#Opera Prima Classificata
Explore tagged Tumblr posts
Text
Fiorella Gimigliano vince il Premio Hombres Itinerante 2024 per il giornalismo
Un importante riconoscimento per l'Opera Prima Classificata nella XIX edizione a Santo Stefano di Sessanio
Un importante riconoscimento per l’Opera Prima Classificata nella XIX edizione a Santo Stefano di Sessanio Fiorella Gimigliano si aggiudica il prestigioso Premio Hombres Itinerante 2024, sezione giornalismo, come Opera Prima Classificata. La cerimonia si è tenuta a Santo Stefano di Sessanio, un borgo affascinante nel cuore dell’Abruzzo, noto per essere custode di cultura e tradizioni. Questo…
#Abruzzo#Alessandria news#Alessandria today#Borghi italiani#Cultura#cultura e premi#eccellenza culturale#Elio Lannutti#Eventi culturali#Fiorella Gimigliano#Fiorella Gimigliano premio#Giornalismo#giornalismo d&039;inchiesta#giornalismo di qualità#giornalismo italiano#Google News#italianewsmedia.com#Narrativa#nuove voci giornalismo#Opera Prima Classificata#Pier Carlo Lava#premi culturali#Premi letterari italiani#Premio 2024#Premio Hombres giornalismo#Premio Hombres Itinerante#Premio Hombres vincitore#Premio letterario#riconoscimenti giornalistici#Santo Stefano AQ
0 notes
Text
Funwithfeet come funziona?
INDICEFunwithfeet Recensioni Funwithfeet Guadagni Funwithfeet Trustpilot "FunWithFeet" è una piattaforma online specializzata nella monetizzazione di contenuti multimediali legati ai piedi. Funzionando su un modello basato su abbonamenti, la piattaforma offre tariffe strutturate a $9.99 per un periodo di tre mesi e $14.99 per sei mesi. Secondo dati empirici, un utente di nome Chrissy ha dichiarato un reddito mensile fino a $5,000, con transazioni individuali per fotografie che superano i $300. Questi dati suggeriscono un elevato potenziale di rendimento economico per gli utenti attivi. Una caratteristica unica della piattaforma è la sua capacità di preservare l'anonimato degli utenti, il che potrebbe mitigare potenziali rischi reputazionali. Inoltre, la piattaforma estende le sue funzionalità alla registrazione di video e alla creazione di "contenuti speciali", ampliando così le opportunità di monetizzazione. Questo articolo mira a fornire una valutazione completa e scientifica delle funzionalità della piattaforma, delle recensioni degli utenti e del potenziale di guadagno. Meccanismo Operativo Funwithfeet funziona nel seguente modo La piattaforma permette agli utenti di registrarsi e caricare contenuti che saranno successivamente accessibili ai suoi abbonati. Secondo dati riportati da Diventerò Milionario, la piattaforma opera su un modello di abbonamento con diverse opzioni di pagamento: $9.99 per un periodo di tre mesi o $14.99 per sei mesi. Caratteristiche Distintive Una delle caratteristiche distintive di "Fun With Feet" è l'anonimato garantito, poiché vengono pubblicate solo foto dei piedi, evitando così di rivelare l'identità degli utenti. Questo aspetto è stato evidenziato in un articolo di Tech Everyeye, che ha intervistato un utente di nome Chrissy. Lei guadagna fino a $5,000 al mese, dedicando tra le 3 e le 5 ore al giorno, fino a sei giorni alla settimana, alla piattaforma. I prezzi per i contenuti variano, ma Chrissy tipicamente chiede tra i $300 e i $500 per la maggior parte dei suoi contenuti.
Funwithfeet Recensioni
Nel contesto delle piattaforme per guadagnare online, "Fun With Feet" è una piattaforma emergente che sta guadagnando attenzione per la sua offerta unica. Tuttavia, è fondamentale considerare le recensioni degli utenti prima di investire tempo e denaro. Secondo Diventeròmilionario.it, la piattaforma ha ricevuto 313 recensioni con una valutazione media di 4.1 su 5 su Trustpilot. Questo indica un moderato livello di fiducia da parte degli utenti, ma suggerisce anche che la piattaforma è relativamente nuova e potrebbe avere alcuni problemi di affidabilità.
Funwithfeet Guadagni
Secondo Techprincess, un utente di nome Chrissy ha dichiarato un reddito mensile fino a $5,000. Inoltre, la piattaforma permette transazioni per singole fotografie che possono superare i $300. Questi dati indicano un elevato potenziale di rendimento economico per gli utenti che sono attivi e in grado di attrarre un seguito.
Funwithfeet Trustpilot
Trustpilot ha una pagina di recensioni per "Fun With Feet", che è classificata come "Eccellente" con un punteggio di 4.3. Tuttavia, è importante notare che Trustpilot ha rilevato e rimosso diverse recensioni false su questa azienda. La piattaforma prende molto seriamente l'integrità delle sue recensioni e informa la community se rileva abusi. Dettagli delle Recensioni - Numero totale di recensioni: 383 - Punteggio medio: 4.3 - Distribuzione delle stelle: - 5 stelle: 71% - 4 stelle: 8% - 3 e 2 stelle: 3% - 1 stella: 10% Approfondimenti e Considerazioni Finali È fondamentale sottolineare l'importanza di una valutazione accurata e scientifica prima di impegnarsi in qualsiasi piattaforma di monetizzazione online. Gli utenti potenziali dovrebbero considerare variabili come la sostenibilità a lungo termine, la concorrenza sul mercato e le implicazioni legali legate alla vendita Read the full article
0 notes
Text
Nneka Jones
https://www.unadonnalgiorno.it/nneka-jones/
Nneka Jones è una delle più note artiste e attiviste contemporanee.
Nata a Trinidad, vive a Tampa in Florida, ha fondato Art You Hungry definito un viaggio nell’arte visiva che soddisfa i desideri impellenti nutrendo l’anima.
È diventata famosa con la sua opera sulla copertina di Time nel 2020 durante le rivolte del movimento Black Lives Matter.
Lavora con tecniche miste, ricami, tessuti e pittura che vanno da grandi dimensioni come murales a pezzi molto piccoli.
Famosi sono i suoi ritratti di donne nere che denunciano ingiustizie sociali, ricami che da lontano sembrano dipinti.
È nella terra caraibica di Trinidad, crogiolo di culture, festival e diverse etnie, che sono stati piantati i semi delle sue radici artistiche e la sua identità.
Ha imparato a cucire osservando sua madre e iniziato a disegnare sin da piccola ritraendo donne nere con le tecniche del disegno, pittura e scultura.
Nel 2016 si è classificata prima in tutti i Caraibi agli esami di arte e design e ha deciso di approfondire la sua educazione negli Stati Uniti.
Si è laureata in arte all’Università di Tampa nel 2020 e ha studiato marketing. È stato grazie a un corso di pittura sperimentale che la incoraggiava a dipingere senza colori, che ha iniziato a usare il ricamo come mezzo artistico.
Mentre era ancora studente ha vinto l’Emerging Artist Award al Gasparilla Festival of the Arts e iniziato la serie di dipinti a tecnica mista intitolata Targets, che utilizza preservativi come colori per denunciare il dilagante aumento di adolescenti caraibiche scomparse e diventate vittime di tratta e abusi sessuali.
I suoi lavori, nel 2020, sono stati notati dal direttore artistico della rivista Time che le ha commissionato un’opera d’arte per la copertina del numero speciale del 31 agosto-7 settembre sul razzismo negli Stati Uniti, intitolato The New American Revolution. Era una bandiera americana ricamata, lasciata intenzionalmente incompleta, con un ago infilato nell’ultima striscia a sottolineare che il lavoro non è finito.
Da quel momento, ha cominciato a esporre in posti prestigiosi e le sue opere fanno parte delle collezioni di importanti musei e gallerie statunitensi.
Il Washington Post le ha chiesto di ritrarre l’ascesa della vicepresidente Kamala Harris ed è stata invitata come oratrice per Adobe MAX dove ha sottolineato l’importanza dell’arte come veicolo per l’attivismo.
La serie Shooting Range Target, è costituita da ritratti in digitale di donne nere di ogni età a cui ha sovrapposto un occhio di bue, per “convincere lo spettatore a fermarsi e affrontare il problema a testa alta, guardando direttamente negli occhi la ragazza“.
I volti ritratti come obiettivi richiamano l’attenzione sulle questioni sociali degli Stati Uniti, la violenza armata in generale e soprattutto le sparatorie della polizia contro le persone nere, operazione tesa a rafforzare l’attenzione sul movimento Black Lives Matter, affinché le future generazioni di colore abbiano uno spazio uguale e paritario.
Ha inserito volti di donne nere in cerchi che rappresentano i bersagli delle freccette e dei proiettili.
In una serie successiva, dal titolo Targets Variegated, ha smesso di rappresentare le donne come vittime che evocano tristezza e pietà, per restituire loro potere e consapevolezza.
Ha anche prodotto un dipinto di George Floyd, l’uomo assassinato per soffocamento la cui storia ha fatto il giro del pianeta.
0 notes
Video
Harley Quinn !!!! by Seve Via Flickr: Loka Quinn Cosplay interpreta "Harley Quinn" al Romics - XXV Festival Internazionale Del Fumetto / Animazione / Cinema e Games (Fiera di Roma dal 4 al 7 Aprile 2019). Harley Quinn, il cui vero nome è Harleen Frances Quinzel, è un personaggio immaginario creato da Paul Dini e Bruce Timm per la serie televisiva animata Batman, in cui compare per la prima volta l'11 settembre 1992 nell'episodio Un piccolo favore della prima stagione. Nel febbraio 1994 compare per la prima volta anche nei fumetti, in Batman: Amore folle (The Batman Adventures: Mad Love) della serie Le avventure di Batman. Dall'ottobre 1999 è stata integrata anche nella continuity dei fumetti DC Comics comparendo per la prima volta in Batman: Harley Quinn, ambientata durante la saga Batman: Terra di nessuno. Paul Dini ideò il personaggio dopo aver visto l'attrice Arleen Sorkin vestita da pagliaccio in una sequenza, ambientata in un sogno, della soap opera Il tempo della nostra vita; fu poi proprio la Sorkin a doppiare per la prima volta Harley. Concepita come spalla e fidanzata del Joker nella serie, nel fumetto Amore folle si scopre che lo ha incontrato mentre lavorava come psichiatra al manicomio Arkham Asylum, in cui il Joker era un paziente. Innamoratasi di lui, decide di liberarlo per poterlo seguire nelle sue attivit�� criminali. Il personaggio è stato originariamente doppiato da Arleen Sorkin nel DC Animated Universe (in Batman, Batman - Cavaliere della notte, I migliori del mondo, Gotham Girls e Justice League) e in altri media (Batman of the Future: Il ritorno del Joker e Batman: Arkham Asylum). Da allora, è stato anche doppiato da Hynden Walch, Tara Strong e Melissa Rauch nei DC Universe Animated Original Movies e nei vari videogiochi. Nella serie televisiva Birds of Prey è stata interpretata dall'attrice Mia Sara. Nel 2016 Harley Quinn ha esordito al cinema nel film Suicide Squad, in cui è interpretata da Margot Robbie. Negli anni il personaggio ha acquistato una grande popolarità, tanto che il fumettista Jim Lee l'ha definita il quarto pilastro della DC Comics, dopo Batman, Superman e Wonder Woman. IGN l'ha classificata al 45º posto nella lista dei migliori cattivi dei fumetti.[4] In inglese il suo nome suona come harlequin, ovvero Arlecchino, e nelle sue prime uscite italiane in Le avventure di Batman (edizioni Play Press) veniva chiamata Arlecchina.
