlo, qua c’è il rischio che ti scambino per una donna, soprattutto da quando hai tolto il pizzetto!”
La risata dell’uomo fu ricambiata da un sorriso forzato.
“Allora, di quanto li vuoi accorciare?”
“Falli come al solito.” La voce le tremava un po’.
“Intendi corti come prima che li lasciassi crescere? Stessa lunghezza di prima?”
“Si.”
Gli occhi osservarono la sua stessa gola che cercava di deglutire invano un intenso groppo che rischiava di farla piangere.
“Sicuro? È un bel salto.”
“Taglia tutto, per piacere.”
La prima ciocca cadde a terra come lama nel suo animo.
“Mi dispiace,” singhiozzò coprendosi il viso con le mani,
“Non posso smettere. Sono un mostro.” Quando Fiorello aveva deciso di fare un salto a casa della sua amica non era quello lo spettacolo che aveva immaginato di trovare. Sul letto erano posati un paio di pantaloni e una maglia maschile, ma lei indossava un grazioso abito a fiori che sottolineava i fianchi e cadeva aggraziato persino sul suo petto, sfortunatamente vuoto.
Si era tagliata i capelli come li aveva un tempo, maschili, cortissimi. Poteva vedere la sottile ombra del pizzetto in ricrescita.
“Te l’hanno detto loro?”
Non rispose. Non diede nemmeno segni di aver sentito. Rimase lì a singhiozzare, seduta al bordo del letto, le braccia morbide e bianche, le gambe nude e liscie che spuntavano dalla gonna fiorita. Si avvicinò a lei.
“Ama, tu non sei un mostro. Non dirlo nemmeno per scherzo. Perché dovresti esserlo? Non hai fatto del male a nessuno, ti sei solo azzardata a voler essere te stessa. Chiunque ti abbia detto il contrario è un segaiolo di merda che non sa cosa voglia dire avere un corpo con cui non stai bene. Non devi azzardarti ad ascoltare certa feccia. Chi è stato? Dimmelo. È qualcuno che conosco?” “Forse sto solo fingendo. Forse è solo desiderio di attenzioni.”
“Se lo fosse non saresti qui a piangere perché ti sei messa un vestito. Rispondimi. Chi è stato?” Aspettò un po’ prima di rispondere. Almeno aveva smesso di singhiozzare, anche se il peso opprimente al petto non si azzardava a sparire.
“Non è stato qualcuno in particolare. Sono stati in tanti. Con lo sguardo, principalmente. La Rai ha detto che non ero adatta ai bambini. Non posso prendere gli ormoni se non tra sette mesi e delle sedute psicologiche in cui devo convincere qualcuno che non sto fingendo, che mi sento davvero così. Rosario, io non ce la faccio più. Hanno detto che se non mi tagliavo i capelli mi toglievano il programma. Non posso continuare così, ma non posso nemmeno tornare indietro. Non so cosa fare.” “Non devi tornare indietro se non lo vuoi. Loro non hanno alcun diritto di decidere della tua vita, Ama, che tu sia un personaggio pubblico o meno. Anzi: il tuo esempio potrebbe essere importante. Molte persone nella tua stessa situazione potrebbero sentirsi incoraggiate a uscire lo scoperto. I loro parenti imparerebbero a supportarle! Non puoi abbandonare adesso. Fallo non solo per te, ma per tutti coloro che hanno bisogno di un esempio.”
“Ho già rischiato la mia carriera una volta. Non posso permettermi di farlo ancora.”
“Vuoi continuare a fingere di essere ciò che non sei per il resto della tua vita? Non credo tu possa continuare a farlo. Non ti permetterò di farlo, questo è poco ma sicuro. Perderai il programma? Non credo, non con gli ascolti che stai facendo. Ti stanno solo minacciando, Ama. A loro rode il culo che tu stia facendo qualcosa al di fuori del loro controllo, ti vorrebbero linda, una macchina che va e fa quello che dicono loro. Scusa, ormai hai anche un po’ di soldi da parte, no? Non rischi di fallire se perdi il programma. Fallo. Se non lo puoi fare tu, chi mai potrebbe?”
“Ma il programma-”
“Ma che vada a farsi fottere, il programma! Stai mettendo una robina del genere davanti alla tua stessa salute, te ne rendi conto? Io non tornerò a chiamarti al maschile perché qualcun altro mi ha detto di farlo, né credo lo faranno gli altri. Solo tu puoi decidere di te stessa. Io ti voglio bene e ti supporterò sempre, qualunque sia la tua scelta finale; però devi promettermi che non farai qualcosa che ti fa star male. Promettimelo.”
Sospirò a fondo. Fiorello non era solo un amico, era il suo angelo custode.
“Ci proverò.”
La concorrente la guardava con l’aria più confusa che avesse mai visto su qualcuno. Era una donna sui quarant’anni, truccata ma non troppo, i capelli castani e l’abbigliamento da persona di provincia. Portava gli occhiali.
“Scusi, come la devo chiamare? Insomma, quando aveva i capelli lunghi alcuni concorrenti usavano il femminile, altri il maschile-ora uso il maschile?” Il cuore perse un battito e cominciò a pompare un po’ di adrenalina, manco fosse in tribunale. Le orecchie presero un leggero colorito rosso.
“È…complicato. La rete vuole che io usi il maschile, ma personalmente preferirei il femminile.”
La donna annuì subito in fretta.
“Oh, certo. Capito. Sa, mia sor-mio fratello ha affrontato un persorso simile, anni fa. So cosa significa. Dunque nel palco la dovrò chiamare al maschile?”
“Grazie per la comprensione. Per le pronunce in trasmissione, signora, mi chiami pure come le viene meglio. Per me non c’è problema. ”
“Perfetto, grazie mille! Sa, però potrebbe truccarsi un po’. Sinceramente poi la preferivo con i capelli lunghi, le davano un’aria più…non saprei. Aggraziata?”
Ridacchiò un po’, contagiando pure lei, che in quel momento provava una gratitudine e una sorpresa così grande che il sentimento rischiava di soppraffarla e farla commuovere.
“Grazie del consiglio. Ne terrò sicuramente conto.”
“Oh, a proposito: adoro lo smalto.”
Il suo sorriso a questo punto era così grande che la bocca cominciava a fargli male.
“Bene, se non sbaglio siamo tutti pronti.” “Non ancora!”
Sabrina la truccatrice si stava sbracciando verso di lei.
“Manca ancora il trucco per te, Ama!” “…Oh, scusate. Torno subito.”
Il trucco fu più lungo di quanto pensasse. Avvertì il solletico della cipria, poi con sua grande sorpresa il sentore di un pennellino più sottile attorno agli occhi, e infine cominciò a intuire quando la punta di una matita cominciò a tracciare il confine dei suoi occhi, seguito dalla cerosità di un rossetto sulle labbra.
“Puoi aprire gli occhi”, e lei li aprì eccome.
Allo specchio c’era un lavoro incredibile. La durezza dei lineamenti era stata ammorbidita e affusolata, gli occhi parevano più grandi, lo sguardo intenso (e ora un po’ commosso- “No non piangere o dovremo rifare tutto d’accapo!”, esclamò Sabrina posandogli le mani sulle spalle) e la bocca era stata ridisegnata in modo che le labbra apparissero più carnose e morbide. In qualche modo era riuscita persino a togliere il segno grigio della barba dalle guance, seppur lasciando intatta la figura curata del pizzetto, che spiccava in modo strano su quel viso truccato, un modo che non era affatto spiacevole, doveva ammettere.
“Abbiamo saputo della cosa che hanno detto alla Rai e non è piaciuta a nessuno qua, quindi abbiamo deciso che tu non andrai mai in onda senza essere il più femminile che la rete permette. Certo, queste puntate andranno in onda tra qualche mese, quando quelle con i capelli lunghi finiranno, abbiamo pure cercato una parrucca quando ti abbiamo visto entrare qualche ora fa, ma temo che per quella dovrai aspettare ancora un po’, perché non siamo riusciti a procurare niente.” “Non dovevate, davvero. Siete delle persone d’oro”, esclamò con la voce sull’orlo del pianto e un sorriso così grande da far bene all’anima.
“Non potevamo non farlo. Allora, sei pronta?”
“Assolutamente.”
“Allora vai pure! E buona fortuna.”
“Non vi ringrazierò mai abbastanza.” “Vai, vai!”
Il corridoio era pieno di volti sorridenti e supportivi, o forse lo erano in risposta al suo, di sorriso, e alle sue spalle dritte e la testa alta, che mostrava quegli occhi profondi e le labbra luminose a tutti i presenti con un coraggio e un orgoglio che non aveva mai provato prima.
La musica che veniva dalle casse sul carro era molto più alta di quanto avesse pensato. Fiorello era più spaesato di quanto cercasse di dimostrare, eppure stava cercando in tutti i modi di integrarsi con i suoi nuovi amici del gay bar che, nonostante non avesse ancora mostrato il viso e rivelato la sua identità, avevano comunque ormai intuito di chi si trattasse, e da quando era andata in onda la puntata in cui aveva i capelli corti erano riusciti a convincerla a partecipare al suo primo, primissimo gay pride.
I capelli erano di nuovo lunghi abbastanza da potersi acconciare in un grazioso taglio corto da signore, cosa che ben si adattava con il grigio sparso tra il castano che non intendeva coprire, sotto consiglio del suo migliore amico.
Indossava una maglia a bretelle con tanto di reggiseno apposito per coloro prive di molto materiale la reggere, quindi appariva che avesse un seno, e la sua gonna larga aveva un grazioso tema floreale su sfondo nero che dava un bel contrasto con le calze a velo scure e le scarpe, comode ma con un piccolo tacchetto, decisamente femminili.
E proprio femminile si sentiva, sopratutto perché nessuno l’aveva scambiata per uomo da quando era arrivata.
“Ti stai divertendo?” le chiese Fiorello prendendola per mano e urlandole all’orecchio a causa del volume della musica. Lei sorrise e cominciò a trascinarlo verso il carro principale. Ignorò le deboli proteste sulla sua forza e  “manco un golden retriver tira così” finché non arrivò abbastanza vicino perché la madrina di quell’anno non la notasse, o almeno, vedesse un Fiorello stremato che urlava e rideva mentre una donna dall’aria familiare un po’ lo tirava per il braccio, un po’ ballava.
“Rosario? Sei tu? Signori, mi è parso di vedere Rosario Fiorello! Un applauso! Vieni su, vieni su!”
Il pubblico subito cominciò a urlare e fare spazio, e questa volta fu Fiorello a trascinarla sino al palco, rossa come un peperone, ma felice come una pasqua.
“Buon pomeriggio a tutti!” esclamò al microfono. Il pubblico prese a fare un coro, e lui si ritrovò a ridacchiare in una maniera che le fece scaldare il cuore. Il suo migliore amico era nato per intrattenere.
“A giudicare da quanti siete qui oggi, direi che di etero qui in città non ne è rimasto più nemmeno uno, eh?”
La guardò e avvolse il braccio attorno alla sua vita. Lei ricambiò e rise con delicatezza, come si addiceva a una signora.
“Sono qui con la mia migliore amica. Una vita che ci conosciamo, eh? Quanto saranno ormai, Venticinque? Trent’anni?” “Trenta e passa, ormai!”
“Trenta e passa, signori! Da trent’anni che la conosco, ma nonostante la sua immensa bellezza non ci ha mai provato con me. Ditelo: non le sta benissimo questa gonna?” Un grido affermativo si alzò dalla folla mentre lei faceva un grazioso inchino tenendo i lembi della gonna e piegava le gambe divertita. Fiorello era davvero il suo angelo custode.
“Un applauso per la mia amica, e un altro per tutti voi! Viva gli strani, abbasso la normalità, ma che schifo è? Etero, poi come si dice una persona che non è tr-come scusa? Cis? E cos’è, la Gallia Cisalpina? Dicevo, etero, cis, ma che noia! Ma non è meglio avere qualcosa di particolare di cui parlare? Dico, se la mia amica qui fosse un uomo dovremo fare i soliti discorsi da maschi, ma che tristezza! E lo sport, e le donne, e questo, e quest’altro, e alla fine si finiscono gli argomenti! Invece qua noi parliamo- beh, parliamo lo stesso di queste cose, ma è molto più divertente perché, si sa, le donne non sanno niente di calcio! Si scherza, si scherza”, si corresse subito appena lei  minacciò di tirargli uno schiaffetto sul collo, seppur non riuscisse a smettere di ridere.
“Con questa mascherina pari Myss Keta, la cantante, lo sai?”
Ricominciò a ridere copiosamente. Era impossibile stare offesa con lui, persino per finta.
“Com’è che fa, la canzone, ‘siamo le ragazze di porta Venezia…’ ”
Il pubblico cominciò a cantare in coro.
“Ecco, esatto, proprio quella! Altro che ragazze, qui c’è di tutto! Qua, lei signora, che cos’è? Drag queen? Donna? Uomo? Chissenefrega? Come, scusi? Eh? Enbi? Cos’è Enbi?” La madrina gli disse qualcosa all’orecchio.
“Non ha un genere? Madonna ragazzi, siete troppo avanti voi. Di nuovo un applauso a tutti voi, che siate maschi, femmine, trans, drag queen e Enba, Enbi, quello che è! Mi raccomando, continuate a farvi sentire!”
L’applauso risuonò per le vie di Roma amplificato dalle strade laterali in modo così avvolgente da sovrastare la musica.
L’estate era volata via fin troppo in fretta. Rosario era coricato nel suo letto e si godeva la leggera brezza che entrava attraverso la finestra. Era vestito da casa.
Ultimamente si presentava a sorpresa a casa sua sempre più spesso, e restava a parlare, o anche semplicemente passare un po’ di tempo assieme, mentre lei si pettinava i capelli, ora lunghi abbastanza da arrivare quasi alle spalle, o si metteva lo smalto, o provava qualche nuovo vestito. Questo almeno nei giorni produttivi, perché la maggior parte delle volte erano semplicemente coricati l’uno di fianco all’altra ad assaporare il leggero vento di Roma che passava a lenire il caldo. Non c’era nemmeno bisogno di parlare.
“Sai cosa pensavo l’altro giorno?”
Fiorello la fissava con affetto. Lei sorrise.
“No, cosa?”
Lui cominciò un sorriso e allungò la mano verso la sua, forse per dare enfasi alla risposta che stava per dare, forse ancora come semplice gesto di amicizia.
“Non so se sia perché stai migliorando con la questione del femminile, ma mi pare che ogni giorno diventi sempre più bella. È da gay dire che sei bella?”
Quasi arrossì per il complimento.
“Perché dovrebbe essere gay? Sono una donna.”
Fiorello fece una certa faccia pensosa, poi sorrise piano, gli occhi neri puntati verso il suo viso con mordidezza.
“Una donna molto bella.”
Questa volta arrossì senza il quasi.
Novembre era un buon mese per tante cose. L’inverno cominciava a far sentire più forti le sue spire, persino in una città dal clima relativamente mite come Roma. Era notte.
Il bar era affollato come suo solito. La porta si aprì, il barista girò casualmente il viso, attirato dal rumore e dal movimento, e si gelò, sorpreso. Mise su un enorme sorriso incredulo e corse a chiamare quanto più personale potesse. Ben presto tutti i presenti, incuriositi da tutto quel trambusto, si girarono verso i nuovi arrivati.
Fiorello attirava sempre attenzioni, ma per una volta non era lui ad attirare gli sguardi. Accanto a lui, con i capelli ormai lunghi e ben acconciati che facevano da cornice a un trucco che ben si adattava ai suoi lineamenti e un abbigliamento elegante, seppur caldo abbastanza per il clima di quei giorni, c’era la conduttrice televisiva fino a poco tempo nota con un nome che ora preferiva dimenticare.
Fu la direttrice del bar in persona la prima a gettarle le braccia al collo.
“La mascherina, finalmente hai tolto quella dannata mascherina!” esclamò tra le lacrime mentre la nuova arrivata ricambiava l’abbraccio con tutto l’affetto possibile.
Non pensava si sarebbe mai sentita abbastanza sicura con sé stessa da fare una mossa del genere. Un anno prima aveva a malapena su uno smalto trasparente, come poteva immaginare che fosse solo l’inizio di qualcosa di così grande e incredibile? Il suo programma non solo non era stato sospeso come avevano minacciato perché i suoi ascolti erano  aumentati, ma la fascia d’età leggermente ringiovanita e i concorrenti erano diventati molto più vari e particolari, perché con una conduttrice dai lunghi capelli ma il solito completo blu dall’aria maschile (accordo fatto con la sartoria e le varie aziende coinvolte nella stesura del programma) faceva sentire tutti più accettati e rilassati.
Per strada raramente accadeva che sbagliassero ancora il suo genere, senza contare che coloro che di solito lo facevano erano avanti con l’età o dall’aspetto poco sveglio, cosa che le donava una fiducia nell’umanità che non pensava di aver potuto mai recuperare dopo la chiusura che gli era parso di notare agli inizi.
Era, insomma, ora di uscire dall’armadio.
“È strano poter parlare liberamente senza avere nulla in bocca”, disse mentre scioglieva l’abbraccio con la direttrice e iniziava quello con una delle cameriere che conosceva meglio. Peccato che il primo che avesse conosciuto in quel posto ormai non lavorasse più lì, ma si sa, la vita va avanti, e in ogni caso gli augurava solo cose belle.
“Dì pure che è strano poter parlare liberamente” disse qualcuno con un forte accento napoletano.
La voce era estremamente familiare per qualche motivo. Si girò e capì il perché: una donna particolarmente alta indossava una mascherina molto simile al quella che un tempo aveva indossato lei. Era stata proprio quella donna, migliaia di anni prima, ad averle offerto quella prima di colore verde (almeno per quanto potesse intuire, visto che non vedeva quel colore e supponeva che le mascherine marroni con paillettes non fossero molto comuni).
“Tu!” esclamò puntandole un dito contro,
“Sei stata tu a darmi la mascherina la prima volta!”
La donna fece spallucce.
“Io? Oh, può darsi. Offro mascherine a tutte le persone che preferiscono tenere la loro identità nascosta, quindi può essere.” Pensò di ringraziarla, correggerla e spiegarle quanto l’avesse aiutata nell’accettazione poter nascondere il proprio viso a piacimento, ma non fece in tempo: la donna sparì così com’era apparsa, tra la folla che ormai li circondava.
Certe persone erano proprio destinate a non essere che comparse senza nome. Certo, era brutto pensarlo, eppure era anche estremamente vero.
Guardò alla sua sinistra. Fiorello aveva gli occhi puntati sui suoi con un affetto così profondo, ma così profondo, che improvvisamente si accorse di essere innamorata di lui.
“Allo’, si è fatta una certa. Forse è il caso di andare a casa.” Rosario era bello persino quando il suo viso sbucava appena da una grossa sciarpa nera e un basco grigio, e si stringeva le mani compiaciuto e un po’ nervoso in quel modo che gli era tipico almeno quanto la sua vena comica.
Si avvicinò a lui. Dopotutto quella sera dentro al bar si era presentata con la sua nuova identità per la prima volta ad almeno un centinaio di persone: cosa la poteva più fermare?
“Casa mia o casa tua?” scherzò (ma nemmeno troppo) mentre gli solleticava il mento. Lo sguardo del suo migliore amico pareva non scherzare affatto.
“Mi sembra un po’ presto per quello.”
La sua voce era profonda e nervosa. Le stava fissando le labbra? Si riscosse e allontanò il viso da lei, quasi ci avesse ripensato. Le diede un buffetto sul braccio.
“E poi com’è, ora che sei donna ti piacciono gli uomini? Perché ricordo bene che per le donne avevi una…evidente reazione!”
Scoppiarono a ridere e lo minacciò scherzosamente con dei finti pugni.
“Non si dicono queste cose davanti a una signora!” esclamò tra le risate. Fiorello la prese per le braccia e la guardò con intensità, o forse era solo il suo sguardo ad essere naturalmente intenso e lei stava vedendo cose che non c’erano. Entrambe le cose?
“Signora, signora, e intanto non mi hai ancora risposto.”
Forse ciò che vedeva nei suoi occhi era più semplice nervoso. Esitò un attimo e distolse lo sguardo.
“Non ho mai pensato troppo a cosa avessi davanti mentre mi innamoravo. Se mi piaci mi piaci. Mi innamoro delle persone”, fece una breve pausa, “Non mi importa del sesso.”
Scoppiò a ridere da sola, una risata un po’ nervosa che ben s’intonava con il viso arrossito. Fiorello non distolse lo sguardo da lei.
“Quindi ti piacciono anche gli uomini?”
“Si. Anche prima di…di quest’anno.” “Perché non me l’hai mai detto?” Lo sguardo le scivolò sui piedi.
“Non è facile. Pensavo che tu avresti reagito male. Sai, se hai un amico a cui piacciono gli uomini di solito hai paura che ci provi e ti allontani un po’. Volevo evitare.”
Fiorello annuì e la prese a braccetto, poi la invitò a seguirlo nel fare una passeggiata nei dintorni. L’atmosfera era elettrica, piena di potenzialità e sottintesi ancora troppo nascosti da poter essere anche solo intuiti. Era una serata particolare, dopotutto.
“È per quello che non mi hai mai detto di te e Biagio?”
Il cuore le piombò a tanti anni prima. Tra lei e Biagio c’era sempre stata della tensione fin dai tempi del Festivalbar. Tensione che si era risolta una di quelle lontane estati, dietro un vicolo, tra un muro sudicio e il calore dei loro corpi che si confondeva con quello della notte di un paesino di provincia.
Avevano provato a mantenere una relazione, ci avevano provato davvero. Biagio era troppo impegnato con concerti e dischi, lei doveva tenere il voto di riservatezza a causa del suo lavoro; avevano dovuto interrompere, seppur si amassero ancora. Per fortuna erano rimasti buoni amici.
“Chi te l’ha detto?”
Fiorello sorrise amaramente.
“Lui stesso una quindicina d’anni fa. Era ubriaco e faceva commenti incredibili su una marea di cose, ad un tratto il discorso è caduto su di te, ha detto che non poteva dirmelo e invece me l’ha detto. Assieme a troppi dettagli sui vostri…uhm…chiamiamoli incontri intimi. Certe immagini non vanno via facilmente.”
“Ti ha detto anche d-”
“Si, mi ha parlato anche degli ‘incontri intimi’, ascoltami quando ti dico le cose. Quelli dopo che vi siete lasciati. Se non sbaglio era da un po’ di mesi che non ti vedeva quando l’ho incontrato, era abbastanza giù di morale. Fate ancora…?”
“Abbiamo smesso quando si è fidanzato con Paola.”
“Oh. Bene. Quindi nel…”
“2004.”
“Oh. Pensavo che aveste continuato, sai. Non lo facevo un tipo fedele.”
“Lui voleva continuare, sono io che ho messo un punto. Non potevamo andare avanti così all’infinito, no?”
“E lo ami ancora?”
Lo fissò con l’aria più scettica del mondo e ridacchiò.
“È stato quasi vent’anni fa. Ormai è passata alla grande.”
“Comunque c’è una cosa particolare che m’ha detto, qualcosa che proprio mi è rimasta in testa e te la devo dire.” “Che cosa?”
“Non ti facevo attivo.” “Cioè?”
“Beh, mi ha detto che non eri tu a prenderlo in paniere, per dirlo elegantemente. Tra i due. Lui era la donna. Aspetta, nel senso che lo prendeva, non nel senso che- insomma, hai capito”
“In realtà facevamo a turno.” “Si, ma lui lo prendeva di più.” “Perché ti interessa così tanto questa informazione? Lo vuoi prendere anche tu? Lo vuoi dare? Vuoi qualche consiglio? Cosa vuoi?”
Fiorello parve voler dire qualcosa, ma rideva così tanto che non poté farlo. Lei si unì alla sua risata, e di nuovo furono due amici che si divertivano soli nella notte novembrina, le nuvolette dei loro fiati che saliva verso i lampioni.
“Da una bella donna, magari, lo prenderei volentieri”, esclamò Fiorello guardandola eloquentemente.
“È una provocazione?”
“È una constatazione.”
Girarono l’angolo e cominciarono a tornare indietro, verso il parcheggio. Non sentivano più nemmeno il freddo.
“Se una bella donna ti chiedesse un bacio, invece?” La voce le saltò un po’ dal nervosismo. Diamine, gli aveva appena detto di essere attratta dagli uomini. Forse pretendere un bacio da lui era troppo. Eppure, pensò tra le righe, eppure non si sarebbe certo tirata indietro, se Fiorello avesse dimostrato quell’intenzione.
“Dipende tutto da chi me lo chiede. Lo sai quante malattie si possono trasmettere con un bacio? Metti che te lo chiede una figa che ha una malattia strana in bocca, te la contagia e tu come rispondi? ‘E ma era figa’? Però se me lo chiedesse una persona che conosco e di cui mi fido, allora non avrei alcun problema. Per esempio: se me lo chiedessi io accetterei. Per dire.” “Anch’io accetterei. Se fossi tu.”
Fiorello si fermò, si spostò davanti a lei e la guardò con un’aria indefinibile, il viso a pochi centimetri dal suo.
“Io dico seriamente.”
“Anch’io.”
La pausa fu brevissima. “Ti andrebbe di provare?”
Annuì. Bastò perché lo sguardo di lui si spostasse alle sue labbra lucide di rossetto, portasse delicatamente la mano alla sua guancia e si avvicinasse, un po’ nervoso, un po’ sicuro, e ancora un po’ naturale, perché la loro vicinanza passata rendeva l’esperienza estremamente familiare, seppur fosse una prima volta. Il bacio fu una delle sensazioni più belle della sua vita.
Sabrina la richiamò in sala trucco così in fretta che quasi non ebbe il tempo di poggiare la borsa in camerino.
“È successo qualcosa?”
La truccatrice cominciò a rimestare qualcosa in una piccola scatola la cui visione le era preclusa, per quanto cercasse di allungare il collo.
“Cos’è?” chiese con un sorriso che andava allargandosi sempre di più. Sabrina l’aveva aiutata non poco agli inizi, dopotutto. Aveva imparato molto presto a fidarsi di lei.
“Niente di che. Solo un pensierino per Natale.” Finalmente si girò con quella che pareva una minuscola valigetta di plastica nera e gliela porse.
“Non ho fatto in tempo a impacchettarlo per bene, mi è arrivato solo oggi.” Guardò ancora l’oggetto. Era più pesante di quanto avesse pensato.
“Beh?”
Guardò Sabrina con aria interrogativa. Doveva fare qualcosa?
“Non lo apri?”
“Oh, pensavo di aprirlo a Nat-” “Ma no, io a Natale mica ci sarò! Voglio vedere la tua reazione. Apri, apri!”
Intanto si era creata una piccola folla attorno alla porta, che sia lei che la truccatrice avevano inaccuratamente lasciato aperta. Pareva più lasciata aperta apposta in realtà, perché tutti i presenti avevano la faccia di chi sa bene di che regalo si tratta e vuole vedere la reazione.
Aprì delicatamente la valigetta.
Una sfilza di polveri colorate ricambiò il suo sguardo stupefatto.
“Oh. Oh…!”
Guardò Sabrina, poi la massa di persone sulla porta che sorridevano come diavoli, di nuovo Sabrina e infine la valigetta di trucchi intonsi.
“Ho provato a scegliere la tua tonalità migliore, sai? Questi in teoria sono professionali, ma non credo avrai problemi particolari a usarli con i miglioramenti che hai fatto in questi mesi. Ora ti trucchi molto meglio di alcune persone che conosco e lo fanno dall’adolescenza, sai?”
Non aveva abbastanza parole per ringraziarla, quindi spalancò le braccia e la avvolse con forza, rischiando nel frattempo di spargere il prezioso contenuto della valigetta per terra.
“Grazie per tutto”, le sussurrò all’orecchio mentre la stringeva, una mano sulla sua schiena e l’altra a tenere a stento il regalo.
“È stato un piacere”, rispose Sabrina con le lacrime agli occhi.
Lo studio si illuminò alla presenza di Fiorello che emergeva dalle quinte, tra il pubblico, e andava a schioccare un buon bacio sulle labbra pitturate della sua compagna.
“Scusate, scusate l’intrusione, eh! Nessuno sapeva che sarei venuto, nemmeno lei!”
La conduttrice rise di gusto e unì le mani in un unico applauso di confusa gioia. Non l’avrebbe mai detto ad alta voce, ma adorava le sorprese che Fiorello continuava a riservarle dall’inizio della loro sudata relazione.
Era aprile dopotutto, stavano ufficilamente insieme da appena cinque mesi, seppur si conoscessero da una vita, cosa che rendeva il dato abbastanza inaffidabile, ora che ci pensava.
“C’è un motivo particolare se sono qui oggi. Ecco, tra l’altro: devo ringraziare la splendida regia che mi ha permesso di venire qui a rompere le…spalle, ho detto spalle! Per fare questa cosa, ecco, volevo che fosse un po’ speciale, e quale posto più speciale se non il programma della mia donna preferita?”
Si avvicinò a lei, che gli schioccò un altro sonoro bacio, ma questa volta sulla guancia, poi si allontanò di nuovo e si rivolse subito verso il pubblico, gli espressivi occhi neri che scrutavano nervosamente attorno a sé.
“Che dite, lo faccio? Perché è una cosa particolare, qui non si torna indietro.” “Ma cosa vuoi fare?” chiese sistemando automaticamente una ciocca ribelle sulla spalla. Quando Fiorello era attorno a lei non riusciva proprio a smettere di ridere.
“Lo faccio, lo faccio.” Fiorello si girò di scatto verso lei. Con movimento fluido scese in ginocchio, e con altrettanta delicatezza afferrò un piccolo oggetto dalla tasca della giacca.
“Ama, so che forse è un po’ troppo presto- no, forse è un po’ troppo tardi, c’abbiamo sessant’anni, se non ci sbrighiamo non lo facciamo più, insomma.”
In mano teneva una scatolina di colore blu. Il suo cuore perse un battito, ma lo sguardo di Rosario non esitò un istante.
“Ama, all’anagrafe Rita (ti devo chiamare così in questa occasione? Credo sia il caso, si), Rita, ti andrebbe, se te la senti, ti sposarmi?”
Il pubblico trattenne il fiato. La regia e i tecnici pure.
L’anello brillava in filigrana d’argento come una goccia d’acqua al sole sotto le potenti luci dello studio. Annuì.
“Quindi mi sposi?”
Annuì di nuovo, questa volta con gli occhi pieni di lacrime e il sorriso più morbido che avesse mai fatto.
“Dillo a voce.”
“Si, Rosario. Certo che ti sposo.”
La commozione nella sua voce era tale da provocare un immenso torrente di applausi da parte di tutto lo studio.
Per quanto si sforzasse non riusciva a ricordare un’altra occasione in cui aveva mai abbracciato qualcuno in quel modo.
La spiaggia era deserta e il clima torrido come doveva essere a luglio inoltrato, merito del clima mediterraneo, anche se mitigato da morbide raffiche di maestrale in modo da non essere insopportabile.
Gli unici presenti erano gli invitati esclusivi a quel particolare matrimonio. Per l’occasione si erano chiusi gli accessi pubblici alla spiaggia, in modo da dare riservatezza all’evento; gli invitato totali non raggiungevano le cento unità.
I due sposi, un uomo abbronzato in uno smoking elegante e una donna dal trucco leggero, i capelli raccolti e un timido seno ben raccolto dal vestito bianco, seno tanto agognato e finalmente ottenuto con la sua terapia, particolarità che mostrava con orgoglio rivolta verso il suo sposo.
La firma delle carte, lo scambio delle fedi, il bacio, l’applauso finale, il pranzo e la festa nella villetta con giardino, tutto fu meraviglioso, tanto che le era impossibile scegliere un momento che spiccasse tra gli altri. O forse si: quando durante il taglio della torta Rosario aveva trovato il modo di mettersi un po’ di panna nel mento, e lei si era avvicinata a leccargliela via; quello era stato forse il momento più bello.
Eccola ora, mentre ondeggiava piano in un lento con il suo migliore amico, la persona che meglio conosceva, ma quasi gli pareva di conoscere a malapena, in quell’istante, con quel suo sorriso dolce e gli occhi scuri fissi sui suoi, felici e stanchi come lei.  
Posò il telefono con riverenza. L’enorme sorriso dipinto sul suo volto doveva parlare da sé, perché Rosario non le chiese niente: si limitò a darle un lungo, lunghissimo e appassionato bacio.
“Condurre Sanremo. Te ne rendi conto? Io, che ho iniziato a prendere ormoni nove mesi fa, io, condurre Sanremo.”
“E perché, ci volevi su qualcun’altro? Te lo meriti, Ama. Te lo meriti con tutta te stessa. Sai che sei una delle poche donne ad averlo condotto? Pensa a quanto tu abbia fatto per tutta Italia. Pensa a quanto tu sia importante per tutti, per primo per me, e poi baciami tanto, che se gli altri hanno bisogno di te, immagina quanto io ne ho di te!”
Rise di gusto. Cosa diavolo stava dicendo il suo fidanzato?
“Fiore, niente di quello che hai detto ha un senso logico”, ridacchiò ancora abbracciandolo stretto.