2 notes
·
View notes
Text
“In Gold We Trust”: dialogo con Marco Goldin, il Signore Grandi Mostre. Ha portato 11 milioni di persone davanti a Van Gogh, Vermeer, Monet…
L’arte è il racconto della vita e lui Marco Goldin, il Signore Grandi Mostre, emotività, pop e management ha passato la sua raccontare l’arte. Organizzando esposizioni, portando in Italia capolavori, scrivendo saggi, allestendo spettacoli teatrali. Maestri celebri, opere-icona, impressioni, Impressionisti e code impressionanti. Ogni mostra, un successo. Anni fa su Facebook spuntò un gruppo denominato «Quelli che vogliono diventare Marco Goldin». Alcuni critici contestano le sue scelte mainstream, ma lui tira dritto sulla sua linea, quella che parte da Treviso, dove è nato, nel 1961, e passa dalla laurea all’Università Ca’ Foscari di Venezia con tesi su Roberto Longhi scrittore e critico d’arte (110 e lode), lungo 400 esposizioni curate dal 1984 a oggi, attraversa la sua società di produzione di mostre – «Linea d’ombra» a là Conrad – e arriva dove vuole. Alla fine Goldin è l’unico che può ottenere certe opere da musei stranieri e certi finanziamenti dai privati. Di lui si fidano sindaci, direttori, collezionisti, prestatori, sponsor e pubblico. In «Gold» we trust.
Lui ha creduto nella passione e nelle arti-star. E unendole ha creato, a suo modo, un capolavoro. Portare tutti a vedere le sue mostre. Perché prima di essere le mostre su Van Gogh, su Gauguin, su Monet, le mostre curate da Goldin sono un modo di presentare se stesso attraverso i quadri di Van Gogh, di Gauguin, di Monet… Non sono mostre su. Ma mostre di. Marco Goldin. Uno che ti vien voglia di dirgli come Dino Risi a Nanni Moretti spostati, e fammi vedere la mostra.
Lei, le mostre d’arte, vorrebbero che le vedessero tutti.
Mi piace immaginare che le opere d’arte debbano essere appannaggio di un pubblico largo. E sono convinto che la cultura sia prima di tutto racconto e emozione, abbinati all’erudizione.
I suoi avversari storcono il naso davanti alle «emozioni».
Non è una guerra. Non ci sono avversari. Qualcuno separa scientificità e popolarità. Invece per me stanno insieme. Perché una mostra non può fare 300mila visitatori? Perché – invece che allineare uno dopo l’altro dei quadri – non creare un racconto?
Con le sue mostre ha raccontato i grandi temi del viaggio, dello sguardo, del paesaggio e della notte. Cosa sceglie?
Forse il paesaggio. Sono una grande sportivo, da quando avevo 15 anni. Mi alleno molto. Ciclismo, sci d’alpinismo, fondo. Discipline che ti preparano alla fatica e che ti permettono di stare a contatto con la natura. Amo talmente tanto stare all’aperto da ricercarlo anche al chiuso. Ho una passione per la raffigurazione della Natura. Ecco perché ho curato tante mostre sul paesaggio. Collego lo spirito e il lavoro.
Quando inizia per lei il racconto dell’arte?
Mia nonna dipingeva. A otto anni facevo il modello nel suo atelier, in un’altana veneziana di Treviso. Sono cresciuto respirando olio e trementina.
Da allora è stata una linea retta?
No, al liceo i miei interessi erano di tipo letterario. Scrivevo, leggevo poesia. Poi, iscritto a Lettere a Ca’ Foscari misi nel piano di studi Storia dell’arte contemporanea perché all’epoca con quell’esame potevi insegnare alle superiori, non si sa mai. Lì incontrai Giuseppe Mazzariol. Un professore molto particolare: entrava in aula un quarto d’ora dopo e andava via un quarto d’ora prima, ma le sue lezioni erano indimenticabili.
Il tipo di insegnante che ti affascina raccontando.
Ecco. Il suo corso era su Paul Klee, artista che peraltro oggi non amo particolarmente. Ma è lì che è iniziato tutto. Poi ho cominciato a scrivere per un settimanale di Treviso, città dove negli anni ’80 c’erano moltissime gallerie private: ogni settimana s’inaugurava una mostra. Ho iniziato così, frequentando i vernissage e i pittori. Poi ho cambiato piano di studi.
E la vita.
Sì, anche se in quel momento non lo sapevo. Comunque da allora l’arte è vita, passione, lavoro.
E business.
Nel mio lavoro ha avuto qualche successo, certo. In ogni caso non sono mancate perdite, anche pensati a volte.
Prima mostra curata?
Ottobre 1984, avevo 23 anni. In 35 anni di attività ho curato 400 mostre, cioè 11-12 all’anno, una al mese. Ma la media è così alta perché quando ero più giovane e lavoravo soprattutto sulla pittura italiana del ’900 tenevo un ritmo di 30-35 mostre all’anno, contemporaneamente su più sedi, pubblicando anche il catalogo. Me ne rendo conto: era una follia. Da tempo ne faccio una, al massimo due all’anno.
Curriculum?
Dal 1988 al 2002 ho diretto la Galleria comunale di Palazzo Sarcinelli a Conegliano. Dal 1988 al 2003 ho curato molte esposizioni per la Casa dei Carraresi di Treviso. Dal 1998 ho iniziato un ciclo di grandi esposizioni nel Veneto, Torino, Brescia, Bologna, in particolare sulla pittura francese dell’Ottocento. Ho insegnato allo IULM di Milano. Dal ’91 al ’95 ho scritto recensioni per il Giornale, con Montanelli e con Feltri.
Nel 1996 fonda «Linea d’ombra».
È la mia società che si occupa di organizzare mostre sia di ambito nazionale che internazionale.
Quanti visitatori, da allora?
In 23 anni 11 milioni di persone in tutto. Ho ottenuto prestiti da 1.200 fra musei, Fondazioni e collezioni private di tutti i cinque Continenti, per un totale di oltre 10mila opere portate in Italia, di 1.054 artisti diversi. Per nove anni una delle mie mostre è stata la più visitata d’Italia. E per quattro volte si è classificata tra le prime dieci più viste al mondo.
Numeri record, ma che non le sono stati perdonati.
Invidia? Chissà, qualcuno mi ha fatto passare come quello che ha banalizzato l’arte, ma ci sono in giro tante mostre pessime eppure nessuno ha avuto critiche così feroci.
Ci soffre?
No. Mai fatto mostre per calcolo, solo quelle che mi piacevano.
Il suo secolo d’elezione è il ’900.
In ambito italiano sì. Ma le più note restano quelle su Monet, gli Impressionisti, Van Gogh…
Alla Gran Guardia a Verona ha appena inaugurato “Il tempo di Giacometti da Chagall a Kandinsky”.
È l’esempio di quanto la passione prevalga sul business. Così come quella su Rodin lo scorso anno. Organizzare una mostra su Giacometti è antieconomico. Produrre questa mostra costa due milioni. C’è uno sponsor privato, che abbassa il rischio di impresa, pagando un quinto dei costi. Il resto dovrebbe arrivare dai biglietti di ingresso. Ci perderò…
Perché?
Perché tradizionalmente le mostre sulla scultura non funzionano. La gente ama guardare i quadri, non le statue.
Però la fa lo stesso.
È una mostra che sognavo da quando andavo all’università. Giacometti è il primo artista internazionale del ’900 che ha attirato la mia attenzione. È stato uno dei miei primi “amici” artisti, fin dagli anni dell’università quando giravo i musei di tutta Europa, e vedevo i suoi disegni prima ancora che le sue sculture. Di lui mi ha sempre colpito la sua forza della verità. Lui diceva: “L’arte mi interessa molto, ma la verità mi interessa infinitamente di più”.
Cosa significa?
Che prima devi essere una persona vera di fronte alle persone, agli oggetti, al paesaggio che vuoi ritrarre. E dopo, verso l’arte. Il risultato sono le sue sculture uniche. Le guardi, eccole qui: la Grande femme debout, L’Homme qui marche. Quella è la Femme de Venise che fu esposta nel 1956 alla Biennale di Venezia e che riscosse un successo incredibile.
Di critica. Ma perché al grande pubblico le sculture non piacciono?
Perché la gente ama il colore. E nelle sculture non c’è. Tutto qui. È il motivo per cui Van Gogh è stra-amato dal grande pubblico e Giacometti nonostante le valutazioni stellari resta poco conosciuto. Da una parte un colore urlato, dall’altra una forma che fa pensare. Tra le due cose, dal punto di vista dell’empatia dello spettatore medio, non c’è gara.
E infatti nel 2020 farà un’altra mostra su Van Gogh.
A Padova, su Van Gogh e il suo tempo. Per farle capire come si può intercettare l’interesse del pubblico prima di aprire una mostra, le racconto questo. Sulla pagina Facebook di Linea d’ombra stiamo postando alcune foto delle opere che porteremo in mostra. Bene. L’autoritratto col cappello di feltro, stranoto, è stata la prima immagine pubblicata. Poi abbiamo messo in rete un paesaggio di Arles con i mandorli in fiore. La seconda opera ha avuto il doppio dei like rispetto alla prima. Cosa significa? Che tra un ritratto, anche iconico, e un paesaggio, suscita più emozioni il paesaggio.
È per questo che gli Impressionisti fanno sempre boom?
Certo. Perché gli Impressionisti hanno dipinto il paesaggio al suo grado massimo di bellezza.
“L’impressionismo e l’età di Van Gogh” del 2003 a Treviso totalizzò 600mila visitatori. Un record.
Nel 2005 presentai poi 80 Van Gogh e 70 Gauguin tutti insieme, una cosa da Metropolitan. Risultato: 541mila biglietti. A Brescia…
Per fare una mostra di successo cosa serve?
Primo: studiare.
Secondo?
Le relazioni internazionali. Spesso servono più dei soldi».
La sua prima conoscenza “giusta”?
Tanti anni fa. Un giovane curatore del Musée d’Orsay di Parigi, conosciuto qui in Italia, Radolphe Rapetti, che poi andò a lavorare a Strasburgo. Fu lui a presentarmi il direttore dell’Orsay, Henry Loyrette. Io stavo organizzando una mostra dedicata a Roberto Tassi, un grande critico dell’arte e grande scrittore, al pari di Longhi e Testori. Avevo in mente una grande mostra, con prestiti internazionali: tra l’altro Tassi, morto nel 1996, era molto apprezzato in Francia. Quando spiegai a Loyrette il progetto, mi disse: cosa ti serve? Prendi questo, un Cézanne, e questo, un Degas, e questo, un Monet… Tutti artisti sui quali Tassi aveva scritto molto. E così, io, piccolo provinciale di Treviso, me ne andai dal museo d’Orsay con in tasca la promessa di prestiti eccezionali. Successivamente Loyrette divenne direttore del Louvre…
E visto il successo della mostra su Tassi, fu più facile ottenere altri prestiti anche da lì.
All’estero ti giudicano anche sui numeri che fai. Portare a una mostra 200mila visitatori non è come portarne 50mila. Per i musei è un investimento in termine di immagine.
Eravamo arrivati al secondo fattore di successo. Il terzo?
Assolutamente la qualità delle opere: a volte si annunciano mostre con nomi altisonanti ma con quadri modesti.
E poi?
Certo, i grandi nomi aiutano, quelli che la gente riconosce. Monet, Van Gogh, Cézanne, Gauguin, Renoir, Degas, Manet, Courbet… O Picasso, o Vermeer…
Vermeer. Goldin è «quello» che portò “La ragazza con orecchino di perla” in Italia.
Grazie alle relazioni internazionali costruite negli anni. Era il 2011. Mi chiama il direttore del museo Kröller-Müller di Otterlo, con il quale ho rapporti di amicizia da vent’anni. Mi dice: Lo sai che chiudono il museo Mauritshuis all’Aia per restauri? Per due anni faranno viaggiare una selezione delle opere in giro per il mondo. Ti interessa? Immaginati se non mi interessava! Faccio di tutto. Vado all’Aia. Mi dicono che la Ragazza andrà solo in Giappone e negli Usa. Occasione persa, mi dico. Poi però nel 2012 il direttore del Mauritshuis mi ricontatta dicendomi che hanno deciso di aggiungere una tappa, ma le richieste sono tantissime, però ricordandosi che ero stato il primo a farsi avanti mi offre la possibilità, a patto che la città fosse importante. E mi dà tre giorni di tempo. Sufficienti per accordarmi con Bologna. Dove l’ho portata.
A Palazzo Fava, nel 2014. Fu la «mostra delle mostre».
Battuto ogni record. In media abbiamo avuto 3200 entrate al giorno, e mai un giorno sotto i 2mila, nemmeno al lunedì. Fu la mostra più visitata nel 2014 con 342mila visitatori in soli cento giorni. E sì che gli ingressi erano contingentati per via delle dimensioni di Palazzo Fava.
Qualità, grandi nomi. E Il resto?
Il resto è comunicazione.
Campo in cui Lei è il numero uno.
Non lo sono, davvero. Però ho capito presto che la sola comunicazione istituzionale non basta. L’arte va raccontata al pubblico, e le mostre ai giornalisti.
Lei è stato il primo a non fare le conferenze stampa seduto, ma nelle sale con la stampa al seguito.
Se è per quello nel 2001 e 2002 per due mostre alla Casa dei Carraresi a Treviso noleggiai un aereo e portai cento giornalisti nei musei di Oslo e Edimburgo per vedere le collezioni da cui sarebbero arrivate alcune delle opere esposte. Da allora lo faccio spesso. Prima di aprire la mostra su Van Gogh a Padova, l’anno prossimo, porto tutti a Otterlo, in Olanda, al museo Kröller-Müller dove si trova una delle maggiori collezioni di Van Gogh al mondo.
Ripeteranno che sarà la solita mega mostra blockbuster. Molto d’effetto e poco scientifica.
E io ripeterò che invece si possono tenere insieme emozione e scientificità. Tra me e un erudito l’unica differenza è il modo in cui raccontiamo la stessa materia. E comunque, prima di criticare senza avere visto, meglio vedere e poi parlare. A Padova si vedranno prestiti assolutamente sorprendenti, altro che mostra blockbuster.
Dicono che Lei si prepara in maniera maniacale sia per curare una mostra sia per scrivere un saggio.
Per questa mostra su Giacometti ho preso centinaia di pagine di appunti. E poi vado sempre nei luoghi in cui gli artisti hanno creato, per provare a capirli meglio, per vedere le cose come le vedevano loro, per cercare un’empatia. Mentre preparavo la mostra sono stato al passo del Maloja tra la Val Bregaglia e l’Engadina: volevo camminare sui sentieri sui quali aveva passeggiato Giacometti, guardare i paesaggi che ha dipinto: il Lago di Sils, il ghiacciaio del Forno, i picchi coperti di abetaie… Solo se vedi quegli alberi snelli e slanciatissimi capisci da dove arrivano gli uomini e le donne filiformi delle sculture di Giacometti. È con questo spirito che nasce la mostra. E che la rende diversa da tutte le altre.
Oggi invece dicono che le mostre siano tutte uguali. Anzi: che l’Italia è diventata un mostrificio.
Un po’ è vero. E poi negli ultimi anni la qualità si è abbassata decisamente. Gli enti pubblici hanno sempre meno soldi, gli sponsor privati sono in fuga, portare grandi opere e grandi nomi in Italia costa troppo, si offre sempre meno, si fanno esposizioni con cinque opere belle e 50 modeste, il pubblico è meno invogliato, si riduce il numero di biglietti e l’intero circuito delle mostre va in crisi.
La sua mostra più bella?
Forse “America! Storie di pittura dal Nuovo Mondo” al Museo di Santa Giulia a Brescia, 2007-08. Tre anni di lavoro, venti viaggi negli Usa: per raccontare il mito della Frontiera, degli spazi immensi, della vita degli indiani e dei cowboy, esposi 250 quadri prestati da 40 musei americani, più altrettanti pezzi fra fotografie d’epoca e oggetti rituali dei nativi. Una cosa mai fatta prima da noi. A una settimana dall’apertura della mostra c’erano già 80mila prenotazioni. Abbiamo chiuso a 205mila. La Tate di Londra e Amsterdam, sullo stesso tema, erano arrivati a 100mila biglietti.
Allora lei attivò una micidiale macchina di eventi per attirare pubblico: reading, film, concerti, testimonial: Mike Bongiorno, Dan Peterson, Battiato, Salvatores, Volo…
La comunicazione è importante. Ma non puoi comunicare il niente. Se hai qualcosa di bello, lo devi raccontare al meglio, tutto qui.
Luigi Mascheroni
*La presente intervista è la versione integrale di quella apparsa il 16 dicembre 2019 su ‘il Giornale’, in quel caso tagliata per ragioni di spazio, e pubblicata col titolo: “Posavo per mia nonna pittrice. Ora curo mostre da record”.
L'articolo “In Gold We Trust”: dialogo con Marco Goldin, il Signore Grandi Mostre. Ha portato 11 milioni di persone davanti a Van Gogh, Vermeer, Monet… proviene da Pangea.
from pangea.news https://ift.tt/34E93fl
1 note
·
View note
Text
Un’estate da premi(are) 2019: fra Strega, Bancarella e Campiello
Il percorso di lettura odierno è un viaggio fra i romanzi premiati o candidati ai maggiori premi letterari italiani, fra cui potrete, ce lo auguriamo, scegliere alcune delle vostre letture estive.
L’acclamato vincitore del Premio Strega di quest’anno è Antonio Scurati, con il suo M, il figlio del secolo, uno dei libri di cui si è parlato di più quest’anno. Si tratta della storia dell’ascesa al potere di Benito Mussolini. Ciò che probabilmente è risultato vincente è il punto di vista dell’autore: Scurati sceglie, infatti, di lasciar parlare l'uomo più che il personaggio storico, mettendone a nudo tutte le contraddizioni, le debolezze, le idiosincrasie, le ossessioni e i patetismi. Un punto di vista che solo un romanziere avrebbe potuto scegliere.
Seconda è arrivata Benedetta Cibrario, candidata con Il rumore del mondo: “Fondato su minuziosi studi d’archivio e sostenuto da una verve narrativa personalissima, il lavoro di Benedetta Cibrario ci mostra un punto di vista non convenzionale sul Risorgimento” (Giorgio Ficara).
Al terzo posto Marco Missiroli con Fedeltà: “Nelle sue pagine risiede la risposta che solo la letteratura poteva dare allo stupore espresso da Freud dinanzi all’incapacità della libido di separarsi dai suoi oggetti, uno di quei fenomeni che non si possono spiegare ma ai quali si riconducono altre cose oscure. Il guaio non è soffrire, il guaio è farlo nel modo sbagliato. La sofferenza in questo romanzo è come la miseria in Céline: è liberatoria, viene voglia di viverla.” (Sandro Veronesi).
Al quarto posto si è classificata Claudia Durastanti con il suo La straniera, un bel memoir in cui la personale storia familiare dell’autrice si intreccia a parti saggistiche, che le permettono di esprimere una più ampia riflessione su classe, disabilità ed educazione culturale.
Ed infine Nadia Terranova, con Addio fantasmi: una casa tra due mari, il luogo del ritorno. Dentro quelle stanze si è incagliata l'esistenza di una donna che, solo riattraversando la propria storia, potrà davvero liberarsene. L’autrice racconta l'ossessione di una perdita, quel corpo a corpo con il passato che ci rende tutti dei sopravvissuti, ciascuno alla propria battaglia.
Vincitrice di un altro notissimo premio letterario, il Premio Bancarella – in cui a votare sono i librai – è Alessia Gazzola, con il suo Il ladro gentiluomo, ultimo romanzo della serie L’allieva. Una nuova città, un nuovo inizio e nuovi misteri su cui far luce.
Le vicende della protagonista, il medico legale Alice Allevi, sono anche diventate una serie televisiva di successo:
youtube
Secondo classificato Evelyne, il mistero della donna francese, di Marco Scardigli. Siamo agli inizi del XX secolo, e l’arrivo di una misteriosa donna francese a Novara crea scompiglio in città. Ancor di più, però, la scomparsa di un serie di ragazze, tanto che si comincia a pensare che si tratti di un’emulazione di Jack lo Squartatore.