“Ha importanza?” rispose il suo Rosario lasciandole un morbido bacio sulla fronte.
“È da due mesi che sei mia moglie. Ricordi le promesse? Dovrai sorbirti i miei discorsi senza senso per tutta la vita!”
“Lo farei anche per tre vite, se potessi.”
“Guardate ragazzi, l’ospite di oggi è una persona così buona e così speciale che quasi mi commuovo a vederla entrare, scusate, sapete che ho la lacrima facile, io! Ha una storia meravigliosa di accettazione senza nessuna precedenza prima, qualcosa che si merita completamente, perché questa persona è davvero la cosa più affettuosa che io abbia mai conosciuto- pensate, prima mi ha fermato dietro le quinte e mi ha chiesto se poteva indossare i tacchi, perché sarebbe apparsa molto alta e mi avrebbe fatto sentire una nanetta, a me che diciamo non è che sia proprio bassottina, ecco. In ogni caso, probabilmente avete già capito di chi si tratta, dai, si è pure sposata da poco, in spiaggia in Sardegna, voi direte: e minc…! E io vi dico: dovevate venire, c’era un vento ragazzi, un vento che non faceva a stare! Ma è stata una cerimonia splendida, si vedeva proprio che c’erano due persone davvero innamorate l’uno dell’altra. Sto divagando, scusate. Anche perché poverina, è lì dietro le quinte che aspetta solo di entrare, e io invece sono qua a chiacchierare da sola come una pazza. Ve la annuncio? Eccola che arriva, un applauso alla regina del preserale, Ama!”
“Salve a tutti, salve!”
“No, no, aspetta prima di sederti, vieni qui che ti devo abbracciare un pochino, eh!”
Gli abbracci di Mara Venier erano proverbiali nel giro degli studi televisivi non senza valida ragione; se poi si considerava che ora erano in qualche modo imparentati, visto che era la migliore amica d’infanzia di suo marito, allora si può ben immaginare il tipo di abbraccio che ricevette.
“Ecco, così! Ma quindi alla fine ti sei messa i tacchi lo stesso!”
“Si, prima mi hai detto che-”
“Ma certo che sei davvero alta, sai? Non per tirare fuori la storia che prima eri uomo e cose simili, ma quanto sei alta? Che poi, solo due anni fa ti vedevamo in televisione coi capelli quasi a zero e il pizzetto che fa tanto musicista single, e guardati ora, fattelo dire tesoro, sei uno splendore!”
“Grazie Mara, ricambio volentieri.” “Eh, ormai qui si invecchia! Ma dimmi piuttosto: hai qualche notizia di Sanremo? Perché sai, ci sono voci molto contrastanti sulla conduzione o meno, con alcuni che dicono che a condurlo sarai tu, altri che dicono ‘eh no ma non lo farebbero mai, ora che è una donna’, hai presente?” “Si, si, ho letto qualc-” “Ecco, allora, visto che sei qui, ora, dacci qualche conferma, un minimo di notizia, qualcosina per capire meglio, ti va? Puoi?” “Si, ora finalmente posso parlarne.” “Oh! Finalmente! Io ragazzi ve lo devo dire: lo so già. Perché si sa, le notizie girano, anche qua in studio qualcosa è arrivato, com’è normale ragazzi, ora non bisogna farne una tragedia. Quindi?”
“Quindi-” “No, aspetta, fallo come se fossi al tuo programma, come si chiama, I-I Soliti Nascosti”
“Ignoti”
“Si, esatto, fammi un bel primo piano- ecco, hai un viso così pulito, sai quante donne vorrebbero avere una pelle come la tua? Perfetto, allora, cos’è che devo dire? Insegnami un po’, devo dire-”
“Allora, tu dici ‘Per- che ne so, trentamila euro?- per trentamila euro, signora Rossi, è lei che conduce Sanremo?’”
“Okay, perfetto, ho capito. Allora. Per trentamila euro, signora Ama, è lei che condurrà la prossima edizione di Sanremo? Abbiamo la musichetta? Oh, eccola, la abbiamo la musichetta!” Rise un po’, in barba al gioco reale, dove la persona inquadrata deve cercare di stare il più ferma e zitta possibile. La musichetta finì e arrivò il momento di rispondere.
“Si, sono io che condurrò Sanremo VentiVenti.”
“Buonasera e benvenuti a questa settantesima edizione del Festival di Sanremo!”
Non poteva negare di sentirsi un po’ a disagio in quell’elegante completo maschile, seppur rimodellato in modo da non nascondere completamente le tanto faticate curve. Portava i capelli raccolti in una complessa acconciatura ornata da piccole margherite selvatiche e un trucco leggero, quasi invisibile se una persona non voleva soffermarcisi troppo, ma abbastanza presente da illuminarle il viso e rendere i suoi tratti più femminei.
Faceva tutto parte della scelta dei costumi. La prima serata aveva l’abito più maschile, la quinta avrebbe usato il più lungo e femminile, con capelli ornati da fiori man mano sempre più vistosi; così avevano deciso gli stilisti, e lei non poteva dire di essere in disaccordo, perché era un buon modo per omaggiare il lungo percorso che l’aveva portata sino a quel punto.
Ciononostante era un po’ nervosa. Un conto era presentare il suo programma, dove con gli anni si era venuto a creare un ambiente domestico persino con i suoi spettatori, che non solo non avevano accennato a diminuire, ma addirittura erano aumentati da quando aveva iniziato il suo cambiamento. Un’altro era realizzare il suo sogno di una vita e condurre una delle più importanti manifestazioni musicali dell’intero Paese.
Fiorello l’aveva aiutata non poco. La sua sola presenza aveva il potere di calmarla, e la sua introduzione di quella sera, quando lui si era presentato sul palco vestito da Don Matteo, era stata come al solito fenomenale. Non che avesse qualche dubbio, visto che lo conosceva ormai da abbastanza tempo da non poter dubitare in alcun modo delle sue capacità intrattenitive.
Guardò davanti a lei.
Il pubblico senza volto era oscurato dal contrasto creato dalle luci sul palco. Le telecamere fissavano irrefrenabili come occhi affamati.
Era il momento di soddisfare quella fame.
Rivolse una breve occhiata al gobbo, fece un rapido calcolo dei tempi, sistemò le mani ordinatamente davanti al busto e cominciò a vivere.
16 notes · View notes
stregacorvina · 5 years ago
Text
Violet Bouquet
Welcome back to the Tuesday entry! Today I wanna show you a single set that is also part of a mini collection with the same name “Violet Bouquet”.
Tumblr media
There are all the pieces that create the Violet Bouquet collection. I am making only one post for the set and the collection this time because it is made of only few pieces, unfortunately I do not have this lovely fabric anymore - but I have a couple of totebags made with this that I can dismantle to have more.
Tumblr media
I bought this fabric long time ago to make a Lolita skirt for me, I think I still have some picture somewhere.... yes I found them!
This skirt was a set corset + skirt actually, the corset is removable and I did the skirt with some ribbons inserted in the princess seams on the front and on the back to be gathered as a bustle. I used some purple cotton trim and lace to decorate this skirt but I do not have any more left to add to the dolls clothes. It was a really fun skirt to make and I have worn it a lot (I also wear this skirt the day I graduated from the Fashion School), I think it is still somewhere in my parents’ house.
Tumblr media Tumblr media Tumblr media
I used to wear it with my lilac corset, the first corset I ever did. (Sorry if the pictures are really ugly, I was in high school when I sewn these garments so they are more than 15 years old! - also you can see the logo and the frame of my old website, not active anymore)
Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Anyway, let’s go back to the Violet Bouquet collection! This collection is made of a corset, a long skirt and two short skirts. The set corset + long skirt started as an historical project as I was using a circa 1600 gown for reference, but then I changed my mind because I did not have enought fabric for all the ruffles :( 
Tumblr media Tumblr media
As you can see I was quite accurate with the corset (except for all the details on the bertha collar), I did the same V shape on the front and tried to replicate as much as I can the sleeves, luckly I had a purple lace that was perfect for this project!
Tumblr media Tumblr media Tumblr media
For the skirt I tried to stay true to the original silhouette but again I did not have so much fabric so I changed the shape a bit: I kept the pleats on the waist but I made them less deep and I decided to do a little train on the back. I used the same lace and three small bows to make the ruffles and the decorations on the back.
Tumblr media Tumblr media Tumblr media
I tried a little shooting with this dress (again on my sofa) to check if the lenght was the one I want and to be sure it didn’t need a petticoat underneath to keep its shape, when I was satisfied I took better pictures against the wall.
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
I love sooo much this set and I think it’s perfect for this doll and this wig. It’s by far ma favourite project togheter with She-ra. Do you like it? What do you think? Let me know! You can always find this project in my Etsy shop if you are interest and it can be made in any fabric you like and fort any dolls you like.
Moving on to the rest of the pieces, the two skirts, I made them using a circle skirt pattern that it is also available on Etsy along with the corset pattern.
Tumblr media
The first skirt is a simple circle skirt with three layers of gathered lace and organza, the same you have seen in white on my Belle Cosplay. It closes with a bit of velchro fastener in the back, hidden under a little bow in the same fabric.
Tumblr media Tumblr media
The second skirt is an asymmetrical skirt, longer on the back with a gathered ruffle in the middle made in the same fabric and the same purple lace used on the set on the bottom ruffle. Again, it closes with a bit of velchro fastener in the back, hidden under a little bow in the same fabric.
Tumblr media Tumblr media
And there are some pictures of these skirts with the off-white shirt that I already shown you and the corset of the set.
Tumblr media Tumblr media
I hope you like them and that you like this fabric as much as I do! See you again on Thursday with another dolls collection.
Chiara (StregaCorvina)
Bentornati al post del Martedi! Oggi vi farò vedere un set singolo che fa parte di una mini collezione chiamati entrambi “Violet Bouquet”.
Tumblr media
Questi sono tutti i pezzi che fanno parte della collezione Violet Bouquet. Faccio un post unico per il set e la collezione questa volta perchè è fatta solo di pochi pezzi, purtroppo non ho più questa adorabile stoffa - anche se ho due borse realizzate con lo stesso tessuto che potrei sempre smontare per averne di più.
Tumblr media
Ho comprato questa stoffa tanto tempo fa per farmi una gonna Lolita dovrei ancora avere le foto da qualche parte.... a si le ho trovate!
Questa gonna in realtà è un completo corsetto + gonna, il corsetto è una sorta di cintura removibile e nella gonna ho inserito dei canali nelle cuciture davanti e dietro per far passare all’interno dei nastri di raso da tirare su per arricciare la gonna. Ho usato poi una passamaneria e un pizzo di cotone viola per decoare orli e cuciture, purtroppo però non ne avevo più per usarli anche sugli abiti per le bambole. E’ stata una gonna molto divertente da realizzare e l’ho usata tantissimo (l’ho indossata anche il giorno che mi sono diplomata all’Accademia di Moda) e probabilmente è ancora da qualche parte a casa dei miei genitori.
Tumblr media Tumblr media Tumblr media
La indossavo sorapttutto insieme al mio corsetto lilla, uno dei primi corsetti “seri” che ho realizzato. (Mi spiace le foto sono veramente orribili, ero al liceo quando ho cucito questi abiti...perciò più di 15 anni fa! - inoltre potete vedere il vecchio logo e la grafica che usavo nel mio vecchio sito web, non più attivo ormai)
Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Comunque, tornaimo a parlare della collezione Violet Bouquet! Come dicevo questa collezione è costituita da un corsetto + gonna lunga e da due gonne a ruota corte. Il set è iniziato come un progetto storico perchè stavo usando un’immagine di un abito del 1600 circa come ispirazione, poi ho dovuto purtroppo cambiare idea strada facendo perchè non avevo abbastanza stoffa per la gonna e tutte le arricciature :( 
Tumblr media Tumblr media
Come potete vedere ho cercato di rimanere abbastanza fedele nel fare il corsetto (tranne che per tutte le decorazioni sulla scollatura), ho tenuto la forma a V del davanti e anche le maniche sono abbastanza simili, per fortuna avevo un pizzo lilla perfetto per questo abito!
Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Per la gonna invece ho cercato di mantenere il più possibile la silhouette originale ma ho dovuto fare alcune modifiche per via della mancanza di stoffa: ho mantenuto le pieghe in vita ma le ho fatte meno profonde e ho deciso di fare un piccolo strascico sul dietro. Ho usato lo stesso pizzo lilla per le balze e ho fatto tre piccoli fiocchetti nello stesso tessuto da mettere sul dietro.
Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Ho fatto qualche foto (sempre sul divano) per controllare la lunghezza finale e verificare se fosse necessaria una petticoat per mantenere la forma, dopo aver verificato che l’aspetto era come lo volevo ho fatto delle foto migliori contro il muro.
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Adoro tantissimoooo questo set, credo sia perfetto per questa bambola e questa parrucca. Fin’ora è sicuramente il mio lavoro preferito insieme a She-ra. Che ne pensate? Vi piace? Fatemi sapere! Come sempre trovate questo progetto nel mio negozio Etsy se vi interessa e può essere riprodotto con qualsiasi tessuto e per qualsiasi bambola.
Andando avanti con gli altri pezzi, le due gonne, le ho realizzate usando il cartamodello per gonne a ruota disponibile nel mio negozio, così come il cartamodello per il corsetto.
Tumblr media
La prima gonna è una semplice gonna a ruota con tre balze di organza e pizzo arricciati, lo stesso pizzo che ho usato bianco per il Cosplay di Belle. Dietro si chiude con un pezzetto di velcro sulla cintura, nascosto da un fiocchetto dello stesso tessuto.
Tumblr media Tumblr media
La seconda gonna è una gonna asimmetrica, più lunga dietro, decorata con una balza arricciata di tessuto al centro euna balza arricciata in fondo, decorata con lo stesso pizzo del set. Anche questa, si chiude dietro con un pezzetto di velcro sulla cintura, nascosto da un fiocchetto dello stesso tessuto.
Tumblr media Tumblr media
Ed ecco alcune foto delle gonne indossate, con la camicetta crema che vi ho già mostrato e con il corsetto del set.
Tumblr media Tumblr media
Spero vi piacciano e che troviate la stoffa adorabile come me! I hope you like them and that you like this fabric as much as I do! Ci vediamo Giovedi per parlare di un’altra collezione di abiti per bambole! A presto
Chiara (StregaCorvina)
6 notes · View notes
infelixvoluptas · 5 years ago
Text
Oddio, sono stato taggato da @preveggenza, @valentinadisera, @lesfilatenonsorridono e @atarassie (che Tumblr ha deciso di non farmi taggare), quindi mi sa che devo farlo per forza.
Vediamo se mi ricordo cosa devo scrivere senza salvare il post nelle bozze otto volte per controllare quelli che hanno fatto gli altri.
FILM: ieri ho guardato La prima cosa bella di Virzì, ma ho notato che sia su Prime tv che su Netflix hanno aggiunto molti film italiani un po' curiosi, un po' romantici, un po' malinconici. Credo ne farò una scorpacciata.
MUSICA: consumerò i miei vinili sicuramente, per fortuna ho due puntine di ricambio per il giradischi nel cassetto. Adesso sul piatto gira erozero di Renato Zero, prima c'era Lucio Dalla, chissà cosa verrà dopo, forse gli Yes o i Supertramp.
LIBRI: ho appena finito di leggere una guida dell'agenzia delle entrate sul funzionamento delle agevolazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie, non so se conta. Ho un libro di Saramago che mi aspetta, il vangelo secondo Gesù Cristo, sempre che mi decida ad iniziarlo.
RICETTE: non so se avrò voglia di cucinare qualcosa, devo capire se consegnano il sushi a casa. Comunque vorrei speriamo un twist sulla base del Negroni con lo Jägermeinster alla vaniglia e cannella come bitter, vi terrò aggiornati.
ALTRE ATTIVITÀ: ultimamente compravendo orologi da polso vintage, la cosa sta rendendo abbastanza, ho alcuni pezzi da rimontare per venderli, in più sto cercando dei pezzetti di ricambio. Magari ricomincerò di nuovo a giocare a Minecraft...
Non taggo nessuno perché ormai mancavo solo io all'appello 😂
7 notes · View notes
themetamorosnsquadtwins · 6 years ago
Text
From Fake Lovers To Friends... - Pt. 7
Con un nuovo computer e una settimana teatrale intensiva alle spalle e  pure un giorno di malattia, eccomi di nuovo con questa Au. Ormai bisogna arrivare pure ad un dunque, no? Ecco. E arriviamoci, allora.
Trovate qui le vecchie parti uno due  tre quattro cinque e sei
Quando Ermal si risveglia, è già buio.