Altro finalista del premio Bancarella, altro bel giallo: Come una famiglia, di Giampaolo Simi. E’ la storia di una famiglia costretta a guardarsi dentro per comprendere fino a che punto ci si può spingere per proteggere le persone che amiamo, e scossa dal sospetto che in un figlio si possa nascondere una creatura feroce.
Fra i finalisti del Bancarella anche Prima che te lo dicano altri. Grazie a una lingua lirica, affilata e precisa, Marino Magliani costruisce una storia durissima di formazione, che non fa sconti alla nostra storia recente e che ci racconta di un affetto che travalica sentenze e confini spazio-temporali per restituirci l’avventura epica per eccellenza: la ricerca delle proprie radici.
E il Premio Campiello? La giuria ha letto e giudicato 300 titoli ed ha già decretato il vincitore del Premio Campiello Opera Prima : Hamburg, opera d’esordio di Marco Lupo, con la seguente motivazione: «Hamburg è un libro sulla labilità della memoria e su come venga tramandata da un gruppo di lettori clandestini. In un mondo di macerie che ricorda le atmosfere di Fahrenheit 451, un coro di voci si ritrova, segretamente, ogni lunedì in una libreria. Non si tratta di una “allegra brigata” che si ritira su un colle ameno, bensì di una banda di resistenti che scorge nella lettura la medesima funzione che gli uomini primitivi attribuivano agli affreschi delle grotte di Lascaux. Anche l’autore, in effetti, dichiara che «Si scrive per dar voce ad animali morenti». Così Hamburg mette in scena uomini e donne sconfitte dalla storia, famiglie costrette a nascondersi sotto terra per sfuggire al bombardamento alleato che nel 1943 rase al suolo la città anseatica. Pellegrini su questa terra, i personaggi del romanzo sono la «sabbia del tempo scomparso» cui allude il sottotitolo.
I cinque finalisti invece sono: Il gioco di Santa Oca di Laura Pariani, un romanzo di ribellione e libertà: la storia di un sogno di giustizia e di una donna coraggiosa che sfida le convenzioni del suo tempo; La vita dispari di Paolo Colagrande: la pirotecnica, profonda ed esilarante parabola umana di un ragazzino che vede solo una metà del mondo, destinato a diventare un adulto che vive solo a metà; Carnaio di Giulio Cavalli: un incubo di carne e soldi, la profezia di un mondo prossimo, in cui l'ultimo passo verso l'abisso è già alle nostre spalle; Lo stradone di Francesco Pecoraro, in cui prende vita un’avventura di conoscenza, attraverso le vicende di una vita, di un quartiere, di un intero secolo; e Madrigale senza suono di Andrea Tarabbia: «Tarabbia si avvicina a un fatto attirato da un richiamo morale, e lo usa per indagare − senza alcunché di morboso, miracolo − il Male nella e della Storia attraverso la scrittura, in una tradizione che va dai Demoni di Dostoevskij fino a Carrère o Vollmann» Alessandro D’Avenia.
La cerimonia finale sarà sabato 14 settembre. Secondo voi, chi vincerà?
#percorsidilettura#premio strega#premio bancarella#premio campiello#antonio scurati#benedetta cibrario#marco missiroli#claudia durastanti#nadia terranova#Alessia Gazzola#l'allieva#marco scardigli#giampaolo simi#marino magliani#marco lupo#laura pariani#paolo colagrande#giulio cavalli#francesco pecoraro#andrea tarabbia
4 notes
·
View notes
Text
Sull’importanza del gioco nello sviluppo affettivo e intellettivo del bambino sono stati presentati molti e stimolanti interventi. I bambini giocano. Dire che i bambini giocano è come dire che il cielo è azzurro. Ovvio, banale, difficile che ci si soffermi a riflettere. I bambini giocano, probabilmente da quando esiste il mondo. Che cosa potremmo trovare, dunque, di meglio per comunicare con i nostri bambini? Giocando con loro impariamo a capirli, a conoscerli, li scopriamo ogni volta di più. E scopriamo un po’ di più di noi stessi. Ma nella vita degli adulti non sempre c’è spazio per il gioco. Bruno Munari (nelle foto), pittore, primo designer italiano, scrittore, creatore di libri per l’infanzia, sosteneva che “conservare l’infanzia dentro di sé vuol dire conservare la curiosità di conoscere, il piacere di capire, la voglia di comunicare”. Ma è difficile conservare l’infanzia dentro di noi. Le nostre vite sono spesso luoghi affollati di cose inutili, inutili fardelli che appesantiscono i giorni. Siamo una società depressa e ansiosa. Il nostro sistema produttivo frammenta il lavoro, in modo che ognuno svolga ripetutamente le stesse azioni, anello di una catena di cui non conosce direttamente né l’inizio né la fine. Tutto ciò deresponsabilizza e non favorisce l’autostima. Lasciati senza guida da una generazione di padri e di madri, che hanno tentato di scardinare i modelli familiari tradizionali e ci hanno lasciato il difficile compito di individuarne di nuovi, spesso abbiamo un’identità fragile, cui cerchiamo di dare una forma attraverso il possesso di beni. Siamo soli, e siamo soli con i nostri figli. Le famiglie tradizionali allargate vanno sparendo, lasciando i genitori soli di fronte al loro compito di genitori. Le esigenze pratiche sono troppe e rubano spazio alla relazione, al tempo del gioco. I genitori hanno addosso tutta la responsabilità e diventano ansiosi, si sentono inadeguati e a volte in colpa. Non c’è spazio per il gioco. Non c’è spazio per giocare con i propri figli. E poi giocare con i bambini non è facile. Perché ci mette in contatto con la nostra infanzia, la va a ripescare, la recupera, e non sempre questo recupero ci rende felici, non sempre i ricordi della nostra infanzia ci fanno piacere. E’ difficile trovare un adulto che sappia giocare. Ma giocare davvero. Nello stesso modo in cui giocano i bambini. Giocando solo per giocare. Perché il gioco è un’attività fine a se stessa. Il gioco non produce, non crea ricchezza materiale: il gioco, come dice Huizinga, impegna in maniera assoluta. E per che cosa poi? Per niente, è la prima risposta che può venire in mente a una società in cui tutto è monetizzato e misurato sulle possibilità produttive. Ma si può imparare a giocare. O meglio, si può riscoprire la naturale capacità di giocare che è dentro di noi. Spazio. Bisogna fare spazio. Spazio alle emozioni, spazio a ciò che non produce. Il gioco, per essere davvero gioco, deve essere spontaneo e soprattutto deve essere una sorta di passatempo. L’atteggiamento del giocatore per professione, come dice Huizinga, non è più un vero e proprio atteggiamento ludico. Nessuno può essere costretto a giocare, perché in quel caso il gioco perde di senso. Il gioco richiede l’intenzione di giocare. E si dovrebbe riflettere bene su questo nei diversi contesti istituzionali in cui si dice ai bambini: giocate! Non è detto, comunque, che giocando si cresca. Bisogna essere disponibili a lasciarsi cambiare dal gioco, a evolvere. Il gioco è un fenomeno articolato. Per poterne parlare bene bisognerebbe affrontare temi come la socializzazione, la formazione della cultura, il pensiero simbolico, la capacità di fare astrazione, la logica, le regole. Che giocare non sia una banale e poco rilevante attività infantile è stato evidenziato anche da Huizinga (1938), che nella sua opera Homo Ludens, ha definito il gioco come fondamento di ogni cultura, evidenziando che anche gli animali giocano e che quindi il gioco esiste prima della cultura. E’ stato Jean Piaget (1896-1980), psicologo ginevrino, la cui fama è legata soprattutto ai suoi studi sullo sviluppo cognitivo nell’età evolutiva, a riconoscere al gioco una responsabilità vitale nella maturazione dell’intelligenza. Piaget ha individuato, infatti, nello sviluppo infantile una prima fase, caratterizzata dal gioco-percettivo motorio, un tipo di gioco non orientato socialmente (tra i 12 e i 18 mesi) e una seconda fase, caratterizzata dall’integrazione del gioco simbolico alle attività percettivo-motorie (dai 18 mesi ai cinque anni). Mentre i giochi motori (afferrare gli oggetti, lanciarli lontano, sistemarli uno sull’altro) rafforzano nel bambino la sicurezza nelle sue possibilità di apportare piccoli cambiamenti alla realtà esterna, il gioco simbolico, in cui gli oggetti diventano simboli di altri oggetti, consentono al bambino di imparare la rappresentazione di eventi fantastici, di esercitare il linguaggio verbale, di scoprire quell’attività creativa che Piaget chiama fabulazione e che consiste nel piacere di ascoltare e di inventare fiabe. Quando arriva intorno ai cinque anni il bambino scopre poi l’interazione nel gioco e intorno ai sette-otto anni conquista la capacità di giocare rispettando delle regole. Nel 1967 un altro psicologo, Donald Winnicott, si è occupato del gioco, inserendolo tra quei fenomeni transizionali che aiutano il bambino, che ha beneficiato di buone cure materne, a emanciparsi in maniera non traumatica dalla dipendenza materna, imparando l’autonomia e conservando una certa fiducia in una realtà positiva che lo protegge. Winnicott ha definito il gioco come un fenomeno transizionale che consente al bambino di situarsi in un’area di illusione che media tra il mondo interiore del bambino e il mondo esterno, dapprincipio percepito come un patrimonio diviso con la madre. Sotto questo aspetto, sostiene Winnicott il gioco e gli oggetti transizionali (come peluche, coperte, sciarpe) danno al bambino un senso di sicurezza e lo aiutano nel controllo dell’angoscia. Vorrei qui evidenziare come, anche sulla scorta di queste osservazioni, sia evidente che il gioco si situa in uno stato intermedio tra i vincoli posti dalla realtà esterna e le infinite possibilità offerte dalla creazione fantastica. Il gioco è, quindi, una sorta di spazio intermedio tra una “realtà reale” e una “realtà immaginaria”. Potremmo paragonare lo spazio del gioco a quello che Carli, parlando dello spazio analitico, definisce “spazio anzi”, intendendo una funzione della mente che consente il ripensamento delle categorie mentali in base alle quali la realtà è stata classificata. Come dice Gregory Bateson “il gioco forza ogni categoria di cui disponiamo”. Lo spazio del gioco, come lo “spazio anzi” consente, infatti, ai bambini e agli adulti, di mettere in discussione le categorie mentali che contengono la propria storia passata, permettendo quel che Carli definisce “apprendimento pedagogico”, laddove porta, grazie a una traduzione simbolica delle proprie emozioni a una riorganizzazione psichica del proprio universo emotivo. Con il gioco, infatti, grazie alle sue regole pre-definite, è possibile trasgredire alle categorie mentali ereditate dalle figure genitoriali, per giungere a una ridefinizione del proprio modo personale di essere nel mondo e per vedere con occhi nuovi la propria storia passata. Il gioco, da questo punto di vista, quindi, agevola una definizione della propria identità. Il “fare finta” nel gioco, che può essere considerato una sorta di agire per prova, consente, inoltre, di mettere in scena esperienze non ancora reali ed educa a una capacità trasformativa dell’esperienza, grazie alla possibilità che offre di imitazione della realtà. Col gioco, infatti, i bambini possono “far finta di” essere adulti, sperimentando questa condizione, senza doverne affrontarne i relativi fallimenti e le inevitabili sofferenze. Per dirla con Bruner “il gioco offre un’eccellente opportunità per provare combinazioni di comportamenti che non sarebbero mai sperimentate sotto pressione funzionale” (Bruner, 1976) e offre “un modo per minimizzare le conseguenze delle azioni e quindi apprendere in una situazione meno rischiosa”. Il gioco, infine, educa al rispetto delle regole, al movimento da un universo di significati a un altro.. Un altro psicologo, il sovietico Lev Semenovic Vygotskji (1896-1934), autore di Linguaggio e pensiero (uscito postumo nel 1934) e di un’opera sul gioco e la sua funzione nello sviluppo psichico del bambino, si è occupato del gioco, centrando l’attenzione sull’importanza dei giochi intellettuali, motori individuali o sociomotori nell’evoluzione affettiva del bambino. Vygotskij considera il gioco come un’attività fondamentale per lo sviluppo intellettivo e come il mezzo più adeguato per facilitare il processo di astrazione. Sembra proprio che il romantico Richter avesse davvero ragione quando asseriva che il gioco è un’attività tremendamente seria.