Non che sia difficile considerato che è inverno e il sole cala presto, ma l’oscurità che avvolge la stanza è così densa da fargli intendere che deve essere molto più tardi del previsto.
Sbatte lentamente le palpebre, appesantito da quella dormita imprevista, cercando di fare mente locale sulla posizione del suo cellulare per poter controllare l’ora
Si muove appena sotto alle coperte che sembrano soffocarlo dal caldo, la fronte e il collo sudaticci, ed è solo cercando un appiglio per tirarsi su che si rende conto di aver posato una mano su qualcosa di solido accanto a sé
Qualcosa che non è decisamente il materasso
Qualcosa che, a conti fatti, deve essere il petto di Fabrizio dato che lo sente abbassarsi e alzarsi regolarmente, seguendo il ritmo del suo respiro lento e pesante, segno del fatto che è immerso in un sonno profondo.
Nella penombra, dopo qualche secondo di sforzo, riesce a distinguere la sua figura stesa di schiena accanto a lui.
La testa appena reclinata indietro, la bocca socchiusa e un braccio teso dietro la sua testa, a circondarlo come in un abbraccio: si sono addormentati e sono finiti accoccolati 
Gesù, che qualcuno ponga fine alle sue sofferenze
Per fortuna che voleva i suoi spazi cazzo. 
Non aveva calcolato che nel sonno sarebbe finito ad aggrapparsi a quella stufa umana che si era rivelato essere il suo momentaneo compagno di letto - perché si, Fabrizio è caldo, caldo come un termosifone e Ermal non capisce come non fosse potuto svegliare prima dato che ormai è madido e sente la maglietta appiccicata alla schiena sudata
Sospira ancora, allungando una mano alla ricerca del telefonino: non ricorda di averlo posato, per cui deve essere rimasto lì, tra di loro.
Da quel che rimembra, si erano messi a parlare e, man mano, il torpore del letto e la stanchezza avevano appesantito le loro membra e arrotondato le loro labbra in degli sbadigli. Si erano sdraiati meglio, sistemandosi in una posizione più comoda. Le parole si erano fatti sussurri e i sussurri respiri e, infine, avevano ceduto al sonno senza quasi rendersene conto 
In effetti, pochi istanti di ricerca dopo, la mano di Ermal raggiunge il cellulare, che afferra e si porta vicino al viso, premendo il tasto per accendere la schermata di blocco
Nel flebile bagliore che gli illumina il viso e fa strizzare le palpebre per il fastidio, nota che la batteria è al 2% e che ha una cosa come sette chiamate perse
L’orologio in primo piano segna un quarto alle dieci 
“Merda” bisbiglia, stropicciandosi il viso con una mano e aprendo WhatsApp solo per trovarci dei messaggi di Gent che gli chiede se stia bene e perché non si è presentato a cena.
Preme il tasto della chiamata, attendendo una risposta che arriva qualche secondo dopo.
“Gent” mormora, a bassa voce, cercando di non svegliare Fabrizio mentre si mette seduto, la testa che quasi gli gira da tanto è ovattata e ancora resa pesante dal sonno “Scusa se non ho risposto ci siamo-”
“Addormentati, lo so” risponde la voce altrui dall’altro capo del telefono, tenuta alta per sovrastare la musica che si sente in sottofondo “Sono venuto a bussare e ha aperto Fabrizio. Ha detto che stavate dormendo e che gli dispiaceva svegliarti perché eri stanco per cui abbiamo lasciato perdere e abbiamo mangiato senza di voi” lo rassicura “Noi siamo usciti, siamo in un locale, ma immagino che voi non ci raggiungerete giusto?”
Per un secondo, Ermal non risponde
Voltatosi, osserva la figura pacificamente dormiente di Fabrizio, stesa accanto a sé
L’ha lasciato dormire, quindi.
“Fabrizio non ha mangiato con voi?” chiede con voce roca, perplesso della cosa: va bene lasciarlo riposare, ma perché non scendere a cena? Il pensiero che non abbia voluto lasciarlo solo lo sfiora e lo fa arrossire nello stesso istante “Comunque no, non credo vi raggiungeremo” balbetta poi, pensando che nemmeno se lo pagassero si farebbe trascinare lì in quel momento
Sarebbe decisamente troppo per la sua povera testa che già sembra esplodere
“Oh no. Gli dispiaceva lasciarti solo, nel caso tu ti svegliassi” Spiega Gent prima di urlare a qualcuno di dargli un minuto “Se va tutto bene-”
“Vai pure, si” lo ferma Ermal, stropicciandosi ancora il viso che sembra quasi scottargli dalla stanchezza “Non ti preoccupare. Grazie Gent. Mi spiace per la cena” sussurra, anche se in realtà è ben grato di essersi risparmiato quella tortura.
Anche se ora il suo stomaco brontola mentre dice “A domani, ciao. Divertiti stasera” e riattacca, il telefono che gli muore in mano letteralmente qualche secondo dopo
Lo lancia quindi sul materasso accanto a sé, indeciso sul da farsi: potrebbe andare a mangiare qualcosa da solo, ma non ci tiene al fatto di lasciare Fabrizio da solo perché... beh, lui non l’ha fatto e non sarebbe carino, ecco
E poi, non saprebbe dove andare
Lo osserva, le guance che si arrossano più di prima al pensiero che aveva pensato giusto quando gli era balenata per il cervello l’idea che Fabrizio non volesse lasciarlo solo
Scuote appena il capo, non sapendo cosa pensare o dire o fare
E’ stato carino
Quello può ammetterlo
A sé stesso, certo non a lui, ma può farlo
Allo stesso modo, può ammettersi anche che la cosa, per quanto stupido gli sembri razionalmente, gli abbia fatto piacere
E non un semplice piacere da oh che bel gesto, ma un piacere appena più intenso, di quello che ti prende alla bocca dello stomaco e ti fa gongolare appena una volta raggiunta la consapevolezza dell’idea che è stato fatto per lui e per lui solo
E’ una sorta di piacere vittorioso
Che cazzate
Come se Fabrizio avesse qualcosa da dimostrargli poi
Beh, certo che non ce l’ha -a parte fargli vedere di essere un buon finto ragazzo, chiaro, e quella mossa potrebbe anche rientrare nel pacchetto fake boyfriend ma non è del tutto convinto dato il tipo di persona che si è dimostrata Fabrizio-ma proprio per questo quel suo gesto gli risulta ancora più piacevole
“Stupido Fabrizio” pensa, mentre si ritrova ad arrossire quando, dopo quell’attimo, giunge la consapevolezza che in qualche modo l’altro è riuscito davvero a farsi strada nel suo cervello e sì, anche un po’ nel suo cuore
E’ andato sotto alla sua pelle, come dicono gli inglesi.
Cazzo
A distoglierlo dai quei pensieri ci pensa il suo stomaco che brontola di nuovo
Per cui, delicatamente si sporge appena verso Fabrizio, deciso a svegliarlo per poi andare alla ricerca di cibo
Lentamente, gli posa una mano sul petto, scuotendolo appena
“Fabrizio” bisbiglia a mo’ di richiamo
Quando l’altro non risponde, continuando a dormire beato, lo scuote appena un po’ più forte
“Fabrizio. Oh, Fabrizio” borbotta, alzando appena la voce, avvicinandosi per farsi sentire e ricevendo in risposta un grugnito tipico di chi russa
Fantastico
Il suo finto ragazzo gli ha appena russato in faccia
Cosa volere di più dalla vita
“OH” sbotta scuotendolo ancora di più “Fabrizio ti vuoi sveglia-Attento!”
Esclama quell’ultima parola quando Fabrizio ritorna nello stato di veglia di scatto, sobbalzando, cosa che gli fa quasi prendere una testata
Lo guarda, confuso, disorientato dal sonno e dal risveglio improvviso 
“Ao” borbotta, osservandolo, sbattendo le palpebre e sbadigliando prima di stropicciarsi gli occhi “Che c’hai?” domanda
Ermal scuote appena il capo a vederlo così, quasi intenerito dalla visione
“Niente. E’ solo che... è tardi. Mi sono svegliato e avevo fame così volevo chiederti se...se ti andasse di prendere qualcosa” mormora, ed improvvisamente ora si sente ridicolo ma mormora “Non volevo lasciarti qui da solo”
Evita di aggiungere “dato che tu non l’hai fatto” ma lo sottintende con il rossore che gli colora le guance e che anche nella penombra gliele fa scottare
Fabrizio ci impiega un attimo a riprendersi, ma quando lo fa sorride
Non si aspettava di certo di trovarsi Ermal così vicino al risveglio, ma tant’è
Se lo osserva un attimo, pur se non riesce a vedere i dettagli del suo viso per bene visto il buio nella stanza, ma non gli importa troppo
Non quando sente il suo respiro caldo sul viso
“Me va qualcosa” dice, annuendo, parlando a bassa voce per non farlo allontanare
Lo sente, appoggiato contro al suo corpo, e lo vede, davanti a sé e vorrebbe quasi allungare la mano per accarezzarlo, cosa che fa
Lentamente porta le dita a sfiorargli appena una guancia, e ciò fa pietrificare Ermal
Che, in tutta onestà, era così preso a guardarlo da non accorgersi del gesto che l’altro stava compiendo fino a quando non ha sentito quella leggera carezza
Rimane immobile per un istante, il viso che va a fuoco ricolmo di indignazione che però non riesce a nascondere lo stupore
“Che stai facendo?” bisbiglia, aggrottando la fronte, anche se non si sposta da lì, rimanendo immobile
Di tutta risposta, Fabrizio scrolla le spalle
“Niente. Te faccio ‘na carezza”
“Una carezza non mi sembra niente” risponde Ermal perché quando mai può tacere eh quando, ma di nuovo non si sposta, rimanendo lì
Guarda Fabrizio, il respiro appena accelerato mentre senza nemmeno accorgersene si lecca le labbra
Cosa che ovviamente Fabrizio nota
Mica scemo il ragazzo eh
Ermal nella sua testa, sta ripensando al bacio imprevisto e non gradito della mattinata. Non dovrebbe, ma non può impedirselo
Continua a pensare al corpo di Fabrizio premuto contro al suo come in quel momento e alle sue labbra ruvide sulle proprie e finirà per impazzire se ci pensa ancora ma il suo cervello sembra essere inchiodato lì senza possibilità alcuna di sfuggire
Anche Fabrizio in realtà ci sta ripensando, ma diversamente da Ermal pensa a quanto sia stato coglione a buttare via quella sorta di primo bacio tra loro in quel modo
Certo, le circostanze lo richiedevano, ma vorrebbe poter riavvolgere il nastro per avere un altro modo
cosa impossibile, ovviamente
Però, può sempre provare a rimediare
“Regazzì” mormora dopo un istante che lo guarda “Posso dì ‘na cosa senza che tu te la prenda a male?” domanda
Ermal corruccia la fronte a quella domanda, impensierendosi
“Ok” dice, anche se si chiede cosa voglia dirgli 
Forse di levarsi dalle palle visto che sta steso su di lui come il bucato al sole
“Volevo dirti che...me dispiace, per stamattina”
A quelle parole, le sopracciglia di Ermal schizzano verso l’alto seppur nella loro non esistenza
“Per...stamattina?” chiede, facendo finta di non intendere a cosa si riferisce
“Sì” annuisce Fabrizio “Per il bacio. Me dispiace”
Le sopracciglia di Ermal iniziano a librarsi a qualche atmosfera di altezza
“Mi hai già detto che ti dispiace” replica, scrollando poi le spalle “E’ ok, davvero. Ti sei già fatto perdonare” sussurra e non sa se sta tenendo la voce bassa per decenza vista l’ora o perché quel momento gli sembra intimo al punto da richiedere una sorta di protezione 
Fabrizio di rimando scuote la testa
“Me vorrei fa perdonare ancora” replica, guardandolo, la luce lunare che fa scintillare le sue iridi
“Come?” domanda Ermal, inclinando il capo delicatamente
Non si spiega che gli salti in mente tutto d’un tratto a Fabrizio, ma è curioso
“Il fatto è” mormora, prima di prendere un profondo respiro
Daje Fabbrì. O la va o la spacca.
“Il fatto è che t’ho già chiesto scusa per averti baciato senza il tuo permesso, ma mo’ non lo voglio più fare. Perché vorrei baciarti. E vorrei il tuo permesso per farlo. Perché sì, mi dispiace anche che il nostro primo bacio sia andato così. Aspe mo’ fammi parlare” anticipa, vedendo che ormai le sopracciglia di Ermal hanno raggiunto allegramente l’Hubble.
In effetti, l’altro fa sempre più fatica a credere ad ogni parola: cioè, non solo Fabrizio si sta scusando di nuovo ma lo sta facendo perché lo vuole baciare
Ma dove cazzo sono, in Gossip Girl?
Maledetta anche Sabina e i suoi programmi trash
Però, attenzione, vuole il suo permesso
Buongiorno Jane Austen, non sapevo di essere dentro Orgoglio e Pregiudizio.
Eppure, in un qualche modo strano, la cosa gli fa piacere
Il solo fatto che voglia chiederlo, lo fa sorridere appena appena, giusto quell’accenno per non sembrare terrorizzato
Non è stupido, Ermal
Dal momento in cui si sono ritrovati vicino in quel modo ha sentito l’elettricità caricare l’aria attorno a loro, l’attrazione reciproca farsi viva e vegeta nei loro culiori 
Eppure, invece di baciarlo e basta, Fabrizio gliel’ha chiesto
Ormai, non può più inventarsi nulla: vento, acqua, terra, fuoco, aria, will questo gruppo guiderà non possono più essere una giustifica alla sua ormai evidente attrazione quantomeno fisica per l’altro 
Insomma, Fabrizio è bello
Ed è anche molto più carino del previsto come persona
Ora come ora, non si ricorda nemmeno perché gli stava sul cazzo
Forse si sbagliava
Magari ha confuso persona
Comunque, Fabrizio continua a blaterare 
“Mo” dice, guardandolo “Nun è che so partito pensando che avremmo fatto chissà cosa. Davvero. Solo... solo che mi sento veramente stupido per aver buttato via un primo bacio con te così. E non è che dobbiamo per forza baciarci, o che io abbia pensato che l’avremmo fatto, ma ora me pento di aver fatto quel gesto. Vorrei baciarti perché anche tu lo vuoi, ecco” balbetta, umettandosi nervosamente le labbra “Perché...beh, sei bello e me piaci e quindi vorrei farlo ecco”
Fabrizio si zittisce, guardandolo nel buio, cercando di leggere sui suoi lineamenti nascosti se ha o meno fatto un danno irreparabile
E poi, incredibilmente, lentamente, Ermal annuisce
Annuisce e fa schioccare appena le labbra
“Ok” dice “Baciami allora”
Fabrizio non ci può proprio credere, onestamente, ma non appena il suo cervello elabora cosa ciò significa il sul corpo reagisce in automatico, sporgendosi verso di lui, la mano che aveva sul suo viso che diventa coppa e appoggio per la sua guancia
Chiude gli occhi, Ermal, li chiude come Fabrizio, e gli mancano davvero pochi centimetri di spazio che sembrano cortissimi eppure infiniti prima che le loro labbra si sfiorino delicatamente, con una sorta di leggera dolcezza che fa sorridere appena Ermal data la delicatezza altrui che non si aspettava così
Se lo sarebbe aspettato irruento, quel bacio, e invece no, si prendono il loro tempo
Esplorano la sensazione delle loro labbra premute insieme prima di muoverle delicatamente le une sull’altre, imparando la ruvidezza o la morbidezza di quelle altrui, la loro forma, il loro gusto, il loro modo di muoversi
Rimangono lì qualche istante prima di andare oltre, prendendosi il tempo anche per schiuderle le labbra, con una delicatezza quasi immane
Ermal non pensa a niente in quel momento
pensa solo a quei gesti, alle loro parti del corpo che si toccano e sfiorano, a quelle che non lo fanno
Ai loro pesi, al loro calore, ai loro respiri 
Alle loro pelli sudaticce appena incollate insieme mentre si baciano, là, dove la maglietta si è sollevata
Pensa alla mano di Fabrizio sul suo viso, alla sua bocca sulla sua, alle loro lingue che si intrecciano dolcemente
E anche fabrizio non pensa a nulla
Pensa solo ad Ermal, al suo corpo magro e spigoloso, alle sue membra lunghe e affusolate, al suo viso perfetto che regge come se fosse un tesoro
E’ solo quando gli manca il fiato che si staccano, guardandosi, realizzando solo in quell’istante davvero di quel bacio
Non appena si permettono di pensarci, l’imbarazzo cala su di loro
In fondo, sono due semi sconosciuti infilati nello stesso letto che si baciano
Se questo non porta al sesso, è normale che altro subentri e dato che loro non hanno intenzione di farlo, almeno non per ora, si sentono improvvisamente a disagio
Fuck
Si sono appena baciati 
 Ermal si allontana dopo un secondo di stallo passato guardandosi senza sapere cosa fare o dire e chiedendosi cosa pensasse l’altro, schiarendosi appena la voce
Hanno bisogno di uscire da quello stallo e in fretta
“Allora” dice con una strana nota di allegria forzata nella voce “Cibo?”