Sigmund Freud, La psicoanalisi infantile
Donald Winnicott, Gioco e realtà
Johan Huizinga, Homo Ludens
Jean Piaget, Il giudizio morale nel fanciullo
C. Foti, C. Roccia, M. Rostagno, C’era un bambino che non era ascoltato. L’ascolto nella comunicazione, nella tutela, nella cura del minore, Centro Studi Hansel e Gretel di Torino
Claudio Foti, a cura di, Chi educa chi?: sofferenza minorile e relazione educativa , Milano-Unicopli
Gianni Rodari, Grammatica della fantasia 1992
Bruno Munari, Il laboratorio per bambini a Brera
Bruno Munari, Laboratorio giocare con l’arte, quaderni 1-9, Museo internazionale delle Ceramiche Faeinza, Faenza 1983-1994
Beba Restelli, Giocare con tatto Maria Montessori, La scoperta del bambino
Il gioco, un’attività tremendamente seria Sull’importanza del gioco nello sviluppo affettivo e intellettivo del bambino sono stati presentati molti e stimolanti interventi.
#bambini#brunomunari#Donald Winnicott#gioco#gioco simbolico#Gregory Bateson#Huizinga#infanzia#Jean Piaget#oggetti transizionali#psicologia#ragazzi
2 notes
·
View notes
Text
Una vacanza inutile
Esistono e purtroppo non è la mia prima. Non posso dire di non aver imparato niente da nessuna, ma purtroppo quando non ti lasciano niente di positivo, puoi tranquillamente archiviarle come “inutili”.
Eravamo partiti con i migliori presupposti. Un gruppo di nove persone per Madeira con Viaggi e Avventure nel mondo. La mia esperienza dell’anno scorso non era stata priva di bassi, ma c’erano stati molti alti e delle connessioni (seppur temporanee) anche abbastanza intime con alcune persone (solo a livello mentale, non state già a pensar male). In ogni caso, quasi tutti ne siamo venuti via con una forte nostalgia e dell’affetto gli uni per gli altri (non unanime ovviamente, sono viaggi mica miracoli). Pure nel primo viaggio in realtà era stato così.
Nonostante la prima “avventura” del riuscire ad arrivarci a Madeira (grazie TAP, ma la prossima volta un aereo di riserva tienilo in qualche hangar, eh), non eravamo troppo scoraggiati. Abbiamo perso la prima giornata di trekking, che sarà mai no? Andremo in giro per Funchal e in un lido lì vicino.
A-ah.
Purtroppo non avevamo messo in conto una cosa. Vedete, il successo di un viaggio con Viaggi e Avventure ha bisogno banalmente su due cose: un coordinatore capace e la disponibilità del gruppo in generale ad adattarsi. La seconda forse c’era, la prima...
Era solo il primo giorno e avevamo già camminato per un’ora sotto il sole implacabile dell’atlantico latitudine Marocco, quando la coordinatrice decide di fermarsi al lido e basta. Niente votazioni, niente “cosa ne pensate”, io entro e vado. Ciao. O meglio, “io e il mio moroso entriamo e andiamo, voi fate quel che volete”. Io ero anche abbastanza disponibile ad entrare ma vedete, su nove persone due erano coppie, il che lasciava cinque di noi a fare da “terzi incomodi” (perché la seconda coppia aveva detto “anche no” e se ne era andata per i fatti suoi). Ero insomma legata agli altri quattro, che data un’occhiata al ‘lido’ (i madeiregni tra una ventina d’anni si accorgeranno di aver spalmato cemento come se fosse semente e qualcuno comincerà a chiamarli “orrori architettonici” ma niente più potranno farci) e chieste un paio di informazioni all'ingresso, hanno deciso che ‘forse’ sdraiarsi sul cemento non era esattamente l’idea di ‘lido’ e magari no grazie. Non dopo che con qualche minuto di ricerca su google si era scoperto che a meno di 10 minuti di bus pubblico da lì c’era una spiaggia sabbiosa vulcanica (eh). Una roba che potevamo raggiungere in venti minuti dalla piazza principale invece che in un’ora di camminata fino al cemento (si, eravamo partiti con l’idea di andare al lido...).
Qualcuno dirà “che sarà mai? vi siete poi solo separati”. Sì, ma cari, una separazione il primo giorno a opera principale della coordinatrice che sparisce prima che il gruppo possa aver deliberato una decisione, è una cosa che non sta né in cielo né in terra in un gruppo di Viaggi e avventure. Possono avvenire a metà vacanza, alla fine, ma non all’inizio. A malapena avevamo memorizzato i nostri nomi e lei scompare, a fare quello che sarà poi il primo leitmotif del viaggio suo: pomiciare con il moroso (e stiamo parlando di una donna di 40 anni, non 20).
“E quindi? Avete legato voi single, vi sarete fatti gruppo voi, no?”. Anche lì, errore. Vedete, il primo giorno di scuola media il bidello entrò in classe in un momento di assenza del professore e ci diede forse una delle mie lezioni di vita più importanti: “La prima settimana è fondamentale per la prima impressione, comportatevi bene la prima settimana e sarete sempre l’alunno ben educato, comportatevi male e non sarete altro che il combina guai per il resto dei tre anni”. Aveva ragione e sapete una cosa? E’ estendibile al resto della vita, ma non solo per le impressioni, anche per i legami. Vedete, con un viaggio del genere hai solo 10 giorni da spendere insieme, quindi i primissimi sono fondamentali. Per tutta la vacanza la nostra coordinatrice non è stata altro che quella che doveva fare il “check limone” in un posto, così come noi non siamo stati altro che il gruppo di “brutte persone malpensanti” (autodefiniteci). E dopo il terzo giorno è stato anche peggio.
Fino al terzo giorno abbiamo allegramente preso in giro tra noi sette (l’altra coppia alla fine si è unita al gruppo) l’atteggiamento da fidanzatini in viaggio di nozze della coordinatrice e del suo moroso (che avremo sentito parlare tipo due volte, a fine vacanza saranno poi cinque), ma è il terzo giorno che l’abbiamo bollata come incapace egoista, quando a momenti non mi faceva ammazzare su Pico de Ruivo.
Vi dico due cose su Pico de Ruivo: è alto, molto alto, pieno di scalini manco fosse una costruzione Maya con la montagna da una parte e il vuoto dall'altra (quando il vuoto non l’hai in entrambi i lati o di fronte o dietro) e la parte da cui siamo partiti è classificata EE, per escursionisti esperti. Vi dico anche un’altra cosa: nessuno di noi tranne la coordinatrice sapeva di tutto ciò prima di affrontarlo.
Ora, io sono cresciuta in montagna e ho le idee piuttosto chiare su come classificare un percorso montano. Se nella scheda del viaggio c’è scritto “trekking facili” so cosa aspettarmi. Quello non era un trekking facile, manco per u’ cazzo, per dirla alla francese. Era il mio primo giorno di ciclo, e lei lo sapeva. Glie l’avevo detto il giorno prima, chiedendole quanto fosse impegnativo perché avrei dovuto prepararmi anche chimicamente. Lei disse ma sì che ce la fai. Nessuno di noi ha visto niente di quella escursione, perché eravamo troppo impegnati a tenerci alle balaustre su scarpate a scalini troppo ripide per osservare altro che i nostri piedi e, io, a non svenire dalla fatica. Credo si sia resa conto della sua cazzata solo quando, a un paio di centinaia di metri (in salita ancora) dal rifugio, si sono fermati tutti ad aspettarmi e a quanto pare avevo la faccia della morte. Dopo ha anche cercato di convincermi che il motivo per cui mi ero sentita così male poteva derivare da tante cose, sai il sole, l’altitudine, l’aria e io non so quale dio mi ha tenuta, ma sono riuscita a non mandarla a fanculo e a buttarla giù dalla scarpata successiva (ma la faccia c’era). Ha anche contestato la classificazione del percorso. Peccato che lei faccia sci d’alpinismo e ogni domenica si arrampichi sui monti. Grazie al cazzo che per lei è stato facile (sempre per dirla alla francese).
Da quel momento in poi come gruppo abbiamo fatto solo due cose: parlare male di lei e lamentarci dei luoghi. Niente andava bene, ma era una cosa che stavo notando anche già prima di Pico de Ruivo. Niente era abbastanza spettacolare, bello, pulito, gustoso, comodo, facile. Le spiagge non erano belle o non si potevano considerare spiagge (andate alla spiaggia pubblica del Lido di Venezia e poi ne riparliamo del vostro concetto di spiaggia). Troppo aglio nel cibo (ed ero anche d’accordo, ma invece di prenderla a ridere era ormai una cosa su cui mettere la croce sopra i madeiregni). Troppo vento. Troppo freddo. Troppo cemento. Troppa strada. Troppo.