75 notes · View notes
omgmyriamlove · 5 years ago
Text
Cap.1
Anno 2064
Uno dei suoni piú fastidiosi nella vita dell’uomo è sicuramente quello della sveglia. Un suono acuto, incessante e capace di cambiare ritmo nella frazione di un secondo, un suono che ti obbliga ad aprire gli occhi e smettere di sognare, per cominciare a vivere un'altra giornata.
Ed è proprio per quel suono acuto che aprì un occhio e allungo la mano per fare cessare quel coso. Puntellò i gomiti sul materasso, si prese la testa tra le mani per poi farle scivolare sul viso. Si guardò intorno; la stanza, come al solito era in disordine; vestiti sparsi ovunque, ormai non si vedono più neanche i mobili. Solo il letto è salvo.
“devo dare una ripulita” pensò tristemente “se entra mamma sicuro le prende un infarto”
Ridacchiò al solo pensiero. ‘’Fortuna che abito da sola da un po’ ‘’.  
Mi alzai a fatica, appendendomi letteralmente all’anta dell'armadio che avevo appena aperto. Vuoto. Completamente vuoto.
“devo ASSOLUTAMENTE mettere a posto” pensai. Con poca voglia iniziai a cercare i vestiti da mettere quel giorno. Dopodichè raggiunsi il bagno per la mia beauty routine quotidiana.
Mi guardai allo specchio.. “sembro uno zombie”.
Dopo essermi lavata la faccia passai la crema giorno sul viso... non tanto per mascherare chissà quale ruga “ho ancora 25 anni per Diana!” Ma perché nonostante l'acqua gelata sembra ancora che stia dormendo. Grazie alla crema il viso prese un po’ di elasticità. “Ecco, ora sembro piú o meno sveglia!”. E come tutti i giorni: passo l'eyeliner nero sui miei occhioni verdi e subito dopo il mascara; spazzolo i miei capelli rosa e mi lavo i denti.  
---
Esco dal bagno e mi dirigo in cucina. Di tutte le stanze di questo appartamento solo la camera da letto sembra un campo di battaglia, mentre le altre sembrano uscite dalla rivista “ikea”. Adoro pulire , e sono piuttosto brava, ma purtoppo ho l'abitudine di gettare vestiti a casaccio in camera “perché probabilmente dopo mi serviranno”.  
Esco di casa vestita con camicetta smanicata bianca e gonna nera a vita alta. Indosso scarpe da ginnastica ai piedi e in mano (oltre alla pochette) ho un paio di scarpe con tacco 10. Apro lo sportello della macchina e mi dirigo a lavoro.
20 minuti di strada separano il mio appartamento dall’azienda, e pensare che manco ci speravo di finire a lavorare proprio lì.
Per un caso fortunato sono diventata la segretaria personale del direttore di “Suna™” una delle poche (forse l'unica) ad avere il monopolio di apparecchi tecnologici. Telefoni, tv,computer, droni.. tutto quello che è tecnologico a all'avanguardia lo abbiamo fatto noi.. cioè lo hanno fatto loro. Lavorano sia per i cittadini che per le autorità. Ma per quest'ultima le tecnologie che usiamo sono riservate.  
Ho conosciuto il direttore un anno fa ad un  aperitivo in un locale in centro di Miami. Ci avevano scambiato gli aperitivi al bancone. E tra uno scambio di battute e un altro il giorno dopo ero nel suo ufficio per essere assunta come segretaria personale. Mi disse semplicemente che aveva bisogno di una persona con il mio carattere e la mia grinta. Io invece credo il contrario. Sono convinta che avesse bisogno di qualcuno che tenesse a freno la sua “mano lesta” ed evitasse che il suo matrimonio di finisse a rotoli. Non che non ci abbia provato, anzi! Dal primo secondo che misi piede in quell’ufficio lui azzardo per due volte di appoggiare la sua “mano di velluto” (cosí la chiama) sul mio fondoschiena. Ovviamente gli impedii di arrivare al suo scopo e al terzo tentativo gli minacciai di tagliargli la mano di netto con taglia carte che aveva sulla scrivania. Il giorno dopo avevo un contratto a tempo indeterminato e uno stipendio da fare girare la testa.
Parcheggio l'auto nei sotterranei, infilo i tacchi, lancio le scarpe dietro i sedili e prendo l'ascensore per salire al 20esimo piano.  
Non è un palazzo altissimo, anzi si può dire che è uno dei più bassi qui, ma solo perché questa è una filiale che stava andando a rotoli e che il presidente (direttamente dal Giappone) ha deciso di tirarla su con le proprie mani. Il suo sogno e che questa sia una delle 3 aziende che gestirà uno dei suoi figli (uno per azienda). Ma è ancora indeciso a chi e quando lascerà le redini.
Anzi non so nemmeno quando parte per andare a trovare la sua famiglia. So solo che un giorno c’è e il giorno dopo no, con tanto di nota sulla scrivania “ci vediamo tra 2 settimane” ,lasciando l'intera azienda a me.
Molte volte vorrei ucciderlo .
Mi guardo allo specchio dell'ascensore per controllare che tutto sia a posto. Poi appena si aprono le porte mi dirigo in presidenza. In realtà avrei anche un ufficio tutto mio ma ci entro solo per far accomodare gli ospiti quando il capo è in riunione.
Durante quei pochi metri saluto i vari dipendenti calorosamente. All'inizio sembravano tutti schivi ma dopo appena due giorni ho capito che in realtà sono buoni ed ottimi impegnati. È solo la Mattina che è traumatica.  
Anche i nostri uffici non sono enormi. Anzi azzardei a dire che sono anche piuttosto piccoli. Ma siamo pochi ed è anche giusto così. Solo noi dipendenti in ufficio saremo una 20ina. Se poi messi insieme agli operai nell'azienda di fianco, camionisti, sotto segretari e altri dipendenti non raggiungiamo nemmeno le 400persone.
Busso alla porta del direttore. Una porta di legno chiaro, quasi bianco e ai lati gigantesche finestre. Le sottili tapparelle bianche sono abbassate, probabilmente il capo è già arrivato ha iniziato già a lavorare. Mi sono sempre chiesta a che ora arrivasse, e non solo io. Alcuni dicono che dorma direttamente lì. In effetti nessuno l'ha mai visto uscire.
Non aspetto risposta e apro subito la porta. Il capo è seduto dietro la scrivania. Il gigantesco pc acceso con minimo 10 pagine aperte e una marea di fogli sparsi nella scrivania.  
-buon giorno signor Rasa-  
Sentendosi chiamare alza la testa e mi sorride.
Devo ammettere che è comunque un bell'uomo nonostante abbia 52 anni suonati. Capelli corti color nocciola, occhi dal taglio orientale (tipico dei giapponesi) scuri, sguardo freddo. Non molto alto ma ha un fisico asciutto, quasi atletico. Tutto quello che indossa gli sta divinamente. Intelligente, buon osservatore, gran oratore e soprattutto innato senso per gli affari. Unico difetto: l'oro.
Con se porta sempre una boccettina di oro in polvere al collo che usa a suo piacimento. Come? Forza di volontà. Basta anche un solo pensiero che la boccetta di stappa da sola e la polverina esce, finendo per essere praticamente il suo terzo braccio.  
-buon giorno signorina Tsundere- ecco ci risiamo.
-Haruno, Sakura Haruno per favore- lo imploro. Da quando l'ho minacciato mi ha soprannominato “tsundere”. Dice che si adatta perfettamente al mio “carattere”
Di fianco al capo c’è il suo fedele amico e consigliere personale Baki. Sicuramente di ritorno dal Giappone per qualche altro progetto top secret.
Saluto anche lui con il mio solito sorriso. Lui al contrario di Rasa, non risponde. Si limita ad alzare la testa e a fissarmi per qualche secondo per poi tornare sui documenti che ha in mano.
Mi manda in bestia quando fa così! Dannato pelato chi ti credi di essere?! Gli tirerei volentieri uno schiaffo in quella testa pelata e perfettamente lucida solo per sentirne il suono!
Anche lui stessa età del sig. Rasa, ma con degli strani tatuaggi sotto gli occhi. Carnagione scura. Sembra abbronzato tutto l'anno.  E soprattutto è pelato. Fisico molto più palestrato del capo, ex generale della difesa militare iraniana. Nonostante siano passati davvero troppi anni da quando ha lasciato il servizio militare, continua ad avere lo stesso carattere e portamento. Sembra sempre che sia pronto per la guerra.  
Decido di ignorare questo atteggiamento e mi avvicino alla scrivania.  
-c'è un sacco di lavoro oggi, Tsundere , dobbiamo preparare tutto per l'arrivo di mio figlio!-
Da un mese a questa parte sembra che Rasa si sia deciso di lasciare le redini ad uno dei suoi figli maschi. La figlia femmina ha già avuto la sua azienda vicino a quella del padre. “per tenerla sotto controllo” mi disse una volta.
-certo, dove devo cominciare?-
Rasa mi porge alcuni documenti e inizia a farmi l'elenco di email da spedire, documenti da fotocopiare e altre pratiche burocratiche che lui ovviamente non ha la minima voglia di affrontare.
-ah e oltre a questo dovresti organizzare una riunione aziendale per questo venerdì. Voglio tutti quanti, comunicherò loro che lascerò l'azienda a mio figlio e che da qui ad un mese ci saranno cambiamenti-
-quindi avete già deciso a chi lasciarla?-  
- no, sono ancora indeciso. Tutte e due sono degli ottimi candidati- mi dice appoggiando il mento sul palmo sinistro. Questa cosa lo sta letteralmente affaticando.
-capisco. Se sono così bravi sarà difficile poiché questa azienda è una delle più piccole e quella che ha avuto più difficoltà nell'ultimo periodo-
Prendo i fogli che Baki mi sta “gentilmente” porgendo.  
-no questa azienda vale più di quelle che abbiamo, ed è proprio per questo che il sig. Sabaku ha bisogno di ponderare bene le sue scelte. Sono due ragazzi formidabili, ma ci vuole polso e un innato senso degli affari per mandarla avanti-
Ha parlato finalmente! Ovvio non sono le parole più dolci, anzi sento il tono acido e schifito, ma almeno mi ha rivolto la parola!  
-qualsiasi cosa deciderò lei rimarrà la segretaria personale del futuro presidente, non si preoccupi. Ah e prima che inizi il suo lavoro potrebbe portarmi un caffè? Lo vuoi anche tu Baki?- chiede Rasa volgendo lo sguardo dolce prima su di me e poi sul suo amico. Se non fosse felicemente sposato ci avrei fatto un pensierino..
-macchiato freddo-  
Finisco di raccogliere i documenti e lascio la stanza. Poi svolto a destra e mi dirigo nel mio piccolissimo ufficio. Nessun tocco personale. Pareti bianche, una pianta verde, finestra gigante che da sulla strada, una scrivania di legno chiaro e uno scaffale piccolo sempre dello stesso colore. Appoggio i documenti sulla scrivania e mi cade l'occhio sull'unica foto che ho. La prendo tra le mani e la bacio. È la foto dei miei genitori al loro 25 esimo anniversario di matrimonio. Si sposarono quando mia madre era al sesto mese di gravidanza.  Ripenso a quando mi manchino e decido che quella sera gli averi chiamati… chissà se non uscivo troppo tardi gli avrei portati in un ristorantino per una cena un famiglia. Lascio la foto e prendo la cornetta del telefono. Digito il numero del barista difronte all’ufficio. Intanto che squilla il telefono accendo il mio pc e digito la mia password. Dall'altra parte del telefono mi risponde il famoso barista. Ordino tre caffè e un croissant ai frutti di bosco e riaggancio. Ovviamente il terzo caffè e per me. Lo faccio ogni mattina e al capo non dà nessun fastidio .. ci mancherebbe, A volte salto il pranzo per stagli dietro!  
Inizio così la mia giornata, corro a destra e sinistra, organizzo riunioni, colloqui di lavoro, scorto il capo in tutto lo stabile e in quello a fianco per vedere i lavori come procedono, salto anche oggi il pranzo, riunioni,  ancora riunioni, documenti, fax, riunioni e finalmente arriva la sera.  
Dopo tutto quel via vai ho le gambe a pezzi, una fame da lupi e mi sento leggermente nervosa. Guardo l'orologio. Anche oggi ho fatto le 21.30. sono troppo stanca per mangiare fuori. Magari chiamo i miei solo per sentirli. E poi mi vado a prendere un pezzo di pizza prima di collassare sul divano.
Prendo il cellulare dalla borsa che ho abbandonato sta mattina in ufficio. 10 messaggi
Due di papá che mi avvisa che per alcuni giorni non ci saranno, pubblicita e una di Ino. Ino è l’unica ragazza con cui mi sono legata durante la settimana di work shop in Giappone con il mio capo. Lei lavora in un’altra azienda, fa la contabile all'Uchiha Group. Questa azienda diversamente dalla nostra si occupa di farmaceutica. Si occupano di trovare una soluzione agli effetti collaterali della famosa tempesta solare accaduta vent’anni fa.  
“da gradi poteri derivano grandi responsabilità”. Penso tristemente. Quasi tutti i miei compagni avevano sviluppato qualche sorta di potere, mentre io niente. Mi sarebbe piaciuto averne uno, anche piccolo.  
Non si sa in che modo questi poteri si manifestino, ne come o cosa sono. C’è a chi sono spuntate orecchie e artigli, c’è chi ha preso padronanza dell'arte bianca o nera, chi può avere il mondo delle ombre ai suoi piedi ( la parte oscura dell'essere umano) e chi il suo contrario. Si dice che oltre a questi poteri siano usciti anche creature, chi dice demoni e chi spiriti, che sono stati “ospitati” controvoglia da ragazzini innocenti. 9 sono i ragazzini ma solo i capi delle nazioni sanno chi sono. Sono ragazzini che hanno una forza e un potere incredibile, capaci di controllare il mondo e di sottometterlo ai propri piedi. Nessuno sa chi siano, ne che volto abbiano. E spero vivamente di non incontrare uno. So solo che alcuni di questi sono stati brutalmente uccisi ,chi per smania di potere e chi invece per paura.
Mi riscuoto da questi cupi pensieri e decido di rispondere alla mia amica. Mi ha invitato ad un piccolo party in un locale poco lontano da casa, ma sono troppo stanca per poter andare. Raccolgo le mie poche cose e mi dirigo nell’ufficio di Rasa per dargli la buona notte.
Busso piano questa volta e mi affaccio. Rasa è ancora la computer, intento a scrivere. Silenziosamente entro e mi schiarisco la voce.
Lui mi guarda, si toglie gli occhiali da vista e mi fa cenno di avvicinarmi alla scrivania. Faccio come mi dice mettendomi di fronte. Non vorrei mai che gli passasse in testa di regalarmi una carezza con la sua “mano di velluto”. Sorride a questo mio gesto. Si, sicuramente e quello che voleva fare.
Mi guarda intensamente negli occhi e vedo delle sottili occhiaie. Deve essere molto stanco.
Appoggia i gomiti sulla scrivania e congiunge le mani come in preghiera.
Sta altri 10 secondi in questa posizione e poi sospira. Si stende sullo schienale della sedia e punta il suo sguardo in alto  
-venerdí presenterò i miei figli a tutti-
Mi dice sempre guardando in alto
-avranno un mese di tempo per stupirmi. Ognuno di loro guiderà l'azienda per due settimane. A fine mese sceglierò chi far rimanere- stacca Gli occhi dal soffitto e li punta su di me. Sento un brivido lungo la schiena. È serio. Dannatamente serio.  
-voglio che tu sia a disposizione di entrambi. Sarai la loro guida. Aiuterai entrambi a dare il meglio e illustrerai loro come funziona. In questo mese dovrei occuparti di cose un po’ più delicate- marca la voce sull'ultima frase. So dove vuole arrivare. Dovrò occuparmi di questioni riservate tra loro e lo stato americano. Inizio a sudare freddo solo all'idea. Non posso fare passi falsi. Non solo verrei licenziata in tronco ma scatenerei una guerra che sarà difficile da sedare.  
-ne siete sicuro?- chiedo  
-si. In questo anno hai dimostrato di avere polso e grinta. Vedi come me anche i ragazzi sono stati colpiti da quella famosa tempesta. Io allora ero sposato da pochi anni e il più grande aveva 5 anni, mentre il più piccolo era solo un piccolo puntino nel ventre di mia moglie- Perdo un battito. Quindi anche loro sono potenzialmente pericolosi?
-non posso lasciare che Baki si occupi anche di loro due.Ormai è troppo vecchio per farlo- una piccola risata esce dalla sua bocca, ma è amara
-sará solo per questo breve periodo. Dopo di che, appena avrò scelto , tornerà a fare quello che faceva prima, o quasi. Resterà al fianco del ragazzo anche nelle questioni delicate. Voglio che diventi come un secondo Baki per intenderci-
-cinico e con un senso dell’umorismo pari a zero?- dico per sdrammatizzare
-no no assolutamente.- abbozza un altro sorriso
-voglio che sia fedele e decida come Baki. Che supporti mio figlio in tutto anche se l'azienda disgraziatamente dovesse cedere. Peró non si preoccupi. Ci terremo strettamente in contatto. Per qualsiasi cosa potrà chiamarmi.- mi porge un bigliettino con il suo numero privato. Perdo un altro battito. Come ho fatto ad arrivare fin qui?
-mi raccomando, acqua in bocca fino a venerdì-
-non si preoccupi, è un buone mani-.  
Resto altri cinque minuti per i convenevoli, poi esco dall’ufficio e mi dirigo in ascensore. Lo prendo e scendo nei sotterranei. Appena le porte si aprono avanzo verso la mia auto, ma qualcosa attira la mia attenzione. Una macchina, una Mercedes nera, si è appena fermata. Continuando a camminare mi accorgo con la coda dell’occhio che qualcuno sta scendendo. Mi fermo davanti la portiera della mia auto, prendo le chiavi e istintivamente alzo la testa. Guardo la persona appena scesa, è un uomo. Alto 1.80 credo. Mocassini ai piedi, jeans scuri e maglietta a collo alto fasciano perfettamente il suo corpo. Poi il mio sguardo si posa sul suo. Anche lui mi sta fissando. Un brivido percorre tutto il mio corpo. Carnagione non troppo chiara, labbra e naso perfetti. Capelli rossi come il fuoco, leggermente arruffati , bellissimo. Ma sono i suoi occhi a lasciarmi senza fiato. Dei bellissimi occhi verde-acqua, contornati da una matita nera spessa. Sopra gli occhi ha un tatuaggio che non riesco ad identificare. Continuo a fissarlo e lui pure. Il suo sguardo freddo e serio mi intimorisce ma per qualche strana ragione sento le guance in fiamme. “wow” non riesco a pensare ad altro. Poi lui si gira e inizia ad incamminarsi verso l'ascensore. Io inserisco le chiavi nella portiera della mia peugeot, salgo, metto in moto ed esco dal parcheggio.  
Compro del cibo in un fast food e torno a casa. come un automa apro la porta e senza troppi preamboli mi scaravento sul divano. Accendo la TV e inizio a mangiare. L'immagine di quell'uomo è ancora nella mia mente. Decido così di scacciare via quella bellissima immagine dalla mia testa e di tentare di dormire. Prima di chiudere gli occhi ed abbandonarmi a Morfeo mando un messaggio ai miei genitori. Dopo di che ripenso a tutto quello che era successo durante il giorno.  
“Sarà un mese impegnativo. Spero di esserne all'altezza”. L'ansia inizia a salire, la sento. Mi guardo intorno e scorgo la boccetta di Xanax sul tavolino. La prendo, verso qualche goccia in un bicchiere con un dito d'acqua e bevo. Forse quella notte sarei riuscita a dormire serenamente. Dopo poco le gocce iniziano a fare effetto e piano piano sento le palpebre appesantirsi. Finalmente mi addormento con l'unico pensiero che mi sarebbe piaciuto incontrare ancora quell’uomo.  
6 notes · View notes
nooradeservedbetter · 5 years ago
Text
Confindustria Lombardia: intervista al presidente Bonometti
“Abbiamo chiesto liquidità immediata al Governo e la sospensione delle scadenze fiscali, perché esiste il rischio reale che il 50 per cento delle aziende lombarde che rappresento non riapra mai più. Sembra che siamo stati ascoltati”. Marco Bonometti, presidente di Confindustria Lombardia, commenta a caldo a TPI l’approvazione di ieri del decreto “liquidità” e l’annuncio del governo di un intervento “poderoso” da 400 miliardi di euro alle imprese. “Tuttavia mi riservo di leggere a fondo il decreto – aggiunge il capo degli industriali lombardi – per capire se le nostre richieste sono state recepite fino in fondo. Non vorrei fossero solo annunci”. È passato oltre un mese da quando Bonometti (era il 29 febbraio) parlava di “danno di immagine” con “l’Italia isolata” e con la zona rossa “che crea danni economici anche alle altre aziende” e sono passate oltre tre settimane da quando ha pubblicato un documento per ribadire il no alla chiusura delle industrie. A un mese dal lockdown nazionale deciso dal Governo il presidente degli industriali lombardi accetta di fare il punto con noi.
Quante imprese stanno lavorando ora in Lombardia?
Delle 13.900 aziende che rappresento, solo il 30 per cento sta continuando a lavorare.
Immagino che abbia letto i dati Istat, con gli incrementi del 1.000-2.000 per cento dei decessi nelle zone della mancata zona rossa. Secondo lei è stato un errore non aver chiuso subito Alzano Lombardo e Nembro, non aver interrotto le attività produttive?
Le polemiche le facciamo alla fine. Adesso serve salvare le vite umane e salvare l’economia. Il vero errore è stato quello di lasciare che la gente andasse in giro, andasse nei bar, nei ristoranti, nelle discoteche.
Oggi però in Lombardia sono molti quelli che si muovono ancora per lavoro ed erano molti di più quelli che lo hanno fatto prima della chiusura totale.
Dovrebbero andare a controllare questi movimenti, perché per esempio il codice di autoregolamentazione che ci siamo dati per salvaguardare la salute dei dipendenti è proprio quello di utilizzare i guanti, le mascherine, il distanziamento.
Abbiamo ricevuto molte segnalazioni di aziende che non mettono in sicurezza i propri dipendenti e li costringono a lavorare senza le protezioni adeguate.
Se le aziende non sono in grado di mettere in sicurezza i propri lavoratori non possono lavorare. Noi abbiamo fatto di tutto per dotare le aziende dei dispositivi, però se una azienda non ha i requisiti che ci siamo dati non può lavorare. Noi di Confindustria Lombardia ci stiamo muovendo per procurare e garantire il fabbisogno a tutti, con lo sblocco delle dogane, con la centrale che è stata fatta a Milano per individuare i fornitori di mascherine e di tutti i dispositivi. Lo abbiamo fatto sia per l’industria, sia per la sanità privata. Lo Stato su questo tema però ha sbagliato, le mascherine non ci sono, è chiaro che c’è stato un buco.
Lei come se li spiega tutti questi morti in Lombardia e soprattutto nella bergamasca?
Ci sono diverse le ragioni: innanzitutto qui c’è una presenza massiccia di animali e quindi c’è stata una movimentazione degli animali che ha favorito il contagio, parlo degli allevamenti, e questa potrebbe essere una causa.
In che senso, mi scusi? Gli animali non sono considerati veicolo di contagio di questo virus.
Se non sono stati ritenuti veicolo di contagio, non c’è spiegazione, anche se un’altra causa è che si tratta di zone densamente popolate da industrie e quindi la movimentazione delle merci e della gente ha certamente favorito. Non all’interno delle fabbriche, però, perché le fabbriche sono considerate per noi i luoghi più sicuri.
Considerando questo intenso scambio commerciale che lei mi conferma, soprattutto in Val Seriana, non crede che sarebbe stato meglio chiudere tutto come a Codogno per limitare il contagio, in particolare dopo l’allarme lanciato dall’Istituto Superiore di Sanità i primi di marzo?
Per fortuna che non abbiamo fermato le attività essenziali, perché sennò i morti sarebbero aumentati. Le faccio un esempio: il problema dell’ossigeno, il problema delle aziende farmaceutiche, che stanno lavorando a pieno ritmo. Lo sbaglio è stato di non considerare nel codice Ateco anche le filiere dei servizi essenziali. Io ho sempre sostenuto che bisognava salvaguardare le vite umane e dall’altra parte salvaguardare la produzione essenziale, che permetteva di dare il sostentamento di salute e sicurezza ai cittadini. La verità è che buona parte di questa classe politica è incompetente. Basti pensare che per fare gli acquisti ci sono ancora le gare. Bisognava fare come prima cosa un commissario con pieni poteri.
Lei mi conferma che i primi di marzo ci sia stata in Regione una riunione con i rappresentanti delle industrie lombarde, il presidente Fontana e alcuni tra i principali imprenditori della bergamasca per parlare proprio della zona rossa?
Ci siamo confrontati, ma non si potevano fare zone rosse. Non si poteva fermare la produzione. Le faccio un esempio: se oggi la Dalmine non lavorasse, io ho insistito per tenerla aperta, le bombole per l’ossigeno non ci sarebbero. Ma le bombole per l’ossigeno sono una filiera che parte dall’acciaio, alla calandratura, dalla saldatura, alla meccanica. Per fortuna che sono rimaste aperte certe attività. Se non ci fossero state le imprese aperte con l’utilizzo e lo sfruttamento dell’ossigeno che diamo agli ospedali, la gente sarebbe morta.
Quindi lei rivendica la sua contrarietà a creare una zona rossa in Val Seriana?
Noi eravamo contrari a fare una chiusura tout court così senza senso.
Eravate contrari a un chiusura modello Codogno, per intenderci?
Codogno è un paesino, capisce che non fa testo.
Insomma, non proprio, Codogno ha più abitanti di Alzano e di Nembro, ovviamente non ha la loro densità di fabbriche e di industrie.
Appunto. Però ora non farei il processo alle intenzioni, bisogna salvare il salvabile, altrimenti saremo morti prima e saremo morti dopo.
1 note · View note
app-teatrodipisa · 5 years ago
Text
Il lato positivo
Certo, ci pensi che fortuna? Abbiamo giusto avuto il tempo di conoscerci, di piacerci. Poi ci è stato tolto tutto. Ci sono stati tolti gli sguardi, le carezze, i baci. Verrebbe da pensare che siamo stati sfortunati. Ma, effettivamente, lo siamo stati? Questo distacco forzato, non voluto. Nessuno è partito, siamo tutti rimasti. Nessuno s’è lasciato, ma siamo tutti soli. Vietato incontrarsi. Ognuno circondato dalle quelle quattro mura consumate dagli occhi, che le fissano come se avessero la certezza che debba apparire qualcosa, così, da un momento all’altro. 
E tutto il silenzio che una volta rincorrevamo, ora cerchiamo di colmarlo con un po’ di musica, ma all’improvviso ci rendiamo conto che l’unica musica che vorremmo, adesso, sono soltanto parole. Non serve una melodia, bastano le parole, a volte. E una di quelle volte è proprio questo momento di solitudine, che sembra eterna per tutti. Le vie delle città che hanno accolto tutti i nostri passi, d’improvviso sono vuote. Neanche una mosca. Le uniche persone che hanno il permesso di percorrerle sono le guardie, per controllare che la gente rimanga in casa. Sì, le solite guardie che credi mi stiano simpatiche perché quella volta le ho ringraziate quando ci hanno fatto passare. Sì, quella volta che eravamo insieme. Quella volta che sembra così infinitamente lontana. Probabilmente se tu mai leggessi queste righe, mi diresti che ti fanno venire il diabete; infatti non le leggerai, almeno per ora, perché gli ospedali al momento sono pieni di malati di Covid-19, e tu non troveresti posto per essere curato, dolce sconosciuto. 
Ma torniamo al punto, dunque. Siamo stati sfortunati? Non completamente. E sai perchè? Perché questa lunga pausa che non abbiamo deciso, ci rende in qualche modo più vicini. I nostri profili WhatsApp probabilmente non sono mai stati così attivi come nell’ultimo mese. La nostra chat è come se fosse il nostro scatolone di pensieri, resi concreti da lettere digitali su sfondo alternato verde e bianco. Come se sentissimo il bisogno di appuntare tutto quello che di interessante il nostro cervello elabora. E più scriviamo, più vogliamo scrivere; forse perché più ci conosciamo, più ci piacciamo, più ci uniamo. Nonostante la distanza. A volte, rileggendole, sembra che sia un solo cervello a scrivere. C’è una strana connessione. E ho notato che la senti anche tu. Quando invece è palese che i cervelli impegnati  a scrivere sono due, è perché o uno o l’altro sta cercando consiglio, perché non so com’è successo, ma c’è una silenziosa fiducia reciproca, sia intellettiva che sentimentale. Ci siamo capiti al volo, subito, da quel match del 18 febbraio, da quella canzone che avevi meticolosamente scelto per me, e azzeccato, pur non conoscendomi affatto. Un amore nato in chat e destinato a crescere in chat? Sì, almeno per ora. Ma non dobbiamo essere tristi, basta un po’ di leggera malinconia per tutto il tempo che avremmo potuto trascorrere insieme, per i baci non dati e per gli sguardi che non si sono più incrociati. Ma tu mi hai insegnato che c’è anche il lato positivo delle cose; in questa faccenda, il lato positivo sarà rincontrarci, riguardarci negli occhi, rilasciare una scarica di felicità così intensa che colpirà più di un fulmine a ciel sereno. Non avrò le lacrime agli occhi, almeno esternamente, perché potrebbe essere imbarazzante. Le terrò tutte nel lato oscuro degli occhi, così non le vedrai. Non saranno lacrime salate, ma dolci di te.
1 note · View note
gloriabourne · 5 years ago
Text
The one with the serendipity
Serendipità: sostantivo femminile. Indica la fortuna di fare felici scoperte per puro caso e, anche, il trovare una cosa non cercata e imprevista mentre se ne stava cercando un'altra.
"Ti capita mai di pensare a quanto sono state strane le cose tra noi?" Fabrizio sollevò lo sguardo verso Ermal e lo guardò confuso. Era una domenica pomeriggio come tante, in cui Ermal si era accasciato comodamente sul divano dello studio di Fabrizio, mentre il più grande lavorava a una nuova canzone. Lo facevano spesso, restare a osservare l'altro che lavorava. Ermal trovava estremamente rilassante osservare Fabrizio all'opera, vederlo aggrottare la fronte e poi vederlo rilassarsi quando finalmente riusciva a incastrare le parole nella musica come aveva immaginato. Fabrizio, d'altra parte, aveva ammesso più volte che osservare Ermal lavorare lo ispirava più di qualsiasi altra cosa. Quel pomeriggio, era Fabrizio quello chino su fogli sparsi ovunque, mentre Ermal lo guardava. O almeno, lo stava guardando fino a un attimo prima di fargli quella domanda. "Di che parli?" chiese Fabrizio leggermente sovrappensiero e senza nemmeno aver ascoltato bene ciò che aveva detto il compagno. "Della nostra storia. Voglio dire, è iniziato tutto con qualche chiacchiera durante il festival, poi tu che a un evento estivo mi chiedi di collaborare. Abbiamo iniziato a vederci, a sentirci, a lavorare insieme. E l'unica cosa che entrambi stavamo cercando era una buona collaborazione e magari un'amicizia, ma alla fine abbiamo trovato tutt'altro." Fabrizio posò la matita sul tavolo, lasciando perdere lo spartito a cui stava lavorando, e rivolse la sua attenzione completamente verso il fidanzato. "E la cosa ti da fastidio? Che hai trovato tutt'altro rispetto a ciò che cercavamo all'inizio, intendo." "Non ho detto questo. Solo che è strano." "Scusa, ma non li guardi mai i film? Nascono sempre così le storie d'amore. Ci sono sempre due persone che cercano tutt'altro e poi si innamorano per caso" rispose Fabrizio come se fosse una cosa ovvia. Ermal fece una smorfia. "La nostra storia non è un film." "Potrebbe" disse Fabrizio stringendosi nelle spalle. "Hai mai visto quel film natalizio, quello con il titolo strano, in cui i protagonisti non fanno altro che inseguirsi per tutto il film riuscendo a incontrarsi solo alla fine?" Ermal aggrottò la fronte cercando di capire di quale film stesse parlando. "Quel film con John Cusack e Kate Backinsale!" disse ancora Fabrizio. Ermal cercò di non ridere per la pronuncia terribile di Fabrizio nel dire i nomi dei due attori, e annuì. "Ho capito. Serendipity, giusto?" "Ecco, l'avevo detto che aveva un nome strano." "Sì, ma che c'entra?" chiese Ermal, senza capire dove Fabrizio volesse andare a parare. "In quel film, nessuno dei due sta cercando l'amore. Semplicemente si trovano per caso in un negozio, entrambi vogliono lo stesso paio di guanti, e finiscono per parlare e rendersi conto che in realtà sono due anime affini." "Bizio, è un film" lo ammonì Ermal sorridendo. Gli piaceva quel lato di Fabrizio, quel suo immergersi completamente nei film che guardava al punto da trovarci dei dettagli di sé stesso e della sua vita. Ma doveva rendersi conto che la loro vita non era un film e che il fatto di essersi innamorati, quando in realtà nessuno dei due aveva minimamente previsto di farlo, era solo qualcosa che era capitato nelle loro vite. Niente di più. Niente film di mezzo. "Ma che ne so. Magari pure noi durante la nostra vita abbiamo fatto come quelli del film: abbiamo scritto il nostro numero di telefono su una banconota o nella copertina di un libro, sperando che qualcuno di importante lo trovasse. Io, ad esempio, una volta l'ho fatto. Quindi vedi che queste cose non succedono solo nei film" disse Fabrizio sorridendo e poi tornando a guardare il suo spartito. Ermal rimase in silenzio per un attimo e poi, come se le parole di Fabrizio lo avessero colpito solo qualche istante dopo, disse: "Scusa, cos'è che hai fatto?" "Ho scritto il mio numero su una banconota da cinque euro. È una cazzata, lo so, ma c'era una ragazza che mi piaceva e che lavorava in un bar che frequentavo abitualmente. Sembrava un modo come un altro per lasciarle il mio numero." "Pagare con una banconota con sopra scritto il tuo numero, ti sembrava un buon modo per fare colpo? Non potevi semplicemente chiederle di uscire?" chiese Ermal divertito. Stava cercando di immaginarsi un Fabrizio più giovane, alle prese con una cotta per una barista che, a quanto pare, non lo aveva mai considerato. "Alla fine non le ho nemmeno dato la banconota. Mi vergognavo troppo, così l'ho tenuta nel portafoglio per anni, sperando che prima o poi mi sarei fatto coraggio." "E com'è finita?" "Ho conosciuto Giada, poi è nato Libero e ho deciso che non aveva più senso tenermi quella banconota. L'ho spesa in un bar di Sanremo, durante la settimana del festival del 2010" raccontò Fabrizio. Ermal si irrigidì all'istante al ricordo di quel festival, a cui aveva partecipato anche lui, e soprattutto al ricordo di ciò che era successo la mattina successiva alla finale. Ermal non credeva molto nel destino, ma quella non poteva essere una coincidenza. Tornò velocemente con la mente a quella mattina, ma più ci pensava e più si rendeva conto che gli eventi di quella mattina potevano soltanto essere frutto di uno scherzo del destino.