E io che ho fatto? Dopo il mio sclero con Migliore Amica riguardo alla negatività di cui ero circondata e piangendo per tipo 4 giorni sui miei poveri polpacci e quadricipiti sfiancati dal Pico, mi sono adattata. Perché eravamo solo in nove, due erano in viaggio di nozze e gli altri sei erano già sintonizzati. Che potevo fare? Sono diventata una brutta persona pure io. Non che non lo sia già di base, ma di solito cose come “minima decenza umana”, “educazione” e “magari teniamo bassa la cresta che mica sono chissà quale esempio di perfezione manco io” mi tengono a bada (a pensar male è così facile che vedete, vi piglio in fallo tutti, non mettetevi a giudicare).
La cosa più tragica di tutto ciò però, è che nel momento dei saluti non c’è stata commozione. Erano estranei che si erano uniti sulla base di un sentimento di odio e disprezzo comune e come si erano trovati si erano lasciati. Ci ho sofferto, ci sto soffrendo ancora e non mi piace. Anche perché la mia parte nel tentativo di aprirmi ho cercato di farla, ma credo sia andata totalmente a vuoto, come un sasso lanciato da una scogliera di cui non puoi raggiungere il bordo, che non sai nemmeno se ha incontrato l’acqua o altra roccia. E pensavo anche che qualcosa da almeno un paio di persone in cambio di fosse, e invece no.
E abbiamo probabilmente fatto del male a una nostra compagna di gruppo, che è il motivo principale per cui se nessuno lo proporrà, non sarò di certo io a istillare l’idea di una reunion. Ora c’è solo questa sensazione di spreco e smarrimento e di essere stata truffata. Se del mio tempo, denaro o energie o tutto non lo so, ma stavo meglio prima e questo non va bene.
Per favore, se volete fare i coordinatori, fatelo per bene. I viaggi per sposini fateli da soli.
34 notes
·
View notes
Photo
La sequenza-videoclip di J’ai tué ma mère nella quale Hubert e Antonin dipingono usando la tecnica del dripping di Jackson Pollock, può essere una chiave per accedere al cinema di Xavier Dolan perché il suo primo girare è un po’ come l’action painting dell’artista americano: espressionista, istintivo, liberatorio. Come in Pollock, il regista porta il suo Io sullo schermo, smaschera l’inconscio. Dunque tutto, in quel cinema, racconta di Dolan: la narrazione e le forme nelle quali decide di esporla. Se il pittore lasciava sgocciolare il colore sulla tela, il regista fa colare le immagini sullo schermo senza elaborarle, sputandole, lanciandole con forza e senza filtri: c’è potenza nel suo gesto registico, c’è disordine, interiorità denudata, ma anche conoscenza di un linguaggio. E passione, istinto. Il suo è, nello stesso tempo, cinema consapevole e spontaneo. J’ai tué ma mère, che porta Xavier Dolan alla ribalta del festival di Cannes a soli 19 anni, è un’autobiografia romanzata sul rapporto contrastato con la madre, in forma di melodramma sperimentale. È un’epopea drammatica sulla precocità e i suoi dolori, sul tormentato cammino verso l’autonomia, sul distacco travagliato dal mondo familiare segnato dall’ultimo vano tentativo di inquadramento di una persona che non vuole essere classificata. In questo senso è un esordio impressionante, non solo per la maturità della scrittura e dell’approccio visivo, ma, col senno di poi, anche per come riesce a delineare un mondo poetico già perfettamente definito: l’opera del canadese continuerà, da allora, a parlare del rifiuto di ogni etichetta e categoria, della necessità di affermarsi come individuo, dell’inesistenza di un modo giusto e assoluto di organizzare l’esistenza. Continuerà a porre l’esperienza soggettiva al centro della scena, senza elevarla a esempio di nulla se non di se stessa e senza agganciarla a schemi culturali predefiniti, in un cinema la cui dimensione militante è innegabile, anche se in un senso non tradizionale, più volta a rivendicare un diritto all’eccentricità, dissociato dal discorso di genere. Diario adolescenziale filmato, raccolta di citazioni (letterarie, stilistiche: Dolan scippa a destra e a sinistra senza pudore), restituzione realistica di un mondo intimo (i libri, i poster alle pareti, gli oggetti, gli indumenti), opera di kitsch cosciente venata di pop (i ralenti, gli inserti visionari, i pittorici cromatismi), psicodramma isterico e divertente che scivola nell’impietosa indagine introspettiva, J’ai tué ma mère parte da un progetto di scrittura molto lavorato per stemperarne l'ipertrofia su un piano immaginifico in cui tante espressioni artistiche si incrociano. A livello tematico presenta l’esposizione di un archetipo, quello materno, che sottilmente (Les amour imaginaires, Laurence Anyways) o platealmente (Mommy), tornerà nel suo cinema come legame di definizione ineffabile: in un momento in cui Hubert sta arrivando alla piena conoscenza di sé, vive e si confronta con una madre che ama in quanto madre, ma che detesta, vedendola come un ostacolo al diventare ciò che sogna di essere. Di fronte a un’autostima scambiata per presunzione, a uno slancio creativo percepito come indisciplina e disordine, a un’omosessualità interpretata come segreto vigliacco, Hubert appare un enigma insolubile, una mina vagante, un soggetto che va in qualche modo inquadrato, un essere sulla via di perdersi che va reindirizzato, un deviato sociale da salvare prima che sia troppo tardi. L’incomprensione tra madre e figlio è un falla che, all’età del ragazzo, non trova modi di essere colmata se non con insensati atti di autorità (la scena dell’addio rabbioso prima di partire per il convitto è toccante, forse il momento drammatico più alto). Quanto questo film sia stato poi seminale nella filmografia del canadese lo dimostra la sua futura rilettura, in una chiave dichiaratamente patologica, inscritta in una cornice sci-fi, in Mommy, consapevole verniciatura commercial-arty del prototipo (di cui ripropone - in ruoli sovrapponibili - il duo di attrici Anne Dorval e Suzanne Clément). Rimane un manifesto cristallino del talento del canadese, di un potenziale poi puntualmente espressosi nelle opere successive.
1 note
·
View note
Link
0 notes
Text
Musica contro le mafie a Sanremo. Premi agli artisti in concorso
Nuovo post su italianaradio https://www.italianaradio.it/index.php/musica-contro-le-mafie-a-sanremo-premi-agli-artisti-in-concorso/
Musica contro le mafie a Sanremo. Premi agli artisti in concorso
Musica contro le mafie a Sanremo. Premi agli artisti in concorso
Fabio Messeri, Cance, Micaela Tempesta seguita dai Romito. Sono qyuesti i giovani premiati alla decima edizione del Premio “Musica contro le mafie”. Si è infatti conclusa a Casa Sanremo la premiazione durante la serata, presentata da Claudio Guerrini, conduttore radiotelevisivo e storica voce di RDS. L’edizione 2020 sancisce un lungo percorso di sensibilizzazione iniziato oltre un anno fa e che ha permesso alla manifestazione di raggiungere enormi riscontri con numeri da record: oltre 500 artisti hanno risposto alla call e ben 10 sono stati i finalisti live durante la “5 giorni di Musica contro le mafie” di Cosenza. Alla premiazione hanno partecipato, insieme al Coordinamento di Libera della Provincia di Imperia, anche gli studenti delle scuole di Sanremo, Imperia, Arma di Taggia, Ventimiglia e Bordighera, che oltre a svolgere un ruolo attivo nella giuria sono i principali fruitori della musica e destinatari di un messaggio di impegno e consapevolezza, di invito alla cittadinanza attiva. La menzione del Club Tenco è andata al brano “Restiamo Umani” di Fabio Messieri, brano in cui la canzone d’autore e l’impegno civile si fondono e creano un appello accorato per tendere le mani all’altro. La menzione speciale di Musica contro le mafie insieme alla “targa giovane autore”, una borsa di studio di SIAE, è andata al brano “Non siamo pesci” di Chris Obehi, un lottatore di speranza e di vita incontenibile contro l’emorragia di umanità. Premio speciale “La musica può”, assegnato da Mklive attraverso “Perchicrea” di SIAE e MIBACT per gli artisti under 35, a Cance con il suo brano “Conosci?” sulle illusioni di una generazione tradita. Il premio Musica contro le mafie 10^ ed., opera realizzata dal maestro orafo Michele Affidato, è stato assegnato ai Romito, secondi classificati con il loro brano “Cosa ‘e niente” ci ricordano come sia importante scegliere da che parte stare prendendo posizione in situazioni di ingiustizia senza restare inermi. Con questo testo in lingua napoletana si sono voluti contrapporre a quella musica che diventa, suo malgrado, mezzo di diffusione ideologica di valori di marginalità e delinquenza. Prima classificata Micaela Tempesta che con la sua preghiera eretica “4m3n” (Amen) cruda e irriverente, ci ricorda come sia importante che la dimensione spirituale e l’impegno civile coincidano. Da “quella dell’ultimo banco”, come si è definita, ha fatto il pieno di premi, vincendo anche l’esibizione al prossimo concerto dell’Uno Maggio libero e pensante di Taranto e un tour nei festival del circuito Keepon Live. Il sodalizio con il patrón di Casa Sanremo, Vincenzo Russolillo, capace di coniugare forma e sostanza, glamour e contenuti, si conferma anche quest’anno, così come l’impegno concreto e l’attenzione alle tematiche sociali. Il valore aggiunto di questa edizione è stata l’interazione tra mondi apparentemente lontani ma che invece diventa possibile grazie al linguaggio universale della musica. Prima della cerimonia di premiazione è stato presentato il nuovo progetto di residenza artistica “Sound Bocs” (realizzato grazie a Mibact e Siae) che vedrà giovani artisti in un quartiere creativo in stile mitteleuropeo nel cuore della Calabria. La Sala Lounge di Casa Sanremo ha ospitato lo showcase di tutti i premiati, con un infaticabile Claudio Guerrini che, al termine delle esibizioni, insieme al presidente di Musica contro le mafie Gennaro de Rosa, ha dato appuntamento alla prossima edizione”. Il Premio è stato Ideato e organizzato dall’Associazione “Musica contro le Mafie” sotto l’egida di Libera (Associazioni, nomi e numeri contro le mafie), con il patrocinio di Avviso Pubblico e Legambiente, il Premio è un progetto culturale che si realizza con il supporto di preziosi contributi di Siae, Doc Servizi, Acep, Unemia, Omnia Energia, EarOne con il contributo istituzionale di Avviso Cultura PAC Calabria 2017/2019 di Regione Calabria e Comunità Europea e con la partnership di Casa Sanremo, Club Tenco, Uno Maggio Libero e Pensante, Keep On, Primo Maggio Roma, Officine Buone e il Maestro orafo Michele Affidato.