***
Sanremo, febbraio 2010
Ermal si passò una mano sulla faccia, come se servisse a portare via il sonno arretrato che si portava dietro da giorni e che non era riuscito a recuperare quella notte. Onestamente, era felice che il festival fosse giunto al termine. In quella settimana non aveva chiuso occhio ed era stato perennemente avvolto da uno stato di stress e nervoso costante, al punto che più di una volta aveva rischiato di litigare con gli altri ragazzi del gruppo. Tornare a casa, dalla sua famiglia e da Silvia, sicuramente gli avrebbe fatto solo bene. Soffocò uno sbadiglio giusto un attimo prima che arrivasse il suo turno alla cassa del bar e, ancora non del tutto sveglio, si meravigliò per essere riuscito a evitare di finire addosso al ragazzo davanti a lui che si era appena spostato dalla fila. "Ehm, cosa prendi?" Ermal sollevò lo sguardo sulla ragazza alla cassa, rendendosi conto che probabilmente era già il suo turno da qualche istante e non aveva ancora ordinato. A sua discolpa, era rimasto distratto dal ragazzo che era stato in fila prima di lui. Gli ricordava qualcuno, ma non riusciva a capire chi. "Scusa. Un caffè e un cornetto, per favore" borbottò Ermal. La ragazza digitò qualche tasto e poi gli porse lo scontrino insieme al resto. Una banconota da cinque euro pasticciata su un lato e una manciata di monetine. Ermal prese i soldi e se li mise in tasca velocemente, poi si spostò verso il bancone cercando di attirare l'attenzione di un barista qualsiasi. Aveva bisogno urgentemente di quel caffè, se voleva iniziare a capirci qualcosa in quella giornata. Sapeva che fino a quel momento, ogni cosa successa dal momento in cui si era svegliato sarebbe stato solamente un ricordo confuso.
Come previsto, nel momento esatto in cui il primo sorso di caffè toccò le sue labbra, Ermal si sentì finalmente sveglio. Cercò di fare mente locale su ciò che aveva fatto da quando si era alzato dal letto fino a quel momento, ricordandosi improvvisamente che aveva messo il resto ricevuto poco prima in tasca invece che nel portafoglio. L'ultima volta che l'aveva fatto, si era dimenticato di controllare le tasche dei jeans prima di metterli in lavatrice e aveva accidentalmente lavato anche una banconota da dieci euro. Sua sorella gli aveva dato del cretino per mesi - in realtà continuava a farlo, ma alle sue spalle - ed Ermal proprio non ci teneva a ripetere l'esperienza. Infilò le monetine nell'apposita tasca del portafoglio e poi fece per sistemare la banconota, notando solo in quell'istante che il pasticcio sul bordo non era altro che un numero di telefono. Aggrottò la fronte. Chi è che scrive i numeri di telefono sulle banconote?! Eppure, sentiva una sensazione strana, come se quel numero in realtà significasse qualcosa. Non riusciva a spiegarselo ma sentiva che, se mai avesse perso quella banconota, non se lo sarebbe mai perdonato. La piegò su se stessa un paio di volte e poi la infilò nello spazio in cui conservava la tessera della biblioteca, un posto sicuro in cui sapeva che sarebbe rimasta finché non fosse stato lui a spostarla.   Si sentiva sciocco per essere così protettivo nei confronti di una banconota, ma non poteva fare altrimenti. C'era qualcosa che lo legava a quel numero, una sorta di curiosità e allo stesso tempo di volontà di mantenere il mistero. E sapeva che sarebbe arrivato il momento in cui quel mistero avrebbe avuto la sua risoluzione, quindi l'avrebbe conservata fino a quel giorno.
***
"Che c'è?" chiese Fabrizio aggrottando la fronte, notando che Ermal era diventato pensieroso all'improvviso. Ermal non rispose ma prese il portafoglio dalla tasca posteriore dei jeans che indossava. Lo aprì e, dopo qualche istante, ne tirò fuori una banconota ripiegata su sé stessa un paio di volte. Quando la spiegò tra le mani, lo sguardo si posò istintivamente sul numero scritto sul bordo e, rileggendolo, Ermal si rese conto della verità. Quello era il numero di Fabrizio. Ormai lo conosceva a memoria, non poteva sbagliarsi. Gli venne da ridere a rendersi conto che per anni aveva avuto in tasca il numero dell'uomo che amava senza saperlo. Allungò la banconota verso Fabrizio, aspettando che lui la prendesse e si rendesse conto di quanto fosse assurda tutta quella storia. "Come fai ad averla tu?" chiese Fabrizio curioso e stupito, rigirandosi il biglietto da cinque euro tra le mani. "C'ero anch'io a Sanremo nel 2010, ricordi?" "Sì, ma quante probabilità c'erano che questa roba arrivasse fino a te? È da pazzi!" "Credo che quella mattina, al bar, tu fossi in fila proprio davanti a me. Hai pagato con quei cinque euro e un attimo dopo io li ho ricevuti come resto" spiegò Ermal, realizzando solo in quell'istante che il ragazzo che aveva catturato la sua attenzione quella mattina era proprio Fabrizio. "È una cosa assurda. Ma perché te li sei tenuti tutto questo tempo?" Ermal si strinse nelle spalle. "Onestamente, non lo so nemmeno io. Era come se avessi la sensazione che quel numero fosse importante." Fabrizio osservò di nuovo la banconota e se la rigirò tra le mani. Quando aveva scritto il suo numero lì sopra, non avrebbe mai creduto che sarebbe finito per puro caso tra le mani di una persona che solo molto tempo dopo sarebbe diventata una delle più importanti della sua vita. "Ho tenuto nel portafoglio per nove anni il numero dell'amore della mia vita senza nemmeno rendermene conto" constatò Ermal quasi incredulo. "Pensi ancora che la nostra storia non sia degna di un film?" chiese Fabrizio un attimo dopo. Lui lo aveva sempre pensato. Aveva sempre creduto che solo nei film potesse succedere, che solo nei film un uomo di oltre quarant'anni, che alle spalle aveva una relazione importante e dei figli, potesse innamorarsi di nuovo. Ermal si ritrovò a pensare che, tutto sommato, Fabrizio aveva ragione. In fondo, anche loro avevano trovato qualcosa di inaspettato in quella che doveva essere semplicemente una collaborazione artistica. Anche loro si erano innamorati per caso, un po' come succede in quelle commedie romantiche che mandano sempre in onda a Natale. Sorrise e guardò il suo fidanzato. "Credo sia molto meglio di un film, Bizio."
9 notes · View notes
weirdesplinder · 6 years ago
Text
Il vincitore del Libro Blog 2018 è
Concluso il sondaggio ho il piacere di annunciarre che il Libro blog 2018 è OSSESSIONE di Thea Harrison, il sesto libro della Elder races. La serie urban fantasy che grazie a Triskell edizione ha per fortuna ripreso ad essere pubblicata anche in Italia. Il che prova che i lettori del blog amano ancora sopra ogni cosa l’urban fantasy. 
Tumblr media
Titolo: OSSESSIONE
Titolo originale: Kinked
Trama: Questo libro è dedicato a due sentinelle (guardie) di Dragos, L’arpia Aryal e il mezzo elfo mezzo mutaforma pantera Quentin, ex capo di Pia. Mentre conosciamo poco di quest’ultimo e del suo carattere, abbiamo già avuto modo nei libri precedenti di conoscere Aryal il suo temperamento volatile facile all’ira, la sua incapacità di mentire, il suo lato selvaggio. Quentin sembra il suo opposto: estremamente controllato, capace di ammaliare chi gli sta intorno, ma forse in realtà sono più simili di quanto sembra…….   Quentin e Aryal si odiano e per superare questa loro antipatia che li spinge a prendersi a botte lungo i corridoi della torre, Dragos li manda in missione assieme, riusciranno i due a collaborare o finiranno con l’uccidersi a vicenda?
La mia opinione: Questo libro mi ha lasciato un poco perplessa. Mi è piaciuto, ma al tempo stesso aveva il potenziale per essere molto più bello ed incisivo, è come se fosse stato scritto in fretta, specie il finale, o come se l’autrice non avesse avuto il coraggio di spingersi agli estremi che i personaggi che aveva creato necessitavano. Partiamo dall’inizio, che è la parte che mi è piaciuta di più. Aryal lo sappiamo è facile all’ira, un poco pazza, selvaggia, ma molto leale con chi ama. Perciò quando la nuova sentinella Quentin arriva, lui così perfetto, bello, freddo e controllato, già a pelle le sta antipatico, soprattutto perchè neppure lei è immune alla sua bellezza. Inoltre si chiede cosa lo abbia spinto a volere quel ruolo visto che non sembra apprezzare Dragos, può averlo fatto per Pia che è sua amica…ma Aryal è sospettosa di natura, sente che ha degli ulteriori motivi e vuole scoprirli. Sente che è colpevole di qualcosa e lo pedina costantemente. Quentin di per sé non avrebbe nulla contro Aryal, non è per nulla il suo tipo, ma ne ammira la forza, la capacità di essere se stessa in qualunque modo o situazione senza vergogna o remore…forse addirittura la invidia un poco poiché lui, figlio di un mezzo elfo bianco e mezzo nero, sente dentro di sè pulsioni che ritiene invece sbagliate e cerca di controllare sempre e comunque. Ha veramente deciso di diventare una sentinella per Pia e odia che Aryal lo pedini notte e giorno perseguitandolo, ritenendolo colpevole di chissà quali crimini. Lo odia perché in fondo l’arpia ha ragione, ha davvero commesso un grave errore in passato che ha fatto quasi uccidere Pia e ora vuole espiarlo.Perciò Aryal odia Quentin e Quentin odia Aryal e si menano ad ogni occasione. Dragos li manda in missione in terra elfica con l’ordine di imparare a collaborare ma in realtà i due, entrambi un tantino fuori di testa, sono decisi ad uccidere l’altro e a farlo sembrare un incidente.Ottime premesse, non trovate? La tensione sessuale è già palpabile tra i due, anche se non vogliono ammetterlo, stare soli li spingerà agli estremi e la loro lotta si trasformerà in amplesso, ma sono troppo complicati per non contrattare anche sulle loro relazioni fisiche. Entrambi dominanti, contrattano che l’uno sarà sottomesso all’altro per 15 minuti e questo apre il vaso di pandora. Aryal è istintiva non è che rimugini a lungo sulle cose trova che le piace e tanto le basta….ma Quentin rimane sconvolto dal sapere che gli piace sottomettersi a lei, quasi quanto averla sottomessa davanti a lui…..tutto ciò che nella vita ha cercato di sopprimere l’oscurità che ha dentro è libera nel sesso violento con Aryal e non sa se ciò è bene o è male….Ora da qui il libro declina. Poiché l’autrice lascia in sospeso il loro rapporto privato per introdurci la parte di avventura del libro, un nemico potente, ferite gravi tagliano le gambe al rapporto privato. E’ stato troppo semplicistico, a mio avviso, rendere Aryal moribonda e gravemente ferita, cosicché Quentin si renda conto di qianto tenga a lei. Come lo stesso Quentin rivela troppo presto ad Aryal le sue colpe verso Pia e Aryal è troppo veloce a perdonarlo. Tutto è troppo veloce. E Quentin come personalità non l’ho pienamente capito, l’ho intuito, ma passa da uno stato d’animo all’altro troppo velocemente ed incoerentemente a tratti.Prima la odia, poi la vuole sottomessa, poi l’ammira, poi l’invidia, poi vuole che lo domini, poi ne ha pietà, poi la ama e la vuole come compagna……poi la riodia….Risolto il problema del cattivo della situazione, molto velocemente, i due tornano a casa e altrettanto velocemente viene risolto il problema fisico di Aryal…..mentre il loro rapporto e le sue incongruenze sembrano risolversi da sole. Non è chiaro, se amano il BDSM o semplicemente amano il sesso violento. Lo amano fare strano e lì rimaniamo….. Sono entrambi estremi nei loro sentimenti e nel modo di esprimerli e si sono trovati e tanto gli basta.Che voto do quindi al libro? Non riesco a dare più di 7 per colpa del personaggio di Quentin, se avessimo seguito di più il punto di vista di Aryal a mio avviso il libro ne avrebbe giovato.
Comunque come ogni libro di Thea Harrison non manca di poesia eccone qualche estratto che vi avevo anticipato:
“Mentre la pantera trovava la sua pace nel grembo dell’arpia, questa gli carezzò i capelli e scoprì la tenerezza. Ogni cosa che giaceva distorta fra di loro divenne finalmente chiara, mentre raggiungevano il cuore del labirinto che avevano percorso assieme.”
“Non c’è nulla di sbagliato nell’oscurità. Può essere meravigliosa tanto quanto la luce.”
“Molto tempo fa ho fatto un giuramento al compagno che forse non avrei mai avuto. Ho giurato che non l’avrei mai tradito, né avrei mai messo in pericolo la sua vita con la mia avventatezza o la mia impetuosità. Avrei combattuto con lui e per lui e sarei sempre stata al suo fianco ogni qual volta ne avesse avuto bisogno. Non l’avrei mai lasciato, né gli avrei mai mentito, e se solo lui fosse stato paziente e comprensivo con me, anche io avrei imparato a perdonare i suoi errori, perché lui sarebbe stato la cosa più importante della mia vita. Gli avrei donato ogni cosa, tutto ciò che sarei mai potuta essere, se solo lui avesse fatto lo stesso.”
Se ancora non conoscete questa serie nadte a questo link: http://weirdesplinder.tumblr.com/tagged/Thea%20Harrison
3 notes · View notes
ritahasaproblem · 7 years ago
Text
L'au in cui Ermal porta fortuna ai suoi wingmen
-o anche: chiunque abbia pensato che lasciarmi con un ritmo sonno-veglia sfasato fosse un affarone, è anche responsabile di ste cagate plottate alle quattro di mattina
Parte tutto da Marco
(Che sorpresa) (Rita smetti di avere gente prefe challenge: failed)
Marco voleva solo farsi un sacrosanto pacco di cazzi suoi, no?
No.
Doveva avere un amico scassapalle che ha bisogno del palo per uscire con una tizia
A ventisette anni
"Dai Macco giuro che ti diverti" "Immagino" "Se non ti diverti faccio i piatti tutta la settimana" "...cazzo, sei proprio disperato" "Buongiornissimo, Montanari, ora puoi cortesemente vestirti?"
Ora, se la vita di Marco fosse giusta, si annoierebbe tutto il cazzo di tempo e poi potrebbe rinfacciarlo ad Ermal e fargli fare non solo i piatti, ma pure il bagno
La vita di Marco, invece, è parecchio ironica, perché ha deciso che quei bei punti del Karma che ha accumulato negli ultimi anni di vita come coinquilino di Ermal senza ammazzarlo? Se li becca tutti quel giorno
Entra: la tizia che, a quanto pare, è stata scelta dalla squinzia di Ermal come terzo incomodo. Bella, simpatica, e pure intelligente.
Insomma, Marco si prende la sbandata per la vita, la invita pure al cinema nel weekend, ed Ermal, per contro, a malapena riesce a stringere la mano alla tizia alla fine dell'uscita, per il tanto che si sono cagati
(Marco si sente pure in colpa perché finisce a fare le faccende canticchiando)
Dopodiché, Marco è un attimo troppo preso dalla sua nuova e scintillante vita sentimentale per far da wingman o da palo o da ruota di scorta (o un po' da tutti e tre) al coinquilino
Quindi, lamentandosi a gran voce degli amici ingrati che non ricambiano i favori, Ermal implora Vige di accompagnarlo
"Non se ne parla, odio gli appuntamenti a quattro" "Ma non lo sarebbe! Leinonsanemmenochedevivenire" "...eh?" "Ti offro da bere, e appena vedi che le cose stanno andando bene, te ne vai. Ti pago anche il biglietto dell'autobus" "Il taxi" "...il taxi"
Nota Bene: Ermal tutti sti soldi non li ha, e Vige lo sa bene. Ma insomma, che fai, gli dici di no?
Quindi arrivano al bar, e la scusa è che Ermal aveva la macchina in panne e Vige è l'anima magnanima che lo ha accompagnato e che gli lascerà la macchina a fine serata
Solo che non riescono ad usarla perché beh, la tizia non arriva
Ermal passa venti minuti a fissare il cellulare e mandare messaggi, finché Vige non gli fa notare che "Chiamala! Se hai detto che era al lavoro non può star lì a controllare i messaggi di Whatsapp"
"Che-? Ah, giusto"
Salta fuori che la tizia fa la veterinaria e nella clinica dove lavora hanno portato un cane randagio a cui avevano investito una zampa e andava operato d'urgenza
"Potresti passare in clinica? Ne avrò ancora per un po', ma conosco un posto qui vicino dove possiamo fermarci per cena"
E quindi fu così che Ermal e Vige si trovarono alla clinica 
E la veterinaria non ha nemmeno il tempo di fare domande sulla presenza di Vige perché quello vede il cane e gli si fanno gli occhi a cuore
PUPPIES AL QUADRATO
E quindi, Ermal riesce a fare da terzo incomodo al suo stesso appuntamento mentre Vige chiede alla tipa informazioni su come adottare il cane ("Guarda, ci faresti un favore, teoricamente dovremmo tenerlo una settimana in osservazione, ma se è in casa e qualcuno può tenerlo d'occhio, lo puoi portare ogni mattina che verifichiamo come se la sta cavando, quindi se ripassi dopodomani è tutto tuo")
E fu così che Andrea adottò un cagnolo bellissimo ed Ermal decise di non usarlo mai più come spalla perché poi gli rubava l'attenzione delle persone (davvero, la veterinaria per fine serata gli stava dando il biglietto da visita con scarabocchiato sopra il suo numero personale)
(Vige è assolutamente dispiaciuto dalla cosa, sicuro, va al parco col suo nuovo cagnolo ABBATTUTISSIMO)
E lì potrebbe come non potrebbe conoscere Niccolò e Spugna ma io non v'ho detto niente
Dunque, Ermal punta sul buon Pace
E lo fa con le sacrosante moine del caso
"Roberto, tu che sei un tanto caro ragazzo, non come quegli altri..." "Che ti serve?"
Roberto, che fondamentalmente ha il cuore buono, accetta di sottostare a questo esperimento scientifico di quanto in fondo possa scendere il suo amico
Stavolta, usano la tecnica del "Oh ma guarda, il mio carissimo amico è nello stesso posto dove siamo noi, offriamogli da bere, proprio non me lo aspettavo cARRAMBA CHE SORPRESA"
Il tizio con cui sta uscendo Ermal se la beve, incredibilmente, ma considerato che stava già alla seconda bottiglia di birra, uhm. Non è poi strano.
Va a finire che li trascina in uno di quei circoli per uomini di mezza età a giocare a carte
A soldi
(il tipo è abbastanza problematico, sì)
Risultato: Roberto guadagna qualcosa come trecento euro, il tizio va in rosso, Ermal... In bianco
Che novità
Questa cosa inizia a diventare la barzelletta del gruppo: esci con Ermal a fare il terzo incomodo e quello a cui va di culo sei tu
Ermal li odia e vuole nuovi amici che lo supportino anziché percularlo
"E pensi di trovarli come ti stai trovando qualcuno con cui stare?"
YOU GOT HIM THERE
Pure Deeno e Paolino provano a fargli da wingmen
Uno vince i biglietti per un concerto, l'altro riesce a beccarsi qualcosa come cinque numeri diversi in una sera
E non parliamo di Emiliano, per cortesia
Che “Resto in macchina, se le cose si mettono male mi mandi un messaggio ed entro fingendo un'emergenza” (un vero PadreTM con tattiche da GenitoreTM)
E finisce per ritrovarsi tra le mani dei biglietti per una vacanza in Costa Smeralda perché fuori dal locale c'era una tizia ubriaca appena mollata dal ragazzo e lui l'ha consolata
Ermal esce dal locale (da solo, la tizia ha deciso di aspettare delle sue amiche per iniziare a “divertirsi per davvero”) e lo trova a fissare sti biglietti per la Sardegna e tutti i nominativi e le Cose per l'albergo TUTTO PAGATO
Ermal è: così F4 che ormai è F16
(Capita la battuta? 👉👉) meno male che studio psicologia e non ho mai avuto aspirazioni nel mondo della comicità
Quando racconta la situazione a Fabrizio, con la testa tra le mani e lo sguardo imbarazzatissimo, quello manco riesce ad essere geloso, perché davvero è troppo paradossale
[record scratching noise] FABRIZIO?¿?¿?¿?
Essì, Fabrizio.
Riavvolgiamo il nastro, a prima che Roberto ricevesse il suo bel gruzzolo, prima che Vige si trovasse ad avere un cucciolo, prima che Marco trovasse la donna della sua vita e prima ancora che Ermal cominciasse questo tragico trend di portarsi gli amici agli appuntamenti
D'altronde, cos'è la narrazione lineare? A che serve?
Ripartiamo da... Rinald
Rinald che va dietro alla stessa tipa da secoli e sta pinando come un vero albero di pino, al punto che sono tutti disperati È UN ANNO CHE LE VAI DIETRO BASTA ORA
E così, Sabina, in un moto di amore fraterno ("Ha bisogno di scopare"), lo iscrive a sua insaputa a uno speed date
Tutto bellissimo, peccato che Rinald riesca, dopo un anno di pining, a mettersi con la tipa
IL GIORNO PRIMA DELLO SPEED DATE
E no, che cazzo, Sabina ha già pagato pure la caparra perché partecipasse a sta cosa, non ci butta sette euro così
Quindi ci manda Ermal, che per una sera deve fingersi il fratello ed esclusivamente interessato alle donne
Che sarebbe anche facile, per carità, se non fosse per l'immenso pezzo di fregno un po' annoiato che sta seduto nel tavolino di fianco, che mette a dura prova la sua concentrazione
In realtà è qui che iniziano tutte le sfighe in amore di Ermal, io vi ho avvertiti
Perché lui ci prova, a concentrarsi sulla persona che ha davanti, ma il tizio è proprio, come dicono le donne, BONO
E quando ride imbarazzato si copre gli occhi ed è proprio un sacco carino e lo guardi cinque secondi parlare e ti rendi conto che oltre l'aria da bed boi ha proprio questo modo di fare da scolaretta timida e lo sguardo gentile e e e
E insomma, Ermal.exe stopped working
Quindi continua a fissarlo, e le tipe non lo mandano a cagare solo perché una delle regole è proprio quella di non mandare a cagare e/o fare scenate
Ma quanto vorrebbero farlo, Dio solo lo sa, quello sta sempre incantato
Ed è pure doppiamente pessimo perché he's really not subtle about it
Al punto che il tizio sistematicamente lo sgama a fissarlo
O forse ti sta checking out a sua volta, eh, Ermal?
Com'è, come non è, finisce questo inferno di speed date
Ma c'è anche il buffet post-cosa perché così uno può autocommiserarsi davanti agli stuzzichini e bere come una spugna
E chi è Ermal per rifiutare un po' d'autocommiserazione e alcol?
Nessuno sano di mente lo farebbe, specie nella sua situazione
Quindi, si sta rigirando tra le dita quel salatino che tanto sembra un plettro, quando nota che qualcuno gli si è avvicinato
No, non “qualcuno” qualsiasi: la causa di tutti i disastri di quella sera, la ragione per cui non è riuscito a concentrarsi su più di due frasi alla volta, il motivo per cui tornerà a casa e dovrà ammettere a Sabina (e a nessun altro, ché non ha nessuna intenzione di farsi prendere per il culo dai suoi amici) di essere riuscito nell'assurda impresa di non beccare. un. solo. numero., nemmeno quello della tizia che, appena sedutasi gli aveva detto “guarda, se ti va ci vediamo nei bagni a fine serata [wink wink, nugde nudge]” (non che ad Ermal andasse particolarmente, insomma, ma era un po' scoraggiante)
Insomma, la persona che gli si para davanti è il Tizio FregnoTM
Ermal, a quel punto, un po' se la fa sotto, perché, UHM,,,, lo ha letteralmente fissato tutta la sera
Quello è là per chiedergli conto della cosa e lui è nei casini, perché cosa può rispondere, “Mi sembrava uno spreco non fissare l'opera d'arte nella stanza”? Quando nemmeno sa se al tizio piacciano gli uomini?
Quindi sta spiralling potentemente, quando il tizio si avvicina ancora di più, per farsi sentire da sopra la musica e il chiacchiericcio generale, e gli chiede “Scusa, ma noi ci conosciamo?”
Ermal suda FREDDISSIMO
“Non credo, perché?”
“Boh, mi pareva d'averti già visto da qualche parte” replica quello, con una scrollata di spalle
Nei suoi sogni, E', ecco dove t'ha visto
“Comunque allora io so' Fabbbbrizio, piacere. Che prendi da bere?”
E se Ermal dovesse indicare il preciso istante in cui la sua vita sentimentale ha cominciato a finire, sarebbe proprio quello
SKST il cliffhanger brutto ma tumblr dot hell non fa mettere più di cento punti per post e questi son già novanta
se fosse una cosa bellina la dedicherei a @trashmouthgently ma siccome è na cagata la ringrazio solo per non aver chiamato ancora la neuro nonostante si ritrovi al risveglio trenta miei messaggi con il plotting di ste cagate (in compenso, andatevi a leggere i suoi bulletpoint che sono Arte)
46 notes · View notes
the-door-of-my-heart · 2 years ago
Text
Questo anno è stato un anno veramente duro, erano anni che non mi sentivo più sola. 
Quasi un anno fa Ale è entrato nell’esercito, è partito a 540km e per un mese ci siamo sentiti poco e visti per niente.
Il primo mese è stato un inferno, ogni chiamata era una pugnalata, è arrivato anche un momento in cui speravo non mi chiamasse per non dover sentire e soffrire per i suoi racconti. 
L’ambiente era totalmente diverso da quello che mi ero immaginata e che si era immaginato lui, ho visto per la prima volta da anni Ale a terra, non sembrava più nemmeno lui. Era demoralizzato, completamente demotivato, deciso ad andarsene e chiudere definitivamente con questo brutto momento e ricordo della sua vita.
Per assurdo la sua forza ero io, io che da quando se ne era andato ero a terra, una suola, uno straccio imbevuto in così tanti pianti che per asciugarsi non avrebbe impiegato meno di un anno. 
Io che avevo dovuto fare i conti con sensazioni che avevo dimenticato ormai da anni, che mi aveva fatto rimuovere, cancellare da ogni ricordo. Fare i conti con uno dei miei problemi più grandi: il cibo e ho dovuto fare i conti con me stessa ancora da sola.
La sensazione di solitudine e vulnerabilità mi aveva travolta e per i primi giorni non riuscivo a toccare cibo, mi era sconosciuta la sensazione di fame. Non riuscivo a dormire la notte, la passavo piangendo fino al mal di testa o al sonno mentre il giorno piangevo se ero sola in casa o facevo finta di studiare o dormire se qualcuno era presente.
Non volevo che nessuno mi sentisse o vedesse piangere, a me piangere fa star bene e lo faccio per me stessa, spero così di poter buttar fuori tutto il dolore, tutto il male. Non piango perché voglio che gli altri mi compatiscano, mi vogliano bene o per attirare in qualche modo l’attenzione. 
Non sempre però mi era possibile controllare il dolore e se alla radio capitava QUELLA canzone crollavo come una bambina in pianti con urla e singhiozzi. 
Questo peggiorava dopo ogni telefonata, ogni brutta notizia, ogni brutto racconto anche se davanti a lui mi facevo forte e non versavo una lacrima… pensavo avesse bisogno di questo, ma appena la chiamata finiva diventavo un fiume in piena. 
Il tempo passava e il cibo da nemico diventava conforto, uno sfogo e così le sessioni di pianto iniziarono a diminuire fino a finire per essere rimpiazzate da sessioni di mangiate belle abbondanti. 
Mangiavo quasi dalla mattina alla sera senza fermarmi per più di qualche ora o mezz’ora fino al vomito o alla sensazione di vomito senza riuscire a controllarmi. Alcuni giorni mangiavo così tanto da avere dolore e crampi per i giorni successivi tanto forti da non poter toccare o vedere altro cibo, ma come i crampi finivano e la tristezza era tanto forte da non poterlo sopportare mi ributtavo a capofitto in dolci e schifezze. 
Iniziai a vedere il mio corpo cambiare e non riuscendo a controllare la fame iniziai a fare attività fisica distruttiva. Facevo diverse ore di cardio ogni giorno e ogni volta che mangiavo aprivo un video YouTube di allenamento. In poche settimane presi poco più di 10 kili… mi sentivo veramente molto a disagio con il mio corpo, con cui non ero mai stata in pace a dir la verità, non avevo più il controllo su niente. Lasciai indietro l’università, la salute, l’alimentazione e tutti gli hobby e i passatempi che mi rendevano davvero felici. 
Sentivo di non avere nessuno con cui parlare, L’UNICA persona era lontana e stava vivendo una situazione che non aveva paragone. Così mi chiusi in me stessa e ancora oggi, passato quasi un anno, non riesco a raccontagli di quelle settimane o dei mesi a seguire, di cosa c’è che non va, di quanto ancora oggi io stia male a sapere quello che ha vissuto. Ho le lacrime solo a scriverlo.
Oggi è ancora la dentro, per fortuna più vicino a casa, ma l’ambiente è migliorato di poco… vorrei saperlo in un ambiente in cui viene rispettato, in cui è felice e soddisfatto anche se in capo al mondo ma felice. Molto probabilmente lo seguirei e riscriverei la mia vita e i miei sogni per lui. 
Quando è partito qualcosa in me è cambiato e anche oggi che è qui con me lo sento lontano, subito dopo il suo ritorno facevo un pò fatica perché lo sentivo molto diverso, quasi non mi sembrava la stessa persona. 
Il nostro rapporto è cambiato e continua a cambiare ogni giorno, ma ad oggi non è più la persona con cui mi sfogo per tutto, a cui parlo di ogni cosa mi passi per la testa, al contrario mi tengo per me tutte quelle cose che mi rendono triste o mi fanno star male. A differenza dei primi periodi molto spesso ho voglia e quasi il bisogno di confidarmi con lui, però inizio a domandarmi se sia o non sia il caso, se con tutte le cose che vive e ha vissuto sia il caso di caricarlo anche della mia merda. Vorrei mi sapesse serena e felice come lo sono quando siamo insieme, vorrei mi sapesse libera da ogni preoccupazione e ogni dolore e che non vorrei saperlo dispiaciuto, con sensi di colpa o in pensiero per me. L’ultima cosa che voglio per lui e per noi è essere un peso.
0 notes