Fabio Messeri, Cance, Micaela Tempesta seguita dai Romito. Sono qyuesti i giovani premiati alla decima edizione del Premio “Musica contro le mafie”. Si è infatti conclusa a Casa Sanremo la premiazione durante la serata, presentata da Claudio Guerrini, conduttore radiotelevisivo e storica voce di RDS. L’edizione 2020 sancisce un lungo percorso di sensibilizzazione iniziato oltre un anno fa e che ha permesso alla manifestazione di raggiungere enormi riscontri con numeri da record: oltre 500 artisti hanno risposto alla call e ben 10 sono stati i finalisti live durante la “5 giorni di Musica contro le mafie” di Cosenza. Alla premiazione hanno partecipato, insieme al Coordinamento di Libera della Provincia di Imperia, anche gli studenti delle scuole di Sanremo, Imperia, Arma di Taggia, Ventimiglia e Bordighera, che oltre a svolgere un ruolo attivo nella giuria sono i principali fruitori della musica e destinatari di un messaggio di impegno e consapevolezza, di invito alla cittadinanza attiva. La menzione del Club Tenco è andata al brano “Restiamo Umani” di Fabio Messieri, brano in cui la canzone d’autore e l’impegno civile si fondono e creano un appello accorato per tendere le mani all’altro. La menzione speciale di Musica contro le mafie insieme alla “targa giovane autore”, una borsa di studio di SIAE, è andata al brano “Non siamo pesci” di Chris Obehi, un lottatore di speranza e di vita incontenibile contro l’emorragia di umanità. Premio speciale “La musica può”, assegnato da Mklive attraverso “Perchicrea” di SIAE e MIBACT per gli artisti under 35, a Cance con il suo brano “Conosci?” sulle illusioni di una generazione tradita. Il premio Musica contro le mafie 10^ ed., opera realizzata dal maestro orafo Michele Affidato, è stato assegnato ai Romito, secondi classificati con il loro brano “Cosa ‘e niente” ci ricordano come sia importante scegliere da che parte stare prendendo posizione in situazioni di ingiustizia senza restare inermi. Con questo testo in lingua napoletana si sono voluti contrapporre a quella musica che diventa, suo malgrado, mezzo di diffusione ideologica di valori di marginalità e delinquenza. Prima classificata Micaela Tempesta che con la sua preghiera eretica “4m3n” (Amen) cruda e irriverente, ci ricorda come sia importante che la dimensione spirituale e l’impegno civile coincidano. Da “quella dell’ultimo banco”, come si è definita, ha fatto il pieno di premi, vincendo anche l’esibizione al prossimo concerto dell’Uno Maggio libero e pensante di Taranto e un tour nei festival del circuito Keepon Live. Il sodalizio con il patrón di Casa Sanremo, Vincenzo Russolillo, capace di coniugare forma e sostanza, glamour e contenuti, si conferma anche quest’anno, così come l’impegno concreto e l’attenzione alle tematiche sociali. Il valore aggiunto di questa edizione è stata l’interazione tra mondi apparentemente lontani ma che invece diventa possibile grazie al linguaggio universale della musica. Prima della cerimonia di premiazione è stato presentato il nuovo progetto di residenza artistica “Sound Bocs” (realizzato grazie a Mibact e Siae) che vedrà giovani artisti in un quartiere creativo in stile mitteleuropeo nel cuore della Calabria. La Sala Lounge di Casa Sanremo ha ospitato lo showcase di tutti i premiati, con un infaticabile Claudio Guerrini che, al termine delle esibizioni, insieme al presidente di Musica contro le mafie Gennaro de Rosa, ha dato appuntamento alla prossima edizione”. Il Premio è stato Ideato e organizzato dall’Associazione “Musica contro le Mafie” sotto l’egida di Libera (Associazioni, nomi e numeri contro le mafie), con il patrocinio di Avviso Pubblico e Legambiente, il Premio è un progetto culturale che si realizza con il supporto di preziosi contributi di Siae, Doc Servizi, Acep, Unemia, Omnia Energia, EarOne con il contributo istituzionale di Avviso Cultura PAC Calabria 2017/2019 di Regione Calabria e Comunità Europea e con la partnership di Casa Sanremo, Club Tenco, Uno Maggio Libero e Pensante, Keep On, Primo Maggio Roma, Officine Buone e il Maestro orafo Michele Affidato.
0 notes
Text
Sanremo 2020: Premio "Musica contro le Mafie"
Si è conclusa ieri 4 febbraio a Casa Sanremo la premiazione della decima edizione del Premio “Musica contro le mafie”.La serata, presentata da Claudio Guerrini, conduttore radiotelevisivo e storica voce di RDS; sancisce un lungo percorso di sensibilizzazione iniziato oltre un anno fa e che ha permesso alla manifestazione di raggiungere enormi riscontri con numeri da record: oltre 500 artisti hanno risposto alla call e ben 10 sono stati i finalisti live durante la “5 giorni di Musica contro le mafie” di Cosenza.Alla premiazione hanno partecipato, insieme al Coordinamento di Libera della Provincia di Imperia, anche gli studenti delle scuole di Sanremo, Imperia, Arma di Taggia, Ventimiglia e Bordighera, che oltre a svolgere un ruolo attivo nella giuria sono i principali fruitori della musica e destinatari di un messaggio di impegno e consapevolezza, di invito alla cittadinanza attiva. Il sodalizio con il patrón di Casa Sanremo, Vincenzo Russolillo, capace di coniugare forma e sostanza, glamour e contenuti, si conferma anche quest’anno, così come l’impegno concreto e l’attenzione alle tematiche sociali. Il valore aggiunto di questa edizione è stata l’interazione tra mondi apparentemente lontani ma che invece diventa possibile grazie al linguaggio universale della musica. Prima della cerimonia di premiazione è stato presentato il nuovo progetto di residenza artistica “Sound Bocs” (realizzato grazie a Mibact e Siae) che vedrà giovani artisti in un quartiere creativo in stile mitteleuropeo nel cuore della Calabria. I premi assegnatiLa menzione del Club Tenco è andata al brano “Restiamo Umani” di Fabio Messieri dove la canzone d’autore e l’impegno civile si fondono e creano un appello accorato per tendere le mani all’altro.La menzione speciale di Musica contro le mafie insieme alla “targa giovane autore”, una borsa di studio di SIAE, è andata al brano “Non siamo pesci” di Chris Obehi, un lottatore di speranza e di vita incontenibile contro l’emorragia di umanità. Premio speciale “La musica può”, assegnato da Mklive attraverso “Perchicrea” di SIAE e MIBACT per gli artisti under 35, a Cance con il suo brano “Conosci?” sulle illusioni di una generazione tradita. Il premio Musica contro le mafie 10^ ed., opera realizzata dal maestro orafo Michele Affidato, è stato assegnato ai Romito, secondi classificati con il loro brano “Cosa ‘e niente” ci ricordano come sia importante scegliere da che parte stare prendendo posizione in situazioni di ingiustizia senza restare inermi. Con questo testo in lingua napoletana si sono voluti contrapporre a quella musica che diventa, suo malgrado, mezzo di diffusione ideologica di valori di marginalità e delinquenza. Prima classificata Micaela Tempesta che con la sua preghiera eretica “4m3n” (Amen) cruda e irriverente, ci ricorda come sia importante che la dimensione spirituale e l’impegno civile coincidano. Da “quella dell’ultimo banco”, come si è definita, ha fatto il pieno di premi, vincendo anche l’esibizione al prossimo concerto dell’Uno Maggio libero e pensante di Taranto e un tour nei festival del circuito Keepon Live. Alle ore 19 la Sala Lounge di Casa Sanremo ha ospitato lo showcase di tutti i premiati, con un infaticabile Claudio Guerrini che, al termine delle esibizioni, insieme al presidente di Musica contro le mafie Gennaro de Rosa, ha dato appuntamento alla prossima edizione” Il Premio è stato Ideato e organizzato dall’Associazione “Musica contro le Mafie” sotto l’egida di Libera (Associazioni, nomi e numeri contro le mafie), con il patrocinio di Avviso Pubblico e Legambiente, il Premio è un progetto culturale che si realizza con il supporto di preziosi contributi di Siae, Doc Servizi, Acep, Unemia, Omnia Energia, EarOne con il contributo istituzionale di Avviso Cultura PAC Calabria 2017/2019 di Regione Calabria e Comunità Europea e con la partnership di Casa Sanremo, Club Tenco, Uno Maggio Libero e Pensante, Keep On, Primo Maggio Roma, Officine Buone e il Maestro orafo Michele Affidato. Read the full article
0 notes
Text
Monica Italia
Della Femina Gaetano, conosciuto come Gaetano di Capri, nasce a Capri il 17/06/1976.
La madre Caso Maria sposa Della Femina Salvatore il 08/03/1976, resta vedova il 04/10/1989.
Gaetano ha avuto sempre una forte attrazione verso il disegno, a 11 anni da quando scopre in un cassetto dei colori ad olio del padre (anche egli pittore) inizia a dipingere, conosce Federico Salvatore un artista…
View On WordPress
0 notes
Text
di PIERO PACCHIAROTTI ♦
International Tour Film Festival dal 9 al 13 ottobre: grandi numeri e ospiti favolosi, il connubio per un successo unico e cinque giorni sensazionali a Civitavecchia.
Quest’anno si contano ben 3600 opere iscritte da 110 nazioni, come ha evidenziato dalla prima serata – e prima ancora nella Conferenza Stampa del 3 ottobre a Roma presso la sede FUIS – il Presidente dell’International Tour Film Festival Piero Pacchiarotti; esattamente il doppio rispetto alla precedente edizione.
Numeri davvero sorprendenti per non parlare delle peculiarità della kermesse: sette sezioni in gara di cui due riservate ai giovani ed un “vincente assoluto”, il premio della critica; due workshop, molte presentazioni di libri a tema, un meeting sulla costituzione e molto altro si è svolto in queste 5 giornate.
Il ruolo della madrina della manifestazione è stato ricoperto da Ester Vinci, poliedrica attrice di numerose fiction tra cui Squadra Antimafia; l’edizione corrente ha visto l’apertura ufficiale con Simone Gallo ed Anastasia Vasilyeva (conduttori della prima serata) mentre il ruolo del presentatore della serata finale è andato all’attore Roberto Luigi Mauri; accanto a lui sul palco la conduttrice Angela Achilli.
La prima serata è iniziata con l’inaugurazione della mostra fotografica “Cinema e Mito” e le lambrette storiche della collezione di Silvestro Guida, passando dalle fasce di Miss Civitavecchia Elegance di Gloria Salipante e Miss Castelli Romani, per giungere alle note musicali dei cantanti Armando Caforio e Kumiko Yoshii, Roberta Manovelli e Sergio Grech dell’Ass.ne l’Arte del Canto; il film d’apertura è stato invece Il Signor Diavolo, opera ultima di Pupi Avati che vede fra gli attori Andrea Roncato il quale è stato premiato nella sera del 9 ottobre per i suoi favolosi 40 anni di carriera. Gli altri premi della prima serata che sono stati assegnati sono il Fashion Award a Daniela Poggi – che ha scelto a sorpresa di chiamare dal pubblico e di dividere il suo momento sul palco con un’attrice che ha preso enormemente a cuore, la giovane e bravissima Giulia Todaro con la quale sta lavorando attualmente su un set – e lo Special Award allo Chef Bruno Brunori che durante il giorno aveva incontrato i ragazzi dell’istituto alberghiero.
Giovedì 10 serata dedicata ai diritti umani ed al problema del razzismo, con la proiezione di Skin, di Guy Nattiv, fresco premio Oscar 2019 e di Caina alla presenza del regista e dall’attrice principale, rispettivamente Stefano e Luisa Amatucci.
Venerdì 11 ottobre dopo l’inaugurazione della mostra fotografica “Cinema e Mito”, si è svolta la serata come sempre presso La Cittadella della Musica con due premi di prestigio previsti: uno è andato a Maria Grazia Nazzari e l’altro a Nicola Vizzini.
Sabato 12 serata interamente dedicata ai talenti locali con il Festival del Mare, videoclip musicali inediti di altissima qualità grazie alla sapiente regia di Pietro Giorgetti, presentata dalla coppia Floriana Gigli e Gino Florio, vinta da Giuseppe Scaglione.
Domenica 13 ottobre si è svolta, infine, la premiazione di tutte le opere vincenti (vd. allegato) davanti ad un parterre internazionali con registi provenienti da Russia, Spagna, Croazia, Singapore, è così via; è stato consegnato il premio alla carriera a Gennaro Cannavacciuolo. Tra i nomi che occupavano le poltrone in prima fila, tanto per citarne i principali, i registi Christian Marazziti e Daniele Falleri, la regista Donatella Baglivo, le attrici Marilu’ De Nicola e Paola Lavini veterani amici del Festival; il sindaco di Civitavecchia Ernesto Tedesco, l’On. Alessandro Battilocchio, la fashion stylist e marketing manager di Como Monica Gabetta Tosetti – che ha curato l’outfit del presentatore Roberto – con la collega amica e professionista Laura Sonvico; e ancora l’artista Alexandra Del Bene responsabile della realizzazione dei premi e moltissimi altri.
Durante le giornate del festival oltre ai film in concorso si sono tenuti workshop attoriali con Simona Tartaglia; presentazioni libri con personaggi come Pino Scaccia, Raffaella Lanzetta e Manuela Del Zompo. Infine interventi nelle scuole per ricordare personaggi come Mario Monicelli a dieci anni dalla scomparsa e Leonardo Da Vinci.
Si ringraziano le Istituzioni, lo Staff , gli Sponsor, i partners dell’ITFF e tutti coloro che hanno collaborato. Tra le persone che hanno preso parte alla macchina organizzativa di quest’ultima edizione gli storici Francesco Capuano e Andrea Donato; i fotografi Carlo Piersanti, Giuseppe Andidero, Nicoletta Morici e Fabio Finco; i videomaker Cosimo Ricciolino e Benedetta Donsante.
This slideshow requires JavaScript.
PIERO PACCHIAROTTI
Presidente ITFF Piero Pacchiarotti; Direttore Artistico Luc Toutounghi; Direttore del Festival Sonia Signoracci
Ufficio stampa Roberta Nardi.
Sito ufficiale: www.internationaltourfilmfest.it/
Di seguito l’elenco delle OPERE PREMIATE – 8^ EDIZIONE ITFF 2019
ITFF MIGLIOR FICTION 2019
Мама (Mother) di Vasiliy Kiselev (Russia)
………………………………………………………………………………………………
ITFF MIGLIOR DOCUMENTARIO 2019
La fiaba perduta di Cristian Natoli e Giulio Gattuso (Italia)
………………………………………………………………………………………………….
ITFF MIGLIOR ANIMAZIONE 2019
The goodqueue di Roger Giménez (Spagna)
……………………………………………………………………………………………………
ITFF MIGLIOR VIDEO DI PROMOZIONE TURISTICA 2019
RabskaFjera – MedievalSummer Festival
di SanjinBadurina (Croazia)
…………………………………………………………………………………………………..
ITFF MIGLIOR LUNGOMETRAGGIO ITALIANO 2019
Segretarie – Una vita per il cinema
di Raffaele Ragoe Daniela Masciale
…………………………………………………………………………………………………………
ITFF PREMIO DELLA CRITICA E VINCITORE ASSOLUTO DEL FESTIVAL
Be Kind
di Sabrina Paravicini e Nino Monteleone (Italia)
——————————————————————————————————-
ITFF MENZIONE SPECIALE
Switch di Andrea Vella e Martina Vacca
Laboratorio Cinematografico di Santa Marinella
…………………………………………………………………….
ITFF – VIDEOVERSI (sezione Adulti) 1^ Classificato a:
Il cappotto verde di Fabio Lucarelli
——————————————————————————————————————
ITFF – VIDEOVERSI (sezione Adulti) 2^ Classificato a:
Haiku n.2 di Paolo Di Luca
——————————————————————————————————————–
ITFF – VIDEOVERSI (sezione Adulti) 3^ Classificato a:
Io vedo con il cuore di Silvia Giampà
—————————————————————————————————————–
ITFF – VIDEOVERSI (Sezione giovani) 1^ Classificato
Assenza di Maria Laura Marino
———————————————————————————————————————
ITFF – VIDEOVERSI (Sezione giovani) 2^ Classificato
Amico Mio di Elisa Corti
———————————————————————————————————————
ITFF – VIDEOVERSI (Sezione giovani) 3^ Classificato
Sognatore straniero di Alessia Malinconici
………………………………………………………………………….
ITFF CITTADINI D’EUROPA – 1^ Classificata a:
La giovane Unione Europea, Lei, la sua storia, il suo futuro
di Maria Rosaria Raucci e Alessandra Ommeniello – ISISS Terra Di Lavoro – Caserta
………………………………………………………………………………………
ITFF CITTADINI D’EUROPA 2^ Classificata a
Uniti a sostegno della legalità di Veridiana Cassarisi
IIS Via dell’Immacolata 47 – Civitavecchia
………………………………………………………………………………………………
ITFF CITTADINI D’EUROPA 3^ Classificata a:
Cittadini d’Europa di Angela Pernice
IIS Vespucci – ColomboLivorno
………………………………………………………………………………………………
ITFF CITTADINI D’EUROPA – Menzione Speciale a:
Ride – Liberi di muoverci di Silvia Luciani
Istituto Comprensivo Enrico Fermi di Macerata
International Tour Film Festival dal 9 al 13 ottobre: grandi numeri e ospiti favolosi di PIERO PACCHIAROTTI ♦ International Tour Film Festival dal 9 al 13 ottobre: grandi numeri e ospiti favolosi, il connubio per un successo unico e cinque giorni sensazionali a Civitavecchia.
0 notes
Link
di Stefania Mezzina
TORTORETO – Si sono tenute le premiazioni del 2° concorso “Arti Visive e Sicurezza sul Lavoro” che ha l’obiettivo di costruire e divulgare la cultura della sicurezza, realizzato dalla Faraone Industrie di Tortoreto, che da sempre sostiene iniziative riguardanti la Sicurezza sul Lavoro, e l’associazione Lejo Art, i cui artisti hanno prestato la loro creatività per il concorso.
L’obiettivo dell’iniziativa, per gli organizzatori, è quello di contribuire alla creazione ed alla diffusione delle Cultura della Sicurezza. La votazione è stata tenuta da una giuria mista di esperti d’arte, comunicazione e responsabili di istituzioni della sicurezza di Italia, Germania e Polonia; dott.ssa Maria Ceci Vicario – Inail Teramo, Fabrizio Viscardi – Responsabile relazioni esterne AIAS Associazione Italiana Ambiente Sicurezza, Thomas Jacob – Direttore tecnico amministrativo delle assicurazioni sociali per incidenti tedeschi, Sandro Melarangelo – Docente e pittore; Berardo Montebello – Pittore e gallerista, Alessandro Pavone – Valutatore qualificato per gli schemi Qualità, Ambiente, Sicurezza e Emas – CEO della SI&T, Karol Lament (ZAZ) – direttore dell’azienda ZAZ e Domenico Rega – Presidente Piccola Opera Charitas.
Quattro le menzioni speciali assegnate, Forza Comunicativa per Antonella Di Cristofaro, con la sua opera “Sicurezza, partenza, via”, Creatività ed originalità per Sara Di Giampaolo con la sua “Senza scampo”, Coinvolgimento emotivo per Sara Di Giampaolo con la sua “Senza scampo”, Tecnica e qualità artistica per Marco Fattori con la sua “La sottile linea rossa”.
Sei i premi assegnati, sesto classificato Marco Fattori con la sua “La sottile linea rossa”, quinta classificata Patrizia Franchi con la sua “La sicurezza, 7 vite”, quarta classificata Romina Rossoli con la sua “I bambini imparano dai genitori”, terza classificata Antonella Di Cristofaro con la sua opera “Sicurezza, partenza, via”, secondo classificato Luciano Astolfi con la sua “La vita tra le mani” e prima classificata la pluripremiata Sara Di Giampaolo con la sua “Senza scampo”.
La serata è stata impreziosita dall’esibizione dei ragazzi della Piccola Opera Charitas, del gruppo SOS che ha presentato la canzone sulla sicurezza “Ancora vivere” e della proiezione del video realizzato dalla fondazione LHS, Italia Love Sicurezza, con il contributo di Faraone Industrie
L’arte, in tutte le sue forme, rappresenta per Faraone Industrie un mezzo di comunicazione molto efficace in quanto ha la capacità di invitare alla riflessione e di muovere gli animi delle persone, per questo avviare la collaborazione con l’Associazione Lejo, proprio per sviluppare immagini e messaggi di sicurezza in maniera creativa ed emozionale: sicuramente vedere un bimbo che afferra un uncino al posto della mano del padre fermerà lo sguardo del lavoratore più di un semplice cartello di avvertimento.
0 notes
Text
Turchina, la Strega
Per adesso Turchina la Strega è ancora al mare a fare surf con la sua scopa ma …. a Settembre 2019 la potrete trovare in tutte le librerie italiane come prima opera classificata V Edizione Premio di Letteratura per l’infanzia NARRARE LA PARITA’: Turchina, la Strega di Mariasole Brusa, Marta Sevilla, MATILDA Editrice.
Nelle librerie spagnole invece la troverete a fine ottobre con il titolo: C…
View On WordPress
0 notes